DELLA
GENEOLOGIA
DEGLI DEI
DI M. GIOVANNI
BOCCACCIO
LIBRI QVINDECI
Ne'quali si tratta
dell'Origine, & discendenza di tutti gli Dei de' Gentili.
Con la spositione de'
sensi allegorici delle Favole: & dichiaratione dell'Historie appartenenti à
detta materia.
TRADOTTA GIÀ PER M
GIOSEPPE BETVSSI.
Et hora di nuovo con
ogni diligenza revista, & corretta.
Aggiuntavi la vita di M.
Giovanni Boccaccio, con le Tavole de' Capitoli, & di tutte le cose degne di
memoria.
Dedicata all'Illustre
Signor
BONIFACIO PAPAFAVA
In Venetia per il
Valentini MDCXXVII
CON PRIVILEGIO.
LA Geneologia de' Dei già dall'Eccellentiss.
Boccaccio descritta, & per la materia, di che tratta famosa, & per
l'eminenza dell'Autore, che l'ha composta, singolare; essendo già da' morsi del
tempo, che tutto lacera, & consuma, quasi logorata, & guasta; si che
appresso gli uomini appena più si ricordava; volendo io, & per ornar le mie
stampe di cosi nobil'opera, & per non lasciar un tanto tesoro dimenticato,
trarla dalle tenebre dell'oblivione alla luce della reminiscenza; non ho saputo
à più sicuro bisogno di V.S. Illustriss. appoggiarla. Laquale, avvenga, che di
presenza io non la conosca, vola ad ogni modo cosi altamente il grido della
nobiltà, & graNdezza cosi della famiglia, traendo particolarmente l'origine
dalla Illustrissima Casa de Signori di Carrara, come de' proprij suoi meriti,
che non solo me, che nulla sono, & nulla vaglio, ha reso riverente a' suoi
honori, & divoto alla sua grandezza; ma gli Prencipi grandi à desiderar
l'amicitia, & accomunare con lei le proprie grandezze., che però l'Altezza
del Sereniss di Mantova si ha compiacciuto di annoverarla tra suoi Cavalieri
del Redentore co'l colare nobilissimo di quella Religione arricchendola
d'infiniti privilegij, de' quali questa breve lettera non è capace; Come ne
della parentella per via di matrimonio contratti con l'illustriss. Casa Pesaro:
ne meno delle grandezze del'illustriss. Sig suo Padre (per star ne limiti
vicini della famiglia) Cavalier nobilissimo, Priore della religione di S.
Stefano appretto il gran Duca di Toscana. Indi dal'illustriss. Sig.
Ambasciatore di Francia appresso la Sereniss. Republica Veneta a nOme del Re
Christianissimo honorato del vero, e gran colare di S. Michele. Nè tan poco de
gl'illustrissimi Signori suoi fratelli, l'uno Cavalier di S.Marco, che ora gode
i primi; & principali honori della sua Patria, l'altro Vescovo d'Adria, e
di Rovigo, & Abbate di Sebenico, un'altro apparentato con i primi Prencipi
(per la moglie) d'Alemagna; un'altro Cavalier di Malta vicino per i suoi meriti
alla commenda, & alla gran Croce, di maniera, che se vorressimo andar
ricercando per la famiglia antichissima; & numerosissima la trovaremmo
ricca non solo di palme, di mitre, d'armi, e di Spoglie nobilissime, ma di
scettri, e di corone, degni più tosto di Bronzi, e di Marmi, d'inchiostri
finissimi, & di penne sovrane, che d'una letteRa d'un minimo suo servitore.
Il quale viene solo a supplicarla, ricever in grado nel picciol dono di
quest'opera il grande desiderio, che tiene di servirla; Et come le dedica il
Libro, cosi le dona se stesso in perpetuo serviggio, pregandole da N.S.
l'adempimento de' suoi alti, & nobilissimi pensieri, riverentemente le
bacia le mani.
Venetia il
dì 18. Marzo M DC XXVII.
Di V.S,
Illustrissima
Servitore
humilissimo
Giorgio
Valentini
PARRÀ forse
istrano ad alcuno, c'havendo io prima nel libro delle Donne illustri del
presente autore, & poscia M. Francesco Sansovino inanzi il Decamerone da
lui corretto, & in molte parti adornato, et ridotto a perfettione,
descritto la vita del Boccaccio, hora di nuovo io mi sia messo quella nella
fronte di questi libri locare, il che però cosi non deve parere, conciosia, che
non senza ragione a ciò mi sono mosso.
Primamente alcuno non ha a dubitare che, colui il quale otioso, &
indarno vivere non vuole, ogni giorno appara, & vede qualche cosa di piu,
di che la confessione, che faceva il saggio Socrate di non saper altra cosa
meglio, eccetto, che non sapeva nulla, non procedeva da altro, che da la
imperfettione dell'huomo, il quale per lo piu di quelle cose, che ei si reputa
piu essere capace, & instrutto, aviene, che si ritorna meno essere
intelligente & ammaestrato. Io nello descrivere l'altra fiata la vita di M.
Giovanni, cercai darla a leggere piu perfetta ch'io potessi; il che in tutto
non m'è venuto fatto, perche nel rivolgere molti altri libri cosi suoi, come
d'altri, ho ritrovato delle cose da me à dietro lasciate, le quali hora non mi
paiono da tacere. Il Sansovino medesimamente, come persona dotta, &
studiosa con l'acuto, & elevato ingegno investigando trovarne il vero, non ha
saputo, nè poTuto haverne miglior testimonio, che le scritture del proprio
auttore; però sopra quelle fondandosi, nella maggior parte fedelmente della
vita del Boccaccio ha parlato. Ma essendo impossibile ch'un huomo solo possa
vedere il tutto, non sarà meraviglia, che da lui molti luoghi non siano stati
tralasciati, & (forse per non havergli veduti) non citati; i quali hora
intendo, insieme con i suoi io produrre a commune piacere di quelli, che si
dilettano intieramente vedere quel piu di vero, che restare ci possa della di
lui vita havendo per fermo di tanto non poter dire, che piu non ne habbia
tacciuto. La seconda cagione anco, che a ciò mi ha guidato è stato, che non
havendo l'autore fatto alcun'altra fatica piu da lui istimata della presente
(così portando il costume degli scrittori), mi pareva ch'ella non havesse ad
uscire in mano degli huomini da me tradotta senza la sua vita; accioche tra le
celesti beatitudini (se le anime sciolte dai corpi possono sentire alcuna
felicità mondana) quella del Boccaccio goda questo contento di vedere le
fatiche sue da tutti non sprezzate, ma da molti degnamente graditO.
Giovanni
adunque per cognome detto Boccaccio fu di Certaldo Castello di Toscana, &
nacque negli anni del signore MCCCXIII, nel tempo, che Arrigo Quinto Imperatore
& Federigo Re di Sicilia insieme con Genovesi mossero guerra contra il Re
Roberto; nel qual tempo poi il detto Imperatore morì in Puglia appresso
Benevento. È questo Certaldo posto sopra un eminente colle vicino al quale
corre il fiume Elsa, onde propriamente chiamasi Certaldo di val d'Elsa. Nacque
di vili & poveri parenti, sì come egli medesimo ne fa fede, & si può
conietturare in molti luoghi delle opere sue: i quali come poco importanti,
& di nesuno momento lascio adietro.
Fu il padre
suo poverissimo, & dato agli essercitij rusticani, il nome del quale senza
dubbio veruno fu Boccaccio, come egli istesso ne fa fede nel nono & ultimo
libro sopra i Casi degli Huomini Illustri, dove nel trattato di Iacopo, Mastro
dei Cavalieri templari, cosi dice: Nil aliud quousque illis ingentes spiritus
sufficere; quam qui dudum occubuere; testantes ut aiebat Boccatius vir honestus
& genitor meus, qui se his testabatur interfuisse rebus. Non haveva il
padre suo cognome alcuno, eccetto che dal proprio suo nativo luoco; onde si
diceva Boccaccio da Certaldo; il che si manifesta nella Visione di M. Giovanni,
come, che dubbio sia ella essere sua, quando ei dice:
Quel, che vi manda questa visione
Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.
Nondimeno
egli, lasciando il cognome del Castello, & prendendo quello del padre, si
chiamò quasi sempre Giovanni Boccaccio. Ma ritornando al padre di lui, dico
ch'egli, veggendosi povero & aggravato d'altri figliuoli, conoscendo questo
anco fanciullo, che nella fisonomia, nei costumi & nelle operationi
dimostrava non essere di basso & rozzo intelletto, atto ad essere posto ad
alcuno essercitio piu che mecanico, anzi per essere d'aveduto, & acuto
ingegno, di attendere a cose di momento, tra se propose, che si essercitasse
nella mercatantia. Così, essendo Giovanni anco fanciullo, il pose a stare a
Firenze con un mercatante Fiorentino; onde per essere buono Aritmetico &
sapere benissimo tener conto di libri, da quello era tenuto caro & seco fu
condotto a Parigi, col quale dimorò lo spatio quasi di sei anni non già con
l'animo tranquillo, anzi piu che mezzanamente travagliato, parendogli non
spendere i giorni come havrebbe voluto & desiderava; la qual cosa, che cosi
fosse, egli istesso nel Quintodecimo libro della presente Geneologia, dove
tratta che per lo piu l'huomo segue quegli studi a' quali è inchinato, il
dimostra. Scrive Benvenuto da Imola, egli odiando tale essercitio, & poco
curando i negotij del padrone, da lui fu licentiato, & rimandato alla
patria; là onde essendo giunto all'età di sedeci anni, in tutto si tolse
dall'incominciato ufficio & drizzò l'animo a più lodati studi, piacendogli
sommamente leggere, & intendere i buoni Poeti, a' quali era molto
inchinato, & in tutte le sue attioni la vita filosofica imitando. Nondimeno
questo suo proposito gli era non impedito, ma quasi vietato dal padre; il
quale, si perche era male agiato, come anco perche giudicava gli studi della
humanità & filosofia congiunti con la Poesia potergli dare poco utile,
desiderava & voleva, che si mettesse ad altra professione, per lo mezzo
della quale potesse sostentar se, & dare aiutto a lui. Di che alla fine
mosso da' suoi prieghi, & da quegli degli altri amici, si diede allo studio
delle leggi, nel cui si può giudicare se vi havesse con diligenza atteso, che v'havrebbe
fatto buon frutto. Ma perche l'animo suo era in tutto rivolto allo studio
dell'humanità, la quale si come infinitamente amava, altrettanto & piu,
odiava le leggi, come di ciò ne fa fede una pistola scritta a M. Cino da
Pistoia, al tempo suo Legista notabile, & di lui precettore, nella quale si
sforzava mostrargli quanto gli era grave, & noioso quel peso da lui contra
sua voglia portato, di continuo si dava segretamente a leggere i Poeti &
gli historici, facendosi molto famigliare lo studio della Filosofia.
Nè perche
tutto il giorno dai preghi del padre, nè dai ricordi degli amici, &
famigliari suoi con lettere fosse molestato ad attendere solamente alla
professione delle leggi, egli mai puote essere distolto dal suo proponimento,
attento che egli a questo era nato, si come medesimamente dimostra poco di
sopra nel luogo da noi citato. Cosi vivendo egli in questi termini, giunto
all'età d'anni XXV, altri vogliono XXVIII, avenne, che il padre gravemente
amalato, passò di questa ad altra vita. La onde restato il Boccaccio di se
padrone, ne havendo piu da compiacere maggiormente in ciò ad altri, ch'alla
tranquilità dell'animo suo, palesemente gittati da parte i testi, & le
chiose, si diede ad abbracciar i Poeti, & in quelli fece quel profitto, che
da le opere sue si può comprendere.
Et non v'è
dubbio alcuno, che se dal principio vi havesse possuto attendere come desiava,
& ne era inchinato, che molto maggiore di nome, & d'effetti sarebbe
divenuto, perche a ciò dai Cieli era prodotto, & dagli huomini era eletto,
di che ei medesimo nel predetto ragionamento ne fa fede, dicendo; Et mirabile
dictu cum nondum novissem, quibus seu quot pedibus carmen incederet; me etiam
pro viribus retinente quot nondum sum, Poeta fere a notis omnibus, vocatus fui.
Nec dubito, dum aetas in hoc aptior esset, si æquo genitor tulisset animo, qui
inter celebres Poetas unus evasissem. Verum dum in lucrosas artes primo, inde in
lucrosam facultatem ingenium flectere conatur meum; factum est; ut nec
negociator sim, nec evaderem canonista, & perderem Poetam esse conspicuum. Caetera facultatum studia, & si placerent; minime sim secutus.
Si che si vede quanto torto fosse fatto all'ingegno di sì degno Poeta, &
come con ogni sforzo a lui fosse cercato torre quello che gli promettevano i
Cieli. Nondimeno, rimasto senza padre, non solo rivolse l'animo a studiare
l'opre di quelli, ch'erano stati molto prima di lui, ma anco ricercò haver
contezza di quei, che vivevano al tempo suo, & hebbela. Tra quali fu
l'Honorato M. Francesco Petrarca, al quale divenuto molto intrinseco, &
cordiale, per tre mesi continui dimorò seco: di che ne fa fede la Prima Pistola
del terzo libro delle Senili di M. Francesco; & di lui fu spetiale
osservatore, sì come in infiniti luoghi delle opere sue latine dimostra, &
tra gli altri nel parlamento ch'egli finge seco nel principio dell'ottavo libro
sopra i casi degli huomini Illustri, del quale dimostrando la riverenza, cosi
parla. Quem dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer;
agnovi esse Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius
monita semper mihi ad virtutem calcar extiterant; & quem ego ab ineunte
iuventute mea prae caeteris colueram. Et quello, che segue. Essendo adunque
cosi infiammato di questi santi studi, a guisa d'antico & vero filosofo,
non bastandogli le sue rendite a mantenerlo, incominciò vendere il capitale del
patrimonio, non perdonando a spesa nè a fatica in andare dove sapeva, che fosse
alcun huomo dotto, & eccelente.
Passò in
Sicilia per udire un certo Calavrese ch'in quel tempo havea gran nome, com'egli
scrive, d'essere dottissimo in lettere Greche, & tanto di quelle venne ad
animarsi che, ritornando a dietro & pervenuto a Venegia, menò seco a
Fiorenza Leontio Pilato, di natione greco, molto dotto & letterato, tenendolo
nella propria casa dov'egli habitava a sue spese; & da quello si fece
legere la Iliade d'Homero & l'Odissea, adoprandosi tanto con gli amici, che
communemente fu salariato, & publicamente in Firenze per mezzo del
Boccaccio hebbe una lettura, della qual cosa egli istesso ne fa fede
nell'ultimo libro della presente opra, dove dice: Post hos & Leontium
Pilatum Thessalonicensem virum, & ut ipse asserit, Predicti Barlae
auditorem persepe deduco. Et poco da poi di lui continoando segue; Huius ego
nullum vidi opus, sanè quicquid ex eo recito, ab eo viva voce referente
percepi. Nam eum legentem
Homerum, & mecum singulari amicitia conversantem fere tribus annis audivi. Cosi anco in uno altro capitolo del detto libro di quello parlando
scrive; Nonne ego fui qui Leontium Pilatum a Venetiis occiduam Babilonem
querentem a longa peregrinatione meis flexi consiliis? In patria tenui? Qui
illum in propriam domum suscepi, & diu hospitem habui, & maximo labore
meo curavi ut inter Doctores Florentini studij susciperetur, ei ex publico
mercede apposita? Fu quasi il primo, questo Leontio, che leggesse in Italia le
opere d'Homero, le quali tanto per innanzi erano state nascoste; & il
Boccaccio fu de' principali, che le udisse, & che raccogliesse tutti i
libri Greci, che puotè ritrovare, i quali fino a quel tempo erano stati quasi
dispersi & sepolti; il che
testimonia nel predetto luogo dicendo; Ipse insuper fui, qui primus meis
sumptibus Homeri libros & alios quosdam graecos in Hetruriam revocavi, ex
qua multis ante seculis abierant non redituri. Nec in Hetruriam tantum sed in
patriam deduxi. Ipse ego fui, qui, primus ex Latinis a Leontio Pilato in
privato Iliadem audivi, ipse insuper fui, qui, ut legerentur publice libri
Homeri, operatus sum; & esto non satis plene perceperim; percepi tamen
quantum potui; nec dubium si permansisset homo ille vagus diutius penes nos;
qui plenius percepisse. Et quello, che segue. Onde veramente per queste sole
buone operationi habbiamo non poco a restare obligati al Certaldese, &
infinitamente da commendarlo, poscia ch'egli in buona parte fu prencipal
cagione di cosi utile principio.
Ma non
possendo il povero Poeta col debile patrimonio, che quasi già se n'era andato,
lungamente piu negli studi continuare, come disperato se ne stava quasi per
pigliare novo partito, & senza dubbio sarebbe stato a ciò constretto dalla
necessità; ma il divino Petrarca, che molto l'amava, incomiciò sovenirlo in
diverse cose, aiutandolo secondo i bisogni di denari, & provedendogli di
libri, & altre necessarie cose; onde sempre egli lo chiamò padre &
benefattor suo in tutti i luoghi, dove di quello gli è occorso far
memoria; il che ha fatto in ciascuna
dell'opre sue latine, & spetialmente in molti luoghi di questa. Nè perche
in molti suoi scritti si ritrovi, che anco lo chiama precettore, a me non piace
affermare, nè secondo il vocabolo intenderlo per maestro di scuola, ma giudico
piu tosto per riverenza, che per altro cosi lo chiamasse, attento, che non si
ritrovò giamai, che il Petrarca fosse pedagogo di alcuno. Fece in processo di
tempo, si come habbiamo di sopra con le proprie sue parole mostrato, che il
detto Leontio gli tradusse di greco in latino Homero, tutto, che altri dicano,
che il Petrarca fece fare questa fatica; fondandosi, cred'io, sopra la sesta
Epistola del terzo libro delle Senili, nella quale il Petrarca il prega ad
oprare talmente, che faccia, che Leontio a sue spese gli traduca l'opre
d'Homero: & nella seconda del sesto, dove mostra il ricevere dell'opera; ma
chi bene riguarderà la prima del quinto libro, apertamente conoscerà il
Boccaccio essere stato quello, che fece fare la fatica, & poi ne fece parte
& dono al Petrarca. Confermato adunque col buono aiuto di M. Francesco a
continuare nelle lettere, diede quell'opra maggiore, che per lui si potesse alla
Poesia: & anco si pose a studiare nelle Sacre Lettere, ma essendo hoggimai
quasi vecchio, si come testimonia egli stesso nell'ultimo dei presenti libri,
dicendo: Caetera facultatum studia, & si placerent quoniam non sic
impellerent minime secutus sum. Vidi tamen sacra volumina, a quibus, quoniam
annosa est ætas; & tenuitas ingenij disuasere destiti, turpissimum ratus
senem (ut ita loquar) elementarium nova inchoare studia; & cunctis
indecentissimum esse id attentasse, quod minime arbitreris perficere posse.
Cosi non molto in questi studi si fermò, anzi lasciandogli da parte attese alla
sua cara Poesia alla quale dai Cieli era chiamato, si come continuando segue
dicendo. Et ideo cum existimem Dei beneplacito me in hac vocatione vocatum; in
eadem consistere mens est. Ma non contentandosi solamente dello intendere i
buoni Poeti si diede anco poeticamente al comporre, & molte opere latine
scrisse, tra le quali come principale fece i presenti quindici libri sopra la
Geneologia degli Dei a petitione di Ugo Re di Gierusalemme & di Cipro; i
quali di quanta dignità, utilità siano, non è alcuno, che ne possa far giudicio
non gli havendo letti & gustati. Questo so bene io, che in quelli vi è
incluso la maggior parte delle cose utili & necessarie non solamente alla Poesia,
ma anco alle altre scienze, che a gran fatica in molti altri poetici libri si
potrebbe ritrovare. Et in ciò ho conosciuto lo errore, che infiniti nostri
moderni pigliano, i quali si fanno beffe delle scritture, che non hanno l'odore
d'antichità, come quasi non si possa piu scrivere cosa, che buona sia. Ma di
questo ne sia detto assai: perche ogn'un del suo saper par che s'appaghi.
Scrisse medesimamente nove libri sopra i casi degli huomini illustri, con
quegli essempi & regola del ben vivere, che piu politicamente alcuno altro
non havrebbe possuto amaestrarci. Ne compose poi uno delle Donne illustri,
tanto dilettevole & vago, quanto altro a beneficio loro si potesse formare,
le quai opere io a commune utilità nella nostra natia lingua tutte ho
riportate. Scrisse appresso un libro della origine & nomi de i monti, uno
delle selve, uno dei fonti, uno dei laghi, uno dei fiumi, & uno degli
stagni, & paludi. Trattò anco dei nomi del mare; fece la Bucolica in verso;
un'opra nella cui si tratta dei fatti dei Pontefici, & Imperatori Romani;
scrisse della ribelione delle Terre della Chiesa. Delle Guerre de' Fiorentini
contra il Duca di Milano, & il Re d'Aragona. Della Vittoria dei Tartari
contra Turchi. Delle Vittorie di Sigismondo contra infedeli. Delle heresie di
Boemi. Della presa di Costantinopoli. Et oltre ciò si leggono molte sue Pistole
famigliari, le quali fatiche tutte furono latine. Nel cui stile, considerandosi
quei tempi, che anco erano infettati dalle reliquie dei Gothi & degli altri
barbari, non poco si vede egli essere stato eccellente; perche se riguardaremo
al Petrarca & agli altri scrittori del suo tempo, vedremo la latinità del
Boccaccio (come, che in tutto perfetta non sia) senza dubbio essere stata la
migliore dell'altre essendo anco di havere compassione ai loro giorni i quali
mancavano di molte comodità a ciò necessarie, nè quella copia di libri havevano
c'hora si ritroviamo noi. Si dilettò medesimamente di scrivere nel suo natio
idioma; nel quale quanto valesse, tutto, che alhora fosse poco in prezzo, ne fanno
fede l'opre sue, dalle quali si ha conosciuto quanta utilità n'habbiano havuto
i successori, & la dignità, che a questa lingua habbiano accresciuto le
fatiche sue, alle quali come a nuovo oracolo si riportiamo. Compose il
Filocolo, la Fiammetta, l'Ameto, il Labirinto d'Amore o vogliamo Corbaccio, la
Vita di Dante, & incominciò a commentare Latinamente la sua Comedia, cioè
una parte dell'Inferno. Fece le diece Giornate del non mai a bastanza lodato
& degno d'ogni pregio Decamerone, l'ultima delle quali novelle fu dal
Petrarca tradotta in latino, si come si legge nella terza Epistola del
decimosettimo libro delle Senili del Petrarca. Scrisse la Theseide, opra in
ottava rima nella cui si contengono i fatti di Theseo, & fu il primo
inventore di tale testura, percioche per inanzi non mi ricordo io haver trovato
ch'altri la usasse. Fece medesimamente una Apologia difesa del Petrarca contra
gli invidiosi & maledici, si come ne fa fede l'instesso nella ottava
Epistola del quintodecimo libro delle senili; compose anco molte rime &
altre simili cose; ma per dire il vero, lo stile volgare in verso non gli fu
troppo amico. Nondimeno a' suoi giorni, tra Dante, il Petrarca & lui, a
quello era attribuito il terzo luogo, si come dimostra il Petrarca in una lettera
scritta al Boccaccio; dove dice; Io odo, che quel vecchio da Ravenna, non
inetto giudice della Poesia volgare, ogni volta, che si ragiona di cosi fatta
cosa, che egli ha sempre in usanza d'assegnarti il terzo luogo. Se questo ti
dispiace, parendo a te ch'io sia un ostacolo, che non sono, ecco, se tu voi, io
ti cedo & ti rinuntio il secondo luogo; intendendo tuttavia, che nel primo
sia Dante. Cosi anco Benvenuto da Imola in una lettera scritta al Petrarca
parlando della spositione d'alcuni poemi di Dante, Petrarca, & Boccaccio
cosi ragiona: Ma io lo faccio per mostrare a' posteri di haver suscitato i tre
Prencipi de Poeti de' nostri tempi, i tre chiarissimi lumi della Greca, della
Latina & della lingua Volgare; Dante cioè, te medesimo, & Giovanni Boccaccio.
si che si comprende egli non essere stato indegno Poeta. Nondimeno, veduti
c'hebbe un giorno il Boccaccio i Sonetti & le Canzoni con le altre
compositioni simili del Petrarca, conoscendo quanto le sue fossero inferiori a
quelle deliberò donarle alle fiamme ,& non acconsentire, che mai si
vedessero; il che inteso dal Petrarca fu da lui sconsigliato con una Epistola,
nella cui si leggono queste parole: Perdona alle fiamme. & habbia
compassione de' tuoi scritti, & alla publica utilità & dilettatione. Qui
non starò io a disputare, che cosa lo movesse a comporre questa &
quell'opra, & ciò ch'egli vuole inferire nel tale & nel tal luogo,
perche ne lascio la cura agli spositori. Quello per le sue degne virtù fu fatto
Cittadino Fiorentino, & dalla Republica fu adoprato in molti negotij
publici. Egli fu quello, che per la comunità di Firenze fu mandato ambasciadore
al Petrarca per la sua restitutione, si come si legge nella quinta Epistola del
Petrarca dopo le senili scritta a' Fiorentini; il che fu negli anni MCCCLI a tredeci
d'Aprile; nondimeno il Petrarca non solamente non venne a Fiorenza, ma anco fu
cagione, che il Boccaccio se ne levasse, perche essendo per le parti la città
divisa, & M. Giovanni nè all'una nè all'altra accostandosi, secondo il
consiglio di M. Francesco per lo meglio elesse per qualche tempo viversene
fuori; il che fece. Onde Giovanni Thiodorigo parlando della vita del Boccaccio
non devea dubitare perche Raffaello Volaterano il chiami Giovanni Boccaccio da
Certaldo, & Antonio Sabellico nel nono Libro ragionando di lui cosi dica.
Fuit ea tempestate in re literaia clarus Ioannes Boccacius Florentinus Certalda
domo, vir copioso ingenio & cuius varia extant studiorum monumenta; le cui
parole paiono quasi far dubitare, che il Poeta fosse Fiorentino & di casa Certalda,
overo, che non sia l'istesso, che vuole il Volaterrano, attento, che la propria
sua origine, si come chiaramente habbiamo mostrato, fu da Certaldo; & come,
che il Sabellico il chiami Fiorentino non deve per ciò nascere dubbio alcuno,
perche fu fatto Cittadino di Fiorenze. Diede anco opera alla Astrologia, &
hebbe per suo prencipale precettore Andalone de' Negri Genovese, al suo tempo
famosissimo Astrologo. Fu di natura molto sdegnoso, il qual vitio gli nocque
non poco negli studi; amatore anco della sua libertà, di sorte, che mai non
volle accostarsi nè obligarsi ad alcuno Prencipe nè Signore, come, che da molti
fosse desiderato & pregato; ilche egli tocca nel Filocolo quando dice; Deh,
misera la vita tua, quanti sono i Signori; li quali, s'io li loro titoli hora
ti nomassi, in tuo danno te ne vanagloriaresti, dove in tuo pro non te ne sei
voluto rammemorare. quanti nobili & grandi huomini, a' quali, volendo tu,
saresti carissimo? Et per soverchio & poco lodevole sdegno, che è in te, o
a niuno t'accosti, o se pure ad alcuno, poco con lui puoi sofferire, s'esso
fare a te quello, che tu ad esso doveresti fare, non ti dichini, cioè seguitare
i tuoi costumi & esserti arrendevole. Fu medesimamente molto inchinato
all'amore & libidinoso, & non poco gli piacquero le donne, come, che di
loro in molti luoghi dell'opere sue ne dicesse quel peggio, che dire si
potesse; tuttavia di alquante nelle scritture sue sotto finto nome ne fa
honorato ricordo. Fieramente s'accese dell'amore di Maria, figliuola naturale di
Roberto Re di Napoli. Percioche per le guerre civili egli, come amatore della
pace & quiete partitosi di Firenze, & girata la maggior parte
dell'Italia, alla fine pervenuto a Napoli & honoratamente raccolto da
Roberto, a que' tempi Sommo Filosofo, avenne, si come agli animi generosi
accader suole, che chiudendosi nel suo corpo altissimo & divino spirito, un
giorno veduta la di lui figliuola nella chiesa di San Lorenzo, quella
estremamente prese ad amare; a petitione della quale compose il Filocolo; &
che cosi fosse egli medesimo ne fa fede nel principio di quell'opra, quando
scrive; Io della presente opra componitore mi trovai in un gratioso & bel
Tempio in Parthenope, nominato da colui, che per deificarsi sostenne, che fosse
fatto di lui sacrificio sopra la grata. Cosi anco nell'Ameto: Io entrai in un
Tempio, da colui detto, che per salire alle case delli Dij immortali, tale di
sé tutto sostenne; quale Mutio di Porsenna in presenza della propria mano. Ma
perche lo amore suo non fosse a ciascuno palese, egli hebbe riguardo col
proprio nome non la ricordare; nondimeno, si come è naturale costume degli
amanti, che non vogliono dire lo stato loro, & tuttavia vorrebbono, che la
maggior parte se ne sapesse, non gli bastò solamente il chiamarla Fiammetta,
che anco in molti luoghi dà ad intendere, che il suo proprio nome fosse Maria,
& di chi figliuola; si come si vede nel Filocolo quando dice; Et lei nomò
del nome di colei, che in se contenne la redentione del misero perdimento, che
adivenne per lo ardito gusto della prima madre. Et piu oltre seguendo scrive;
Il suo nome è qui da noi chiamato Fiammetta, posto che la piu parte delle genti
il nome di colei la chiamino; per la quale quella piaga, che 'l prevaricamento
della prima madre apprese, ci racchiuse. Cosi anco medesimamente ne fa
testimonio nell'amorosa visione:
"Dunque
a voi, cui io tengo donna mia,
"Et cui sempre disio di servire.
"La raccomando Madama Maria.
Dimostra poi
palesemente nel Filocolo ella essere stata figliuola del Re Roberto, ma
naturale, dicendo. Ella è figliuola dell'altissimo Prencipe, sotto lo cui
scettro questi paesi quieti si reggono, e a noi tutti è donna. Et piu oltre
segue; Un nominato Roberto nella real dignità constituito, e avanti, che alla
reale eccellenza pervenisse, costui preso dal piacere d'una gentilissima
giovane dimorante nelle reali case generò di lei una bellissima figliuola,
& lei nomò del nome, &c. Fu medesimamente amato da lei, & si come
si può innestigare & dall'opre sue comprendere, egli n'hebbe il disiato
frutto d'Amore; il che si vede nell'Ameto; quando introduce Fiammetta cosi
parlare; Essendo io (come v'ho detto) del pronto giovane, & sua stata piu
anni, avenne, che per caso opportuno gli convenne a Capoua per adietro, l'una
delle tre migliora terre del mondo, andare; ond'io nella mia camera le paurose
notti traheva; & quello che và dietro. Di che si vede chiaramente, che egli
seco hebbe a fare. Il medesimo anco si comprende nella Fiammetta & nel
Filocolo, & in molti altri luoghi, che lungo fora raccontare, dove palesemente
quasi di questo suo amore si gloria; di che per molto spatio di tempo dimorò a
Napoli, & gran parte in Sicilia, dove dalla Reina Giovanna era favorito.
Chiamossi anco per amore di costei con finto nome Caleone, col quale diede il
titolo al Decamerone cognominato Prencipe Caleotto, formato da Calaon, voce
greca, che significa fatica: cosi anco il Filocolo, che s'interpreta fatica
d'Amore. Et ch'egli cosi si chiamasse per cagione di lei il dimostra nel
Filocolo, ove è scritto; Et percioche tante volte dal mio Caleone, da cui
sempre fui chiamata Fiammetta, avanti l'acceso amore verde fui conosciuta, di
vestirmi di verde poi sempre mi sono dilettata. Cosi anco in molti altri luoghi
ne fa ricordo, i quali come superflui lascio. Questa Maria non molto dopo la
morte del Boccaccio nel mutamento dello Stato di Napoli dalla parte aversaria
fu decapitata, benche altri vogliano, che per intendimento havuto contra il Re
Roberto ciò le venisse. Ma tornando al Boccaccio, amò egli medesimamente una
giovane Fiorentina nomata Lucia, la quale sempre con finto nome chiamò Lia.
Cosi anco sotto altri finti nomi nelle opere sue si comprende ad altre donne
haver altre fiate rivolto la fantasia, nondimeno, perche lieve è la loro
memoria, & poco di chiaro se ne può cavare da' suoi scritti, non ne diremo
altro; ma l'ultimo & il perfetto de' suoi amori fu di questa Maria, in nome
della quale compose Fiammetta; benche io non ardisca affermare, che in tutto
egli in quella volesse figurare l'amore suo & di lei; ma piu tosto istimo
che, toccandone solamente parte, l'animo suo fosse di solamente descrivere la
potenza d'un fervente amore in una giovane dal suo amante abandonata.
Conciosia, che nell'opra si vede ch'ei finge la Fiammetta essersi accesa in un
giovane che, a pena incominciava mettere la prima lanuggine di barba, & che
haveva padre, per amore della vecchiaia del quale l'inamorato fu sforzato
partirsi di Napoli & andare in Toscana; & nondimeno quando il Boccaccio
andò a Napoli era huomo fatto, & non haveva padre. Cosi anco in molte altre
cose di maniera varia, che sopra quella non si può far fondamento alcuno,
benche l'intendimento suo principale fosse di scrivere quell'opra con studio
tale, che altri non potessero comprendere la verità di quell'amore, eccetto che
la persona a cui s'appartenesse, si come si vede nel primo libro dove dice;
Percioche quantunque io scriva cose verissime, sotto si fatto ordine l'ho
disposte che, eccetto colui, che cosi come io le sa (essendo di tutte cagioni),
niuno altro, per quantunque havesse acuto intelletto, potrebbe chi io mi fossi,
conoscere. Et io lui prego (se mai per sua aventura questo libretto alle mani
gli perviene), che egli per quello amore il quale già mi portò celi quel, che a
lui nè utile nè honore può manifestandolo tornare; et quello, che segue; onde
si può leggiermente comprendere ch'egli medesimo non volle essere inteso. Ma
lasciando questo cose, che piu tosto sarebbono necessarie alla vita di costei,
che al ragionar di lui, seguiremo quello, che ci resta; fu di statura di corpo &
proportione di membri assai bene composto, si come egli stesso di sé scrivendo
fa, che la Fiammetta nel primo libro ne parla. Fu anco piacevole, & molto
costumato, si come dalle dilettevoli opere sue si può fare presuposto;
ultimamente acquetatesi alquanto le cose di Thoscana, & essendo desideroso
quel poco avanzo di tempo, che di vivere gli restava goderlo quietamente,
hoggimai fatto vecchio se ne tornò a Firenze; ma non possendo sopportare la
civile ambitione ritornò al suo Certaldo, dove lontano da travagli ne' suoi
studi vivendo passava i giorni secondo il suo volere, si come egli medesimo
scrive in quella Pistola a M. Pino de Rossi, dove in fine gli dice; Io secondo
il mio proponimento, quale vi ragionai, sono tornato a Certaldo. Alla fine
pervenuto all'età d'anni LXII. si come scrive Benvenuto da Imola, se ne morì di
male di stomaco, il quale gli fu cagionato per lo continuo soverchio studio,
che gli nocque assai, essendo egli di complessione molto grasso, & pieno.
Non lasciò di sé heredi legittimi, perche non hebbe mai moglie. Solamente di
lui rimase un figliuolo naturale, senza piu. Passò di questa all'altra vita
negli anni del signore MCCCLXXV, il che fu un'anno dopo la morte del Petrarca.
Fu sepolto in Certaldo nella chiesa di San Iacopo & Filippo con questo
epitafio sopra la sua sepoltura, il quale da lui medesimo pria, che morisse fu
composto:
" Hac
sub mole iacent cineres, ac ossa Ioannis;
" Mens sedet ante Deum meritis ornata
laborum;
"
Mortalis vitae genitor Boccacius illi,
"
Patria Certaldum, studium fuit alma poesis.
Appresso i
quali versi si legge anco un altro epitafio in lode del Boccaccio di M.
Colluccio Salutati segretario fiorentino, ma per piu longamente non porger noia
ai lettori, lasciaremo da parte questo & altre cose, che si potrebbono
dire; le quali essendo di niun momento arrecharebbono piu tosto noia, che
diletto, nè utile alcuno.
IL FINE.
Atropos figliuola di Demogorgone
Antheo quinto figliuolo della Terra
Amore primo figliuolo dell'Herebo
Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo
Giove
Auttolio figliuolo del secondo Mercurio
Auttolia, figliuola del primo Sinone, &
madre d'Vlisse
Amimone figliuola di Danao
Abante figliuolo di Linceo
Acrisio figliuolo d'Abante
Athalanta, figlia di Lasio, & madre di
Parthenopeo
Amphione figliuolo di Isio
Adrasto figliuolo di Thalaone
Argia, figlia d'Adrasto, & moglie di
Pòlinice
Ageone terzo figliuolo di Belo di Prisco
Adone figliuolo di Mirra
Anna figliuola del Re Belo
Agatte figliuolo di Cadmo
Auttone figliuola di Cadmo
Antigona figliuola d'Edippo
Acheronte Fiume infernale figliuolo di Cerere
Aletto prima figliuola d'Acheronte
Ascalapho quinto figliuolo d'Acheronte
Apollo figl. del primo Vulcano
Assirthio figliuolo di Oeta
Angiria figliuola del Sole
Asteria figliuola di Ceo
Aeo figliuolo di Tipheo
Auro settima figliuola di Titano
Atlante nono figliuolo di Titano
Alcione figliuola d'Atlante
Astreo figliuolo di Titano
Astrea figliuola d'Astreo
Austro figliuolo d'Astreo
Afro figliuolo d'Austreo
Aquilone figliuolo d'Austreo.
Arpalice, figliuola di Borea, e moglie di Phineo
Africo figliuolo d'Astreo
Aloo decimo figliuolo di Titano
Apollo secondo figliuolo del secondo Giove
Aristeo decimo figliuolo d'Apollo
Atteone figliuolo d'Aristeo
Autoo duodecimo figliu. d'Apollo
Argo terzodecimo figliu. d'Apollo
Asclepio figliuolo di Machaonne
Arabe figliuolo d'Apollo
Amphione, Rè di Thebe, & quinto figliuolo di
Giove
Amiclate figliuolo di Lacedemone
Argolo figliuolo di Amiclate
Arcade 15. figliu. del secondo Giove
Antigona figliuola di Laomedonte
Astianatte figliuolo d'Hettore
Antipho 18. figliuolo di Priamo
Antiphone 19. figliuolo di Priamo
Agatone 30. figliuolo di Priamo
Agamennone 32. figl. di Priamo
Assaraco figliuolo di Troilo
Anchise figliuolo di Capi
Ascanio figliuolo d'Enea
Alba Silvio figl. di Latino Silvio
Athi Silvio figliuolo d'Alba
Agrippa Silvio figl. di Tiberino
Aventino Silvio figl. di Romolo Silvio
Amulio figliuolo di Proca
Aetta, figliuola dell'Oceano, & moglie
d'Atlante.
Aretusa figliuola di Nereo
Acheloo 11. figliuolo dell'Oceano
Alueo 15. figliuolo dell'Oceano
Aceste figliuol del fiume Crinisio
Axio 18. figliuolo dell'Oceano
Asteropio figliuolo di Pelagonio
Asopo 19. figliuolo dell'Oceano
Aci figliuolo di Fauno
Ascalafo quarto figliuol di Marte
Agrio figliuolo di Partaone
Althea figliuola di Testio
Astilo figliuolo d'Isione
Amico figliuolo di Nettuno
Albione quarto figliuolo di Nettuno
Atiti figliuola di Risinore
Alcinoo figliuolo di Nausithoo
Alioo figliuolo d'Alcinoo
Attorione figliuolo di Nettuno
Aone figliuolo di Nettuno
Antiopa figliuola di Nitteo
Acastosi figliuolo di Pelia
Antiloco figliuolo di Nestore
Aritto figliuolo di Nestore
Antigono figliuolo di Theseo
Arpie figliuole di Nettuno
Ahello figliuola di Nettuno
Acheo figliuolo di Giove
Amore duodecimo figl. di Giove
Angeo figliuolo di Ligurgo
Arpalice figliuola di Ligurgo
Arpalice figliuola di Ligurgo
Androgeo figliuolo di Minos
Arianna figliuola di Minos
Antiphate figliuolo di Sarpedone
Acrisio figliuolo di Giove
Ausonio figliuolo di Pelope
Alceo figliuolo d'Atreo
Arpagige figliuolo d'Atreo
Agamennone figliuolo di Phistone
Aleso figliuolo d'Agamennone
Alcmena moglie d'Amphitrione
Alceo figliuolo di Gorgophone
Amphitrione figliuolo d'Alceo
Athermenide figliuolo di Bacchemone
Aone figliuolo di Giove
Asio figliuolo di Dimante
Alisiroe figliuola di Dimante
Aiace figliuolo di Telamone
Achile figliuolo di Peleo
Agile figliuolo d'Hercole
Aventino figliuolo d'Hercole
Alciona figliuola d'Eolo
Alcimedonte figliuolo d'Eritteo
Amittaone figliuolo di Criteo
Antipho figliuolo di Thessalo
Antiphare figliuolo di Biante
Amphiarao figliuolo d'Oioloo
Almeone figliuolo d'Amphiriao
Amphiloco figl. d'Amphiriao
Athamante figliuolo d'Eolo.
B
BELLO Prisco figliuolo d'Ephalocar
Buona figliuola di Danao
Belo figliuolo di Phenice
Bibli figliuolo di Mileto
Briareo figliuolo di Titano
Bianco settimo figliuolo d'Apollo
Borea figliuolo di Astreo
Bacco quarto figliuolo del secondo Giove
Bucolione figliuolo di Laomedonte
Britona nona figliuola di Marte
Buthe figliuolo di Amico
Batillo figliuolo di Pherco
Borgione quinto figl. di Nettuno
Bronte nono figliuolo di Nettuno
Busiri figliuolo di Nettuno
Bacchemone figliuolo di Perseo
Biante, overo Bia figliuolo di Amittaone
Bellorophonte figliuolo di Glauco.
C
CHAOS
Cloto figl. di Demogorgone
Caronte decimo nono figliuolo dell'Herebo
Cupido primo figliuolo del secondo Mercurio
Cinquanta figliuole di Danao in generale
Clori, figliuola d'Amphione, & moglie di
Neleo
Cilice terzo figliuolo d'Agenore
Cinara figliuolo di Papho
Cadmo sesto figliuolo d'Agenore
Cielo figliuolo dell'Ethereo
Cerere prima, seconda figliuola del Cielo
Cocito figliuolo di Stigia
Cupido figliuolo di Venere
Cauno figliuolo di Mileto
Calciope figliuola di Oeta
Circe figliuola del Sole
Ceo figliuolo di Titano
Chimera figliuola di Tiphone
Cilieno figliuola d'Atlante
Calipsone figliuola di Atlante
Circio figliuolo d'Astreo
Calai figliuolo di Borea
Choro vento figliuolo d'Astreo
Calisto figliuola di Licaone
Calato settimo figliuolo del secondo Giove
Cartagine figliuola del quarto Hercole
Clitione figliuole di Laumedonte
Creusa, prima figliuola di Priamo, & moglie
d'Enea
Cassandra seconda figliuola di Priamo
Chaone undecimo figliuolo di Priamo
Cromenone ventesimo terzo figliuolo di Priamo
Cebrione ventesimo quinto figliuolo di Priamo
Capi figliuolo d'Astaraco
Capi Silvio figliuolo d'Athi
Climene quinta figliuola dell'Oceano
Corufice figliuola dell'Oceano
Cimodoce figliuola di Nereo
Cirene figliuola di Peneo
Critone figliuolo di Diocleo
Crinisio sestodecimo figliuolo dell'Oceano
Citheone figliuolo del Tebro.
Cephiso ventessimo figliuolo dell'Oceano
Ciane figliuola di Menandro
Croni figliuola di Saturno
Cerere terza figliuola di Saturn.
Chirone sesto figliuolo di Saturno
Cupido primo figliuolo di Marte
Coronide nimpha, figliuola di Phlegia, &
madre d'Esculapio
Centauri figliuoli d'Isione .
Clitonio figliuolo d'Alcinoo
Cavallo Pegaso figliuolo di Nettuno
Cronio figliuolo di Neleo
Cigno ventesimo terzo figliuolo di Nettuno
Celleno figliuola di Nettuno
Castore figliuolo di Giove
Clitennestra figliuola di Giove
Ceice figliuolo di Lucifero
Crisostemi figliuola d'Agamennone
Corinto figlio d'Horeste
Caco figliuolo di Vulcano
Canace figlia d'Eolo
Clitone figliuolo di Mantione
Catillo figliuolo d'Amphiarao
Catillo figliuolo di Catillo
Corace figliuolo del primo Catillo
Creonte figliuolo di Sisipho.
Creusa figliuola di Creonte
Cephalo figliuolo d'Eolo
Citoro figliuolo d'Atamante
D
DEmogorgnoe
Diana prima & quarta figliuola del primo
Giove
Dionigi ottavo figliuolo del primo Giove
Danao figliuolo di Belo Prisco
Danae figliuola d'Acrisio
Deiphile, figliuola d'Adrasto, & moglie di Thideo
Didone, figliuola di Belo, & moglie di Siceo
Dirce quinta figliuola del Sole
Deucalione figliuol di Prometeo
Dionigi figliuolo di Deucalione
Diana figliuola del secondo Giove
Dardano sestodecimo figliuolo del Secondo Giove
Daphni figliuolo di Paris
Deiphebo terzodecimo figliuolo di Priamo.
Dicomoonte ventesimo primo figliuolo di Priamo.
Doridone ventesimo settimo figliuolo di Priamo.
Dori settima figliuol dell'Oceano
Danae figliuola di Peneo
Dionisio figliuolo del Nilo
Daphni figliuolo del quarto Mercurio
Diocleo figliuolo d'Orsiloco
Deianira, figliuola d'Oeneo, & moglie di
Hercole
Diomede figliuolo di Thideo
Doro primo figliuolo di Nettuno
Demophonte figliuolo di Theseo
Dedalione figliuolo di Lucifero
Driante figliuolo d'Hippolago
Deucalione figliuolo di Minos
Dionisio figlio di Giove
Dimante figliuolo d'Aone
Dauno figliuolo di Pilunno
Dauno nipote del primo Dauno
Diodoro figliuolo d'Hercole
Dicoonte figliuolo d'Hercole
E
Eternità
Ethere primo figliuolo dell'Herebo
Ebuleo settimo figliuolo del primo Giove
Epapho duodecimo figliuolo del primo Giove
Egisto figliuolo di Belo Prisco
Euridice figliuola di Thalaone
Europa quinta figliuola d'Agenore
Edipo figliuolo di Laio
Etheocle figliuolo d'Edipo
Eone figliuole del Sole
Enchelado quinto figliuolo di Titano
Egeone sesto figliuolo di Titano
Egle figliuola d'Hespero
Elethra figliuola d'Atlante
Epimetheo figliuolo di Giapeto
Ellano figliuolo di Deucalione
Eurimone seconda figliuola di Apollo
Esculapio decimo quarto figliuolo di Apollo
Egiale figliuola del secondo Giove
Euphrosine figliuola del secondo Giove
Erigione figliuola d'Icaro.
Erittonio figliuolo di Dardano
Esipio figliuolo di Bucalione
Esaco decimo settimo figliuolo di Priamo
Echemone ventesimo secondo figliuolo di Priamo
Enea figliuolo d'Anchise
Enea Silvio figliuolo di Silvio Posthumo
Eurinome figliuola dell'Oceano
Etra, figliuola dell'Oceano, & moglie
d'Atlante
Egialeo figliuolo di Phoroneo
Ethiope figliuolo di Vulcano
Egina figliuola d'Asopo
Eurimedonte figliuolo di Fauno
enomao secondo figliuolo di Marte
Eurito figliuolo d'Isione
Evanne decima figliuola di Marte
Etholo decimoterzo figliuolo di Marte
Erice figliuolo di Buthe
Euriale figliuola di Phorco
Echefrone figliuolo di Nestore
Ephialte ventesimo sesto figlio di Nettuno
Egeo ventesimosettimo figliuolo di Nettuno
Ecchimene figliuola di Laerte
Evioto figliuolo d'Atreo
Egisto figliuolo di Thieste
Elettra figliuola d'Agamennone
Elettrione figliuolo di Gorgophone
Euristeo figliuolo di Stileno
Eritreo figliuolo di Perseo
Eaco figlio di Giove
Eudoro figliuolo di Mercurio
Evandro figlio di Mercurio
Erittonio figlio di Vulcano
Euriphilo figliuolo di Telepho
Eolo figliuolo di Giove
Eritteo figliuolo d'Esone
Esone figliuolo d'Eritteo
Epitropo figliuolo d'Alchimedonte
F
Fama seconda figliuola della Terra
Fatica terza figliuola dell'Herebo
Frode settima figliuola dell'Herebo
Fame undecima figliuola dell'Herebo.
Figliuole di Danao in generale
Flegeo figliuolo di Thalaone
Furie in generale, figliuole d'Acheronte
Fauno figliuolo di Pico
Fauni figliuoli di Fauno
Figliuole di Pelia
G
Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte
Giorno ventesimo figliuolo dell'Herebo
Giove primo figliuolo dell'Ethere
Giapeto ottavo figliuolo di Titano
Giganti generati dal sangue dei Titani, &
della Terra
Giove secondo, & nono figlio del Cielo
Garamante sesto figliuolo di Apollo
Gratie figlie del secondo Giove
Ganimede figliuolo di Troio
Gorgitione ventesimo quarto figliuolo di Priamo
Giulio Silvio figliuolo d'Ascanio
Giulio Silvio figliuolo di Romolo
Galathea figliuola di Nereo
Glauca quarta figliuola di Saturno
Giunone ottava figliuola di Sat.
Gorge figliuola d'Oeneo
Grisaore ventesimo quarto figliuolo di Nettuno
Giove terzo, & decimo figliuolo di Saturno
Glauco figliuolo di Minos
Gorgophone figliuolo di Perseo
Giasone figliuolo d'Esone
Glauco figlio di Sissipho
Glauco figlio d'Hippoloco
H
Herebo nono figliuolo di Demogorgone
Hercole primo, & nono figliuolo del primo
Giove
Hipermestra figliuola di Danao
Honore figliuolo della vittoria
Hermaphrodito figliuolo di Mercurio; & di
Venere
Hiperione primo figliuolo di Titano
Hore figliuole del Sole, & di Croni
Hespero figliuolo di Giapeto
Hetetula figliuola di Hespero
Hespertula figliuola di Hespero
Hia figliuolo di Atlante
Hiadi sette figliuole di Atlante
Himeneo figliuolo di Baccho
Hissiphile figliuola di Thoante
Hiptima figliuola d'Icaro
Hercole decimoterzo figliuolo del secondo Giove
Hesiona figliuola di Laumedonte
Hettore figliuolo di Priamo
Heleno decimo figliuolo di Priamo
Hipotoo figliuolo di Priamo
Hippodamia figliuola di Anchise
Hercole figliuolo del Nilo
Hebe figliuola di Giunone
Hippodamia figliuola d'Enomao
Hermiona undecima figliuola di Marte
Hiperino duodecimo figliuolo di Marte
Hirceo ventesimo figliuolo di Nettuno
Hippolito figliuolo di Theseo
Hippomene figliuolo di Megarea
Helena moglie di Menelao
Hippolago figliuolo d'Orione
Hidumeneo figliuolo di Deucalione
Hermiona figliuola di Menelao
Hiphigenia figlia d'Agamennone
Hiphianassa figliuola d'Agam.
Horeste figliuolo d'Agamennone
Horeste figliuolo d'Horeste
Hiphicleo figlio d'Amphitrione
Hercole figliuolo di Giove
Hitoneo figliuolo d'Hercole
Hilo figliuolo d'Hercole
Hippoloco figlio di Bellorophonte
Hespero figlio di Cephalo
Helle figliuolo d'Atamante
I
Invidia quarta figliuola dell'Herebo
Inganno sesto figliuolo dell'Herebo
Iasio figliuolo d'Abante
Ino figliuola di Cadmo
Ismene figliuola d'Edipo
Isis figliuola di Prometeo
Iolao figliuolo d'Aristeo
Ithilo figliuolo di Zeto
Icaro figliuolo d'Oebalo
Ionio figliuolo d'Arcade
Ilione figliuolo di Troio
Ioetaone figliuolo di Laumedonte
Iliona terza figliuola di Priamo
Ideo figliuolo di Paris
Ilioneo figliuolo di Phorbante
Iphate trentesimo quinto figliuolo di Priamo
Iso figliuolo di Priamo
Ilia figliuola di Numitore
Idothea figliuola di Proteo
Inaco duodecimo figliuolo dell'Oceano
Ione figliuola d'Inaco
Ipetia figlia del Sole
Ipseo figliuolo del Fiume Asopo
Ithi figliuolo di Tereo
Ialmeno figliuolo di Marte
Isione figliuolo di Phlegia
Iarba figliuolo di Giove
Iolao figliuolo d'Hiphicleo
Iuturna figliuola di Dauno
Isandro figliuolo di Bellorophonte
L
Litigio primo figliuolo di Demogorgone
Lachesis figliuola di Demogorgone
Libero Primo undecimo figliuolo del primo Giove
Libia figliuola d'Epapho
Linceo figliuolo d'Egisto
Lampscio figliuolo di Cilice
Laddacio settimo figliuolo d'Agenore
Laio re di Thebe, figliuolo di Laddacio
Lethe figliuolo di Phlegetonte
Luna figliuola d'Hiperione
Latona figliuola di Ceo
Licaone figliuolo di Titano
Lapitha prima figliuola di Apollo
Lino quarto figliuolo di Apollo
Lacedemone undecimo figliuolo del secondo Giove
Laumedonte figliuolo d'Ilione
Lampo figliuolo di Laumedonte
Laodicea quarta figliuola di Priamo
Licaste quinta figliuola di Priamo
Licaone figliuolo di Priamo
Laocoonte trentesimo terzo figliuolo di Priamo
Latino Silvio figliuolo d'Enea Silvio
Lauso figliuolo di Numitore
Ligo figliuolo di Phetonte
Lampetusa figlia del Sole
Latino figliuolo di Fauno
Lavinia figliuola di Latino
Laodamante figliuolo d'Alcinoo
Lucifero figliuolo di Giove
Lichione figliuola di Dedalione
Ligurgo figliuolo di Driante
Laerte figliuolo d'Acrisio
Lisicide figliuola di Pelope
Laodicea figlia d'Agamennone
Leucotoe figliuola d'Orcamo
Lari figliuolo di Mercurio
Lido, & Lario figliuoli d'Hercole
Lario figliuolo di Lido
Learco figliuolo di Atamante
Laodomia figlia di Bellorophonte
M
Miseria decima figliuola dell'Herebo.
Morbo terzo decimo figliuolo dell'Herebo
Morte decima ottava figliuola dell'Herebo
Minerva prima figliuola del primo Giove
Mercurio primo figliuolo del primo Giove
Mercurio secondo figliuolo di Libero
Merane figliuola di Prito
Mirra figliuola di Cinara
Megera figliuola d'Acheronte
Maesta figliuola dell'Honore
Mercurio quinto figliuolo del Cielo
Mileto sesto figliuolo del Sole
Medea figliuola d'Oeta
Maia figliuola d'Atlante
Merope figliuola d'Atlante
Minerva figliuola di Pallene
Mopso terzo figliuolo di Apollo
Macaone figliuolo d'Esculapio
Minerva quartadecima figliuola del secondo Giove
Mennone figliuola di Titone
Medisicasti figliuola di Priamo
Mistore trentesimoquarto figliuolo di Priamo
Melantone figliuola di Proteo
Minerva figliuola del Nilo
Mercurio quarto figliuolo del Nilo
Mercurio quinto figliuolo del quarto Mercurio
Meandro ventesimoprimo figlio dell'Oceano
Mnesteo figliuolo di Sperchio
Marte figliuolo di Giunone
Mela figliuola di Atteone
Meleagro figliuolo d'Oeneo
Menalippo figliuolo d'Oeneo
Medusa figliuola di Phorco
Melione figliuolo di Nettuno
Mesappo sestodecimo figliuolo di Nettuno
Medo figliuolo d'Egeo
Megareo figliuolo di Anchesto
Muse figliuole di Giove
Mena figliuola di Giove
Mirmidone figliuolo di Giove
Minos figliuolo di Giove
Melampo figliuolo d'Atreo
Megapento figliuolo di Menelao
Molosso figliuolo di Pirrho
Mercurio figliuolo di Giove
Mirtilo figliuolo di Mercurio
Macareo figliuolo d'Eolo
Miseno figliuolo d'Eolo
Melampo figliuolo d'Amittaone
Manthione figliuolo di Biante
Melicerte figliuolo d'Atamante
N
NOTTE prima figliuola della Terra
Notho figliuolo d'Astreo
Nomio undecimo figliuolo di Apollo
Nicostrata figliuola d'Ionio
Numitore figliuolo di Proca
Nereo decimo figliuolo dell'Oceano
Ninfe in generale
Niobe figliuola di Phoroneo
Nilo quartodecimo figliuolo dell'Oceano
Norace figliuolo del quinto Mercurio
Narciso figliuolo di Cephiso
Nesso figliuolo d'Isione
Nettuno nono figliuolo di Saturno
Nausithoo duodecimo figliuolo di Nettuno
Nausithea figliuola d'Alcinoo
Nitteo figliuolo di Nettuno
Nittimene figliuola di Nitteo
Neleo ventesimosecondo figliuolo di Nettuno
Nestore figliuolo di Neleo
Nauplio figliuolo di Nettuno
Niobe figliuola di Tantalo.
O
OSTINATIONE figliuola dell'Herebo
Opi prima figliuola della Terra
Oeta figliuolo del Sole
Orpheo nono figliuolo di Apollo
Ocbalo figliuolo d'Argolo
Oceano figliuolo del Cielo, & di Vesta
Orfiloco figliuolo del fiume Alpheo
Ochiroe figliuola di Chirone
Oeneo figliuolo di Parthaone
Otto ventesimoquinto figliuolo di Nettuno
Onchesto figliuolo di Nettuno
Occipite figliuola di Nettuno
Orione figliuolo di Giove
Orsiloco figliuolo d'Hidumea
Orcamo figliuolo d'Achemenide
Orithia figliuola d'Erittonio
Osea, Creontiade, Creomaco, & Diocoonte
figliolo d'Hercole
Oicleo figliuolo d'Antiphite
P
PANE secondo figliuolo di Demogorgone
Polo sesto figliuolo di Demogorgone
Phitone settimo figliuolo di Demogorgone
Povertà nona figliuola dell'Herebo
Pallidezza decima quinta figliuola dell'Herebo
Proserpina prima, decima figliuola del primo
Giove
Prito figliuolo d'Abante
Polidoro secondo figliuolo d'Agenore
Pigmaleone figliuolo di Cilice
Papho figliuolo di Pigmalione
Pirode figliuolo di Cilice
Phenice quarto figliu. d'Agenore
Philistene figliuolo di Phenice
Pigmaleone figliuolo di Belo
Polinice figliuolo d'Edippo
Philegetonte figliuolo di Cocito
Phetusa terza figliuola del Sole
Pasiphe ottava figliuola del Sole
Pirrha figliuola d'Epimetheo
Prometheo figliuolo di Giapeto
Pandora huomo da Prometheo formato
Psitaco figliuolo di Deucalione
Phenatrate figliuolo di Deucalione
Pallene undecimo figliuolo di Titano
Purpureo figliuolo di Titano
Philistene quinto figliuolo di Apollo
Philemone ottavo figliuolo di Apollo
Psiche quintadecima figliuola di Apollo
Pasithea figliu. del secondo Giove
Penelope figliuola d'Icaro
Piadoso figliuolo di Bucolione
Priamo figliuolo di Laumedonte
Polissena settima figliuola di Priamo
Paris ottavo figliuolo di Priamo
Polidoro quartodecimo figlio di Priamo
Polidoro quintodecimo figliuolo di Priamo
Phorbante ventesimo sesto figliuolo di Priamo
Pammone ventesim ottavo figliuolo di Priamo
Polite trentesimo ottavo figliuolo di Priamo
Priamo figliuolo di Polite
Proca Silvio figliuolo d'Aventino
Persa figliuola dell'Oceano
Pleione quarta figliuola dell'Oceano
Proteo ottavo figliuolo dell'Oceano
Phoroneo figliuolo d'Inaco
Phogo figliuolo del Fiume Inaco
Peneo figliuolo dell'Oceano
Phetonte figliuolo del Sole
Phetusa figliuola del Sole
Pelagonio figliuolo del Sole
Plutone figlio di Saturno
Pico settimo figliuolo di Saturno
Perivio figliuola d'Erimedonte
Preneste figliuolo del Re Latino
Parthaone sesto figliuolo di Marte
Plesippo figliuolo di Thestio
Partenopeo figliuolo di Meleagro
Phelegia ottavo figliuolo di Marte
Perithoo figlio d'Isione
Polipite figlio di Perithoo
Phorco terzo figliuolo di Nettuno
Poliphemo settimo figliuolo di Nettuno
Pirammone undecimo figliuolo di Nettuno
Pelia ventesimoprimo figliuolo di Nettuno
Pisistrato figliuolo di Nestore
Perseo figliuolo di Nestore
Policaste figliuola di Nestore
Periclimeone figliuolo di Neleo
Piro figliuola di Neleo
Pelasgo figliuolo di Nettuno
Palamede figliuolo di Nauplio
Proserpina figliuola di Giove
Polluce figliuolo di Giove
Palisci figliuoli di Giove
Phillide figliuola di Ligurgo
Phedra figliuola di Minos
Pelope figliuolo di Tantalo
Phistene figliuolo d'Atreo
Pelopia figliuola di Thieste
Phistene figliuolo di Pelope
Perseo figliuolo di Giove
Perse figliuolo di Perseo
Phoco figliuolo d'Eaco
Peleo figliuolo d'Eaco
Polidori figliuola di Peleo
Pirro figliuolo d'Achille
Peripeleo figliuolo d'Achille
Polidette figliuolo di Molosso
Pilunno figliuolo di Giove
Pallante figliuolo d'Evandro
Pane figliuolo di Mercurio
Pandione figliuolo d'Erittonio
Progne figliuola di Pandione
Philomena figliuola di Pandione
Phidippo, & Antippo figliuoli di Thessalo
Philomelo figliuolo di Giasone
Pluto figliuolo di Philomelo
Pateante figliuolo di Plutone
Polimila figliuolo d'Esone
Peritha figliuolo di Priteo
Poliphide figliuolo di Mantione
Podacre figliuolo d'Iphicleo
Phriso, & Helle figli d'Atamante
Q
QVERELA duodecima figliuola dell'Herebo
Quattordici figliuoli d'Amphione
R
RVGIADA figliuola della Luna
Runco duodecimo figliuolo di Titano
Rhoma figliuola d'Ascanio
Romolo Silvio figliuolo d'Agrippa
Remo decimoquarto figliuolo di Marte
Romolo decimo quinto figliuolo di Marte
Risinore figliuolo di Nausitoo
Rhodamanto figliuolo di Giove
S
SONNO decimo settimo figliuolo dell'Herebo
Sole primo, terzo figliuolo del primo Giove
Sinone primo figliuolo d'Autteolio
Sissimo secondo figliuolo del primo Sinone
Sinone figliuolo di Sissimo
Sicheo figliuolo di Philistene
Semele figliuola di Cadmo
Scita figliuolo del primo Giove
Stigia sesta figliuola d'Acheronte
Seconda Venere figliuola del Cielo
Sole figliuolo d'Hiperione
Sterope figliuola d'Atlante
Subsolano figliuolo d'Astreo
Settentrione figliuolo d'Astreo
Silvio Posthumo figliuolo d'Enea
Sirene figliuole d'Acheloo
Sole figliuolo di Vulcano
Sperchio figliuolo ventesimo dell'Oceano
Sole ventesimoquarto figliuolo dell'Oceano
Saturno undecimo figlio del Cielo
Senta Fauna figliuola di Pico
Scilla figliuola di Phorco
Stennione figliuola di Phorco
Sterope decimo figliuolo di Net.
Stiato figliuolo di Nestore
Sicano figliuolo di Nettuno
Siculo figliuolo di Nettuno
Sarpedone figliuolo di Giove
Steleno figliuolo di Perseo
Sardo figliuolo d'Hercole.
Sophone figliuolo di Diodoro
Silmoneo figliuolo d'Eolo
Sissipho figliuolo d'Eolo.
T
TERRA ottava figliuola di
Demogorgone
Tartaro terzo figliuolo della Terra
Tagete quarto figliuolo della Terra
Timore quinto figliuolo dell'Herebo
Tenebra figliuola dell'Herebo
Tritopatreo sesto figliuolo del primo Giove
Thalaone figliuolo di Iasio
Thalgeta prima figliuola d'Agenore
Thessando figliuolo di Polinice
Theti seconda figliuola del Cielo
Tesiphone seconda figliuola d'Acheronte
Tosio nono figliuolo del Cielo
Titano ottavo figliuolo del Cielo
Tiphone overo Tiplheo quarto figliuolo di Titano
Taigeta figliuola d'Atlante
Titio terzo figliuolo di Giove
Thioneo figliuolo di Baccho
Thoante figliuolo di Baccho
Tindaro figliuolo d'Oebalo
Tantalo duodecimo figliuolo del secondo Giove
Troio figliuolo d'Erittonio
Titone figliuolo di Laumedonte
Troilo figliuolo di Priamo
Tevero ventesimo figliuolo di Priamo
Testorio figliuolo di Priamo
Timoete trentesimo settimo figliuolo di Priamo
Tiberino Silvio figliuolo di Carpento
Tritone sesto figliuolo dell'Oceano
Theti minore figliuola di Nereo
Tebro settimo figliuolo dell'Oceano
Thereo terzo figliuolo di Marte
Thestio figliuolo di Parthaone
Thosio figliuolo di Testio
Thideo figliuolo di Oeneo
Thoesa figliuola di Phorco
Tara sesto figliuolo di Nettuno
Tilemo ottavo figliuolo di Nettuno
Thrasimede figliuolo di Nestore
Theseo figliuolo d'Egeo
Thelemaco figliuolo d'Vlisse
Tantalo figliuolo di Giove
Thieste figliuolo di Pelope
Tantalo figliuolo d'Atreo
Thisamene figliuolo d'Horeste
Thelamone figliuolo d'Eaco
Tevero figliuolo di Telamone
Turno figliuolo di Dauno
Tullio Servilio figliuolo di Vulcano
Tullie due figlie di Tullio Servilio
Thessalo figliuolo d'Hercole
Thipolemo figliuolo d'Hercole
Thelemo figliuolo d'Hercole
Thoante, & Euneo figliuoli d'Esone.
V
Vecchiezza decimaquarta figliuola dell'Herebo
Venere maggiore, & sesta figliuola del Cielo
Venti figliuoli d'Astreo
Vulturno figliuolo d'Astreo
Vulcano figliuolo del Nilo
Vesta seconda figlia di Saturno
Voluttà figliuola di Cupido
Virbio figliuolo d'Hippolito
Vlisse figliuolo di Laerte, che generò Telemaco
Vulcano figliuoloo di Giove
X
XANTO figliuolo di Giove
Z
ZETTO figliuolo di Borea
Zephiro figliuolo d'Astreo
Zebo settimo figliuolo di Marte
Il
Fine della Prima Tavola.
ORDINE di tutti i presenti libri del Boccaccio
Chi fosse il primo tenuto per Iddio dai Gentili
Openioni di diversi Filosofi d'intorno Iddio
Elettione tra tutti i dei del Dio prencipale de'
Gentili
Dichiaratione delle cose attribuite a
Demogorgone
Descrittione della Eternità
Figuratione dell'anno secondo gli antichi
Nascimento del Letigio
Come si contengono diversi misteri sotto una
descrittione di parole
Che cosa sia allegoria, & la sua derivatione
Divisione del mondo, & degli Elementi
A che fine sia stata prodotta la Natura
Origine della Musica, & dell'armonia
Spositione della favola di Pane, & di
Siringa
Descrittione del corpo universale della Natura
Figuratione del Sole
Quali siano le Parche
Vffici delle Parche, & interpretationi dei
nomi loro
Differenza del Fato, & della Fortuna
Origine, & potenza del Fato
Differenza delle diversità dei nomi attribuiti
alla terra
Espositione di tutta la favola della notte
I nomi de' sette tempi della notte con la
dichiaratione
La cagione, perché nascesse la Fama
Descrittione della Fama, & potenza di quella
Quale fosse il loco dove gli antichi tenevano i
dannati essere tormentati
Il senso historio, & morale della favola di
Anteo
La diversa qualità dei monstri che si nascondeno
nell'Herebo
Dichiaratione dei tormenti infernali
Che cosa sia Amore secondo l'opinione antica
Quanti siano gli amori secondo Platone
Di quante cose sia cagione Amore
Che cosa sia la gratia
Forma dell'Invidia
Diffinittone del timore
Favola dell'Inganno, & la sua dichiaratione
Forma della Frode secondo Dante
Quale sia la vera povertà
Descrittione della Fame, & della sua
habitatione
Quali siano le forze della vecchiaia
La forma, & l'habitatione del Sonno
poeticamente descritta
Quante siano le spetie dei sogni, & i nomi
loro
Da che nasca la diversità dei sogni
Dichiaratione dei ministri dei segni, et varii
essempi
Che cosa sia la morte secondo Aristotele
Quali siano le attioni della Morte
Varietà dei giorni secondo diverse openioni
antiche
In quanti termini sia partito il giorno
Divisione delle settimane, & dell'anno
Rivolutione della sphera
Quale sia il dì naturale, & l'artificiale
NEL SECONDO.
CHI fosse il primo che mostrasse il vivere
politico agli Atheniesi
Onde nascesse il nome di Giove
Dichiaratione del pianeta di Giove, & le sue
operationi
Quale sia il vero Giove dagli antichi non
conosciuto
Figuratione di Minerva, & dichiaratione di
quella
Origine della vera Minerva, cioè della speranza
Chi ritrovasse il filare la lana, il tessere,
& altri essercitii
Come si nomasse la Grecia al tempo di Abraam
Chi fosse edificator di Memphi
Quale sia la inchinatione del pianeta di
Mercurio
Dichiaratione di Mercurio secondo la figuratione
Poetica
Quale sia il Tripode
La vera historia di Mercurio
Quale fosse quel Sinone che tradì Troia
Originine di quella parte dell'Africa che si
dice Libia
Chi fosse il primo che toccasse il mare
Il primo inventore de' pozzi in Grecia
Virtù d'una fontana in Arcadia
Onde la Cilicia pigliasse il nome
Nome dell'Isola di Papho
Espositione della favola di Mirrha
Dichiaratione dei tempi, & dei cieli
Chi primo mostrasse le lettere ai Phenici
Espositione della favola di Europa
Il primo inventore de' caratteri delle lettere
Varietà di molti tempi d'intorno il tempo di
Cadmo
Historia di Edippo.
NEL TERZO.
RAGIONAMENTO delle Eusine Dee dell'Autore
Gli ornamenti attribuiti dagli antichi alla Dea
Opi con la spositione di quelli
Con quanti nomi fosse chiamata Opi, & il suo
significato
Che cosa sia la gran Theti
Favola della prima Cerere, & narratione di
quella
Quello che significhi Acheronte
Openione di Dante d'intorno Acheronte
Diverse openione d'altri autori
Trattato generale sopra le Furie
Come si dipinga la Vittoria
La riverenza che portavano i Romani all'honore
Significato della trasmutatione d'Ascalapho
Di quante sorti sia la tristezza
Il loco dove Dante descrive il fiume Lethe
Descrittione di Mercurio, & potenza di
quello
Interpretatione del nome di Mercurio
Quello che dinotino le cose attribuite a
Mercurio
Favola di Salmace, & dell'Hermaphrodito
Che cosa sia Hermaphrodito
Che cosa sia la matrice della donna, &
quanti buchi sia in quella
La via per la quale si generano i maschi et le
femine
Significato di tutte le cose attribuiti a Venere
Proprietà del pianeta di Venere
Creatione dei corpi sopracelesti
Origine delle tre gratie
Quale sia il legame di Venere chiamato Ceston
Quali siano le cose attribuite a Marte
Proprietà del Montone, & di Scorpione, segni
celesti
Perché sia detto Venere perseguitare la progenie
del Sole
La cagione per la quale le colombe siano
attribuite a Venere
Proprietà del Mirto, & perché sia ascritto a
Venere
Interpretatione dei nomi di Venere
Origine della seconda Venere nata nel mare
La ragione perché si dica Venere nata della
schiuma del mare
Spositione del nome di Saturno secondo Fulgentio
Perché si dica Venere haver habitato in Cipro.
NEL QVARTO.
DICHIARATIONE generale sopra Titano Gigante
Particolare narratione sopra il pianeta del Sole
Perché il Sole sia detto figliuolo d'Hiperione
Espositione dei quattro cavalli del Sole
Nomi dei cavalli del Sole
Con quanti nomi dai Filosofi, & da tutti gli
scrittori sia chiamato il Sole, con la dichiaratione di quelli
Perché il Sole sia detto core del cielo
Quanti anni, secondo l'openione antica, facciano
un secolo
Favola d'Vlisse, & delle favole del Sole.
Favola di Dirce, & espositione di quella
Edificatione di Mitilene, città di Lesbo
Spositione della favola di Pasiphe tratta
dall'anima nostra
Perché il Minotauro fosse figurato mezzo huomo,
& toro
Narratione di tutta la favola di Medea
Dichiaratione della favola di Circe
Perché sia detto nel monte di Circe sentirsi
fiere
Chi sia Cariddi, & Scilla
Il modo che gli Antichi dipingevano la Luna
Proprietadi della Luna
Quale fosse l'Amor d'Endimione, & della Luna
Chi fosse il primo che ritrovasse il corso della
Luna
I nomi della Luna, & dichiaratione di quelli
Perché Briareo fosse detto haver cento mani
Perché l'Isola d'Ortigia fosse chiamata Delo
Dichiaratione della favola di Latona
Chi fosse il serpente chiamato Phitone
La causa, per la quale fosse detto Apollo dare
oracoli
Narratione della favola dei villani cangiati in
rane
Quali siano i monti posti sopra il Gigante
Tipheo
Descrittione d'una grandissima spelonca in
Sicilia
Significato del nome di Tipheo
Chi fosse l'edificatore di Papho
Quale sia la Chimera, & descrittione di
quella
Perché l'Aurora sia detta figliuola della Terra
Perché tutto il paese d'Oriente fosse detto
Hesperia
Quale fosse il giardino delle Hesperidi
Favola di Atlante, & di Perseo, con la sua
dichiaratione
Chi fosse Atlante secondo Santo Agostino
La ragione per la quale le Hiadi furono locate
nel numero delle Stelle, & per qual cagione siano dette generare la pioggia
Descrittione delle Pleiadi secondo gli
Astrologhi
Il costume che tenevano gli Antichi in
sacrificare a Maia
Perché fosse detto Epimetheo essersi cangiato in
Simia
Favola di Prometheo, & di Minerva
Il vero senso della favola di Prometheo figurato
per Iddio
Distintione dell'huomo naturale, & del
civile
Come avenisse la dannatione dell'huom
Divisione del primo, & del secondo Prometeo
Perché si dicesse Prometeo haver rubato dalla
ruota del Sole il foco
La cagione per la quale fosse detto Mercurio
haver legato Prometeo nel Caucaso
Chi primo fosse l'inventore di formare imagini
di fango
Di quanto danno sia all'huomo il conversare con
la donna
Chi primo mostrasse agli Egittii i caratteri
delle lettere
Narratione del Diluvio, di Deucalione et Pirra
Per qual ragione sia detto Deucalione et Pirra
haver ristorato la generatione humana dopo il diluvio
Da cui fosse nomata Ellada quasi tutta la Grecia
rivolta verso il mare Egeo
Espositione della favola d'Astrea
Narratione della favola de' venti
Partitione di tutti i venti al loco suo
Quanti siano i venti, & i nomi loro
Le parti nelle quali ciascuno vento da per se
soffia
Ethimologia del nome di ciascun vento
Proprietà del vento chiamato Subsolano
Natura del vento Notho, & suoi congiunti
Effetti prodotti dal vento Settentrione, et suoi
congiunti
Favola del vento Aquilone, & proprietà di
quello
Favola di Hiacinto, & Apollo
Chi fossero quelli che cacciarono le Harpie
Narratione delle Arpie, & interpretatione di
quelle
Sententia di Seneca Philosopho
Interpretatione degli Argonauti
La vera historia di Phineo, & dell'Harpie
Natura del vento Zephiro, & espositione dei
suoi nomi
Origine dei cavalli d'Achille
Historia di Flora meretrice, & institutione
dei giuochi suoi
Favola di Licaone, & del convito da lui
fatto a Giove
Perché fosse detto Licaone essere cangiato in
Lupo
Diversi nomi attribuiti a Calisto, & favola
di quella
Origine di tutti i Giganti in generale
Vera narratione d'un Gigante trovato a' nostri
tempi
Perché sia detto i Giganti essere confinati
nell'Inferno
La ragione per la cui fosse detto Giove essersi
cangiato in montone
Proprietà attribuita al corvo
Espositione della tramutatione di molti Dei
NEL QVINTO.
DISCORSO dell'Autore sopra molte antichità
Nobiltà della città d'Athene
Figuratione del monte Parnaso, di Thebe, &
d'altri infiniti luoghi
Quale fosse la grandezza del secondo Giove
Ornamenti attribuiti a Diana, & significato
di quelli
Perché, & quanto Diana sia chiamata Luna
Favola di Apollo, & origine di lui
Quale fosse quello Apollo che rendeva gli
oracoli in Delpho
Variationi di molti scrittori d'intorno Apollo
Perché ad Apollo fosse attribuito l'inventione
della medicina
La ragione per la cui ad Apollo fosse sacrato il
Lauro, & il corvo
Proprietà, & virtù del Lauro nei sogni
Che la potenza del Sole è di tre qualità
Espositione delle insegne attribuite ad Apollo
Origine dei popoli Lapithi di Thessaglia
Edificatione della città Phaseli nei confini di
Pamphilia
Nascimento di Lino Poeta
Novella dilettevole d'un Cigno
Perché Orpheo sia detto figliuolo di Apollo,
& Calliope
La cagione perché Orpheo fosse detto movere i
monti, etc.
Interpretatione di Euridice
Chi primo trovasse i sacrifici di Baccho
Chi si debba intendere il serpente qual voleva
divorare il capo d'Orpheo
Di quale famiglia fosse Orpheo
Oracolo nella edificatione della città Cirene
Chi primo ritrovasse l'uso dell'api, del mele,
del latte, delle olive, & dell'olio
Chi primo desse leggi agli Arcadi
Espositione della favola d'Esculapio, &
Hippolito
Perché la famiglia dei Cesari osservasse i
sacrifici di Apollo
Come gli Esculapii sono stati tre
Inventione dell'uso di molte cose
Quanto tempo la medicina fosse interdetta, &
nascosta
Favola di Psiche, & di Cupido
Interpretatione del nome di Psiche
Attioni dell'anima nostra di tempo in tempo
Quali siano le sorelle dell'anima nostra
Chi primo in Babilonia mostrasse la medicina
Il senso historico di Titio
Il modo de' sacrifici che si usavano a Baccho
Come Baccho nacque nella città di Nisa
Il senso phisico della favola di Baccho
Perché Sileno sia detto allevo di Baccho
Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a
Baccho
Come i Poeti furono già soliti essere coronati
d'Edera
Dichiaratione di tutti i nomi attribuiti a
Baccho
Quale era il simulacro antico delle città libere
Perché Himeneo fosse chiamato Dio delle nozze
La ragione per la quale si dica Giove essere
cangiato in Toro
Come Amphione col suono della lira edificasse
Thebe
I nomi dei quattordici figliuoli d'Amphione
Attioni oprate verso noi dalle tre Gratie
Interpretationi dei nomi delle Gratie
Perché il cane fosse assunto in Cielo
Principio del segno celeste chiamato Vergine
La vera historia di Penelope
Perché Minerva si dipinga armata
Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a
Minerva
Contentione tra Minerva, & Nettuno
nell'imporre il nome ad Athene
Perché Calisto fosse chiamata Orsa, & chi
primo donasse il nome agli Arcadi detti prima Pelasgi
Origine del nome del mare Ionio
Chi nell'Italia ritrovasse i caratteri delle
lettere.
NEL SESTO.
DISCORSO sopra la degnità di Roma
Edificatione di Corneto
Da cui il paese di Dardania prendesse il nome di
Troia
Come Ganimede fu cangiato nel segno di Aquario
Da cui la città di Troia pigliasse il nome
d'Ilione
Conventioni di Laumedonte con Apollo &
Nettuno in edificar Troia
Prima destruttione d'Ilione fatta per Hercole
Perche Titone fosse detto esser rapito
dall'Aurora
Conversione di Titone in Cicada
Meraviglioso caso d'intorno l'essequie di
Mennone, & origine degli uccelli detti Mennoni
Discorso sopra la vita di Priamo
Perché a Cassandra fosse tolto la credenze de'
suoi pronostichi
Sogno d'Hecuba nella natività di Paris
Giudicio di Pari in Ida, & promissione delle
tre Dee
Openioni diverse del rapir d'Helena da Paris
Divisione della vita mortale in tre parti
Breve raccolta di tutti i fatti d'Hettore
Come i figliuoli d'Hettore ricuperararono Troia
Origine dei Re di Francia da i figliuoli
d'Hettore
Espositione de' virgulti ne' quali fu cangiato
Polidoro
Favola dell'Hesperide, & d'Esaco
Perché fosse detto Esaco essersi cangiato in
Smergo
Favola di Venere, & Anchise nella
generatione d'Enea
Diverse openioni di vari scrittori d'intorno la
vita d'Anchise
La spositione per la quale fosse detto Anchise
essere stato da Venere accecato
Lodi di Francesco Petrarca sopra la sua Africa
Raccolta dei fatti, & degli errori di Enea
Varie openioni d'intorno la morte di Enea
Il vero senso d'intorno tutte le parti favolose
d'Enea
Derivatione di tutti i nomi co' quali fu
chiamato Ascanio
Edificatione di Alba per Ascanio
Principio della famiglia Giulia
Openione d'Eraclide sopra il nome di Roma
Da chi la Brettagna, & la Cornubia
prendessero nomi
Come il Tevere lasciò il nome d'Albula, & fu
detto Thebro
Da chi derivasse la famiglia Giulia, & i
Cesari
NEL SETTIMO.
Openione dei Theologhi d'intorno l'Oceano
Perché l'Oceano sia detto padre delle cose
Diverse openioni di quelli che credettero
l'acque essere il principio delle cose
Dichiaratione degli ornamenti attribuiti
all'Oceano
Interpretatione del nome d'Eurimone figliuola
dell'Oceano
Perché Pleione sia detta moglie d'Atlante
Chi sia Tritone, & l'ufficio suo
Il modo che bisognava tenere per ricevere auguri
da Proteo
Come si faceva l'indovinatione con l'acqua
Quale sia l'arte dell'Hidromantia
Humanità, & piacevolezza d'un Delphino
Divisione di tutti i nomi, & proprietà delle
Nimphe
Quali siano le Nimphe dei fiumi, dei fonti, dei
boschi, degli alberi, dei monti, dei prati, dei fiori, & delle selve
Oracolo del nascimento d'Achille
Espositione del nome di Theti
Transformatione di Aretusa in fonte
Proprietà d'alcuni fonti di Sicilia
Openione dei Phisici del Sole d'intorno
l'attioni dell'acque
Perché sia stato detto Hercole haver levato un
corno ad Aheloco
Descrittione delle Sirene
Dichiaratione dei nomi, & vera narratione
delle Sirene
Come si dipingano le Sirene
Il senso naturale, & l'historico della
favola di Giove, & Io
Variatione di molti scrittori d'intorno il tempo
d'Inaco
Chi trovasse l'uso del lino, delle sementi et
d'altre cose necessarie
Perché il loco della ragion civile sia detta
Foro
Chi si debba intendere Daphne amata da Apollo
Costume antico nel coronare i vincitori
Perché si prendesse la corona dell'Alloro in
incoronare altrui
Virtù dell'alloro, & proprietà di quello
Trattato del Nilo
Chi donasse ai Phrigij i caratteri delle lettere
Chi fosse Hermete Trimegisto
Proprietadi attribuite a Mercurio, &
ornamenti a lui ascritti
Onde la Sardigna havesse il nome
Origine del nome dato all'Ethiopia
Il vero senso della favola di Phetonte
Quale fosse l'incendio che avenne nei tempi di
Phetonte
Discorso sopra i movimenti, & giri della
sphera celeste
Onde i Liguri populi havessero nome
Historia d'Hesiona, & Hippote Troiano
Openione sopra l'edificatione di Mantoa
Perché l'acque del fiume Cephiso siano dette
fatidiche
Espositione di Echo, & di Narciso
NELL'OTTAVO.
QVANTI siano stati i Labirinti.
Variatione di molti scrittori d'intorno Saturno
Il senso historico, & il naturale di Saturno
Perché si sia detto Saturno divorare i fanciulli
Quale sia la complessione di Saturno pianeta
Inclinatione dell'huomo nato sotto Saturno
Ornamenti di Saturno, & dichiaratione di
quelli
Perché i secoli di Saturno fossero detti aurei
Onde i libri prendessero il nome di Croniche
Descrittione dell'anno serpentario secondo gli
antichi
Narratione dell'anno doppio, cioè gigante, &
magno
Variatione antica dei mesi dell'anno
Riformatione di Gaio Giulio Cesare dell'anno
solare
Quale sia l'anno grande secondo Aristotele
Quanti migliaia d'anni facciano l'anno maggiore
Narratione della dea Vesta
Fatiche durate da Cerere in cercare la figliuola
Proserpina
Favola di Trittolemo, & dono fattogli da
Cerere
Come si comprenda Cerere in più modi
Interpretatione di Giove, & Cerere
Il senso delle tre grana di melegrane gustate da
Proserpina
Figuratione delle biade che nascono
Descrittione della casa di Plutone
Ornamenti attribuiti a Plutone
Perché Plutone sia detto Dio dell'Inferno
Per qual causa Chirone si depingesse nella
forma, che si fa
Chi trovasse la medicina agli huomini, & a'
giumenti
Favola, & Historia di Circe, & Pico
Natura dell'uccello Pico
Narrattione di tutti i dei Silvani
Proprietà delle acque del fiume Aci
Origine, & discendenza del Re Latino
Edificatione di Preneste
NEL NONO.
DISCORSO dell'Autore di molte parti del mondo
Compassione dell'Autore d'intorno alle cose
antiche
Dichiaratione di tutti gli ornamenti attribuiti
a Giunone
Con quanti nomi Giunone sia chiamata, & la
spositione di quelli
Per quale degli Elementi Giunone sia compresa
Perché Iris, cioè l'arco celeste, sia attribuito
a Giunone
Natura del pavone, & favola di quello
Favola di Hebe assunta in Cielo
Quanti segni del Zodiaco siano attribuiti a
Giove
Perché Hebe fosse detta dea della gioventù
Descrittione del paese di Marte secondo Statio
Dichiaratione degli ornamenti attribuiti a Marte
Trattato del pianeta di Giove, & di quello
di Marte
Quanto sia pestifero il menstruo della donna
Perché Marte sia detto figlio di Giunone
Quali siano i ministri attribuiti a Marte
Descrittione di Cupido secondo Seneca Tragico
Varie openioni di diversi auttori d'intorno Cupido
Openione degli Astrologhi d'intorno la natività
dell'huomo
Quale sia il punto che ci inclini alla lussuria
Espositione degli ornamenti attribuiti a Cupido
Favola di Pelope, & Hippodamia
Chi primo acquistasse, & possedesse la
Calidonia
Quale sia il tizzone compreso nella vita di
Meleagro
Favola di Thideo, & Polinice, con la
dichiaratione di quella
Breve raccolta della vita, & fatti di
Diomede
Significato della pena attribuita a Phlegia
nell'Inferno
La vera historia d'Isione
Differenza tra il nome di Re, & Tiranno
Per qual cagione Isione fosse cacciato dal
Cielo, & confinato nel centro dell'Inferno, & ascrittoli tali tormenti
Favola de' Centauri
Dignità della barba conceduta dalla natura agli
huomini
Amore di Evanne verso il morto marito Capaneo
Chi prima amazzasse nessuno animale
Sogno d'Ilia, madre di Romolo, & Remo, nella
concettione di loro
Auguri nell'impor nome alla Città di Roma
Chi primo a' Romani ordinasse l'anno di diece
mesi
Raccolta di tutti gli ordini instituiti da
Romolo
Perché Romolo fosse detto Quirino
NEL DECIMO.
Openione degli antichi d'intorno il mare
Mediterraneo
L'utile che si thrae dalle navigationi
Espositione degli ornamenti attribuiti a Nettuno
Onde habbia havuto principio la lingua Dorica
Come gli antichi solevano honorare quelli che
cercavano paesi stranieri
Quale sia il paese chiamato Bithinia
Perché a Trapani fosse edificato il Tempio a
Venere Ericina
La cagione per la quale Phorco fu detto Dio
Marino
Dichiaratione della favola di Scilla conversa in
cane
Quante sorte di terrori si trovino
Favola di Medusa, & dichiaratione di quella
Origine del cavallo Pegaso
Favola d'Vlisse, & Poliphemo
Con qual studio, & via Vlisse vincesse
Poliphemo
Quante siano state le specie di Ciclopi
Ethimologia del nome de' Ciclopi
Come le arti siano da' Greci chiamate
Prova per la quale si mostra quasi tutti gli
essempi dell'arteficiate cose dal mare, & dalle acque essere cavati
Di quanto utile siano le acque
Da cui sia discesa la origine di Ennio Poeta
Chi sia il cavallo Pegaso tanto da' Poeti
celebrato
Dichiaratione di tutti i misteri compresi sotto
il nome del cavallo Pegaso
Perché Giasone fosse mandato da Pelia
all'acquisto del Vello d'oro
Breve raccolta de' gran fatti di Theseo
Perché Hippolito fosse chiamato Virbio
Da cui quella parte dell'Asia chiamata Media
prendesse nome
Astutia d'Hippomene in vincere Atalanta
Trasmutatione di Hippomene, & Atalanta in
Leoni
Principio del nome dato ai popoli Pelasgi
Seditione di Nauplio per tutta la Grecia
Astutia di Palamede usata contra Vlisse
Tradimento d'Vlisse contra Palamede
Origine del nome delle Arpie, & loro
derivatione
NELL'UNDECIMO
Openioni di diversi scrittori di Giove
Fatti di Giove raccolti sotto brevità
Espositione di tutti gli ornamenti attributi a
Giove
Delle Muse, & della virtù loro
Da che nascano le voci degli huomini
Dichiaratione de' nomi di tutte le Muse
Perché sia detto le Muse essere necessarie
all'huomo studioso
Esclamatione dell'Autore contra i Maledici delle
Muse
Quale sia il vero amore tra noi mortali
Conversione di Giove in cigno nel giacer con
Leda
Narratione di Castore, Polluce, & Helena
Origine del pianeta de Gemini
Principio della guerra di Troia
Diversità sopra il rapire d'Helena
Morte di Agamennone per Egisto
Favola della origine dei Palisci
Virtù dell'acqua di Palisco in Sicilia secondo
Aristotele
Per qual merito il Cancro fosse collocato nel
segno del Zodiaco
Quale fosse la Dea sopra il menstruo
Origine dei Mirmidoni
Tramutatione di Dedalione in sparvieri
Inganno di Apollo, & Mercurio per Lichione
Favola di Ceice, & Alcione
Nascimento favoloso di Orione
Dichiaratione della favola d'Orione
Discorso sopra la gravidanza delle donne
Favola di Ligurgo, & espositione di quella
Favola di Phillide, & dichiaratione di lei
Diversità di molti scrittori sopra la vita di
Minos
Assuntione della corona di Arianna in cielo
Edificatione della città di Pittiglia
Opinioni diverse dell'Origine d'Vlisse
Vita, costumi, & opre d'Vlisse
Astutia di Palamede verso Vlisse
Breve compendio dei fatti d'Vlisse
Tutti gli errori di fortuna di Vlisse
Morte d'Vlisse per le mani del figliuolo
Dichiaratione dei venti rinchiusi negli utri
edificatione della città di Tivoli
NEL DVODECIMO
DISCORSO sopra le antichità dell'Ausonia
Trattato del supplicio di Tantalo, &
scelerità di quello
Favola di Niobe, & tramutatione di quella
Guerra tra Pelope, & Endimaco per Hippodamia
Favola, & proprietà del monton d'oro
Scelerità di Thieste contro il fratello Atreo
Descrittione del scettro d'Agamennone fabricato
da Volcano
Travagli patiti da Agamennone
Favola sopra la immolatione di Hiphigenia
Furore d'Horeste
Congiuntione di Giove, & Luna
Chi fosse tenuto dagli antichi padre di tutta la
nobilità della Grecia
Fatti di Perseo figliuolo di Giove
Interpretatione dello scudo di Pallade
Spositione di tutta la favola di Medusa &
Perseo
Chi fosse l'inventore dei sogni, & visioni
Se la donna può impregnarsi in diversi tempi di
più d'uno in un parto
Edificatione di Olbia in Grecia
Favola nel nascimento d'Euristeo
Inventione di sacrifici di Apollo
Dell'origine dell'incenso
Perché il mar Rosso si chiami Eritreo
Dichiaratione della favola delle formiche
Origine della città di Salamina
Prove di Peleo nell'acquisto della moglie Theti
Discordia tra le tre Dee
Significato del nome di Achille
Breve raccolta di fatti d'Achille
Chi primo principiasse l'arte de' corsari
Chi fosse il primo che incominciasse ingrassare
i terreni
Principio di macinare il fromento
Maravigliosa fortezza di Turno
Come Enea fu morto da Turno, & non Turno da
Enea
Come vi è più d'uno Mercurio, & la
differenza loro
Perché Mercurio sia detto messaggiero dei Dei
Lodi dell'eloquenza
Fittione dei Lari
Discorso sopra i nostri Genij
Vsanza moderna cavata dall'antica dei lari
Epitafio di Pallante figliuolo d'Evandro
Da chi fosse nomato il monte Palatino
Particolare descrittione di tutta la vita di
Mercurio
Quante spetie di foco siano appresso noi
Perché si dica Vulcano essere stato esposto in
Lenno
Quanta sia l'utilità del foco
Perché Volcano sia detto fabro di Giove
Openione di Vitruvio nell'inventione del foco
Il modo per lo quale si donasse principio alle
parole
Chi primo ritrovasse l'uso della carretta
Perché Caco fosse detto figlio di Vulcano
Edificatione della città di Preneste
Breve trattato di Tullio Servilio
Scelerate operationi di Tullia figlia di Tullio
Servilio
NEL TERZODECIMO.
BREVE raccolta di tutte le fatiche d'Hercole
Segno di grandissimo amore di Alceste verso il
marito Admeto
Morte d'Hercole nel foco
Interpretatione del nome di Hercole
Come vi sono stati molti Hercoli
Perche sia detto nella generatione d'Hercole tre
notti essersi ridotte in una
Il vero senso di tutte le fatiche oprate da
Hercole
Quali siano l'operationi del Sapiente
Congiuntione dell'anima rationale con la virtù
Edificatione di Hittone, antichissima città di
Boemia
Onde sia derivato il nome della Sardigna
Origine del nome dell'Isola di Corsica
Conversione di Ciparisso in Cipresso
Da che sia nato, che Eolo sia chiamato Dio de'
venti
Onde sia detto nascere i venti
Quanti siano i venti secondo Aristotele
Perché Miseno sia detto figliuolo d'Eolo
Adunatione degli Argonauti all'acquisto del
Vello d'oro
Da chi prima il castello di Pola fosse habitato
Tutti i fatti, & vita di Giasone
Avaritia di Eriphile, & poco amore verso il
marito
Da cui prendesse nome la città di Tivoli
Opra strana, & maravigliosa di Salmoneo per
farsi adorar per Iddio
Herba appropriata alla sterelità delle donne,
& alla morte del serpente
Trattato di due Sisiphi
Edificatione della città d'Ephira, chiamata
Corinto
Valorose prove di Bellorofonte
Allegoria della Chimera
Chi primo mettesse cavalli sotto carretta
Favola di Cephalo, & l'Aurora
Narratione d'Athamante, & Ino
Da cui l'Hellesponto prendesse nome
Quale fosse il montone dal vello d'oro
Morte di Learco, & Melicerte
La ragione per la quale l'autore non habbia
posto tra il numero de' dei Alessandro, & Scipione
Il fine della Seconda
Tavola.
DISCORSO dell'Autore sopra tutte le cose narrate
nei precedenti libri
La ragione per la quale l'Autore si sia mosso a
fare questi due ultimi libri in difesa degli altri
Parlamento dell'autore al Re
Tema dell'autore non dei dotti, ma de gli
ignoranti
Alcune cose contra gli ignoranti
Quello che gli ignoranti potranno opporre alla
presente opra
Come i vituperi degli huomini vergognosi sono
lodi degli huomini illustri
Discorso contra quelli che sono ignoranti, et
vogliono essere tenuti saggi
Contra quelli che a pena hanno visto le coperte
dei libri, & vogliono sempre allegar gli auttori
Editto di Pittagora nel ragionar della Filosofia
Parlamento contra i giurisperiti, con alquante
lodi della povertà
Oppositioni de' leggisti contra i Poeti
La ragione per la quale la Poesia non apporti
ricchezze
Lodi, & grandezza della Poesia
Che la Poesia è celeste, & eterna
Da che siano buoni i Causidici
Comparatione delle leggi, & della Poesia
Povertà, & grandezza d'alcuni Poeti
In quanto prezzo Alessandro Magno havesse le
opre d'
I Homero
Amore di Scipione verso Ennio Poeta
Commodi della povertà, & incommodi della
ricchezza
Molti essempi di Filosofi amatori della
povertà
Nomi di molti Poeti, & famosi Romani che
amarono la povertà
Che cosa sia la povertà
Con quante angustie vivano i ricchi
Quali siano quelli che s'oppongono a' Poeti,
& quali siano le cose che da alcuni gli sono opposte
Descrittione della Filosofia
La diversità di quelli che segueno la Filosofia
Simulatione di quelli che vogliono essere tenuti
Filosofi
Le oppositioni dei Filosofi in apparenza contra
i Poeti
Che la Poesia è una scienza utile
Ragione contra quelli che dicono la Poesia esser
nulla
Che la Poesia non è facultà vana
Che quelli che dicono i Poemi esser vani non gli
intendeno
Che cosa sia la Poesia onde detta, & quale
il suo ufficio
Quali siano gli effetti del fervor Poetico
Le cose che si ricercano a un buon Poeta
Derivatione della Poesia
Parole di Cicerone d'intorno la Poesia
Che dal cielo è discesa la Poesia
In quali parti del mondo prima risplendesse la
Poesia
Openioni di diversi auttori nell'origine della
Poesia
Quali fossero tenuti i primi Poeti
Tempo nel quale hebbe principio la Poesia
Come vi sono stati due Orphei
Come Mosè fu Poeta
Che più tosto egli si vede essere cosa utile che
dannosa haver composto favole
Che cosa sia favola, & sua derivatione
La spetie delle favole essere di quattro sorti
Come le favole spesse volte hanno acquetato gli
animi instigati da pazzo furore
Essempio di Roberto figliuolo del re Carlo per
le favole
Ch'egli è pazzia credere ch'i Poeti sotto le
corteccie delle favole non habbiano compreso alcuna cosa
Espositione d'alcuni passi favolosi di Vergilio
Breve trattato di nascosti sentimenti di alcuni
Poeti
Che i Poeti per la commodità della
consideratione habitarono le solitudini
Essempi di molti Poeti antichi, & moderni,
che lasciarono la conversatione de gran principi per habitar le solitudini
Versi d'Horatio sopra la Poesia
Lodi della vita solitaria, & contentezza
dell'animo nelle cose lontane dalle città
Che l'oscurità de' Poeti non è da biasimare
Che l'ignoranza altrui è quella che fa parer le
cose oscure
Ch'egli è proprio ufficio del Poeta essere oscuro
Parole d'Agostino sopra lo scrivere oscuro
Che i Poeti non sono bugiardi
Le ragioni per le quali i Poeti non sono mendaci
Argomenti in difesa de' Poeti
Ragionamento sopra la Apocalipsi di Giovanni
Quante siano le spetie degli huomini bugiardi
Che i Poeti non hanno peccato in altro che nel
non conoscere il vero Iddio, che non era ancho venuto in Terra
Bellissimo misterio di Vergilio sopra l'historia
di Didone
Come Virgilio per quattro cagioni fu sforzato
far Didone impudica
Che pazzamente si biasma quello che men
drittamente s'intende
Quali siano le fittioni ne' Poeti da lodare
& quali da biasimare
Il tempo nel quale in tutto si estinsero l'opre
de' Poeti lascivi
Ch'egli è cosa vergognosissima far giudicio
delle cose non conosciute
Oppositione fatta a' Poeti dagli ignoranti
Essempio di uno a' dì nostri inimicissimo del
Poetico nome
Con qual ragione alcuno possa parlare contro e'
Poeti, se prima non gli ha studiati
Discorso sopra la grandisssima utilità che si
cava da' Poeti, & tra gli altri particolarmente da Virgilio
Che i Poeti guidano al bene chi loro legge
Esclamatione verso i Poeti
Come quelli che biasmano i Poemi hanno solamente
atteso alle vanità loro
Espositione d'un passo della Sacra Scrittura
Che i Poeti non sono punto simie de Filosofi
Quale sia la natura delle simie
Attioni di Filosofi, & operationi de' Poeti
Come il Poeta segue le cose naturali
Ch'egli non è mal fatto né peccato mortale
leggere e' libri de' Poeti
Autorità delle sacre lettere prodotte contra i
Poeti
Proverbio anticamente usato
Libertà conceduta a buon fine al Poeta, & al
Pittore
Che non è male sapere il male, ma l'oprarlo
Come la Poesia è ministra della Filosofia
Che gli scrittori delle Sacre Lettere si sono
serviti de' Poeti
Che tutti i Poeti secondo il comandamento di Platone
non sono da essere cacciati dalle città
Essempi di molti Poeti che, lasciate le città,
habitarono le solitudini
Contentione di sette Cittadi nella morte
d'Homero
Molti Poeti tenuti in pregio da gran prencipi
Lodi di Francesco Petrarca
Quali siano i Poeti da essere cacciati dalle
Cittadi
Che le Muse non possono essere oltraggiate per
difetto di nessuno ingegno cattivo
Dichiaratione del detto di Boetio contra le Muse
Ragionamento dell'Autore al Re
Preghi dell'Autore verso gli inimici del poetico
nome
Mutatione di Roberto Re di Sicilia, inimicissimo
de' Poeti
Breve trattato di molti poemi di diversi auttori
Parole di Cicerone in lode della Poesia
NEL QVINTODECIMO ET
VLTIMO.
PRoemio dell'Autore in difesa della presente
opra
Che le cose men necessarie alle volte sono state
più pregiate
Prova l'Autore la presente opra essere
necessarissima
Che spesse volte sono durate più lungamente
quelle cose che paiono meno durabili
Ragioni per le quali questa opra potrebbe essere
durabile
Che le membra di quest'opra più propriamente non
si sono potute congiungere
Sententia di Socrate Filosofo
Che nella presente opra non v'è stato posto
quello che non vi s'è trovato
Escusatione dell'Autore d'intorno la spositione
delle favole
Che nella presente opra non v'è incluso alcuna
historia ne favola che non sia tolta dai comentari degli antichi
Oppositioni fatte dai sindici delle fatiche
altrui
Che gli auttori novi dal Boccaccio citati sono
famosissimi huomini
Lode d'Andalone de' Negri Genovese
Lodi di Dante Alighieri Fiorentino
Breve trattato di molti altri autori moderni
Lodi, & opre di Francesco Petrarca
Difesa sopra la produttione di molti auttori
antichi
Perché la Poesia sia seguita da pochi
Che molti versi si sono posti in diversi luoghi
dell'opra non senza mistero
Molte ragioni dell'Autore d'intorno il procedere
di detta opra
Essempio del Boccaccio nel far profitto nelle
lettere
Ramarico dell'Autore d'intorno gl'impatienti
delle fatiche altrui
Che i Poeti Gentili sono Mithici Theologhi
Che la Theologia è di tre sorti
Derivationi di tutte le sorti di Theologia
Non essere cosa dishonesta alcuni Christiani
trattare cose Gentili
Quando era pericoloso trattare cose Gentili
Credenza dell'Autore d'intorno la fede Chistiana
Trattato della Trinità
Discorso sopra tutto il Testamento nouo
Openione di Tomaso d'Aquino nella morte di
Christo
Credenza del giorno del giudicio
Con quali sacri autori il Boccaccio si fosse
fermato nella fede
Errore di Salomone verso Iddio
In che l'Autore havesse fermato la sua speranza
Che per lo più seguitiamo gli studi a' quali
gl'ingegni paiono inchinati
Effetti partoriti verso noi dalla madre Natura
Discorso sopra la vita humana
Che l'huomo non puote né deve seguire altro
essercitio eccetto quello al quale lo ha prodotto la Natura
Prove fatte dal padre del Boccaccio per levarlo
dalla Poesia
Inclinatione dell'Autore all'arte Poetica
Che dannosamente habbiamo compassione ai Re,
& alli Dei Gentili
Con che meriti s'acquisti la nobiltà
Che il breve overo lungo parlare non è per
mancamento da essere stracciato
Risposta a quelli che tasseranno l'Autore di
soverchia lunghezza
Difesa contra quelli che il biasmeranno di
brevità
Che per vero, & non per finto comandamento
del Re, egli compose la presente opra
Sentenza di M. Tullio Cicerone
Proue dell'autore nel mostrare il Re havergli
commesso questa fatica
Essempio d'Alessandro nel desiderare scrittori
dell'opre sue
Molti essempi d'antichi famosi Romani desiderosi
di gloria
Dimanda di Roberto Re di Gierusalemme &
Sicilia al Petrarca, che gli intitolasse la sua Africa
Superbia dell'autore nelle sue fatiche
Conclusione dell'autore
Speme dell'autore in Dio.
Preghi dell'autore verso quelli, che leggeranno
quest'opera.
Il
fine di tutte le Tavole cavate da' presenti Libri.
Se à pieno, famosissimo Re, ho
inteso quanto mi ha riferito Donnino Parmigiano, tuo valoroso soldato,
grandemente desideri la Genealogia de Dei Gentili, & degli heroi, che
secondo le fintioni antiche sono da loro discesi, & appresso, l'opinione,
che già per lo passato sotto la corteccia di queste favole n'hebbero gli
huomini illustri: & di ciò l'altezza tua ha eletto me, come huomo
sufficientissimo, & auttore ammaestratissimo a cosi fatta opra. Ma per
lasciare la maraviglia del tuo disio (percioche non istà bene ad uno di
picciolo grado ricercar l'intentione d'un Re) lascierò da parte quello ch'io
senta in contrario della mia elettione, accioche dimostrando la mia
insufficienza, tu non t'imaginassi, che di nascosto & con iscuse io volessi
schifar il peso della fatica impostami. Nondimeno, pria ch'io giunga
all'openion mia circa il carico datomi, piacciati, Serenissimo dei Re,
ammettere, & se non tutte, almeno alcune parole, che intravennero tra
Donnino tuo famosissimo soldato, & me, mentre egli mi spiegava i
comandamenti di tua Maestà; accioche leggendole molto bene a bastanza tu vegga
il tuo giudicio, & la mia arroganza, fino a tanto ch'io giunga
all'ubbidienza della grandezza tua.
Havendomi adunque egli con
grandissima facondia narrato i sacri studi della tua sublimità, le maravigliose
opre dell'amministration Reale, & appresso con lungo parlare alcuni
notabili & gloriosi titoli del tuo nome, pervenne a tanto, che con
grandissimo sforzo s'ingegnò ritrarmi ne' tuoi voleri non con una sola ragione,
ma con molte, delle quali confesso, che alcune parevano valide. Ma poscia, che
tacque &, che a me fu dato agio di rispondere, così gli dissi; O valoroso
guerriero, forse, che tu pensi, overo che 'l tuo Re che per l'avenire (piacendo
a Iddio) sarà nostro, istima questa pazzia degli antichi, cioè, che
desiderarono essere tenuti discesi di sangue divino, haver occupato un picciolo
spatio di terra; e si come ridicolosa cosa, come era, haver durato poco tempo,
e come anco opra moderna, e di pochi giorni facilmente potersi raccorre.
Nondimeno (dirò sempre con tua buona pace) altramente stà la cosa. Percioche,
lasciando da parte le Cicladi, & l'altre Isole del mare Egeo, con la sua
macchia bruttò, et infettò l'Achaia, la Schiavonia & la Thracia, le quali
per lo fiorire, & per la grandezza di questa pazzia furon, in grandissimo
splendore, massimamente nel tempo, che la Republica de Greci fu in fiore, cosi
anco i liti del mare Eusino, Hellesponto, Meonio, Icario, Panfilio, Cilicio,
Fenicio, Sirio & Egittiaco. Nè Cipro, notabil scettro del nostro Re, fu
liberato da questa macchia. Cosi medesimamente infettò tutto il paese della
Libia, delle Sirti & di Numidia, tutti i luoghi del mare Atlantico &
Occidentale, & tutti i remotissimi horti delle Hesperide. Nè solamente fu
contenta dei liti del Mare Mediteraneo, che trappassò anco a non conosciute nationi
di mare. Caderono etiandio con i maritimi in questo errore tutti gli habitatori
del Nilo (che manca di fonte) & tutte le solitudini dell'arena Libica
insieme con le sue moralitadi & dell'antichissima Thebe. Appresso gli
ultimi Egittii, i focosi, & troppo calidi Garamanti, i neri Ethiopi, gli
odorati Arabi, i ricchi Persi; i popoli Ganaridi, i Babilonici. Indi per la
nerezza notabili, l'altre cime del Caucaso con tutto il suo duro discendere
così verso il caldo Sole, come i freddi Poli; il mare Caspio; i crudeli hircani,
tutto il Tanai, il Rodope sempre pieno di nevi, & anco la rozza fierezza
dei Sciti. Et havendo tutti i vasti dell'Oriente, & dell'Occidente, &
del mar rosso l'Isole contaminate si ridusse da noi Italiani; di maniera, che
Roma Reina del mondo si lasciò acceccare da questa nebbia. Et accioche
minutamente io non stia a discorrere, per tutti i paesi, dove questa cecità
hebbe molto potere, come a bastanza tu puoi vedere, una portioncella sola fu
del mondo fra Tramontana e Occidente, benche di scelerata crudeltà, la quale
non fu nobilitata dalla progenie di questa deità, si come l'avanzo fu
infettato; nè quelle cose furono all'età nostra. Et allhora forse giovanetto
Abraam, mentre appresso Sicioni questa pianta incominciò far radici, &
entrare negli animi de gli huomini trascurati. Al tempo nondimeno degli heroi
fu in molta riputatione, & divenne in grandissimo nome, & riverenza,
continuando ogni dì più sino alla ruina del superbo Ilion. Percioche nella
guerra Troiana si ricordiamo haver letto essere stati amazzati alcuni figliuoli
di Dei: & Hecuba in cane, & Polidoro in virgulti essersi convertiti
ch'è antichissima, & in tempo di molti secoli. Onde non è da dubitare chè
per tutto dove questa pazzia ha havuto radice, ivi non siano scritti di gran volumi,
accioche la divina nobiltà de' maggiori col ricordo delle lettere pervenisse ai
posteri. Et quantunque istimai il numero di questi tali essere stato picciolo
quanto fosse grandissimo, Paolo Perugino, cosi grand huomo, & di tai cose
diligentissimo, & curiosissimo investigatore, spesso afferma in mia
presenza da Barlaam huomo Calavrese, & di lettere Greche benissimo
instrutto haver inteso alcun huomo notabile, nè famoso Prencipe, ò d'altra
preminenza, in tutta la Grecia (mostrando prima tutte l'isole, & i liti)
essere stato in quel secolo, nel quale questa pazzia fiorì, ch'egli non gli
facesse vedere che havesse havuto origine da alcuno de questi tali Dei. Che
dirò adunque, che risponderai tu? Se tu potessi riguardar un mar cosi lungo,
largo, & spatioso, cosi antico, durato tanti secoli, spiegato in tanti
volumi, & ampliato in cosi gran numero d'huomini, crederesti, tu, ch'io
potessi adempire i voleri del Re? Veramente, se i monti prestassero i passi
facili, & le solitudini diserte il viaggio palese, & aperto; se i fiumi,
i guadi, & i mari l'onde tranquille, & il passaggiero Eolo mandasse
dalla spelonca i venti tanto prosperi; & fecondi, & che piu è, se
havesse le ali d'oro d'Agrifonte legate ò piedi d'ogni huomo, che si voglia,
& se fosse uccello che potesse volare dove piu piacesse, a pena potrà
girare il mondo, & cosi lunghi passi del mare, & della terra, non che
far altro, se bene a lui fosse conceduto una grandissima quantità d'anni, &
secoli. Di più concederotti, che si habbiano tutte queste cose, & che si
possa, col voler d'Iddio, congiungere in un momento tutte le scritture, &
le memorie antiche, & che per dono divino si habbia la notitia di tutti i
caratteri, & gli idioma delle nationi diverse, & che in ogni luoco, che
si giunga siano preparati i volumi intieri, chi sarà colui (lasciando tra
mortali me fuori), che habbia le forze cosi ferme, l'ingegno cosi acuto, la
memoria cosi profonda, che possa veder tutte le cose poste a lui dinanzi?
intendere le vedute? le intese conservare, & poi con la penna finalmente distenderle,
& le raccolte, in un'opra renderle a perfettione? Oltra di ciò m'aggiungevi
ch'io descrivessi quelle che sotto ridicoloso velame delle favole hanno
nascosto gli huomini saggi, come se l'inclito Re istimasse pazzamente credere,
gli huomini ammaestrati quasi in ogni scienza semplicemente haver speso il
tempo, & sudato d'intorno lo scrivere favole lontane da ogni verità, &
che non habbiano altro che il latino senso. Non negherò che questa reale
elettione m'è stata grata, & hammi dato certissimo argomento; perche, si
come per inanzi tu dicevi, egli ha l'ingegno divino, & m'ha istimato
sofficiente ad adempire il suo disio, pur che le mie forze fossero bastanti. Ma
d'intorno queste tali narrationi vi è di gran lunga maggior difficultà, che tu
non istimi, & è fatica da huomo Theologo. Percioche concedendo, secondo la
opinione di Varrone, dove scrisse molto delle cose divine, & humane, che
questo genere di Theologia sia quello, che mistico, overo, come piace ad altri,
& forse meglio sia fisico, benche habbia in se molta falsità da ridersi,
nondimene ricerca molto arteficio ad scoprirla. Et per ciò honoratissimo
soldato sono da considerare le forze degli huomini, & essaminare
gl'ingegni, & cosi a quelli imporre convenevoli carichi. Potè Atlante col
capo sostenere il Cielo & a lui, lasso per lo peso, potè Alcide prestare
aiuto. Amendue furono huomini divini & quasi invincibile fortezza fu quella
d'amendue. Ma io che son huomo picciolo, non ho forze di alcun valore,
l'ingegno tardo, la memoria intricata, & tu alle mie spalle desideri, non
il Cielo ch'eglino sostennero, ma anco la terra sovragiungere, & appresso i
mari, essi habitatori dei Cieli, & con loro i famosi sostentatori. Non è
altro questo, eccetto volere ch'io sotto il peso creppi. Nondimeno, se tal cosa
era tanto a cuore al Re, era peso convenevole (se tra mortali uno è atto a
tanta fatica) alle forze del celebratissimo huomo Franceseo Petrarca, del quale
già molto io sono discepolo. Veramente egli è huomo dotto di celeste ingegno,
di profonda memoria & anco di maravigliosa eloquenza, al cui sono
famigliarissime l'historie di ciascuna natione, i sentimenti delle favole
chiarissimi, & brevemente tutto quello che giace nel sacro grembo della
Filosofia a lui è manifesto. Già taceva io, quand'egli con piacevol faccia
& ornato parlare cosi seguì; Credo, molto meglio di quello, che non havea
conosciuto, esser vere tutte quelle cose, che dici; & appresso veggio le
difficultà. Ma ti prego dirmi caro il mio Giovanni, pensi tu, che il nostro Re
non habbia avedimento? Certamente egli è aveduto Signore, di benigno ingegno,
& lodevole per felicità reale; & da te sia lontano ch'egli voglia
alcuno non che te aggravare, anzi ha per antico costume alleggierire ciascuno;
& però drittamente sono da intendere & da capire i suoi comandamenti.
Per Dio, che facilmente si può credere essere incessabili quelle ragioni, che
poco fa hai raccontato, & i loro annali (se alcuni ve ne sono) in tutto a'
Latini nascosti. Ma se alcuna memoria dai Greci, che per insino ai Latini sia pervenuta,
overo appresso essi Latini, alle cui scritture non picciolo honore & gloria
hanno riportato gli studi de nostri maggiori, è rimasta, & se non tutti i
ricordi, almeno quei, che per tua industria si ponno ritrovare, quegli disia.
Su adunque, e con largo animo (havendo buona speranza in Dio) piglia la
faticosa impresa et fa quello, che puoi, non si ritrovando persona atta
all'impossibile. La fortuna non m'ha fatto venire in mente quell'honorato
huomo, non solamente appresso Cipriani, ma per fama conosciuto sovra le stelle,
Francesco Petrarca, credo perche Iddio ha voluto così, accioche io perdonassi a
lui in grandissime imprese occupato, & alla gioventù tua imponessi cosi
honesta fatica, per la quale il tuo nome, poco fa incominciando andar in luce,
piu chiaro appresso i nostri risplenda. Allhora io risposi: A quel ch'io
veggio, credo, che tu istimi, ò strenuo guerriero, senza i lontanissimi libri
de' barbari, de' Greci & de' Latini solamente questa opra potersi a pieno
riddurre in essere? O buono Iddio, non vedi tu istesso, Signore, che con questa
tale concessione tu vieni a levare la miglior parte all'opra? Ma facciamo come
già molto fecero i nostri Prencipi partendo il Romano Imperio nel orientale
& occidentale. Sia à questo monstro due corpi, un Barbaro, & l'altro
Greco & Latino? & al Greco & al Latino, i quali tu istesso chiami,
i libri; nè anco questo potrà fare, che si consegua quello, che tu addimandi.
Habbiamo dimostrato questa peste essere stata antichissima; tu hora teco stesso
considera quanti nemici nei secoli passati habbiano havuto i volumi.
Confesserai veramente, che gl'incendij & i diluvij d'acque (accioche taccia
dei particolari) hanno consumato molte librarie; et se altra non fosse andata a
male, che l'Alessandrina, la quale già molto il Filadelfo con grandissima
diligenza havea ordinato, sarebbe grandissima diminutione de' libri. Conciosia
che, per lo testimonio d'antichi, in quella potevi ritrovare quello che volevi.
Oltre di ciò, crescendo il glorissimo nome di Christo, & rimovendo la dottrina
sua splendente di sincera verità le tenebre del mortale errore, &
massimamente del Gentile, & appresso lungamente declinando lo splendor di
Greci (gridando i messi di Christo con la falsa religione & cacciandola in
ruina), non è da dubitare, che seco non mandassero in eterno oblio molti libri
serbanti le memorie di questa materia, acciò, che con veri & pij
predicamenti dimostrassero non esservi tanti dei nè figliuoli di Dei, ma un
solo Iddio Padre, & unico figliuolo d'Iddio. Appresso, mi concederai c'habbia
havuto per nimico l'avaritia, alla cui non sono debili forze. Percioche è cosa
certissima l'arte Poetica, a quei, che la sanno, non apportare alcun guadagno,
& appresso lei non è altra cosa pregiata eccetto quella ch'apporta seco
l'oro, & dalla quale si conseguisce l'oro & non se lo leva; &
quelle scienze, che a ciò non sono atte non solamente sono sprezzate, ma anco
havute in odio & rifiutate. Onde caminando quasi tutti a gran passi per
acquistar ricchezze, tai volumi andarono in oblio, & anco perirono cosi
facilmente, che molti Prencipi, odiando tali memorie, fecero lega contra loro,
percioche contenendosi sotto la corteccia delle favole molti vitij di gran
signori, eglino quanti volumi, che mai poterono havere mandarono in ruina,
perdonando cosi poco a i favolosi come ad ogni altra sorte discritti, de' quali
certamente cosi di liggiero non si potrebbe esprimere il numero. Ma se tutto il
resto gli havessi perdonato, a quelli non havrebbe havuto riguardo il veloce
tempo, essendo, come sono stati, privi di riformatore. Conciosia, chè egli ha i
denti quieti & adamantini, che corrodono non solamente i libri, ma i
durissimi sassi & esso ferro, che doma tutto il resto. Questo veramente ha
mandato molte cose, cosi greche come latine, in polve. Nondimeno, come, che
habbiano patito questi & molti altri infortunii, & maggiormente dico
quelle memorie, che spetialmente sarebbeno al proposito di questa nostra
fatica, tuttavia negar non si puote, che molte non ve ne siano rimaste; ma
nessuna però, ch'io mai habbia ritrovato, scritta in questa materia, che tu
desideri. Vanno adunque qua & là per lo mondo disperse le origini & i
nomi cosi dei dei come dei progenitori suoi. Di questi questo libro ha alcuna
cosa, & un altro alcuna altra; le quali ti prego dirmi chi sarà colui, che
per dono, overo almeno per poco fruttevole fatica, vorrà ricercarle &
rivolgere tanti volumi, leggerli, & fuori di quelli eleggere pochissime?
Credo essere molto meglio non se n'impacciare. Ma egli con gli occhi fisi cosi
mi risponde. Non m'era nascosto, che all'incontro dell'honesta mia dimanda tu
non havessi, che dire, ma non di maniera mi caccierai, che non mi rimanga alcun
picciolo luogo dov'io mi salvi. Veramente non negherò questo, che m'affermi. Ma
voglio solamente quello, che la seconda fiata hai detto; cioè farò quello, che
potrò. Questa particella, che di qui potrai raccorre, desidera il nostro Re.
Potrai negarli questo? Ma ohimè, ch'io temo, che la dopochaggine non
t'apparecchi alcuna ragione per la quale tu schifi la fatica. Nessuna cosa
veramente non è piu vergognosa in un giovane dell'otio; & se è da
essercitarci, essendo tutti noi nati per affaticarsi, a chi meglio puoi tu
prestare la fatica tua, che a un Re? Levati adunque & caccia la pigritia,
drizzandoti con forte animo a tal'opra; accioche in un istesso tempo tu
obedisca a un Re & al nome tuo facci la strada all'inclita fama. Verrai
senza dubbio (se sei prudente) piu oltre di quello ch'io mi sforzo cacciarti.
Sai pure, che la fatica vince il tutto & la fortuna aiuta gli arditi, &
molto piu esso Iddio, il quale mai non abbandona chi spera in lui. Partiti
adunque, & arditamente volgi, rivolgi & ricerca i libri; togli la
penna, & mentre cerchi piacere al Re guida il nome tuo in lunghissima età.
Allhora dissi io: piu resto vinto dalla dolcezza delle tue parole, che dalla
forza delle ragioni. Mi constringi, mi persuadi, mi cacci, & mi trahi di
maniera che, se bene io non volessi, è forza, che ti ubbidisca." In tal
modo, pietosissimo Re, alquanto contrastammo insieme il tuo Donino & io,
pria, che volessi piegare la mia penna a' tuoi voleri; & voglia o non
voglia, ultimamente vinto, a forza cacciato vengo a sodisfarti. Con quai forze,
nondimeno, tu lo vedi. Per tuo commandamento adunque, lasciati i sassi dei
monti di Certaldo & lo sterile paese, con debile barchetta in un profondo
mare, pieno di spessi scogli, come novo nocchiero entrerò, dubbioso veramente,
che opra io mi sia per fare, se bene leggerò tutti i liti, i montuosi boschi,
gli antri & le spelonche, & se sarà bisogno caminar per quelli &
discender fino all'Inferno, & fatto un altro Dedalo, secondo il tuo disio
volelerò per insino al Cielo; non altramente, che per un vasto lido raccoglendo
i fragmenti d'un gran naufragio, cosi raccorrò io tutte le reliquie, che
troverò sparse quasi infiniti volumi dei Dei gentili; & raccolte &
sminuite, & quasi fatte in minuzzioli, con quell'ordine ch'io potrò,
accioche tu habbi il tuo disio, in un corpo di Geneologia le ritornerò. Tutta
via mi spavento a pigliare cosi grande impresa, & a pena credo, se
suscitasse & venisse un altro Prometheo, overo quell'istesso, che per
dimostratione dei Poeti al tempo antico era solito di fango formar gli huomini,
non che io di quest'opra sarebbe sufficiente artefice. Ma, famosissimo Re,
accioche tu non ti maravigli ch'io voglia dire per l'avenire, non aspetterai,
dopo un molto spender di tempo & una lunga fatica fatta con molte vigilie,
haver questo tal corpo compiuto. Assai veramente, & Dio voglia, che senza
molti membri, & forse torto, gobbo & attratto, ha da vedersi, per le
ragioni, che già si sono mostrate. Ma, famosissimo Prencipe, accioche io venga
a comporvi i membri, cosi verrò a dichiarire i sensi nascosti sotto dura
corteccia. Non già ch'io voglia persuadermi far ciò minutamente secondo
l'intento di quei c'hanno finto. Percioche, chi al tempo nostro potrebbe
agguagliare le menti degli antichi & esporre l'intentioni già tanto
separate dalla mortale in altra vita, & ritrovare i sentimenti ch'eglino
hebbero? Ciò certamente sarebbe piu tosto divino, che humano. Gli antichi senza
dubbio, lasciate le scritture ornate de' suoi nomi, sono andati nella via della
carne commune, & il senso di quelle lasciarono al giudicio di quelli, che
haveano a nascere dopo loro; de' quali quanti sono i capi, quasi tanti giudicij
si ritrovano. Et non è maraviglia. Percioche veggiamo le parole della Sacra
Scrittura, cavate da essa lucida, certa & immobile verità, se bene alle
volte sono coperte d'un sottil velo di figuratione, essere tirate in tante
interpretationi in quante sono capitate alle mani di diversi lettori: là onde
in ciò con minor timidità entrerò, percioche se bene dirò poco bene, almeno
sveglierò alcun altro piu di me prudente a scriver meglio, & ciò facendo,
prima scriverò quelle cose ch'io potrò haver inteso dagli antichi; indi dove
havranno mancato, overo meno a bastanza secondo il mio giudicio detto, dirò il
mio parere; & questo farò molto volentieri, a fine, che ad alcuni
ignoranti, & che noiosamente sprezzano i Poeti da loro poco intesi, si
mostri quelli (benche non Catholici) di tanta prudenza essere stati dotati, che
nessuna cosa da loro sotto figmenti Poetici con maggior arteficio d'ingegno si
poteva, nè è stata trascorsa, nè con maggiori ornamenti di parole adornata. Per
il che è manifesto quelle essere stati ripieni d'infinita mondana sapienza,
della quale molte volte mancano i noiosi loro riprensori; onde dalle loro
profondità, oltre l'artificio delle fittioni Poetice & le consanguinità
& parentele spiegate de' vani Dei, vedrai alcune cose naturali coperte da
tanto misterio, che ti maraviglierai; cosi anco i fatti & i costumi dei
baroni, non triviali nè communi. Oltre di ciò, perche l'opra passerà in maggior
volume, che tu non istimi, giudico convenevole, accioche piu facilmente tu
possi ritrovare quello, che cercherai, e meglio ritenere quello che vorrai,
partir quella in piu parti, & chiamarli libri. Nel principio di ciascuno
de' quali giudico essere da porvi l'arbor. Nella cui radice sia il padre della
generatione. Nei rami poi, vista l'ordine dei gradi, mettervi tutta la sparsa
progenie, accioche col mezzo di questo tu vegga di chi & con qual ordine
nel seguente libro tu ricerchi. I quai libri anco con i dovuti capitoli
troverai distinti con piu ampia dichiaratione & piu manifesti, & vi
vedrai tutto quello che con un solo nome per le frondi dell'arbore prima havraj
letto, con parole ampio & diffuso. Poi gli aggiungerò due libretti, et nel
primo risponderò ad alcune obiettioni fatte contra la Poesia & i Poeti. Nel
secondo, che sarà di tutta l'opra l'ultimo, mi sforzerò rimuovere alcune cose,
che forse contra me saranno opposte. Ma per non scordarmi (non voglio, che ti
maravigli, accioche ti pensasti ciò essere avenuto per error mio), egli è colpa
degli antichi, che spessissime volte leggerai molte cose cioè di sorte differenti
dalla verità, & tra se stesse molte fiate discordanti, che non solamente le
istimerai non pensate da Filosofanti, ma nè anco da villani imaginate; cosi
anco malamente ai tempi convenevoli. Le quali veramente, & altre, se alcune
ve ne sono dal debito varianti, non è l'intention mia riprenderle overo ad
alcun modo correggerle, se da se stesse non si lasciano ridurre a qualche
ordine. A me basterà assai rescrivere le trovate, & lasciar le dispute ai
Filosofanti. Ultimamente, se gli huomini d'intiera mente, cosi per debito come
per decreto di Platone, in tutti i principij, dico anco di picciole cose,
hebbero in costume ricercare l'aiuto divino, & appresso in nome di quello
dar principio alle cose a fare; percioche lasciato lui, per sentenza di Torquato,
non si farà nessun buon fondamento, assai posso considerare quello ch'a me si
convenga; il quale tra gli aspri deserti dell'antichità & tra i tormenti
degli odi hor quà hor là son per raccorre lo sbranato, minuzzato, consumato
& quasi in ceneri già ritornato gran corpo dei Dei Gentili & de famosi
heroi, & quasi un altro novo Esculapio a guisa di quello d'Hippolito
ritornarlo insieme. Et però solamente al pensare, tremando sotto il soverchio
peso, humilmente prego quel piatosissimo Padre vero Iddio, Creatore di tutte le
cose &, che può il tutto, sotto cui viviamo tutti noi mortali, che sia
favorevole al mio superbo & gran principio. A me sia egli splendente &
immobile stella, & governi il timone della mia navicella, che solca un
disusato mare; et, si come il bisogno ricerca, dia le vele a i venti accioche
io giunga là dove al suo nome sia ornamento, lode, honore & gloria
sempiterna; a i maldicenti poi disprezzo, ignominia, dishonore & dannatione
eterna.
Havendo io a entrare in un
profondo mare, & non solito a navigarsi, & havendo a pigliare un novo
viaggio, mi sono imaginato essere piu diligentemente da riguardare da qual lito
la prora della barchetta sia da sciorre, accioche piu drittamente con prospero
vento io giunga là dove l'animo disia. Ilche allhora istimerò haver fatto,
quando havrò ritrovato colui che i passati antichi finsero loro Iddio,
percioche da quello tolto il principio della discendenza, potrò poi con dovuto
ordine venire ai posteri. In me adunque s'erano adunate tutte le forze
dell'animo, & dal sublime specchio della mente riguardava quasi tutto
l'ordine del mondo; onde subito vidi levarsi assaissimi huomini, nè solamente
d'una sola religione; ma nondimeno dignissimi testimoni per fide di verità, con
la loro gravità affermando Iddio esser unico: ilquale alcuno mai non vide,
& questo essere il vero che manca di principio, & di fine, che può il tutto,
Padre delle cose, & Creatore, cosi delle cose manifeste, come delle non
palesi a noi. Ilche credend'io benissimo, & dai giovenili anni sempre
havendo creduto, incominciai rivolgere la mente d'assaissimi antichi, che circa
ciò hebbero varie, & diverse openioni, & a me parve quasi questo
istesso haver creduto i Gentili, ma essere restati ingannati mentre
attribuirono tal dignità a fattura del Creatore, nè tutti ad uno, ma diversi a
diversi si sono sforzati darla. Al cui errore haver dato materia istimo io i
Filosofanti, & giudicanti diversamente, mentre ammaestrarono la rozezza
antica, & dopo quelli essere stati i Poeti, iqual primi Theologizando (dice
Aristotele) secondo il creder loro, quelli essere i primi Dei, iquali essi
pensavano essere stati prime cause delle cose. Et di quì, se molti diversamente
furono gli istimatori, di necessità è seguito, che molti, & diversi dei
havessero varie nationi, overo sette, ciascuna dellequali tenne il suo essere
vero, primo, & unico Iddio de gli altri Padre & Signore. Et cosi non
solamente a guisa di Cerbero formarono una bestia di tre capi, ma si sono
sforzati descriverlo in mostro di piu capi. De' quali cercando io il piu
antico, mi si fece all'incontro Thalete Milesio al tempo suo sapientissimo
huomo, & molto famigliare al Cielo, & alle Stelle, & ilquale io
havea udito piu con l'ingegno, che con la fede lungamente haver ricercato molte
cose del vero Iddio. Costui pregai, che mi dicesse chi egli istimasse degli dei
essere stato il primo, ilquale subito mi rispose, & di tutte le cose
cred'io l'acqua essere stata la pria cagione, & quella in sé havere la
mente divina, che produce il tutto; nè altrimenti di quello, che appresso noi
bagni le piante, cosi dall'abisso mandati fuori i nascimenti dell'acque in
Cielo, fino alle stelle, & tutto il resto di questo ornamento con l'humida
mano haver fabricato. Di quì trovai Anassimene, un'altro dottissimo huomo,
& mentre io ricerco quest'istesso, che domandai a Thalete, mi rispose;
L'Aere produttore di tutte le cose; percioche gli animali senza l'Aere subito
morrebbono, & senza lui non potrebbono generare. Dopo questi mi s'offerse
Crisippo, tra gli antichi huomo famoso, ilquale pregato disse che credeva il
foco essere Creatore di tutte le cose, conciosia che senza il calore pare, che alcuna
cosa mortale non si possa generare, overo generata durare. Havendo poi
ritrovato Alcinoo Cortoniese, lo provai huomo tra tutti gli altri d'elevato
animo. Percioche volando sovra gli elementi, subito con l'intelletto si
congiunse con i Pianeti, tra quali quello, che vi ritrovasse no'l so, ma riferì
che pensava il Sole, la Luna, le Stelle, e tutto il Cielo essere stati i Fabbri
di tutte le cose. O liberale huomo, quella deità, che tutti gli altri haveano
dato ad un solo elemento, questi a tutti i corpi dei sopra celesti la donò.
Dietro questi toglio Macrobio, piu giovane di tutti. Quello poi diede solamente
al Sole quelli, che Alcinoo havea conceduto a tutto il Cielo. Ma Theodontio
(come penso) huomo non novo, ma di tai cose solenne ricercatore, senza nomar alcuno
rispose degli antichissimi Arcadi essere stato opinione la terra essere origine
di tutte le cose, & istimando, si come dice Thalete dell'acqua, in quella
essere la mente divina, credettero per opra di lei tutte le cose essere state
prodotte & create. Ma per tacere de gli altri, i Poeti c'hanno seguito
l'opinione di Thalete chiamarono l'Oceano elemento dell'acqua, & lo dissero
Padre di tutte le cose, de gli huomini & de' Dei, & dell'istesso
diedero principio alla geneologia de' Dei. Ilche anco noi havressimo potuto
fare, se non havessimo ritrovato (secondo alcuni) l'Oceano essere stato
figliuolo del Cielo. Et quelli ch'instimarono Anassimene & Crisippo haver
detto il vero, percioche spessissime volte i Poeti metteno Giove per l'elemento
del fuoco, & alle volte del fuoco & dell'aere, a lui diedero il
principato di tutti i Dei, & alle loro geneologie il pigliarono primo di
tutti gli altri. Iquali imperò in ciò non habbiamo seguito, perche si
ricordiamo haver letto Giove essere stato hora figliuolo dell'Aere, hora del
Cielo & hora di Saturno. Quelli poi, che volsero dar fede ad Alcinoo
tolsero per prencipe della sua Geneologia Celio overo il Cielo; ilquale havendo
letto essere stato generato con l'Aere l'habbiamo lasciato adietro, si com'anco
quelli che, seguendo Macrobio & i suoi primi, hanno concesso il principato
della Geneologia al Sole; ilquale i Poeti testimoniano haver havuto molti
padri, dandoli hora Giove, hora Hiperione & hora Vulcano. Quelli anco
c'hanno voluto la terra produttrice di tutte le cose, come dice Theodontio,
chiamarono la mente divina in lei composta Demogorgone. Ilquale io veramente
istimo Padre & principio di tutti i Dei Gentili, non ritrovando alcuno a
lui secondo i figmenti Poetici esserli stato Padre, & havendo letto lui non
solamente essere stato Padre dell'Aere, ma avo, & di molti altri Dei da'
quali questi sono nati; di quai di sopra habbiamo fatto ricordo. Cosi adunque
riguardati tutti, & troncati gli altri capi come superflui &
ritornatigli in membri, imaginandosi haver ritrovato il principio del viaggio,
facendo Demogorgone non Padre delle cose, ma de' Dei Gentili, con l'aiuto
d'Iddio entraremo nel viaggio duro & alpestre per lo Tenaro, overo per
l'Etna, discendendo nelle viscere della Terra, & inanzi gli altri solcando
i vasti della palude Stigia.
Con grandissima maestà di
tenebre, poscia ch'io hebbi descritto l'albero, quel antichissimo proavo di
tutti i Dei Gentili, Demogorgone accompagnato da ogni parte di nuvoli, & di
nebbie, a me, che trascorreva per le viscere della Terra apparve; ilquale per
tal nome horribile, vestito d'una certa pallidezza affumicata, & d'una humidità
sprezzata, mandando fuori da sé un odore di terra oscuro, & fetido,
confessando piu tosto per parole altrui, che per propria bocca se essere Padre
dell'infelice principato, dinanzi a me artefice di nova fatica fermossi.
Confesso ch'io mi posi a ridere, mentre riguardando lui mi veni a ricordare
della pazzia degli antichi; iquali istimarono quello da alcuno generato,
eterno, di tutte le cose Padre, & dimorante nelle viscere della Terra. Ma
perche questo poco importa all'opra, lasciamolo nella sua miseria, passando là
dove desideriamo. Dice Theodontio la cagione di questa vana credenza non haver
havuto principio dagli huomini studiosi, ma dagli antichissimi rustici
d'Arcadia, iquali essendo huomini mediterranei, montani, & mezzo selvaggi,
& veggendo la Terra da sé stessa produrre le selve, & tutti gli
arboscelli, mandar fuori i fiori, i frutti, & le sementi, nodrir tutti gli
animali, & poi finalmente ritorre in sé tutte le cose, che muoiono;
appresso i monti vomitar fiamme, dalle dure pietre trarsi i fuochi, dai cavi
luoghi, & valli spirare i venti, sentendo quella alle volte moversi, &
mandar fuori muggiti, & dalle sue viscere spargersi i fonti, i laghi, &
i fiumi, quasi, che da lei fosse nato il foco celeste, & il lucente aere,
& havendo ben bevuto havesse mandato fuori quel gran mare Oceano, &
degli adunati incendij volando in alto le faville havessero formato i globi del
Sole, & della Luna, & intricatesi nell'alto Cielo si fossero cangiate
in sempiterne stelle, pazzamente credettero. Quelli, che poi dopo questi
seguirono, considerando un poco piu alto, non chiamarono la Terra semplicemente
auttore di queste cose, ma s'imaginarono a quella essere congiunta una mente
divina: per intelligenza, & voler della quale s'oprassero queste, &
quella mente haver stanza sotterra. Al cui errore accrebbe fede appresso i
rozzi l'essere entrati alle volte nelle spelonche, & nelle profondissime
cavità della Terra; conciosia che, in processo morta la luce, paia un silentio
occuppare le menti, & accrescerlo, onde col nativo horrore dei luoghi la
religione si messe in uso, & agli ignoranti nacque il sospetto della
presenza d'alcuna divinità. Laquale divinità imaginata da questi tali,
istimavano non d'altri, che di Demogorgone, percioche credevano la sua stanza
nelle viscere della Terra, si come è stato detto. Questi adunque essendo
appresso gli antichissimi Arcadi in grandissima riverenza, imaginandosi col
silentio del suo nome crescersi la maestà della deità sua, overo istimando
inconvenevole cosi sublime nome venire nelle bocche de' mortali, o forse
temendo, che nomato non si movesse ad ira contro loro, di commune consentimento
fu vietato, che senza pena non fusse mentovato da alcuno. Ilche dimostra Lucano
dove descrive Eritto, che chiama l'alme, dicendo;
Ubbidirete, ò quel fie da trovare
Che chiamato la terra non percossa
Fa ogn'hor tremare? quel che vede
aperta
Gorgona, & con estreme
battiture
Castiga Erinne timida, &
tremante?
Cosi anco Statio, dove
interroga per commandamento di Etheocle il cieco vecchio Tiresia del successo
della guerra Thebana, dice;
Sappiamo bene quel che voi temete
Esser nomato, & esser
conosciuto,
Et Hecate turbar, s'io non temessi
Te sol Timbreo, & del triplice
mondo,
Il sommo, che conoscer quì non lice;
Ma i taccio.
Et quel, che segue. Onde questo
del quale parlano questi due Poeti senza esprimer il nome, Lattantio, huomo
famoso, & dotto, scrivendo sopra Statio chiaramente dice essere
Demogorgone, capo, & primo de' Dei Gentili. Et noi anco a bastanza possiamo
conoscerlo, se vogliamo considerar bene le parole dei versi. Percioche dice
appresso Lucano una incantatrice, & gentile, volendo dimostrare la
preminenza, & la sotterranea stanza di costui, la terra tremare al suo nome;
il che non fa giamai, se non percossa. Seguita questo istesso perche vede
Gorgone, cioè la terra aperta ch'è al sommo, percioche habita nelle viscere
della Terra, rispetto a noi, che habitiamo di sopra a lui, conciosia che
veggiamo solamente la superficie; overo vede Gorgona aperta, cioè quel monstro,
che cangia in sassi ch'il mira; nè però si tramuta in sasso, accioche appaia
della sua preminenza un'altro segno. Terzo poi dimostra la sua potenza
d'intorno le cose infernali, mentre dice quello, con battiture castigare la
Erinne, invece delle Erinne, cioè quelle Furie infernali, non con altro, che
con la potenza opprimendole, & sdegnandosi. Questo, poi, che sia conosciuto
da i Superi dice Statio, affine di far conoscere quello, & sotterraneo,
& prencipe di tutti, che chiamato può constringere gli spiriti beati ne i
desideri de' mortali; ilche essi non vorrebbono quello essere conosciuto,
perciò dice illicito, perche sapere i segreti d'Iddio non appartiene a tutti.
Conciosia che se fossero conosciuti, la potenza della deità vorrebbe quasi in
disprezzo. Oltre di ciò a costui, accioche la liberale, & rispettata
antichità crescesse per lo rincrescimento della solitudine (come dice
Theodontio), aggiunse la Eternità, & il Chaos, & una famosa schiera di
figliuoli. Imperoche vollero lui tra maschi, & femine haver havuto nove
figliuoli, si come si dimostrerà più distintamente. Quì era luogo da scoprire,
se alcuna cosa fosse riposta sotto fittione Poetica; ma essendo ignudo il
sentimento di questa falsa deità, solamente ci resta dichiarare quello, che
paia voler significare cosi horrido nome. Risuona adunque, si come istimo,
Demogorgone in Greco, Latinamente Iddio della terra. Perche, come dice
Lattantio, s'interpreta Demon per
Iddio, & Gorgon, per
terra, overo piu tosto sapienza della terra, essendo spesse volte Demon esposto per
sapere o per scienza. O pure, come meglio ad altri piace, Iddio terribile; il
che del vero Iddio c'habita in Cielo si legge: Santo, & terribile il nome
di lui. Ma questo per altra cagione è terribile; percioche quello per
l'integrità della giustitia ai malfattori nel giudicio è terribile, questo poi
a quei c'hanno creduto pazzamente. Finalmente, pria, che trattiamo altro de'
figliuoli, ci pare dire alcuna cosa de' compagni.
SEGVE l'Eternità, laquale non per
altro gli antichi diedero per compagna a Demogorgone, eccetto affine, che colui
ch'era nulla paresse eterno. Et quello ch'ella si sia lo dimostra col suo nome,
percioche con alcuna quantità di tempo non può essere misurata, nè con alcuno
spatio di tempo disignata; contenendo in sé tutte l'età, & da alcuna non
essendo contenuta. Quello, che di lei habbia scritto Claudio Claudiano, dove in
versi heroici inalza le Lodi di Stilicone, mi piace inchiudervi. Dice egli
cosi;
E da lontano una spelonca ignota,
Inacessibil fino a nostre menti
Dove a penna gli dei ponno
arrivare,
Vede la lunga età stassi la madre,
Laquale i tempi da lei rovinati
Riforma, e avanza, & l'antro in
seno abbraccia,
Tutti i principii. Siede
dell'entrata.
La Natura a la guardia d'età lunga
Con grave maestà, da cui dipende
Per tutti i membri suoi spirti
volanti,
Stabili e ferme, et che partisce
insieme
Rendendo tutto quello che consuma
Il serpe con le squame eterno,
& verde,
Con benigna deitade; & si
com'egli
Rode la coda con ritorta bocca,
Con quieto trascorrere rilega
I numeri a le stelle, e i corsi
fermi.
Tutti gli indugi per liquali vive,
Et more il tutto, egli con fisse
leggi
Giudicando riforma.
Et un vecchio che scrive le ragioni
Et quello, che segue. Indi
descritto in questo modo l'antro, cosi segue;
Habitan quì diverse forme, &
tutti
I secoli distinti dai metalli;
Ivi s'ammassa il bronzo, & ivi
il ferro.
L'argento in altra parte si fa
bianco.
Onde per l'habitar la stanza è
bella.
Et quello che và dietro. Onde
queste sono quelle cose per lequali istimo, o famosissimo fra i Re, che tu puoi
considerare con quanto soave stile, benche con lunga, & limata oratione,
questo Poeta descriva, che cosa sia l'eternità, & ciò, che si contenga tra
quella. Ilquale per dimostrare l'eccesso di tutti i tempi dice la spelonca di
lei, cioè la profondità del grembo, essere non conosciuta, & molto lontana;
dove non solamente i mortali, ma a pena i Dei vi ponno arrivare, & per
questi dei intende le creature, che sono nel conspetto d'Iddio. Indi poi dice,
che quella avanza, & rifforma i tempi, accioche dimostri tra quella ogni
tempo haver pigliato, & pigliar principio, & ultimamente venire al suo
fine. Et affine, che si veggia con qual ordine, descrive il serpente
eternamente verde, cioè, in quanto a lui, che mai non giunge alla vecchiezza,
& dice, che quello rivolta la bocca verso la coda, la divora, accioche da
questo atto habbiamo a capire il giro circolare del tempo, che trascorre;
percioche sempre il fine d'un anno è principio del seguente, & cosi sarà
mentre durerà il tempo. Del quale essempio ha usato, conciosia che per quello
gli Egittij hebbero in usanza, pria, che apparassero lettere, descriver l'anno.
Seguita poi dicendo questo farsi tacitamente, attento, che non se n'accorgendo
noi pian piano se ne passa il tempo. La Natura poi piena d'anime circonvolanti,
perciò, che continuamente infonde l'alme a molti animali; però la descrive
dinanzi alla porta dell'eternità, affine, che intendiamo, che ciò, che entra
nel grembo dell'eternità, per starvi poco ò molto, con l'operar della natura
delle cose v'entra, & cosi quivi è quasi come portinaro. Et si deve
intendere della natura naturata, percioche tutto quello, che fa entrare la
natura produttrice, mai non esce. Il vecchio poi ilquale nell'antro partisce le
stelle in numeri credo essere il vero Iddio; non perche sia vecchio, percioche
nell'eterno non cade alcuna descrittione d'età, ma parla secondo il costume de'
mortali, iquali anco dicemo i vecchi di lunga età immortali. Costui partisce i
numeri alle stelle, accioche intendiamo per opra sua, & ordine ch'a noi per
certo, & ordinato moto delle stelle siano partiti i tempi; si come per lo
circuito del Sole per tutto il Cielo habbiamo l'anno intiero, & per
l'istessa circonvolutione della Luna il mese, & per l'intiera rivolutione
dell'ottava sfera, il giorno. Dei secoli poi ch'ivi dice essere, a pieno si
scriverà poi, dove si tratterà degli Eoni.
Il Chaos, si come afferma Ovidio
nel principio della sua maggior opra, fu una certa materia adunata, &
confusa di tutte le cose da essere create. Percioche cosi dice;
Inanzi il mare, & prima de la
terra,
Et pria del Cielo, che ricuopre il tutto
Di natura nel mondo era un sol
volto
Chiamato Chaos, mole confusa, &
roza,
Nè altro, eccetto peso, fiocco, e
vano,
Et adunati semi dell'istesso
Sol per discordia de le cose
insieme
Non ben congiunte.
Et quello, che segue. Onde questo,
o vero questa cosi spetiosa effigie, che mancava di certa forma, volsero
alcuni, ma altramente i famosi Filosofi, essere stata compagna, & già
eterna a Demogorgone; acciò, che s'a lui alle volte fosse venuto in animo di
produr creature non gli fosse mancato materia, come se non potesse, colui
c'havea potuto a diverse cose dar forma, produr materia per darvi forma;
veramente egli è da ridersi, ma mi sono deliberato di non riprender nessuno.
Lasciati questi, egli è da
passare alla famosa progenie del primo Iddio de Gentili, del quale volsero, che
il primo figliuolo fosse il Litigio, percioche dicono, che primo fu tratto dal
ventre di Chaos pregna, non si sapendo nondimeno il vero Padre; del cui
allevamento Theodontio recita tal favola. Dice egli, che Pronapide Poeta scrive
che, facendo residenza Demogorgone per riposarsi alquanto nell'antro
dell'Eternità, udì un rimbombo nel ventre di Chaos. Per il che mosso, &
stendendo la mano, aperse il ventre di quello, & trattone il Litigio, che
faceva tumulto, perche era di roza, & dishonesta faccia lo gittò in aria;
ilquale subito volò in alto percioche non havea potuto scendere al basso,
parendo colui, che lo havea tratto del ventre della madre piu inferiore di
tutte l'altre cose. Chaos poi, lassa per la dura fatica, non havendo alcuna
Lucina da chiamare, che l'aiutasse, tutta bagnata, & tutta infiammata,
mandando fuori infiniti sospiri pareva, che si havesse a cangiare in sudore,
havendo ella ancora in sé la forte mano di Demogorgone; per cui avenne che,
trattogli già il Litigio, gli cavò medesimamente insieme tre Parche, &
Pane. Indi, parendogli poi Pane piu atto degli altri nelle attioni delle cose,
lo fece governatore della tua stanza, & gli diede per serventi le sorelle. Chaos
a questo partito, libera del peso, per comandamento di Pane successe nella
sedia di Demogorgone. Ma il Litigio, da noi piu volgarmente detto Discordia, da
Homero nella Iliade è chiamato Lite, & detta figliuola di Giove; laquale
egli dice, percioche Giove per colpa sua era stato offeso da Giunone circa la
natività d'Euristeo, di Cielo in Terra era stata cacciata. Theodontio poi sopra
il Litigio adduce appresso molte altre cose, lequali dove meglio ci parranno da
porre, le metterò; onde quì al presente le lascio. Hora hai inteso, inclito Re,
la ridicolosa favola; ma siamo già giunti là dove è bisogno levare la corteccia
dalla verità della fittione. Ma prima egli è da rispondere a quei, che spesse
volte dicono, perche i Poeti scrissero le opre d'Iddio, della natura, o vero
degli huomini sotto velame di favole? Non havevano altra via? Certissimamente
la vi era, ma si come a tutti non è una istessa faccia, cosi nè anco i giudici
degli animi. Achille prepose l'armi all'otio. Egisto l'otio all'armi. Platone,
lasciato tutto il resto, seguitò la Filosofia. Fidia il scolpire statue col
scalpello. Apelle col pennello dipingere imagini. Cosiaccioche io lasci gli
altri studi degli huomini, il Poeta s'è dilettato con favole coprire il vero.
La cagione del cui diletto Macrobio scrivendo sopra il Sogno di Scipione assai
apertamente pare che dimostri mentre dice, Ho detto degli altri dei, &
dell'anima non indarno si convertono alle favole per dilettarsi, nè altri, ma
perche sanno la sua spositione aperta in ogni parte essere inimica della
natura; laquale si come ai sensi degli huomini volgari col diverso suo cuoprire
di cose ha levato la cognitione di intenderla, cosi dai prudenti ha voluto i
suoi segreti con favolose discrittioni essere trattati. In tal modo essi misteri
di favole con segreti sono aperti, overo accioche tolti via questi la natura si
dimostri ignuda di cose tali; ma consapevoli solamente gli huomini saggi del
vero segreto con l'interpretatione della sapienza, contenti sono gli altri.
Questo dice Macrobio. Et come che molto più si potesse dire, nondimeno istimo a
bastanza essersi risposto ai dimandanti. Appresso o Rè, egli è da sapere sotto
questi figmenti non esservi una sola intelligenza, anzi piu tosto si può dire
Poliisemo, cioè senso di molte. Percioche il primo senso si ha per corteccia,
& questo è chiamato litterale. Altri le significationi, per corteccia,
& questi sono detti allegorici. Et accioche quello ch'io voglia dire piu
facilmente si capisca, metteremo un'essempio; Perseo figliuolo di Giove per figmento
Poetico amazzò Gorgone, & vittorioso volò in Cielo. Mentre questo si legge
secondo la scrittura, non si piglia altro, che il senso d'historia. Se da
queste scritture poi si ricerca il senso morale, si dimostra la vittoria del
prudente contra il vitio, & il camino alla vertù. Se anco vogliamo poi
allegoricamente pigliare il tutto, ci viene designata l'elevatione della pia
mente alle cose celesti, sprezzate le mondane. Oltre di ciò, potrebbe
analogicamente esser detto per la favola esser figurato l'ascender di Christo
al Padre, vinto il prencipe del mondo. I quai sensi nondimeno, benche siano
nomati con diversi nomi, tuttavia si pono chiamar tutti allegorici; il che per
lo piu si fa. Percioche allegoria viene detta da Allon,
che latinamente significa alieno, overo diverso, & però tutte quelle cose,
che sono diverse dall'historiale overo letteral senso ponno essere meritamente
dette allegorice, si come già è stato detto. Ma l'animo mio non è secondo tutti
i sensi voler dichiarar le favole, che seguono, potendosi assai imaginare di
più sensi cavarsene uno, come che alle volte forse ve se n'aggiungano piu. Hora
con che poche parole narrerò quello, che istimo Pronapide di ciò haver
giudicato? A me pare quello haver voluto designare la creation del mondo secondo
la falsa opinione di quelli c'hanno istimato Iddio di composta materia haver
prodotto le cose create. Percioche haver sentito Demogorgone nel ventre di
Chaos far tumulto, non tengo esser altro, che la divina sapienza, che movesse
quella per alcuna cagione, come sarebbe a dire la maturezza del ventre, cioè
l'hora del tempo determinato essere venuta, & cosi haver incominciato
volere la creatione, & con regolato ordine partire le cose congiunte. Et
però haver steso la mano, cioè dato effetto al volere, affine, che di una
diforme adunanza producesse un'opra formata, & ordinata; onde prima degli
altri trasse del ventre della affaticata, cioè, che sopportava la fatica della
confusione, il Litigio, ilquale tante volte si leva dalle cose quanto, rimosse
le cagioni delle cose, a quelle si mette debito ordine. E adunque manifesto
egli prima d'ogn'altra cosa haver fatto questo, cioè haver separato quelle
cose, che erano insieme. Gli elementi erano confusi; le cose calde alle fredde,
le secche all'humide, & le liggieri alle gravi contrastavano. Et parendo,
che la prima attione d'Iddio per ordinare i disordini havesse tratto il
Litigio, fu detto primo figliuolo di Demogorgone. Che poi fosse gittato via per
la diforme faccia, perche è cosa brutta per lo piu il litigare. Indi che
volasse in alto, piu tosto pare, che dia ornamento all'ordine favoloso, che
voglia significar altro. Oltre di ciò, gittato, & non havendo luogo dove in
alto si potesse fermare, dimostra quello essere stato levato dalle più
inferiori parti del già prodotto mondo, & mandato in luce. Che dagli dei
fosse poi di novo cacciato in Terra, scrive Homero, che fu per questo, perche
per opra di lui Euristeo nacque inanzi Hercole, si come si dirà al suo luogo.
Ma in quanto all'interno senso questo io tengo, che dal movimento de' corpi
superiori spessissime volte appresso mortali nascano litigi. Appresso si può
dire quello essere stato gittato in terra dai superi, conciosia che appresso i
Dei superni tutte le cose si facciano con certo, & eterno ordine; là dove
appresso mortali a pena si trova alcuna cosa esser concorde. Indi quando dice
Chaos bagnata di sudore, & infiammata mandar fuori sospiri, penso, che non
istimi altro, che la prima separatione degli elementi, accioche per lo sudore
sentiamo l'acqua, per gl'infiammati sospiri poi l'aria, & il foco, &
quei corpi, che sono di sopra, & per la grossezza di questa mole, la Terra;
laquale subito per consiglio del suo Creatore divenne stanza, & sedia di
Pane. Di esser nato poi Pane dietro il Litigio, cred'io, che gli antichi
s'imaginarono in quella separatione d'elementi la Natura naturata haver havuto
principio, & incontanente alla stanza di Demogorgone, cioè al mondo, essere
stata preposta; come se per opra sua, cosi volendo Iddio, tutte le cose mortali
siano prodotte. Le Parche poi nate nell'istesso parto, & date per baile al
fratello, istimo essere state finte accioche s'intenda la Natura essere stata
prodotta con queste leggaccio che procrei, generi, nodrisca, & infine
allevi le cose nate; i quali sono i tre uffici delle Parche, ne' cui prestano
continua servitù alla natura, si come piu diffusamente nelle seguenti si
dimostrerà.
Che Pan sia stato figliuolo di
Demogorgone, già a bastanza di sopra si ha dimostrato. Di cui Theodontio recita
tal favola. Dice, che quello con parole provocò l'Amore, & venuti insieme a
battaglia fu da lui vinto; onde per comandamento del vincitore amò Siringa
d'Arcadia, laquale essendosi prima fatto beffe dei Satiri, sprezzò anco il
maritaggio di quello. Onde Pan constretto dall'amore, & seguendo quella,
che fuggiva, venne ch'ella giunta al fiume Ladone, & impedita da quello ivi
si fermò, & veggendo non poter schifar Pane, con preghi incominciò
dimandare l'aiuto delle Ninfe, per opra delle quali fu convertita in cannelle
di paludi. Le cui sentendo Pan per lo movere de' venti, mentre l'una con
l'altra si percoteva, essere canore, cosi per l'affettione della giovane da lui
amata, come per la dilettatione del suono commosso, volontieri tolse di quelle canne,
& di quelle tagliatone sei diseguali, compose (come dicono) una fistola,
& con quella primo sonò, & cantò, come anco pare, che Virgilio
dimostri; Fu il primo Pan, qual dimostrasse insieme. Con la cera congiunger piu
cannelle. Et quello, che segue. Oltre di ciò, di costui i Poeti, & altri
famosi huomini descrissero una maravigliosa figura. Percioche, si come Rabano
nel libro dell'origine delle cose dice. Questi inanzi l'altre cose, ha le corni
fisse nella fronte, che guardano in Cielo, & la barba lunga, & pendente
verso il petto, & in luogo di veste una pelle tutta distinta a macchie,
laquale gli antichi chiamarono Nebride. Cosi nella mano una bacchetta, &
un'instrumento di sete cannelle. Oltre di ciò lo descrive nei membri piu
inferiori peloso, & hispido, cioè piedi di capra, & come v'aggiunge
Virgilio, di faccia tra rosso, & nero. Rabano istimava questo, &
Silvano essere tutto uno. Ma il Mantovano Homero gli descrive diversi dicendo;
Venne Silvano ornato il capo
agreste.
Con honore squassando i ben fioriti
Piccioli rami, & i gran gigli
appresso.
Et
poi subito soggiunge.
Indi vi venne Pan d'Arcadia Dio
Et
altrove.
Pan, col vecchio Silvano, & le
sorelle Ninfe.
Et quello, che segue. Lasciate
adunque queste cose da parte è da passar più oltre. Et perche sopra Pan è stato
detto esservi la natura naturata, quello, che volessero fingere dicendo essere
stato vinto dall'Amore, facilmente m'imagino potersi vedere. Percioche come
subito la natura fu prodotta da esso Creatore, tantosto incominciò operare,
& dilettandosi dell'opra sua quella incominciò amare; cosi, mossa dal
diletto, si sottopose all'amore. Siringa poi, laquale dicono essere stata amata
da Pan, come diceva Leontio, vien detta grecamente da Sirim ,
che latinamente suona cantante a Dio. Onde potremmo dire Siringa essere melodia
dei Cieli o delle sfere, laquale (come piacque a Pitagora) si faceva overo si
fa da' vari movimenti tra se de' circoli delle sfere. Et per consequenza, come
cosa gratissima a Iddio, & alla natura, dalla natura operatrice viene
amata. O vogliamo piu tosto Siringa essere (oprando d'intorno a noi i sopra
celesti corpi) un'opra di natura armonizata con tanto ordine che, mentre con
continuo tratto è guidata a incerto, & determinato fine, ci faccia
un'armonia non punto differente da quella dei buoni cantori; il che è da
credere dover esser gratissimo a Iddio. Perche dicessero poi questa Ninfa
essere stata d'Arcadia, & tramuttata in cannelle, penso perche, come piace
a Theodontio, gli Arcadi furono i primi che, imaginatisi il canto, mandando
fuori per cannelle lunghe, & corte il fiato trovarono quattro differenze di
voci; indi ve n'aggiunsero tre. Ultimamente, quello, che facevano con molte
cannelle ritirarono in una fistola con i forami vicini alla bocca del
soffiante, con l'imaginatione di piu lontani. Ma dice Macrobio questa
inventione di Pitagora essere stata cavata dai colpi dei martelli piccioli,
& grandi. Giuseppe poi nel libro dell'Antichità de' Giudei vuole il Iubal,
molto piu antica inventione, essere stato ritrovamento di Iubalcain suo
fratello al tintinir dei martelli; ilquale fu fabbro. Ma perche a' quei c'hanno
finto ha paruto piu vero gli Arcadi essere stati gl'inventori, percioche forse
in quella età trappassavano gli altri con la fistola, hanno voluto quella
essere stata d'Arcadia. Che Siringa poi sprezzasse i Satiri, & Pan
fuggendo, & che fossi ritardata dal Ladone, & indi per aiuto delle
Ninfe convertita in canna, circa i nostri canti, al mio giudicio nasconde
alcuna consideration buona. Perche costei, sprezzati i Satiri, cioè gl'ingegni
rozzi, fuggì Pan, cioè l'huomo atto, & nato alle cose musicali; nè
veramente fuggì l'atto, ma per istima del desiderante, nella cui prolungatione pare,
che cessi quello, che disia. Questa poi viene fermata da Ladone, fino attanto,
che si fornisce l'instrumento da mandar fuori l'opra compiuta. È il Ladone un
fiume s'una ripa, che nodrisce cannelle della sorte, che dicon Siringa essersi
tramutata, de' quali poi habbiamo conosciuto la fistola esser composta. Là onde
dobbiamo intendere che, si come la radice de calami è infissa nella terra, cosi
anco l'opra dell'arte della musica, & indi il canto ritrovato, tanto sta
nascosto nel petto dell'inventore quanto vien prestato l'instrumento da
mandarlo fuori; il che si fa delle cannelle con l'aiuto della humidità ch'esce
dalla radice. Onde messolo insieme, l'armonia n'esce con l'aiuto dell'humidità
dello spirito, ch'eshala. Percioche se fosse secco nessuna dolcezza sonora, ma
piu tosto un muggito n'uscirebbe, si come veggiamo farsi del foco mandato per
le cannelle. Cosi in calami pare, che sia convertita Siringa, percioche per le
cannelle risuona. Oltre di ciò, fu possibile dall'inventor della fistola al
primo tratto haver ritrovato le cannelle a questo effetto appresso il Ladone,
& cosi dal Ladone ritenuto. Resta vedere quello, che poterono imaginarsi
circa l'imagine di Pan. Nella cui istimo gli antichi haver voluto descrivere
l'universal corpo della natura cosi delle cose agenti come delle patienti, come
sarebbe a dire intendendo per li corni diritti verso il Cielo la dimostratione
dei corpi sopra celesti, laqual, con doppio modo intendiamo, cioè con l'arte,
per laquale investigando conosciamo i discorsi delle stelle, & per lo cui
sentimento sentimo in noi le infusioni. Per l'accesa faccia di lui, l'elemento
del foco, al cui istimo, che volsero essere da pigliar l'Aere congiunto, ilqual
cosi congiunto, dissero alcuni esser Giove. Per la barba poi, che dimostra la
virilità, giudico haver voluto intendere la virtù attiva di questi due elementi
cosi congiunti, & appresso la loro operatione in terra, & in acqua,
mentre allungarono quella insino al petto, & alle parti piu basse. Indi che
fosse coperto d'una pelle macchiata, lo fecero accioche per quella si
dimostrasse la maravigliosa bellezza dell'ottava sfera dipinta dallo spesso
splendore delle stelle; dalla cui sfera, si come l'huomo è coperto dalla veste,
cosi tutte le cose appartenenti alla natura delle cose sono celate. Per la
verga poi m'imagino essere da intendere il governo della natura, per lo quale
tutte le cose, massime quelle, che mancano di ragione, sono governate, &
nelle sue operationi sono ancho guidate a diterminato fine. Aggiunsero a quello
la fistola, per disegnare l'armonia celeste. Ch'egli circa le parti piu basse
havesse il ventre hispido, & peloso, intendo la superfitie della Terra, dei
monti, quella gobba delli scogli, & quella coperta delle selve, dei
virgulti, & delle gramigne. Altri poi giudicarono altramente, cioè per
questa imagine esser figurato il Sole, ilquale credettero padre, & signore
delle cose. Tra quali fu Macrobio. Cosi vogliono i suoi corni essere inditio
della Luna, che rinasce, over la faccia rossa l'aspetto dell'Aere la mattina, &
la sera fiammeggiante. Per la lunga barba, i rai d'esso Sole, che calano fino
in terra. Per la macchiata pelle, l'ornamento, che deriva dalla luce del Sole.
Per lo bastone, overo verga, la potenza, & la moderatione delle cose. Per
la fistola, l'armonia del Cielo conosciuta dal movimento del Sole, si come di
sopra. Credo, Magnanimo Re, che tu veggia come liggiermente la passi nelle
spositioni, il che faccio per due ragioni. Prima, perche mi confido, che tu sia
di nobile ingegno, per lo quale tu possa, con ogni piccioli inditii, che ti
siano dati, penetrare in tutti i profondissimi sentimenti. Secondariamente
perche egli è da credere alle seguenti. Conciosia che, s'io volessi descrivere
tutte quelle cose, che si ponno addurre alla spositione di questa favola
parrebbe forse, ch'io l'havessi voluto fare per invidia della posterità, &
essa sola occuparebbe quasi tutto l'imaginato volume. Ilche voglio anco, che
sia detto dell'avanzo. Et per ritornare alle lasciate, questo Pan, overo
quelle, che in processo gli Arcadi istimarono istesso con Demogorgone (come è
paruto a Theodontio), ò che sprezzato quello drizzassero tutte le menti in
questo, con sacrificij horrevoli, come sarebbe dire sacrificandoli con sangue
humano, anzi de figliuoli, grandemente adorarono et lo chiamarono Pana, da Pan,
che latinamente significa il tutto. Volendo perciò che tutte quante le cose,
che sono nel grembo della Natura siano concluse, et cosi ch'essa sia il tutto.
I piu giovani poi, percioche le cose rinovate piacciono chiamarono Pana Liceo.
Altri levato il nome di Pan solamente il dissero Liceo, & alcuni Giove
Liceo, istimando per opra della natura, overo di Giove, i lupi lasciare le
greggi, de' quali quasi tutti loro erano molto abondanti, et cosi dal cacciar
dei lupi pare, che meritasse il cognome. Percioche in greco il lupo si dice
Licos. Ma Agostino dove scrive della Città d'Iddio narra non perciò essere
avenuto, che Pan si chiamasse Liceo, anzi per la spessa mutatione degli huomini
in lupi, che occorreva in Arcadia, il che pensavano non esser fatto senza
operatione divina. Oltre di ciò pare, che Macrobio habbia voluto intendere Pan
non in vece di Giove, ma esser il Sole. Percioche il Sole era tenuto per padre
di tutta la vita mortale. Conciosia che al levar suo, havevano in usanza i lupi,
lasciate l'insidie contra i greggi, ritornar nelle selve, cosi per questo
beneficio il chiamarono Liceo.
Cloto, Lachesi, & Atropos,
come di sopra, dove si ha trattato del Litigio, furono figliuole di
Demogorgone. Ma Cicerone chiama queste le Parche, dove scrive delle Nature de'
Dei, & dice, che furono figliuole dell'Herebo, & della Notte. Nondimeno
piu tosto m'accosto a Theodontio, ilquale dice quelle essere create con la
natura delle cose, il che molto piu pare al vero conforme, ciò è loro essere
state coetanee alla natura delle cose. Et queste istesse dove di sopra Tullio
le chiama in singolar Fato, facendolo figliuolo dell'Herebo, & della Notte,
io piu tosto, havendo rispetto a quello che vien scritto del Fato, accioche
dopo seguiti figliuolo di Demogorgone, chiamerollo con questo nome, che è in
luogo di Parche. Seneca poi nelle Pistole a Lucullo chiama queste Fati, citando
il detto di Cleante, cosi dicendo: I Fati traheno quello che vuole, & non
vuole. Ilche circa non solamente descrive il loro ufficio,
cioè esse sorelle guidare il tutto, ma anco costringere, non altrimenti, che se
di necessità occorra il tutto. Laqual cosa molto piu apertamente pare, che
Seneca Poeta Tragico tenga nelle Tragedie, massimamente in quella il cui titolo
è Edippo, dove dice; Da i Fati siamo constretti ai Fati credere. Non ponno le
sollecite diligenze cangiare li stami del torto fuso. Ciò, che patisce il
genere mortale, & ciò, che facciamo, la conocchia rivolta alla dura mano di
Lachesis, rivolge dal Cielo, & serba i suoi decreti. Tutte le cose vanno
per troncato sentiero, & il primo giorno ha dato l'estremo. Non l'è
concesso da Iddio rivolger quelle cose lequali congiunte per sue cagioni
occorrono. Và a colui l'ordine immobile, a cui istima senza nessuna preghiera,
che noccia haver temuto lui per molte cagioni. Molti vennero al suo fato,
mentre temerono i Fati, et quello, che segue. Ilche pare anco, che Ovidio
giudicasse, quando nel maggior suo volume in persona di Giove dice a Venere;
Tu sola pensi l'invincibil Fato
Poter cangiare, se ben'entro
entrassi
Da le sorelle, dove tu vedrai
Le istanze da le tre d'una gran
mole,
Et d'aere i palchi, & di ben
fermo ferro:
I quai non temon, ne di Ciel
concorso,
Nè di fiume ira, nè rovina alcuna,
Cosi sicuri sono, & anco eterni
Ivi tu troverai scolpiti i Fati,
De la prosapia tua, di dur
diamante.
Per lequali parole, oltre già la
falsa opinione, si può considerare queste tre sorelle essere il Fato, &
come, che Tullio habbia distinto i Fati in Parche, & Fati, volendo piu
tosto, come istimo, con la divinità dei nomi dimostrar la diversità degli
uffici, che delle persone. Ma noi di questi tre, ultimamente da esser ridotti
in uno, quello, che ne sentano alcuni vederemo. Di sopra habbiamo detto queste
essere state dedicate dal Padre ai servigi di Pane, et n'habbiamo dimostrato la
cagione. Fulgentio poi dove tratta dei Mitologij dice quelle essere state attribuite
ai voleri di Plutone dio degl'Inferi, & credo affine, che sentiamo le
attioni di queste solamente impacciarsi d'intorno le cose terrene, perche Pluto s'interpreta
terra. Et dice il medesimo Fulgentio Cloto essere interpretata Evocatione,
percioche, gittato il seme di ciascuna cosa, sta in suo potere condur quello di
maniera in accrescimento, che sia atto a venir in luce. Lachesi poi (come vuole
l'istesso) viene interpretata protrattione, cioè guida, & allungatione;
conciosia che tutto quello, che da Cloto è composto, & chiamato in luce, da
Lachesi viene raccolto, & allungato in vita. Ma Atropos dall'A , che
significa senza, & Tropos , che è
conversione, o vogliamo dire tramutatione, viene ad essere interpretata senza
conversione; attento, che ogni cosa nata subito, che da lei è conosciuta essere
giunta al termine a se prima segnato conduca a morte, dallaquale per opra
naturale non è poi nessuna conversione. Apuleio poi Medaurese Filosofo di non
minor auttorità di queste nel libro da lui chiamato Cosmografia cosi ne scrive;
Ma sono tre i Fati per numero, che oprano con la ragione del tempo, se tu
riferisci la potenza di questi alla assimiglianza del medesimo tempo. Percioche
quello, che nel fuso è compiuto ha spetie del tempo passato; quello, che si
torne nei diti significa li spatij del momento presente, & quello, che
anche non è tratto dalla conocchia, & sottoposto alla cura dei diti, pare,
che mostri le cose avenire del futuro, & consequente secolo. A questi ha
toccato tale conditione, & proprietà dei loro nomi. Che Atropos sia il fato
del tempo passato, il che veramente Iddio non sarà non fatto, del tempo futuro;
Lachesi poi cognominata dal fine, percioche anco Iddio hà dato il suo fine alle
cose, ch'hanno a venire. Cloto ha cura del tempo presente, accioche persuada ad
esse attioni; affine, che la cura diligente non manchi a tutte le cose. Questo
dice Apuleio. Sono appresso di quelli, che vogliono Lachesi essere quella, che
noi chiamiamo Fortuna; et da lei l'essere maneggiate tutte quelle cose, che s'appartengono
à mortali. Ma quello, che tengano gli antichi del fato, come che non siano
molto differenti dai precedenti, hora parmi da vedere. Dice adunque Tullio del
fato, nel libro ch'egli scrisse della Divinatione, in questo modo: Chiamo il
fato quello ch'i Greci marmedine, cioè ordine, & capo delle cause,
partorendo la causa di se la causa, & quella è la verità sempiterna, che
abonda d'ogni eternità; il che cosi essendo, non ha per avenire alcuna cosa,
della cui la natura non contenga le cagioni ch'oprano l'istesso. Onde
s'intende, che il fato sia, non quello che superficiosamente, ma quello, che
filosoficamente vien detto causa eterna delle cose, per laquale si sono fatte
le cose passate, si fanno quelle, che sono, & quelle, che seguiranno sono
per essere. Questo dice Cicerone. Boetio Torquato poi, huomo studiosissimo, et
catholico, dove scrisse della consolatione filosofica, altercando diffusamente
sopra questa materia con la filosofia maestra delle cose, tra l'altre cose dice
del Fato cosi; La generatione di tutte le cose, & tutto il progresso delle
nature mutabili, & ciò, che si move ad alcun modo, opera, & seguita le
cause, gli ordini, & le forme secondo la stabilità della mente divina.
Questa, composta nella Roccha della sua semplicità, ordinò diverso modo
nell'essequire le cose; ilqual modo, riguardandosi con essa purità di divina
intelligenza, viene detto Providenza. Quando poi egli vien rifferito a quelle
cose, che move, & dispone, dagli antichi è chiamato Fato. Queste cose dice
Torquato. Potrei anco descrivere quello, che Apuleio nella Cosmografia
diterminò del Fato, & appresso l'openioni d'altri; ma perche istimo assai
essersi detto, brevemente descriverò perche le Parche, ò il Fato, overo i Fati
siano detti figliuoli di Demogorgone o dell'Herebo, overo della Notte. Havendo
spesso ad occorrere per l'avenire, & essendo già nelle precedenti cose
accaduto, che il causato sia detto figliuolo del causante, possiamo al presente
dire queste tre sorelle, chiamate con diversi nomi, figliuole d'Iddio, come da
lui causate; ilquale è prima cagione delle cose, come a bastanza per le parole
poco dianzi di sopra di Cicerone, & Torquato si può vedere. Questo Iddio,
come è stato detto, gli antichi chiamarono Demogorgone. Che poi dell'Herebo,
& della notte, come dice Tullio, siano nate, si può produrre tal ragione.
L'Herebo è un luogo (come piu apertamente si dimostrerà nelle cose seguenti)
della Terra profondissimo, & nascosto, ilquale allegoricamente possiamo
torre per la profondità della divina mente, nella cui occhio mortale non può
penetrare, & la divina mente, come sé stessa veggendo, intendendo quello
havesse a fare producesse indi queste, havendo a fare con la natura delle cose;
onde a bastanza possiamo dire essere nate dall'Herebo, cioè dal profondissimo, &
interno segreto della divina mente. Figliuole poi della Notte si ponno dire in
quanto a noi, percioche tutte quelle cose nelle quali la luce degli occhi
nostri non può penetrare chiamiamo oscure, & simili alla notte quelle, che
mancano di luce. Cosi noi adombrati da mortal nebbia non potendo passare con
l'intelletto all'intrinseco della divina mente, essendo quella in sé
chiarissima, & splendente di viva, & sempiterna luce, attribuiamo il
vitio a lei col nome del nostro habito, chiamando notte il giorno chiaro. Et
cosi saranno figliuole della Notte, o vogliamo dire, perche ci sono nascoste le
loro dispositioni le chiamiamo oscure, e figliuole della Notte. De' nomi propri
egli s'ha detto di sopra; degli appellativi, si dirà. Chiama adunque Tullio
queste Parche come pens'io per antifrasim, percioche non perdonano a nessuno;
conciosiache appresso loro non è alcuna eccettione di persone. Solo Iddio può
calcare, & rivolgere le sue forze, & ordine. Fato poi, overo Fati, è
nome tratto da for faris, quasi
che vogliano quelli, che l'imposero tal nome, che da quelle di maniera quasi
irrevocabile sia detto, overo previsto; come per le parole di Boetio assai si
comprende, & come anco pare, che tenga Santo Agostino dove parla della
Città di Dio: ma egli rifiuta il vocabolo, avisando, che se alcuno chiamerà la
volontà o la potenza d'Iddio con nome di Fato, sia sententiato a lasciarvi la
lingua.
Dicono appresso Polo essere stato
figliuolo di Demogorgone, & questo nel suo Protocosmo afferma Pronapide,
che di lui recita tal favola. Dicendo che, stando appresso l'onde nella sua
sedia Demogorgone, & del fango, che n'usciva compose una massa da lui
chiamata Polo, ilquale spezzato le caverne del Padre, & la pigritia se ne
volò in alto, & essendo anco una mole, nel volare crebbe in cosi gran
corpo, che circondò tutte quelle cose, che per inanzi dal Padre erano state
composte. Ma nè anco havea alcuno ornamento; quando stando d'intorno al Padre,
che fabricava il globo della luce, & veggendo molte faville accese per li
colpi dei martelli, che qua, & là volavano, allargato il grembo tutte le
raccolse, & portolle nella sua stanza, adornandola tutta di quelle. Havrei,
Inclito Re, di che ridermi veggendo cosi disutile ordine del composto mondo; ma
inanzi ho protestato non voler biasimare alcuna cosa. Seguita adunque nel resto
secondo quei, che vogliono l'opinione di Pronapide, che di terra inclusa dalla
mente divina in terra essere stata prodotta, mentre dice il Polo; ilquale io
intendo il Cielo, di terra estesa essere fatto, & ridotto in grandissimo
corpo ch'abbraccia il tutto. Che poi di faville ch'uscivano dalla luce ornasse
la sua casa, istimo ciò essere insteso perche, splendendo i raggi del Sole, le
stelle locate in Cielo, per natura mancando di sua luce, siano fatte
splendenti. Il Polo poi vien detto, come penso, da alcune sue parti piu
appartinenti, percioche è chiaro, secondo, che l'Honorato Andalone mio
precettore, & gli antichi auttori d'Astrologia affermano, tutto il Cielo
essere fermato sopra due Poli; l'uno de quali, il piu vicino a noi chiamano
Artico, & l'opposito Antartico. Nondimeno alcuni chiamano questo Poluce; ma
non ne trovo la cagione.
Fitone (per testimonio di
Pronapide) fu figliuolo di Demogorgone, e della Terra: della cui natività egli
recita tal favola. Dice, che Demogorgone fastidito dal rincrescimento della
continua nebbia ascese i monti Acrocerauni, & da quelli trasse una troppo
grande, & infiammata mole, & prima con forsici d'ogn'intorno la tondò,
indi col martello la fermò nel monte Caucaso. Dopo questo la portò di là dal
Taprobane, e sei volte bagnò quel lucido globo nell'onde, & altrettante lo
girò d'intorno per aria: e questo fece, accioche per lo girare mai non si
potesse sminuire, nè mancare dalla rugginezza dell'età: & affine, che anco
piu leggieri fosse portato per tutto. Ilquale subito levandosi in alto entrò
nella stanza del Polo, & empì tutta la stanza del Padre di splendore. Poi
per le immersioni sue l'acque pria dolci pigliarono l'amarezza del salso, &
l'aere cacciato dai giri fu fatto a capire i raggi della luce. Orfeo poi,
ilquale fu antichissimo di quasi tutti i Poeti (come Latantio scrive nel libro
delle Divine Institutioni) ha creduto questo Fitone essere il primo
grandissimo, & vero Iddio, & da lui essere stato prodotto, & creato
tutte le cose; il che forse in questa opra gli havrebbe dato il primo loco,
havendo cosi degno testimonio, se esso istesso Orfeo poco considerando (come
istimo), o vero perche non potesse imaginarsi alcuno non essere stato generato,
non havesse scritto: Prothogonus Fiton perimeteos; neros, & yos, che in
verso suona;
Nacque in
principio Fithon d'aere lungo.
Cosi non viene ad essere primo,
si come di sopra havea detto, essendo generato dall'Aere. Oltre di ciò
Lattantio, dove di sopra lo chiama Faneta. Ma l'ordine già pigliato ricerca,
che noi veggiamo quello, che contenga la fittione; il che si vedrà quasi da sé,
dichiarato c'havremmo il senso de' nomi. Uguccione nel libro dei Vocaboli dice
Fitone essere il Sole, & haversi acquistato tal nome dal serpente Fitone da
lui amazzato. Cosi anco Paolo nel libro da lui chiamato delle Collettioni dice Fanos , overo Faneta
esser l'istesso, che apparitione. Cosi anco Lattantio chiama questo Fitone,
ilqual nome benissimo si conviene al Sole. Percioche egli è quello, che levando
appare, & cessando lui non sarà alcuna apparitione d'altre creature
mortali, o vero anco di stelle. Adunque Pronapide vuol dimostrar la creatione
del Sole, circa laquale, accioche consegua la sua opinione, quelli, che
vogliono tutte le cose create di terra induce Iddio, overo la divina mente
della Terra, dagli Acrocerauni monti haver tolto la materia, istimando egli la
terra infiammata essere piu atta a componere un lucido corpo. Che poi con
forsici tondasse questa mole, intendo la divina arte; per laquale di maniera il
globo del Sole è fatto talmente sferico, che per alcuna cosa soprabondante la
sua superfitie è gobba. Medesimamente anco il martello può essere chiamato
intento del sommo artefice, col quale nel monte Caucaso, cioè nella sommità del
Cielo, di maniera formò quel corpo solido, & fermo, che da nessuna parte
pare, che non si possa sminuire nè consumare. Indi dice quello essere stato
portato di là Taprobane, affine di dimostrare dove si pensi essere stato
creato. Taprobane è una Isola dirimpeto alla foce del fiume Gange, dalla cui
parte nell'Equinotio a noi nasce il Sole, & cosi pare, che voglia essere
composto in Oriente. Dice poi, che sei volte fu ivi tuffato nell'onde,
immitando le attioni del fabbro; ilquale per indurare il ferro bollente lo
caccia nell'acqua. Et in ciò giudico, che Pronapide habbia voluto mostrare la
perfettione, & eternità di questo corpo. È poi il sei numero perfetto, che
si fa con tutte le sue parti compiute; onde vuole, che intendiamo la
perfettione dell'artefice, & dell'arteficiato. Indi che lo girasse
d'intorno sei volte, istimo, che per lo numero perfetto del giro habbia voluto
descrivere il suo motto circolare, & che non manca; dal cui mai non si
trova egli haver mancato nè essere restato. Che poi, per haver bagnato il
grande, & infiammato corpo, le acque prima dolci siano divenute amare,
penso non essersi detto per altro se non affine di dimostrare, che per lo
continuo percuotere degli ardenti raggi del Sole nell'acque del mare, che
quella superficie di sopra via dell'acqua marina sia divenuta salsa, come
vogliono i Fisici.
La Terra, come di sopra si è
veduto, fu sedia, & figliuola di Demogorgone; dellaquale Statio nella
Thebaide cosi scrive;
O eterna madre d'huomini, & di
Dei,
Che generi le selve, i fiumi, e
tutti
Del mondo i semi, d'animali, &
fiere.
Di Prometheo le mani, e insieme i
sassi
Di Pirra, & quella fosti, la
qual diede
Prima d'ogn'altra gli elementi
primi,
E gli huomini cangiasti, &, che
camini,
E 'l mare guidi, onde a te intorno
siede
La queta gente degli armenti, &
l'ira
De le fiere; e il riposo degli
uccelli:
Et appresso del mondo la fortezza
Stabile, e ferma, & del Ciel
d'Occidente
La macchina veloce, & l'uno,
& l'altro
Carro circonda te, ch'in Aere vuoto
Pendente stai. O de le cose mezzo,
Et indivisa ai grandi tuoi
fratelli.
Adunque insieme sola a tante genti,
Et una basti a tante alte Cittadi,
Et popoli di sopra, anco di sotto,
Che senza sopportar fatica alcuna
Athlante guidi, ilqual pur affatica
Il Cielo à sostener, le Stelle e i
Dei.
Et quello, che segue. Ne quai
versi certamente a pieno si dimostra l'opra, e le lodi della Terra; della cui
generatione havendone detto di sopra, dove si hà parlato del Litigio parmi più
non essere bisogno dirne altro. Nondimeno gli antichi la chiamarono moglie di
Titano, & che di lui partorisce alcuni figliuoli, come è stato dianzi
mostrato, & dal nepote Oceano, & dall'infernal Fiume Acheronte, et anco
da altri non conosciuti, come si mostrerà al luogo suo. Oltre di ciò la
chiamarono per molti nomi, come sarebbe a dire Terra, Tellure, Tellumene, Humo,
Arrida, Buona Dea, gran madre, fauna, & fatua. Ha oltre di ciò costei con
alcune dee i nomi comuni, perche si chiama Cibele, Berecinthia, Rhea, Opis,
Giunone, Cerere, Proserpina, Vesta, Isis, Maia, & Media. Ma quello, che
d'intorno i predetti volsero intendere i Theologhi, è homai da vedere. La
chiamano moglie di Titano, che è il Sole, percioche il Sole in lei opra come in
materia atta a produrre ogni sorte d'animali, metalli, pietre pretiose, &
simili cose. Alcuni vogliono Titano essere stato un huomo di gran potere, &
chiamato marito nella Terra perche possedeva molto terreno, & hebbe
figliuoli di tanta maravigliosa fortezza, & grandezza di corpo, che
parevano nati non di donna, ma di molto maggior corpo, come sarebbe della
Terra. Et per giungere ai nomi, dice Rabano nel libro dell'origine delle cose
la terra essere detta con questo nome da terendo , percioche cuopre quello, che
s'appartiene alla superficie sola; Tellus poi, come l'istesso testimonia, è
detta percioche da quella tagliamo i frutti. Ma Servio dice Terra essere
quella, che si cuopre, & Tellus la Dea. Et altrove dice Tellus essere la
Dea, & terra lo elemento; ma alle volte l'una si mette per l'altra, si come
Vulcano per lo fuoco, & Cerere per lo frumento. Tellumene poi, com'io per
congiettura posso capire, dissero quella parte della terra laquale non si
cuopre, nè è buona per radici di gramigne ò d'arbori, percioche è molto piu
inferiore di quella, che si dice Tellure. Humo poi, secondo Rabano, è chiamata
quella parte della terra, che ha molta humidità, come è propinqua a i paludi,
& ai fiumi. Chiamarono anco Arida la terra; non perche il Creatore dalla
creatura sua cosi la nomasse, affine di mostrare la sua vera complessione, ma
percioche si ara. Ma Buona Dea, per testimonio di Macrobio ne' Saturnali, fu
detta cosi essendo causa a noi di tutti i beni al vivere. Per che nudrisce le
cose, che producono, serba i frutti, dà l'esche agli uccelli, i paschi ai
bruti, de' quali anco noi siamo nodriti. Gran Madre poi, secondo Paolo,
volsero, che si chiamasse pensandosi, che fosse creatrice del tutto. Ma io
istimo perche come pia madre con sua grandissima abondanza nodrisce tutte le
cose mortali, & nel suo grembo raccoglie quelle che muoiono. Perche poi la
dicessero Fauna, Macrobio il descrive dicendo, tutto che favorisce ad ogni uso
degli animali; il che è di maniera chiaro, che non fa mistieri dichiararlo.
Fatua dice, che è detta a fando, come vogliono gli antichi, che significa dal
parlare. Conciosia che i fanciulli da essere partoriti non prima hanno voce ò
la mandano fuori, che non tocchino quella. I quai nomi veramente con gli altri
nomi sono comuni; dove nelle seguenti cose, facendone mentione, s'intenderanno
tutto uno. Ma verremo a dichiarare de figliuoli, iquali dicono ella haver
partorito di Padre incerto.
Dice Paolo, d'incerto padre la
notte essere stata figliuola della terra. Dellaquale Pronapide recita tal
favola, cioè quella essere stata amata da Fanete pastore; ilquale ricercando
per sposa alla madre, & quella volendoglila dare, ella rispose, che non
voleva un huomo non conosciuto, da lei non mai veduto, et sentito ricordare per
huomo molto differente da suoi costumi, onde più tosto voler morire, che a lui
maritarsi. Di che sdegnato Fanete, d'inamorato se le fece inimico, &
seguendola per amazzarla ella si congiunse con l'Herebo, non havendo ardire
apparrire dove fosse Fanete. Dice appresso Theodontio, che Giove à costei
concesse la carretta da quattro ruote, conciosia che gli era stata favorevole
mentre inanzi giorno andava a ritrovare Alcmena. Oltre di ciò, come, che sia
fosca, la ornarono di una sopravesta dipinta, & lucente, & ciò in sua
lode, & affine, che in parte dimostrasse il suo effetto. Statio nella
Thebaide canta questi versi;
Notte, ch'abbracci tutte le fatiche
Del Cielo, e de la terra, &
oltre mandi
L'ardenti stelle con trascorrer
lungo,
Cercando riparar l'animo fiero,
Mentre Titano agli animali infermi
Vicino infonde i parti suoi veloci.
Et quanto va dietro. Ma hora
veggiamo il senso. Dicono prima quella essere figliuola della terra senza
conoscimento di padre certo. Il che istimo perche la terra per la densità del
suo corpo opra, che i raggi del Sole nella parte opposta a quelli non possano
penetrare, cosi per causa della terra si fa l'ombra cosi grande quanto spatio
viene occupato dalla metà del corpo della terra. La cui ombra viene chiamata
notte. Et cosi come causata dalla terra, & non da altra cosa, viene istimata
solamente figliuola della notte, senza haver padre certo nè conosciuto. Che poi
fosse amata da Fanete Pastore, credo deversi intendere a questo modo. Io penso
Fanete essere il Sole, & però detto pastore, conciosia che per opra sua le
cose viventi si pascano. Che amasse la Notte, istimo essere, finto attento, che
egli, desiderando come cosa da lui amata vederla, con veloce corso la segue,
& pare, che seco si voglia congiungere. Quella poi lo rifiuta, ne con
quello fugge di che egli la segua. Conciosia che i costumi loro sono
differenti, imperoche egli alluma, & ella oscura. Ne indarno dice, che se
la giunga la vuol far morire, dissolvendo il Sole con la sua luce ogni
oscurità; cosi le diventa inimico. Indi la notte si congiunge con l'Herebo,
cioè con l'inferno, nel cui non penetrando mai i solari raggi la notte vive, e
sta sicura. Che poi prestasse favore a Giove, la favola il manifesta, come si
vede in Plauto nell'Anfitrione. Percioche essendo andato Giove la mattina
nell'alba a ritrovare Alcmena, la notte, per prestargli favore, come se
incominciasse dopo il tramontar del Sole durò in lunga oscurità, per laqual
cosa meritò il carro da quatro ruote; per lo cui continuo giro, che fa della
terra intendo significare i quattro tempi della notte, che solo serveno al
notturno riposo. Macrobio partisce la notte in sette tempi, il primo incomincia
dallo entrar del Sole, & chiamasi crepusculo da crepero,
che significa dubbio, conciosia che dubiti se sia da concedere al giorno
passato o alla notte vegnente, & questo non diserve alla quiete. Il secondo
poi, quando è oscuro, si chiama prima face, conciosia che allhora si accendono
i lumi; nè questo è commodo al riposo. Il terzo, quando la notte è già piu
densa, & allhora si dice intempestiva notte, perche quel tempo non è atto à
operatione alcuna. Il quinto si noma Gallicinio, conciosia che dal mezzo suo in
poi, venendo la notte verso il giorno, i galli cantano. Il sesto è detto
conticinio, già vicino all'aurora, & cosi si chiama perche alhora per lo
piu il riposo è grato, & per ciò tutte le cose stanno quete, & ferme.
Et questi quattro termini si attribuiscono alla quiete. Il settimo si chiama
Diluculo, cosi detto dal giorno, che già luce, nel cui tempo gl'industriosi si
levano per fatti suoi, & ilquale non è punto atto al sonno. Et cosi tante
sono le ruote del carro della notte quanto in lei sono i tempi, che solamente
serveno al riposo. Overo vogliamo a guisa di nocchieri o di guardie de'
castelli partire la notte in quattro parti, cioè nella prima, nella seconda,
terza, & quarta vigilia della notte. Cosi verremo a fare quattro ruote del
carro di tante vigilie. Che poi sia vestita di veste dipinta, facilmente si può
vedere quella significare l'ornamento del Cielo, del quale siamo coperti. La
notte anco, come dice Papia, cosi si chiama perche nuoce agli occhi, conciosia
che toglie a quelli l'ufficio di vederci, imperoche di notte non ci veggiamo.
Nuoce appresso perche è mal atta alle operationi; imperoche leggiamo; Odia la
luce quel, ch'opera male. Onde segue, che ami le tenebre come piu atte al mal
fare. Et dice anco Giuvenale.
Per gli huomini scannar levan di
notte
I ladroni, etc.
Oltre di ciò Homero nella Iliade
la chiama donatrice de' Dei, accioche conosciamo, che la notte quei di
grand'animo rivoltano grandissime cose nei loro petti. Nondimeno la notte, poco
atta a tai cose, aggrava gli spiriti infiammati, & constringe quelli come
domati fino alla luce. Hebbe appresso, costei, sì dal marito come da altri,
molti figliuoli, come si narrerà nelle seguenti cose.
Piace a Virgilio, Poeta d'ingegno
divino, la Fama essere stata figliuola della Terra, mentre nell'Eneida dice,
Quella la terra partorendo tratta
Per sdegno de li Dei, sorella
estrema,
(Come dicon) d'Encelado, & di
Ceo,
Generò pure , & quello, che
segue.
Di costei, accioche appaia la
cagione della sua origine, da Paolo è recitata tal favola, che per ingordigia
di regnare essendo nata guerra tra i giganti Titani figliuoli della Terra,
& Giove, si venne a questo, che tutti i figliuoli della terra ch'erano
contrari a Giove fossero amazzati, & da Giove, & dagli altri Dei. Per
la cui doglia la Terra sdegnata, & di vendetta ingorda, non essendo
bastanti l'arme sue contra cosi potenti nemici, affine d'oprar quel male, che
per lei si potesse, con tutte le forze, constretto l'utero suo mandò fuori la
Fama, riportatrice delle scelerità degli Dei. Poscia, di costei descrivendo
Virgilio la statura, & l'accrescimento, cosi dice:
La Fama è un mal di cui non più
veloce
È alcun'altro, & di volubilezza
Sol vive, & caminando acquista
forze,
Picciola al timor primo, e s'inalza
Fino alle stelle, & entra ne la
terra,
Et tra i nuvoli ancora estende il
capo.
Et poco
da poi soggiunge:
Et veloce de piedi, e liggier
d'ale,
Un monstro horrendo, & grande,
al quale quante
Sono nel corpo piume sono tanti
occhi
Di sotto vigilanti, e tante lingue,
(Maraviglia da dire), & tante
bocche
Suonano in lei, & tante
orecchie inalza.
Vola di notte in mezzo'l Ciel
stridendo
Et per l'ombra terrena, nè mai
china
Gli occhi per dolce sonno, &
siede il giorno
A la guardia del colmo d'alcun
tetto,
O sopra d'alte, & eminenti
torri,
Le gran Città smarrendo, e sì del
falso,
Come del vero è messaggier tenace.
Senti adunque eccelso Re, con
quanto ornamento di parole, con quanta eleganza, & con quanto suco, benche
in molto stretta fintione, Virgilio si sforzi mostrare, & dimostri quali
siano le sue attioni, veramente che lo senti. Ma accioche quelli che (oltre di
te) sono per leggere le veggiamo un poco più stese, a me piace esporre
alquanto, lasciando nondimeno da parte quello, che si voglia la favola di
Paolo. Dice adunque primieramente la Terra sdegnata per l'ira delli dei: il che
circa per gli irati Dei, intendo l'opra delle stelle d'intorno alcune cose.
Perche le Stelle, ò i corpi sopra celesti, senza dubbio oprano in noi per la
potenza a loro dal Creatore conceduta, secondo le spositioni di quelli, che
ricevano li loro influssi. Et di quì nasce, che un fanciullo o un giovanetto
cresce per opra sua. Quando poi venendo vecchio si declina, & mai non si
disgiunge dalla ragione dell'ottimo governatore, mai non oprano alcuna cosa,
che non paiano al falso, & subito giudicio di mortali, haverla fatta con
sdegno, come sarebbe quando guidano al suo fine un Re giusto, un felice
Imperadore, et un valoroso soldato. Et perciò disse Paolo Dei sdegnati perche
amazzarono quegli huomini, i quali gli huomini istimavano degni da essere fatti
eterni. Ma, che segue da questo; la terra per tal opra chiamata ira degli dei
si sdegna, & questa Terra s'intende l'huomo animoso, percioche tutti siamo
di terra. E a che si muove ella ad ira, affine di partorire la Fama
vindicatrice della futura morte, cioè, che opri quello per lo quale la fama del
suo nome nasca; accioche per ira degli Dei essendo caduto il suo nome, per la
Fama degli oprati meriti sopraresti, contra il voler anco di quelli, che
amazzaando l'huomo si sono sforzati in tutto levarlo dalla memoria. Al che ci
essorta anco Vir. dicendo;
A ciascun sta il suo giorno, &
hanno tutti
Di vita breve, e irreparabil tempo.
Ma la fama inalzar coi propri
fatti.
Quest'è di virtù sola ingegno,
& opra.
Chiama Virgilio questa Fama di
sopra un male, percioche per acquistarla con dritto passo tutti non vi
concorriamo. Conciosia che per lo più veggiamo i sommi sacerdotij essere
occupati con inganni, per frodi ottenersi le vittorie, per violenza possedersi
i prencipati, & tutte quelle cose licite, & illecitamente essere
acquistate, che sogliono inalzar i nomi. Attento che, se si opra virtuosamente,
alhora non si chiama vivendo la Fama vivere un male. Ma non propriamente ha
parlato l'Auttore, usando per l'infamia il vocabolo della Fama. Conciosia che,
se guarderemo la fittione, o più tosto la cagione, a bastanza conosceremo da
quella essere seguita la infamia, & non la Fama. Appresso dice questa nella
prima paura picciola, & cosi è. Imperò che come, che i fatti siano grandi,
da' quali nasce, pare, c'habbia principio da una certa tema degli ascoltanti,
attento che sempre siamo mossi dal primo sentire di alcuna cosa, & se ci
piace habbiamo paura, che sia falsa, se poi ci spiace, medesimamente teniamo,
che sia vera. Poi s'inalza in Aere, cioè vola in ampliarsi per lo parlare delle
genti; over si caccia tra gli huomini mediocri, & indi va per la terra,
cioè tra il vulgo, & i plebei. Allhora poi nasconde il capo tra i nuvoli,
quando si trasferisce ai Re. Et anco veloce d'ale perche, com'esso dice,
nessuna cosa non è più veloce. L'afferma gran monstro, & horribile per
rispetto del corpo, che a lei descrive, volendo che tutte le sue piume
(chiamandola uccello per lo suo veloce movimento) habbiano effigie d'huomo, non
ad altro fine, che per ciò s'intenda, che ciascun, che parli d'alcuna cosa
aggiunga una pena alla Fama, & cosi di molti, essendo molte le piume degli
uccelli, & non di poche si fa Fama. O più tosto chiama questo horribil
monstro perche quasi mai non può essere vinto. Conciosiache quanto più alcuno
cerca opprimerla, tanto più diventa maggiore; il che è cosa monstruosa. Dice
appresso tutti i suoi occhi essere vigilanti, attento che la fama non risuona
se non da persone vigilanti. Percioche se il parlamento sta queto, & dorme,
la fama si converte in niente. Che poi la notte voli in mezzo il Cielo, il dice
perche spessissime volte s'è ritrovato la sera essere avenuto alcun fatto, che
la mattina anco in lontanissime parti si ha saputo, non altramente, che se la
notte fosse volata. Overo, che dice questo affine di mostrare la vigilanza de'
cianciatori. Indi fa, che il giorno ella sieda guardiana, per dimostrare, che
per le sue nove si mettano guardie alle porte delle Terre, & delle Città,
& sopra le torri ad eccittare i guardiani, overo a far la scorta di
lontano. Et non distinguendo il falso dal vero, è contenta rifferire tutte le
cose per vere. La cui stanza appresso nel suo maggior volume cosi discrive
Ovidio;
Tra terra, mare, & il celeste
clima
Vicino a mezo il mondo è un ampio
luogo
Da cui si vede quanto in quello è
posto,
Benche lontani sian tutti i paesi;
Dove ogni voce penetra le cave
Per fino al Cielo. Ivi la fama
tiene
Il seggio suo, e in quella rocca
elesse
Entrate innumerabili, &
aggiunse
Mille forami ai tetti, & non
rinchiuse
D'alcuna porta i muri, anzi dì, è
notte
Sta sempre aperta, & tutta, è
fabricata
Di bocche risonanti, & tutta
freme,
Et riporta le voci, e ogn'hor
palesa
Quello ch'ell'ode. Entro non v'è
riposo,
Nè alcun silentio da alcuna parte
Non solo v'è gridar, ma un
mormorare
Bugiardo, & temerario, ivi la
vana
Letitia, & ivi le abbattute
teme,
La nova sedition (senza sapersi
Di bassa voce, come propio quello
Che da l'onde del mar suol esser
fatto;
Se di lontano alcun fremer lo
sente,
Overo qual'è il suono, allhor che
Giove
Fende l'oscure nubi, onde si fanno
Gli estremi suoi, & occupa i
theatri
La turba, e il liggier vulgo vassi,
e viene
Insieme seminando varie cose;
Et vere, & false, et van
volando insieme
Mille parole da rumor confuse,
Di quali empiono questi co i
parlari
L'orecchie vuote. Rifferiscon
questi
Le cose udite ad altri, &
cresce appresso
La misura del finto, e il novo
auttore
Sempre n'aggiunge alcuna a l'altre
intese;
Ivi sta la credenza, ivi l'errore
Chi de l'invention ne sia l'autore
Ella, ciò che si faccia in Cielo, e
in mare
E in terra vede, & tutto il
mondo cerca.
Et quello, che va dietro. A
bastanza anco ai poco ammaestrati queste cose sono palesi. Et però quello, che
voglia Paolo, mentre aggiunge alla favola la Fama essere stata generata affine
di palesare le cose dishoneste degli Dei, resta, che dichiariamo. Ilche non
istimo voler significar altro eccetto che, non potendo i minori con le forze de
maggiori contrastare, si sforzano con l'infamarli con parole vindicarsi.
Volsero poi ch'ella fosse figliuola della terra, perche la Fama non nasce da
altro, che dalle attioni oprate in terra. Che anco sia senza padre non è stato
detto senza ragione, attento che, si come spessissime volte delle cose oprate
dalla fama, de lequali per lo piu, secondo, che sono falsissime, non se ne sa
lo inventore, colui, che fosse ritrovato potrebbe essere descritto in luogo di
padre.
Afferma Theodontio Tartaro essere
stato figliuolo della terra, senza padre. Dice Barlaam, che costui pigro, &
da poco giace anco nel ventre della madre; percioche, volendolo partorire,
& chiamando in suo aiuto Lucina, ella non volse esserle favorevole al
parto, la onde partorì poi la fama per vergogna delli dei. Questo figmento ha
pigliato materia dall'effetto, non perche Lucina non fosse per dar favore a
quello, che era per nascere, overo al parto avenire; conciosia che gli antichi
s'imaginarono d'intorno il centro della terra essere un luogo molto cavo; dove
l'anime nocenti erano tormentate, come a pieno dimostra Virgilio nel discender
d'Enea all'Inferno. Questo vogliono esser detto Tartaro, & secondo Isidoro
delle Ethimologie cosi chiamato dal tremor del freddo. Percioche ivi nè mai
raggio di Sole non puote penetrare, nè v'è alcun movimento d'Aere per lo quale
possa scaldarsi. Che poi nel ventre della madre si faccia da poco, assai si
conosce perche non può ascender di sopra, & se vi ascendesse, non sarebbe
più Tartaro. Impropriamente è poi chiamato figliuolo della terra. Percioche,
come, che una donna l'habbia conceputo, nondimeno s'un conceputo non sarà
venuto in luce, di ragione non si potrà dire figliuolo. E nomato anco senza
padre conceputo, accioche crediamo il corpo della terra haver concavitadi. Non
siamo già però certi si havesse origine della creatione, overo dal seguito dopo
la creatione. In testimonio delle predette cose dice Virgilio;
Esso Tartaro sta due volte tanto
In profondo sepolto sopra l'ombre
Quanto di sopra è l'aspetto del
Cielo
Verso la terra d'ogn'intorni in
alto.
Indi segue:
Qui l'antica progenie de la terra
(Di Titan) da folgor percossa
E rivoltata nel profondo centro.
Et quello, che và dietro.
Tagete come affermarono i
Gentili, & massimamente Toscani, senza cognitione di padre fu tenuto
figliuolo della terra. Di cui rifferisce Paolo Perugino che, essendosi alquanto
gonfiata la terra appresso Toscani nel campo Tarquinese, quel villano del quale
era il campicello, commosso dalla novità della cosa, desideroso di vedere ciò
che volesse mostrare quella gonfiezza stette alquanto ad aspettare; finalmente
divenuto impatiente, un giorno tolse una zappa, et incominciò pian piano a
cavar quel loco; nè molto penetrò ch'eccoti da quelle glebe uscire un
fanciullo. Per lo cui monstro smarrito l'huomo rozo chiamò i circonvicini. Ne
molto da poi questi, che poco dianzi era stato veduto fanciullo, fu visto d'età
compiuta, et indi a poco vecchio. Poi havendo insegnato a gli habitatori l'arte
dell'indovinare, mai più non comparse. Onde gli habitatori tenendolo Dio
l'hebbero per figliuolo della terra, & lo chiamarono Tagete, che l'istesso
sonava già in lingua Toscana, che fa nel latino Iddio, & poscia in luogo di
sommo Iddio lo adorarono. Ma Isidoro dice, che con l'aratro havendo un
Contadino levato una zolla fu trovato il fanciullo, nè più da' Toscani veduto,
& allhora haverli insegnato l'arte dello indivinare, & di quella anco
haverne lasciato libri, iquali da' Romani furono poi nella loro lingua
trasportati. Del cui figmento istimo essere stato il senso tale, cioè poter
essersi ritrovato alcuno che, lungamente studiando d'intorno quest'arte, &
per commodità della contemplatione (sprezzata la conversatione degli huomini)
comparse in un subito dotto; cosa, che punto non era creduta. Et il finto
partorir della terra, si può credere che egli forse veduto fosse uscire
diqualche speloncha, overo, che come non pensato s'appresentò dinanzi gli occhi
del lavoratore del campo, come se fosse uscito da quelle glebe; cosi dal rozo
vulgo fu detto figliuolo della terra. Senza padre, poi, perche il suo
nascimento fu dubbioso. Oltre di ciò, hebbero in usanza gli antichi chiamar
figliuoli della terra tutti gli stranieri non conosciuti, che venivano a loro
da viaggio per terra, si come dicevano Nettuni quelli, che venivano per mare.
Fu detto fanciullo perche fu ritrovato novo, & subito in età provetta,
& vecchio; il che significa dotto, & prudente (cosa che è propria de'
vecchi). Che ciò avenisse nel campo Tarquinese, o perche fosse ivi prima il
detto Tagete conosciuto, ò perche Toscani furono famosissimi nell'arte d'indovinare.
Per lo breve termine poi del suo dimorare, si comprende l'affettione grande
degli habitanti verso lui, percioche il dimorar de una cosa amata (come che
fosse lunghissima) all'amante par sempre breve. Che anco fosse tenuto per Dio,
istimo essere avenuto per questo, che la dottrina, laquale grandemente
honoravano (oprando Iddio) nobilitassero.
Ogn'uno chiama Antheo figliuolo
della terra, et perche alcuno non gli assigna padre, è stato necessario tra i
figliuoli metterlo senza padre certo. Del quale cosi Lucano scrive:
Non dopo haver la terra partorito
I gran Giganti, & quel, ch'ella
in un parto
Cosi terribil fe nei Libici antri;
Nè de la terra fu gloria si giusta
Thifo, ò il feroce Briareo, ch'al
Cielo
Perdonò pure. Quanto ch'ella tolse
Dai Phelegri campi il grande Antheo
Questo si smisurato, & cosi
fiero
Partorì con tal don la terra a
forza,
Che come i membri suoi toccar la
madre
Vissero con forza acre, e robusta
Dicon, ch'una spelonca a lui fu
casa,
E sotto un'alta rupe le vivande
Haver nascosto, & haver anco
appresso
Rapito gran Leoni, & quello
avezzi
Non furo i letti a dar riposo al
sonno;
Che ne le selve ei ripigliò le
forze
Giacendo sopra de la terra ignuda
Quei che lavoran de la Libia i
campi
Morirono a tal modo, ancor morendo
Quelli, che aggiunge il mar, ma con
l'aiuto
La vita lungamente non havendo
Animo di cadere ogn'hora sprezza
Le ricchezze terrene; onde
l'invitto
Tra tutti di valor, benche
restasse.
Et quello, che segue. Si vede
adunque per li versi di Lucano quanto grande, forte, & fiero fosse Anteo,
al quale ritrovare (come narra l'istesso Lucano) andò Hercole vittorioso delle
fatiche, per giuocar seco alla lotta. Onde essendo amendue nello steccato,
& veggendo Alcide che, molte volte havendolo gittato a terra, più robusto
si levava, s'accorse, che dalla terra ricuperava le forze. Per laqual cosa pigliò
quello hoggimai lasso sotto le braccia, & lo tenne tanto sospeso in Aere,
che mandò fuori lo spirito. Il senso di questa favola è doppio, cioè historico,
& morale. Pare, che piaccia a Pomponio Mela, nel libro della Cosmografia,
nelle ultime parti della Mauritania essere stato questo Re, affermando appresso
Ampelusia promontorio, che guarda verso l'Oceano Atlantico essere un antro
consacrato ad Hercole, & di là da Tinge castello molto antico (come dicono)
d'Antheo edificato, in testimonio di ciò si mostra dagli habitatori un gran
scudo di Elefante, che per la grandezza al presente non è buono per nessuno,
ilquale affermando essere stato adoprato da lui, & l'hanno in grandissima
riverenza. Appresso si mostra dall'istessi un poco di collo, che tiene dell'imagine
d'un huomo, che giaccia col ventre all'insù, ilquale affermano essere stato sua
sepoltura. Contra costui (dice Theodontio) Dionigio Thebeo, che per la sua
chiara virtù fu chiamato Hercole, haver havuto guerra; ilquale essendosi
accorto che, havendolo rotto più volte in Mauritania, in un tratto rifaceva
l'essercito, fingendo di fuggire lo condusse a perseguitarlo fino in Libia,
dove lo vinse, & lo amazzò. Ma Leontio diceva questo Hercole essere stato
figliuolo del Nilo, ilquale io reputo essere uno istesso col detto dianzi. Ma
Eusebio nel libro dei Tempi dice questo Antheo esser stato molto instrutto
nell'arte della lotta, & d'ogn'altro abbattimento, che si essercitasse in
terra. Et per ciò egli dimostra tener per cosa finta, che fosse figliuolo della
terra, & che da quella gli fossero reintegrate le forze. Nondimeno
Fulgentio dimostra il senso morale essere sotto la fittione, dicendo Antheo
nato dalla terra essere la libidine, laquale nasce solo dalla carne, la cui
toccata (benche sia lassa) ripiglia le forze; ma dallo huomo virtuoso, negatole
il tocco della carne, viene convinta. Costui, dice Agostino essere stato al
tempo, che Danao regnava in Argo. Ma Eusebio al tempo d'Egeo in Athene. Leontio
poi regnando Argo appresso Argivi.
Spediti i figliuoli della terra,
egli è hoggimai da ritornare all'Herebo con lo stile; ilquale, come dice Paolo
essere allegato da Crisippo, fu figliuolo di Demogorgone, & della terra. Io
veramente istimo costui, & Tartaro essere uno istesso, essendone generale
opinione di tutti gli antichi, che sia nelle più interiora viscere della terra,
& nell'istesso (come di sopra habbiamo detto di Tartaro) con tormenti
essere punite l'anime scelerate. Di costui nondimeno sono scritte molte cose
dagli antichi, massimamente da Virgilio nel sesto dell'Eneida, lequali lascierò
sotto brevità scorrere; conciosia che nelle seguenti, quasi di tutte se ne farà
più lungo ricordo. Dice adunque il Mantovano, che nelle fauci di questo monstro
sono cose molto terribili da riguardare, cioè queste formi, i Pianti, i
vindicatrici pensieri, le infermità pallide, l'afflitta vecchiaia, il timore,
la fame, & la povertà terribile, & gli spaventevoli da riguardare,
morte, fatica, sonno, & cattive allegrezze della mente; la guerra mortale,
le furie infernali, la discordia, la confusion dei sogni, la sedia del
Centauro, il Briareo di Scilla, il serpente Lerneo, la chimera armata di
fiamme, le Arpie Gorgoni, il Cerione da tre corpi, & il trifauce Cerbero,
che stà alla guardia della porta infernale. Oltre di ciò questo Herebo essere
irrigato da quattro fiumi, cioè Acheronte, Flegetonte, Stigio, & Cocito.
Appresso dice Caronte essere il Nocchiero, che passa l'anime di quei che
muoiono, nel profondo dell'Herebo. Indi descrive Minos, Radamanto, & Eaco esser
quelli, che sententiano secondo i meriti i condennati. Narra anco i Titani
Giganti esser giù distesi dai folgori, Salmeone, & Titio stracciato
dall'avoltoio, Isione girato da una eterna ruota, Sisifo, che col petto caccia
in alto di grandissimi sassi, Tantalo tra l'onde, & i pomi, che muore per
fame, & per sete, Theseo confinato a perpetuo otio, & altri, &
questi tutti dipinge essere tormentati tra le mura di ferro nell'Inferno dalla
vindicatrice Thisifone. Similmente chiamarono anco questo istesso con diversi
nomi, che col nome di Herebo, come sarebbe a dire Tartaro, Orco, Dite, Averno,
Baratro, & Inferno. Cosi medesimamente lo fanno padre di molti figliuoli.
Ma lasciate queste cose, egli è da venire alla dichiaratione della nascosta
verità. Vogliono adunque, che fosse figliuolo della Terra, & di Demogorgone
percioche tennero Demogorgone Creatore del tutto; della terra poi, perche
(com'è manifesto) nel suo ventre è locato. Ma, che quel luogo fosse la stanza
dei supplici, non solamente i Gentili, ma anco alcuni famosi Christiani
istimarono, guidati forse da questa ragione. Percioche essendo Iddio la somma
bontà, & colui, che commette peccato, che forse è cosi cattivo, &
l'effetto sia cosi pessimo, è di necessità ch'egli sia lontanissimo da Iddio,
come da suo contrario. Poscia noi crediamo Iddio habitare in Cielo, & dal
Cielo non è alcuna parte più lontana dal centro della terra, & per ciò
forse non pazzamente è stato creduto che i scelerati patiscano ivi le pene,
come in luogo da Iddio lontanissimo. Di ciò nondimeno Tullio apertamente nelle
Questioni Tusculane se ne fa beffe; onde assai si può presupporre altro haver
veduto gli antichi saggi. Et però quando, che volsero esservi due mondi, cioè
il maggiore, & il minore: il maggiore, quello, che generalmente chiamiamo
mondo, & il minor l'huomo, affermando tutte le cose essere nel minore, che
da quelli sono descritte nel maggiore, credo, che istimassero questo Herebo,
& questi tormenti essere tra il minor mondo, cioè l'huomo, & credo
anco, che volessero quelle horribili forme lequali nell'entrata dell'Herebo
descrive Virgilio essere le cause esteriori per lequali di dentro sono causati
quei supplici, o vero quelle, che di fuori appaiono cagionate da quelle
interne. Il cui senso istimo molto migliore. Ma hora resta, che io segua
secondo l'ordine ad esporre il sentimento delle predette. Penso adunque essere
finto, che nel profondo centro di questo Herebo sia una città di ferro,
accioche per quelle intendiamo la profonda parte del nostro ostinato cuore;
nella cui veramente spesse volte siamo pertinaci, & di ferro. I Titani,
cioè gli huomini inchinati alle cose terrene, & i giganti, che sono i
superbi gittati a terra, non per altro sono detti essere crucciati se non
affine, che conosciamo d'intorno questo i terreni, & gli altieri huomini di
animo essere tormentati; i quali mentre sempre desiderano essere inalzati sono
tenuti essere oppressi, & sprezzati dal suo cieco giudicio, & alle
volte sono cacciati dall'altezza; il che a loro è fiero tormento. Per Titio poi
stracciato dall'avoltoio è da intendere la mente di ciascuno, che s'affatica
conoscere quelle cose ch'a lui non s'appartengono; overo di colui, che in
accumular thesori da continuo pensiero è travagliato. Isione girato
continuamente da una ruota dimostra i desideri di chi bramano i Regni. Cosi
anco Sisifo, che rivolge all'insù i sassi manifesta la vita di colui, che in
efficaci, & duri sforzi si consuma. Per Tantalo poi, che tra l'onde, &
i pomi si consuma per la sete, & fame, dobbiamo intendere i pensieri degli huomini
avari, & le angustie d'intorno la infame parsimonia. Indi Theseo, che se ne
sta otioso dimostra i frivoli sforzi de' temerari, per liquali infelicemente
sono tormentati. Oltre di ciò dicono questi tali essere crucciati sotto i
supplici di Tisifone, il che penso cosi doversi intendere. Tisifone
s'interpreta Voce d'ire, onde è chiaro, che quelli iquali sono crucciati da
questi tali in sé stessi si adirino, & mai non mandino fuori le voci
dell'ire. Per quelli tre giudici poi intendo questo, cioè che, oprando male,
possiamo offendere tre persone, Iddio, il prossimo, & noi stessi, &
cosi, che siamo ripresi, & condennati da tre giudicij di conscienza. Per lo
guardiano della porta, che è il Tricerbero cane, il cui ufficio è lasciar
entrare ogn'un che vuole, & uscire a quelli, che sono entrati vietare,
istimo essere da intendere tre cause, che con fiero morso rodeno le menti
mortali degl'ingannati, cioè le carezze de gli adulatori, la falsa opinione
della felicità, & lo splendore della vanagloria; lequali veramente di
continuo con nuove scorte allacciando gli ignoranti accrescono gl'infelici
pensieri, & i cresciuti non lasciano sminuire. L'Herebo poi è circondato
overo inondato da quattro fiumi, accioche perciò conosciamo, che quelli iquali
(lasciata la ragione) si lasciano strascinare dalle incominciate concupiscenze,
principalmente (turbata la allegrezza del dritto giudicio) passano Acheronte,
ilquale s'interpreta mancante d'allegrezza. Così, cacciata la letitia, è di
necessità la mestitia occupi il suo luogo; dallaquale (per lo perduto bene
della allegrezza) molte volte nasce l'ira impetuosa dalla cui siamo guidati in
furore, che è Flegetonte, cioè ardente. Dal furore anco si lasciamo trascorrere
in tristezza, che è la palude Stigia, & dalla tristezza in pianto, &
lagrime, per lequali e da intendere Cocito, quarto fiume infernale. Et cosi noi
miseri mortali guidati dalla cieca opinione del concupiscevole appetito siamo
crucciati, & entro noi sopportiamo quello, che i pazzi istimano dai Poeti
esser rinchiuse nelle viscere della terra. L'Herebo poi è chiamato con tal
nome, come dice Uguccione, perche troppo s'accosta a colui, che piglia.
Dite è nomato da Dite suo Re,
ilquale appresso i Poeti è detto Iddio delle ricchezze, & questo imperò,
perche questo luogo sia ricco, cioè abondante: attento, che ivi discendano,
come anco per lo più fanno quei, c'hoggi dì muoiono, per lo passato tutti.
Tartaro cosi è detto dalla Tortura, perche tormenta quelli, che inghiottisce.
Ma il Tartaro è un profondissimo luogo de gli inferni; dal cui alcuno (come
pare, che voglia Uguccione) giamai trasse fuori Christo. L'Orco viene chiamato
per l'oscurità, & il Baratro dalla forma. Percioche il Baratro è un vaso
contesto di vimini, dalla parte di sopra ampio, & di sotto acuto, del cui
usano i rozi campani, mentre dalle viti congiunte agli alberi vindemiano l'uve.
Et per ciò tal similitudine è fatta accioche intendiamo l'Inferno haver
grandissime, & ampie fauci, & entrate per ricevere i dannati, & a
ritenerli strettissimo, & profondo loco. Si dice Inferno: perche è
inferiore a tutte le parti della terra. Averno, poi, da A, che significa senza,
& Vernos, che è allegrezza vien
detto; percioche manca di allegrezza, & abonda di sempiterna tristezza.
Di figliuoli dell'Herebo primo ci
è occorso l'Amore; ilquale afferma Tullio, dove tratta delle Nature de' Dei,
essere stato prodotto da lui, & dalla Notte. Il che, o serenissimo dei Re,
ti parrebbe forse inconvenevole, & monstruoso, se il vero con la ragione
possibile non ti fosse dimostrato. Fu antica sentenza degli antichi l'Amore
esser una passion d'animo. Et però ciò, che desideriamo, quello è Amore. Ma
perche in diverso fine sono portati i nostri affetti, è necessario, che l'Amor
d'intorno a tutte le cose non sia quell'istesso. Et perciò, ridotti in picciolo
numero i disideri de' mortali, i nostri maggiori lo fecero di tre sorte. Et
inanzi gli altri, con testimonio d'Apuleio in quel libro ch'egli scrisse dei
Decreti o vogliamo dire Openioni di Platone, esso Platone afferma essere tre
soli amori, & non piu. Il primo de' quali disse esser divino, che si
conface con la mente incorrotta, & con la ragione della virtù. Il secondo,
passione di tralignato animo, & di mente corrotta. Il terzo, composto di
l'uno, & dell'altro. Dopo ilquale, Aristotele suo auditore, mutate più
tosto le parole, che la sentenza, medesimamente volle, che fosse di tre sorte.
Affermando il primo movere i pigliati da sé per l'honesto, il secondo per lo
dilettevole, & il terzo per l'utile. Ma perche questo del quale trattiamo
non è quello di cui il divino parla, & meno quello, che tenda all'honesto,
nè dei due altri composto, overo per lo dilettevole; ma di declinante animo,
& solamente per l'utile, meritamente secondo l'opinione di Cicerone lo
chiameremo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, cioè di cieca mente, &
d'ostinato petto. Percioche da questo siamo guidati à mortale ingordigia d'oro;
da questo a disio crudele d'Imperio; da questo à pazza voglia di mortal gloria.
Da questo ad oscura morte d'amici. Et da questo ruine di Città, a torti, a
frodi, a violenze, & a scelerati consigli noi infelici siamo guidati. Da
questa peste sono pigliati i buffoni, i parasiti, gli adulatori, & simile
compagnia d'huomini, che segue la fortuna prospera de' mal accorti, & di
quello usa per spogliar con carezze, & false lodi i militi gloriosi. Quello
adunque (considerate drittamente tutte le cose) non amore, ma più propriamente
devremmo chiamar' odio.
Dice Tullio tra le Nature de' Dei
la Gratia esser figliuola dell'Herebo, & della Notte. Io nondimeno mi
ricordo haver letto altrove, le Gratie essere state figliuole o di Giove o
d'Auttonio ò del padre Bacco, & di Venere. Ma egli è da sapere, accioche
conosciamo quello, che in ciò tennero quelli, che di ciò finsero, la Gratia
essere una certa affettione di mente libera, specialmente del maggiore verso il
minore; per laquale senza preminenza nessuna di merito di compiacenza; sono
conceduti de' benefici, & de' doni a quei anco, che non li dimandano.
Nondimeno istimo molte essere le spetie di queste. Altre veramente sono d'Iddio
immortale; lequali tolte via, siamo nulla. Altre poi degli huomini tra loro. Et
queste ponno inchinarsi al bene, & al male, come, che sempre appaia la
Gratia tendere al bene. Tutte queste (cangiati nondimeno i sensi de' padri)
potremmo dimostrare per figliuole dell'Herebo, & della Notte. Ma per venire
a questa, lasciate da parte l'altre fino al tempo suo, io penso questa essere
quella Gratia che, per qualche scelerata operatione ò per dishonesti costumi
d'alcun'huomo, sia causata in qualche iniquo, & reo huomo. Et cosi tal
Gratia viene ad essere figliuola dell'Herebo, cioè d'un ostinato petto, &
della Notte, cioè d'una cieca mente.
Questa Fatica da Cicerone viene
descritta per figliuola della Notte, & dell'Herebo; la cui qualità
dall'istesso tale viene formata. La Fatica è una certa operatione di grave
attione d'anima ò di corpo, ò di volontà ò per prezzo. Laquale molto bene
considerata, meritamente della Notte, & dell'Herebo viene detto figliuola,
& si può dire colui, che è dannoso è meritamente dà essere rifiutato.
Percioche, si come nell' Herebo, & nella notte è una perpetua inquietudine
di nocenti, cosi anco negl'interni segreti de' cuori di quelli, che sono
guidati da cieco disio circa le cose superflue, & poco convenevoli v'è un
disturbo di continuo pensiero. Et perche questi tali pensieri sono causati in
petto oscuro, debitamente tale Fatica viene detta figliuola della Notte, &
dell'Herebo.
Tullio dice la Invidia essere
stata figlia dell'Herebo, & della Notte; laquale dove tratta delle
Questioni Tusculane, la fa differente dall'Invidenza, dicendo la invidenza
solamente appartenere all'invidioso, conciosiache paia la invidia attribuirsi
anco a colui a cui si porta. Et di quella conchiudendo dice la Invidenza essere
una infermità pigliata per le cose prospere d'altrui, lequali non nuocciano
niente all'Invidioso. Descrive poi i costumi, & l'habitatione di questa
Ovidio in tal modo:
Dell'Invidia và subito a trovare
Gli horrendi tetti per lo nero
sangue;
La cui casa è riposta in ime valli,
U dei raggi del Sol manca
l'entrata,
Nè d'ivi mai troppo alcun vento passa.
È disutile, & trista, &
piena ogn'hora
Di freddo, & sempre mai vi
manca il foco
E ogn'hor d'oscura nebbia è più
ripiena.
Et poco da poi cosi segue:
Et picchiando alle porte, elle
s'apriro;
Dove entro vede l'Invidia, che
mangia
Le carni viperine (nodrimenti
De' vitij suoi), & subito
veduta
Rivolse gli occhi adietro. Et ella
tosto
Levossi in piedi, ivi lasciando i
corpi
Dei serpi mezzo divorati homai;
Venendo verso lei con lento passo.
Ma tosto, ch'ella vide l'alta Dea
Ornata di presenza, & d'arme
chiare,
Gemere incominciò; di che la Dea
Fu sforzata ai sospir volgere il
volto.
Perch'è pallida in viso; e in tutto
il corpo
Macilenta, & il guardo ha
oscuro, e bieco.
Lividi i denti son per rugginezza;
Il petto per lo fele è tutto verde,
La lingua ha tutta piena di veneno;
Lontano ha il riso; eccetto se le
doglie
Ch'altri vegga patir, non ve lo
muove;
Non dorme mai; ma sempre da
pensieri
Tenuta è vigilante; e ogn'hor
riguarda
Degli huomini i successi ingrati, e
rei,
Et marcisce in mirargli, e piglia,
e insieme
Da quei vien presa; è il suo
tormento tale.
Et quello, che va dietro.
Là onde s'alcuno a pieno
considerarà questi versi, senza difficultà conoscerà quella essere la
invidenza; laquale noi con più ampia licenza chiamiamo Invidia, &
dell'Herebo, & della Notte figliuola.
Afferma il detto Tullio il Timore
essere stato figlio dell'Herebo, & della Notte. Percioche il timore, come
dice l'istesso Cicerone, è una cautione contraria alla ragione. Et istimo
costui essere detto figliuolo di tali padri perche da i più rimossi luoghi
dalla cognition nostra nei nostri petti nasca. Nondimeno io l'istimo di due
sorti, cioè quello, che di ragione può cadere in un'huomo discreto, come è
temere i tuoni, & quello, che senza essere sforzato da alcuna ragionevole
cagione, non altrimenti, che donnicciuole smarrisce alcuni. Questi, sotto il
nome di Timore, è uno de' ministri di Marte, si come ci mostra da Statio cosi
dicendo;
Indi comanda in quattro gir inanzi
Il Timor, ch'era de la fiera plebe
Un de compagni; ilqual non
altramente
Era pronto a locar tremanti teme,
Et dal vero levar gli animi
ogn'hora
Di quel, che proprio sia l'effetto
espresso;
Pronto ad aggiunger voci, e mani a
un mostro
Et oprando ogni cosa, ch'a lui
piaccia
Facendo, che l'auttore il tutto
creda;
Con spaventevol corso a quel
parendo
Veder sommerger le città col Sole;
Facendoli talhor veder due Soli,
Le stelle oscure, & che si
volga appresso
La terra, & giù cader l'antiche
selve.
Cosi infelicemente i paurosi
Pensano di veder.
Et quello, che va dietro.
Potrei, famosissimo Re, far di
molte parole esponendo le parti di questi versi, acioche io venissi a
dimostrare i costumi del Timore; ma cosi sottili, & liggieri sono i
figmenti, ch'io mi sono imaginato essere cosa superflua passar più oltre. Oltre
di ciò a costui aggiunge Tullio nelle Questioni Tusculane non avertentemente
essere sottoposti molti ministri, come sarebbe a dire la pigritia, la vergogna,
il terrore, la tema, la pusillanimità, il tremore, la conturbatione, il
sospetto, & molti altri; de tutti e' quali ivi lungamente si legge.
Medesimamente è l'Inganno, come
piace a Tullio, figliuole dell'Herebo, & della Notte; del quale era solito
raccontare Barlaam che, essendo andato con i Greci alla guerra Troiana, &
ritrovandosi male in arnese, & poco armato, consigliandosi alcuni dei primi
delle cose da essere oprate da Ulisse, a cui era molto famigliare, essere stato
condotto a quel consiglio. Ilquale havendo inteso gli animi inalzati, &
gloriosi, & i consigli d'alcuni, & essendossene alquanto seco stesso
riso, pregato alla fine disse il suo parere; il cui se bene non era honesto,
nondimeno perche pareva utile fu ammesso. Et a lui insieme con Epeo subito fu
data la cura di fabricare un cavallo, col mezzo del quale poi si giunse a tanto
ch'i Greci già lassi hebbero il suo disio. Assai sottile, & liggiero è il
velo della fittione, & però perche sia detto figliuolo dell'Herebo, &
della Notte hora veggiamo. Ilche al mio parere si dimostra nelle sacre lettere;
per lequali siamo ammaestrati (tolta la forma di serpente dall'Herebo)
l'inimico del genere humano esser venuto in terra, & nella notte tartarea
con false persuasioni haver offuscato le menti de' nostri padri, & indi
come in colto campo haver seminato mortal seme, il cui frutto, havendo eglino
prevaricato la legge, venne subito in luce. Et cosi l'Inganno, non anco
conosciuto in terra, da principio uscì dell'Herebo, & conceputo nell'utero
della cieca mente, con la nostra morte, & con l'essiglio palesemente fattoci
del regno celeste, chiaramente dimostrossi essere figliuolo della Notte, &
dell'Herebo. Ma perche quello, che i Gentili non conobbero malamente puoterò
fingere, penso quelli haver inteso l'intimo recesso dell'human cuore per
l'Herebo, perche ivi è la stanza di tutti i pensieri. Et però se l'animo è
infermo, sprezzata la virtù (per aggiungere al suo disio) veggendo, che le
forze gli mancano, subito drizza l'ingegno alle arti. Et perche più facilmente
i pazzi sono presi dall'inganno, formato quello con falsi pensieri, lega sé
stesso, & quelli ch'ei piglia con mortal laccio. Et cosi l'Inganno nasce
dalla Notte, cioè dalla trascuraggine della mente per la cui parviene al suo
disio, passando per strade poco honeste, & viene creato dalla vergognosa
concupiscenza del petto infermo, & ardente. Et per lo più non si vede
apparire in luce, che colui non vada in ruina per lo quale è fabricato.
Nelle nature de' Dei, meritamente
da Cicerone, la Frode vien detta figliuola dell'Herebo, & della Notte.
Veramente ella è mortale, & scelerata peste, & abhominevole vitio di
mente iniqua. Tra questa, & l'inganno è tal differenza, che l'inganno tal
volta si puote oprare in bene, ma la frode giamai se non in male; anzi più
tosto contra gl'inimici usiamo dell'inganno, & gli amici inganniamo con la
Frode. La forma di costei Dante Alighieri fiorentino nel suo poema scritto in
lingua fiorentina, & veramente di non picciolo momento tra tutti gli altri
poemi, cosi la descrive, cioè ch'ella ha la faccia d'huomo giusto, & tutto
l'avanzo del corpo di serpente, distinto a diverse macchie, & colori, &
la sua coda esser ritirata in punta di scorpione, & quella tener coperta
nell'onde di Cocito, di maniera, che tiene nascosto tutto l'horrendo del corpo
in quelle eccetto la faccia, & la nomina Gerione. Sotto benigna adunque,
& simil faccia d'huomo giusto comprende l'Autore l'estrinseco degli huomini
fraudolenti. Percioche sono di volto, & di parlar benigni, nell'habito
modesti, nel passo gravi, di costumi notabili, & per pietà riguardevoli.
Nelle opre poi nascosto sotto compassionevole zelo d'iniquità sono di contraria
pele, d'astutia armati, & tinti di macchie di scelerità, talmente ch'ogni
loro operatione alla fine si conchiude tutta ripiena di mortal veneno. Et indi
è detta Gerione perche regnando appresso l'Isole Baleari Gerione, con benigno
volto, con carezzevoli parole, & con ogni famigliarità era avezzo ricevere
i viandanti, & gli amici, & poi sotto il colore di questa benignità,
& cortesia adormentati, amazzava. La ragione poi, che venga detta figliuola
dell'Herebo, & della Notte, è l'istessa detta di sopra dell'Inganno.
La Pertinatia, ò vogliamo
Ostinatione mortalissimo peccato, secondo Tullio è figliuola dell'Herebo, &
della Notte; nè la cagione si vede difficile. Percioche ogni fiata, che
l'indigesto rigore dell'ignoranza de' mortali, con valide ragioni, & con
calore di fervor divino, non può essere rimosso da quella falsa oscura nebbia,
che gl'ingombra l'intelletto, è di necessità, che l'Ostinatione vi nasca, anzi
già è nato il certissimo argomento dell'ignoranza. Adunque bene habbiamo
dimostrato l'Ostinatione essere figliuola dell'Herebo, da noi spesse volte
chiamato Freddo, & della Notte, spesse volte fatta conoscere per nebbia
della mente.
Egesta figliuola dell'Herebo,
& della Notte, non è quella, che molti istimano, cioè mancamento delle cose
opportune. Perche questa gli huomini forti la superarono con la tolleranza,
come nelle arena di Libia Catone; ma quella più tosto allaquale gli abondevoli
guidati da falsa opinione si sottometteno, come fece il guardiano dell'oro Mida
Re di Frigia; ilquale mentre tutte quelle cose ch'egli toccava, secondo la sua
dimanda, diventavano oro, si moriva di fame. Questa adunque è vera Povertà,
& bisogno, & figliuola dell'Herebo, cioè d'un raffreddato, & da
poco cuore, & anco della Notte, cioè di cieco consiglio, ch'istima essere
cosa bonissima l'accrescere ricchezze affine, che manchiamo del loro uso.
Piace anco a Tullio la Miseria
essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte. Questa veramente è cosi
estrema disgratia, che può muovere a misericordia i riguardanti. Ilche noi
stessi a noi medesimi facciamo mentre, sprezzato il lume della verità,
sospiriamo le cose c'hanno a mancare, & ad ogni via transitoria, non
altramente, che se fossero perpetue, & perdessimo l'eterne. Et cosi il
petto afflitto dall'oscurato giudicio della mente con sospiri, & con
lagrime manda fuori in publico la miseria; accioche possa indi esser detta
figlia dell'Herebo, & della Notte.
Dice Paolo essere piacciuto a
Chrisippo la Fame essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Questa
è overo publica, come già fu mostrata a Faraone, ò privata, come a Crisitone.
La publica fu solita avenire dall'universale carestia di biade, dellaqual cosa
ò l'ira divina n'è cagione, overo la lunga guerra, ò la contraria dispositione
dei sopracelesti corpi, ò i vermi, che sotterra radono i semi, ò le locuste,
che già divorano i seminati, che nascono. Dellequali la prima cagione da alcuno
de' mortali non può essere conosciuta, & cosi potrassi dire figliuola
dell'Herebo, & della Notte; ma non dell'Herebo, che sta nascosto nelle
viscere della terra o, che fa residenza negl'infermi petti de' mortali, anzi
nel profondo segreto della divina mente santissima, & vigilante, ilquale
l'intelletto degli huomini offuscato da mortal nebbia non può riguardare nè
anco contemplare la notte della divina mente, nella cui giamai non fu alcuna
oscurità, ma col suo lume rende sempre il tutto chiaro; ma più tosto gli errori
della frigidità nostra. L'altre spetie di questa cagione affermano i
Mathematici con l'arti loro potersi prevedere. Se adunque è tale questa Fame,
non può essere figliuola dell'Herebo nè della Notte. Se poi cosi non è, alhora,
si come habbiamo detto d'Iddio, non si potendo vedere quello ch'è riposto
nell'antro secreto di natura, si lascierà, che questa Fame per la già detta
ragione sia figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ma la fame privata
aviene, come per lo piu, ò per carestia di cibi, overo alle volte dalla noia
de' stomacosi. Se per carestia, ò per pigritia, ò per dapocaggine del
sopportante, ò per diffetto di povertà occorre. Se per dapocaggine ò pigritia,
si come alle fiate veggiamo alcuni più tosto dar opra alle lascivie, &
all'otio, che haver cura delle cose famigliare, questa veramente è figliuola
dell'Herebo, & della Notte, in quella guisa, che sono gli altri suoi
sopradetti fratelli. Se per colpa di bisogno, mentre, che per intemperanza non
sia povero chi la patisce, non penso, che nè anco questa sia figliuola
dell'Herebo, & della Notte, eccetto s'io non la volessi dir tale, perche
deriva dallo stomaco del famelico. Se poi la Fame è per la noia di cibi, come
alle volte habbiamo veduto essere avenuto ad alcuni insipidi, & da consueto
vitio troppo schifi, & svogliati, iquali se non hanno le vivande elette,
& i saporiti con diligenza composti, overo, che non gli siano messi inanzi
cibi da Re, & pretiosi vini, di maniera sprezzano i communi, & gli
rifiutano, che più tosto si lasciarebbono morir di fame, che mangiarne, non è
dubbio alcuno, che questa non sia nata dall'Herebo, & dalla Notte. La
stanza adunque di costei, & la forma cosi descrive Ovidio:
Trovò la Fame in un sassoso campo
Ricercata da lui; laqual con
l'ugne,
Et denti rari fuor cavava l'herbe;
Haveva torto il crine, & gli
occhi cavi;
Pallida in viso, & con le
labbia in entro;
Di rugginezza havea le fauci roze;
Dura la pelle, & per la cui
guardare
L'interiora a lei potesse ogn'uno;
Et sotto i torti lumbi l'ossa
secche
Stavan riposte, & del suo
ventre il loco
Era invece di ventre; onde istimato
Havresti, ch'il suo petto giù
pendesse,
Et solamente fosse sostenuto
Da un secco spine; a lei cresciuto
havea
I fianchi la magrezza, & il
ginocchio
Una rotondità quel circondava.
Et i calcagni givano distesi
Con picciol spatio. Come di lontano
Costui la vide.
Et quello, che segue.
Vuole Tullio la Querela essere
stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si concederà
se si riguarderà con occhi sanamente ciò ch'ella sia; percioche è un morbo
dell'animo, che malamente quasi seco si conface. Per questo venendo in un petto
pazzo, l'huomo con poco consiglio cerca ò levar via quello, che si gli deve,
overo malamente sopporta, che non gli sia dato ciò, che disia, o, che non possa
quello, che brama. Et cosi quello ch'è di sua colpa, privato del lume della
mente istima d'altrui. Di quì si lamenta l'amante lascivo; di quì l'ingordo
d'oro; di quì il bramoso di beni; di quì il sitibondo di sangue, & molti
altri piangono quel male ch'essi hanno introdotto, & che, se fossero stati
prudenti, havrebbono potuto cacciar fuori.
Et dell'Herebo, & della Notte
figliuolo, come piace a Cicerone, & Chrisippo, il Morbo. Questo adunque può
esser mancamento di mente, & di corpo. Et si come nel corpo è causato dalla
discordanza degli humori, cosi nella mente dall'inconvenevolezza de gli animi,
& alhora meritamente di tali padri, cioè della cecità intrinseca, è
chiamato figliuolo. Et perche pare ch'egli tenda nella morte della sanità, come
piace a molti, e chiamato infermità.
Conviensi la vecchiezza, ultima
delle età, & vicina della morte, al solo colpo,
percioche l'anima rationale con perpetua verdezza, & fiore tende
all'eterno. Questa, come dice Tullio, fu figlia dell'Herebo, & della Notte.
Ilche facilmente si può concedere, essendo à lei conforme di complessione, cioè
fredda, & secca, & i figliuoli sono soliti esser simili a i padri.
Appresso l'Herebo è da poco, & tremante, dal quale punto non traligna la
Vecchiezza, essendo, come veggiamo, tremante, & tarda. Però, perche ha i
sensi corporali lenti, & offuscati, non inconvenevolmente le diedero la
Notte per madre. Nondimeno ha questo di notabile, che quanto a lei si tolgono
le forze, tanto più le cresce il consiglio. Là onde nasce, che sia riverita,
& i loro capelli canuti siano preposti alla robustezza dei giovani.
La pallidezza della faccia, &
di tutto il corpo, è un colore essangue di sangue, che manca, & appresso è
certissimo argomento d'infermo, & subito timore. Questa è figliuola della
Notte, & dell'Herebo, secondo, che vuole Chrisippo. Et ciò afferma,
attento, che tutto quello, che dalla luce del Sole non è veduto, o che l'animo
nodrisce con buona sanità, facilmente viene occupato dalla pallidezza. Onde,
essendo stato detto di sopra, che l'Herebo non vede il Sole nè sente il calore,
& per ciò dove queste cose avengono si raffredda il sangue, & per
contraria digestione si corrompe, di che per consequenza è necessario, che la
Pallidezza nasca, come a pieno si vede in quelli, che lungamente rinchiusi in
oscura prigione vengono in luce; overo, che per infermità corporale lassi si
levano; overo assaliti da subita paura impallidiscono.
Dell'Herebo, & della Notte la
Tenebra essere figliuola, senza testimonio d'altri si crede. Ma accioche la
madre, & la figliuola non paiano una cosa istessa, in questo sono
differenti. Nella notte si vede alcuna cosa lucente, come è la Luna, le Stelle,
& alle volte il fuoco. Nella Tenebra poi alcun lume giamai non appare,
& se apparerà in alcun loco, non si dirà più Tenebra.
Il Sonno, secondo alcuni, è una
forza d'intrinseco fuoco, & un riposo sparso per le membra afflitte, &
dalla fatica stanche. Secondo altri poi è una quiete degli animali con
l'intentione delle virtù naturali. Di questo scrive Ovidio in tal modo:
Sonno piacevolissimo riposo
D'ogni cosa creata, e insieme dolce
Quiete degli Dei, pace, e contento
De l'animo, che fugge ogni
pensiero;
Tu sei quel, ch'accarezzi i corpi
lassi
Da le dur'opre, & le fatiche
scacci.
Ma più a pieno Seneca Poeta nella
Tragedia d'Hercole Furioso descrive le commodità del sonno, dove dice;
Tu Sonno domitor sei d'ogni male
De l'animo riposo, & miglior
parte
De la vita mortal, volubil prole
De la gran madre Astrea, frate a la
dura
Languida morte, ch'a le cose vere
Mesci le false del futuro, e certo
De l'uno, & l'altro sei pessimo
auttore.
O padre delle cose, ò de la vita
Porto, e riposo de la luce, e
appresso
Compagno de la notte, ch'egualmente
Il Rè, e il famiglio a ritrovar pur
vieni;
Placido, e molle favorisce a i
lasso?
Et si come constringi il sesso
humano
Pauroso de la morte, ad imparare
Un morir lungo, hor grava me
legato.
Oltre di ciò gli descrive la
stanza assai atta al suo desio di voler dormire, dicendo:
E non lontan da le Cimerie grotte
Una spelonca di profonda entrata;
Il monte è cavo, dove sta del Sonno
Pigro la casa, & la sua stanza
eletta.
Ivi già mai, nè di mattina, ò sera
Co' raggi penetrar vi puote il
Sole,
Anzi nuvoli ogn'hor di nebbia
oscura
Escono da la terra; acciò la luce
Stia sempre in dubbio, che mai
spunti il giorno.
Ivi il gallo non sta, che col suo
canto
Dia segno dell'aurora, & meno
ancora
Cani vi sono, ch'abbaiando sempre
Rompano de la Notte i suoi riposi;
Nè la più astuta dei vegghianti
cani
Occa vi giace; nè il garrir di
Progne
Troppo ha bisogno d'addolcir i
petti.
Fera non v'è, non pecora, nè
armenti,
Nè s'ode ramo alcun dall'aria
scosso,
Nè lingua humana v'interrompe il
sonno.
V'habita solo il mutolo riposo;
Nondimeno da un sasso alto, e
profondo
D'acqua v'esce un ruscel limpido, e
chiaro,
Che con mormorio dolce ogn'hor
correndo
Per alcuni sassetti invita i sonni.
Nanzi l'entrata de la porta stanno
Papaveri fioriti, & herbe
ombrose
Di numero infinito, onde si fanno
Opre, ch'altrui giaccia col Sonno
avolto;
La notte le raccoglie, e ogn'hor le
sparge
Per l'opaco terreno, acciò la porta
Coi cardini alcun strepito non
faccia.
In quella casa non v'è guardia, ò
scorta,
Nè alcun, ch'inanzi de l'entrata
sieda.
Ma nel mezzo de l'antro un letto è
posto
Per l'ebano sublime, & è di
piume
Tutto coperto di color conforme;
Ivi con le sue membra in sonno
involte
Riposa il Dio di quel; cui stanno
intorno
I vani sogni, ch'imitar ci fanno
Diverse forme, & tanti sono,
quante
Spighe ha il raccolto, & quante
fronde tiene
Una gran selva, & quante arene
insieme
Sparge sui liti il mar con l'onde
altere.
Questo, ornato di cosi
riguardevole stanza, & ornamenti di letto, dice Tullio essere stato
figliuolo dell'Herebo, & della Notte. Dellaqual cosa è da veder la cagione,
& poi potremo vedere dei ministri, essendo assai chiaro il senso della
stanza descritta. Adunque il Sonno viene detto figliuolo dell'Herebo, &
della Notte perche nasce dai vapori humidi che si levano dallo stomaco, &
oppilano i membri, & dalla queta oscurità. Se poi vogliamo intendere del
mortal sonno, non più difficilmente s'allegherà la cagione di tali padri.
Percioche, perduto il favore della carità, & abbandonata la via di ragione,
è a bastanza chiarissimo esser cosa necessaria passare a mortal sonno. Hora mo
veggiamo di quelli, che gli stanno d'intorno, quali sono sogni di diverse
spetie; ma solamente cinque ne dimostra Macrobio sopra il Sogno di Scipione. La
prima di queste si chiama Fantasma, laquale mai non s'avicina à mortali eccetto
che lentamente, mentre il sonno s'incomincia assalire, et ch'istimamo anco
vegghiare. Questa apporta seco spaventevoli forme da vedere, & per lo più
dalla qualità naturale, & dalla grandezza differenti, come è noioso
contrasto e maravigliosa allegrezza, fortune valide, sonori venti, & altre
simili. Dice Macrobio il fuoco di questa esser anco Ematte, ò Efiate, overo
Efialte; ilquale la persuasione commune giudica assalire i riposanti, & col
suo peso aggravare i dormienti, che ciò sentono. La cagione di tal cosa
istimano molti essere lo stomaco aggravato dal soverchio cibo, & vino,
overo vuoto per lo digiuno lungo, &, che altramente mai non predomini
alcuno assalito da altri humori. Sono di quelli, che vi aggiungano le
sollecitudini, & dicano Virgilio haver inteso Didone haver veduto fantasme,
mentre lamentandosi con la sorella cosi le dice;
Quei sogni, che mi tengono sospesa,
Mi smarriscono ogn'hor.
Et quelli in sogni, per licenza
Poetica, ivi essere stati posti impropriamente per fantasme. La seconda spetie
si chiama in sogno causato dalla premeditatione, come pare, che voglia Tullio
nel libro della Republica, dicendo: Aviene spesse volte, ch'i pensieri, & i
nostri ragionamenti partoriscano alcuna cosa all'insogno. Ilche anco scrive
Ennio di Homero, del quale medesimamente vegghiando soleva pensare, &
parlare spessissime volte. Etc.. In questa specie di sonno, adunque, l'amante
vedrà la donzella da lui amata venire ne' suoi abbracciamenti, ò infelicissimo
pregherà quella, che fugge. Il nocchiero vedrà il mare tranquillo, & la
Nave, che solca quelle con le vele spiegate, e, che per fortuna si rompi. Cosi
anco il villano indarno s'allegrerà riguardando le biade ne' campi fiorite,
& piangerà le rovinate. L'ingordo tracannerà le tazze piene di vino. Il
digiuno desidererà i cibi, ò con il ventre vuoto divorerà gli apposti dinanzi a
lui. Delle considerationi, poi, alcuni vogliono Didone ferita d'amore haverne
veduto parte; percioche pare, che Virgilio dimostri la consideratione quando
dice;
Per l'animo d'Enea la gran virtutte
Va rivolgendo, e 'l chiaro honor
de' suoi,
Tien l'imagine sua fisa nel petto,
Et le parole; nè riposo dona.
Et quello, che va dietro.
Così, come dalla consideratione
pare, che prevenga l'insogno. Ma perche procedono dall'affettione, insieme col
sonno se ne vanno in fumo, come l'istesso Virgilio mostra, dove dice; Ma ci
mandano al Cielo i falsi insogni. La terza specie si chiama sogno, per lo quale
piace a Macrobio, che si sognino cose vere ma sotto coperta però, come per
auttorità di Mosè vide Giuseppe i mazzi di spighe de' suoi fratelli
ch'adoravano il suo. Et come dice Valerio, che fece Astiage, ilquale vide una
vite, & l'urina ch'usciva da le parti genitali d'una sua figlia. Ciò
vogliono ch'avegna stando l'huomo sobrio, come per lo più siamo facendosi il
giorno. La Quarta spetie poi si chiama Visione, laquale seco non apporta dubbio
alcuno; anzi quello, che ha a venire con chiara dimostratione manifesta, come
dormendo fece Arterio Ruffo Cavalier Romano, à cui parve la notte vedere che,
stando egli a riguardare il dono de gladiatori a Siracusa, che dalla mano
d'uno, che faceva reti fosse passato dall'uno all'altro lato. Il che raccontato
a molti la mattina, quel giorno istesso gl'intervenne. La quinta, & ultima
spetie di sogni fu dagli antichi detta oracolo, laqual cosa Macrobio vuole, che
sia quando dormendo veggiamo alcuno de' nostri parenti, & maggiori, overo
qualche huomo di gran riputatione, come un Pontefice overo esso Iddio, che si
dica ò ci riveli alcuna cosa; come avenne à Giuseppe, in sogno avisato
dall'angelo, che togliesse il fanciullo, & la madre di quello, & seco
se n'andasse in Egitto. Ma alcuni degli antichi, come a bastanza si può
considerare per le parole di Porfirio Filosofo, istimarono tutte le cose vedute
nella quiete esser vere, ma, si come per lo piu, non bene intese. Et per ciò
pare, che Porfirio habbia l'opinione contraria a molti altri; il che prima per
Homero poi per Virgilio è stato detto. Et perche ci è più famigliare il verso
di Virgilio, che quello d'Homero, lo addurremmo in mezzo. Cosi adunque dice il
Mantovano;
Del sonno son due porte; una de' quali
Si dice esser di corno; onde si
dona
Facile uscita a tutte l'ombre vere.
L'altra perfetta d'un'avorio bianco
Per cui sen vanno i falsi sogni al
Cielo.
Per questi versi vuole Porfirio,
che tutti i sogni siano veri, giudicando, che l'anima, addormentato il corpo,
come alquanto più libera si sforzi giungere alla sua divinità, & stando
involta nell'humanità drizzi tutta la potenza dell'intelletto, & vegga,
& discerna alcune cose; ma più siano quelle, che vegga, che quelle, che
discerna, ò siano risposte di lontano, ò da più spessa coperta occulte. Et di
quì nasce, che quello ch'ella discerne, par, che in tutto nebbia d'oscura
mortalità non se le oppona in tutto, viene detto haver uscita per la porta di
corno; essendo il corno di natura tale, che incavato, & assottigliato
habbia facile entrata, & come un corpo trasparente lascia ch'in sé si vegga
le cosi ivi riposte. Quello, che poi opponendovisi la nebbia della carne non si
può vedere, diciamo essere rinchiuso in avorio. Il cui osso naturalmente è cosi
sodo, & spesso che, facendolo sottile quanto si voglia, non lascia, che vi
si vegga le cose rinchiuse; lequali però chiama false Virgilio perche non sono
intese, come dice Porfirio. Hora ci resta veder de' suoi ministri; iquali,
benche siano molti, nondimeno non s'hanno i nomi di piu, che tre. Di cui il
primo vogliono, che si dica Morfeo, il che s'interpreta formatione over
simulacro. Il cui ufficio, per comandamento del Signore, è, che si trasformi
nella sembianza di tutti gli huomini, & imiti le parole, i costumi, le
voci, & gli idioma, come scrive Ovidio dicendo;
Ma tra mille suoi figli il padre
elegge
Morfeo imitator d'ogni sembianza
Tra tutti gli altri diligente, e
saggio.
Imita questi, i passi, il volto, e
gli occhi
Et de la voce il suon d'ogni
vivente.
Gli habiti insieme con l'usate
vesti
V'aggiunge, & le parole, &
questi è solo,
Che finge di chi vuol l'essere, e
il viso.
Il secondo è Itatone overo
Fabetora, il significato de' nomi de' quali non so io. Nondimeno l'ufficio di
costui in questo verso descrive Ovidio:
L'altro fiera diviene, uccello,
& serpe,
Et Ithatone è dagli dei chiamato,
Ma Fabetora il vulgo il noma, e
dice;
Il terzo poi lo chiamarono Panto,
cioè tutto. Il cui ufficio è fingere le cose insensibili, & ciò dimostra
Ovidio dove dice;
Ancho v'è Panto, che con arte
strana
Si cangia in terra, in sasso, in
onda, e trave,
Et ogn'altra insensibil cosa
apprende.
Vuole quasi, che per queste
parole, che le cose, che noi dormendo veggiamo, ci siano offerte dalla potenza
esteriore. Che ciò mò sia vero, altri il veggiano.
Secondo l'opinione di Tullio,
& di Crisippo, la Morte fu figliuola della Notte, & dell'Herebo;
laquale dimostra Aristotele essere l'ultima delle cose terribili. Da questa
tutti, non veramente incominciando dal giorno, che infelici entriamo nel mondo,
pian piano di maniera, che non se n'accorgiamo continuamente siamo pigliati,
& morendo noi ogni giorno, allhora volgarmente diciamo morirsi quando
lasciamo di morire. Volsero i precessori nostri, se bene noi infelici a mille
guise siamo rapiti, quest'essere ò violenta ò naturale. Violenta è quella, che
aviene con ferro, con fuoco ò per altra disgratia a colui, che fugge ò la
ricerca. La natural poi, secondo Macrobio sopra il Sogno di Scipione, è quella
per laquale il corpo non è lasciato dall'anima, ma l'anima è abbandonata dal
corpo. Chiamarono appresso gli antichi la morte de' vecchi matura ò
convenevole, & quella dei giovani non matura, & quella dei fanciulli
acerba. Appresso con molti altri nomi fu dimandata, come sarebbe Atropos,
Parca, Leto, Nece, & Fato. La fiera opra di costei cosi anco brevemente
descrive Statio:
Da le tenebre stigie uscita fuori
La Morte tocca il Cielo, & và
volando,
Et copre con un soffio ogni
guerriero,
Et quanti huomini tocca atterra, et
toglie
Nessuna cosa non commune elegge;
Ma quelle sol, che son degne di
vita.
Col veneno mortale i piu sublimi
D'anni, e valor fa morir ella
sempre.
Ma hora è tempo da scoprire
quelle poche cose, che di lei sotto velame sono nascoste. La chiamano figliuola
dell'Herebo perche dall'Herebo sia mandata, come nel prescritto verso dimostra
Statio, cioè:
Da le tenebre stigie fuor mandata.
Overo perch'ella manchi di
callidità, come fa l'Herebo. Detta è poi figliuola della Notte perche pare
horribile, & oscura. La morte è anco cosi chiamata, secondo Uguccione,
perche morde, overo dal morso del primo padre per lo quale moriamo, overo da
Marte, ch'è interfettor degli huomini, overo morte quasi amaror, perche sia amara, conciosia
che alcuna altra cosa dagli huomini è tenuta più amara della morte; da quelli
in fuori de' quali dice Giovanni Battista nell'Apocalipsi:
Beati
quelli, che muoiono nel Signore.
Questa, come pare, che voglia
Servio, è differente da Atropos, della cui s'è detto di sopra, in questo,
perche per questa violenta dobbiamo intendere la morte, come anco assai si può
conietturare dal verso secondo di sopra di Statio. Per Atropos poi; vuole, che
s'intenda la dispositione naturale delle cose. Et è detta Atropos perche non si
converte. La dissero poi per Antifrasi Parca, percioche non perdona a nessuno;
cosi anco Leto, essendo mestissima più d'ogn'altra cosa. Nece propriamente
istimo quella per laquale con acqua, con laccio, overo in altra guisa lo
spirito viene intercluso. Fato anco viene detta, accioche per divina providenza
sia mostrato prima, che tutti quei, che nascono denno morire.
Charonte nocchiero d'Acheronte
viene detto da Crisippo figliuolo dell'Herebo, & della Notte; del quale
cosi scrive Virgilio:
Sta l'horribil nocchier squallido,
e negro
Charonte guardian de l'acque e
fiumi;
A cui dal mento in giù canuta pende
Squallida barba, & ha di fiamme
gli occhi;
Dagli homeri di cui pende una veste
Tutta macchiata, et con un nodo
avolta.
Egli una scafa rugginosa, e nera
Con pertica guidando, & con la
vela
A l'altra riva porta l'alme
ingiuste;
Già di molti anni è pien, ma la
vecchiezza
A chi non dee morir, è verde, e
forte.
Charonte poi, ilquale Servio
rivolge in Crononte, è il tempo. Ma l'Herebo è da intender quì per l'interno
consiglio della divina mente, dal cui, & il tempo, & tutte l'altre cose
sono create, & cosi l'Herebo è padre di Charonte. Ma la Notte per questo
gli viene ascritta madre, conciosia che anzi il tempo creato non fu nessuna
luce sensibile, & però fu fatto nelle tenebre, & di tenebre pare, che
sia prodotto. Charonte poi è locato appresso gl'Inferi perche gli Dei superni
non hanno bisogno di tempo, si come n'habbiamo noi mortali, che da quelli siamo
inferiori. Che poi Charonte passi i corpi dall'una all'altra ripa d'Acheronte,
per questo è finto accioche intendiamo, che il tempo subito, che siamo nati; si
raccoglie nel suo grembo, & ci porta ad una opposta ripa, cioè ci conduce
alla Morte, laquale è contraria al nostro nascimento; dando questo l'essere ai
corpi, & quella togliendocelo. Oltre di ciò siamo guidati da Charon per lo
fiume Acheronte, che s'interpreta senza allegrezza, accioche consideriamo, che
dal tempo siamo tratti per vita frale, & di miserie piena. Appresso lo
chiama Virgilio vecchio ma composto di robusta, & verde vecchiaia, affine,
che conosciamo il tempo per gli anni non perder le forze; perche quell'istesso
può egli far hoggi, che puotè quando anco fu creato. Che il suo vestire sia poi
rozo, & vile è per voler dimostrare, che quelle cose, che si maneggiano
d'intorno le cose terrene sono vili, & abiette.
Il Giorno fu figliuolo
dell'Herebo, & della Notte; cosi tra le Nature de' Dei scrive Tullio.
Questi, facendolo Theodontio femina, vuole, che fosse dato per moglie all'Aere,
ò vogliamo dire alla sfera del Foco suo fratello. Che fosse poi figliuola
dell'Herebo, & della Notte, da alcuni s'allega tal ragione. Perche
togliendo tutto l'Herebo in luogo d'una parte, volsero, che fosse pigliato per
l'universo corpo della terra. Dalla cui estremità, chiamata da' Greci orizonte,
non è dubbio, che dando luogo la notte non si levi il Sole, & il Giorno non
si faccia, & cosi l'Herebo haver prodotto dalla Notte il Giorno. Che poi
fosse congiunto in matrimonio con l'Ethere lo dicono per questo, perche
pigliano l'Ethere per lo foco, che non può mancare di chiarezza, & perciò
quando il Giorno è chiaro non vogliono dimostrare alcun'altra cosa, che la
chiarezza al foco congiunta. Questo Giorno poi dagli antichi (poscia, che fu
detta la sera, & fatta la mattina) fu designato di tale grandezza, che quel
tempo, che passa dal levar del Sole, & circonda tutto il mondo, fino a
tanto, che ritorni onde s'era levato, insieme con quella notte, che vi
s'include sia detto un Giorno, & questo è naturale, percioche è diviso in
ventiquattro parti eguali, & queste le chiamarono hore. Indi, si come a
loro parve, vi fu sopragiunto il Giorno arteficiale, ilquale partito in Giorno,
& Notte, a ciascuna delle parti, cioè al dì, & alla notte concessero
dodici hore, benche diseguali, & quello chiamarono artificiale
dall'artificio di chi se l'imaginò; del quale ne' suoi giudici per lo più si
serveno gli Astrologhi. Indi i medici trovarono il dì Cretico, & di quello
usano d'intorno l'osservationi dell'infermità. Il principio poi dei giorni
naturali egualmente non si piglia da tutte le nationi. Perche i Romani, come
dice Marco Varrone, volsero ch'incominciasse dalla mezza Notte, & havesse
fine al mezzo dell'altra, che segue; laqual regola fin'hora servano gli
Italiani, & specialmente nelle cause giudiciali. Gli Atheniesi, già
incominciando il giorno dal tramontar del Sole, lo finivano all'occaso del
giorno a venire. I Babilonici poi facevano dal levar del Sole quello, che gli
Attici facevano dal tramontare. Quei dell'Umbria, &, che sono Toscani gli
davano principio dal mezogiorno, & lo terminavano al mezogiorno del
seguente dì; laquale usanza fin hoggidì da gli Astrologhi viene osservata.
Oltre di questo, il giorno naturale è anco distinto secondo diverse sue qualità
con varij nomi. Percioche, come afferma Macrobio nei Saturnali, incominciando
dal principio del giorno de' Romani, chiama il primo tempo del giorno
inchinatione di meza notte, attento, che la notte nel principio del giorno
incominci declinare. Indi chiamarsi dal canto del Gallo, Gallicinio. Il terzo
conticinio, perche tutte le cose adormentate paiono sepolte. Il quarto
Diluculo, conciosia che pare, che la luce del giorno incominci dimostrarsi.
Conseguentemente il quinto tempo, levandosi già il Sole, volsero dir mattina, ò
che dalle mani l'incominciamento della luce sia paruto uscire, ò dall'augurio
del buon nome; attento, che i Lanubini interpretano mattina per bene. Il sesto
poi chiamarono Meridio, cioè mezzogiorno, il che noi diciamo Meridie. Da
quest'hora in poi il tempo, che s'estende verso la notte, ch'è il settimo,
dicesi Occidente, perche pare, che cada. L'ottavo poi è chiamato ultima
tempesta percioche sia l'ultimo tempo del giorno, come nelle dodici tavole si
contiene; l'ultima tempesta sarà il montar del Sole. Indi il nono tempo si
chiama Hespero; il che è tratto da' Greci, perche quelli chiamano Hespero da
quella stella Hespero, che appare nel tramontar del Sole. Il decimo tempo poi,
ch'è il principio della notte, si dice prima face, percioche alhora le stelle
incominciano apparire, overo, come piace ad altri, perche alhora cessando la
luce incominciamo accendere i lumi, per vincere con quelli le tenebre della
notte. L'undecimo è chiamato notte concubia, percioche in quell'hora dopo
l'essersi alquanto vegghiato si va a riposare. Il duodecimo tempo del giorno,
ch'è il terzo della notte, vien detto intempesto, conciosia che non pare
commodo a alcuna operatione; il cui fine è l'inclinatione della meza notte
circa il principio c'habbiamo detto. Appresso, havendo la diligenza humana
(havuto rispetto al settennario numero, ilquale gli antichi per certe cagioni
tennero perfetto) disposto tutto il tempo de' giorni far il suo corso per
settimane, & quei giorni della settimana con diversi nomi chiamare, alcuni
degli huomini furono avezzi ricercare le cause di tali nomi. Lequali istimo
queste; essendone cinque appresso noi nomati da i Pianeti, il sesto, dagli
Hebrei detto sabato, da' Christiani poi non è stato cangiato, percioche dicano
Latinamente voler dire riposo, affine, che si vegga che, havendo creato Iddio
in sei giorni tutte le cose, nel settimo volse riposare. Ma la Domenica, ch'a
noi Christiani è il settimo giorno, cosi è chiamata perche in tal giorno
Christo figliuolo d'Iddio non solamente riposò da tutte le sue fatiche, ma
vittorioso risuscitò da morte, & cosi quella i famosi padri dal Signor
Nostro nomarono Dominica. Altri vogliono, che sia cosi detta dal Sole,
perch'egli è prencipe de' Pianeti, & indi sia detto Signore, & perche
habbia il prencipato dell'hora prima dell'istesso giorno, per ciò quella essere
chiamata Domenica. Ma essendo molto diverso l'ordine di pianeti di quello, che
sia tenuto de nomi de' Dei, è da sapere secondo l'ordine dei pianeti
successivamente a ciascun'hora del giorno essere data la signoria, & da
quello a cui tocca il dominio della prima hora del dì, da lui quel giorno
prende il nome; come sarebbe a dire, se tu attribuirai a Venere la seconda hora
del giorno di Dominica, laquale subito è sottoposta al Sole, & a Mercurio
la terza, ch'è sottoposto a Venere, & alla Luna la quarta, ch'è sottoposta
a Mercurio, e la quinta a Saturno, a cui è da rivolgere l'ordine, quando
mancherà nella Luna, la sesta à Giove, & cosi di tutte le altri
ventiquattro hore del dì Dominicale, sotto il nome overo dominio di Mercurio si
trova la vigesimaquarta hora, & la vigesimaquinta, che è la prima del
giorno seguente, sotto il nome overo Imperio della Luna, & però da quella
viene nomato il secondo dì della settimana, overo più tosto il primo, accioche
il dì della Dominica sia il settimo della settimana, & il giorno di riposo.
Dalla cui prima hora del giorno del Lunedì, se con l'istesso modo computerai
xxiiij hore, troverai la vigesimaquarta hora di lui fermata sotto l'imperio di
Giove, & la vigesimaquinta sotto il poter di Marte, dal quale anco esso
secondo giorno di Marte ha havuto nome, perche all'hora sua prima Signoreggia
Marte. Et cosi successivamente di tutti gli altri, fino a tanto, che tu
giungerai all'ultima del sabbato; laquale soggiace a Marte, & segue adietro
la prima della Dominica ascritta al Sole; dal cui il giorno, come habbiamo
detto, è stato chiamato. Il dì natural poi, essendo terminato col giorno, &
con la notte, è nomato solamente da tutto il giorno come da più degna parte,
& dì dagli Dei chiamato, percioche Dijos Grecamente s'interpreta Dio.
Attento, che si come gli Dei, secondo l'opinione degli antichi, sono favorevoli
a mortali, cosi i dì sono prosperi, & da essi Dei anco per tal causa sono
derivati.
Hora, che usciti fuori di
sotterranee cave, con l'aiuto d'Iddio, siamo giunti alla luce del giorno,
restava a noi, accioche ugualmente havessimo trattato di tutti i figliuoli
dell'Herebo, che anco si fosse detto del Foco, ilquale vogliono essere stato
figlio dell'istesso, & appresso havessimo descritto quello, che gli antichi
ne sentano. Ma perche ogni suo figliuolo maschio, eccetto questo, è sterile,
& di costui non è picciola la discendenza, & assai in lungo si è steso
il volume, m'è paruto più honesto serbarlo nel secondo libro, & al primo
dar fine.
All'Illustre suo Sig. il Conte Collatino di Collalto
Siamo con la gratia, & favore del nostro vero, & onnipotente Iddio usciti fuori delle Caverne, dove habbiamo tratto quasi tutta la prole dell'Herebo; & fino dove è stato conceduto all'ingegno, tolti via i figmenti, ignuda nel precedente volume l'habbiamo posta inanzi ai Lettori.
Et veramente, non senza gran
fatica tra gli Stigi fumi, & i nuvoli della mia navicella quà & là
pericolante, ciò ho potuto fare. Ma poscia che s'è venuto in più aperto mondo,
forse con minor dubbio avanzeremo i diversi viaggi, & gli strani Euripidi,
l'onde de quali, che s'alzano fino al Cielo, s'io non m'inganno veggio. Perche
tra gli altri il difficile Ethere, ò vogliamo Aere, ò più propriamente dir
foco, tratto dalle viscere dell'Herebo in altezza, primo col suo impeto ci
occorre, non solamente fecondo per la gran prole, ma anco molto riguardevole.
Della cui, se a bastanza drittamente riguardo; il primo Giove n'è uno, il quale
non meno è risplendente per la gloria di cosi famoso nome, che per la grande
successione; la cui, s'io voglio descrivere, mi bisogna, cacciato dal flusso
del mare, solcare per tutto il lito d'Egitto, di Soria & il tuo Reame di
Cipro. La quale, essendo tanto alla grandezza tua, ò famosissimo Re palese
& chiara, quanto è più lontano il navigare, ti prego, per l'eccelso honore
del tuo nome, che patientemente tu sopporti i miei errori, & a usanza di
Principe pio, più tosto commandi, che siano corretti, che lasciare, che siano
stracciati dai denti degli invidiosi. Percioche io con la vela spiegata dalle
foci dell'Orco piglio viaggio, pregando colui, che (pericolando nel mare di
Genesareth i discepoli) commandò a i venti, & l'onde, che drizzi il mio
camino a buon porto.
L'Ethere, ò vogliamo dir Aere, ò
Fuoco, si come piace a Tullio nelle Nature de' Dei fu figliuolo della Notte
& dell'Herebo. Il quale, come, che alle volte propriamente sia tolto per lo
Cielo, nondimeno da molti pare, che sia istimato l'elemento del foco. Cosi
testimonia Uguccione; cosi pare, voglia che Ovidio nel principio del suo
maggior volume, dove dice;
Ciò sopra pose il liquid'Aer, che
manca
Di peso, e in se non ha faccia
terrena.
Et quello, che va dietro. Alcuni tennero questo essere la prima causa di tutte le cose, come di sopra è stato detto; & similmente Pronapide dimostra con la fittione essere figliuolo di Demogorgone, mentre disse ch'il Chaos infiammato mandò fuori sospiri. Ma m'è paruto credere a Cicerone. Il quale Foco, come, che molti il facciano sterile, egli nondimeno scrive, che fu fecondo, & che generò Giove primo & Celio; da' quali venne & discese poi tutta la gran prole de' Dei.
Dice Theodontio, che Giove primo
fu figliuolo dell'Ethere & del Giorno; del qual Giove veramente, come, che
sia stato ornato di cosi chiaro nome; non mi ricordo haver letto alcuna cosa,
& poche intese, che siano lodevoli. Raccontava Leontio, huomo Greco &
di tali narrationi copiosissimo, costui pria c'havesse cosi gran nome essere
stato chiamato Lisania, huomo d'Arcadia & veramente nobile. Il quale
d'Arcadia se n'andò ad Athene, & essendo di grand'ingegno, & veggendo
in quel rozzo secolo gli Atheniesi vivere rozzamente & quasi da fiere;
prima d'ogn'altra cosa ordinò alcune leggi, & con publiche institutioni
insegnò il vivere, & fu il primo ch'a loro, i quali havevano le donne come
communi, mostrò il celebrare de matrimoni, & havendoli già ridotto ai
costumi humani gl'insegnò adorar i Dei; ordinò a quelli altari, tempi &
sacerdoti, & appresso gli dimostrò molt'altre cose utili, le quali
riguardando & molto lodando i selvaggi Atheniesi, istimandolo Iddio lo
chiamarono Giove & lo fecero suo Re. Queste cose so io di costui. Hora mo',
poscia, che haveremo veduto perche lo finsero figliuolo dell'Ethere & del
Giorno, & perche appresso gentili fu riverito tanto il nome di Giove,
vedremmo poi il suo significato, & cercheremo di sapere quale potesse
essere la cagione di tal nome & di tal deità. Il dicono adunque figliuolo
dell'Ethere ò per nobilitarlo con cosi generoso padre, percioche tenevano la
prima cagione delle cose il Fuoco, & cosi non gli potevano dar più nobil padre,
overo perche l'istimarono huomo celeste, overo un Dio venuto dal Cielo, per la
ragione della profondità dell'ingegno, ò perche videro in lui una natura di
fuoco, che sempre a guisa di fiamma tende in alto; come puossi a lui attribuire
quel verso di Virgilio;
Vigor di fuoco, e origine celeste.
Che sia poi detto figliuolo del giorno, credo ciò essere detto perche, si ben'alcuno nasce atto a gran cose, nondimeno subito ch'è nato non può oprar quello al cui fine è prodotto; bisogna, che di giorno in giorno se gli accrescano le forze, & l'animo si faccia maggiore nel fervore dell'essecutioni di quelle; & poi, ch'egli le opri, le cui opre, perche nel giorno sono vedute & conosciute, dal Giorno pare prodotto con nuovo parto; come tra tali si può dire quello, che scrive Valerio di Demosthene: per la qual cosa la madre produsse un Demosthene, & la industria ne ha partorito un altro. Cosi un Lisania ha partorito la madre, & un altro il giorno, testimonio dell'opre. Appresso questo Lisania fu chiamato dagli Atheniesi col nome di Giove, per inanzi già mai a alcuno altro de' mortali non conceduto; nè anco ad esso Iddio fin'hora da' gentili era stato imposto, nè a pieno si sa onde sia stato tolto dagl'impositori. Nondimeno io penso quello essere stato causa di tal nome, che anco troviamo essere avenuto di molti altri Pianeti, cioè, che gli fosse dato il nome di Giove dalle operationi conformi di tal huomo. Percioche dice Albumasare nel suo maggior Introduttorio il pianeta di Giove per natura esser calido, & humido, aereo, temperato, modesto, honorato, molto lodevole, osservator di patienzia, nei pericoli dopo la patienzia ardito, liberale, clemente, aveduto, vero amatore, avido di dignità, fedele, parlatore, amico de' buoni, inimico dei cattivi, amator di Principi & maggiori; & molto altre cose scrive di lui, nelle quali aggiunge quello significare natural anima, vita, bellezza, huomini saggi, Dottori di leggi, giusti Giudici, riverenza de' Dei, religione, vittoria, regno, ricchezza, nobiltà, allegrezza & altre simili. Le quali considerate, & poi contrapesati i costumi di quest'huomo, di maniera conosceremo quello convenirsi con Giove, che non inconvenevolmente diremo essere chiamato Giove, & crederemo questa conformità & convenevolezza essere stata cagione di tanto nome. Ma non leggiamo, che questo, poscia, che fu conceduto dagli antichi al Pianeta & a Lisania, non fosse anco da' più moderni attribuito ad alcuni altri, come a Giove secondo figliuolo di Cielo, il quale fu huomo Arcade & Re d'Atheniesi. Et appresso a Giove terzo, huomo di Creta & figliuolo di Saturno; cosi anco a Pericle Prencipe Atheniese, il quale molti chiamarono Giove Olimpio. Oltre di ciò i Poeti ne' suoi figmenti inclusero il fuoco elemento, & alle volte il fuoco & l'aere, sotto il nome di Giove. Et tanto s'è inalzato, che da' più prudenti è stato ascritto al sommo & vero Iddio; & ciò non immeritamente. Perche a lui solo si conviene cosi degno nome. Ilche non rifiuterà il Christiano, considerata la significatione del nome, se ciò non fosse stato inventione de Gentili. Imperoche vogliono alcuni huomini saggi, che Giove sia detto da giovare, & suoni l'istesso, che padre giovante; la qual cosa al solo vero Iddio si conviene. Egli veramente è il vero Padre, & fu da eterno & sarà in sempiterno, il che di nessun altro non si può dire. Similmente aiuta tutti & non nuoce a alcuno; & tanto è difensore che, se non c'è il suo aiuto, tutte le cose andrebbono in ruina in subito; & ciò sarebbe necessario. Appresso, questo nome Giove in greco viene detto Zeph, che Latinamente suona vita. Et chi alle cose & a tutte le creature è vita, se non Iddio? Egli senza dubbio di sé stesso parlando, lo dice: Io sono la strada, la verità, & la vita. Et veramente cosi è. A lui, per lui, & in lui viveno tutte le cose. Fuori di lui, eccetto la morte & le tenebre non v'è altro. Costui, se bene gli antichi Romani drittamente non l'honorarono, chiamarono nondimeno Giove ottimo massimo, essendo sforzati dimostrarlo per queste poche parole. Percioche per grandezza & potenza trapassò gli altri Dei, & ch'egli solo sia il sommo bene, & che da lui dipenda la vita & l'aiuto a tutti. Oltre ciò, molto altre cose potrei descrivere qui, che i Poeti hanno attribuito a Giove, com'è l'armigero uccello, la quercia, le guerre, la moglie Giunone, & altre tali. Ma perche queste paiono drittamente convenirsi a quello, che si favoleggia di Giove Cretese, ho giudicato bene essere da lasciarle a lui. Ma non si ha chiara certezza, famosissimo Re, se gli Atheniesi havessero costui per Dio, ò pure se lo facessero. Perche se lo fecero, egli è da sapere gli antichi essere stati avezzi, per accrescere la nobiltà dell'origine, con certe sue vane cerimonie mettere nel numero de' Dei gli edificatori delle loro Città, & con sacrifici & tempi adorarli. Cosi anco facevano l'istesso verso i padri & parenti dei suoi Prencipi, & medesimamente verso essi Prencipi, quando da quelli havevano ricevuto qualche beneficio, affine di mostrarsigli grati, & per dar animo agli altri ad oprar bene, per disio di cosi honorata gloria. Appresso, scriveno gli antichi essere stati molti i figliuoli di Giove, de' quali istimo veramente alcuni essere stati figliuoli di Giove; ma di qual Giove, ò primo ò secondo ò terzo, d'alcuni non se n'ha certezza. Cosi anco molti altri per la degna preminenza della virtù & per inalzar la gloria del sangue, similmente dai Theologhi sono attribuiti a Giove de' Gentili; i quali io lascierò a quel Giove, percioche più paiono moderni.
Minerva, secondo quasi il publico
grido di versi di tutti i Poeti, fu figliuola di Giove; del cui nascimento si
narra tal favola. Che veggendo Giove Giunone sua moglie non gli far figliuoli,
per non restare in tutto senza figliuoli, percosso il suo cervello mandò fuori
Minerva armata. Il che pare essere confermato da Lucano, dicendo;
Pallade ancor non poco ama costei.
Dicono Giove al nascer di Minerva
La qual'è nata dal Paterno capo,
Fatto haver fiammeggiar l'aurate
pioggie.
Et nella natività sua dice
Claudiano,
Appresso dice Servio costei
essere nata nella quinta Luna, si come gli altri, che sono stati sterili. Oltre
ciò, vogliono essere stata sua inventione la lana & il filarla, la quale
prima non era conosciuta. Et cosi anco il tessere. Lao onde piace ad Ovidio
costei haver havuto contentione con Aragne Colofonia sopra la testura, &
essere restata vincitrice. Cosi anco con Nettuno sopra il dar nome alla città
d'Athene. Appresso, alcuni la fingono armata & sovrastante della Rocca
d'Athene. Indi a quella Tito Livio attribuisce il ritrovar de' numeri & le
loro figure, attento che per inanzi gli antichi in vece di numeri usavano
segni. Recitasi anco di costei un'altra favola. Che havendo ella fatto
presuposto di serbare perpetua la sua castità, & Vulcano essendosi inamorato
di lei, egli la dimandò per sposa al padre suo Giove, per premio delle saette
da lui a quelle fatte con le qual fulminò i Giganti. Là onde Giove, consapevole
del voto della figliuola, gli la concesse con tal patto, ch'egli vedesse se la
poteva conquistare & ridurre a far le voglie sue. Dall'altro lato diede
ampia licenza a Minerva che, s'ella non se ne contentava, si potesse difendere
con tutte le forze a suo maggior potere. Così, mentre Vulcano faceva ogn'opra
per metterla di sotto, & ella in contrario gli facesse resistenza, avenne,
che Vulcano si corruppe, & di quel seme ch'in terra cadè nacque un
fanciullo; & ella fu lasciata in pace. Dicono anco quella andar vestita con
tre vesti, & gli le consacrarono un elmo in cima un'asta dipinto; & in
sua difesa, levatale la Cornice, le posero la Civetta. Indi chiamarono con
molti nomi, come Minerva, Pallade, Athena & Tritonia. Spiegate queste cose,
l'ordine incominciato voleva che fosse scoperto quello, che gli antichi
havessero potuto comprendere sotto i figmenti. Ma qui è da considerare, che
tutti quanti i figmenti giù locati non s'appartengono a questa Minerva.
Veramente quella del nome istesso ha intricato l'orecchie delle genti, non si
curando di ciò i Poeti. Percioche, come afferma Leontio, le arme non
s'appartengono a questa, nè il contrasto di Nettuno; ma più tosto sono di
quella Minerva, che fu figliuola del secondo Giove. Et però lasciate quelle
scovriremo l'altre, & v'aggiungeremo alcune cose historice. Vogliono
adunque Minerva, cioè la Sapienza, essere uscita dal cervello di Giove, che
tanto è come discesa da Iddio. Percioche i Fisici vogliono tutta la virtù
intelletuale essere locata nel cervello, come in una fortezza del corpo. Di qui
fingono Minerva, cioè la sapienza, nata dal cervello d'Iddio, affine
ch'intendiamo ogni intelligenza & ogni sapienza essere infusa dal profondo
segreto della sapienza divina; la quale Giunone, cioè la terra, in quanto a
questo sterile non poteva concedere nè può dare. Perche, col testimonio della
sacra scrittura, ogni sapienza viene dal Signor Iddio. Et
ella istessa medesimamente ivi dice: Io sono uscita dalla bocca
dell'Altissimo. Et cosi veramente con industria finsero
quella non come noi siamo generati, ma dal cervello di Giove essere nata, per
dimostrare la singolar sua nobiltà lontana da ogni terrena sporcitie &
feccia. Indi a lei si attribuisce la virginità perpetua & poi la sterilità,
accioche per questo si conosca, che la Sapienza mai non si macchia per alcun
appetito nè atto delle cose mortali; anzi sempre è pura, lucida, intiera &
perfetta. Et in quanto alle cose temporali è sterile, essendo i frutti della
Sapienza eterni. Ciò, che sentirono poi del suo contrasto, egli si scriverà più
di sotto, dove si tratterà d'Erittonio & di questo contrasto. Si cuopre con
una veste a tre falde, accioche siano intese le parole de' saggi, &
specialmente di quei, che fingono sotto coperta di sensi diversi. A lei
appresso è consacrato un arbore dipinto, affine, che conosciamo i parlari dei
savi essere ornati, fioriti, eleganti & molto limati. La Nottola poi, a lei
dedicata invece della Cornice, è per dimostrare il savio con l'avedimento
conoscere le cose poste in oscuro, si come anco la Nottola vede nelle tenebre;
onde cacciate via le ciancie & il garrire, dia opra in haver riguardo a
tempo & luoghi. Minerva poi è derivata, come dice Alberico, da Min, che
significa non, & Erva, che vuol dir mortale; onde nasce la sapienza essere
immortale. Pallide & Athene è nome convenevole ad altre Minerve; di che
dove d'elle si tratterà, esporremmo il tutto. Ma Tritonia è detta da un loco ò
vero da un laco, il quale in Africa è detto Tritone, là dove ella al primo
tratto comparve. Esposte adunque le fittioni in questo modo, egli è da passare
all'historia, & sapere, che Minerva fu una certa donzella della cui origine
non s'ha cognitione; la quale essendo di grand'ingegno, come dice Eusebio,
regnando Foroneo in Grecia, prima appresso Titonia palude over lagho d'Africa
comparve, non sapendo alcuno da quali contrade ella si fosse venuta. Dice nondimeno
Pomponio Mela nella sua Cosmografia, che gli habitanti istimarono quella essere
ivi nata; & le favole ne fanno fede, perche quel giorno natalitio, che
pensavano essere stato il suo lo celebravano con giuochi di donzelle, che tra
loro contrastavano. Questa adunque havendo trovato il filar della lana, la
testura & molte altre cose artificiose, fu tenuta per famosa Dea. Et perche
tutte le sue inventioni parevano derivare da sottile ingegno & da sapienza,
fu aggiunto loco alla favola ch'ella fosse nata dal cervello di Giove. Di
costei dice Agostino nel libro della Città d'Iddio che, regnando Ogigi in
Attica, ella comparse in habito virginale appresso il laco Tritone, si come è
stato detto; & essendo inventrice di molte opre, tanto più facilmente fu
tenuta Dea quanto meno la di lei origine fu incognita. Nè da Eusebio è
differente Agostino nel tempo, percioche l'istesso Eusebio dimostra Foroneo
& Ogigi essere stati ad un medesimo tempo. Et perciò io ho ascritto costei
figliuola al primo Giove: attento, che più a lei parmi convenirsi per lo tempo,
che a alcun altro.
Eusebio nel libro dei Tempi dice,
che Apis, il quale fu poi Re d' Argivi, fu figliuolo di Giove & di Niobe
figliuola di Foroneo; con il cui istesso Eusebio scrive Giove prima, che con
nessun altro essersi congiunto. Et cosi fu il primo Giove, attento, che per la
distanza del tempo molto più inferiori siano gli altri. Ma Leontio disse costui
essere stato figliuolo di Foroneo & di Niobe, sorella & moglie sua,
& a lui essere successo herede nel reame di Sicioni; ma poi dagli Egittij
essere stato fatto Iddio & figliuolo di Giove. Di questo Api si narrano
molte cose; percioche, come rifferiscono alcuni, havendo alquanto tempo
signoreggiato dopo la morte di Foroneo agli Argivi, per disio di gloria &
ingordigia di maggior reame passò in Egitto; & ottenuto quel regno, poscia,
che hebbe insegnato molte cose a quegli huomini rozzi fu incominciato ad essere
tenuto per Dio, havendo già tolto l'Iside per moglie. Ma Eusebio scrive ch'egli
fu Re di Sicioni, & dove da quello egli è stato detto. Del tempo suo poi,
diversa è l'opinione de' scrittori degli annali. Perche alcuni dicono al tempo
d'Abraam la Grecia da lui essere stata detta Apia; altri poi vogliono che, già
nato Giacob, appresso gli Egittij essere stato tenuto Iddio. Ma Beda in quel
libro ch'egli scrisse de' Tempi dice nel tempo di Giacob da Api essere stata
edificata Menfi. Oltre di ciò, Eusebio parla secondo altri egli essere stato Re
degli Argivi & haver regnato cento anni dopo Giacob, & ivi dice che,
havendo Api creato governatore dell'Acaia Egialeo Re & suo fratello, se
n'andò in Egitto, & edificò la città di Menfi. Ch'egli poi se n'andasse in
Egitto & togliesse per moglie l'Iside, a bastanza da tutti è creduto. Ma si
come del suo tempo si dubita, cosi anco della sua morte si dicono diverse cose.
Perche alcuni vogliono lui essere morto appresso gli Egittij & sepolto; del
quale nel libro della Città d'Iddio cosi dice Agostino; Il Re d'Argivi Apis, essendo
navigato in Egitto & ivi morto, fu creato Sarapis, tra tutti gli altri Dei
degli Egittij maggiore. Del nome suo poi: perche doppo morte fosse detto più
tosto Serapis, che Apis, Varrone ne renda facilissima ragione. Perche l'arca
nella quale si mette il morto, chiamata da tutti sepoltura, in greco si dice
Soron; & ivi haveano incominciato honorare il sepolto, pria, che gli fosse
il tempio edificato. Onde Soron & Apis, prima Sorapis; indi
cangiata una lettera come si suol fare, fu poi detto Serapis. Altri poi dissero
lui essere stato morto dal fratello Tifeo & a brano a brano stracciato,
& lungamente cercato dalla moglie Iside, & ultimamente trovato, &
le sue membra raccolte in un panieri; onde poi fu rivolto in religione, nei
sacrifici cioè nei februi intravenirgli il crivello. Ma la Iside poi portò le
membra raccolte oltre la palude Stigia, ch'è in Africa in una Isola molto
lontana, & ivi le ripose. Et vogliono, quelli, che ciò istimano vero,
essere nato dal lungo ricercare dell'Iside quello, che lungamente fecero gli
Egitii, i quali non prima restarono di cercar lei che, trovato un toro bianco,
& a quello ritrovato usando vezzi, lo chiamarono Osiri. Et perche ciò si
faceva ogni anno, disse Iuvenale.
Et il mai non cercato a pieno
Osiri.
Ma andasse egli quando si volesse
in Egitto, ò morisse come si volesse, ò fosse sepolto ad ogni via, che più
piaccia, fu in tanta riverenza Apis appresso gli Egittij, che da loro si venne
a tal conditione (affine, che la sua divinità non potesse essere machiata da
alcuna ombra l'humanità), che publicamente fu ordinato, che se alcuno havesse
ardire chiamar quello essere stato huomo, subito gli fosse tagliato il capo. Et
per ciò in ogni tempio la sua imagine stava con un dito posto inanzi alla
bocca, dimostrando il silentio. Appresso, dice Rabano, che i pazzi Giudei
nell'heremo adorarono in loco d'Iddio il capo di questo toro, il quale gli
Egittij istimarano Serapin. Oltre di ciò, dimostra Macrobio nel libro dei
Saturnali questo Apis con gran riverenza appresso Alessandria d'Egitto essere
adorato, affermando ch'eglino fanno quello honore al Sole. Et cosi pare, che
s'istimi Apis essere il Sole.
Scrive Tullio nelle nature degli
Dei il primo Sole essere stato figliuolo del primo Giove; nondimeno non dice di
qual madre nascesse. Sono di quelli, che vogliono costui essere stato Apis,
conciosia, che in luogo del Sole da gli Egittii, si come di sopra habbiamo
detto, viene adorato. Ma io, che egli sia stato altramente non mi ricordo
haverlo ritrovato; tuttavia sono certo, che fu huomo, & cosi fu differente
da Apis. Egli è da credere anco, che fosse un huomo notabile, famoso, &
ornato d'animo grande & reale, & in quella guisa, che di sopra è stato
detto di Giove essere stato ornato di cosi famoso nome.
La prima Diana fu figlia del primo Giove, & Proserpina, come nel medesimo libro di sopra afferma l'istesso Tullio. Istimo anch'io costei essere stata vera figliuola di questo Giove, & non putativa. Et essendo quel nome assai usato dalle donne, è anco possibile, che fosse proprio, & non ritrovato. Ma quale ella si fosse; non è quella, ch'i Poeti fanno cosi famosa di perpetua virginità, leggendosi costei di Mercurio figliuolo di Libero, & di Proserpina haver conceputo il pennato Cupido.
Afferma Leontio Mercurio essere
stato figliuolo del primo Giove & di Cilene ninfa d'Arcadia. Scriveno i
Poeti costui essere stato messaggiero de' Dei & loro interprete. Onde con
diversi ornamenti lo dipingono, accioche per quelli s'intenda la varietà dei
suoi affari. Scrive di lui Virgilio in questa forma;
Prima si lega i suoi talari, ai
piedi;
I quali d'oro sopra il mar con
l'ali
In alto, over sopra la terra
insieme
Velocemente il portano liggieri.
Piglia la verga poi, con la
qual'egli
Et altre qui nel mesto Inferno
manda;
Con quella apporta i sonni; e i
lumi insieme
Con morte segna; e appresso e' venti
caccia
Con furia; e ferma i nuvoli
turbati.
Et quello, che segue.
Appresso Horatio di lui cosi
scrive nelle Ode.
O Mercurio d'Athlante alto nipote.,
Che con la voce de l'ornato canto
De la tua pura cetra, i fieri volti
Degli huomini novelli pur formasti.
Oltre di ciò Statio gli aggiunge
il capello, dicendo;
Et ventilla le chiome; & col
cappello
Tempra le stelle.
Nondimeno, benche leggiamo più huomini essere stati Mercurij, tuttavia riguardando quelle cose, che poco di sopra di lui scriveno i Poeti, come, che si possano applicare ad un huomo, più tosto presumeremo, che siano scritte sopra il Mercurio pianetta; & maggiormente se riguardaremo qualmente con quelle cose, che sono scritte dagli Astrologhi si confacciano le dette dai Poeti. Perche Albumosaro, huomo tra gli antichi di grandissima auttorità, afferma Mercurio essere di cosi pieghevole natura, che incontanente s'appiglia a quella ch'egli s'accosta converte la natura dell'huomo, che ne partecipa; & questo aviene per lo temperamento della sua sicità & frigidità. Ma l'honorato Andalone, mio precettore, di complessione lo chiama calido & secco, & che significa dilettatione di concubine, chiarezza & oracoli di Poeti, eloquenza & memoria d'historie, credenza, bellezza, bontà, disciplina, sottigliezza d'ingegno, scienza di cose future, Aritmetica, Geometria & Astrologia. Et appresso, haver in sé la descrittione di tutte le cose, cosi celesti come terrestri. Oltre di ciò, auguri, dolcezza di ragionamenti, velocità & disio di signori. Et quello lode, fama; & appresso tonsura di chioma, scrittori, libri, bugie, testimonio falso, considerationi di cose rimotte, poca allegrezza, ruina della sostanza, negotii, compride, furti, liti, astutie, profondità di consiglio, dolcezza di versi & canzoni, colorationi diverse, ubidienza, pace, concordia, pietà, povertà, conservatione d'amicitia, artefici manuali, & molte altre cose si dinotano. Et come afferma esso Andalone, con i maschi è maschio & con le femine feminile. Per le quai cose facilmente possiamo comprendere ch'essendo di cosi convertevole natura, di lui ne i prescritti versi haver inteso i Poeti come, che l'istesso si possa anco dire degli huomini Mercuriali & anco si dica, secondo, che si dimostrerà nelle seguenti. Ma piacemi piu largamente dichiarare l'intento di Poeti, accioche più chiaramente si manifesti quanto si convengano con gli Astrologhi. Dicono adunque, affine, che dal capo pigliamo il principio, essere coperto con un capello, per dimostrarci che, si come chi si cuopre col capello schifa le pioggie & il Sole, cosi Mercurio coperto da i solari raggi, ai quali quasi sempre congiunto, fugge essere veduto da' mortali; rarissime volte certamente veduto, & a pochi è noto. Et l'huomo Mercuriale con l'astutia cuopre il suo intento. Haver poi l'ale ai taloni dinota la sua velocità, non solamente nel Moto, il quale a lui circa l'epiciclo è velocissimo, ma per la veloce donatione & apprendere delle proprietà sopracelesti de gli altri corpi; là onde si comprende la voce & l'astuta inclinatione degli huomini mercuriali. La verga poi gli è attribuita per le varietà dei corpi che a lui si congiungono, secondo le quali egli subito partisce i suoi affetti; & anco l'huomo Mercuriale d'intorno ogni opra sua, misura l'effetto & il potere. Che poi con la verga, cioè con la sua potenza, richiami l'anime dal centro, qui è bisogno più acutamente aprir l'orecchi. Furono veramente di quelli i quali istimarono tutte l'anime degli huomini al principio essere stato create insieme, & dopo, concetto gli huomini, essere state mandate in noi a morire & a passare nell'Inferno; & ivi essere tormentate fino attanto, che purghino le cose commesse in vita, & indi passare nei campi Elisi, & mill'anni da poi essere guidate da Mercurio di fiume Lethe, acciò bevendo di quello si scordassero le fatiche della presente vita, & cosi desiderassero di novo ritornare ne i corpi ai quali Mercurio le richiamava. La qual opinione ridiculosa benissimo tocca Virgilio, mentre dice;
Sopportiamo ciascun l'anime nostre,
Indi mandati siam per l'ampio
Elisio,
Et pochi possediamo i campi lieti;
Fin, che il dì lungo a pien fornito
il tempo
Leva la peste generata, e il puro
Ethero senso lascia, e il foco
insieme
De l'aura pura; onde pei queste
tutte
(Girato, c'hanno il spatio di mille
anni)
Iddio in gran schiera al Letheo
fiume chiama
Affin, che de l'oblio gustate
l'acque;
Tornino a riveder le cose state,
Di novo incominciando ad haver
voglia
Di ritornar nei corpi, & farsi
humane.
Questo ufficio adunque di rivocar
l'anime ai corpi vogliono, che sia attribuito a Mercurio, perche dicono, che è
presidente al porto, che nel sesto mese sta nel ventre della madre; nel qual
tempo molti istimano l'anima rationale essere infusa nel conceputo, &
questo per opra di Mercurio, che gli signoreggia. Cosi dall'Orco, cioè
dall'inferior loco, viene revocata l'anima nel corpo di quello c'ha a nascere
da Mercurio. Che poi le mandi ai Tartari è opinione de' Fisici, perche per lo
freddo & per lo secco, qual'è la vera complessione di Mercurio, mancando il
callido & humido radicale, l'anima si disgiunge dal corpo, & secondo
l'opinione degli antichi va all'Inferno. Togliere poi & dare i sonni è
l'istesso con quello ch'è stato detto giudicare i nascenti in vita, ch'è il
togliersi il sonno & sciogliersi in morte, che significa darli il sonno.
Cacciare i venti è opra di Mercurio, perch'egli col suo freddo alle volte
suscita quelli, che, suscitati, qua & là le nebbie sono portate dai loro
sforzi. Vogliono anco, che sia il Dio dell'eloquenza, di mercanti, de' ladri
& d'alcun'altre cose, che di sotto si diranno trattandosi degli huomini
mercuriali. Che poi fosse figliuolo di Giove, è stato finto perche è creatura
d'Iddio. Ma di Cilene fu detto per colorar la fittione, ò perche prima fu
adorato appresso Cilene monte d'Arcadia.
Dice Cicerone, dove tratta delle
Nature de' Dei; che Tritopatreo, Ebuleio & Dionisio furono figliuoli
dell'antichissimo Giove, cioè primo Re d'Atheniesi, & di Proserpina; e, che
in Athene furono chiamati Ariarchi. I quali, come, che niente io non ritrovi di
loro, nondimeno istimo, che fossero famosissimi huomini, attento, che Ariarches
significa Prencipe dell'armi. Percioche Aris in greco suona latinamente
Marte, & Archos Prencipe; adunque furono delle guerre overo
dell'armi prencipi. Il che a' que tempi, & anco hoggi dì, è grandissimo
nome. Ma Leontio dice, che Ebuleo, tratto dalla fama d'Antheo figliuolo della
Terra, andò a trovarlo per giuocar seco alla lotta, & havendolo vinto
meritò il cognome d'Hercole; il quale pria di lui alcuno non havea meritato.
Nondimeno io credo Ebuleo essere stato molto più antico d'Antheo. Similmente
dice, che Dionisio mosse guerra agl'Indi, constrette le donne alla guerra,
& ottenuta la vittoria ivi haver edificato la città di Nisa. Indi
ritornando vittorioso fu il primo, che s'imaginò la pompa del Trionfo, & anco
insegnò agli Atheniesi l'uso del vino; & da quelli fu chiamato libero,
& padre; conciosia che, vivendo lui si tenevano liberi, & come
conservati sotto la difesa d'ottimo padre. Le quali cose non nego, che non
potessero essere state in questo modo; ma nondimeno istimo, che fossero molto
da poi.
Piace appresso, a Tullio, il primo & antichissimo Hercole essere stato figliuolo del primo Giove di Lisico. Et afferma costui essere stato a contrasto con Apollo sopra il tripode; nel quale, perche l'ottenne, Paolo vuole che, essendo prima detto Dionisio, perciò fosse chiamato poi Hercole. Il che veramente afferma anco Leontio; ma però non dimostra la cagione, onde non so, chi mi credere. Ma il contrasto del Tripode, cred'io, che fosse sopra l'indovinare. Conciosia che, dice Paolo le Tripode di Febo essere una spetie di lauro solo, che ha tre radici, & perciò queste nei libri de' Pontefici esser dette Tripode, & essere consacrate ad Apollo; perche essend'egli iddio dell'indovinare, questi tali allori paiono havere l'istessa virtù. Attento, che si legge che, se le frondi della spetie di tal lauro sono messe sotto il capo d'uno, che dorma, senza dubbio egli vedrà veri insogni.
Tullio dimostra Giove haver
havuto alcuni figliuoli di Proserpina, & anco dimostra, che una istessa
fosse di lui figliuola. Il che è possibile, conservata l'honestà ch'egli
havesse Proserpina per moglie, & che di questa medesima overo d'altra donna
havesse una figliuola chiamata Proserpina, la quale pare, che l'istesso Tullio
voglia, che fosse moglie di Libero suo fratello; non ricordandomi altro, che
questo haver letto di lei.
Cicerone nelle Nature de' Dei
chiaramente testimonia il primo Libero essere stato figliuolo del primo. Ma
Leontio istima costui essere stato uno istesso con Dionisio detto di sopra,
& si sforza dimostrare, che tra tutti gli altri suoi fratelli fosse huomo
famoso. Nondimeno Eusebio ò di questo ò d'altro (il che anch'io più tosto
credo) descrive, che fu molto doppo questo tempi. Ma alcuni vogliono ch'a
costui fosse sorella & moglie Proserpina, & che di lei havesse Mercurio
secondo per figliuolo.
Un'altro Mercurio differente dal
detto di sopra fu figliuolo di Libero & di Proserpina, come afferma
Theodontio & Corvilio; del quale è recitata tal favola da Teodontio: Che
havendo egli rubbato le vacche d'Apollo, che alcun altro non l'havea veduto
eccetto, che un certo huomo chiamato Batto; ne donò una al detto, con tal
patto, che non palesasse il detto furto. Indi cangiatosi in un'altra sembianza,
per far esperienza della fede di Batto, venne a lui fingendo d'essere colui,
che le havea perdute, & gli offerse un Toro s'ei gliela insegnava. Onde
Batto gli rivelò tutto quello c'havea veduto. Di che sdegnato Mercurio lo
converse in sasso, chiamato dagli antichi Indice, & da noi volgarmente
Pietra da paragone. Finalmente Apollo, confidatosi nella sua divinità, conobbe
il furto; onde pigliato l'arco con le sue saette volse uccidere Mercurio, ma
Mercurio fattosi invisibile non puotè essere offeso. Ultimamente, accordatisi
insieme, Mercurio concesse ad Apollo la cettra da lui trovata, & Apollo
diede a lui la sua verga. Diceva appresso Paolo ch'egli havea letto altrove,
che Mercurio, essendosi imaginato dell'ira d'Appollo, per non poter essere da
lui offeso, segretamente pian piano gli havea tolta fuori della faretra tutte
le saette. Di che l'irato Apollo essendosi accorto, & maravigliandosi della
sua astutia, se ne rise, & seco fece pace. Leontio d'intorno questa favola
diceva questo Mercurio essere stato figliuolo di Dionisio, che poco di sopra è
stato detto Libero, & dal nascimento suo chiamato Niso; percioche nacque
appresso Nisa d'India, poco inanzi edificata dal padre. Onde cresciuto in
adolescenza, fu tanto veloce de' piedi che nel corso vinceva tutti gli altri
dal suo tempo. Per la qual cosa lasciato il primo nome fu chiamato Stilbone,
che in latino suona veloce. Poi havendo apparato l'arti magiche, et grandemente
dilettandosi di ladronezzi imbolò gli armenti a Foronide sacerdote d'Apollo
Delfico, che a quel tempo era tenuto di maravigliosa auttorità; & quelli
havea riposti dietro una certa tomba di pietra, chiamata Batho. Ma per caso
essendosi separato un toro dagli altri compagni, & volendo ritornare a
quelli, avenne, che cadè entro quella tomba, & incominciando a mugghiare gli
altri tori con i loro muggiti gli rispondevano; là onde udita la voce da quei,
che gli ricercavano, & andati, ritrovarono gli armenti involati; &
quella tomba cangiato il nome di Batho fu detta Indice. Stilbone poi havendo
fuggito con l'arti sue l'impeto dell'irato Foronide, finalmente divenne suo
amico. Ma perseverando in tali misfatti non per avaritia, ma, come diceva, per
instinto naturale: essendo appresso bello huomo, eloquentissimo & d'intorno
tutti gli essercitij manuali d'acutissimo ingegno, fu nomato Mercurio & Dio
dei ladri. Il che (come affermava l'istesso Leontio) se bene hebbe principio da
un giuoco, l'incominciamento nondimeno accrebbe tanto appresso gli Atheniesi
& Arcadi che dopo la sua morte gli furono edificati tempi & fatti
sacrifici, con i quali si sforzavano farselo favorevole quelli a' quali era
stato involato alcuna cosa, affermando per sua deità molte cose conservarsi
& anco ricuperarsi. Et dicevano lui, si come gli altri dei, havere le sue
insegne; delle quali, perche di sotto sono per dire dove tratterò del terzo
Mercurio, qui non mi sono curato scrivere alcuna cosa.
Il primo Cupido, come dice Tullio & Theodontio, fu figliuolo del secondo Mercurio & della prima Diana; il quale dicono essere stato pennato. Il che circa due sensi poterono intenderci quei c'hanno finto. Prima d'intorno il nome, essendo stato bellissimo fanciullo a guisa di Cupido figliuolo di Venere, sempre dipinto garzone & bellissimo; quasi un altro Cupido, per tale fu chiamato. Pennato poi istimo, che lo chiamassero perche fu giovanetto velocissimo nel corso.
Auttolio, come piace a Ovidio, fu
figliuolo di Mercurio & Lichione; il quale Ovidio dell'origine di costui
recita tal favola. Dice, che Lichione fu bellissima figliuola di Dedalione, di
maniera, che molto piacque ad Apollo & a Mercurio; i quali amendue
ricercandola in uno istesso giorno, senza, che l'uno sapesse dell'altro, a
tutti due la notte seguente promise il suo congiungimento. Onde Mercurio, senza
poter indugiare, che si facesse notte, la toccò con la sua verga facendola
addormentare, & con lei si giacque. Apollo poi vi andò la notte, &
medesimamente seco hebbe a fare; dai quali partorì due figliuoli, cioè di
Mercurio hebbe Auttolio & di Apollo Filemone. Ma Euttolio tra i ladri
divenne famosissimo, di maniera, che non pareva tralignare del padre. Filemone
poi fatto citharedo dimostrò ch'era stato figliuolo d'Apollo. Istimo il diverso
successo del fine di questi due fratelli haver dato materia a questa fittione,
& che l'uno & l'altro di loro fosse attribuito figliuolo a quel Dio del
quale imitò i costumi. Et forse anco, che Auttolio nel suo nascimento hebbe in
ascendente Mercurio, & però fu detto suo figliuolo. Et Apollo per l'istessa
cagione s'acquistò Filemone.
Sinone fu figliuolo (come piace a
Paolo) d'Auttolio. Et Servio dice questo istesso essere stato ladro; il quale
nell'essercitio di ladronezzi di maniera si trasformava in varie forme, che
leggiermente ingannava ogn'uno. Generò egli Sissimo & Auttolia madre
d'Ulisse, & hebbe signoria appresso Parnaso, si come si vede nell'Odissea
di Homero; dove recita qualmente, appresso Parnaso da un cignale fu ferito
Ulisse.
Dice Servio, che Sissimo fu
figliuolo del primo Sinone; nè di lui mi ricordo haver letto altro eccetto, che
fu padre del secondo Sinone, il quale col suo tradimento fu cagione della ruina
di Troia.
Come piace a Servio, Auttolia fu
figliuola del primo Sinone. Costei essendosi maritata in Laerte Re d'Erachia,
& andando a marito (secondo l'opinione d'alcuni) fu assalita & presa da
Sisifo assassino, il quale hebbe seco a congiungersi. Et sono di quelli che
vogliono da tale congiungimento essere nato Ulisse. Onde cosi pregna essendo
andata alle nozze del marito Laerte, & venuto il tempo del partorire, colui
ch'ella havea conceputo di Sisifo fu tenuto figlio di Laerte. Il che Aiace
figliuolo di Thelamone appresso Ovidio nel contrasto dell'armi d'Achille a lui
gitta in occhio, dicendo:
Di Sisifo del sangue uscito, &
nato,
Et di furti, & di frode eguale
a lui.
Costei, come si dice, essendole falsamente riportato Ulisse sotto Troia essere stato morto, non potendo sopportare il dolore con un canape si sospese; la quale da poi (come scrive Homero nell'Odissea) nell'Inferno ritrovò & conobbe Ulisse, dove la interrogò di molte cose & sopra molte fu ammaestrato.
Il Secondo Sinone per testimonio
di Servio fu figlio di Sissimo, & dal primo Sinone suo zio cosi detto.
Costui, come dimostra Virgilio, essendo andato con Greci alla distruttione di
Troia, andando le cose non molto prospere, corrotto da quelli, che finsero di
partirsi dall'assedio, volontariamente si lasciò pigliare da' Troiani &
condurre dinanzi al Re Priamo. Appresso il quale primieramente con maravigliosa
astutia s'inalzò, & poi con false parole persuase il Re & gli altri
Troiani a torre entro la città il cavallo di legno, tuttavia dandogli ad
intendere, che Greci volevano partirsi. Che poi avenisse di lui non lo so.
Nondimeno Plinio scrive nel libro dell'Historia Naturale costui essere stato
l'inventore della significatione speculativa; il che dimostra lui essere stato
huomo di non picciolo ingegno & sapere.
Hora, che habbiamo spedito tutta
la prole del primo padre Libero, figliuolo del primo Giove, egli è da rivolgere
il parlare ad Epafo Egittio & alla sua grandissima discendenza. Il qual
Epafo, come mostra Ovidio, do Ione figliuola d'Inaco fu figlio di Giove. Ma
Theodontio & Leontio egualmente dicono, che fu figlio di Giove, ma, che
hebbe per madre Iside figliuola di Prometheo, si come più a basso parlandosi
d'Iside apertamente si tratterà. Nondimeno Eusebio nel libro dei Tempi dice,
che fu figlio di Thelegone, a cui si maritò dopo la morte d'Apis, Iside. Ma
Gervaso Telliberese nel libro degli otij Imperali scrive Epafo essere stato
figliuolo d'Heleno & d'Iside, & haver edificato Babilonia d'Egitto; la
qual'opra più certi auttori affermano essere stata di Cambise Re di Persi. Cosi
tra loro gli auttori sono differenti del padre & della madre. Là onde io
seguirò la fama più commune & dirò, che fu figliolo d'Ione & Giove;
della cui concettione più di sotto, dove si scrive d'Ione, intieramente si reciterà
la favola. Di costui dice Lattantio, che fu moglie Cassiopia; non quella, che
fu nora di Perseo, ma una più antica, & che da quella hebbe alcuno
figliuolo, come poi si vederà. Del suo tempo, non meno discordano gli antichi
di quello, che facciano del padre & della madre. Percioche col testimonio
d'Eusebio, dove tratta dei Tempi, alcuni dicano, che Giove hebbe a fare con
Ione figliuola d'Inaco regnando Cecrope in Athene, il quale signoreggiò circa
gli anni del mondo tremilasecento & quarantasette; ritrovandosi poi, che
Inaco regnò fino agli anni del mondo tremilatrecento & novantasette. Onde
secondo questi bisognò questa essere un'altra Ione, che quella d'Inaco. Indi
l'istesso Eusebio poco dopo dice la predetta Ione essere andata in Egitto
l'anno quarantesimoterzo dell'Imperio di Cecrope, il quale fu l'anno del mondo
tremillesettecento & dieci, & ivi essere stata nomata Iside, essendosi
maritata in un certo Telegono, dal quale partorì Epafo. Ma io, lasciate le
varietà ho detto Epafo essere stato figliuolo del primo Giove, percioche parmi
il suo tempo più convenirsi con Ione figlia d'Inaco & Iside di Prometheo;
ciascuna delle quali, che più gli piaccia, può ogn'uno darsi per madre.
Libia nacque d'Epafo & di
Cassiopea sua moglie, si come a Lattantio piace; la quale essendosi congiunta
con Nettuno, cioè con altro huomo differente da Egitto; di lui partorì Busiri,
che fu poi immanissimo tiranno. Costei (come dice Isidoro dove tratta
dell'Ethimologie) fu reina di quella parte dell'Africa la quale dal suo nome è
detta Libia.
Belo, ilquale gli antichi dicono (secondo Paolo) fu figliuolo d'Epafo, & dopo lui nel più lontano Egitto hebbe signoria; dove, come dicono, divenuto inventore & dottore della disciplina celeste meritò dagli Egittij (secondo ch'afferma il detto Paolo) un tempio, che in Babilonia gli fu edificato & consecrato a Giove Belo. Ma Theodontio dice questo tempio essere stato fatto doppo Belo per astutia di Giove Cretese; il quale, fatte leghe con i Prencipi come per conservarle, & sotto colore di eternità, fece nei loro Reami edificare molti Tempi, & quelli col titolo del suo nome adornare. Con la quale astutia grandemente il suo nome & la deità fu inalzata. Altri sono, che dicano questo Tempio non essere stato drizzato a Belo Prisco, nè in Babilonia d'Egitto, ma a Belo padre di Nilo Re degli Assiri in Babilonia de' Caldei; & ivi lungamente sotto il nome di Saturno con sacrifici & diversi honori essere stato adorato. Oltre ciò furono a Belo Prisco alcuni figliuoli, ma non si sa di qual donne.
Fu Danao figliuolo di Belo Prisco, come afferma Paolo, & l'istesso conferma Lattantio; il quale anco inanzi Paolo Orosio dice Danao figliuolo di Belo haver havuto da più mogli cinquanta figliuole. Le quali havendo a lui dimandato Egisto suo fratello per nuore, che medesimamente havea cinquanta figliuoli, Danao andatosi a consultare con l'oracolo hebbe risposta, se haver a morire per le mane d'un genero. Di che per schifar il pericolo, montato in nave venne in Argo. Et afferma Plinio nel libro dell'Historia Naturale ch'egli fu il primo, che passasse il mare con navi, attento, che per inanzi, trovate le navi dal Re Eritra, solamente si navigasse per lo mar rosso. Benche siano di quelli, come scrive l'istesso Plinio, che credano i Messi & i Troiani nell'Helesponto esserne stati i primi inventori, mentre passavano contra i Thracesi. Sdegnato adunque Egisto, che fosse sprezzato dal fratello, comandò ai figliuoli ch'il seguissero, ordinandogli, che non ritornassero verso casa se prima non amazzavano Danao. La onde combattendo eglino contra il zio in Argo, da quello, che poco si confidava nelle sue forze, con inganno furono presi. Percioche egli gli promise secondo il voler d'Egisto darli sue figliuole per moglie; nè di fede mancò alla promessa. Di che ammaestrate le figliuole dal padre di ciò c'havessero a fare, ciascuna entrò col suo sposo nel letto havendo seco un coltello nascosto. Onde per la crapula & per la allegrezza essendo facilmente adormentati tutti i giovani, le donzelle volendo ubbidire al padre, pigliata l'occasione scannarono tutti i suoi mariti, eccetto Hipermestra; la quale havendo compassione di Lino, overo di Linceo suo sposo, a cui già havea posto amore, gli perdonò & gli scoperse il trattato. Dice Eusebio, che questo Danao, il quale hebbe anco nome Armaide, nei tremillesettecento & sedici anni dopo la creatione del mondo incominciò regnare appresso gli Egittii. Ma cacciato poi d'Egitto se ne venne in Argo, dove cacciò dal reame Steleno, che prima havea signoreggiato undici anni alli Argivi; i quali poi cacciarono dall'Imperio Galanone suo successore & tolsero Danao, il quale gli fece abondanti d'acque. Perche, secondo Plinio nell'Historia Naturale, fu il primo, che dall'Egitto in Grecia dimostrò il cavare i pozzi. Et afferma appresso, che quasi all'istessi tempi per opra sua dalle cinquanta sue figliuole furono amazzati i cinquanta figliuoli di Egisto suo fratello, eccetto Linceo over Lino. Finalmente, regnato, che hebbe cinquant'anni, fu morto da Linceo.
Le figliuole di Danao con i
propri loro nomi ci sono quasi incognito, attento, che a pena il nome di tre
sole è pervenuto all'età nostra. Et si come habbiamo perduto i nomi, cosi anco
le loro fortune, dopo il commesso peccato, sono andate in oblio. Nondimeno i
Poeti hanno finto queste essere nell'Inferno condennate a tal tormento, cioè a
cavar acqua d'un pozzo & empirne alcune urne senza fondo. Onde dice Ovidio;
Di Belo le figliuole empie, e
crudeli,
C'hebbero ardir dar morte a' suoi
germani,
Continuamente tornano per acqua
Et la portano dove invan si versa.
Et Seneca Tragico in Hercole
furioso:
E indarno l'urne
Portano piene
Quelle di Belo.
Istimo questo tormento essere a
loro aggiunto accioche si descriva la singolar cura delle donne, le quali
mentre con la soverchia vanità studiano accrescere la sua bellezza perdono la
fatica, & si sminuisce quello, che cercano con vana diligenza accrescere.
Overo, che più tosto si dimostra quale sia la fatica degli huomini effeminati
& lussuriosi; i quali mentre con l'usar spesso il coito credono empire
quello, che disiano: senza ottenere il suo disio ritrovano haver evacuato sé
stessi.
Hipermestra, come nelle Pistole
mostra Ovidio, fu figliuola di Danao, & fu sola, che tra l'altre sorelle,
sprezzato il comandamento del padre, perdonò al suo sposo Linceo. Et perciò
vuole Ovidio, che Danao la facesse imprigionare. Costei, come dice Eusebio nel
libro dei Tempi, alcui istimarono esser Iside. Nondimeno, regnando il padre
Danao, fu ministra sacerdote del Re.
Fu Amimone, secondo Lattantio, figliuola di Danao, & una delle cinquanta sorelle. Costei, essendo con i suoi dardi in un bosco a caccia nascosta, inavertentemente percosse un Satiro; il quale a lei volendo poi usar violenza, Amimone dimandò aiuto a Nettuno. Onde Nettuno cacciato via il Satiro, la donzella sopportò da Nettuno quello, che non havea voluto patire dal Satiro, & cosi seco si congiunse, & di lui partorì Nauplio. Quello poi, che si nasconda sotto questa fittione, dove si tratterà del nascimento di Nauplio esponeremo.
Vuole Dite Candiano, dove scrive
dell'Impresa di Greci contra Troiani, Buona essere stata figliuola di Danao
& maritata in Atelante; dal quale partorì Elettra, che poi di Giove hebbe
Dardano.
Fu Egisto figliuolo di Belo
Prisco & fratello di Danao, si come a bastanza habbiamo di sopra mostrato.
Costui hebbe cinquanta figliuoli; per li quali havendo richiesto a Danao suo
fratello le cinquanta figliuole per spose, tutti nella notte delle nozze per
comandamento di lui furono da quelle amazzati, eccetto Linceo, si come è stato
detto.
Linceo, chiamato da Ovidio Lino,
fu figliuolo d'Egisto, & solo per compassione d'Hipermestra tra cinquanta
fratelli schifò la morte. Costui, come piace ad alcuni, cacciato il zio Danao
in sua vece regnò in Argo. Altri poi dicono, che lo amazzò. Ma fosse come si
voglia, secondo, che dimostra Eusebio nel libro dei Tempi, regnato c'hebbe Danao
cinquant'anni, egli in suo loco nel reame successe. Et havendo signoreggiato
quarant'un anno, lasciato Abante, Iasio & Acrisio suoi figliuoli, finì
l'ultimo giorno.
Abante, come afferma Barlaam, nacque di Linceo & Hipermestra sua moglie, come, che Paolo dica, ch'egli fosse figliuolo di Belo Prisco. Costui fu gran guerriero & huomo di acutissimo ingegno, & successe nel reame al padre Linceo. Onde, poscia, ch'hebbe signoreggiato vent'otto anni agli Argivi (secondo Eusebio) se ne morì.
Prito, overo Proeto, come piace a Lattantio & Servio, fu figliuolo d'Abante Re d'Argivi. Di costui come affermano quasi tutti fu moglie Stenoboe, ma Homero dice Antiope, dalla quale hebbe tre figliuole; le quali già cresciute in età & essendo bellissime, entrando nel tempio di Giunone di maniera si levarono in superbia, che volevano precedere a lei. Di che Giunone turbata, sopra loro mandò tal furia, che s'istimarono esser vacche, & incominciarono a temer gli aratri nascondendosi nelle selve, si come dice Virgilio:
Con mughi falsi di Preto le figlie
Empiro i campi, le campagne, e i
colli.
Ma Ovidio rifferisce altra
cagione di tal pazzia, dicendo ch'elle nell'isola Cea si tennero esser vacche
percioche consentirono al furto, che fu fatto degli armenti d'Hercole. Ma
avenisse perciò, che si volesse, malamente Proeto sopportò tal sventura. Onde
promise parte del suo reame, & quale più gli piacesse di sue figliuole in
moglie, a colui, che le liberasse da tal disgratia & le tornasse nella
primiera forma. Di che Melampo figliuolo d' Amithaone guidato dal disio del
premio le tolse a curare, & come dice Vetruvio nel libro dell'Architettura le
menò a Clitore città d'Arcadia; percioche ivi vicino è una spelonca dalla quale
nasce un'acqua, che chi di quella gusta si fa smemorato. Et per ciò appresso
quella è un Epigramma scolpito in una pietra in versi greci, che dinota
quell'acqua non essere buona a lavare, & alle viti inimica. Ivi adunque
fatti i dovuti sacrifici, le purgò & le ritornò nel primiero stato; &
cosi hebbe una parte del regno, & una di loro per moglie. Proeto poi,
secondo Eusebio, regnò dicisette anni, & a lui successe Acrisio suo
fratello. Ma io istimo, se bene riguardo la medicina di questo Melampo, le
figliuole di tal Proeto essere state piu avide, che non si convenga a donne del
vino, & che havendo molto bene bevuto, ardissero spesse volte preferirsi al
padre Re; per la qual cosa meritarono l'ira di Giunone, cioè del padre
regnante, onde instigando il vino in contraria parte la castità, feminilmente
rivolte in furore gridavano si essere divenute giuvenche, serve & suddite
al giogo. Il che essendo loro avenuto più volte, Proeto turbato per la
disgratia le diede a guarire a Melampo; il quale facendole gustare l'acqua
predetta le fece divenire inimiche del vino, & il solito furore partissi da
loro.
Merane; secondo Leontio fu figlia
di Preto & d'Anthia figliuola d'Anfianasta; la quale essendo inchinata alle
caccie & per li boschi seguendo Diana, fu veduta da Giove & da lui
amata; là onde pigliata la sembianza di Diana seco hebbe a fare. Di che la giovane
per vergogna del commesso peccato, & temendo di novo non essere ingannata,
non volse più ubbidire nè venire a Diana che la chiamava; per la qual cosa la
dea sdegnata, con una delle sue saette la amazzò. Costei dice Paolo essere
stata figliuola di Stenoboe, si come furono le altre, & vuole, che
ricuperata sanità divenisse seguace di Diana. Per la qual fittione, dice
l'istesso Leontio; gli Hipocriti spesse volte con inganni haver condotti i
sciocchi in quella ruina, che mostrano non sapere. Dalla quale, mentre il
verace huomo alle volte cerca & si sforza rilevarvi i caduti, quei,
ingannati una volta, temendo d'ogni cosa & divenuti increduli, sprezzando
l'offertagli salute cadono in perpetua morte.
Acrisio fu figliuolo d'Abante,
come dice Lattantio, & secondo, che scrive Eusebio nel libro dei Tempi
successe nel reame al fratello Preto. Questi, si come afferma l'istesso
Lattantio, nè da ciò discorda Servio, havendo una sola figliuola chiamata Danae,
& essendoli stato rivellato, che per le mani di colui, che era per nascere
dalla figliuola havea a morire, per fuggire l'annunciatagli morte la fece
rinchiudere in una certa torre & ivi guardare, accioche alcun huomo a lei
potesse andare. Avenne adunque che, sparsa la fama della sua bellezza, Giove
s'inamorasse di quella; il quale non veggendo altra via per poter andare a lei,
cangiatosi in pioggia d'oro per li coppi del tetto lasciò cadersi nel grembo di
lei, & cosi la impregnò. Il che sopportando malamente Acrisio, la fece
pigliare; & messala in una cassa, comandò, che fosse gittata in mare. La
qual cosa essequita dai ministri, fino nel lito di Puglia la cassa fu gittata,
& per caso da un pescatore pigliata. La quale aperta, & ritrovatavi Danae
& un picciolo figliuolo da lei partorito, la portò al Re Pilunno; il quale
conoscendo la natione di lei & la patria, volentieri se la tolse per
moglie. Ma il figliuolo di lei, nomato Perseo, cresciuto già in età, &
havendo già tagliato il capo a Gorgone, venendo in Argo trasmutò Acrisio in
sasso. La qual premutatione secondo Eusebio significa che, havendo regnato
appresso Argivi Acrisio trent'un anno, da Perseo suo nipote non volontariamente
però fu amazzato & converso in sasso, cioè in frigidezza perpetua. Quello,
che ci resta sopra tale fittione, dichiareremo dove si parla di Danae.
Danae, si come s'è detto di
sopra, gittata dal padre nel mare pregna, essendo cacciata da quello sul lito
di Puglia, si maritò in Pilunno Re di Puglia. Et indi passati da i Rutuli,
& edificata ivi la città d'Ardea, partorì a Pilunno Dauno. Ma quello, che
di sopra habbiamo lasciato parmi hora da esporre, cioè Giove essersi
trasformato in pioggia d'oro & per lo tetto essere caduto in grembo a
Danae; onde credo doversi intendere la pudicitia della vergine essere stata
corrotta con oro. Et non essendo conceduto all'adultero potervi entrare per la
porta, quello esservi andato per lo tetto segretamente, & poi essersi
locato nella camera della donzella. Nondimeno Thodontio dice che, essendo Danae
amata da Giove, & sapendo, che per tema del padre era condennata a perpetua
prigionia, affine di poter scampare & pigliar la fuga, segretamente con
Giove fece mercato del prezzo del suo congiungimento. Onde apparecchiata una nave,
con quelle ricchezze ch'ella puotè pigliare, essendo pregna di Giove si diede à
fuggire.
Questo Iasio, come piace a
Theodontio, fu figliuolo d'Abante, del quale non ho letto niente altro eccetto,
che spessissime volte viene annoverato tra i Re Greci, & c'hebbe alcuni
figliuoli.
Secondo Lattantio &
Theodontio Athlanta fu la più giovane dei figliuoli di Iasio. La quale essendo
bellissima donzella & delle compagne di Diana, chiamata da Meleagro venne
alla caccia del Cinghiale Celidonio insieme con l'avanzo della nobiltà
d'Achaia, & ella fu la prima, che ferì il Cinghiale con una saetta. Di che
Meleagro per la sua bellezza & valore s'inamorò in lei; onde morta quella
la fiera, perciò meritò l'honore d'haverne il capo in dono. Per lo quale venne
in amicitia di Meleagro & si congiunse seco, dal quale partorì Parthenopeo.
Vn'altro Anfione differente da
quello, che cinse Thebe di mura fu figliuolo di Iasio, & regnò, come dice
Leontio, nell'Orcomeno inimico & in Pilo, il quale anco fu nomato Argo;
& hebbe una sola figliuola chiamata Clori.
Clori, come di sopra è stato
detto, fu figlia d'Anfione; & secondo, che testimonia Homero nell'Odissea
fu maritata in Neleo, al quale partorì Nestore & molti altri figliuoli.
Dice Paolo, che Thalaone fu
figliuolo di Iasio, & che regnò in Argo. Il che secondo il mio giudicio si
deve intendere sanamente, mentre, che gli antichi chiamano questi tali huomini
Re. Percioche, non si ritrovando nel Cathalogo dei Re, egli è da giudicare, che
solamente fossero di stirpe reale, & havessero qualche particella di
signoria. La onde avenisse, che più tosto fossero dimandati Re per lo splendore
dell'origine, che per lo possesso dei reami di questi tali. De quali istimo,
che fossero simili questo Thalaone, Anfione & Iasio.
Euridice, come afferma
Theodontio, fu figliuola di Thalaone & data per moglie ad Anfiarao
indovino, al quale partorì Anfiloco & Almeone. Ma havendo il Re Adrasto
pigliato la difesa di Polinice suo genero contra Etheocle, & apparecchiando
la guerra contra Thebani, avenne, che Anfiarao hebbe per oracolo, che s'egli
andava a quella guerra non ritornarebbe piu; per la qual cosa si nascose in una
grotta sotterra, & solamente manifestò il loco alla moglie. Onde essendo
con grande instanza cercato da Adrasto & da altri, mai non fu ritrovato. Ma
mentre, che ciò s'instigava, occorse, che Euridice sua moglie vide un certo
monile al collo d'Argia moglie di Polinice, il quale fu già donato da Vulcano a
Hermiona moglie di Cadmo; & desiderando molto haverlo, disse ad Argia, che
s'ella volea darle quel monile, che le insegnarebbe Anfiarao. Et cosi fu fatto.
Là onde andando Anfiarao alla guerra, fu dalla terra inghiottito. Ma Euridice
poi fu amazzata dal figliuolo Almeone, al quale Anfiarao andando alla guerra
havea commesso la vendetta della sua morte.
Theodontio dice, che Flegeo fu
figliuolo di Thalaone: il quale morendo giovanetto, non lasciò di sé cosa degna
di memoria.
Il Re d'Argivi Adrasto fu
figliuolo (come Lattantio vuole) di Thalaone & Eurinome. Il quale havendo
due figliuole, cioè Deifile & Argia, & essendogli stato per oracolo
riferito ch'egli havea a darle per spose una ad un cinghiale & l'altra ad
un leone, d'intorno alla futura disgratia delle figliuole si tormentava. Ma
avenne per caso, che Polinice Thebano d'accordio col fratello Etheocle fatto
essule a mezza notte giunse in Argo, & per fuggire la pioggia & il
vento, che quella notte era crudelissimo, entrò sotto i portici, che giravano
intorno il palazzo reale. Nè molto vi stette, che medesimamente Thideo, per
l'homicidio commesso fuggendo di Calidonia, ivi pervenne. La dove nessuno di
loro non si conoscendo, venuti insieme a parole ingiuriose per cagione
dell'aloggiamento, ultimamente posero le mani all'armi & incominciarono a
combattere. Al cui strepito levatosi il Re Adrasto, & con la sua guardia in
persona venuto a loro, con parole & l'auttorità sua acquetò gli sdegni dei
giovani, & seco gli menò in palazzo. Et veggendo l'uno di loro, cioè
Polinice coperto d'una pele di leone, la quale insegna il real giovane portava
in testimonio della virtù d'Hercole Thebano, & l'altro vestito d'una spoglia
di cinghiale la quale portava in honore della sua progenie, per haver il zio
Meleagro amazzato il cinghiale, si venne a chiarire della dubbiosa risposta
dell'oracolo, & conobbe questi generi a lui dai Cieli essere mandati. I
quali, poscia, che egli hebbe conosciuti, si contentò di far seco parentado;
& a Thideo diede Deifile, & a Polinice Argia per sposa. Et pervenuto il
tempo, che Etheocle dovea rendere la signoria a Polinice, secondo la
conventione tra loro fatta, ma quello non volendo farne altro, da Polinice con
l'aiuto d'Adrasto fu mosso guerra contra Thebani. Nella quale essendo restati
morti tutti i suoi capitani, & con eguali ferite ricevute l'uno per le mani
dell'altro morto Polinice & Etheocle, egli messo in rotta se ne ritornò in
Argo; dove non ho ritrovato, che fine fosse il suo.
Come dice Statio, Deifile fu
figlia del Re Adrasto & moglie di Thideo Calidonio, al quale partorì
Diomede.
Secondo Statio, Argia fu
figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice; la quale havendo di lui partorito
Thessandro, & inteso Polinice dal fratello essere stato morto, da Argo se
ne venne a Thebe, per donare l'ultime lagrime & prestare l'ufficio funerale
al corpo del marito. Et facendo ciò contra l'Imperio di Creonte, c'havea
comandato, che non fosse sepolto, fu pigliata insieme con Antigone sorella di
Polinice, & da Creonte fatta morire.
Oltre l'haver esposto le
successioni di Danao & d'Egisto figliuolo di Belo Prisco, egli è da
ritornare lo stile alla più ampia prole d'Agenore, figliuolo dell'istesso Belo,
si come Theodontio & Paolo scrive. Et benche dai predetti sia detto, che
Agenore fosse figliuolo di Belo, nondimeno sono di quei, che dicano lui essere
stato figliuolo di Belo, ma non d'Egitto, anzi del Fenicio; & l'avo di
questo Agenore haver anco havuto tal nome. Et appresso affermano quel Agenore
primo (regnando appresso gli Assiri Nino) constretto da peste con grandissima
moltitudine haver abandonato le sedie paterne, le quali egli havea circa
l'ultimo Egitto dalla parte di Mezzogiorno; tenendo per guida del suo viaggio
il Nilo, con le sue navi essere giunto nel lito di Soria, & quello
(cacciati gli antichi habitatori) havere occupato, & ivi esser regnato.
Dove lasciò un figliuolo chiamato Belo suo successore; il quale vogliono, che
fosse padre di questo Agenore. Altri poi vogliono ch'egli fosse nipote &
figliuolo di Fenice. Per le quai cose si può comprendere dalla somiglianza del
nome & forse del tempo essere nato l'errore, onde si creda, che colui il
quale fosse figliuolo di Belo di Soria fosse tenuto anco di Belo d'Egitto. Ma
sia nato di qual Belo si voglia, io ho in animo seguir hora l'opinione di
Theodontio & di Paolo, maggiormente, che del primo non si vede certo
auttore. Dicono adunque costui essersi partito dal lito di Soria & andato a
signoreggiare ai Fenici, dove fu molto famoso per generosa & nobile
progenie.
Il Candiano Dite vuole Thaigeta
essere stata figliuola d'Agenore, & di lei essersi inamorato Giove, &
seco haver havuto a congiungersi; del quale fatta pregna partorì Lacedemone,
come, che altri dicano quello esser nato di Semele.
Polidoro secondo Lattantio fu
figlio d'Agenore, del quale non penso esservi altro, che il semplice nome;
benche Theodontio di costui faccia un certo leggiere ricordo. Ma dice quello
essere stato molto più antico di questo Agenore.
Cilice, secondo Lattantio, nacque d'Agenore. Dice Theodontio costui essere stato huomo di grand'ingegno & di robusto corpo. Il quale sprezzando i fratelli di lui maggiori, & poco sperando nella successione del reame (sprezzato il giuoco de superiori), fatto alquanto numero di genti s'acquistò un paese lontano dai suoi, & quello dal suo nome dimandò Cilicia; dove lasciò duoi figliuoli ch'a lui sopravissero, cioè Lampsacio & Pigmaleone. Ma sono di quelli, che dicano questa provincia essere stata occupata da Cadmo pria, che fosse mandato dal padre ad acquistar l'Europa, & poi essere stata posseduta da Cilice non vi ritornando più Cadmo.
Lampsacio, come dice Theodontio
& dopo lui Paolo, fu figliuolo di Cilice, & a lui successe nel reame;
nè di lui altro più oltra si ritrova.
Theodontio dice Pigmalione essere stato figliuolo di Cilice; del quale egli rifferisce che, essendo giovane & pigliato dalla gloria de suoi maggiori, i quali havea inteso essere passati fino nell'Occidente & anco haver occupato il lito d'Africa, fatta una compagnia di giovani di Cilicia & di Fenicia, con una armata, ò serenissimo dei Re, nel tuo Cipro smontò col suo essercito. Et indi cacciò gli antichi Assiri, i quali con le forze dell'antichissimo Agenore cacciati dalle antiche loro sedi ivi s'erano riparati, dove tenne tutta l'isola & in quella signoreggiò. Ma havendo ivi trovato sceleratissime donne (il che dimostra anco Ovidio nel suo maggior volume) & in tutto inchinate alla libidine, offeso da quel vitio s'era disposto menar la vita casta. Ma perche era d'alto ingegno & havea le mani atte ad ogni arteficio, i Poeti finsero ch'egli intagliò & fece di bianchissimo avorio una imagine, con tutte quelle linee & portioni, che parvero al voler suo; al quale mirando l'ingegnoso huomo, & maravigliandosi dell'arte sua, lodando grandemente la di lei bellezza di quella arse d'Amore, & grandemente desiderava ch'ella fosse donna vera. Di che incominciò pregar Venere, ch'a quel tempo nell'isola era famosissima Dea, che volesse fare quella statua sensibile, infondendole anima & facendola de' suoi amori partecipe. Là onde alle preghiere non mancò l'effetto, ch'ella divenne vera femina. La qual cosa veduta Pigmaleone, pieno d'allegrezza per haver havuto il suo intento, con lei si giacque, & incontanente la impregnò; la quale gli partorì un figliuolo da lui chiamato Pafo, & dopo morte lasciato herede del reame. Hora egli è da vedere quello, che voglia significare tale imagine di bianco avorio, fabricata più tosto con ingegno Poetico, che artificio humano. Penso io che, essendo sospetta a Pigmaleone la pudicitia delle donzelle provette, ch'egli s'elesse una fanciulla, che per l'età tenerina mancasse d'ogni sospetto, & che di bianchezza & morbidezza fosse simile all'avorio; la quale havendo avezzata secondo i suoi voleri, pria che la giovanetta fosse in dovuta età infiammato in concupiscenza di lei, incominciò desiderare & con preghi dimandare, che tosto divenisse buona da marito; onde finalmente avenuto ciò, che desiderava hebbe l'intento suo.
Pafo secondo Theodontio fu
figliuolo di Pigmalione, & nato di quella madre d'avorio; il quale essendo
nel reame successo a Pigmaleone, dal suo nome chiamò l'Isola di Pafo. Ma Paolo
dice ch'egli solamente edificò il castello di Pafo &, che da sé gli diede
nome, & volse, che fosse dedicato a Venere, perche in quello vi fece fare
un solo tempio & altare a lei consacrato, dove con solo incenso lungamente
vi fu sacrificato.
Cinara fu figlio di Pafo, si come
dimostra Ovidio mentre dice:
Di costei nacque quel Cinara; il
quale,
Se restato pur fosse senza prole,
Tra i felici potrebbe esser havuto.
Questi è differente da quel Cinara, che si dice esser stato Re degli Assiri, & piangendo le disgratie di figliuoli cangiato in sasso. Di questo Cinara Cipriano non havemo altro, che una sola sceleratezza. Percioche, si come narra esso Ovidio, costui hebbe una figliuola chiamata Mirra, la quale essendo bella & già buona da marito, oltre il dritto s'inamorò del padre, & per opra d'una sua balia (mentre la madre di lei celebrava i sacrifici di Cerere, ne' quali per spatio di nove giorni bisognava ch'ella s'astenesse dai congiungimenti del marito) segretamente usò degli abbracciamenti del padre; là onde divenuta pregna partorì Adone.
Mirra, si come si vede di sopra,
dice Ovidio essere stata figliuola di Cinara & haver amato il padre con
lascivo amore, onde per opra d'una sua nutrice seco si congiunse. Nondimeno
Fulgentio vuole ch'ella havesse a fare col padre poscia, che lo hebbe
inebriato. La quale per lo scelerato congiugimento divenuta pregna, volendo
Cinara conoscere con cui si fosse giacciuto, conobbe la figliuola; di che d'ira
assalito la volse amazzare. Alcuni dicono poi ch'ella se ne fuggì dai Sabei,
fino dove fu perseguitata dal padre & da quello ferita; vogliono, che per
compassione de' Dei appresso i Sabei si converse in un arbore chiamato dal suo
nome, & per l'ardore del Sole apertasi la corteccia mandò fuori un
figliuolo, il quale le Ninfe unsero coi licori materni. Penso, che a questo
figmento habbia dato materia il nome dell'arbore, che appresso Sabei si chiama
Mirra, la quale stilla certe gocciuole che, toccate dai raggi del Sole, fanno
una certa compositione da loro detta Adone, & latinamente significa soave,
percioche è di soavissimo odore; & come pare, che voglia Petronio Arbitro
molto appropriato alla libidine, di maniera, che afferma si haver portato una
bevanda di Mirra per infiammar la lussuria. Ma Fulgentio, si come in più altre
cose, più altamente giudicando d'intorno questo, dice Mirra essere un'arbore in
India, che arde per li raggi del Sole; & perche dicevano il Sole esser
padre di tutte le cose, però essere stato detto Mirra haver amato il padre,
& mentre il Sole ardentemente l'infiammasse mandar fuori dalla parte di
sopra della corteccia alcune sfessure, & cosi essere stato detto il padre
haverla ferita & fattone uscir Adone, cioè la soavità dell'odore.
Adone del Re Cinara suo avo &
di Mirra sua sorella fu figliuolo, si come con lunghi versi nel suo maggior
volume dimostra Ovidio; del quale recita tal favola. Dice che, essendo egli
divenuto un bellissimo garzone, grandemente fu amato da Venere, che a caso dal
suo figliuolo fu d'amor percossa; la quale seguendo lui con grandissimo diletto
per selve & boschi, & seco usando de' suoi abbracciamenti, più volte
l'avisò, che si schifasse dall'armate fiere, & solamente cacciasse le disarmate.
Ma avenne un giorno ch' egli, mal ricordevole delle parole di Venere, facendo
empito in un cigniale da lui fu morto; il quale poi Venere amaramente pianse
& converse in purpureo fiore. Macrobio nel libro dei Saturnali si sforza
con maravigliosa ragione dichiarare questo figmento. Dice egli Adone essere il
Sole, del quale niuna cosa non è più bella; & quella parte di Terra la
quale di sopra non habitiamo, cioè l'Emispero, esser Venere, attento, che
quella ch'è nell' Emispero inferiore dai Fisici è chiamata Proserpina. Et cosi
appresso gli Assiri & Fenici, a' quali appresso fu in grandissima riverenza
Venere & Adone, allhora Venere con Adone da lei amato si dilettava,
conciosia, che d'intorno l'Emispero superiore il Sole si gira con più ampio spatio;
& indi diviene più ornato, perche la terra allhora produce fiori, frondi
& frutti. Mentre adunque egli circonda i più brevi cerchi, di necessità
caccia i maggiori appresso l'hemisperio più inferiore. Et cosi l'autunno &
il verno con pioggie continue fanno la Terra dell'honor suo priva tutta
fangosa, nel qual tempo il Cinghiale, ch'è animale hispido, si diletta; &
cosi dal Cinghiale, cioè dalla qualità del tempo ch'egli si diletta, Adone cioè
il Sole pare tolto alla Terra, cioè a Venere; la quale indi fangosa diviene.
Ch'Adone poi sia trasformato in fiore, penso ciò essere stato finto affine di
mostrare la brevità della nostra bellezza, perche quello, che la mattina è
purpureo & colorito, la sera languido, pallido & fracido diventa. Cosi
l'humanità nostra la mattina, cioè nel tempo della gioventù, è fiorita &
splendida; la sera poi, cioè nel tempo della vecchiaia, diventiamo pallidi,
& corriamo nelle tenebre della morte. Ma tuttavia dica quello, che si
voglia Macrobio, ò gli Assiri, l'historia nondimeno pare, che voglia, &
Tullio lo dimostra dove tratta delle Nature de' Dei, Venere essere stata
concetta in Soria & Cipro, cioè da un huomo Assirio & da una donna
Cipriana, la quale gli Assiri chiamarono Astorcon; & si maritò in Adone,
come dice Lattantio nel libro dell'Institutioni Divine. Ma nella sacra historia
si contiene costei haver instituito l'arte meretricia & alle donne haver
persuaso lo stupro, & che col corpo palesemente richiedessero il
congiungimento. Et dice ella haver ciò comandato accioche sola tra l'altre
donne non fosse tenuta impudica, & degli huomini ingorda. Là onde nacque,
& lungo tempo si osservò, che i Fenici donavano a chi gli sverginava le
figliuole pria, che le maritassero, come nel libro della Città d'Iddio mostra
Agostino & Giustino nell'Epitoma di Trogo Pompeo, dove scrive Didone nel
lito di Cipro haver rapito settanta donzelle ch'erano venute a ricercar le
primitie della loro verginità. Fu adunque Adone Re di Cipro & marito di
Venere, il quale anch'io penso ò da Cinghiale ò da altra morte esserle stato
tolto, percioche ad imitatione delle sue lagrime gli antichi con commune pianto
furono avezzi piangere la morte d'Adone. Onde Isaia nelle sue Visioni gli
riprende.
Pirode come afferma Plinio fu
figlio di Cilice; del quale benche non si habbia altro, col testimonio
dell'istesso Plinio nondimeno habbiamo lui essere stato il primo, che dalla
pietra cavasse il foco.
Vuole Lattantio, che Fenice fu
figliuolo d'Agenore. Et Eusebio nel libro dei Tempi vuole, che costui, regnando
Danao in Grecia, insieme col fratello Cadmo da Thebe d'Egitto essere venuto in
Soria, & in Tiro & Sidone haver signoreggiato. Il che può essere circa
l'anno del mondo millesettecento e quarantasei. Poscia, poco da poi dice, che
l'anno primo del Re Linceo egli edificò Bithinia, la quale prima si chiamava
Meridiana. Il che fu circa gli anni del mondo MDCCLXXIX. Tuttavia la venuta di
costui in Soria non si conface con le cose dette di sopra, dove discorda di
Agenore da Theodontio & anco da Ovidio; il quale pare, che voglia Agenore
& non Fenice esservi venuto, conciosia, che descrive Cadmo essere stato
mandato a ricercar Europa da Agenore & non da Fenice. Ma io lascierò l'affanno,
a chi lo vuole, d'accordare queste diversità, & seguirò quello, che di
Fenice trovo. Dimostra Eusebio costui essere stato huomo di molto artificio,
perche fu il primo, che diede alcune lettere overo caratteri di lettere ai
Fenici; indi per scriverle haver trovato il vermicello. Onde anco quel colore
si dice Feniceo, cosi chiamato (cred'io) dall'inventore, perche mutata poi la
lettera è detto puniceo, cioè morello.
Theodontio vuole, che Filistene
fosse figliuolo di Fenice; il quale essendo sacerdote d'Hercole, ch'alhora era
tenuto in molta riverenza da' Fenici, & veggendo, che Belo suo fratello
maggior d'anni (morto il padre) regnava, lasciato l'ufficio sacerdotale al figliuolo
Sicheo, con alquanta gente montò in nave, & adoperò molte fontane havendo
passato oltre le Colonne d'Hercole, ivi nel lito dell'Oceano fermò le sue
stanze perpetue, & edificò una città chiamata dai suoi Gade. Et affine, che
non paresse ch'egli in tutto havesse lasciato il sacerdotio drizzò un tempio ad
Hercole, & tutti i sacrifici secondo il costume Fenicio rinovò.
Sicheo secondo Theodontio fu
figlio di Filistene, al quale (sì come di sopra è stato detto) partendosi il
padre fu lasciato il sacerdotio; la qual dignità, da re in fuori, era la
principale. Dice Servio, che costui fu chiamato Sicarba, come, che Virgilio
sempre lo nomi Sicheo, & Giustino lo dica sempre Acerba. Costui adunque, ò
lasciatili ò altrove trovati molti thesori (come piace a Theodontio & agli
altri), divenne grandemente ricco. Onde, morto Belo, tolse Elisa sua figlia per
moglie, & sopra ogn'altra cosa amolla molto; la quale poi fu chiamata
Didone. Ma essendo Pigmaleone figliuolo di Belo succeduto nel reame del padre,
& essendo ingordo d'oro, s'infiammò delle ricchezze di Sicheo. Di che gli
tese inganni, & inaccortamente amazzò quello.
Belo, il quale secondo Servio fu
anco detto Metre, come dice Theodontio fu figliuolo di Fenice, & huomo di
maniera in guerra & armi valoroso, che soggiogò Cipriani, i quali
danneggiavano con una armata di corsali i liti de' Fenici. Il che Virgilio in
persona di Didone succintamente tocca, dicendo;
Mio padre Belo danneggiava Cipro.
Cosi fertile, e ricca; & la
teneva
Vittorioso sotto giogo, e impero.
Come piace a Theodontio,
Pigmaleone fu figliuolo di Belo re di Tiro, & morendo il padre (secondo,
che dice Giustino) insieme con le sorelle ai Tirij fu lasciato. Al quale anco
fanciullo il popolo diede la signoria del Reame paterno. Ma costui, nato con
avarissimo animo, havendo fatto disegno sopra le ricchezze di Sicheo, figliuolo
di suo zio & marito di Didone sua sorella, con inganni lo fece morire.
Questa scelerità sola di costui ci ha lasciato la lunga antichità.
Il famoso honore, & lume
della pudicitia Donnesca Didone (come piace a Virgilio), fu figlia del Re Belo.
Questa bellissima donzella (morto Belo) i Tiri diedero per moglie ad Acerba ò
Sicarba ò Sicheo sacerdote d'Hercole, il quale poi da Pigmaleone per avaritia
fu morto. Costei adunque, dopo le lunghe bugie del fratello, avisata in sonno
dal marito, & in lei acceso un animo generoso, fatta una congiura con molti
di quelli, a quali sapeva Pigmaleone essere in odio, di notte segretamente
montata in nave con tutti i thesori ch'erano stati del marito si partì di Tiro.
Et giunta nel lito d'Africa (come anco a Tito Livio piace) venne a mercato con
gli habitatori di quel paese, che la persuadevano a fermarsi ivi, di comprare
tanto terreno quanto poteva circondare & capire la pelle d'un bue. Onde
ridotto il coiro in liste sottilissime, occupò molto terreno. Et ivi mostrati
ai compagni del suo viaggio i thesori nascosti, edificò una città da loro
chiamata Cartagine, & la rocca dalla pelle del bue fu detta Birsa. a questa
tal città, piace a Virgilio, che Enea fuggitivo & dalla fortuna del mare
cacciato pervenisse; onde ricevutolo cortesemente & di lui inamorata, seco
si giacque. Di che poi alla sua partita non potendo sopportar l'incendio
amoroso, sé stessa occise. Il che dimostra Giustino & gli altri historici
antichi essere falso; perche dice Giustino che, essend'ella dal Re di Musitani
sotto pretesto di guerra dimandata ai Prencipi di Cartagine per sposa; quelli
sapendo l'intentione di lei essere di voler vivere casta, s'imaginarono
d'ingannarla. Là onde dissero, che il Re di Musitani havea loro richiesto sotto
nome di guerra, che i Prencipi di Cartaginesi dovessero andar a viver in
Musitania perche egli voleva imparar i costumi de' Cartaginesi, ma, che alcuno
di loro non si trovava, che volesse andar a vivere presso cosi barbaro Re. Di
che Didone essortandoli ad andarvi, & dicendo, che ogni cosa si doveva
lasciare per la salute della sua patria, & che colui non era buon
cittadino, che per conservar la città temeva la morte, eglino subito le
scoprirono la dimanda del Re, pregandola, che non volesse esser cagione della
loro ruina. Ond'ella, veggendo, che da sé stessa si havea dato la sentenza
contra, chiese a quelli un certo termine, fra il quale promise d'andare a
marito. Il qual termine giunto, ella fatto un gran rogo nella più alta parte
della città, sotto ombra di voler placare lo spirito del morto Sicheo, sopra
quello salì. Et stando intenti i cittadini a tal spettacolo per veder quello
ch'ella si volesse fare, tratto fuori un coltello, che s'haveva nascosto sotto
le vesti, disse: "Ottimi cittadini, si come a voi piace, vado a
marito." cosi detto, sé stessa amazzò, eleggendo più tosto la morte, che
macchiar la pudicitia. Il che anco è molto lontano dalla descrittion di Marone.
Anna fu figlia di Belo, si come a Virgilio piace; il quale spessissime fiate la chiama sorella di Didone. Costei fu compagna nella fuga di Didone; la quale, poscia, che vide morta la sorella & il reame di Cartagine occupato da Iarba (come dice Ovidio nel libro de' Fastis), confidandosi nella ragione dell'hospitio antico se ne fuggì da Batto, re dell'isola Corisa. Finalmente, sentendo, che Pigmaleone moveva l'armi contra lei, & per ciò essendole dato congedo da Batto, se n'entrò in mare. Dove assalita da fortuna, si come l'intento suo era di andar a Camerè, fu condotta nel lido de' Laurenti; per lo quale Enea, havendo già vinto Turno, insieme con Acate caminando passeggiava. Di che ella veggendo Enea volse fuggire; ma da quello assicurata sulla fede, si fermò, & fu condotta nel Palazzo Reale. Per la cui giunta, Lavinia mossa da gelosia volse tenderle inganni. Ma avisata di notte in sogno da Didone uscì fuori del palazzo, & (se a bastanza si può far coniettura dalle parole d'Ovidio) si gittò precipitosamente nel Numico fonte. Ma Ovidio passando più oltre dice che, essendo ella ricercata per tutto, ai ricercatori giunti al fiume Numico parve udir una voce uscir del fiume, che gli dicesse.
Del piacevol Numico io sono Ninfa,
Anna chiamata per molti anni
eterna.
Che sta nascosta entro il suo
chiaro fondo,
Dopo esso Ovidio, dice Macrobio
nei Saturnali publicamente & privatamente nel mese d'Aprile sacrificarsi,
accioche sia lecito per anni & molti anni durare.
Europa fu figliuola d'Agenore,
come si vede per Ovidio; della quale tal favola si narra. Vogliono che,
essend'ella molto amata da Giove, egli comandasse a Mercurio, che cacciasse
quelli armenti ch'erano su le montagne di Fenicia, nel lito dove Europa con altre
donzelle era avezza andar à giuocare & darsi piacere. Il che fatto, Giove
si cangiò in un bianco Toro, & si pose nel mezo de gli altri armenti. Onde
veggendo Europa cosi vago & bello animale, & dilettandosi della sua
piacevolezza, incominciò prima con le mani a farli vezzi, & indi montarli
sopra; il quale pian piano ritirandosi verso l'acqua, & a poco a poco
entrando nell'onde, tosto, che sentì quella esser si bene fermata sul suo dorso
& haverli le mani nelle corna, notando passò il mare con quella, tutta
timida & sbigottita, & la portò in Creta; dove ritornato nella sua vera
forma seco hebbe a fare, & la impregnò. Di che poi, secondo ch'alcuni
vogliono, ella partorì Minos, Radamanto & Sarpedone. Et egli in eterna
memoria di lei dal suo nome chiamò la terza parte del mondo Europa. La fittione
di tal favola è coperta da cosi sottil velo, che liggiermente si può vedere il
suo significato. Percioche per Mercurio, che cacci gli armenti nel lito io
intendo la eloquenza & la sagacità d'alcun ruffiano, che dalla città nel
lito guidi qualche donzella; overo un falso mercante, che le mostri qualche
cosetta da giuoco & a lei la prometta, & monta seco in nave. Giove poi
trasformato in toro, che se ne porti la donzella, homai credo essere noto a
tutti quella essere stata una nave la cui insegna era un Toro bianco, sopra la
quale (fosse con qual inganno si voglia) salita sopra la donzella, & dati i
remi all'acque & ai venti le vele, ella fu portata in Creta & data per
moglie a Giove; overo, secondo Eusebio nel libro dei Tempi, ad Asterio Re, dal
quale si come è stato detto di sopra partorì i detti tre figliuoli. Nondimeno
piace ad Agostino, che costui fosse chiamato Santo, & non Asterio.
Appresso, discordano del tempo di tal rapina molti auttori, attento, che vi
sono di quelli, come dice Eusebio, che vogliono nell'anno quarantesimo di Danao
Re d'Argivi Giove essersi congiunto con Europa, & che poi Asterio Cretese
Re la togliesse per moglie; il quale fu l'anno del mondo MDCCCLXIX. Altri poi
dicono quella da Cretesi essere stata rapita l'anno del mondo MDCCCLXXVIII,
regnando in Argo Acrisio. Ma alcuni vogliono, che fosse rapita nel tempo, che
Pandione regnava in Athene, cioè negli anni del mondo MDCCCXVI. Il qual tempo
più si conface con quelle cose, che si leggono di Minos, figliuolo
dell'istessa. Dice Varrone una imagine bellissima di bronzo di costei essere
stata posta da Pithagora in Taranto; & questo si contiene, dove tratta
dell'origine della lingua latina.
Per publica fama di tutti gli antichi, Cadmo fu figliuolo d'Agenore; il quale scrive Eusebio nel libro de' Tempi essere venuto insieme col fratello Fenice da Thebe degli Egittij nell'anno decimosettimo di Danao Re d'Argivi, & appresso Tiro & Sidone haver regnato. Conciosia, che (sì come di sopra si vede) molto prima ivi venisse Agenore cacciato dalla peste. Il quale Eusebio doppo queste cose scrive nell'anno decimosesto del Reame di Linceo, Cadmo haver occupato l'Armenia; il che di sopra habbiamo ricordato essere stato fatto da Cilice. Questi nondimeno (come scrive Ovidio) havendo Giove rapito Europa, fu mandato dal padre Agenore all'acquisto di lei, con tal patto, che non dovesse ritornar nella patria senz'essa. Il quale partitosi con buona compagnia, nè sapendo dove ricercarla, deliberò trovarsi novo paese. Onde essendo giunto vicino a Parnaso, hebbe per risposta dall'oracolo, che seguisse un bue indomito, & dove quello si fermasse, ivi facesse il suo seggio. Di che cosi havendo fatto fu guidato nel destinato paese, nel quale fermandosi & gittando i primi fondamenti, dal nome del bue lo chiamò Boemia; & la città dagli antichi Egittij di Thebe, da' quali i suoi precessori erano discesi, fu chiamata Thebe. Ma si come dice Ovidio, volendo egli sacrificare & havendo mandato alcuni de' compagni a pigliar dell'acqua, avenne, che per l'indugio del loro ritorno Cadmo gli andò dietro, dove trovò ch'erano stati divorati da un'ismisurato serpente. Il quale riguardato da lui, udì una voce, che gli disse, che vederebbe anco sé stesso serpente. Nondimeno, havendolo amazzato, per oracolo divino gli trasse i denti & gli seminò, da i quali subito nacquero huomini armati, che tra sé stessi incominciaro ammazzarsi; nè prima s'acquetarono, che cinque soli restassero vivi. I quali tra loro fatta pace si congiunsero con Cadmo, & l'aiutarono a fornir la città. Ma Palefatto scrive appresso ch' egli hebbe una donna chiamata Spinga per moglie, la quale per gelosia d'Herminiona si partì da lui, & mosse guerra contra i seguaci di Cadmo. Sono appresso di quelli, che vogliono lui stando appresso il fonte Hippocrene tutto pensoso haver ritrovato sedeci caratteri di lettere, le quali poi da tutta la Grecia furono usate. Cosi Plinio nel libro dell'Historia Naturale dice lui appresso Thebe essere stato l'inventore dei lapidarij, & della mistura dell'oro & dei metalli; come, che Theofrasto voglia ch'egli facesse queste cose appresso i Fenici. Ma molto doppo l'allegato tempo. Percioche quello, che di sopra è scritto di lui fu circa gli anni del mondo MDCCCCXXXVIII. Indi Ovidio dice, che di lui fu moglie Sermiona, figliuola di Marte & di Venere; dalla quale si ha ch'egli generasse quatro figliuole, & che ad Hermiona fosse donato da Vulcano un monile mortale. Dopo questo, essendo occorso molte disgratie ai nipoti & sue figliuole, egli già vecchio da Anfione & Zetho cacciato del reame se n'andò in Schiavonia, dove insieme con la moglie Hermiona amendue furono trasmutati in serpenti. Questa favolosa historia ha in sé alcune cose congiunte, delle quali ci resta vederne il senso. Il serpente adunque consacrato a Marte io intendo, che sia l'huomo vecchio & prudente, già armigero & bellicoso con sue parole, & tardare, ritenne i compagni di Cadmo; per lo cui consiglio, il quale istimo io, che siano i denti, tra gli habitanti fu seminata discordia. I quali persuaduti da Spinga contra lui si mossero; onde in un subito, tolte l'armi in mano, tra sé stessi vennero a battaglia. I cui Prencipi (tagliati a pezzi i popolari) vennero in concordia con Cadmo, & di habitatori & stranieri fecero tutto un popolo. Che poi egli essule insieme con la moglie divenisse serpe, dimostra quelli esser fatti vecchi. Perche i vecchi a guisa di serpenti sono prudenti, & per l'esperienza delle cose aveduti, & per l'età pieni d'anni. Et se bene l'età gli caccia & gli aiuti gli mancano, tuttavia secondo il costume de' serpenti vanno col petto in fuori. Ma del tempo del regno di costui furono anco discordanti gli antichi. Perche Eusebio nel libro dei Tempi dice, che l'anno ottavo della signoria d'Abante re d'Argivi, che fu negli anni del mondo MDCCCXXXVII, Cadmo fu cacciato dal regno da Anfione & Zetho; nè molto doppo dice, che (regnando Acrisio in Argo) Cadmo regnò a Thebe, essendo Acrisio succeduto ad Abante; il che nondimeno puotè essere circa gli anni del mondo MDCCCLXXV. Al qual tempo si conviene quello, che dopo l'istesso Eusebio scrive, cioè, che regnando Acrisio succedessero quelle cose, che si narrano dei Spartani. I quali (dice Palefato) che, essendo di paesi circonvicini, subito si fermarono contra Cadmo; onde per li subiti movimenti loro, come se fossero usciti dalla terra, & perche erano abondati da ogni parte, furono chiamati Spartani. Ma nondimeno ciò malamente si conviene al tempo nel quale habbiamo detto di sopra Europa essere stata rapita. Quelli ne trovino la verità a' quali di ciò è piu cura, perche io non ne ho potuto trovar altro.
Fu Semele figliuola di Cadmo
& d'Hermione, come assai si manifesta in Ovidio nel suo maggior volume.
Sopportando Giunone malamente costei esser pregna di Giove, si trasmutò nella
vecchia Beroe Epidaurea, & persuase a Semele, che facesse sperienza se
Giove la amava; percioche questo potrebbe conoscere s'egli le facesse gratia di
venirsi a congiunger seco, come faceva con Giunone. Alla qual cosa dando a
pieno fede Semele, astrinse Giove a giurarli per l'onde stigie di farle quella
gratia ch'ella gli dimandarebbe. Et richiedendoli tal cosa, Giove, dolente
d'haverglila promessa, tolto il minor folgore con quello la percosse &
morì; onde poi trasse dal suo ventre un fanciullo non anco giunto al tempo del
parto, chiamato Bacco. La verità di questa favola penso io, che sia; Tal donna
pregna (sì come si contiene nella fittione) essere stata perercossa da una
saetta. Percioche il foco, cioè Giove, non si congiunge con l'aere, cioè con
Giunone, eccetto, che col folgore, che discende ai luoghi inferiori.
Agave, si come assai è palese, fu
figliuola di Cadmo & d'Hermiona; la quale Cadmo diede per sposa ad Echione,
che fu uno de' compagni, che l'aitò ad edificar Thebe. Dal cui ella partorì un
figliuolo chiamato Pentheo, giovine di grand'animo; il quale (celebrando la
madre, le sorelle & altre donne i sacrifici di Bacco di lui sprezzati) fu da
quelle divenute furiose amazzato. Diceva Leontio questo Pentheo essere stato
Astemio, il quale dalla ubbriaca madre et dall'altre fu morto perche più volte
havea biasimato i loro sacrifici & ebrietà.
Secondo Ovidio, Auttone fu figlia
di Cadmo & Hermiona. Costei fu moglie d'Aristeo, & di lui partorì
Atteone.
Ino medesimamente, come dice
Ovidio, fu figlia di Cadmo & Hermiona; la quale divenuta moglie d'Atlante
figliuolo d'Eolo, & di lui havendo partorito Learco & Melicerte,
poscia, che vide Learco dal furioso padre esser morto, temendo, che l'istesso a
sé & a l'altro figliuolo non avenisse, da un alto sasso precipitosamente si
gittò in mare. Di che avenne per compassione di Nettuno, che Ino fu fatta una
dea marina chiamata Leucothoe, & Melicerte divenne Palemone. Ma io credo,
che questi due lochi fossero due scogli ai quali furono portati gli infelici
corpi & gittati in mare; & per ciò per ricordo de' sopraviventi gli
fossero posti questi due nomi divini. Overo più tosto fosse per quello, che di
sotto si legge di Learco & Melicerte.
Laddacio, secondo Theodontio, fu
il più giovane di tutti i figliuoli d'Agenore. Il quale havendo inteso il
fratello essere stato messo in rotta, & Anfione con le proprie mani haversi
amazzato, & Lica essere stato morto da Hercole, sollecitato con preghi
dagli amici che, lasciata la Soria, se ne venisse in Grecia, & egli per la
vecchiaia sentendosi inhabile alla fatica, vi mandò Laio, ch'era il più giovane
di tutti gli altri suoi figliuoli. Il quale subito, occupato il reame, fu
chiamato Re. Ma Paolo dice Laddacio essere stato figliuolo di Fenice, &
vecchio essere venuto a Thebe da' Thebani chiamato: dove regnò alquanto tempo,
& generò il figliuolo Laio.
Bastevolmente si è dimostrato,
Laio essere stato figlio di Laddacio & Re di Thebe; il quale ò mandato da
Fenice ò pur ivi nato se ne venne a Thebe, & ivi regnò. Dove signoreggiando
tolse per moglie Iocasta figliuola di Creonte Thebano: la quale poscia, che fu
divenuta pregna, egli andò all'oracolo per haver risposta quello, che di tal
prole havesse a succedere; & havendo inteso ch'egli per le mani d'un
figliuolo ch'era per nascerli havea a morire, comandò alla moglie, che mandasse
ad esporre ciò, che da lei nasceva. Là onde venuto il tempo del parto, la madre
dogliosa fece esporre alla morte il fanciullo; il quale per voler de' Cieli
restato vivo, & cresciuto in età, desideroso di sapere chi fosse il suo
padre intese dall'oracolo, che lo ritrovarebbe in Focide: e cosi ivi giunto,
& trovata una seditione tra quei Cittadini & stranieri in armi, amazzò
il padre da lui non conosciuto, il quale cercava metter di mezzo a tal gara. Et
a tal modo Laio per le mani del figliuolo se ne morì.
Edipo Re di Thebe, secondo, che Statio dimostra nella Thebaide, fu figliuolo di Laio & di Iocasta. Questi per comandamento del padre, si come di sopra è stato detto, subito nato fu portato nel bosco ad esporre alle fiere; il quale essendo in questo modo portato dai servi alla morte, quelli mossi a compassione del fanciullo non lo gittarono secondo il comandamento alle fiere, ma foratigli e' piedi con un vincicastro lo legarono per li piedi sopra un arbore; ai gemiti del quale mosso un certo pastore di Polibo Re di Corinto; il levò da quell'albore & lo portò al Re. Il quale essendo senza figliuoli con paterno affetto lo raccolse, & in loco di figliuolo il fece nodrire. Questi nondimeno, cresciuto in età & havendo inteso se non esser figliuolo di Polibo, si dispose ricercare chi fosse il suo padre; & andato a consigliarsi con l'oracolo d'Apollo, hebbe in risposta, che trovarebbe il padre suo in Focide, & che pigliarebbe la madre per moglie. Cosi venendo in Focide, & ritrovando attaccata una questione tra i cittadini & forestieri, egli messosi a dar aiuto alla parte straniera inavedutamente amazzò il padre Laio, da lui non conosciuto, & che cercava acquetarli. Finalmente come quasi ingannato dall'Oracolo se n'andò a Thebe, & facendo quel viaggio ritrovò la Sfinge, la quale (dichiarati ch'egli le hebbe gli enigma) amazzò & entrò in Thebe; dove essendo tenuto figliuolo di Polibo gli fu data per moglie la madre Iocasta, la quale da lui fu volentieri pigliata temendo di non haver a torre Meroe, già moglie di Polibo & da lui tenuta per madre. Cosi divenuto Re di Thebe, & essendo fatto padre di quattro figliuoli havuti da Iocasta, avenne, che in Thebe nacque una mortalità grande. Onde andatisi a consigliare con l'oracolo, gli fu risposto la peste non essere per cessare, se con l'essiglio del loro Re non si purgasse l'incestuoso matrimonio di Iocasta. Ma mentre, che l'infelice incominciava già a sospirare, a lui venne inanzi un Corintho, che gli portò nova della morte di Polibo, & che lo chiamava nel reame. Ond'egli rispondendo temer di venirci, attento, che havea sospetto di non essere sforzato pigliar la madre per moglie, da quel corrieri vecchio fu ragguagliato a qu