DELLA

GENEOLOGIA

DEGLI DEI

DI M. GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRI QVINDECI

Ne'quali si tratta dell'Origine, & discendenza di tutti gli Dei de' Gentili.

Con la spositione de' sensi allegorici delle Favole: & dichiaratione dell'Historie appartenenti à detta materia.

TRADOTTA GIÀ PER M GIOSEPPE BETVSSI.

Et hora di nuovo con ogni diligenza revista, & corretta.

Aggiuntavi la vita di M. Giovanni Boccaccio, con le Tavole de' Capitoli, & di tutte le cose degne di memoria.

Dedicata all'Illustre Signor

BONIFACIO PAPAFAVA

 

 

 

 

 

In Venetia per il Valentini MDCXXVII

CON PRIVILEGIO.


 

All'Illustre Sig. & Patron Colendiss. Signor

BONIFACIO PAPAFAVA

Cavalier dell'Ordine del REDENTORE, dell'Altezza Serenissima di MANTOVA, &c

LA Geneologia de' Dei già dall'Eccellentiss. Boccaccio descritta, & per la materia, di che tratta famosa, & per l'eminenza dell'Autore, che l'ha composta, singolare; essendo già da' morsi del tempo, che tutto lacera, & consuma, quasi logorata, & guasta; si che appresso gli uomini appena più si ricordava; volendo io, & per ornar le mie stampe di cosi nobil'opera, & per non lasciar un tanto tesoro dimenticato, trarla dalle tenebre dell'oblivione alla luce della reminiscenza; non ho saputo à più sicuro bisogno di V.S. Illustriss. appoggiarla. Laquale, avvenga, che di presenza io non la conosca, vola ad ogni modo cosi altamente il grido della nobiltà, & graNdezza cosi della famiglia, traendo particolarmente l'origine dalla Illustrissima Casa de Signori di Carrara, come de' proprij suoi meriti, che non solo me, che nulla sono, & nulla vaglio, ha reso riverente a' suoi honori, & divoto alla sua grandezza; ma gli Prencipi grandi à desiderar l'amicitia, & accomunare con lei le proprie grandezze., che però l'Altezza del Sereniss di Mantova si ha compiacciuto di annoverarla tra suoi Cavalieri del Redentore co'l colare nobilissimo di quella Religione arricchendola d'infiniti privilegij, de' quali questa breve lettera non è capace; Come ne della parentella per via di matrimonio contratti con l'illustriss. Casa Pesaro: ne meno delle grandezze del'illustriss. Sig suo Padre (per star ne limiti vicini della famiglia) Cavalier nobilissimo, Priore della religione di S. Stefano appretto il gran Duca di Toscana. Indi dal'illustriss. Sig. Ambasciatore di Francia appresso la Sereniss. Republica Veneta a nOme del Re Christianissimo honorato del vero, e gran colare di S. Michele. Nè tan poco de gl'illustrissimi Signori suoi fratelli, l'uno Cavalier di S.Marco, che ora gode i primi; & principali honori della sua Patria, l'altro Vescovo d'Adria, e di Rovigo, & Abbate di Sebenico, un'altro apparentato con i primi Prencipi (per la moglie) d'Alemagna; un'altro Cavalier di Malta vicino per i suoi meriti alla commenda, & alla gran Croce, di maniera, che se vorressimo andar ricercando per la famiglia antichissima; & numerosissima la trovaremmo ricca non solo di palme, di mitre, d'armi, e di Spoglie nobilissime, ma di scettri, e di corone, degni più tosto di Bronzi, e di Marmi, d'inchiostri finissimi, & di penne sovrane, che d'una letteRa d'un minimo suo servitore. Il quale viene solo a supplicarla, ricever in grado nel picciol dono di quest'opera il grande desiderio, che tiene di servirla; Et come le dedica il Libro, cosi le dona se stesso in perpetuo serviggio, pregandole da N.S. l'adempimento de' suoi alti, & nobilissimi pensieri, riverentemente le bacia le mani.

Venetia il dì 18. Marzo M DC XXVII.

Di V.S, Illustrissima

Servitore humilissimo

Giorgio Valentini

 


 

VITA DI M. GIOVANNI

BOCCACCIO

DESCRITTA DAL BETVSSI.

 

PARRÀ forse istrano ad alcuno, c'havendo io prima nel libro delle Donne illustri del presente autore, & poscia M. Francesco Sansovino inanzi il Decamerone da lui corretto, & in molte parti adornato, et ridotto a perfettione, descritto la vita del Boccaccio, hora di nuovo io mi sia messo quella nella fronte di questi libri locare, il che però cosi non deve parere, conciosia, che non senza ragione a ciò mi sono mosso.  Primamente alcuno non ha a dubitare che, colui il quale otioso, & indarno vivere non vuole, ogni giorno appara, & vede qualche cosa di piu, di che la confessione, che faceva il saggio Socrate di non saper altra cosa meglio, eccetto, che non sapeva nulla, non procedeva da altro, che da la imperfettione dell'huomo, il quale per lo piu di quelle cose, che ei si reputa piu essere capace, & instrutto, aviene, che si ritorna meno essere intelligente & ammaestrato. Io nello descrivere l'altra fiata la vita di M. Giovanni, cercai darla a leggere piu perfetta ch'io potessi; il che in tutto non m'è venuto fatto, perche nel rivolgere molti altri libri cosi suoi, come d'altri, ho ritrovato delle cose da me à dietro lasciate, le quali hora non mi paiono da tacere. Il Sansovino medesimamente, come persona dotta, & studiosa con l'acuto, & elevato ingegno investigando trovarne il vero, non ha saputo, nè poTuto haverne miglior testimonio, che le scritture del proprio auttore; però sopra quelle fondandosi, nella maggior parte fedelmente della vita del Boccaccio ha parlato. Ma essendo impossibile ch'un huomo solo possa vedere il tutto, non sarà meraviglia, che da lui molti luoghi non siano stati tralasciati, & (forse per non havergli veduti) non citati; i quali hora intendo, insieme con i suoi io produrre a commune piacere di quelli, che si dilettano intieramente vedere quel piu di vero, che restare ci possa della di lui vita havendo per fermo di tanto non poter dire, che piu non ne habbia tacciuto. La seconda cagione anco, che a ciò mi ha guidato è stato, che non havendo l'autore fatto alcun'altra fatica piu da lui istimata della presente (così portando il costume degli scrittori), mi pareva ch'ella non havesse ad uscire in mano degli huomini da me tradotta senza la sua vita; accioche tra le celesti beatitudini (se le anime sciolte dai corpi possono sentire alcuna felicità mondana) quella del Boccaccio goda questo contento di vedere le fatiche sue da tutti non sprezzate, ma da molti degnamente graditO.

Giovanni adunque per cognome detto Boccaccio fu di Certaldo Castello di Toscana, & nacque negli anni del signore MCCCXIII, nel tempo, che Arrigo Quinto Imperatore & Federigo Re di Sicilia insieme con Genovesi mossero guerra contra il Re Roberto; nel qual tempo poi il detto Imperatore morì in Puglia appresso Benevento. È questo Certaldo posto sopra un eminente colle vicino al quale corre il fiume Elsa, onde propriamente chiamasi Certaldo di val d'Elsa. Nacque di vili & poveri parenti, sì come egli medesimo ne fa fede, & si può conietturare in molti luoghi delle opere sue: i quali come poco importanti, & di nesuno momento lascio adietro.

Fu il padre suo poverissimo, & dato agli essercitij rusticani, il nome del quale senza dubbio veruno fu Boccaccio, come egli istesso ne fa fede nel nono & ultimo libro sopra i Casi degli Huomini Illustri, dove nel trattato di Iacopo, Mastro dei Cavalieri templari, cosi dice: Nil aliud quousque illis ingentes spiritus sufficere; quam qui dudum occubuere; testantes ut aiebat Boccatius vir honestus & genitor meus, qui se his testabatur interfuisse rebus. Non haveva il padre suo cognome alcuno, eccetto che dal proprio suo nativo luoco; onde si diceva Boccaccio da Certaldo; il che si manifesta nella Visione di M. Giovanni, come, che dubbio sia ella essere sua, quando ei dice:

Quel, che vi manda questa visione

Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.

Nondimeno egli, lasciando il cognome del Castello, & prendendo quello del padre, si chiamò quasi sempre Giovanni Boccaccio. Ma ritornando al padre di lui, dico ch'egli, veggendosi povero & aggravato d'altri figliuoli, conoscendo questo anco fanciullo, che nella fisonomia, nei costumi & nelle operationi dimostrava non essere di basso & rozzo intelletto, atto ad essere posto ad alcuno essercitio piu che mecanico, anzi per essere d'aveduto, & acuto ingegno, di attendere a cose di momento, tra se propose, che si essercitasse nella mercatantia. Così, essendo Giovanni anco fanciullo, il pose a stare a Firenze con un mercatante Fiorentino; onde per essere buono Aritmetico & sapere benissimo tener conto di libri, da quello era tenuto caro & seco fu condotto a Parigi, col quale dimorò lo spatio quasi di sei anni non già con l'animo tranquillo, anzi piu che mezzanamente travagliato, parendogli non spendere i giorni come havrebbe voluto & desiderava; la qual cosa, che cosi fosse, egli istesso nel Quintodecimo libro della presente Geneologia, dove tratta che per lo piu l'huomo segue quegli studi a' quali è inchinato, il dimostra. Scrive Benvenuto da Imola, egli odiando tale essercitio, & poco curando i negotij del padrone, da lui fu licentiato, & rimandato alla patria; là onde essendo giunto all'età di sedeci anni, in tutto si tolse dall'incominciato ufficio & drizzò l'animo a più lodati studi, piacendogli sommamente leggere, & intendere i buoni Poeti, a' quali era molto inchinato, & in tutte le sue attioni la vita filosofica imitando. Nondimeno questo suo proposito gli era non impedito, ma quasi vietato dal padre; il quale, si perche era male agiato, come anco perche giudicava gli studi della humanità & filosofia congiunti con la Poesia potergli dare poco utile, desiderava & voleva, che si mettesse ad altra professione, per lo mezzo della quale potesse sostentar se, & dare aiutto a lui. Di che alla fine mosso da' suoi prieghi, & da quegli degli altri amici, si diede allo studio delle leggi, nel cui si può giudicare se vi havesse con diligenza atteso, che v'havrebbe fatto buon frutto. Ma perche l'animo suo era in tutto rivolto allo studio dell'humanità, la quale si come infinitamente amava, altrettanto & piu, odiava le leggi, come di ciò ne fa fede una pistola scritta a M. Cino da Pistoia, al tempo suo Legista notabile, & di lui precettore, nella quale si sforzava mostrargli quanto gli era grave, & noioso quel peso da lui contra sua voglia portato, di continuo si dava segretamente a leggere i Poeti & gli historici, facendosi molto famigliare lo studio della Filosofia.

Nè perche tutto il giorno dai preghi del padre, nè dai ricordi degli amici, & famigliari suoi con lettere fosse molestato ad attendere solamente alla professione delle leggi, egli mai puote essere distolto dal suo proponimento, attento che egli a questo era nato, si come medesimamente dimostra poco di sopra nel luogo da noi citato. Cosi vivendo egli in questi termini, giunto all'età d'anni XXV, altri vogliono XXVIII, avenne, che il padre gravemente amalato, passò di questa ad altra vita. La onde restato il Boccaccio di se padrone, ne havendo piu da compiacere maggiormente in ciò ad altri, ch'alla tranquilità dell'animo suo, palesemente gittati da parte i testi, & le chiose, si diede ad abbracciar i Poeti, & in quelli fece quel profitto, che da le opere sue si può comprendere.

Et non v'è dubbio alcuno, che se dal principio vi havesse possuto attendere come desiava, & ne era inchinato, che molto maggiore di nome, & d'effetti sarebbe divenuto, perche a ciò dai Cieli era prodotto, & dagli huomini era eletto, di che ei medesimo nel predetto ragionamento ne fa fede, dicendo; Et mirabile dictu cum nondum novissem, quibus seu quot pedibus carmen incederet; me etiam pro viribus retinente quot nondum sum, Poeta fere a notis omnibus, vocatus fui. Nec dubito, dum aetas in hoc aptior esset, si æquo genitor tulisset animo, qui inter celebres Poetas unus evasissem. Verum dum in lucrosas artes primo, inde in lucrosam facultatem ingenium flectere conatur meum; factum est; ut nec negociator sim, nec evaderem canonista, & perderem Poetam esse conspicuum. Caetera facultatum studia, & si placerent; minime sim secutus. Si che si vede quanto torto fosse fatto all'ingegno di sì degno Poeta, & come con ogni sforzo a lui fosse cercato torre quello che gli promettevano i Cieli. Nondimeno, rimasto senza padre, non solo rivolse l'animo a studiare l'opre di quelli, ch'erano stati molto prima di lui, ma anco ricercò haver contezza di quei, che vivevano al tempo suo, & hebbela. Tra quali fu l'Honorato M. Francesco Petrarca, al quale divenuto molto intrinseco, & cordiale, per tre mesi continui dimorò seco: di che ne fa fede la Prima Pistola del terzo libro delle Senili di M. Francesco; & di lui fu spetiale osservatore, sì come in infiniti luoghi delle opere sue latine dimostra, & tra gli altri nel parlamento ch'egli finge seco nel principio dell'ottavo libro sopra i casi degli huomini Illustri, del quale dimostrando la riverenza, cosi parla. Quem dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer; agnovi esse Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius monita semper mihi ad virtutem calcar extiterant; & quem ego ab ineunte iuventute mea prae caeteris colueram. Et quello, che segue. Essendo adunque cosi infiammato di questi santi studi, a guisa d'antico & vero filosofo, non bastandogli le sue rendite a mantenerlo, incominciò vendere il capitale del patrimonio, non perdonando a spesa nè a fatica in andare dove sapeva, che fosse alcun huomo dotto, & eccelente.

Passò in Sicilia per udire un certo Calavrese ch'in quel tempo havea gran nome, com'egli scrive, d'essere dottissimo in lettere Greche, & tanto di quelle venne ad animarsi che, ritornando a dietro & pervenuto a Venegia, menò seco a Fiorenza Leontio Pilato, di natione greco, molto dotto & letterato, tenendolo nella propria casa dov'egli habitava a sue spese; & da quello si fece legere la Iliade d'Homero & l'Odissea, adoprandosi tanto con gli amici, che communemente fu salariato, & publicamente in Firenze per mezzo del Boccaccio hebbe una lettura, della qual cosa egli istesso ne fa fede nell'ultimo libro della presente opra, dove dice: Post hos & Leontium Pilatum Thessalonicensem virum, & ut ipse asserit, Predicti Barlae auditorem persepe deduco. Et poco da poi di lui continoando segue; Huius ego nullum vidi opus, sanè quicquid ex eo recito, ab eo viva voce referente percepi. Nam eum legentem Homerum, & mecum singulari amicitia conversantem fere tribus annis audivi. Cosi anco in uno altro capitolo del detto libro di quello parlando scrive; Nonne ego fui qui Leontium Pilatum a Venetiis occiduam Babilonem querentem a longa peregrinatione meis flexi consiliis? In patria tenui? Qui illum in propriam domum suscepi, & diu hospitem habui, & maximo labore meo curavi ut inter Doctores Florentini studij susciperetur, ei ex publico mercede apposita? Fu quasi il primo, questo Leontio, che leggesse in Italia le opere d'Homero, le quali tanto per innanzi erano state nascoste; & il Boccaccio fu de' principali, che le udisse, & che raccogliesse tutti i libri Greci, che puotè ritrovare, i quali fino a quel tempo erano stati quasi dispersi & sepolti;  il che testimonia nel predetto luogo dicendo; Ipse insuper fui, qui primus meis sumptibus Homeri libros & alios quosdam graecos in Hetruriam revocavi, ex qua multis ante seculis abierant non redituri. Nec in Hetruriam tantum sed in patriam deduxi. Ipse ego fui, qui, primus ex Latinis a Leontio Pilato in privato Iliadem audivi, ipse insuper fui, qui, ut legerentur publice libri Homeri, operatus sum; & esto non satis plene perceperim; percepi tamen quantum potui; nec dubium si permansisset homo ille vagus diutius penes nos; qui plenius percepisse. Et quello, che segue. Onde veramente per queste sole buone operationi habbiamo non poco a restare obligati al Certaldese, & infinitamente da commendarlo, poscia ch'egli in buona parte fu prencipal cagione di cosi utile principio.

Ma non possendo il povero Poeta col debile patrimonio, che quasi già se n'era andato, lungamente piu negli studi continuare, come disperato se ne stava quasi per pigliare novo partito, & senza dubbio sarebbe stato a ciò constretto dalla necessità; ma il divino Petrarca, che molto l'amava, incomiciò sovenirlo in diverse cose, aiutandolo secondo i bisogni di denari, & provedendogli di libri, & altre necessarie cose; onde sempre egli lo chiamò padre & benefattor suo in tutti i luoghi, dove di quello gli è occorso far memoria;  il che ha fatto in ciascuna dell'opre sue latine, & spetialmente in molti luoghi di questa. Nè perche in molti suoi scritti si ritrovi, che anco lo chiama precettore, a me non piace affermare, nè secondo il vocabolo intenderlo per maestro di scuola, ma giudico piu tosto per riverenza, che per altro cosi lo chiamasse, attento, che non si ritrovò giamai, che il Petrarca fosse pedagogo di alcuno. Fece in processo di tempo, si come habbiamo di sopra con le proprie sue parole mostrato, che il detto Leontio gli tradusse di greco in latino Homero, tutto, che altri dicano, che il Petrarca fece fare questa fatica; fondandosi, cred'io, sopra la sesta Epistola del terzo libro delle Senili, nella quale il Petrarca il prega ad oprare talmente, che faccia, che Leontio a sue spese gli traduca l'opre d'Homero: & nella seconda del sesto, dove mostra il ricevere dell'opera; ma chi bene riguarderà la prima del quinto libro, apertamente conoscerà il Boccaccio essere stato quello, che fece fare la fatica, & poi ne fece parte & dono al Petrarca. Confermato adunque col buono aiuto di M. Francesco a continuare nelle lettere, diede quell'opra maggiore, che per lui si potesse alla Poesia: & anco si pose a studiare nelle Sacre Lettere, ma essendo hoggimai quasi vecchio, si come testimonia egli stesso nell'ultimo dei presenti libri, dicendo: Caetera facultatum studia, & si placerent quoniam non sic impellerent minime secutus sum. Vidi tamen sacra volumina, a quibus, quoniam annosa est ætas; & tenuitas ingenij disuasere destiti, turpissimum ratus senem (ut ita loquar) elementarium nova inchoare studia; & cunctis indecentissimum esse id attentasse, quod minime arbitreris perficere posse. Cosi non molto in questi studi si fermò, anzi lasciandogli da parte attese alla sua cara Poesia alla quale dai Cieli era chiamato, si come continuando segue dicendo. Et ideo cum existimem Dei beneplacito me in hac vocatione vocatum; in eadem consistere mens est. Ma non contentandosi solamente dello intendere i buoni Poeti si diede anco poeticamente al comporre, & molte opere latine scrisse, tra le quali come principale fece i presenti quindici libri sopra la Geneologia degli Dei a petitione di Ugo Re di Gierusalemme & di Cipro; i quali di quanta dignità, utilità siano, non è alcuno, che ne possa far giudicio non gli havendo letti & gustati. Questo so bene io, che in quelli vi è incluso la maggior parte delle cose utili & necessarie non solamente alla Poesia, ma anco alle altre scienze, che a gran fatica in molti altri poetici libri si potrebbe ritrovare. Et in ciò ho conosciuto lo errore, che infiniti nostri moderni pigliano, i quali si fanno beffe delle scritture, che non hanno l'odore d'antichità, come quasi non si possa piu scrivere cosa, che buona sia. Ma di questo ne sia detto assai: perche ogn'un del suo saper par che s'appaghi. Scrisse medesimamente nove libri sopra i casi degli huomini illustri, con quegli essempi & regola del ben vivere, che piu politicamente alcuno altro non havrebbe possuto amaestrarci. Ne compose poi uno delle Donne illustri, tanto dilettevole & vago, quanto altro a beneficio loro si potesse formare, le quai opere io a commune utilità nella nostra natia lingua tutte ho riportate. Scrisse appresso un libro della origine & nomi de i monti, uno delle selve, uno dei fonti, uno dei laghi, uno dei fiumi, & uno degli stagni, & paludi. Trattò anco dei nomi del mare; fece la Bucolica in verso; un'opra nella cui si tratta dei fatti dei Pontefici, & Imperatori Romani; scrisse della ribelione delle Terre della Chiesa. Delle Guerre de' Fiorentini contra il Duca di Milano, & il Re d'Aragona. Della Vittoria dei Tartari contra Turchi. Delle Vittorie di Sigismondo contra infedeli. Delle heresie di Boemi. Della presa di Costantinopoli. Et oltre ciò si leggono molte sue Pistole famigliari, le quali fatiche tutte furono latine. Nel cui stile, considerandosi quei tempi, che anco erano infettati dalle reliquie dei Gothi & degli altri barbari, non poco si vede egli essere stato eccellente; perche se riguardaremo al Petrarca & agli altri scrittori del suo tempo, vedremo la latinità del Boccaccio (come, che in tutto perfetta non sia) senza dubbio essere stata la migliore dell'altre essendo anco di havere compassione ai loro giorni i quali mancavano di molte comodità a ciò necessarie, nè quella copia di libri havevano c'hora si ritroviamo noi. Si dilettò medesimamente di scrivere nel suo natio idioma; nel quale quanto valesse, tutto, che alhora fosse poco in prezzo, ne fanno fede l'opre sue, dalle quali si ha conosciuto quanta utilità n'habbiano havuto i successori, & la dignità, che a questa lingua habbiano accresciuto le fatiche sue, alle quali come a nuovo oracolo si riportiamo. Compose il Filocolo, la Fiammetta, l'Ameto, il Labirinto d'Amore o vogliamo Corbaccio, la Vita di Dante, & incominciò a commentare Latinamente la sua Comedia, cioè una parte dell'Inferno. Fece le diece Giornate del non mai a bastanza lodato & degno d'ogni pregio Decamerone, l'ultima delle quali novelle fu dal Petrarca tradotta in latino, si come si legge nella terza Epistola del decimosettimo libro delle Senili del Petrarca. Scrisse la Theseide, opra in ottava rima nella cui si contengono i fatti di Theseo, & fu il primo inventore di tale testura, percioche per inanzi non mi ricordo io haver trovato ch'altri la usasse. Fece medesimamente una Apologia difesa del Petrarca contra gli invidiosi & maledici, si come ne fa fede l'instesso nella ottava Epistola del quintodecimo libro delle senili; compose anco molte rime & altre simili cose; ma per dire il vero, lo stile volgare in verso non gli fu troppo amico. Nondimeno a' suoi giorni, tra Dante, il Petrarca & lui, a quello era attribuito il terzo luogo, si come dimostra il Petrarca in una lettera scritta al Boccaccio; dove dice; Io odo, che quel vecchio da Ravenna, non inetto giudice della Poesia volgare, ogni volta, che si ragiona di cosi fatta cosa, che egli ha sempre in usanza d'assegnarti il terzo luogo. Se questo ti dispiace, parendo a te ch'io sia un ostacolo, che non sono, ecco, se tu voi, io ti cedo & ti rinuntio il secondo luogo; intendendo tuttavia, che nel primo sia Dante. Cosi anco Benvenuto da Imola in una lettera scritta al Petrarca parlando della spositione d'alcuni poemi di Dante, Petrarca, & Boccaccio cosi ragiona: Ma io lo faccio per mostrare a' posteri di haver suscitato i tre Prencipi de Poeti de' nostri tempi, i tre chiarissimi lumi della Greca, della Latina & della lingua Volgare; Dante cioè, te medesimo, & Giovanni Boccaccio. si che si comprende egli non essere stato indegno Poeta. Nondimeno, veduti c'hebbe un giorno il Boccaccio i Sonetti & le Canzoni con le altre compositioni simili del Petrarca, conoscendo quanto le sue fossero inferiori a quelle deliberò donarle alle fiamme ,& non acconsentire, che mai si vedessero; il che inteso dal Petrarca fu da lui sconsigliato con una Epistola, nella cui si leggono queste parole: Perdona alle fiamme. & habbia compassione de' tuoi scritti, & alla publica utilità & dilettatione. Qui non starò io a disputare, che cosa lo movesse a comporre questa & quell'opra, & ciò ch'egli vuole inferire nel tale & nel tal luogo, perche ne lascio la cura agli spositori. Quello per le sue degne virtù fu fatto Cittadino Fiorentino, & dalla Republica fu adoprato in molti negotij publici. Egli fu quello, che per la comunità di Firenze fu mandato ambasciadore al Petrarca per la sua restitutione, si come si legge nella quinta Epistola del Petrarca dopo le senili scritta a' Fiorentini; il che fu negli anni MCCCLI a tredeci d'Aprile; nondimeno il Petrarca non solamente non venne a Fiorenza, ma anco fu cagione, che il Boccaccio se ne levasse, perche essendo per le parti la città divisa, & M. Giovanni nè all'una nè all'altra accostandosi, secondo il consiglio di M. Francesco per lo meglio elesse per qualche tempo viversene fuori; il che fece. Onde Giovanni Thiodorigo parlando della vita del Boccaccio non devea dubitare perche Raffaello Volaterano il chiami Giovanni Boccaccio da Certaldo, & Antonio Sabellico nel nono Libro ragionando di lui cosi dica. Fuit ea tempestate in re literaia clarus Ioannes Boccacius Florentinus Certalda domo, vir copioso ingenio & cuius varia extant studiorum monumenta; le cui parole paiono quasi far dubitare, che il Poeta fosse Fiorentino & di casa Certalda, overo, che non sia l'istesso, che vuole il Volaterrano, attento, che la propria sua origine, si come chiaramente habbiamo mostrato, fu da Certaldo; & come, che il Sabellico il chiami Fiorentino non deve per ciò nascere dubbio alcuno, perche fu fatto Cittadino di Fiorenze. Diede anco opera alla Astrologia, & hebbe per suo prencipale precettore Andalone de' Negri Genovese, al suo tempo famosissimo Astrologo. Fu di natura molto sdegnoso, il qual vitio gli nocque non poco negli studi; amatore anco della sua libertà, di sorte, che mai non volle accostarsi nè obligarsi ad alcuno Prencipe nè Signore, come, che da molti fosse desiderato & pregato; ilche egli tocca nel Filocolo quando dice; Deh, misera la vita tua, quanti sono i Signori; li quali, s'io li loro titoli hora ti nomassi, in tuo danno te ne vanagloriaresti, dove in tuo pro non te ne sei voluto rammemorare. quanti nobili & grandi huomini, a' quali, volendo tu, saresti carissimo? Et per soverchio & poco lodevole sdegno, che è in te, o a niuno t'accosti, o se pure ad alcuno, poco con lui puoi sofferire, s'esso fare a te quello, che tu ad esso doveresti fare, non ti dichini, cioè seguitare i tuoi costumi & esserti arrendevole. Fu medesimamente molto inchinato all'amore & libidinoso, & non poco gli piacquero le donne, come, che di loro in molti luoghi dell'opere sue ne dicesse quel peggio, che dire si potesse; tuttavia di alquante nelle scritture sue sotto finto nome ne fa honorato ricordo. Fieramente s'accese dell'amore di Maria, figliuola naturale di Roberto Re di Napoli. Percioche per le guerre civili egli, come amatore della pace & quiete partitosi di Firenze, & girata la maggior parte dell'Italia, alla fine pervenuto a Napoli & honoratamente raccolto da Roberto, a que' tempi Sommo Filosofo, avenne, si come agli animi generosi accader suole, che chiudendosi nel suo corpo altissimo & divino spirito, un giorno veduta la di lui figliuola nella chiesa di San Lorenzo, quella estremamente prese ad amare; a petitione della quale compose il Filocolo; & che cosi fosse egli medesimo ne fa fede nel principio di quell'opra, quando scrive; Io della presente opra componitore mi trovai in un gratioso & bel Tempio in Parthenope, nominato da colui, che per deificarsi sostenne, che fosse fatto di lui sacrificio sopra la grata. Cosi anco nell'Ameto: Io entrai in un Tempio, da colui detto, che per salire alle case delli Dij immortali, tale di sé tutto sostenne; quale Mutio di Porsenna in presenza della propria mano. Ma perche lo amore suo non fosse a ciascuno palese, egli hebbe riguardo col proprio nome non la ricordare; nondimeno, si come è naturale costume degli amanti, che non vogliono dire lo stato loro, & tuttavia vorrebbono, che la maggior parte se ne sapesse, non gli bastò solamente il chiamarla Fiammetta, che anco in molti luoghi dà ad intendere, che il suo proprio nome fosse Maria, & di chi figliuola; si come si vede nel Filocolo quando dice; Et lei nomò del nome di colei, che in se contenne la redentione del misero perdimento, che adivenne per lo ardito gusto della prima madre. Et piu oltre seguendo scrive; Il suo nome è qui da noi chiamato Fiammetta, posto che la piu parte delle genti il nome di colei la chiamino; per la quale quella piaga, che 'l prevaricamento della prima madre apprese, ci racchiuse. Cosi anco medesimamente ne fa testimonio nell'amorosa visione:

"Dunque a voi, cui io tengo donna mia,     "Et cui sempre disio di servire.

"La raccomando Madama Maria.

Dimostra poi palesemente nel Filocolo ella essere stata figliuola del Re Roberto, ma naturale, dicendo. Ella è figliuola dell'altissimo Prencipe, sotto lo cui scettro questi paesi quieti si reggono, e a noi tutti è donna. Et piu oltre segue; Un nominato Roberto nella real dignità constituito, e avanti, che alla reale eccellenza pervenisse, costui preso dal piacere d'una gentilissima giovane dimorante nelle reali case generò di lei una bellissima figliuola, & lei nomò del nome, &c. Fu medesimamente amato da lei, & si come si può innestigare & dall'opre sue comprendere, egli n'hebbe il disiato frutto d'Amore; il che si vede nell'Ameto; quando introduce Fiammetta cosi parlare; Essendo io (come v'ho detto) del pronto giovane, & sua stata piu anni, avenne, che per caso opportuno gli convenne a Capoua per adietro, l'una delle tre migliora terre del mondo, andare; ond'io nella mia camera le paurose notti traheva; & quello che và dietro. Di che si vede chiaramente, che egli seco hebbe a fare. Il medesimo anco si comprende nella Fiammetta & nel Filocolo, & in molti altri luoghi, che lungo fora raccontare, dove palesemente quasi di questo suo amore si gloria; di che per molto spatio di tempo dimorò a Napoli, & gran parte in Sicilia, dove dalla Reina Giovanna era favorito. Chiamossi anco per amore di costei con finto nome Caleone, col quale diede il titolo al Decamerone cognominato Prencipe Caleotto, formato da Calaon, voce greca, che significa fatica: cosi anco il Filocolo, che s'interpreta fatica d'Amore. Et ch'egli cosi si chiamasse per cagione di lei il dimostra nel Filocolo, ove è scritto; Et percioche tante volte dal mio Caleone, da cui sempre fui chiamata Fiammetta, avanti l'acceso amore verde fui conosciuta, di vestirmi di verde poi sempre mi sono dilettata. Cosi anco in molti altri luoghi ne fa ricordo, i quali come superflui lascio. Questa Maria non molto dopo la morte del Boccaccio nel mutamento dello Stato di Napoli dalla parte aversaria fu decapitata, benche altri vogliano, che per intendimento havuto contra il Re Roberto ciò le venisse. Ma tornando al Boccaccio, amò egli medesimamente una giovane Fiorentina nomata Lucia, la quale sempre con finto nome chiamò Lia. Cosi anco sotto altri finti nomi nelle opere sue si comprende ad altre donne haver altre fiate rivolto la fantasia, nondimeno, perche lieve è la loro memoria, & poco di chiaro se ne può cavare da' suoi scritti, non ne diremo altro; ma l'ultimo & il perfetto de' suoi amori fu di questa Maria, in nome della quale compose Fiammetta; benche io non ardisca affermare, che in tutto egli in quella volesse figurare l'amore suo & di lei; ma piu tosto istimo che, toccandone solamente parte, l'animo suo fosse di solamente descrivere la potenza d'un fervente amore in una giovane dal suo amante abandonata. Conciosia, che nell'opra si vede ch'ei finge la Fiammetta essersi accesa in un giovane che, a pena incominciava mettere la prima lanuggine di barba, & che haveva padre, per amore della vecchiaia del quale l'inamorato fu sforzato partirsi di Napoli & andare in Toscana; & nondimeno quando il Boccaccio andò a Napoli era huomo fatto, & non haveva padre. Cosi anco in molte altre cose di maniera varia, che sopra quella non si può far fondamento alcuno, benche l'intendimento suo principale fosse di scrivere quell'opra con studio tale, che altri non potessero comprendere la verità di quell'amore, eccetto che la persona a cui s'appartenesse, si come si vede nel primo libro dove dice; Percioche quantunque io scriva cose verissime, sotto si fatto ordine l'ho disposte che, eccetto colui, che cosi come io le sa (essendo di tutte cagioni), niuno altro, per quantunque havesse acuto intelletto, potrebbe chi io mi fossi, conoscere. Et io lui prego (se mai per sua aventura questo libretto alle mani gli perviene), che egli per quello amore il quale già mi portò celi quel, che a lui nè utile nè honore può manifestandolo tornare; et quello, che segue; onde si può leggiermente comprendere ch'egli medesimo non volle essere inteso. Ma lasciando questo cose, che piu tosto sarebbono necessarie alla vita di costei, che al ragionar di lui, seguiremo quello, che ci resta; fu di statura di corpo & proportione di membri assai bene composto, si come egli stesso di sé scrivendo fa, che la Fiammetta nel primo libro ne parla. Fu anco piacevole, & molto costumato, si come dalle dilettevoli opere sue si può fare presuposto; ultimamente acquetatesi alquanto le cose di Thoscana, & essendo desideroso quel poco avanzo di tempo, che di vivere gli restava goderlo quietamente, hoggimai fatto vecchio se ne tornò a Firenze; ma non possendo sopportare la civile ambitione ritornò al suo Certaldo, dove lontano da travagli ne' suoi studi vivendo passava i giorni secondo il suo volere, si come egli medesimo scrive in quella Pistola a M. Pino de Rossi, dove in fine gli dice; Io secondo il mio proponimento, quale vi ragionai, sono tornato a Certaldo. Alla fine pervenuto all'età d'anni LXII. si come scrive Benvenuto da Imola, se ne morì di male di stomaco, il quale gli fu cagionato per lo continuo soverchio studio, che gli nocque assai, essendo egli di complessione molto grasso, & pieno. Non lasciò di sé heredi legittimi, perche non hebbe mai moglie. Solamente di lui rimase un figliuolo naturale, senza piu. Passò di questa all'altra vita negli anni del signore MCCCLXXV, il che fu un'anno dopo la morte del Petrarca. Fu sepolto in Certaldo nella chiesa di San Iacopo & Filippo con questo epitafio sopra la sua sepoltura, il quale da lui medesimo pria, che morisse fu composto:

" Hac sub mole iacent cineres, ac ossa Ioannis;

" Mens sedet ante Deum meritis ornata laborum;

" Mortalis vitae genitor Boccacius illi,

" Patria Certaldum, studium fuit alma poesis.

Appresso i quali versi si legge anco un altro epitafio in lode del Boccaccio di M. Colluccio Salutati segretario fiorentino, ma per piu longamente non porger noia ai lettori, lasciaremo da parte questo & altre cose, che si potrebbono dire; le quali essendo di niun momento arrecharebbono piu tosto noia, che diletto, nè utile alcuno.

 

IL FINE.

 


TAVOLA PRIMA CAVATA

Per ordine di tutti i nomi nell'Opera contenuti

 


 

Atropos figliuola di Demogorgone

Antheo quinto figliuolo della Terra

Amore primo figliuolo dell'Herebo

Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo Giove

Auttolio figliuolo del secondo Mercurio

Auttolia, figliuola del primo Sinone, & madre d'Vlisse

Amimone figliuola di Danao

Abante figliuolo di Linceo

Acrisio figliuolo d'Abante

Athalanta, figlia di Lasio, & madre di Parthenopeo

Amphione figliuolo di Isio

Adrasto figliuolo di Thalaone

Argia, figlia d'Adrasto, & moglie di Pòlinice

Ageone terzo figliuolo di Belo di Prisco

Adone figliuolo di Mirra

Anna figliuola del Re Belo

Agatte figliuolo di Cadmo

Auttone figliuola di Cadmo

Antigona figliuola d'Edippo

Acheronte Fiume infernale figliuolo di Cerere

Aletto prima figliuola d'Acheronte

Ascalapho quinto figliuolo d'Acheronte

Apollo figl. del primo Vulcano

Assirthio figliuolo di Oeta

Angiria figliuola del Sole

Asteria figliuola di Ceo

Aeo figliuolo di Tipheo

Auro settima figliuola di Titano

Atlante nono figliuolo di Titano

Alcione figliuola d'Atlante

Astreo figliuolo di Titano

Astrea figliuola d'Astreo

Austro figliuolo d'Astreo

Afro figliuolo d'Austreo

Aquilone figliuolo d'Austreo.

Arpalice, figliuola di Borea, e moglie di Phineo

Africo figliuolo d'Astreo

Aloo decimo figliuolo di Titano

Apollo secondo figliuolo del secondo Giove

Aristeo decimo figliuolo d'Apollo

Atteone figliuolo d'Aristeo

Autoo duodecimo figliu. d'Apollo

Argo terzodecimo figliu. d'Apollo

Asclepio figliuolo di Machaonne

Arabe figliuolo d'Apollo

Amphione, Rè di Thebe, & quinto figliuolo di Giove

Amiclate figliuolo di Lacedemone

Argolo figliuolo di Amiclate

Arcade 15. figliu. del secondo Giove

Antigona figliuola di Laomedonte

Astianatte figliuolo d'Hettore

Antipho 18. figliuolo di Priamo

Antiphone 19. figliuolo di Priamo

Agatone 30. figliuolo di Priamo

Agamennone 32. figl. di Priamo

Assaraco figliuolo di Troilo

Anchise figliuolo di Capi

Ascanio figliuolo d'Enea

Alba Silvio figl. di Latino Silvio

Athi Silvio figliuolo d'Alba

Agrippa Silvio figl. di Tiberino

Aventino Silvio figl. di Romolo Silvio

Amulio figliuolo di Proca

Aetta, figliuola dell'Oceano, & moglie d'Atlante.

Aretusa figliuola di Nereo

Acheloo 11. figliuolo dell'Oceano

Alueo 15. figliuolo dell'Oceano

Aceste figliuol del fiume Crinisio

Axio 18. figliuolo dell'Oceano

Asteropio figliuolo di Pelagonio

Asopo 19. figliuolo dell'Oceano

Aci figliuolo di Fauno

Ascalafo quarto figliuol di Marte

Agrio figliuolo di Partaone

Althea figliuola di Testio

Astilo figliuolo d'Isione

Amico figliuolo di Nettuno

Albione quarto figliuolo di Nettuno

Atiti figliuola di Risinore

Alcinoo figliuolo di Nausithoo

Alioo figliuolo d'Alcinoo

Attorione figliuolo di Nettuno

Aone figliuolo di Nettuno

Antiopa figliuola di Nitteo

Acastosi figliuolo di Pelia

Antiloco figliuolo di Nestore

Aritto figliuolo di Nestore

Antigono figliuolo di Theseo

Arpie figliuole di Nettuno

Ahello figliuola di Nettuno

Acheo figliuolo di Giove

Amore duodecimo figl. di Giove

Angeo figliuolo di Ligurgo

Arpalice figliuola di Ligurgo

Arpalice figliuola di Ligurgo

Androgeo figliuolo di Minos

Arianna figliuola di Minos

Antiphate figliuolo di Sarpedone

Acrisio figliuolo di Giove

Ausonio figliuolo di Pelope

Alceo figliuolo d'Atreo

Arpagige figliuolo d'Atreo

Agamennone figliuolo di Phistone

Aleso figliuolo d'Agamennone

Alcmena moglie d'Amphitrione

Alceo figliuolo di Gorgophone

Amphitrione figliuolo d'Alceo

Athermenide figliuolo di Bacchemone

Aone figliuolo di Giove

Asio figliuolo di Dimante

Alisiroe figliuola di Dimante

Aiace figliuolo di Telamone

Achile figliuolo di Peleo

Agile figliuolo d'Hercole

Aventino figliuolo d'Hercole

Alciona figliuola d'Eolo

Alcimedonte figliuolo d'Eritteo

Amittaone figliuolo di Criteo

Antipho figliuolo di Thessalo

Antiphare figliuolo di Biante

Amphiarao figliuolo d'Oioloo

Almeone figliuolo d'Amphiriao

Amphiloco figl. d'Amphiriao

Athamante figliuolo d'Eolo.

 

B

BELLO Prisco figliuolo d'Ephalocar

Buona figliuola di Danao

Belo figliuolo di Phenice

Bibli figliuolo di Mileto

Briareo figliuolo di Titano

Bianco settimo figliuolo d'Apollo

Borea figliuolo di Astreo

Bacco quarto figliuolo del secondo Giove

Bucolione figliuolo di Laomedonte

Britona nona figliuola di Marte

Buthe figliuolo di Amico

Batillo figliuolo di Pherco

Borgione quinto figl. di Nettuno

Bronte nono figliuolo di Nettuno

Busiri figliuolo di Nettuno

Bacchemone figliuolo di Perseo

Biante, overo Bia figliuolo di Amittaone

Bellorophonte figliuolo di Glauco.

 

C

CHAOS

Cloto figl. di Demogorgone

Caronte decimo nono figliuolo dell'Herebo

Cupido primo figliuolo del secondo Mercurio

Cinquanta figliuole di Danao in generale

Clori, figliuola d'Amphione, & moglie di Neleo

Cilice terzo figliuolo d'Agenore

Cinara figliuolo di Papho

Cadmo sesto figliuolo d'Agenore

Cielo figliuolo dell'Ethereo

Cerere prima, seconda figliuola del Cielo

Cocito figliuolo di Stigia

Cupido figliuolo di Venere

Cauno figliuolo di Mileto

Calciope figliuola di Oeta

Circe figliuola del Sole

Ceo figliuolo di Titano

Chimera figliuola di Tiphone

Cilieno figliuola d'Atlante

Calipsone figliuola di Atlante

Circio figliuolo d'Astreo

Calai figliuolo di Borea

Choro vento figliuolo d'Astreo

Calisto figliuola di Licaone

Calato settimo figliuolo del secondo Giove

Cartagine figliuola del quarto Hercole

Clitione figliuole di Laumedonte

Creusa, prima figliuola di Priamo, & moglie d'Enea

Cassandra seconda figliuola di Priamo

Chaone undecimo figliuolo di Priamo

Cromenone ventesimo terzo figliuolo di Priamo

Cebrione ventesimo quinto figliuolo di Priamo

Capi figliuolo d'Astaraco

Capi Silvio figliuolo d'Athi

Climene quinta figliuola dell'Oceano

Corufice figliuola dell'Oceano

Cimodoce figliuola di Nereo

Cirene figliuola di Peneo

Critone figliuolo di Diocleo

Crinisio sestodecimo figliuolo dell'Oceano

Citheone figliuolo del Tebro.

Cephiso ventessimo figliuolo dell'Oceano

Ciane figliuola di Menandro

Croni figliuola di Saturno

Cerere terza figliuola di Saturn.

Chirone sesto figliuolo di Saturno

Cupido primo figliuolo di Marte

Coronide nimpha, figliuola di Phlegia, & madre d'Esculapio

Centauri figliuoli d'Isione .

Clitonio figliuolo d'Alcinoo

Cavallo Pegaso figliuolo di Nettuno

Cronio figliuolo di Neleo

Cigno ventesimo terzo figliuolo di Nettuno

Celleno figliuola di Nettuno

Castore figliuolo di Giove

Clitennestra figliuola di Giove

Ceice figliuolo di Lucifero

Crisostemi figliuola d'Agamennone

Corinto figlio d'Horeste

Caco figliuolo di Vulcano

Canace figlia d'Eolo

Clitone figliuolo di Mantione

Catillo figliuolo d'Amphiarao

Catillo figliuolo di Catillo

Corace figliuolo del primo Catillo

Creonte figliuolo di Sisipho.

Creusa figliuola di Creonte

Cephalo figliuolo d'Eolo

Citoro figliuolo d'Atamante

 

D

DEmogorgnoe

Diana prima & quarta figliuola del primo Giove

Dionigi ottavo figliuolo del primo Giove

Danao figliuolo di Belo Prisco

Danae figliuola d'Acrisio

Deiphile, figliuola d'Adrasto, & moglie di Thideo

Didone, figliuola di Belo, & moglie di Siceo

Dirce quinta figliuola del Sole

Deucalione figliuol di Prometeo

Dionigi figliuolo di Deucalione

Diana figliuola del secondo Giove

Dardano sestodecimo figliuolo del Secondo Giove

Daphni figliuolo di Paris

Deiphebo terzodecimo figliuolo di Priamo.

Dicomoonte ventesimo primo figliuolo di Priamo.

Doridone ventesimo settimo figliuolo di Priamo.

Dori settima figliuol dell'Oceano

Danae figliuola di Peneo

Dionisio figliuolo del Nilo

Daphni figliuolo del quarto Mercurio

Diocleo figliuolo d'Orsiloco

Deianira, figliuola d'Oeneo, & moglie di Hercole

Diomede figliuolo di Thideo

Doro primo figliuolo di Nettuno

Demophonte figliuolo di Theseo

Dedalione figliuolo di Lucifero

Driante figliuolo d'Hippolago

Deucalione figliuolo di Minos

Dionisio figlio di Giove

Dimante figliuolo d'Aone

Dauno figliuolo di Pilunno

Dauno nipote del primo Dauno

Diodoro figliuolo d'Hercole

Dicoonte figliuolo d'Hercole

 

E

Eternità

Ethere primo figliuolo dell'Herebo

Ebuleo settimo figliuolo del primo Giove

Epapho duodecimo figliuolo del primo Giove

Egisto figliuolo di Belo Prisco

Euridice figliuola di Thalaone

Europa quinta figliuola d'Agenore

Edipo figliuolo di Laio

Etheocle figliuolo d'Edipo

Eone figliuole del Sole

Enchelado quinto figliuolo di Titano

Egeone sesto figliuolo di Titano

Egle figliuola d'Hespero

Elethra figliuola d'Atlante

Epimetheo figliuolo di Giapeto

Ellano figliuolo di Deucalione

Eurimone seconda figliuola di Apollo

Esculapio decimo quarto figliuolo di Apollo

Egiale figliuola del secondo Giove

Euphrosine figliuola del secondo Giove

Erigione figliuola d'Icaro.

Erittonio figliuolo di Dardano

Esipio figliuolo di Bucalione

Esaco decimo settimo figliuolo di Priamo

Echemone ventesimo secondo figliuolo di Priamo

Enea figliuolo d'Anchise

Enea Silvio figliuolo di Silvio Posthumo

Eurinome figliuola dell'Oceano

Etra, figliuola dell'Oceano, & moglie d'Atlante

Egialeo figliuolo di Phoroneo

Ethiope figliuolo di Vulcano

Egina figliuola d'Asopo

Eurimedonte figliuolo di Fauno

enomao secondo figliuolo di Marte

Eurito figliuolo d'Isione

Evanne decima figliuola di Marte

Etholo decimoterzo figliuolo di Marte

Erice figliuolo di Buthe

Euriale figliuola di Phorco

Echefrone figliuolo di Nestore

Ephialte ventesimo sesto figlio di Nettuno

Egeo ventesimosettimo figliuolo di Nettuno

Ecchimene figliuola di Laerte

Evioto figliuolo d'Atreo

Egisto figliuolo di Thieste

Elettra figliuola d'Agamennone

Elettrione figliuolo di Gorgophone

Euristeo figliuolo di Stileno

Eritreo figliuolo di Perseo

Eaco figlio di Giove

Eudoro figliuolo di Mercurio

Evandro figlio di Mercurio

Erittonio figlio di Vulcano

Euriphilo figliuolo di Telepho

Eolo figliuolo di Giove

Eritteo figliuolo d'Esone

Esone figliuolo d'Eritteo

Epitropo figliuolo d'Alchimedonte

 

F

Fama seconda figliuola della Terra

Fatica terza figliuola dell'Herebo

Frode settima figliuola dell'Herebo

Fame undecima figliuola dell'Herebo.

Figliuole di Danao in generale

Flegeo figliuolo di Thalaone

Furie in generale, figliuole d'Acheronte

Fauno figliuolo di Pico

Fauni figliuoli di Fauno

Figliuole di Pelia

 

G

Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte

Giorno ventesimo figliuolo dell'Herebo

Giove primo figliuolo dell'Ethere

Giapeto ottavo figliuolo di Titano

Giganti generati dal sangue dei Titani, & della Terra

Giove secondo, & nono figlio del Cielo

Garamante sesto figliuolo di Apollo

Gratie figlie del secondo Giove

Ganimede figliuolo di Troio

Gorgitione ventesimo quarto figliuolo di Priamo

Giulio Silvio figliuolo d'Ascanio

Giulio Silvio figliuolo di Romolo

Galathea figliuola di Nereo

Glauca quarta figliuola di Saturno

Giunone ottava figliuola di Sat.

Gorge figliuola d'Oeneo

Grisaore ventesimo quarto figliuolo di Nettuno

Giove terzo, & decimo figliuolo di Saturno

Glauco figliuolo di Minos

Gorgophone figliuolo di Perseo

Giasone figliuolo d'Esone

Glauco figlio di Sissipho

Glauco figlio d'Hippoloco

 

H

Herebo nono figliuolo di Demogorgone

Hercole primo, & nono figliuolo del primo Giove

Hipermestra figliuola di Danao

Honore figliuolo della vittoria

Hermaphrodito figliuolo di Mercurio; & di Venere

Hiperione primo figliuolo di Titano

Hore figliuole del Sole, & di Croni

Hespero figliuolo di Giapeto

Hetetula figliuola di Hespero

Hespertula figliuola di Hespero

Hia figliuolo di Atlante

Hiadi sette figliuole di Atlante

Himeneo figliuolo di Baccho

Hissiphile figliuola di Thoante

Hiptima figliuola d'Icaro

Hercole decimoterzo figliuolo del secondo Giove

Hesiona figliuola di Laumedonte

Hettore figliuolo di Priamo

Heleno decimo figliuolo di Priamo

Hipotoo figliuolo di Priamo

Hippodamia figliuola di Anchise

Hercole figliuolo del Nilo

Hebe figliuola di Giunone

Hippodamia figliuola d'Enomao

Hermiona undecima figliuola di Marte

Hiperino duodecimo figliuolo di Marte

Hirceo ventesimo figliuolo di Nettuno

Hippolito figliuolo di Theseo

Hippomene figliuolo di Megarea

Helena moglie di Menelao

Hippolago figliuolo d'Orione

Hidumeneo figliuolo di Deucalione

Hermiona figliuola di Menelao

Hiphigenia figlia d'Agamennone

Hiphianassa figliuola d'Agam.

Horeste figliuolo d'Agamennone

Horeste figliuolo d'Horeste

Hiphicleo figlio d'Amphitrione

Hercole figliuolo di Giove

Hitoneo figliuolo d'Hercole

Hilo figliuolo d'Hercole

Hippoloco figlio di Bellorophonte

Hespero figlio di Cephalo

Helle figliuolo d'Atamante

 

I

Invidia quarta figliuola dell'Herebo

Inganno sesto figliuolo dell'Herebo

Iasio figliuolo d'Abante

Ino figliuola di Cadmo

Ismene figliuola d'Edipo

Isis figliuola di Prometeo

Iolao figliuolo d'Aristeo

Ithilo figliuolo di Zeto

Icaro figliuolo d'Oebalo

Ionio figliuolo d'Arcade

Ilione figliuolo di Troio

Ioetaone figliuolo di Laumedonte

Iliona terza figliuola di Priamo

Ideo figliuolo di Paris

Ilioneo figliuolo di Phorbante

Iphate trentesimo quinto figliuolo di Priamo

Iso figliuolo di Priamo

Ilia figliuola di Numitore

Idothea figliuola di Proteo

Inaco duodecimo figliuolo dell'Oceano

Ione figliuola d'Inaco

Ipetia figlia del Sole

Ipseo figliuolo del Fiume Asopo

Ithi figliuolo di Tereo

Ialmeno figliuolo di Marte

Isione figliuolo di Phlegia

Iarba figliuolo di Giove

Iolao figliuolo d'Hiphicleo

Iuturna figliuola di Dauno

Isandro figliuolo di Bellorophonte

 

L

Litigio primo figliuolo di Demogorgone

Lachesis figliuola di Demogorgone

Libero Primo undecimo figliuolo del primo Giove

Libia figliuola d'Epapho

Linceo figliuolo d'Egisto

Lampscio figliuolo di Cilice

Laddacio settimo figliuolo d'Agenore

Laio re di Thebe, figliuolo di Laddacio

Lethe figliuolo di Phlegetonte

Luna figliuola d'Hiperione

Latona figliuola di Ceo

Licaone figliuolo di Titano

Lapitha prima figliuola di Apollo

Lino quarto figliuolo di Apollo

Lacedemone undecimo figliuolo del secondo Giove

Laumedonte figliuolo d'Ilione

Lampo figliuolo di Laumedonte

Laodicea quarta figliuola di Priamo

Licaste quinta figliuola di Priamo

Licaone figliuolo di Priamo

Laocoonte trentesimo terzo figliuolo di Priamo

Latino Silvio figliuolo d'Enea Silvio

Lauso figliuolo di Numitore

Ligo figliuolo di Phetonte

Lampetusa figlia del Sole

Latino figliuolo di Fauno

Lavinia figliuola di Latino

Laodamante figliuolo d'Alcinoo

Lucifero figliuolo di Giove

Lichione figliuola di Dedalione

Ligurgo figliuolo di Driante

Laerte figliuolo d'Acrisio

Lisicide figliuola di Pelope

Laodicea figlia d'Agamennone

Leucotoe figliuola d'Orcamo

Lari figliuolo di Mercurio

Lido, & Lario figliuoli d'Hercole

Lario figliuolo di Lido

Learco figliuolo di Atamante

Laodomia figlia di Bellorophonte

 

M

Miseria decima figliuola dell'Herebo.

Morbo terzo decimo figliuolo dell'Herebo

Morte decima ottava figliuola dell'Herebo

Minerva prima figliuola del primo Giove

Mercurio primo figliuolo del primo Giove

Mercurio secondo figliuolo di Libero

Merane figliuola di Prito

Mirra figliuola di Cinara

Megera figliuola d'Acheronte

Maesta figliuola dell'Honore

Mercurio quinto figliuolo del Cielo

Mileto sesto figliuolo del Sole

Medea figliuola d'Oeta

Maia figliuola d'Atlante

Merope figliuola d'Atlante

Minerva figliuola di Pallene

Mopso terzo figliuolo di Apollo

Macaone figliuolo d'Esculapio

Minerva quartadecima figliuola del secondo Giove

Mennone figliuola di Titone

Medisicasti figliuola di Priamo

Mistore trentesimoquarto figliuolo di Priamo

Melantone figliuola di Proteo

Minerva figliuola del Nilo

Mercurio quarto figliuolo del Nilo

Mercurio quinto figliuolo del quarto Mercurio

Meandro ventesimoprimo figlio dell'Oceano

Mnesteo figliuolo di Sperchio

Marte figliuolo di Giunone

Mela figliuola di Atteone

Meleagro figliuolo d'Oeneo

Menalippo figliuolo d'Oeneo

Medusa figliuola di Phorco

Melione figliuolo di Nettuno

Mesappo sestodecimo figliuolo di Nettuno

Medo figliuolo d'Egeo

Megareo figliuolo di Anchesto

Muse figliuole di Giove

Mena figliuola di Giove

Mirmidone figliuolo di Giove

Minos figliuolo di Giove

Melampo figliuolo d'Atreo

Megapento figliuolo di Menelao

Molosso figliuolo di Pirrho

Mercurio figliuolo di Giove

Mirtilo figliuolo di Mercurio

Macareo figliuolo d'Eolo

Miseno figliuolo d'Eolo

Melampo figliuolo d'Amittaone

Manthione figliuolo di Biante

Melicerte figliuolo d'Atamante

 

N

NOTTE prima figliuola della Terra

Notho figliuolo d'Astreo

Nomio undecimo figliuolo di Apollo

Nicostrata figliuola d'Ionio

Numitore figliuolo di Proca

Nereo decimo figliuolo dell'Oceano

Ninfe in generale

Niobe figliuola di Phoroneo

Nilo quartodecimo figliuolo dell'Oceano

Norace figliuolo del quinto Mercurio

Narciso figliuolo di Cephiso

Nesso figliuolo d'Isione

Nettuno nono figliuolo di Saturno

Nausithoo duodecimo figliuolo di Nettuno

Nausithea figliuola d'Alcinoo

Nitteo figliuolo di Nettuno

Nittimene figliuola di Nitteo

Neleo ventesimosecondo figliuolo di Nettuno

Nestore figliuolo di Neleo

Nauplio figliuolo di Nettuno

Niobe figliuola di Tantalo.

 

O

OSTINATIONE figliuola dell'Herebo

Opi prima figliuola della Terra

Oeta figliuolo del Sole

Orpheo nono figliuolo di Apollo

Ocbalo figliuolo d'Argolo

Oceano figliuolo del Cielo, & di Vesta

Orfiloco figliuolo del fiume Alpheo

Ochiroe figliuola di Chirone

Oeneo figliuolo di Parthaone

Otto ventesimoquinto figliuolo di Nettuno

Onchesto figliuolo di Nettuno

Occipite figliuola di Nettuno

Orione figliuolo di Giove

Orsiloco figliuolo d'Hidumea

Orcamo figliuolo d'Achemenide

Orithia figliuola d'Erittonio

Osea, Creontiade, Creomaco, & Diocoonte figliolo d'Hercole

Oicleo figliuolo d'Antiphite

P

PANE secondo figliuolo di Demogorgone

Polo sesto figliuolo di Demogorgone

Phitone settimo figliuolo di Demogorgone

Povertà nona figliuola dell'Herebo

Pallidezza decima quinta figliuola dell'Herebo

Proserpina prima, decima figliuola del primo Giove

Prito figliuolo d'Abante

Polidoro secondo figliuolo d'Agenore

Pigmaleone figliuolo di Cilice

Papho figliuolo di Pigmalione

Pirode figliuolo di Cilice

Phenice quarto figliu. d'Agenore

Philistene figliuolo di Phenice

Pigmaleone figliuolo di Belo

Polinice figliuolo d'Edippo

Philegetonte figliuolo di Cocito

Phetusa terza figliuola del Sole

Pasiphe ottava figliuola del Sole

Pirrha figliuola d'Epimetheo

Prometheo figliuolo di Giapeto

Pandora huomo da Prometheo formato

Psitaco figliuolo di Deucalione

Phenatrate figliuolo di Deucalione

Pallene undecimo figliuolo di Titano

Purpureo figliuolo di Titano

Philistene quinto figliuolo di Apollo

Philemone ottavo figliuolo di Apollo

Psiche quintadecima figliuola di Apollo

Pasithea figliu. del secondo Giove

Penelope figliuola d'Icaro

Piadoso figliuolo di Bucolione

Priamo figliuolo di Laumedonte

Polissena settima figliuola di Priamo

Paris ottavo figliuolo di Priamo

Polidoro quartodecimo figlio di Priamo

Polidoro quintodecimo figliuolo di Priamo

Phorbante ventesimo sesto figliuolo di Priamo

Pammone ventesim ottavo figliuolo di Priamo

Polite trentesimo ottavo figliuolo di Priamo

Priamo figliuolo di Polite

Proca Silvio figliuolo d'Aventino

Persa figliuola dell'Oceano

Pleione quarta figliuola dell'Oceano

Proteo ottavo figliuolo dell'Oceano

Phoroneo figliuolo d'Inaco

Phogo figliuolo del Fiume Inaco

Peneo figliuolo dell'Oceano

Phetonte figliuolo del Sole

Phetusa figliuola del Sole

Pelagonio figliuolo del Sole

Plutone figlio di Saturno

Pico settimo figliuolo di Saturno

Perivio figliuola d'Erimedonte

Preneste figliuolo del Re Latino

Parthaone sesto figliuolo di Marte

Plesippo figliuolo di Thestio

Partenopeo figliuolo di Meleagro

Phelegia ottavo figliuolo di Marte

Perithoo figlio d'Isione

Polipite figlio di Perithoo

Phorco terzo figliuolo di Nettuno

Poliphemo settimo figliuolo di Nettuno

Pirammone undecimo figliuolo di Nettuno

Pelia ventesimoprimo figliuolo di Nettuno

Pisistrato figliuolo di Nestore

Perseo figliuolo di Nestore

Policaste figliuola di Nestore

Periclimeone figliuolo di Neleo

Piro figliuola di Neleo

Pelasgo figliuolo di Nettuno

Palamede figliuolo di Nauplio

Proserpina figliuola di Giove

Polluce figliuolo di Giove

Palisci figliuoli di Giove

Phillide figliuola di Ligurgo

Phedra figliuola di Minos

Pelope figliuolo di Tantalo

Phistene figliuolo d'Atreo

Pelopia figliuola di Thieste

Phistene figliuolo di Pelope

Perseo figliuolo di Giove

Perse figliuolo di Perseo

Phoco figliuolo d'Eaco

Peleo figliuolo d'Eaco

Polidori figliuola di Peleo

Pirro figliuolo d'Achille

Peripeleo figliuolo d'Achille

Polidette figliuolo di Molosso

Pilunno figliuolo di Giove

Pallante figliuolo d'Evandro

Pane figliuolo di Mercurio

Pandione figliuolo d'Erittonio

Progne figliuola di Pandione

Philomena figliuola di Pandione

Phidippo, & Antippo figliuoli di Thessalo

Philomelo figliuolo di Giasone

Pluto figliuolo di Philomelo

Pateante figliuolo di Plutone

Polimila figliuolo d'Esone

Peritha figliuolo di Priteo

Poliphide figliuolo di Mantione

Podacre figliuolo d'Iphicleo

Phriso, & Helle figli d'Atamante

 

Q

QVERELA duodecima figliuola dell'Herebo

Quattordici figliuoli d'Amphione

 

R

RVGIADA figliuola della Luna

Runco duodecimo figliuolo di Titano

Rhoma figliuola d'Ascanio

Romolo Silvio figliuolo d'Agrippa

Remo decimoquarto figliuolo di Marte

Romolo decimo quinto figliuolo di Marte

Risinore figliuolo di Nausitoo

Rhodamanto figliuolo di Giove

 

S

SONNO decimo settimo figliuolo dell'Herebo

Sole primo, terzo figliuolo del primo Giove

Sinone primo figliuolo d'Autteolio

Sissimo secondo figliuolo del primo Sinone

Sinone figliuolo di Sissimo

Sicheo figliuolo di Philistene

Semele figliuola di Cadmo

Scita figliuolo del primo Giove

Stigia sesta figliuola d'Acheronte

Seconda Venere figliuola del Cielo

Sole figliuolo d'Hiperione

Sterope figliuola d'Atlante

Subsolano figliuolo d'Astreo

Settentrione figliuolo d'Astreo

Silvio Posthumo figliuolo d'Enea

Sirene figliuole d'Acheloo

Sole figliuolo di Vulcano

Sperchio figliuolo ventesimo dell'Oceano

Sole ventesimoquarto figliuolo dell'Oceano

Saturno undecimo figlio del Cielo

Senta Fauna figliuola di Pico

Scilla figliuola di Phorco

Stennione figliuola di Phorco

Sterope decimo figliuolo di Net.

Stiato figliuolo di Nestore

Sicano figliuolo di Nettuno

Siculo figliuolo di Nettuno

Sarpedone figliuolo di Giove

Steleno figliuolo di Perseo

Sardo figliuolo d'Hercole.

Sophone figliuolo di Diodoro

Silmoneo figliuolo d'Eolo

Sissipho figliuolo d'Eolo.

 

T

TERRA ottava figliuola di Demogorgone

Tartaro terzo figliuolo della Terra

Tagete quarto figliuolo della Terra

Timore quinto figliuolo dell'Herebo

Tenebra figliuola dell'Herebo

Tritopatreo sesto figliuolo del primo Giove

Thalaone figliuolo di Iasio

Thalgeta prima figliuola d'Agenore

Thessando figliuolo di Polinice

Theti seconda figliuola del Cielo

Tesiphone seconda figliuola d'Acheronte

Tosio nono figliuolo del Cielo

Titano ottavo figliuolo del Cielo

Tiphone overo Tiplheo quarto figliuolo di Titano

Taigeta figliuola d'Atlante

Titio terzo figliuolo di Giove

Thioneo figliuolo di Baccho

Thoante figliuolo di Baccho

Tindaro figliuolo d'Oebalo

Tantalo duodecimo figliuolo del secondo Giove

Troio figliuolo d'Erittonio

Titone figliuolo di Laumedonte

Troilo figliuolo di Priamo

Tevero ventesimo figliuolo di Priamo

Testorio figliuolo di Priamo

Timoete trentesimo settimo figliuolo di Priamo

Tiberino Silvio figliuolo di Carpento

Tritone sesto figliuolo dell'Oceano

Theti minore figliuola di Nereo

Tebro settimo figliuolo dell'Oceano

Thereo terzo figliuolo di Marte

Thestio figliuolo di Parthaone

Thosio figliuolo di Testio

Thideo figliuolo di Oeneo

Thoesa figliuola di Phorco

Tara sesto figliuolo di Nettuno

Tilemo ottavo figliuolo di Nettuno

Thrasimede figliuolo di Nestore

Theseo figliuolo d'Egeo

Thelemaco figliuolo d'Vlisse

Tantalo figliuolo di Giove

Thieste figliuolo di Pelope

Tantalo figliuolo d'Atreo

Thisamene figliuolo d'Horeste

Thelamone figliuolo d'Eaco

Tevero figliuolo di Telamone

Turno figliuolo di Dauno

Tullio Servilio figliuolo di Vulcano

Tullie due figlie di Tullio Servilio

Thessalo figliuolo d'Hercole

Thipolemo figliuolo d'Hercole

Thelemo figliuolo d'Hercole

Thoante, & Euneo figliuoli d'Esone.

 

V

Vecchiezza decimaquarta figliuola dell'Herebo

Venere maggiore, & sesta figliuola del Cielo

Venti figliuoli d'Astreo

Vulturno figliuolo d'Astreo

Vulcano figliuolo del Nilo

Vesta seconda figlia di Saturno

Voluttà figliuola di Cupido

Virbio figliuolo d'Hippolito

Vlisse figliuolo di Laerte, che generò Telemaco

Vulcano figliuoloo di Giove

 

X

XANTO figliuolo di Giove

 

Z

ZETTO figliuolo di Borea

Zephiro figliuolo d'Astreo

Zebo settimo figliuolo di Marte


 


Il Fine della Prima Tavola.


 


 

 

TAVOLA SECONDA

di tutte le cose notabili, & degne di memoria, che nell'opra si contengono.

 

ORDINE di tutti i presenti libri del Boccaccio

Chi fosse il primo tenuto per Iddio dai Gentili

Openioni di diversi Filosofi d'intorno Iddio

Elettione tra tutti i dei del Dio prencipale de' Gentili

Dichiaratione delle cose attribuite a Demogorgone

Descrittione della Eternità

Figuratione dell'anno secondo gli antichi

Nascimento del Letigio

Come si contengono diversi misteri sotto una descrittione di parole

Che cosa sia allegoria, & la sua derivatione

Divisione del mondo, & degli Elementi

A che fine sia stata prodotta la Natura

Origine della Musica, & dell'armonia

Spositione della favola di Pane, & di Siringa

Descrittione del corpo universale della Natura

Figuratione del Sole

Quali siano le Parche

Vffici delle Parche, & interpretationi dei nomi loro

Differenza del Fato, & della Fortuna

Origine, & potenza del Fato

Differenza delle diversità dei nomi attribuiti alla terra

Espositione di tutta la favola della notte

I nomi de' sette tempi della notte con la dichiaratione

La cagione, perché nascesse la Fama

Descrittione della Fama, & potenza di quella

Quale fosse il loco dove gli antichi tenevano i dannati essere tormentati

Il senso historio, & morale della favola di Anteo

La diversa qualità dei monstri che si nascondeno nell'Herebo

Dichiaratione dei tormenti infernali

Che cosa sia Amore secondo l'opinione antica

Quanti siano gli amori secondo Platone

Di quante cose sia cagione Amore

Che cosa sia la gratia

Forma dell'Invidia

Diffinittone del timore

Favola dell'Inganno, & la sua dichiaratione

Forma della Frode secondo Dante

Quale sia la vera povertà

Descrittione della Fame, & della sua habitatione

Quali siano le forze della vecchiaia

La forma, & l'habitatione del Sonno poeticamente descritta

Quante siano le spetie dei sogni, & i nomi loro

Da che nasca la diversità dei sogni

Dichiaratione dei ministri dei segni, et varii essempi

Che cosa sia la morte secondo Aristotele

Quali siano le attioni della Morte

Varietà dei giorni secondo diverse openioni antiche

In quanti termini sia partito il giorno

Divisione delle settimane, & dell'anno

Rivolutione della sphera

Quale sia il dì naturale, & l'artificiale

 

NEL SECONDO.

CHI fosse il primo che mostrasse il vivere politico agli Atheniesi

Onde nascesse il nome di Giove

Dichiaratione del pianeta di Giove, & le sue operationi

Quale sia il vero Giove dagli antichi non conosciuto

Figuratione di Minerva, & dichiaratione di quella

Origine della vera Minerva, cioè della speranza

Chi ritrovasse il filare la lana, il tessere, & altri essercitii

Come si nomasse la Grecia al tempo di Abraam

Chi fosse edificator di Memphi

Quale sia la inchinatione del pianeta di Mercurio

Dichiaratione di Mercurio secondo la figuratione Poetica

Quale sia il Tripode

La vera historia di Mercurio

Quale fosse quel Sinone che tradì Troia

Originine di quella parte dell'Africa che si dice Libia

Chi fosse il primo che toccasse il mare

Il primo inventore de' pozzi in Grecia

Virtù d'una fontana in Arcadia

Onde la Cilicia pigliasse il nome

Nome dell'Isola di Papho

Espositione della favola di Mirrha

Dichiaratione dei tempi, & dei cieli

Chi primo mostrasse le lettere ai Phenici

Espositione della favola di Europa

Il primo inventore de' caratteri delle lettere

Varietà di molti tempi d'intorno il tempo di Cadmo

Historia di Edippo.

 

NEL TERZO.

 

RAGIONAMENTO delle Eusine Dee dell'Autore

Gli ornamenti attribuiti dagli antichi alla Dea Opi con la spositione di quelli

Con quanti nomi fosse chiamata Opi, & il suo significato

Che cosa sia la gran Theti

Favola della prima Cerere, & narratione di quella

Quello che significhi Acheronte

Openione di Dante d'intorno Acheronte

Diverse openione d'altri autori

Trattato generale sopra le Furie

Come si dipinga la Vittoria

La riverenza che portavano i Romani all'honore

Significato della trasmutatione d'Ascalapho

Di quante sorti sia la tristezza

Il loco dove Dante descrive il fiume Lethe

Descrittione di Mercurio, & potenza di quello

Interpretatione del nome di Mercurio

Quello che dinotino le cose attribuite a Mercurio

Favola di Salmace, & dell'Hermaphrodito

Che cosa sia Hermaphrodito

Che cosa sia la matrice della donna, &

quanti buchi sia in quella

La via per la quale si generano i maschi et le femine

Significato di tutte le cose attribuiti a Venere

Proprietà del pianeta di Venere

Creatione dei corpi sopracelesti

Origine delle tre gratie

Quale sia il legame di Venere chiamato Ceston

Quali siano le cose attribuite a Marte

Proprietà del Montone, & di Scorpione, segni celesti

Perché sia detto Venere perseguitare la progenie del Sole

La cagione per la quale le colombe siano attribuite a Venere

Proprietà del Mirto, & perché sia ascritto a Venere

Interpretatione dei nomi di Venere

Origine della seconda Venere nata nel mare

La ragione perché si dica Venere nata della schiuma del mare

Spositione del nome di Saturno secondo Fulgentio

Perché si dica Venere haver habitato in Cipro.

 

NEL QVARTO.

 

DICHIARATIONE generale sopra Titano Gigante

Particolare narratione sopra il pianeta del Sole

Perché il Sole sia detto figliuolo d'Hiperione

Espositione dei quattro cavalli del Sole

Nomi dei cavalli del Sole

Con quanti nomi dai Filosofi, & da tutti gli scrittori sia chiamato il Sole, con la dichiaratione di quelli

Perché il Sole sia detto core del cielo

Quanti anni, secondo l'openione antica, facciano un secolo

Favola d'Vlisse, & delle favole del Sole.

Favola di Dirce, & espositione di quella

Edificatione di Mitilene, città di Lesbo

Spositione della favola di Pasiphe tratta dall'anima nostra

Perché il Minotauro fosse figurato mezzo huomo, & toro

Narratione di tutta la favola di Medea

Dichiaratione della favola di Circe

Perché sia detto nel monte di Circe sentirsi fiere

Chi sia Cariddi, & Scilla

Il modo che gli Antichi dipingevano la Luna

Proprietadi della Luna

Quale fosse l'Amor d'Endimione, & della Luna

Chi fosse il primo che ritrovasse il corso della Luna

I nomi della Luna, & dichiaratione di quelli

Perché Briareo fosse detto haver cento mani

Perché l'Isola d'Ortigia fosse chiamata Delo

Dichiaratione della favola di Latona

Chi fosse il serpente chiamato Phitone

La causa, per la quale fosse detto Apollo dare oracoli

Narratione della favola dei villani cangiati in rane

Quali siano i monti posti sopra il Gigante Tipheo

Descrittione d'una grandissima spelonca in Sicilia

Significato del nome di Tipheo

Chi fosse l'edificatore di Papho

Quale sia la Chimera, & descrittione di quella

Perché l'Aurora sia detta figliuola della Terra

Perché tutto il paese d'Oriente fosse detto Hesperia

Quale fosse il giardino delle Hesperidi

Favola di Atlante, & di Perseo, con la sua dichiaratione

Chi fosse Atlante secondo Santo Agostino

La ragione per la quale le Hiadi furono locate nel numero delle Stelle, & per qual cagione siano dette generare la pioggia

Descrittione delle Pleiadi secondo gli Astrologhi

Il costume che tenevano gli Antichi in sacrificare a Maia

Perché fosse detto Epimetheo essersi cangiato in Simia

Favola di Prometheo, & di Minerva

Il vero senso della favola di Prometheo figurato per Iddio

Distintione dell'huomo naturale, & del civile

Come avenisse la dannatione dell'huom

Divisione del primo, & del secondo Prometeo

Perché si dicesse Prometeo haver rubato dalla ruota del Sole il foco

La cagione per la quale fosse detto Mercurio haver legato Prometeo nel Caucaso

Chi primo fosse l'inventore di formare imagini di fango

Di quanto danno sia all'huomo il conversare con la donna

Chi primo mostrasse agli Egittii i caratteri delle lettere

Narratione del Diluvio, di Deucalione et Pirra

Per qual ragione sia detto Deucalione et Pirra haver ristorato la generatione humana dopo il diluvio

Da cui fosse nomata Ellada quasi tutta la Grecia rivolta verso il mare Egeo

Espositione della favola d'Astrea

Narratione della favola de' venti

Partitione di tutti i venti al loco suo

Quanti siano i venti, & i nomi loro

Le parti nelle quali ciascuno vento da per se soffia

Ethimologia del nome di ciascun vento

Proprietà del vento chiamato Subsolano

Natura del vento Notho, & suoi congiunti

Effetti prodotti dal vento Settentrione, et suoi congiunti

Favola del vento Aquilone, & proprietà di quello

Favola di Hiacinto, & Apollo

Chi fossero quelli che cacciarono le Harpie

Narratione delle Arpie, & interpretatione di quelle

Sententia di Seneca Philosopho

Interpretatione degli Argonauti

La vera historia di Phineo, & dell'Harpie

Natura del vento Zephiro, & espositione dei suoi nomi

Origine dei cavalli d'Achille

Historia di Flora meretrice, & institutione dei giuochi suoi

Favola di Licaone, & del convito da lui fatto a Giove

Perché fosse detto Licaone essere cangiato in Lupo

Diversi nomi attribuiti a Calisto, & favola di quella

Origine di tutti i Giganti in generale

Vera narratione d'un Gigante trovato a' nostri tempi

Perché sia detto i Giganti essere confinati nell'Inferno

La ragione per la cui fosse detto Giove essersi cangiato in montone

Proprietà attribuita al corvo

Espositione della tramutatione di molti Dei

 

NEL QVINTO.

 

DISCORSO dell'Autore sopra molte antichità

Nobiltà della città d'Athene

Figuratione del monte Parnaso, di Thebe, & d'altri infiniti luoghi

Quale fosse la grandezza del secondo Giove

Ornamenti attribuiti a Diana, & significato di quelli

Perché, & quanto Diana sia chiamata Luna

Favola di Apollo, & origine di lui

Quale fosse quello Apollo che rendeva gli oracoli in Delpho

Variationi di molti scrittori d'intorno Apollo

Perché ad Apollo fosse attribuito l'inventione della medicina

La ragione per la cui ad Apollo fosse sacrato il Lauro, & il corvo

Proprietà, & virtù del Lauro nei sogni

Che la potenza del Sole è di tre qualità

Espositione delle insegne attribuite ad Apollo

Origine dei popoli Lapithi di Thessaglia

Edificatione della città Phaseli nei confini di Pamphilia

Nascimento di Lino Poeta

Novella dilettevole d'un Cigno

Perché Orpheo sia detto figliuolo di Apollo, & Calliope

La cagione perché Orpheo fosse detto movere i monti, etc.

Interpretatione di Euridice

Chi primo trovasse i sacrifici di Baccho

Chi si debba intendere il serpente qual voleva divorare il capo d'Orpheo

Di quale famiglia fosse Orpheo

Oracolo nella edificatione della città Cirene

Chi primo ritrovasse l'uso dell'api, del mele, del latte, delle olive, & dell'olio

Chi primo desse leggi agli Arcadi

Espositione della favola d'Esculapio, & Hippolito

Perché la famiglia dei Cesari osservasse i sacrifici di Apollo

Come gli Esculapii sono stati tre

Inventione dell'uso di molte cose

Quanto tempo la medicina fosse interdetta, & nascosta

Favola di Psiche, & di Cupido

Interpretatione del nome di Psiche

Attioni dell'anima nostra di tempo in tempo

Quali siano le sorelle dell'anima nostra

Chi primo in Babilonia mostrasse la medicina

Il senso historico di Titio

Il modo de' sacrifici che si usavano a Baccho

Come Baccho nacque nella città di Nisa

Il senso phisico della favola di Baccho

Perché Sileno sia detto allevo di Baccho

Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a Baccho

Come i Poeti furono già soliti essere coronati d'Edera

Dichiaratione di tutti i nomi attribuiti a Baccho

Quale era il simulacro antico delle città libere

Perché Himeneo fosse chiamato Dio delle nozze

La ragione per la quale si dica Giove essere cangiato in Toro

Come Amphione col suono della lira edificasse Thebe

I nomi dei quattordici figliuoli d'Amphione

Attioni oprate verso noi dalle tre Gratie

Interpretationi dei nomi delle Gratie

Perché il cane fosse assunto in Cielo

Principio del segno celeste chiamato Vergine

La vera historia di Penelope

Perché Minerva si dipinga armata

Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a Minerva

Contentione tra Minerva, & Nettuno nell'imporre il nome ad Athene

Perché Calisto fosse chiamata Orsa, & chi primo donasse il nome agli Arcadi detti prima Pelasgi

Origine del nome del mare Ionio

Chi nell'Italia ritrovasse i caratteri delle lettere.

 

NEL SESTO.

 

DISCORSO sopra la degnità di Roma

Edificatione di Corneto

Da cui il paese di Dardania prendesse il nome di Troia

Come Ganimede fu cangiato nel segno di Aquario

Da cui la città di Troia pigliasse il nome d'Ilione

Conventioni di Laumedonte con Apollo & Nettuno in edificar Troia

Prima destruttione d'Ilione fatta per Hercole

Perche Titone fosse detto esser rapito dall'Aurora

Conversione di Titone in Cicada

Meraviglioso caso d'intorno l'essequie di Mennone, & origine degli uccelli detti Mennoni

Discorso sopra la vita di Priamo

Perché a Cassandra fosse tolto la credenze de' suoi pronostichi

Sogno d'Hecuba nella natività di Paris

Giudicio di Pari in Ida, & promissione delle tre Dee

Openioni diverse del rapir d'Helena da Paris

Divisione della vita mortale in tre parti

Breve raccolta di tutti i fatti d'Hettore

Come i figliuoli d'Hettore ricuperararono Troia

Origine dei Re di Francia da i figliuoli d'Hettore

Espositione de' virgulti ne' quali fu cangiato Polidoro

Favola dell'Hesperide, & d'Esaco

Perché fosse detto Esaco essersi cangiato in Smergo

Favola di Venere, & Anchise nella generatione d'Enea

Diverse openioni di vari scrittori d'intorno la vita d'Anchise

La spositione per la quale fosse detto Anchise essere stato da Venere accecato

Lodi di Francesco Petrarca sopra la sua Africa

Raccolta dei fatti, & degli errori di Enea

Varie openioni d'intorno la morte di Enea

Il vero senso d'intorno tutte le parti favolose d'Enea

Derivatione di tutti i nomi co' quali fu chiamato Ascanio

Edificatione di Alba per Ascanio

Principio della famiglia Giulia

Openione d'Eraclide sopra il nome di Roma

Da chi la Brettagna, & la Cornubia prendessero nomi

Come il Tevere lasciò il nome d'Albula, & fu detto Thebro

Da chi derivasse la famiglia Giulia, & i Cesari

 

NEL SETTIMO.

 

Openione dei Theologhi d'intorno l'Oceano

Perché l'Oceano sia detto padre delle cose

Diverse openioni di quelli che credettero l'acque essere il principio delle cose

Dichiaratione degli ornamenti attribuiti all'Oceano

Interpretatione del nome d'Eurimone figliuola dell'Oceano

Perché Pleione sia detta moglie d'Atlante

Chi sia Tritone, & l'ufficio suo

Il modo che bisognava tenere per ricevere auguri da Proteo

Come si faceva l'indovinatione con l'acqua

Quale sia l'arte dell'Hidromantia

Humanità, & piacevolezza d'un Delphino

Divisione di tutti i nomi, & proprietà delle Nimphe

Quali siano le Nimphe dei fiumi, dei fonti, dei boschi, degli alberi, dei monti, dei prati, dei fiori, & delle selve

Oracolo del nascimento d'Achille

Espositione del nome di Theti

Transformatione di Aretusa in fonte

Proprietà d'alcuni fonti di Sicilia

Openione dei Phisici del Sole d'intorno l'attioni dell'acque

Perché sia stato detto Hercole haver levato un corno ad Aheloco

Descrittione delle Sirene

Dichiaratione dei nomi, & vera narratione delle Sirene

Come si dipingano le Sirene

Il senso naturale, & l'historico della favola di Giove, & Io

Variatione di molti scrittori d'intorno il tempo d'Inaco

Chi trovasse l'uso del lino, delle sementi et d'altre cose necessarie

Perché il loco della ragion civile sia detta Foro

Chi si debba intendere Daphne amata da Apollo

Costume antico nel coronare i vincitori

Perché si prendesse la corona dell'Alloro in incoronare altrui

Virtù dell'alloro, & proprietà di quello

Trattato del Nilo

Chi donasse ai Phrigij i caratteri delle lettere

Chi fosse Hermete Trimegisto

Proprietadi attribuite a Mercurio, & ornamenti a lui ascritti

Onde la Sardigna havesse il nome

Origine del nome dato all'Ethiopia

Il vero senso della favola di Phetonte

Quale fosse l'incendio che avenne nei tempi di Phetonte

Discorso sopra i movimenti, & giri della sphera celeste

Onde i Liguri populi havessero nome

Historia d'Hesiona, & Hippote Troiano

Openione sopra l'edificatione di Mantoa

Perché l'acque del fiume Cephiso siano dette fatidiche

Espositione di Echo, & di Narciso

 

NELL'OTTAVO.

 

QVANTI siano stati i Labirinti.

Variatione di molti scrittori d'intorno Saturno

Il senso historico, & il naturale di Saturno

Perché si sia detto Saturno divorare i fanciulli

Quale sia la complessione di Saturno pianeta

Inclinatione dell'huomo nato sotto Saturno

Ornamenti di Saturno, & dichiaratione di quelli

Perché i secoli di Saturno fossero detti aurei

Onde i libri prendessero il nome di Croniche

Descrittione dell'anno serpentario secondo gli antichi

Narratione dell'anno doppio, cioè gigante, & magno

Variatione antica dei mesi dell'anno

Riformatione di Gaio Giulio Cesare dell'anno solare

Quale sia l'anno grande secondo Aristotele

Quanti migliaia d'anni facciano l'anno maggiore

Narratione della dea Vesta

Fatiche durate da Cerere in cercare la figliuola Proserpina

Favola di Trittolemo, & dono fattogli da Cerere

Come si comprenda Cerere in più modi

Interpretatione di Giove, & Cerere

Il senso delle tre grana di melegrane gustate da Proserpina

Figuratione delle biade che nascono

Descrittione della casa di Plutone

Ornamenti attribuiti a Plutone

Perché Plutone sia detto Dio dell'Inferno

Per qual causa Chirone si depingesse nella forma, che si fa

Chi trovasse la medicina agli huomini, & a' giumenti

Favola, & Historia di Circe, & Pico

Natura dell'uccello Pico

Narrattione di tutti i dei Silvani

Proprietà delle acque del fiume Aci

Origine, & discendenza del Re Latino

Edificatione di Preneste

 

NEL NONO.

 

DISCORSO dell'Autore di molte parti del mondo

Compassione dell'Autore d'intorno alle cose antiche

Dichiaratione di tutti gli ornamenti attribuiti a Giunone

Con quanti nomi Giunone sia chiamata, & la spositione di quelli

Per quale degli Elementi Giunone sia compresa

Perché Iris, cioè l'arco celeste, sia attribuito a Giunone

Natura del pavone, & favola di quello

Favola di Hebe assunta in Cielo

Quanti segni del Zodiaco siano attribuiti a Giove

Perché Hebe fosse detta dea della gioventù

Descrittione del paese di Marte secondo Statio

Dichiaratione degli ornamenti attribuiti a Marte

Trattato del pianeta di Giove, & di quello di Marte

Quanto sia pestifero il menstruo della donna

Perché Marte sia detto figlio di Giunone

Quali siano i ministri attribuiti a Marte

Descrittione di Cupido secondo Seneca Tragico

Varie openioni di diversi auttori d'intorno Cupido

Openione degli Astrologhi d'intorno la natività dell'huomo

Quale sia il punto che ci inclini alla lussuria

Espositione degli ornamenti attribuiti a Cupido

Favola di Pelope, & Hippodamia

Chi primo acquistasse, & possedesse la Calidonia

Quale sia il tizzone compreso nella vita di Meleagro

Favola di Thideo, & Polinice, con la dichiaratione di quella

Breve raccolta della vita, & fatti di Diomede

Significato della pena attribuita a Phlegia nell'Inferno

La vera historia d'Isione

Differenza tra il nome di Re, & Tiranno

Per qual cagione Isione fosse cacciato dal Cielo, & confinato nel centro dell'Inferno, & ascrittoli tali tormenti

Favola de' Centauri

Dignità della barba conceduta dalla natura agli huomini

Amore di Evanne verso il morto marito Capaneo

Chi prima amazzasse nessuno animale

Sogno d'Ilia, madre di Romolo, & Remo, nella concettione di loro

Auguri nell'impor nome alla Città di Roma

Chi primo a' Romani ordinasse l'anno di diece mesi

Raccolta di tutti gli ordini instituiti da Romolo

Perché Romolo fosse detto Quirino

 

NEL DECIMO.

 

Openione degli antichi d'intorno il mare Mediterraneo

L'utile che si thrae dalle navigationi

Espositione degli ornamenti attribuiti a Nettuno

Onde habbia havuto principio la lingua Dorica

Come gli antichi solevano honorare quelli che cercavano paesi stranieri

Quale sia il paese chiamato Bithinia

Perché a Trapani fosse edificato il Tempio a Venere Ericina

La cagione per la quale Phorco fu detto Dio Marino

Dichiaratione della favola di Scilla conversa in cane

Quante sorte di terrori si trovino

Favola di Medusa, & dichiaratione di quella

Origine del cavallo Pegaso

Favola d'Vlisse, & Poliphemo

Con qual studio, & via Vlisse vincesse Poliphemo

Quante siano state le specie di Ciclopi

Ethimologia del nome de' Ciclopi

Come le arti siano da' Greci chiamate

Prova per la quale si mostra quasi tutti gli essempi dell'arteficiate cose dal mare, & dalle acque essere cavati

Di quanto utile siano le acque

Da cui sia discesa la origine di Ennio Poeta

Chi sia il cavallo Pegaso tanto da' Poeti celebrato

Dichiaratione di tutti i misteri compresi sotto il nome del cavallo Pegaso

Perché Giasone fosse mandato da Pelia all'acquisto del Vello d'oro

Breve raccolta de' gran fatti di Theseo

Perché Hippolito fosse chiamato Virbio

Da cui quella parte dell'Asia chiamata Media prendesse nome

Astutia d'Hippomene in vincere Atalanta

Trasmutatione di Hippomene, & Atalanta in Leoni

Principio del nome dato ai popoli Pelasgi

Seditione di Nauplio per tutta la Grecia

Astutia di Palamede usata contra Vlisse

Tradimento d'Vlisse contra Palamede

Origine del nome delle Arpie, & loro derivatione

 

NELL'UNDECIMO

 

Openioni di diversi scrittori di Giove

Fatti di Giove raccolti sotto brevità

Espositione di tutti gli ornamenti attributi a Giove

Delle Muse, & della virtù loro

Da che nascano le voci degli huomini

Dichiaratione de' nomi di tutte le Muse

Perché sia detto le Muse essere necessarie all'huomo studioso

Esclamatione dell'Autore contra i Maledici delle Muse

Quale sia il vero amore tra noi mortali

Conversione di Giove in cigno nel giacer con Leda

Narratione di Castore, Polluce, & Helena

Origine del pianeta de Gemini

Principio della guerra di Troia

Diversità sopra il rapire d'Helena

Morte di Agamennone per Egisto

Favola della origine dei Palisci

Virtù dell'acqua di Palisco in Sicilia secondo Aristotele

Per qual merito il Cancro fosse collocato nel segno del Zodiaco

Quale fosse la Dea sopra il menstruo

Origine dei Mirmidoni

Tramutatione di Dedalione in sparvieri

Inganno di Apollo, & Mercurio per Lichione

Favola di Ceice, & Alcione

Nascimento favoloso di Orione

Dichiaratione della favola d'Orione

Discorso sopra la gravidanza delle donne

Favola di Ligurgo, & espositione di quella

Favola di Phillide, & dichiaratione di lei

Diversità di molti scrittori sopra la vita di Minos

Assuntione della corona di Arianna in cielo

Edificatione della città di Pittiglia

Opinioni diverse dell'Origine d'Vlisse

Vita, costumi, & opre d'Vlisse

Astutia di Palamede verso Vlisse

Breve compendio dei fatti d'Vlisse

Tutti gli errori di fortuna di Vlisse

Morte d'Vlisse per le mani del figliuolo

Dichiaratione dei venti rinchiusi negli utri

edificatione della città di Tivoli

 

NEL DVODECIMO

 

DISCORSO sopra le antichità dell'Ausonia

Trattato del supplicio di Tantalo, & scelerità di quello

Favola di Niobe, & tramutatione di quella

Guerra tra Pelope, & Endimaco per Hippodamia

Favola, & proprietà del monton d'oro

Scelerità di Thieste contro il fratello Atreo

Descrittione del scettro d'Agamennone fabricato da Volcano

Travagli patiti da Agamennone

Favola sopra la immolatione di Hiphigenia

Furore d'Horeste

Congiuntione di Giove, & Luna

Chi fosse tenuto dagli antichi padre di tutta la nobilità della Grecia

Fatti di Perseo figliuolo di Giove

Interpretatione dello scudo di Pallade

Spositione di tutta la favola di Medusa & Perseo

Chi fosse l'inventore dei sogni, & visioni

Se la donna può impregnarsi in diversi tempi di più d'uno in un parto

Edificatione di Olbia in Grecia

Favola nel nascimento d'Euristeo

Inventione di sacrifici di Apollo

Dell'origine dell'incenso

Perché il mar Rosso si chiami Eritreo

Dichiaratione della favola delle formiche

Origine della città di Salamina

Prove di Peleo nell'acquisto della moglie Theti

Discordia tra le tre Dee

Significato del nome di Achille

Breve raccolta di fatti d'Achille

Chi primo principiasse l'arte de' corsari

Chi fosse il primo che incominciasse ingrassare i terreni

Principio di macinare il fromento

Maravigliosa fortezza di Turno

Come Enea fu morto da Turno, & non Turno da Enea

Come vi è più d'uno Mercurio, & la differenza loro

Perché Mercurio sia detto messaggiero dei Dei

Lodi dell'eloquenza

Fittione dei Lari

Discorso sopra i nostri Genij

Vsanza moderna cavata dall'antica dei lari

Epitafio di Pallante figliuolo d'Evandro

Da chi fosse nomato il monte Palatino

Particolare descrittione di tutta la vita di Mercurio

Quante spetie di foco siano appresso noi

Perché si dica Vulcano essere stato esposto in Lenno

Quanta sia l'utilità del foco

Perché Volcano sia detto fabro di Giove

Openione di Vitruvio nell'inventione del foco

Il modo per lo quale si donasse principio alle parole

Chi primo ritrovasse l'uso della carretta

Perché Caco fosse detto figlio di Vulcano

Edificatione della città di Preneste

Breve trattato di Tullio Servilio

Scelerate operationi di Tullia figlia di Tullio Servilio

 

NEL TERZODECIMO.

 

BREVE raccolta di tutte le fatiche d'Hercole

Segno di grandissimo amore di Alceste verso il marito Admeto

Morte d'Hercole nel foco

Interpretatione del nome di Hercole

Come vi sono stati molti Hercoli

Perche sia detto nella generatione d'Hercole tre notti essersi ridotte in una

Il vero senso di tutte le fatiche oprate da Hercole

Quali siano l'operationi del Sapiente

Congiuntione dell'anima rationale con la virtù

Edificatione di Hittone, antichissima città di Boemia

Onde sia derivato il nome della Sardigna

Origine del nome dell'Isola di Corsica

Conversione di Ciparisso in Cipresso

Da che sia nato, che Eolo sia chiamato Dio de' venti

Onde sia detto nascere i venti

Quanti siano i venti secondo Aristotele

Perché Miseno sia detto figliuolo d'Eolo

Adunatione degli Argonauti all'acquisto del Vello d'oro

Da chi prima il castello di Pola fosse habitato

Tutti i fatti, & vita di Giasone

Avaritia di Eriphile, & poco amore verso il marito

Da cui prendesse nome la città di Tivoli

Opra strana, & maravigliosa di Salmoneo per farsi adorar per Iddio

Herba appropriata alla sterelità delle donne, & alla morte del serpente

Trattato di due Sisiphi

Edificatione della città d'Ephira, chiamata Corinto

Valorose prove di Bellorofonte

Allegoria della Chimera

Chi primo mettesse cavalli sotto carretta

Favola di Cephalo, & l'Aurora

Narratione d'Athamante, & Ino

Da cui l'Hellesponto prendesse nome

Quale fosse il montone dal vello d'oro

Morte di Learco, & Melicerte

La ragione per la quale l'autore non habbia posto tra il numero de' dei Alessandro, & Scipione

 

Il fine della Seconda Tavola.

 


TAVOLA TERZA, & VLTIMA

di tvtti i Capi, & cose degne che nel quartodecimo, & quintodecimo libro si contengono.

 

DISCORSO dell'Autore sopra tutte le cose narrate nei precedenti libri

La ragione per la quale l'Autore si sia mosso a fare questi due ultimi libri in difesa degli altri

Parlamento dell'autore al Re

Tema dell'autore non dei dotti, ma de gli ignoranti

Alcune cose contra gli ignoranti

Quello che gli ignoranti potranno opporre alla presente opra

Come i vituperi degli huomini vergognosi sono lodi degli huomini illustri

Discorso contra quelli che sono ignoranti, et vogliono essere tenuti saggi

Contra quelli che a pena hanno visto le coperte dei libri, & vogliono sempre allegar gli auttori

Editto di Pittagora nel ragionar della Filosofia

Parlamento contra i giurisperiti, con alquante lodi della povertà

Oppositioni de' leggisti contra i Poeti

La ragione per la quale la Poesia non apporti ricchezze

Lodi, & grandezza della Poesia

Che la Poesia è celeste, & eterna

Da che siano buoni i Causidici

Comparatione delle leggi, & della Poesia

Povertà, & grandezza d'alcuni Poeti

In quanto prezzo Alessandro Magno havesse le opre d'

I Homero

Amore di Scipione verso Ennio Poeta

Commodi della povertà, & incommodi della ricchezza

Molti essempi di Filosofi amatori della

povertà

Nomi di molti Poeti, & famosi Romani che amarono la povertà

Che cosa sia la povertà

Con quante angustie vivano i ricchi

Quali siano quelli che s'oppongono a' Poeti, & quali siano le cose che da alcuni gli sono opposte

Descrittione della Filosofia

La diversità di quelli che segueno la Filosofia

Simulatione di quelli che vogliono essere tenuti Filosofi

Le oppositioni dei Filosofi in apparenza contra i Poeti

Che la Poesia è una scienza utile

Ragione contra quelli che dicono la Poesia esser nulla

Che la Poesia non è facultà vana

Che quelli che dicono i Poemi esser vani non gli intendeno

Che cosa sia la Poesia onde detta, & quale il suo ufficio

Quali siano gli effetti del fervor Poetico

Le cose che si ricercano a un buon Poeta

Derivatione della Poesia

Parole di Cicerone d'intorno la Poesia

Che dal cielo è discesa la Poesia

In quali parti del mondo prima risplendesse la Poesia

Openioni di diversi auttori nell'origine della Poesia

Quali fossero tenuti i primi Poeti

Tempo nel quale hebbe principio la Poesia

Come vi sono stati due Orphei

Come Mosè fu Poeta

Che più tosto egli si vede essere cosa utile che dannosa haver composto favole

Che cosa sia favola, & sua derivatione

La spetie delle favole essere di quattro sorti

Come le favole spesse volte hanno acquetato gli animi instigati da pazzo furore

Essempio di Roberto figliuolo del re Carlo per le favole

Ch'egli è pazzia credere ch'i Poeti sotto le corteccie delle favole non habbiano compreso alcuna cosa

Espositione d'alcuni passi favolosi di Vergilio

Breve trattato di nascosti sentimenti di alcuni Poeti

Che i Poeti per la commodità della consideratione habitarono le solitudini

Essempi di molti Poeti antichi, & moderni, che lasciarono la conversatione de gran principi per habitar le solitudini

Versi d'Horatio sopra la Poesia

Lodi della vita solitaria, & contentezza dell'animo nelle cose lontane dalle città

Che l'oscurità de' Poeti non è da biasimare

Che l'ignoranza altrui è quella che fa parer le cose oscure

Ch'egli è proprio ufficio del Poeta essere oscuro

Parole d'Agostino sopra lo scrivere oscuro

Che i Poeti non sono bugiardi

Le ragioni per le quali i Poeti non sono mendaci

Argomenti in difesa de' Poeti

Ragionamento sopra la Apocalipsi di Giovanni

Quante siano le spetie degli huomini bugiardi

Che i Poeti non hanno peccato in altro che nel non conoscere il vero Iddio, che non era ancho venuto in Terra

Bellissimo misterio di Vergilio sopra l'historia di Didone

Come Virgilio per quattro cagioni fu sforzato far Didone impudica

Che pazzamente si biasma quello che men drittamente s'intende

Quali siano le fittioni ne' Poeti da lodare & quali da biasimare

Il tempo nel quale in tutto si estinsero l'opre de' Poeti lascivi

Ch'egli è cosa vergognosissima far giudicio delle cose non conosciute

Oppositione fatta a' Poeti dagli ignoranti

Essempio di uno a' dì nostri inimicissimo del Poetico nome

Con qual ragione alcuno possa parlare contro e' Poeti, se prima non gli ha studiati

Discorso sopra la grandisssima utilità che si cava da' Poeti, & tra gli altri particolarmente da Virgilio

Che i Poeti guidano al bene chi loro legge

Esclamatione verso i Poeti

Come quelli che biasmano i Poemi hanno solamente atteso alle vanità loro

Espositione d'un passo della Sacra Scrittura

Che i Poeti non sono punto simie de Filosofi

Quale sia la natura delle simie

Attioni di Filosofi, & operationi de' Poeti

Come il Poeta segue le cose naturali

Ch'egli non è mal fatto né peccato mortale leggere e' libri de' Poeti

Autorità delle sacre lettere prodotte contra i Poeti

Proverbio anticamente usato

Libertà conceduta a buon fine al Poeta, & al Pittore

Che non è male sapere il male, ma l'oprarlo

Come la Poesia è ministra della Filosofia

Che gli scrittori delle Sacre Lettere si sono serviti de' Poeti

Che tutti i Poeti secondo il comandamento di Platone non sono da essere cacciati dalle città

Essempi di molti Poeti che, lasciate le città, habitarono le solitudini

Contentione di sette Cittadi nella morte d'Homero

Molti Poeti tenuti in pregio da gran prencipi

Lodi di Francesco Petrarca

Quali siano i Poeti da essere cacciati dalle Cittadi

Che le Muse non possono essere oltraggiate per difetto di nessuno ingegno cattivo

Dichiaratione del detto di Boetio contra le Muse

Ragionamento dell'Autore al Re

Preghi dell'Autore verso gli inimici del poetico nome

Mutatione di Roberto Re di Sicilia, inimicissimo de' Poeti

Breve trattato di molti poemi di diversi auttori

Parole di Cicerone in lode della Poesia

 

NEL QVINTODECIMO ET VLTIMO.

 

PRoemio dell'Autore in difesa della presente opra

Che le cose men necessarie alle volte sono state più pregiate

Prova l'Autore la presente opra essere necessarissima

Che spesse volte sono durate più lungamente quelle cose che paiono meno durabili

Ragioni per le quali questa opra potrebbe essere durabile

Che le membra di quest'opra più propriamente non si sono potute congiungere

Sententia di Socrate Filosofo

Che nella presente opra non v'è stato posto quello che non vi s'è trovato

Escusatione dell'Autore d'intorno la spositione delle favole

Che nella presente opra non v'è incluso alcuna historia ne favola che non sia tolta dai comentari degli antichi

Oppositioni fatte dai sindici delle fatiche altrui

Che gli auttori novi dal Boccaccio citati sono famosissimi huomini

Lode d'Andalone de' Negri Genovese

Lodi di Dante Alighieri Fiorentino

Breve trattato di molti altri autori moderni

Lodi, & opre di Francesco Petrarca

Difesa sopra la produttione di molti auttori antichi

Perché la Poesia sia seguita da pochi

Che molti versi si sono posti in diversi luoghi dell'opra non senza mistero

Molte ragioni dell'Autore d'intorno il procedere di detta opra

Essempio del Boccaccio nel far profitto nelle lettere

Ramarico dell'Autore d'intorno gl'impatienti delle fatiche altrui

Che i Poeti Gentili sono Mithici Theologhi

Che la Theologia è di tre sorti

Derivationi di tutte le sorti di Theologia

Non essere cosa dishonesta alcuni Christiani trattare cose Gentili

Quando era pericoloso trattare cose Gentili

Credenza dell'Autore d'intorno la fede Chistiana

Trattato della Trinità

Discorso sopra tutto il Testamento nouo

Openione di Tomaso d'Aquino nella morte di Christo

Credenza del giorno del giudicio

Con quali sacri autori il Boccaccio si fosse fermato nella fede

Errore di Salomone verso Iddio

In che l'Autore havesse fermato la sua speranza

Che per lo più seguitiamo gli studi a' quali gl'ingegni paiono inchinati

Effetti partoriti verso noi dalla madre Natura

Discorso sopra la vita humana

Che l'huomo non puote né deve seguire altro essercitio eccetto quello al quale lo ha prodotto la Natura

Prove fatte dal padre del Boccaccio per levarlo dalla Poesia

Inclinatione dell'Autore all'arte Poetica

Che dannosamente habbiamo compassione ai Re, & alli Dei Gentili

Con che meriti s'acquisti la nobiltà

Che il breve overo lungo parlare non è per mancamento da essere stracciato

Risposta a quelli che tasseranno l'Autore di soverchia lunghezza

Difesa contra quelli che il biasmeranno di brevità

Che per vero, & non per finto comandamento del Re, egli compose la presente opra

Sentenza di M. Tullio Cicerone

Proue dell'autore nel mostrare il Re havergli commesso questa fatica

Essempio d'Alessandro nel desiderare scrittori dell'opre sue

Molti essempi d'antichi famosi Romani desiderosi di gloria

Dimanda di Roberto Re di Gierusalemme & Sicilia al Petrarca, che gli intitolasse la sua Africa

Superbia dell'autore nelle sue fatiche

Conclusione dell'autore

Speme dell'autore in Dio.

Preghi dell'autore verso quelli, che leggeranno quest'opera.


Il fine di tutte le Tavole cavate da' presenti Libri.


 


 


 

PROEMIO

 

Se à pieno, famosissimo Re, ho inteso quanto mi ha riferito Donnino Parmigiano, tuo valoroso soldato, grandemente desideri la Genealogia de Dei Gentili, & degli heroi, che secondo le fintioni antiche sono da loro discesi, & appresso, l'opinione, che già per lo passato sotto la corteccia di queste favole n'hebbero gli huomini illustri: & di ciò l'altezza tua ha eletto me, come huomo sufficientissimo, & auttore ammaestratissimo a cosi fatta opra. Ma per lasciare la maraviglia del tuo disio (percioche non istà bene ad uno di picciolo grado ricercar l'intentione d'un Re) lascierò da parte quello ch'io senta in contrario della mia elettione, accioche dimostrando la mia insufficienza, tu non t'imaginassi, che di nascosto & con iscuse io volessi schifar il peso della fatica impostami. Nondimeno, pria ch'io giunga all'openion mia circa il carico datomi, piacciati, Serenissimo dei Re, ammettere, & se non tutte, almeno alcune parole, che intravennero tra Donnino tuo famosissimo soldato, & me, mentre egli mi spiegava i comandamenti di tua Maestà; accioche leggendole molto bene a bastanza tu vegga il tuo giudicio, & la mia arroganza, fino a tanto ch'io giunga all'ubbidienza della grandezza tua.

Havendomi adunque egli con grandissima facondia narrato i sacri studi della tua sublimità, le maravigliose opre dell'amministration Reale, & appresso con lungo parlare alcuni notabili & gloriosi titoli del tuo nome, pervenne a tanto, che con grandissimo sforzo s'ingegnò ritrarmi ne' tuoi voleri non con una sola ragione, ma con molte, delle quali confesso, che alcune parevano valide. Ma poscia, che tacque &, che a me fu dato agio di rispondere, così gli dissi; O valoroso guerriero, forse, che tu pensi, overo che 'l tuo Re che per l'avenire (piacendo a Iddio) sarà nostro, istima questa pazzia degli antichi, cioè, che desiderarono essere tenuti discesi di sangue divino, haver occupato un picciolo spatio di terra; e si come ridicolosa cosa, come era, haver durato poco tempo, e come anco opra moderna, e di pochi giorni facilmente potersi raccorre. Nondimeno (dirò sempre con tua buona pace) altramente stà la cosa. Percioche, lasciando da parte le Cicladi, & l'altre Isole del mare Egeo, con la sua macchia bruttò, et infettò l'Achaia, la Schiavonia & la Thracia, le quali per lo fiorire, & per la grandezza di questa pazzia furon, in grandissimo splendore, massimamente nel tempo, che la Republica de Greci fu in fiore, cosi anco i liti del mare Eusino, Hellesponto, Meonio, Icario, Panfilio, Cilicio, Fenicio, Sirio & Egittiaco. Nè Cipro, notabil scettro del nostro Re, fu liberato da questa macchia. Cosi medesimamente infettò tutto il paese della Libia, delle Sirti & di Numidia, tutti i luoghi del mare Atlantico & Occidentale, & tutti i remotissimi horti delle Hesperide. Nè solamente fu contenta dei liti del Mare Mediteraneo, che trappassò anco a non conosciute nationi di mare. Caderono etiandio con i maritimi in questo errore tutti gli habitatori del Nilo (che manca di fonte) & tutte le solitudini dell'arena Libica insieme con le sue moralitadi & dell'antichissima Thebe. Appresso gli ultimi Egittii, i focosi, & troppo calidi Garamanti, i neri Ethiopi, gli odorati Arabi, i ricchi Persi; i popoli Ganaridi, i Babilonici. Indi per la nerezza notabili, l'altre cime del Caucaso con tutto il suo duro discendere così verso il caldo Sole, come i freddi Poli; il mare Caspio; i crudeli hircani, tutto il Tanai, il Rodope sempre pieno di nevi, & anco la rozza fierezza dei Sciti. Et havendo tutti i vasti dell'Oriente, & dell'Occidente, & del mar rosso l'Isole contaminate si ridusse da noi Italiani; di maniera, che Roma Reina del mondo si lasciò acceccare da questa nebbia. Et accioche minutamente io non stia a discorrere, per tutti i paesi, dove questa cecità hebbe molto potere, come a bastanza tu puoi vedere, una portioncella sola fu del mondo fra Tramontana e Occidente, benche di scelerata crudeltà, la quale non fu nobilitata dalla progenie di questa deità, si come l'avanzo fu infettato; nè quelle cose furono all'età nostra. Et allhora forse giovanetto Abraam, mentre appresso Sicioni questa pianta incominciò far radici, & entrare negli animi de gli huomini trascurati. Al tempo nondimeno degli heroi fu in molta riputatione, & divenne in grandissimo nome, & riverenza, continuando ogni dì più sino alla ruina del superbo Ilion. Percioche nella guerra Troiana si ricordiamo haver letto essere stati amazzati alcuni figliuoli di Dei: & Hecuba in cane, & Polidoro in virgulti essersi convertiti ch'è antichissima, & in tempo di molti secoli. Onde non è da dubitare chè per tutto dove questa pazzia ha havuto radice, ivi non siano scritti di gran volumi, accioche la divina nobiltà de' maggiori col ricordo delle lettere pervenisse ai posteri. Et quantunque istimai il numero di questi tali essere stato picciolo quanto fosse grandissimo, Paolo Perugino, cosi grand huomo, & di tai cose diligentissimo, & curiosissimo investigatore, spesso afferma in mia presenza da Barlaam huomo Calavrese, & di lettere Greche benissimo instrutto haver inteso alcun huomo notabile, nè famoso Prencipe, ò d'altra preminenza, in tutta la Grecia (mostrando prima tutte l'isole, & i liti) essere stato in quel secolo, nel quale questa pazzia fiorì, ch'egli non gli facesse vedere che havesse havuto origine da alcuno de questi tali Dei. Che dirò adunque, che risponderai tu? Se tu potessi riguardar un mar cosi lungo, largo, & spatioso, cosi antico, durato tanti secoli, spiegato in tanti volumi, & ampliato in cosi gran numero d'huomini, crederesti, tu, ch'io potessi adempire i voleri del Re? Veramente, se i monti prestassero i passi facili, & le solitudini diserte il viaggio palese, & aperto; se i fiumi, i guadi, & i mari l'onde tranquille, & il passaggiero Eolo mandasse dalla spelonca i venti tanto prosperi; & fecondi, & che piu è, se havesse le ali d'oro d'Agrifonte legate ò piedi d'ogni huomo, che si voglia, & se fosse uccello che potesse volare dove piu piacesse, a pena potrà girare il mondo, & cosi lunghi passi del mare, & della terra, non che far altro, se bene a lui fosse conceduto una grandissima quantità d'anni, & secoli. Di più concederotti, che si habbiano tutte queste cose, & che si possa, col voler d'Iddio, congiungere in un momento tutte le scritture, & le memorie antiche, & che per dono divino si habbia la notitia di tutti i caratteri, & gli idioma delle nationi diverse, & che in ogni luoco, che si giunga siano preparati i volumi intieri, chi sarà colui (lasciando tra mortali me fuori), che habbia le forze cosi ferme, l'ingegno cosi acuto, la memoria cosi profonda, che possa veder tutte le cose poste a lui dinanzi? intendere le vedute? le intese conservare, & poi con la penna finalmente distenderle, & le raccolte, in un'opra renderle a perfettione? Oltra di ciò m'aggiungevi ch'io descrivessi quelle che sotto ridicoloso velame delle favole hanno nascosto gli huomini saggi, come se l'inclito Re istimasse pazzamente credere, gli huomini ammaestrati quasi in ogni scienza semplicemente haver speso il tempo, & sudato d'intorno lo scrivere favole lontane da ogni verità, & che non habbiano altro che il latino senso. Non negherò che questa reale elettione m'è stata grata, & hammi dato certissimo argomento; perche, si come per inanzi tu dicevi, egli ha l'ingegno divino, & m'ha istimato sofficiente ad adempire il suo disio, pur che le mie forze fossero bastanti. Ma d'intorno queste tali narrationi vi è di gran lunga maggior difficultà, che tu non istimi, & è fatica da huomo Theologo. Percioche concedendo, secondo la opinione di Varrone, dove scrisse molto delle cose divine, & humane, che questo genere di Theologia sia quello, che mistico, overo, come piace ad altri, & forse meglio sia fisico, benche habbia in se molta falsità da ridersi, nondimene ricerca molto arteficio ad scoprirla. Et per ciò honoratissimo soldato sono da considerare le forze degli huomini, & essaminare gl'ingegni, & cosi a quelli imporre convenevoli carichi. Potè Atlante col capo sostenere il Cielo & a lui, lasso per lo peso, potè Alcide prestare aiuto. Amendue furono huomini divini & quasi invincibile fortezza fu quella d'amendue. Ma io che son huomo picciolo, non ho forze di alcun valore, l'ingegno tardo, la memoria intricata, & tu alle mie spalle desideri, non il Cielo ch'eglino sostennero, ma anco la terra sovragiungere, & appresso i mari, essi habitatori dei Cieli, & con loro i famosi sostentatori. Non è altro questo, eccetto volere ch'io sotto il peso creppi. Nondimeno, se tal cosa era tanto a cuore al Re, era peso convenevole (se tra mortali uno è atto a tanta fatica) alle forze del celebratissimo huomo Franceseo Petrarca, del quale già molto io sono discepolo. Veramente egli è huomo dotto di celeste ingegno, di profonda memoria & anco di maravigliosa eloquenza, al cui sono famigliarissime l'historie di ciascuna natione, i sentimenti delle favole chiarissimi, & brevemente tutto quello che giace nel sacro grembo della Filosofia a lui è manifesto. Già taceva io, quand'egli con piacevol faccia & ornato parlare cosi seguì; Credo, molto meglio di quello, che non havea conosciuto, esser vere tutte quelle cose, che dici; & appresso veggio le difficultà. Ma ti prego dirmi caro il mio Giovanni, pensi tu, che il nostro Re non habbia avedimento? Certamente egli è aveduto Signore, di benigno ingegno, & lodevole per felicità reale; & da te sia lontano ch'egli voglia alcuno non che te aggravare, anzi ha per antico costume alleggierire ciascuno; & però drittamente sono da intendere & da capire i suoi comandamenti. Per Dio, che facilmente si può credere essere incessabili quelle ragioni, che poco fa hai raccontato, & i loro annali (se alcuni ve ne sono) in tutto a' Latini nascosti. Ma se alcuna memoria dai Greci, che per insino ai Latini sia pervenuta, overo appresso essi Latini, alle cui scritture non picciolo honore & gloria hanno riportato gli studi de nostri maggiori, è rimasta, & se non tutti i ricordi, almeno quei, che per tua industria si ponno ritrovare, quegli disia. Su adunque, e con largo animo (havendo buona speranza in Dio) piglia la faticosa impresa et fa quello, che puoi, non si ritrovando persona atta all'impossibile. La fortuna non m'ha fatto venire in mente quell'honorato huomo, non solamente appresso Cipriani, ma per fama conosciuto sovra le stelle, Francesco Petrarca, credo perche Iddio ha voluto così, accioche io perdonassi a lui in grandissime imprese occupato, & alla gioventù tua imponessi cosi honesta fatica, per la quale il tuo nome, poco fa incominciando andar in luce, piu chiaro appresso i nostri risplenda. Allhora io risposi: A quel ch'io veggio, credo, che tu istimi, ò strenuo guerriero, senza i lontanissimi libri de' barbari, de' Greci & de' Latini solamente questa opra potersi a pieno riddurre in essere? O buono Iddio, non vedi tu istesso, Signore, che con questa tale concessione tu vieni a levare la miglior parte all'opra? Ma facciamo come già molto fecero i nostri Prencipi partendo il Romano Imperio nel orientale & occidentale. Sia à questo monstro due corpi, un Barbaro, & l'altro Greco & Latino? & al Greco & al Latino, i quali tu istesso chiami, i libri; nè anco questo potrà fare, che si consegua quello, che tu addimandi. Habbiamo dimostrato questa peste essere stata antichissima; tu hora teco stesso considera quanti nemici nei secoli passati habbiano havuto i volumi. Confesserai veramente, che gl'incendij & i diluvij d'acque (accioche taccia dei particolari) hanno consumato molte librarie; et se altra non fosse andata a male, che l'Alessandrina, la quale già molto il Filadelfo con grandissima diligenza havea ordinato, sarebbe grandissima diminutione de' libri. Conciosia che, per lo testimonio d'antichi, in quella potevi ritrovare quello che volevi. Oltre di ciò, crescendo il glorissimo nome di Christo, & rimovendo la dottrina sua splendente di sincera verità le tenebre del mortale errore, & massimamente del Gentile, & appresso lungamente declinando lo splendor di Greci (gridando i messi di Christo con la falsa religione & cacciandola in ruina), non è da dubitare, che seco non mandassero in eterno oblio molti libri serbanti le memorie di questa materia, acciò, che con veri & pij predicamenti dimostrassero non esservi tanti dei nè figliuoli di Dei, ma un solo Iddio Padre, & unico figliuolo d'Iddio. Appresso, mi concederai c'habbia havuto per nimico l'avaritia, alla cui non sono debili forze. Percioche è cosa certissima l'arte Poetica, a quei, che la sanno, non apportare alcun guadagno, & appresso lei non è altra cosa pregiata eccetto quella ch'apporta seco l'oro, & dalla quale si conseguisce l'oro & non se lo leva; & quelle scienze, che a ciò non sono atte non solamente sono sprezzate, ma anco havute in odio & rifiutate. Onde caminando quasi tutti a gran passi per acquistar ricchezze, tai volumi andarono in oblio, & anco perirono cosi facilmente, che molti Prencipi, odiando tali memorie, fecero lega contra loro, percioche contenendosi sotto la corteccia delle favole molti vitij di gran signori, eglino quanti volumi, che mai poterono havere mandarono in ruina, perdonando cosi poco a i favolosi come ad ogni altra sorte discritti, de' quali certamente cosi di liggiero non si potrebbe esprimere il numero. Ma se tutto il resto gli havessi perdonato, a quelli non havrebbe havuto riguardo il veloce tempo, essendo, come sono stati, privi di riformatore. Conciosia, chè egli ha i denti quieti & adamantini, che corrodono non solamente i libri, ma i durissimi sassi & esso ferro, che doma tutto il resto. Questo veramente ha mandato molte cose, cosi greche come latine, in polve. Nondimeno, come, che habbiano patito questi & molti altri infortunii, & maggiormente dico quelle memorie, che spetialmente sarebbeno al proposito di questa nostra fatica, tuttavia negar non si puote, che molte non ve ne siano rimaste; ma nessuna però, ch'io mai habbia ritrovato, scritta in questa materia, che tu desideri. Vanno adunque qua & là per lo mondo disperse le origini & i nomi cosi dei dei come dei progenitori suoi. Di questi questo libro ha alcuna cosa, & un altro alcuna altra; le quali ti prego dirmi chi sarà colui, che per dono, overo almeno per poco fruttevole fatica, vorrà ricercarle & rivolgere tanti volumi, leggerli, & fuori di quelli eleggere pochissime? Credo essere molto meglio non se n'impacciare. Ma egli con gli occhi fisi cosi mi risponde. Non m'era nascosto, che all'incontro dell'honesta mia dimanda tu non havessi, che dire, ma non di maniera mi caccierai, che non mi rimanga alcun picciolo luogo dov'io mi salvi. Veramente non negherò questo, che m'affermi. Ma voglio solamente quello, che la seconda fiata hai detto; cioè farò quello, che potrò. Questa particella, che di qui potrai raccorre, desidera il nostro Re. Potrai negarli questo? Ma ohimè, ch'io temo, che la dopochaggine non t'apparecchi alcuna ragione per la quale tu schifi la fatica. Nessuna cosa veramente non è piu vergognosa in un giovane dell'otio; & se è da essercitarci, essendo tutti noi nati per affaticarsi, a chi meglio puoi tu prestare la fatica tua, che a un Re? Levati adunque & caccia la pigritia, drizzandoti con forte animo a tal'opra; accioche in un istesso tempo tu obedisca a un Re & al nome tuo facci la strada all'inclita fama. Verrai senza dubbio (se sei prudente) piu oltre di quello ch'io mi sforzo cacciarti. Sai pure, che la fatica vince il tutto & la fortuna aiuta gli arditi, & molto piu esso Iddio, il quale mai non abbandona chi spera in lui. Partiti adunque, & arditamente volgi, rivolgi & ricerca i libri; togli la penna, & mentre cerchi piacere al Re guida il nome tuo in lunghissima età. Allhora dissi io: piu resto vinto dalla dolcezza delle tue parole, che dalla forza delle ragioni. Mi constringi, mi persuadi, mi cacci, & mi trahi di maniera che, se bene io non volessi, è forza, che ti ubbidisca." In tal modo, pietosissimo Re, alquanto contrastammo insieme il tuo Donino & io, pria, che volessi piegare la mia penna a' tuoi voleri; & voglia o non voglia, ultimamente vinto, a forza cacciato vengo a sodisfarti. Con quai forze, nondimeno, tu lo vedi. Per tuo commandamento adunque, lasciati i sassi dei monti di Certaldo & lo sterile paese, con debile barchetta in un profondo mare, pieno di spessi scogli, come novo nocchiero entrerò, dubbioso veramente, che opra io mi sia per fare, se bene leggerò tutti i liti, i montuosi boschi, gli antri & le spelonche, & se sarà bisogno caminar per quelli & discender fino all'Inferno, & fatto un altro Dedalo, secondo il tuo disio volelerò per insino al Cielo; non altramente, che per un vasto lido raccoglendo i fragmenti d'un gran naufragio, cosi raccorrò io tutte le reliquie, che troverò sparse quasi infiniti volumi dei Dei gentili; & raccolte & sminuite, & quasi fatte in minuzzioli, con quell'ordine ch'io potrò, accioche tu habbi il tuo disio, in un corpo di Geneologia le ritornerò. Tutta via mi spavento a pigliare cosi grande impresa, & a pena credo, se suscitasse & venisse un altro Prometheo, overo quell'istesso, che per dimostratione dei Poeti al tempo antico era solito di fango formar gli huomini, non che io di quest'opra sarebbe sufficiente artefice. Ma, famosissimo Re, accioche tu non ti maravigli ch'io voglia dire per l'avenire, non aspetterai, dopo un molto spender di tempo & una lunga fatica fatta con molte vigilie, haver questo tal corpo compiuto. Assai veramente, & Dio voglia, che senza molti membri, & forse torto, gobbo & attratto, ha da vedersi, per le ragioni, che già si sono mostrate. Ma, famosissimo Prencipe, accioche io venga a comporvi i membri, cosi verrò a dichiarire i sensi nascosti sotto dura corteccia. Non già ch'io voglia persuadermi far ciò minutamente secondo l'intento di quei c'hanno finto. Percioche, chi al tempo nostro potrebbe agguagliare le menti degli antichi & esporre l'intentioni già tanto separate dalla mortale in altra vita, & ritrovare i sentimenti ch'eglino hebbero? Ciò certamente sarebbe piu tosto divino, che humano. Gli antichi senza dubbio, lasciate le scritture ornate de' suoi nomi, sono andati nella via della carne commune, & il senso di quelle lasciarono al giudicio di quelli, che haveano a nascere dopo loro; de' quali quanti sono i capi, quasi tanti giudicij si ritrovano. Et non è maraviglia. Percioche veggiamo le parole della Sacra Scrittura, cavate da essa lucida, certa & immobile verità, se bene alle volte sono coperte d'un sottil velo di figuratione, essere tirate in tante interpretationi in quante sono capitate alle mani di diversi lettori: là onde in ciò con minor timidità entrerò, percioche se bene dirò poco bene, almeno sveglierò alcun altro piu di me prudente a scriver meglio, & ciò facendo, prima scriverò quelle cose ch'io potrò haver inteso dagli antichi; indi dove havranno mancato, overo meno a bastanza secondo il mio giudicio detto, dirò il mio parere; & questo farò molto volentieri, a fine, che ad alcuni ignoranti, & che noiosamente sprezzano i Poeti da loro poco intesi, si mostri quelli (benche non Catholici) di tanta prudenza essere stati dotati, che nessuna cosa da loro sotto figmenti Poetici con maggior arteficio d'ingegno si poteva, nè è stata trascorsa, nè con maggiori ornamenti di parole adornata. Per il che è manifesto quelle essere stati ripieni d'infinita mondana sapienza, della quale molte volte mancano i noiosi loro riprensori; onde dalle loro profondità, oltre l'artificio delle fittioni Poetice & le consanguinità & parentele spiegate de' vani Dei, vedrai alcune cose naturali coperte da tanto misterio, che ti maraviglierai; cosi anco i fatti & i costumi dei baroni, non triviali nè communi. Oltre di ciò, perche l'opra passerà in maggior volume, che tu non istimi, giudico convenevole, accioche piu facilmente tu possi ritrovare quello, che cercherai, e meglio ritenere quello che vorrai, partir quella in piu parti, & chiamarli libri. Nel principio di ciascuno de' quali giudico essere da porvi l'arbor. Nella cui radice sia il padre della generatione. Nei rami poi, vista l'ordine dei gradi, mettervi tutta la sparsa progenie, accioche col mezzo di questo tu vegga di chi & con qual ordine nel seguente libro tu ricerchi. I quai libri anco con i dovuti capitoli troverai distinti con piu ampia dichiaratione & piu manifesti, & vi vedrai tutto quello che con un solo nome per le frondi dell'arbore prima havraj letto, con parole ampio & diffuso. Poi gli aggiungerò due libretti, et nel primo risponderò ad alcune obiettioni fatte contra la Poesia & i Poeti. Nel secondo, che sarà di tutta l'opra l'ultimo, mi sforzerò rimuovere alcune cose, che forse contra me saranno opposte. Ma per non scordarmi (non voglio, che ti maravigli, accioche ti pensasti ciò essere avenuto per error mio), egli è colpa degli antichi, che spessissime volte leggerai molte cose cioè di sorte differenti dalla verità, & tra se stesse molte fiate discordanti, che non solamente le istimerai non pensate da Filosofanti, ma nè anco da villani imaginate; cosi anco malamente ai tempi convenevoli. Le quali veramente, & altre, se alcune ve ne sono dal debito varianti, non è l'intention mia riprenderle overo ad alcun modo correggerle, se da se stesse non si lasciano ridurre a qualche ordine. A me basterà assai rescrivere le trovate, & lasciar le dispute ai Filosofanti. Ultimamente, se gli huomini d'intiera mente, cosi per debito come per decreto di Platone, in tutti i principij, dico anco di picciole cose, hebbero in costume ricercare l'aiuto divino, & appresso in nome di quello dar principio alle cose a fare; percioche lasciato lui, per sentenza di Torquato, non si farà nessun buon fondamento, assai posso considerare quello ch'a me si convenga; il quale tra gli aspri deserti dell'antichità & tra i tormenti degli odi hor quà hor là son per raccorre lo sbranato, minuzzato, consumato & quasi in ceneri già ritornato gran corpo dei Dei Gentili & de famosi heroi, & quasi un altro novo Esculapio a guisa di quello d'Hippolito ritornarlo insieme. Et però solamente al pensare, tremando sotto il soverchio peso, humilmente prego quel piatosissimo Padre vero Iddio, Creatore di tutte le cose &, che può il tutto, sotto cui viviamo tutti noi mortali, che sia favorevole al mio superbo & gran principio. A me sia egli splendente & immobile stella, & governi il timone della mia navicella, che solca un disusato mare; et, si come il bisogno ricerca, dia le vele a i venti accioche io giunga là dove al suo nome sia ornamento, lode, honore & gloria sempiterna; a i maldicenti poi disprezzo, ignominia, dishonore & dannatione eterna.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO PRIMO

 

 

Al Serenissimo Vgo re di Gierusalem.

 

Havendo io a entrare in un profondo mare, & non solito a navigarsi, & havendo a pigliare un novo viaggio, mi sono imaginato essere piu diligentemente da riguardare da qual lito la prora della barchetta sia da sciorre, accioche piu drittamente con prospero vento io giunga là dove l'animo disia. Ilche allhora istimerò haver fatto, quando havrò ritrovato colui che i passati antichi finsero loro Iddio, percioche da quello tolto il principio della discendenza, potrò poi con dovuto ordine venire ai posteri. In me adunque s'erano adunate tutte le forze dell'animo, & dal sublime specchio della mente riguardava quasi tutto l'ordine del mondo; onde subito vidi levarsi assaissimi huomini, nè solamente d'una sola religione; ma nondimeno dignissimi testimoni per fide di verità, con la loro gravità affermando Iddio esser unico: ilquale alcuno mai non vide, & questo essere il vero che manca di principio, & di fine, che può il tutto, Padre delle cose, & Creatore, cosi delle cose manifeste, come delle non palesi a noi. Ilche credend'io benissimo, & dai giovenili anni sempre havendo creduto, incominciai rivolgere la mente d'assaissimi antichi, che circa ciò hebbero varie, & diverse openioni, & a me parve quasi questo istesso haver creduto i Gentili, ma essere restati ingannati mentre attribuirono tal dignità a fattura del Creatore, nè tutti ad uno, ma diversi a diversi si sono sforzati darla. Al cui errore haver dato materia istimo io i Filosofanti, & giudicanti diversamente, mentre ammaestrarono la rozezza antica, & dopo quelli essere stati i Poeti, iqual primi Theologizando (dice Aristotele) secondo il creder loro, quelli essere i primi Dei, iquali essi pensavano essere stati prime cause delle cose. Et di quì, se molti diversamente furono gli istimatori, di necessità è seguito, che molti, & diversi dei havessero varie nationi, overo sette, ciascuna dellequali tenne il suo essere vero, primo, & unico Iddio de gli altri Padre & Signore. Et cosi non solamente a guisa di Cerbero formarono una bestia di tre capi, ma si sono sforzati descriverlo in mostro di piu capi. De' quali cercando io il piu antico, mi si fece all'incontro Thalete Milesio al tempo suo sapientissimo huomo, & molto famigliare al Cielo, & alle Stelle, & ilquale io havea udito piu con l'ingegno, che con la fede lungamente haver ricercato molte cose del vero Iddio. Costui pregai, che mi dicesse chi egli istimasse degli dei essere stato il primo, ilquale subito mi rispose, & di tutte le cose cred'io l'acqua essere stata la pria cagione, & quella in sé havere la mente divina, che produce il tutto; nè altrimenti di quello, che appresso noi bagni le piante, cosi dall'abisso mandati fuori i nascimenti dell'acque in Cielo, fino alle stelle, & tutto il resto di questo ornamento con l'humida mano haver fabricato. Di quì trovai Anassimene, un'altro dottissimo huomo, & mentre io ricerco quest'istesso, che domandai a Thalete, mi rispose; L'Aere produttore di tutte le cose; percioche gli animali senza l'Aere subito morrebbono, & senza lui non potrebbono generare. Dopo questi mi s'offerse Crisippo, tra gli antichi huomo famoso, ilquale pregato disse che credeva il foco essere Creatore di tutte le cose, conciosia che senza il calore pare, che alcuna cosa mortale non si possa generare, overo generata durare. Havendo poi ritrovato Alcinoo Cortoniese, lo provai huomo tra tutti gli altri d'elevato animo. Percioche volando sovra gli elementi, subito con l'intelletto si congiunse con i Pianeti, tra quali quello, che vi ritrovasse no'l so, ma riferì che pensava il Sole, la Luna, le Stelle, e tutto il Cielo essere stati i Fabbri di tutte le cose. O liberale huomo, quella deità, che tutti gli altri haveano dato ad un solo elemento, questi a tutti i corpi dei sopra celesti la donò. Dietro questi toglio Macrobio, piu giovane di tutti. Quello poi diede solamente al Sole quelli, che Alcinoo havea conceduto a tutto il Cielo. Ma Theodontio (come penso) huomo non novo, ma di tai cose solenne ricercatore, senza nomar alcuno rispose degli antichissimi Arcadi essere stato opinione la terra essere origine di tutte le cose, & istimando, si come dice Thalete dell'acqua, in quella essere la mente divina, credettero per opra di lei tutte le cose essere state prodotte & create. Ma per tacere de gli altri, i Poeti c'hanno seguito l'opinione di Thalete chiamarono l'Oceano elemento dell'acqua, & lo dissero Padre di tutte le cose, de gli huomini & de' Dei, & dell'istesso diedero principio alla geneologia de' Dei. Ilche anco noi havressimo potuto fare, se non havessimo ritrovato (secondo alcuni) l'Oceano essere stato figliuolo del Cielo. Et quelli ch'instimarono Anassimene & Crisippo haver detto il vero, percioche spessissime volte i Poeti metteno Giove per l'elemento del fuoco, & alle volte del fuoco & dell'aere, a lui diedero il principato di tutti i Dei, & alle loro geneologie il pigliarono primo di tutti gli altri. Iquali imperò in ciò non habbiamo seguito, perche si ricordiamo haver letto Giove essere stato hora figliuolo dell'Aere, hora del Cielo & hora di Saturno. Quelli poi, che volsero dar fede ad Alcinoo tolsero per prencipe della sua Geneologia Celio overo il Cielo; ilquale havendo letto essere stato generato con l'Aere l'habbiamo lasciato adietro, si com'anco quelli che, seguendo Macrobio & i suoi primi, hanno concesso il principato della Geneologia al Sole; ilquale i Poeti testimoniano haver havuto molti padri, dandoli hora Giove, hora Hiperione & hora Vulcano. Quelli anco c'hanno voluto la terra produttrice di tutte le cose, come dice Theodontio, chiamarono la mente divina in lei composta Demogorgone. Ilquale io veramente istimo Padre & principio di tutti i Dei Gentili, non ritrovando alcuno a lui secondo i figmenti Poetici esserli stato Padre, & havendo letto lui non solamente essere stato Padre dell'Aere, ma avo, & di molti altri Dei da' quali questi sono nati; di quai di sopra habbiamo fatto ricordo. Cosi adunque riguardati tutti, & troncati gli altri capi come superflui & ritornatigli in membri, imaginandosi haver ritrovato il principio del viaggio, facendo Demogorgone non Padre delle cose, ma de' Dei Gentili, con l'aiuto d'Iddio entraremo nel viaggio duro & alpestre per lo Tenaro, overo per l'Etna, discendendo nelle viscere della Terra, & inanzi gli altri solcando i vasti della palude Stigia.

 

DEMOGORGONE.

Con grandissima maestà di tenebre, poscia ch'io hebbi descritto l'albero, quel antichissimo proavo di tutti i Dei Gentili, Demogorgone accompagnato da ogni parte di nuvoli, & di nebbie, a me, che trascorreva per le viscere della Terra apparve; ilquale per tal nome horribile, vestito d'una certa pallidezza affumicata, & d'una humidità sprezzata, mandando fuori da sé un odore di terra oscuro, & fetido, confessando piu tosto per parole altrui, che per propria bocca se essere Padre dell'infelice principato, dinanzi a me artefice di nova fatica fermossi. Confesso ch'io mi posi a ridere, mentre riguardando lui mi veni a ricordare della pazzia degli antichi; iquali istimarono quello da alcuno generato, eterno, di tutte le cose Padre, & dimorante nelle viscere della Terra. Ma perche questo poco importa all'opra, lasciamolo nella sua miseria, passando là dove desideriamo. Dice Theodontio la cagione di questa vana credenza non haver havuto principio dagli huomini studiosi, ma dagli antichissimi rustici d'Arcadia, iquali essendo huomini mediterranei, montani, & mezzo selvaggi, & veggendo la Terra da sé stessa produrre le selve, & tutti gli arboscelli, mandar fuori i fiori, i frutti, & le sementi, nodrir tutti gli animali, & poi finalmente ritorre in sé tutte le cose, che muoiono; appresso i monti vomitar fiamme, dalle dure pietre trarsi i fuochi, dai cavi luoghi, & valli spirare i venti, sentendo quella alle volte moversi, & mandar fuori muggiti, & dalle sue viscere spargersi i fonti, i laghi, & i fiumi, quasi, che da lei fosse nato il foco celeste, & il lucente aere, & havendo ben bevuto havesse mandato fuori quel gran mare Oceano, & degli adunati incendij volando in alto le faville havessero formato i globi del Sole, & della Luna, & intricatesi nell'alto Cielo si fossero cangiate in sempiterne stelle, pazzamente credettero. Quelli, che poi dopo questi seguirono, considerando un poco piu alto, non chiamarono la Terra semplicemente auttore di queste cose, ma s'imaginarono a quella essere congiunta una mente divina: per intelligenza, & voler della quale s'oprassero queste, & quella mente haver stanza sotterra. Al cui errore accrebbe fede appresso i rozzi l'essere entrati alle volte nelle spelonche, & nelle profondissime cavità della Terra; conciosia che, in processo morta la luce, paia un silentio occuppare le menti, & accrescerlo, onde col nativo horrore dei luoghi la religione si messe in uso, & agli ignoranti nacque il sospetto della presenza d'alcuna divinità. Laquale divinità imaginata da questi tali, istimavano non d'altri, che di Demogorgone, percioche credevano la sua stanza nelle viscere della Terra, si come è stato detto. Questi adunque essendo appresso gli antichissimi Arcadi in grandissima riverenza, imaginandosi col silentio del suo nome crescersi la maestà della deità sua, overo istimando inconvenevole cosi sublime nome venire nelle bocche de' mortali, o forse temendo, che nomato non si movesse ad ira contro loro, di commune consentimento fu vietato, che senza pena non fusse mentovato da alcuno. Ilche dimostra Lucano dove descrive Eritto, che chiama l'alme, dicendo;

 


Ubbidirete, ò quel fie da trovare

Che chiamato la terra non percossa

Fa ogn'hor tremare? quel che vede aperta

Gorgona, & con estreme battiture


Castiga Erinne timida, & tremante?

 

Cosi anco Statio, dove interroga per commandamento di Etheocle il cieco vecchio Tiresia del successo della guerra Thebana, dice;

 


Sappiamo bene quel che voi temete

Esser nomato, & esser conosciuto,

Et Hecate turbar, s'io non temessi

Te sol Timbreo, & del triplice mondo,

Il sommo, che conoscer quì non lice;

Ma i taccio.


 

Et quel, che segue. Onde questo del quale parlano questi due Poeti senza esprimer il nome, Lattantio, huomo famoso, & dotto, scrivendo sopra Statio chiaramente dice essere Demogorgone, capo, & primo de' Dei Gentili. Et noi anco a bastanza possiamo conoscerlo, se vogliamo considerar bene le parole dei versi. Percioche dice appresso Lucano una incantatrice, & gentile, volendo dimostrare la preminenza, & la sotterranea stanza di costui, la terra tremare al suo nome; il che non fa giamai, se non percossa. Seguita questo istesso perche vede Gorgone, cioè la terra aperta ch'è al sommo, percioche habita nelle viscere della Terra, rispetto a noi, che habitiamo di sopra a lui, conciosia che veggiamo solamente la superficie; overo vede Gorgona aperta, cioè quel monstro, che cangia in sassi ch'il mira; nè però si tramuta in sasso, accioche appaia della sua preminenza un'altro segno. Terzo poi dimostra la sua potenza d'intorno le cose infernali, mentre dice quello, con battiture castigare la Erinne, invece delle Erinne, cioè quelle Furie infernali, non con altro, che con la potenza opprimendole, & sdegnandosi. Questo, poi, che sia conosciuto da i Superi dice Statio, affine di far conoscere quello, & sotterraneo, & prencipe di tutti, che chiamato può constringere gli spiriti beati ne i desideri de' mortali; ilche essi non vorrebbono quello essere conosciuto, perciò dice illicito, perche sapere i segreti d'Iddio non appartiene a tutti. Conciosia che se fossero conosciuti, la potenza della deità vorrebbe quasi in disprezzo. Oltre di ciò a costui, accioche la liberale, & rispettata antichità crescesse per lo rincrescimento della solitudine (come dice Theodontio), aggiunse la Eternità, & il Chaos, & una famosa schiera di figliuoli. Imperoche vollero lui tra maschi, & femine haver havuto nove figliuoli, si come si dimostrerà più distintamente. Quì era luogo da scoprire, se alcuna cosa fosse riposta sotto fittione Poetica; ma essendo ignudo il sentimento di questa falsa deità, solamente ci resta dichiarare quello, che paia voler significare cosi horrido nome. Risuona adunque, si come istimo, Demogorgone in Greco, Latinamente Iddio della terra. Perche, come dice Lattantio, s'interpreta Demon per Iddio, & Gorgon, per terra, overo piu tosto sapienza della terra, essendo spesse volte Demon esposto per sapere o per scienza. O pure, come meglio ad altri piace, Iddio terribile; il che del vero Iddio c'habita in Cielo si legge: Santo, & terribile il nome di lui. Ma questo per altra cagione è terribile; percioche quello per l'integrità della giustitia ai malfattori nel giudicio è terribile, questo poi a quei c'hanno creduto pazzamente. Finalmente, pria, che trattiamo altro de' figliuoli, ci pare dire alcuna cosa de' compagni.

 

ETERNITÀ.

SEGVE l'Eternità, laquale non per altro gli antichi diedero per compagna a Demogorgone, eccetto affine, che colui ch'era nulla paresse eterno. Et quello ch'ella si sia lo dimostra col suo nome, percioche con alcuna quantità di tempo non può essere misurata, nè con alcuno spatio di tempo disignata; contenendo in sé tutte l'età, & da alcuna non essendo contenuta. Quello, che di lei habbia scritto Claudio Claudiano, dove in versi heroici inalza le Lodi di Stilicone, mi piace inchiudervi. Dice egli cosi;

 


E da lontano una spelonca ignota,

Inacessibil fino a nostre menti

Dove a penna gli dei ponno arrivare,

Vede la lunga età stassi la madre,

Laquale i tempi da lei rovinati

Riforma, e avanza, & l'antro in seno abbraccia,

Tutti i principii. Siede dell'entrata.

La Natura a la guardia d'età lunga

Con grave maestà, da cui dipende

Per tutti i membri suoi spirti volanti,

Stabili e ferme, et che partisce insieme

Rendendo tutto quello che consuma

Il serpe con le squame eterno, & verde,

Con benigna deitade; & si com'egli

Rode la coda con ritorta bocca,

Con quieto trascorrere rilega

I numeri a le stelle, e i corsi fermi.

Tutti gli indugi per liquali vive,

Et more il tutto, egli con fisse leggi

Giudicando riforma.


Et un vecchio che scrive le ragioni

 

Et quello, che segue. Indi descritto in questo modo l'antro, cosi segue;

 


Habitan quì diverse forme, & tutti

I secoli distinti dai metalli;

Ivi s'ammassa il bronzo, & ivi il ferro.

L'argento in altra parte si fa bianco.

Onde per l'habitar la stanza è bella.


 

Et quello che và dietro. Onde queste sono quelle cose per lequali istimo, o famosissimo fra i Re, che tu puoi considerare con quanto soave stile, benche con lunga, & limata oratione, questo Poeta descriva, che cosa sia l'eternità, & ciò, che si contenga tra quella. Ilquale per dimostrare l'eccesso di tutti i tempi dice la spelonca di lei, cioè la profondità del grembo, essere non conosciuta, & molto lontana; dove non solamente i mortali, ma a pena i Dei vi ponno arrivare, & per questi dei intende le creature, che sono nel conspetto d'Iddio. Indi poi dice, che quella avanza, & rifforma i tempi, accioche dimostri tra quella ogni tempo haver pigliato, & pigliar principio, & ultimamente venire al suo fine. Et affine, che si veggia con qual ordine, descrive il serpente eternamente verde, cioè, in quanto a lui, che mai non giunge alla vecchiezza, & dice, che quello rivolta la bocca verso la coda, la divora, accioche da questo atto habbiamo a capire il giro circolare del tempo, che trascorre; percioche sempre il fine d'un anno è principio del seguente, & cosi sarà mentre durerà il tempo. Del quale essempio ha usato, conciosia che per quello gli Egittij hebbero in usanza, pria, che apparassero lettere, descriver l'anno. Seguita poi dicendo questo farsi tacitamente, attento, che non se n'accorgendo noi pian piano se ne passa il tempo. La Natura poi piena d'anime circonvolanti, perciò, che continuamente infonde l'alme a molti animali; però la descrive dinanzi alla porta dell'eternità, affine, che intendiamo, che ciò, che entra nel grembo dell'eternità, per starvi poco ò molto, con l'operar della natura delle cose v'entra, & cosi quivi è quasi come portinaro. Et si deve intendere della natura naturata, percioche tutto quello, che fa entrare la natura produttrice, mai non esce. Il vecchio poi ilquale nell'antro partisce le stelle in numeri credo essere il vero Iddio; non perche sia vecchio, percioche nell'eterno non cade alcuna descrittione d'età, ma parla secondo il costume de' mortali, iquali anco dicemo i vecchi di lunga età immortali. Costui partisce i numeri alle stelle, accioche intendiamo per opra sua, & ordine ch'a noi per certo, & ordinato moto delle stelle siano partiti i tempi; si come per lo circuito del Sole per tutto il Cielo habbiamo l'anno intiero, & per l'istessa circonvolutione della Luna il mese, & per l'intiera rivolutione dell'ottava sfera, il giorno. Dei secoli poi ch'ivi dice essere, a pieno si scriverà poi, dove si tratterà degli Eoni.

CHAOS.

Il Chaos, si come afferma Ovidio nel principio della sua maggior opra, fu una certa materia adunata, & confusa di tutte le cose da essere create. Percioche cosi dice;

 


Inanzi il mare, & prima de la terra,

Et pria del Cielo, che ricuopre il tutto

Di natura nel mondo era un sol volto

Chiamato Chaos, mole confusa, & roza,

Nè altro, eccetto peso, fiocco, e vano,

Et adunati semi dell'istesso

Sol per discordia de le cose insieme

Non ben congiunte.


 

Et quello, che segue. Onde questo, o vero questa cosi spetiosa effigie, che mancava di certa forma, volsero alcuni, ma altramente i famosi Filosofi, essere stata compagna, & già eterna a Demogorgone; acciò, che s'a lui alle volte fosse venuto in animo di produr creature non gli fosse mancato materia, come se non potesse, colui c'havea potuto a diverse cose dar forma, produr materia per darvi forma; veramente egli è da ridersi, ma mi sono deliberato di non riprender nessuno.

Litigio, Primo figliuolo di Demogorgone.

Lasciati questi, egli è da passare alla famosa progenie del primo Iddio de Gentili, del quale volsero, che il primo figliuolo fosse il Litigio, percioche dicono, che primo fu tratto dal ventre di Chaos pregna, non si sapendo nondimeno il vero Padre; del cui allevamento Theodontio recita tal favola. Dice egli, che Pronapide Poeta scrive che, facendo residenza Demogorgone per riposarsi alquanto nell'antro dell'Eternità, udì un rimbombo nel ventre di Chaos. Per il che mosso, & stendendo la mano, aperse il ventre di quello, & trattone il Litigio, che faceva tumulto, perche era di roza, & dishonesta faccia lo gittò in aria; ilquale subito volò in alto percioche non havea potuto scendere al basso, parendo colui, che lo havea tratto del ventre della madre piu inferiore di tutte l'altre cose. Chaos poi, lassa per la dura fatica, non havendo alcuna Lucina da chiamare, che l'aiutasse, tutta bagnata, & tutta infiammata, mandando fuori infiniti sospiri pareva, che si havesse a cangiare in sudore, havendo ella ancora in sé la forte mano di Demogorgone; per cui avenne che, trattogli già il Litigio, gli cavò medesimamente insieme tre Parche, & Pane. Indi, parendogli poi Pane piu atto degli altri nelle attioni delle cose, lo fece governatore della tua stanza, & gli diede per serventi le sorelle. Chaos a questo partito, libera del peso, per comandamento di Pane successe nella sedia di Demogorgone. Ma il Litigio, da noi piu volgarmente detto Discordia, da Homero nella Iliade è chiamato Lite, & detta figliuola di Giove; laquale egli dice, percioche Giove per colpa sua era stato offeso da Giunone circa la natività d'Euristeo, di Cielo in Terra era stata cacciata. Theodontio poi sopra il Litigio adduce appresso molte altre cose, lequali dove meglio ci parranno da porre, le metterò; onde quì al presente le lascio. Hora hai inteso, inclito Re, la ridicolosa favola; ma siamo già giunti là dove è bisogno levare la corteccia dalla verità della fittione. Ma prima egli è da rispondere a quei, che spesse volte dicono, perche i Poeti scrissero le opre d'Iddio, della natura, o vero degli huomini sotto velame di favole? Non havevano altra via? Certissimamente la vi era, ma si come a tutti non è una istessa faccia, cosi nè anco i giudici degli animi. Achille prepose l'armi all'otio. Egisto l'otio all'armi. Platone, lasciato tutto il resto, seguitò la Filosofia. Fidia il scolpire statue col scalpello. Apelle col pennello dipingere imagini. Cosiaccioche io lasci gli altri studi degli huomini, il Poeta s'è dilettato con favole coprire il vero. La cagione del cui diletto Macrobio scrivendo sopra il Sogno di Scipione assai apertamente pare che dimostri mentre dice, Ho detto degli altri dei, & dell'anima non indarno si convertono alle favole per dilettarsi, nè altri, ma perche sanno la sua spositione aperta in ogni parte essere inimica della natura; laquale si come ai sensi degli huomini volgari col diverso suo cuoprire di cose ha levato la cognitione di intenderla, cosi dai prudenti ha voluto i suoi segreti con favolose discrittioni essere trattati. In tal modo essi misteri di favole con segreti sono aperti, overo accioche tolti via questi la natura si dimostri ignuda di cose tali; ma consapevoli solamente gli huomini saggi del vero segreto con l'interpretatione della sapienza, contenti sono gli altri. Questo dice Macrobio. Et come che molto più si potesse dire, nondimeno istimo a bastanza essersi risposto ai dimandanti. Appresso o Rè, egli è da sapere sotto questi figmenti non esservi una sola intelligenza, anzi piu tosto si può dire Poliisemo, cioè senso di molte. Percioche il primo senso si ha per corteccia, & questo è chiamato litterale. Altri le significationi, per corteccia, & questi sono detti allegorici. Et accioche quello ch'io voglia dire piu facilmente si capisca, metteremo un'essempio; Perseo figliuolo di Giove per figmento Poetico amazzò Gorgone, & vittorioso volò in Cielo. Mentre questo si legge secondo la scrittura, non si piglia altro, che il senso d'historia. Se da queste scritture poi si ricerca il senso morale, si dimostra la vittoria del prudente contra il vitio, & il camino alla vertù. Se anco vogliamo poi allegoricamente pigliare il tutto, ci viene designata l'elevatione della pia mente alle cose celesti, sprezzate le mondane. Oltre di ciò, potrebbe analogicamente esser detto per la favola esser figurato l'ascender di Christo al Padre, vinto il prencipe del mondo. I quai sensi nondimeno, benche siano nomati con diversi nomi, tuttavia si pono chiamar tutti allegorici; il che per lo piu si fa. Percioche allegoria viene detta da Allon, che latinamente significa alieno, overo diverso, & però tutte quelle cose, che sono diverse dall'historiale overo letteral senso ponno essere meritamente dette allegorice, si come già è stato detto. Ma l'animo mio non è secondo tutti i sensi voler dichiarar le favole, che seguono, potendosi assai imaginare di più sensi cavarsene uno, come che alle volte forse ve se n'aggiungano piu. Hora con che poche parole narrerò quello, che istimo Pronapide di ciò haver giudicato? A me pare quello haver voluto designare la creation del mondo secondo la falsa opinione di quelli c'hanno istimato Iddio di composta materia haver prodotto le cose create. Percioche haver sentito Demogorgone nel ventre di Chaos far tumulto, non tengo esser altro, che la divina sapienza, che movesse quella per alcuna cagione, come sarebbe a dire la maturezza del ventre, cioè l'hora del tempo determinato essere venuta, & cosi haver incominciato volere la creatione, & con regolato ordine partire le cose congiunte. Et però haver steso la mano, cioè dato effetto al volere, affine, che di una diforme adunanza producesse un'opra formata, & ordinata; onde prima degli altri trasse del ventre della affaticata, cioè, che sopportava la fatica della confusione, il Litigio, ilquale tante volte si leva dalle cose quanto, rimosse le cagioni delle cose, a quelle si mette debito ordine. E adunque manifesto egli prima d'ogn'altra cosa haver fatto questo, cioè haver separato quelle cose, che erano insieme. Gli elementi erano confusi; le cose calde alle fredde, le secche all'humide, & le liggieri alle gravi contrastavano. Et parendo, che la prima attione d'Iddio per ordinare i disordini havesse tratto il Litigio, fu detto primo figliuolo di Demogorgone. Che poi fosse gittato via per la diforme faccia, perche è cosa brutta per lo piu il litigare. Indi che volasse in alto, piu tosto pare, che dia ornamento all'ordine favoloso, che voglia significar altro. Oltre di ciò, gittato, & non havendo luogo dove in alto si potesse fermare, dimostra quello essere stato levato dalle più inferiori parti del già prodotto mondo, & mandato in luce. Che dagli dei fosse poi di novo cacciato in Terra, scrive Homero, che fu per questo, perche per opra di lui Euristeo nacque inanzi Hercole, si come si dirà al suo luogo. Ma in quanto all'interno senso questo io tengo, che dal movimento de' corpi superiori spessissime volte appresso mortali nascano litigi. Appresso si può dire quello essere stato gittato in terra dai superi, conciosia che appresso i Dei superni tutte le cose si facciano con certo, & eterno ordine; là dove appresso mortali a pena si trova alcuna cosa esser concorde. Indi quando dice Chaos bagnata di sudore, & infiammata mandar fuori sospiri, penso, che non istimi altro, che la prima separatione degli elementi, accioche per lo sudore sentiamo l'acqua, per gl'infiammati sospiri poi l'aria, & il foco, & quei corpi, che sono di sopra, & per la grossezza di questa mole, la Terra; laquale subito per consiglio del suo Creatore divenne stanza, & sedia di Pane. Di esser nato poi Pane dietro il Litigio, cred'io, che gli antichi s'imaginarono in quella separatione d'elementi la Natura naturata haver havuto principio, & incontanente alla stanza di Demogorgone, cioè al mondo, essere stata preposta; come se per opra sua, cosi volendo Iddio, tutte le cose mortali siano prodotte. Le Parche poi nate nell'istesso parto, & date per baile al fratello, istimo essere state finte accioche s'intenda la Natura essere stata prodotta con queste leggaccio che procrei, generi, nodrisca, & infine allevi le cose nate; i quali sono i tre uffici delle Parche, ne' cui prestano continua servitù alla natura, si come piu diffusamente nelle seguenti si dimostrerà.

Pane secondo figliuolo di Demogorgone.

Che Pan sia stato figliuolo di Demogorgone, già a bastanza di sopra si ha dimostrato. Di cui Theodontio recita tal favola. Dice, che quello con parole provocò l'Amore, & venuti insieme a battaglia fu da lui vinto; onde per comandamento del vincitore amò Siringa d'Arcadia, laquale essendosi prima fatto beffe dei Satiri, sprezzò anco il maritaggio di quello. Onde Pan constretto dall'amore, & seguendo quella, che fuggiva, venne ch'ella giunta al fiume Ladone, & impedita da quello ivi si fermò, & veggendo non poter schifar Pane, con preghi incominciò dimandare l'aiuto delle Ninfe, per opra delle quali fu convertita in cannelle di paludi. Le cui sentendo Pan per lo movere de' venti, mentre l'una con l'altra si percoteva, essere canore, cosi per l'affettione della giovane da lui amata, come per la dilettatione del suono commosso, volontieri tolse di quelle canne, & di quelle tagliatone sei diseguali, compose (come dicono) una fistola, & con quella primo sonò, & cantò, come anco pare, che Virgilio dimostri; Fu il primo Pan, qual dimostrasse insieme. Con la cera congiunger piu cannelle. Et quello, che segue. Oltre di ciò, di costui i Poeti, & altri famosi huomini descrissero una maravigliosa figura. Percioche, si come Rabano nel libro dell'origine delle cose dice. Questi inanzi l'altre cose, ha le corni fisse nella fronte, che guardano in Cielo, & la barba lunga, & pendente verso il petto, & in luogo di veste una pelle tutta distinta a macchie, laquale gli antichi chiamarono Nebride. Cosi nella mano una bacchetta, & un'instrumento di sete cannelle. Oltre di ciò lo descrive nei membri piu inferiori peloso, & hispido, cioè piedi di capra, & come v'aggiunge Virgilio, di faccia tra rosso, & nero. Rabano istimava questo, & Silvano essere tutto uno. Ma il Mantovano Homero gli descrive diversi dicendo;

 


Venne Silvano ornato il capo agreste.

Con honore squassando i ben fioriti

Piccioli rami, & i gran gigli appresso.

Et poi subito soggiunge.

Indi vi venne Pan d'Arcadia Dio

Et altrove.

Pan, col vecchio Silvano, & le sorelle Ninfe.


 

Et quello, che segue. Lasciate adunque queste cose da parte è da passar più oltre. Et perche sopra Pan è stato detto esservi la natura naturata, quello, che volessero fingere dicendo essere stato vinto dall'Amore, facilmente m'imagino potersi vedere. Percioche come subito la natura fu prodotta da esso Creatore, tantosto incominciò operare, & dilettandosi dell'opra sua quella incominciò amare; cosi, mossa dal diletto, si sottopose all'amore. Siringa poi, laquale dicono essere stata amata da Pan, come diceva Leontio, vien detta grecamente da Sirim , che latinamente suona cantante a Dio. Onde potremmo dire Siringa essere melodia dei Cieli o delle sfere, laquale (come piacque a Pitagora) si faceva overo si fa da' vari movimenti tra se de' circoli delle sfere. Et per consequenza, come cosa gratissima a Iddio, & alla natura, dalla natura operatrice viene amata. O vogliamo piu tosto Siringa essere (oprando d'intorno a noi i sopra celesti corpi) un'opra di natura armonizata con tanto ordine che, mentre con continuo tratto è guidata a incerto, & determinato fine, ci faccia un'armonia non punto differente da quella dei buoni cantori; il che è da credere dover esser gratissimo a Iddio. Perche dicessero poi questa Ninfa essere stata d'Arcadia, & tramuttata in cannelle, penso perche, come piace a Theodontio, gli Arcadi furono i primi che, imaginatisi il canto, mandando fuori per cannelle lunghe, & corte il fiato trovarono quattro differenze di voci; indi ve n'aggiunsero tre. Ultimamente, quello, che facevano con molte cannelle ritirarono in una fistola con i forami vicini alla bocca del soffiante, con l'imaginatione di piu lontani. Ma dice Macrobio questa inventione di Pitagora essere stata cavata dai colpi dei martelli piccioli, & grandi. Giuseppe poi nel libro dell'Antichità de' Giudei vuole il Iubal, molto piu antica inventione, essere stato ritrovamento di Iubalcain suo fratello al tintinir dei martelli; ilquale fu fabbro. Ma perche a' quei c'hanno finto ha paruto piu vero gli Arcadi essere stati gl'inventori, percioche forse in quella età trappassavano gli altri con la fistola, hanno voluto quella essere stata d'Arcadia. Che Siringa poi sprezzasse i Satiri, & Pan fuggendo, & che fossi ritardata dal Ladone, & indi per aiuto delle Ninfe convertita in canna, circa i nostri canti, al mio giudicio nasconde alcuna consideration buona. Perche costei, sprezzati i Satiri, cioè gl'ingegni rozzi, fuggì Pan, cioè l'huomo atto, & nato alle cose musicali; nè veramente fuggì l'atto, ma per istima del desiderante, nella cui prolungatione pare, che cessi quello, che disia. Questa poi viene fermata da Ladone, fino attanto, che si fornisce l'instrumento da mandar fuori l'opra compiuta. È il Ladone un fiume s'una ripa, che nodrisce cannelle della sorte, che dicon Siringa essersi tramutata, de' quali poi habbiamo conosciuto la fistola esser composta. Là onde dobbiamo intendere che, si come la radice de calami è infissa nella terra, cosi anco l'opra dell'arte della musica, & indi il canto ritrovato, tanto sta nascosto nel petto dell'inventore quanto vien prestato l'instrumento da mandarlo fuori; il che si fa delle cannelle con l'aiuto della humidità ch'esce dalla radice. Onde messolo insieme, l'armonia n'esce con l'aiuto dell'humidità dello spirito, ch'eshala. Percioche se fosse secco nessuna dolcezza sonora, ma piu tosto un muggito n'uscirebbe, si come veggiamo farsi del foco mandato per le cannelle. Cosi in calami pare, che sia convertita Siringa, percioche per le cannelle risuona. Oltre di ciò, fu possibile dall'inventor della fistola al primo tratto haver ritrovato le cannelle a questo effetto appresso il Ladone, & cosi dal Ladone ritenuto. Resta vedere quello, che poterono imaginarsi circa l'imagine di Pan. Nella cui istimo gli antichi haver voluto descrivere l'universal corpo della natura cosi delle cose agenti come delle patienti, come sarebbe a dire intendendo per li corni diritti verso il Cielo la dimostratione dei corpi sopra celesti, laqual, con doppio modo intendiamo, cioè con l'arte, per laquale investigando conosciamo i discorsi delle stelle, & per lo cui sentimento sentimo in noi le infusioni. Per l'accesa faccia di lui, l'elemento del foco, al cui istimo, che volsero essere da pigliar l'Aere congiunto, ilqual cosi congiunto, dissero alcuni esser Giove. Per la barba poi, che dimostra la virilità, giudico haver voluto intendere la virtù attiva di questi due elementi cosi congiunti, & appresso la loro operatione in terra, & in acqua, mentre allungarono quella insino al petto, & alle parti piu basse. Indi che fosse coperto d'una pelle macchiata, lo fecero accioche per quella si dimostrasse la maravigliosa bellezza dell'ottava sfera dipinta dallo spesso splendore delle stelle; dalla cui sfera, si come l'huomo è coperto dalla veste, cosi tutte le cose appartenenti alla natura delle cose sono celate. Per la verga poi m'imagino essere da intendere il governo della natura, per lo quale tutte le cose, massime quelle, che mancano di ragione, sono governate, & nelle sue operationi sono ancho guidate a diterminato fine. Aggiunsero a quello la fistola, per disegnare l'armonia celeste. Ch'egli circa le parti piu basse havesse il ventre hispido, & peloso, intendo la superfitie della Terra, dei monti, quella gobba delli scogli, & quella coperta delle selve, dei virgulti, & delle gramigne. Altri poi giudicarono altramente, cioè per questa imagine esser figurato il Sole, ilquale credettero padre, & signore delle cose. Tra quali fu Macrobio. Cosi vogliono i suoi corni essere inditio della Luna, che rinasce, over la faccia rossa l'aspetto dell'Aere la mattina, & la sera fiammeggiante. Per la lunga barba, i rai d'esso Sole, che calano fino in terra. Per la macchiata pelle, l'ornamento, che deriva dalla luce del Sole. Per lo bastone, overo verga, la potenza, & la moderatione delle cose. Per la fistola, l'armonia del Cielo conosciuta dal movimento del Sole, si come di sopra. Credo, Magnanimo Re, che tu veggia come liggiermente la passi nelle spositioni, il che faccio per due ragioni. Prima, perche mi confido, che tu sia di nobile ingegno, per lo quale tu possa, con ogni piccioli inditii, che ti siano dati, penetrare in tutti i profondissimi sentimenti. Secondariamente perche egli è da credere alle seguenti. Conciosia che, s'io volessi descrivere tutte quelle cose, che si ponno addurre alla spositione di questa favola parrebbe forse, ch'io l'havessi voluto fare per invidia della posterità, & essa sola occuparebbe quasi tutto l'imaginato volume. Ilche voglio anco, che sia detto dell'avanzo. Et per ritornare alle lasciate, questo Pan, overo quelle, che in processo gli Arcadi istimarono istesso con Demogorgone (come è paruto a Theodontio), ò che sprezzato quello drizzassero tutte le menti in questo, con sacrificij horrevoli, come sarebbe dire sacrificandoli con sangue humano, anzi de figliuoli, grandemente adorarono et lo chiamarono Pana, da Pan, che latinamente significa il tutto. Volendo perciò che tutte quante le cose, che sono nel grembo della Natura siano concluse, et cosi ch'essa sia il tutto. I piu giovani poi, percioche le cose rinovate piacciono chiamarono Pana Liceo. Altri levato il nome di Pan solamente il dissero Liceo, & alcuni Giove Liceo, istimando per opra della natura, overo di Giove, i lupi lasciare le greggi, de' quali quasi tutti loro erano molto abondanti, et cosi dal cacciar dei lupi pare, che meritasse il cognome. Percioche in greco il lupo si dice Licos. Ma Agostino dove scrive della Città d'Iddio narra non perciò essere avenuto, che Pan si chiamasse Liceo, anzi per la spessa mutatione degli huomini in lupi, che occorreva in Arcadia, il che pensavano non esser fatto senza operatione divina. Oltre di ciò pare, che Macrobio habbia voluto intendere Pan non in vece di Giove, ma esser il Sole. Percioche il Sole era tenuto per padre di tutta la vita mortale. Conciosia che al levar suo, havevano in usanza i lupi, lasciate l'insidie contra i greggi, ritornar nelle selve, cosi per questo beneficio il chiamarono Liceo.

Cloto, Lachesi, & Atropos, figliuole di Demogorgone.

Cloto, Lachesi, & Atropos, come di sopra, dove si ha trattato del Litigio, furono figliuole di Demogorgone. Ma Cicerone chiama queste le Parche, dove scrive delle Nature de' Dei, & dice, che furono figliuole dell'Herebo, & della Notte. Nondimeno piu tosto m'accosto a Theodontio, ilquale dice quelle essere create con la natura delle cose, il che molto piu pare al vero conforme, ciò è loro essere state coetanee alla natura delle cose. Et queste istesse dove di sopra Tullio le chiama in singolar Fato, facendolo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, io piu tosto, havendo rispetto a quello che vien scritto del Fato, accioche dopo seguiti figliuolo di Demogorgone, chiamerollo con questo nome, che è in luogo di Parche. Seneca poi nelle Pistole a Lucullo chiama queste Fati, citando il detto di Cleante, cosi dicendo: I Fati traheno quello che vuole, & non vuole. Ilche circa non solamente descrive il loro ufficio, cioè esse sorelle guidare il tutto, ma anco costringere, non altrimenti, che se di necessità occorra il tutto. Laqual cosa molto piu apertamente pare, che Seneca Poeta Tragico tenga nelle Tragedie, massimamente in quella il cui titolo è Edippo, dove dice; Da i Fati siamo constretti ai Fati credere. Non ponno le sollecite diligenze cangiare li stami del torto fuso. Ciò, che patisce il genere mortale, & ciò, che facciamo, la conocchia rivolta alla dura mano di Lachesis, rivolge dal Cielo, & serba i suoi decreti. Tutte le cose vanno per troncato sentiero, & il primo giorno ha dato l'estremo. Non l'è concesso da Iddio rivolger quelle cose lequali congiunte per sue cagioni occorrono. Và a colui l'ordine immobile, a cui istima senza nessuna preghiera, che noccia haver temuto lui per molte cagioni. Molti vennero al suo fato, mentre temerono i Fati, et quello, che segue. Ilche pare anco, che Ovidio giudicasse, quando nel maggior suo volume in persona di Giove dice a Venere;

 


Tu sola pensi l'invincibil Fato

Poter cangiare, se ben'entro entrassi

Da le sorelle, dove tu vedrai

Le istanze da le tre d'una gran mole,

Et d'aere i palchi, & di ben fermo ferro:

I quai non temon, ne di Ciel concorso,

Nè di fiume ira, nè rovina alcuna,

Cosi sicuri sono, & anco eterni

Ivi tu troverai scolpiti i Fati,

De la prosapia tua, di dur diamante.


 

Per lequali parole, oltre già la falsa opinione, si può considerare queste tre sorelle essere il Fato, & come, che Tullio habbia distinto i Fati in Parche, & Fati, volendo piu tosto, come istimo, con la divinità dei nomi dimostrar la diversità degli uffici, che delle persone. Ma noi di questi tre, ultimamente da esser ridotti in uno, quello, che ne sentano alcuni vederemo. Di sopra habbiamo detto queste essere state dedicate dal Padre ai servigi di Pane, et n'habbiamo dimostrato la cagione. Fulgentio poi dove tratta dei Mitologij dice quelle essere state attribuite ai voleri di Plutone dio degl'Inferi, & credo affine, che sentiamo le attioni di queste solamente impacciarsi d'intorno le cose terrene, perche Pluto s'interpreta terra. Et dice il medesimo Fulgentio Cloto essere interpretata Evocatione, percioche, gittato il seme di ciascuna cosa, sta in suo potere condur quello di maniera in accrescimento, che sia atto a venir in luce. Lachesi poi (come vuole l'istesso) viene interpretata protrattione, cioè guida, & allungatione; conciosia che tutto quello, che da Cloto è composto, & chiamato in luce, da Lachesi viene raccolto, & allungato in vita. Ma Atropos dall'A , che significa senza, & Tropos , che è conversione, o vogliamo dire tramutatione, viene ad essere interpretata senza conversione; attento, che ogni cosa nata subito, che da lei è conosciuta essere giunta al termine a se prima segnato conduca a morte, dallaquale per opra naturale non è poi nessuna conversione. Apuleio poi Medaurese Filosofo di non minor auttorità di queste nel libro da lui chiamato Cosmografia cosi ne scrive; Ma sono tre i Fati per numero, che oprano con la ragione del tempo, se tu riferisci la potenza di questi alla assimiglianza del medesimo tempo. Percioche quello, che nel fuso è compiuto ha spetie del tempo passato; quello, che si torne nei diti significa li spatij del momento presente, & quello, che anche non è tratto dalla conocchia, & sottoposto alla cura dei diti, pare, che mostri le cose avenire del futuro, & consequente secolo. A questi ha toccato tale conditione, & proprietà dei loro nomi. Che Atropos sia il fato del tempo passato, il che veramente Iddio non sarà non fatto, del tempo futuro; Lachesi poi cognominata dal fine, percioche anco Iddio hà dato il suo fine alle cose, ch'hanno a venire. Cloto ha cura del tempo presente, accioche persuada ad esse attioni; affine, che la cura diligente non manchi a tutte le cose. Questo dice Apuleio. Sono appresso di quelli, che vogliono Lachesi essere quella, che noi chiamiamo Fortuna; et da lei l'essere maneggiate tutte quelle cose, che s'appartengono à mortali. Ma quello, che tengano gli antichi del fato, come che non siano molto differenti dai precedenti, hora parmi da vedere. Dice adunque Tullio del fato, nel libro ch'egli scrisse della Divinatione, in questo modo: Chiamo il fato quello ch'i Greci marmedine, cioè ordine, & capo delle cause, partorendo la causa di se la causa, & quella è la verità sempiterna, che abonda d'ogni eternità; il che cosi essendo, non ha per avenire alcuna cosa, della cui la natura non contenga le cagioni ch'oprano l'istesso. Onde s'intende, che il fato sia, non quello che superficiosamente, ma quello, che filosoficamente vien detto causa eterna delle cose, per laquale si sono fatte le cose passate, si fanno quelle, che sono, & quelle, che seguiranno sono per essere. Questo dice Cicerone. Boetio Torquato poi, huomo studiosissimo, et catholico, dove scrisse della consolatione filosofica, altercando diffusamente sopra questa materia con la filosofia maestra delle cose, tra l'altre cose dice del Fato cosi; La generatione di tutte le cose, & tutto il progresso delle nature mutabili, & ciò, che si move ad alcun modo, opera, & seguita le cause, gli ordini, & le forme secondo la stabilità della mente divina. Questa, composta nella Roccha della sua semplicità, ordinò diverso modo nell'essequire le cose; ilqual modo, riguardandosi con essa purità di divina intelligenza, viene detto Providenza. Quando poi egli vien rifferito a quelle cose, che move, & dispone, dagli antichi è chiamato Fato. Queste cose dice Torquato. Potrei anco descrivere quello, che Apuleio nella Cosmografia diterminò del Fato, & appresso l'openioni d'altri; ma perche istimo assai essersi detto, brevemente descriverò perche le Parche, ò il Fato, overo i Fati siano detti figliuoli di Demogorgone o dell'Herebo, overo della Notte. Havendo spesso ad occorrere per l'avenire, & essendo già nelle precedenti cose accaduto, che il causato sia detto figliuolo del causante, possiamo al presente dire queste tre sorelle, chiamate con diversi nomi, figliuole d'Iddio, come da lui causate; ilquale è prima cagione delle cose, come a bastanza per le parole poco dianzi di sopra di Cicerone, & Torquato si può vedere. Questo Iddio, come è stato detto, gli antichi chiamarono Demogorgone. Che poi dell'Herebo, & della notte, come dice Tullio, siano nate, si può produrre tal ragione. L'Herebo è un luogo (come piu apertamente si dimostrerà nelle cose seguenti) della Terra profondissimo, & nascosto, ilquale allegoricamente possiamo torre per la profondità della divina mente, nella cui occhio mortale non può penetrare, & la divina mente, come sé stessa veggendo, intendendo quello havesse a fare producesse indi queste, havendo a fare con la natura delle cose; onde a bastanza possiamo dire essere nate dall'Herebo, cioè dal profondissimo, & interno segreto della divina mente. Figliuole poi della Notte si ponno dire in quanto a noi, percioche tutte quelle cose nelle quali la luce degli occhi nostri non può penetrare chiamiamo oscure, & simili alla notte quelle, che mancano di luce. Cosi noi adombrati da mortal nebbia non potendo passare con l'intelletto all'intrinseco della divina mente, essendo quella in sé chiarissima, & splendente di viva, & sempiterna luce, attribuiamo il vitio a lei col nome del nostro habito, chiamando notte il giorno chiaro. Et cosi saranno figliuole della Notte, o vogliamo dire, perche ci sono nascoste le loro dispositioni le chiamiamo oscure, e figliuole della Notte. De' nomi propri egli s'ha detto di sopra; degli appellativi, si dirà. Chiama adunque Tullio queste Parche come pens'io per antifrasim, percioche non perdonano a nessuno; conciosiache appresso loro non è alcuna eccettione di persone. Solo Iddio può calcare, & rivolgere le sue forze, & ordine. Fato poi, overo Fati, è nome tratto da for faris, quasi che vogliano quelli, che l'imposero tal nome, che da quelle di maniera quasi irrevocabile sia detto, overo previsto; come per le parole di Boetio assai si comprende, & come anco pare, che tenga Santo Agostino dove parla della Città di Dio: ma egli rifiuta il vocabolo, avisando, che se alcuno chiamerà la volontà o la potenza d'Iddio con nome di Fato, sia sententiato a lasciarvi la lingua.

Polo, sesto figliuolo di Demogorgone.

Dicono appresso Polo essere stato figliuolo di Demogorgone, & questo nel suo Protocosmo afferma Pronapide, che di lui recita tal favola. Dicendo che, stando appresso l'onde nella sua sedia Demogorgone, & del fango, che n'usciva compose una massa da lui chiamata Polo, ilquale spezzato le caverne del Padre, & la pigritia se ne volò in alto, & essendo anco una mole, nel volare crebbe in cosi gran corpo, che circondò tutte quelle cose, che per inanzi dal Padre erano state composte. Ma nè anco havea alcuno ornamento; quando stando d'intorno al Padre, che fabricava il globo della luce, & veggendo molte faville accese per li colpi dei martelli, che qua, & là volavano, allargato il grembo tutte le raccolse, & portolle nella sua stanza, adornandola tutta di quelle. Havrei, Inclito Re, di che ridermi veggendo cosi disutile ordine del composto mondo; ma inanzi ho protestato non voler biasimare alcuna cosa. Seguita adunque nel resto secondo quei, che vogliono l'opinione di Pronapide, che di terra inclusa dalla mente divina in terra essere stata prodotta, mentre dice il Polo; ilquale io intendo il Cielo, di terra estesa essere fatto, & ridotto in grandissimo corpo ch'abbraccia il tutto. Che poi di faville ch'uscivano dalla luce ornasse la sua casa, istimo ciò essere insteso perche, splendendo i raggi del Sole, le stelle locate in Cielo, per natura mancando di sua luce, siano fatte splendenti. Il Polo poi vien detto, come penso, da alcune sue parti piu appartinenti, percioche è chiaro, secondo, che l'Honorato Andalone mio precettore, & gli antichi auttori d'Astrologia affermano, tutto il Cielo essere fermato sopra due Poli; l'uno de quali, il piu vicino a noi chiamano Artico, & l'opposito Antartico. Nondimeno alcuni chiamano questo Poluce; ma non ne trovo la cagione.

 

Fitone, settimo Figliuolo di Demogorgone.

Fitone (per testimonio di Pronapide) fu figliuolo di Demogorgone, e della Terra: della cui natività egli recita tal favola. Dice, che Demogorgone fastidito dal rincrescimento della continua nebbia ascese i monti Acrocerauni, & da quelli trasse una troppo grande, & infiammata mole, & prima con forsici d'ogn'intorno la tondò, indi col martello la fermò nel monte Caucaso. Dopo questo la portò di là dal Taprobane, e sei volte bagnò quel lucido globo nell'onde, & altrettante lo girò d'intorno per aria: e questo fece, accioche per lo girare mai non si potesse sminuire, nè mancare dalla rugginezza dell'età: & affine, che anco piu leggieri fosse portato per tutto. Ilquale subito levandosi in alto entrò nella stanza del Polo, & empì tutta la stanza del Padre di splendore. Poi per le immersioni sue l'acque pria dolci pigliarono l'amarezza del salso, & l'aere cacciato dai giri fu fatto a capire i raggi della luce. Orfeo poi, ilquale fu antichissimo di quasi tutti i Poeti (come Latantio scrive nel libro delle Divine Institutioni) ha creduto questo Fitone essere il primo grandissimo, & vero Iddio, & da lui essere stato prodotto, & creato tutte le cose; il che forse in questa opra gli havrebbe dato il primo loco, havendo cosi degno testimonio, se esso istesso Orfeo poco considerando (come istimo), o vero perche non potesse imaginarsi alcuno non essere stato generato, non havesse scritto: Prothogonus Fiton perimeteos; neros, & yos, che in verso suona;

 

Nacque in principio Fithon d'aere lungo.

 

Cosi non viene ad essere primo, si come di sopra havea detto, essendo generato dall'Aere. Oltre di ciò Lattantio, dove di sopra lo chiama Faneta. Ma l'ordine già pigliato ricerca, che noi veggiamo quello, che contenga la fittione; il che si vedrà quasi da sé, dichiarato c'havremmo il senso de' nomi. Uguccione nel libro dei Vocaboli dice Fitone essere il Sole, & haversi acquistato tal nome dal serpente Fitone da lui amazzato. Cosi anco Paolo nel libro da lui chiamato delle Collettioni dice Fanos , overo Faneta esser l'istesso, che apparitione. Cosi anco Lattantio chiama questo Fitone, ilqual nome benissimo si conviene al Sole. Percioche egli è quello, che levando appare, & cessando lui non sarà alcuna apparitione d'altre creature mortali, o vero anco di stelle. Adunque Pronapide vuol dimostrar la creatione del Sole, circa laquale, accioche consegua la sua opinione, quelli, che vogliono tutte le cose create di terra induce Iddio, overo la divina mente della Terra, dagli Acrocerauni monti haver tolto la materia, istimando egli la terra infiammata essere piu atta a componere un lucido corpo. Che poi con forsici tondasse questa mole, intendo la divina arte; per laquale di maniera il globo del Sole è fatto talmente sferico, che per alcuna cosa soprabondante la sua superfitie è gobba. Medesimamente anco il martello può essere chiamato intento del sommo artefice, col quale nel monte Caucaso, cioè nella sommità del Cielo, di maniera formò quel corpo solido, & fermo, che da nessuna parte pare, che non si possa sminuire nè consumare. Indi dice quello essere stato portato di là Taprobane, affine di dimostrare dove si pensi essere stato creato. Taprobane è una Isola dirimpeto alla foce del fiume Gange, dalla cui parte nell'Equinotio a noi nasce il Sole, & cosi pare, che voglia essere composto in Oriente. Dice poi, che sei volte fu ivi tuffato nell'onde, immitando le attioni del fabbro; ilquale per indurare il ferro bollente lo caccia nell'acqua. Et in ciò giudico, che Pronapide habbia voluto mostrare la perfettione, & eternità di questo corpo. È poi il sei numero perfetto, che si fa con tutte le sue parti compiute; onde vuole, che intendiamo la perfettione dell'artefice, & dell'arteficiato. Indi che lo girasse d'intorno sei volte, istimo, che per lo numero perfetto del giro habbia voluto descrivere il suo motto circolare, & che non manca; dal cui mai non si trova egli haver mancato nè essere restato. Che poi, per haver bagnato il grande, & infiammato corpo, le acque prima dolci siano divenute amare, penso non essersi detto per altro se non affine di dimostrare, che per lo continuo percuotere degli ardenti raggi del Sole nell'acque del mare, che quella superficie di sopra via dell'acqua marina sia divenuta salsa, come vogliono i Fisici.

 

Terra ottava figliuola di Demogorgone, laquale di non conosciuti padri partorì cinque figliuoli, cioè Notte, Tartaro, Fama, Thaigete, & Antheo.

La Terra, come di sopra si è veduto, fu sedia, & figliuola di Demogorgone; dellaquale Statio nella Thebaide cosi scrive;

 


O eterna madre d'huomini, & di Dei,

Che generi le selve, i fiumi, e tutti

Del mondo i semi, d'animali, & fiere.

Di Prometheo le mani, e insieme i sassi

Di Pirra, & quella fosti, la qual diede

Prima d'ogn'altra gli elementi primi,

E gli huomini cangiasti, &, che camini,

E 'l mare guidi, onde a te intorno siede

La queta gente degli armenti, & l'ira

De le fiere; e il riposo degli uccelli:

Et appresso del mondo la fortezza

Stabile, e ferma, & del Ciel d'Occidente

La macchina veloce, & l'uno, & l'altro

Carro circonda te, ch'in Aere vuoto

Pendente stai. O de le cose mezzo,

Et indivisa ai grandi tuoi fratelli.

Adunque insieme sola a tante genti,

Et una basti a tante alte Cittadi,

Et popoli di sopra, anco di sotto,

Che senza sopportar fatica alcuna

Athlante guidi, ilqual pur affatica

Il Cielo à sostener, le Stelle e i Dei.


 

Et quello, che segue. Ne quai versi certamente a pieno si dimostra l'opra, e le lodi della Terra; della cui generatione havendone detto di sopra, dove si hà parlato del Litigio parmi più non essere bisogno dirne altro. Nondimeno gli antichi la chiamarono moglie di Titano, & che di lui partorisce alcuni figliuoli, come è stato dianzi mostrato, & dal nepote Oceano, & dall'infernal Fiume Acheronte, et anco da altri non conosciuti, come si mostrerà al luogo suo. Oltre di ciò la chiamarono per molti nomi, come sarebbe a dire Terra, Tellure, Tellumene, Humo, Arrida, Buona Dea, gran madre, fauna, & fatua. Ha oltre di ciò costei con alcune dee i nomi comuni, perche si chiama Cibele, Berecinthia, Rhea, Opis, Giunone, Cerere, Proserpina, Vesta, Isis, Maia, & Media. Ma quello, che d'intorno i predetti volsero intendere i Theologhi, è homai da vedere. La chiamano moglie di Titano, che è il Sole, percioche il Sole in lei opra come in materia atta a produrre ogni sorte d'animali, metalli, pietre pretiose, & simili cose. Alcuni vogliono Titano essere stato un huomo di gran potere, & chiamato marito nella Terra perche possedeva molto terreno, & hebbe figliuoli di tanta maravigliosa fortezza, & grandezza di corpo, che parevano nati non di donna, ma di molto maggior corpo, come sarebbe della Terra. Et per giungere ai nomi, dice Rabano nel libro dell'origine delle cose la terra essere detta con questo nome da terendo , percioche cuopre quello, che s'appartiene alla superficie sola; Tellus poi, come l'istesso testimonia, è detta percioche da quella tagliamo i frutti. Ma Servio dice Terra essere quella, che si cuopre, & Tellus la Dea. Et altrove dice Tellus essere la Dea, & terra lo elemento; ma alle volte l'una si mette per l'altra, si come Vulcano per lo fuoco, & Cerere per lo frumento. Tellumene poi, com'io per congiettura posso capire, dissero quella parte della terra laquale non si cuopre, nè è buona per radici di gramigne ò d'arbori, percioche è molto piu inferiore di quella, che si dice Tellure. Humo poi, secondo Rabano, è chiamata quella parte della terra, che ha molta humidità, come è propinqua a i paludi, & ai fiumi. Chiamarono anco Arida la terra; non perche il Creatore dalla creatura sua cosi la nomasse, affine di mostrare la sua vera complessione, ma percioche si ara. Ma Buona Dea, per testimonio di Macrobio ne' Saturnali, fu detta cosi essendo causa a noi di tutti i beni al vivere. Per che nudrisce le cose, che producono, serba i frutti, dà l'esche agli uccelli, i paschi ai bruti, de' quali anco noi siamo nodriti. Gran Madre poi, secondo Paolo, volsero, che si chiamasse pensandosi, che fosse creatrice del tutto. Ma io istimo perche come pia madre con sua grandissima abondanza nodrisce tutte le cose mortali, & nel suo grembo raccoglie quelle che muoiono. Perche poi la dicessero Fauna, Macrobio il descrive dicendo, tutto che favorisce ad ogni uso degli animali; il che è di maniera chiaro, che non fa mistieri dichiararlo. Fatua dice, che è detta a fando, come vogliono gli antichi, che significa dal parlare. Conciosia che i fanciulli da essere partoriti non prima hanno voce ò la mandano fuori, che non tocchino quella. I quai nomi veramente con gli altri nomi sono comuni; dove nelle seguenti cose, facendone mentione, s'intenderanno tutto uno. Ma verremo a dichiarare de figliuoli, iquali dicono ella haver partorito di Padre incerto.

Notte prima figliuola della Terra.

Dice Paolo, d'incerto padre la notte essere stata figliuola della terra. Dellaquale Pronapide recita tal favola, cioè quella essere stata amata da Fanete pastore; ilquale ricercando per sposa alla madre, & quella volendoglila dare, ella rispose, che non voleva un huomo non conosciuto, da lei non mai veduto, et sentito ricordare per huomo molto differente da suoi costumi, onde più tosto voler morire, che a lui maritarsi. Di che sdegnato Fanete, d'inamorato se le fece inimico, & seguendola per amazzarla ella si congiunse con l'Herebo, non havendo ardire apparrire dove fosse Fanete. Dice appresso Theodontio, che Giove à costei concesse la carretta da quattro ruote, conciosia che gli era stata favorevole mentre inanzi giorno andava a ritrovare Alcmena. Oltre di ciò, come, che sia fosca, la ornarono di una sopravesta dipinta, & lucente, & ciò in sua lode, & affine, che in parte dimostrasse il suo effetto. Statio nella Thebaide canta questi versi;

 


Notte, ch'abbracci tutte le fatiche

Del Cielo, e de la terra, & oltre mandi

L'ardenti stelle con trascorrer lungo,

Cercando riparar l'animo fiero,

Mentre Titano agli animali infermi

Vicino infonde i parti suoi veloci.


 

Et quanto va dietro. Ma hora veggiamo il senso. Dicono prima quella essere figliuola della terra senza conoscimento di padre certo. Il che istimo perche la terra per la densità del suo corpo opra, che i raggi del Sole nella parte opposta a quelli non possano penetrare, cosi per causa della terra si fa l'ombra cosi grande quanto spatio viene occupato dalla metà del corpo della terra. La cui ombra viene chiamata notte. Et cosi come causata dalla terra, & non da altra cosa, viene istimata solamente figliuola della notte, senza haver padre certo nè conosciuto. Che poi fosse amata da Fanete Pastore, credo deversi intendere a questo modo. Io penso Fanete essere il Sole, & però detto pastore, conciosia che per opra sua le cose viventi si pascano. Che amasse la Notte, istimo essere, finto attento, che egli, desiderando come cosa da lui amata vederla, con veloce corso la segue, & pare, che seco si voglia congiungere. Quella poi lo rifiuta, ne con quello fugge di che egli la segua. Conciosia che i costumi loro sono differenti, imperoche egli alluma, & ella oscura. Ne indarno dice, che se la giunga la vuol far morire, dissolvendo il Sole con la sua luce ogni oscurità; cosi le diventa inimico. Indi la notte si congiunge con l'Herebo, cioè con l'inferno, nel cui non penetrando mai i solari raggi la notte vive, e sta sicura. Che poi prestasse favore a Giove, la favola il manifesta, come si vede in Plauto nell'Anfitrione. Percioche essendo andato Giove la mattina nell'alba a ritrovare Alcmena, la notte, per prestargli favore, come se incominciasse dopo il tramontar del Sole durò in lunga oscurità, per laqual cosa meritò il carro da quatro ruote; per lo cui continuo giro, che fa della terra intendo significare i quattro tempi della notte, che solo serveno al notturno riposo. Macrobio partisce la notte in sette tempi, il primo incomincia dallo entrar del Sole, & chiamasi crepusculo da crepero, che significa dubbio, conciosia che dubiti se sia da concedere al giorno passato o alla notte vegnente, & questo non diserve alla quiete. Il secondo poi, quando è oscuro, si chiama prima face, conciosia che allhora si accendono i lumi; nè questo è commodo al riposo. Il terzo, quando la notte è già piu densa, & allhora si dice intempestiva notte, perche quel tempo non è atto à operatione alcuna. Il quinto si noma Gallicinio, conciosia che dal mezzo suo in poi, venendo la notte verso il giorno, i galli cantano. Il sesto è detto conticinio, già vicino all'aurora, & cosi si chiama perche alhora per lo piu il riposo è grato, & per ciò tutte le cose stanno quete, & ferme. Et questi quattro termini si attribuiscono alla quiete. Il settimo si chiama Diluculo, cosi detto dal giorno, che già luce, nel cui tempo gl'industriosi si levano per fatti suoi, & ilquale non è punto atto al sonno. Et cosi tante sono le ruote del carro della notte quanto in lei sono i tempi, che solamente serveno al riposo. Overo vogliamo a guisa di nocchieri o di guardie de' castelli partire la notte in quattro parti, cioè nella prima, nella seconda, terza, & quarta vigilia della notte. Cosi verremo a fare quattro ruote del carro di tante vigilie. Che poi sia vestita di veste dipinta, facilmente si può vedere quella significare l'ornamento del Cielo, del quale siamo coperti. La notte anco, come dice Papia, cosi si chiama perche nuoce agli occhi, conciosia che toglie a quelli l'ufficio di vederci, imperoche di notte non ci veggiamo. Nuoce appresso perche è mal atta alle operationi; imperoche leggiamo; Odia la luce quel, ch'opera male. Onde segue, che ami le tenebre come piu atte al mal fare. Et dice anco Giuvenale.

 


Per gli huomini scannar levan di notte

I ladroni, etc.


 

Oltre di ciò Homero nella Iliade la chiama donatrice de' Dei, accioche conosciamo, che la notte quei di grand'animo rivoltano grandissime cose nei loro petti. Nondimeno la notte, poco atta a tai cose, aggrava gli spiriti infiammati, & constringe quelli come domati fino alla luce. Hebbe appresso, costei, sì dal marito come da altri, molti figliuoli, come si narrerà nelle seguenti cose.

 

La Fama seconda figliuola della Terra.

Piace a Virgilio, Poeta d'ingegno divino, la Fama essere stata figliuola della Terra, mentre nell'Eneida dice,

 


Quella la terra partorendo tratta

Per sdegno de li Dei, sorella estrema,

(Come dicon) d'Encelado, & di Ceo,

Generò pure , & quello, che segue.


 

Di costei, accioche appaia la cagione della sua origine, da Paolo è recitata tal favola, che per ingordigia di regnare essendo nata guerra tra i giganti Titani figliuoli della Terra, & Giove, si venne a questo, che tutti i figliuoli della terra ch'erano contrari a Giove fossero amazzati, & da Giove, & dagli altri Dei. Per la cui doglia la Terra sdegnata, & di vendetta ingorda, non essendo bastanti l'arme sue contra cosi potenti nemici, affine d'oprar quel male, che per lei si potesse, con tutte le forze, constretto l'utero suo mandò fuori la Fama, riportatrice delle scelerità degli Dei. Poscia, di costei descrivendo Virgilio la statura, & l'accrescimento, cosi dice:


 

La Fama è un mal di cui non più veloce

È alcun'altro, & di volubilezza

Sol vive, & caminando acquista forze,

Picciola al timor primo, e s'inalza

Fino alle stelle, & entra ne la terra,

Et tra i nuvoli ancora estende il capo.

Et poco da poi soggiunge:

Et veloce de piedi, e liggier d'ale,

Un monstro horrendo, & grande, al quale quante

Sono nel corpo piume sono tanti occhi

 

Di sotto vigilanti, e tante lingue,

(Maraviglia da dire), & tante bocche

Suonano in lei, & tante orecchie inalza.

Vola di notte in mezzo'l Ciel stridendo

Et per l'ombra terrena, nè mai china

Gli occhi per dolce sonno, & siede il giorno

A la guardia del colmo d'alcun tetto,

O sopra d'alte, & eminenti torri,

Le gran Città smarrendo, e sì del falso,

Come del vero è messaggier tenace.


 

Senti adunque eccelso Re, con quanto ornamento di parole, con quanta eleganza, & con quanto suco, benche in molto stretta fintione, Virgilio si sforzi mostrare, & dimostri quali siano le sue attioni, veramente che lo senti. Ma accioche quelli che (oltre di te) sono per leggere le veggiamo un poco più stese, a me piace esporre alquanto, lasciando nondimeno da parte quello, che si voglia la favola di Paolo. Dice adunque primieramente la Terra sdegnata per l'ira delli dei: il che circa per gli irati Dei, intendo l'opra delle stelle d'intorno alcune cose. Perche le Stelle, ò i corpi sopra celesti, senza dubbio oprano in noi per la potenza a loro dal Creatore conceduta, secondo le spositioni di quelli, che ricevano li loro influssi. Et di quì nasce, che un fanciullo o un giovanetto cresce per opra sua. Quando poi venendo vecchio si declina, & mai non si disgiunge dalla ragione dell'ottimo governatore, mai non oprano alcuna cosa, che non paiano al falso, & subito giudicio di mortali, haverla fatta con sdegno, come sarebbe quando guidano al suo fine un Re giusto, un felice Imperadore, et un valoroso soldato. Et perciò disse Paolo Dei sdegnati perche amazzarono quegli huomini, i quali gli huomini istimavano degni da essere fatti eterni. Ma, che segue da questo; la terra per tal opra chiamata ira degli dei si sdegna, & questa Terra s'intende l'huomo animoso, percioche tutti siamo di terra. E a che si muove ella ad ira, affine di partorire la Fama vindicatrice della futura morte, cioè, che opri quello per lo quale la fama del suo nome nasca; accioche per ira degli Dei essendo caduto il suo nome, per la Fama degli oprati meriti sopraresti, contra il voler anco di quelli, che amazzaando l'huomo si sono sforzati in tutto levarlo dalla memoria. Al che ci essorta anco Vir. dicendo;

 


A ciascun sta il suo giorno, & hanno tutti

Di vita breve, e irreparabil tempo.

Ma la fama inalzar coi propri fatti.

Quest'è di virtù sola ingegno, & opra.


 

Chiama Virgilio questa Fama di sopra un male, percioche per acquistarla con dritto passo tutti non vi concorriamo. Conciosia che per lo più veggiamo i sommi sacerdotij essere occupati con inganni, per frodi ottenersi le vittorie, per violenza possedersi i prencipati, & tutte quelle cose licite, & illecitamente essere acquistate, che sogliono inalzar i nomi. Attento che, se si opra virtuosamente, alhora non si chiama vivendo la Fama vivere un male. Ma non propriamente ha parlato l'Auttore, usando per l'infamia il vocabolo della Fama. Conciosia che, se guarderemo la fittione, o più tosto la cagione, a bastanza conosceremo da quella essere seguita la infamia, & non la Fama. Appresso dice questa nella prima paura picciola, & cosi è. Imperò che come, che i fatti siano grandi, da' quali nasce, pare, c'habbia principio da una certa tema degli ascoltanti, attento che sempre siamo mossi dal primo sentire di alcuna cosa, & se ci piace habbiamo paura, che sia falsa, se poi ci spiace, medesimamente teniamo, che sia vera. Poi s'inalza in Aere, cioè vola in ampliarsi per lo parlare delle genti; over si caccia tra gli huomini mediocri, & indi va per la terra, cioè tra il vulgo, & i plebei. Allhora poi nasconde il capo tra i nuvoli, quando si trasferisce ai Re. Et anco veloce d'ale perche, com'esso dice, nessuna cosa non è più veloce. L'afferma gran monstro, & horribile per rispetto del corpo, che a lei descrive, volendo che tutte le sue piume (chiamandola uccello per lo suo veloce movimento) habbiano effigie d'huomo, non ad altro fine, che per ciò s'intenda, che ciascun, che parli d'alcuna cosa aggiunga una pena alla Fama, & cosi di molti, essendo molte le piume degli uccelli, & non di poche si fa Fama. O più tosto chiama questo horribil monstro perche quasi mai non può essere vinto. Conciosiache quanto più alcuno cerca opprimerla, tanto più diventa maggiore; il che è cosa monstruosa. Dice appresso tutti i suoi occhi essere vigilanti, attento che la fama non risuona se non da persone vigilanti. Percioche se il parlamento sta queto, & dorme, la fama si converte in niente. Che poi la notte voli in mezzo il Cielo, il dice perche spessissime volte s'è ritrovato la sera essere avenuto alcun fatto, che la mattina anco in lontanissime parti si ha saputo, non altramente, che se la notte fosse volata. Overo, che dice questo affine di mostrare la vigilanza de' cianciatori. Indi fa, che il giorno ella sieda guardiana, per dimostrare, che per le sue nove si mettano guardie alle porte delle Terre, & delle Città, & sopra le torri ad eccittare i guardiani, overo a far la scorta di lontano. Et non distinguendo il falso dal vero, è contenta rifferire tutte le cose per vere. La cui stanza appresso nel suo maggior volume cosi discrive Ovidio;

 


Tra terra, mare, & il celeste clima

Vicino a mezo il mondo è un ampio luogo

Da cui si vede quanto in quello è posto,

Benche lontani sian tutti i paesi;

Dove ogni voce penetra le cave

Per fino al Cielo. Ivi la fama tiene

Il seggio suo, e in quella rocca elesse

Entrate innumerabili, & aggiunse

Mille forami ai tetti, & non rinchiuse

D'alcuna porta i muri, anzi dì, è notte

Sta sempre aperta, & tutta, è fabricata

Di bocche risonanti, & tutta freme,

Et riporta le voci, e ogn'hor palesa

Quello ch'ell'ode. Entro non v'è riposo,

Nè alcun silentio da alcuna parte

Non solo v'è gridar, ma un mormorare

Bugiardo, & temerario, ivi la vana

Letitia, & ivi le abbattute teme,

La nova sedition (senza sapersi

Di bassa voce, come propio quello

Che da l'onde del mar suol esser fatto;

Se di lontano alcun fremer lo sente,

Overo qual'è il suono, allhor che Giove

Fende l'oscure nubi, onde si fanno

Gli estremi suoi, & occupa i theatri

La turba, e il liggier vulgo vassi, e viene

Insieme seminando varie cose;

Et vere, & false, et van volando insieme

Mille parole da rumor confuse,

Di quali empiono questi co i parlari

L'orecchie vuote. Rifferiscon questi

Le cose udite ad altri, & cresce appresso

La misura del finto, e il novo auttore

Sempre n'aggiunge alcuna a l'altre intese;

Ivi sta la credenza, ivi l'errore

Chi de l'invention ne sia l'autore

Ella, ciò che si faccia in Cielo, e in mare

E in terra vede, & tutto il mondo cerca.


 

Et quello, che va dietro. A bastanza anco ai poco ammaestrati queste cose sono palesi. Et però quello, che voglia Paolo, mentre aggiunge alla favola la Fama essere stata generata affine di palesare le cose dishoneste degli Dei, resta, che dichiariamo. Ilche non istimo voler significar altro eccetto che, non potendo i minori con le forze de maggiori contrastare, si sforzano con l'infamarli con parole vindicarsi. Volsero poi ch'ella fosse figliuola della terra, perche la Fama non nasce da altro, che dalle attioni oprate in terra. Che anco sia senza padre non è stato detto senza ragione, attento che, si come spessissime volte delle cose oprate dalla fama, de lequali per lo piu, secondo, che sono falsissime, non se ne sa lo inventore, colui, che fosse ritrovato potrebbe essere descritto in luogo di padre.

Tartaro terzo figliuolo della terra.

Afferma Theodontio Tartaro essere stato figliuolo della terra, senza padre. Dice Barlaam, che costui pigro, & da poco giace anco nel ventre della madre; percioche, volendolo partorire, & chiamando in suo aiuto Lucina, ella non volse esserle favorevole al parto, la onde partorì poi la fama per vergogna delli dei. Questo figmento ha pigliato materia dall'effetto, non perche Lucina non fosse per dar favore a quello, che era per nascere, overo al parto avenire; conciosia che gli antichi s'imaginarono d'intorno il centro della terra essere un luogo molto cavo; dove l'anime nocenti erano tormentate, come a pieno dimostra Virgilio nel discender d'Enea all'Inferno. Questo vogliono esser detto Tartaro, & secondo Isidoro delle Ethimologie cosi chiamato dal tremor del freddo. Percioche ivi nè mai raggio di Sole non puote penetrare, nè v'è alcun movimento d'Aere per lo quale possa scaldarsi. Che poi nel ventre della madre si faccia da poco, assai si conosce perche non può ascender di sopra, & se vi ascendesse, non sarebbe più Tartaro. Impropriamente è poi chiamato figliuolo della terra. Percioche, come, che una donna l'habbia conceputo, nondimeno s'un conceputo non sarà venuto in luce, di ragione non si potrà dire figliuolo. E nomato anco senza padre conceputo, accioche crediamo il corpo della terra haver concavitadi. Non siamo già però certi si havesse origine della creatione, overo dal seguito dopo la creatione. In testimonio delle predette cose dice Virgilio;

 


Esso Tartaro sta due volte tanto

In profondo sepolto sopra l'ombre

Quanto di sopra è l'aspetto del Cielo

Verso la terra d'ogn'intorni in alto.

Indi segue:

Qui l'antica progenie de la terra

(Di Titan) da folgor percossa

E rivoltata nel profondo centro.

Et quello, che và dietro.


 

Tagete quarto figliuolo della terra.

Tagete come affermarono i Gentili, & massimamente Toscani, senza cognitione di padre fu tenuto figliuolo della terra. Di cui rifferisce Paolo Perugino che, essendosi alquanto gonfiata la terra appresso Toscani nel campo Tarquinese, quel villano del quale era il campicello, commosso dalla novità della cosa, desideroso di vedere ciò che volesse mostrare quella gonfiezza stette alquanto ad aspettare; finalmente divenuto impatiente, un giorno tolse una zappa, et incominciò pian piano a cavar quel loco; nè molto penetrò ch'eccoti da quelle glebe uscire un fanciullo. Per lo cui monstro smarrito l'huomo rozo chiamò i circonvicini. Ne molto da poi questi, che poco dianzi era stato veduto fanciullo, fu visto d'età compiuta, et indi a poco vecchio. Poi havendo insegnato a gli habitatori l'arte dell'indovinare, mai più non comparse. Onde gli habitatori tenendolo Dio l'hebbero per figliuolo della terra, & lo chiamarono Tagete, che l'istesso sonava già in lingua Toscana, che fa nel latino Iddio, & poscia in luogo di sommo Iddio lo adorarono. Ma Isidoro dice, che con l'aratro havendo un Contadino levato una zolla fu trovato il fanciullo, nè più da' Toscani veduto, & allhora haverli insegnato l'arte dello indivinare, & di quella anco haverne lasciato libri, iquali da' Romani furono poi nella loro lingua trasportati. Del cui figmento istimo essere stato il senso tale, cioè poter essersi ritrovato alcuno che, lungamente studiando d'intorno quest'arte, & per commodità della contemplatione (sprezzata la conversatione degli huomini) comparse in un subito dotto; cosa, che punto non era creduta. Et il finto partorir della terra, si può credere che egli forse veduto fosse uscire diqualche speloncha, overo, che come non pensato s'appresentò dinanzi gli occhi del lavoratore del campo, come se fosse uscito da quelle glebe; cosi dal rozo vulgo fu detto figliuolo della terra. Senza padre, poi, perche il suo nascimento fu dubbioso. Oltre di ciò, hebbero in usanza gli antichi chiamar figliuoli della terra tutti gli stranieri non conosciuti, che venivano a loro da viaggio per terra, si come dicevano Nettuni quelli, che venivano per mare. Fu detto fanciullo perche fu ritrovato novo, & subito in età provetta, & vecchio; il che significa dotto, & prudente (cosa che è propria de' vecchi). Che ciò avenisse nel campo Tarquinese, o perche fosse ivi prima il detto Tagete conosciuto, ò perche Toscani furono famosissimi nell'arte d'indovinare. Per lo breve termine poi del suo dimorare, si comprende l'affettione grande degli habitanti verso lui, percioche il dimorar de una cosa amata (come che fosse lunghissima) all'amante par sempre breve. Che anco fosse tenuto per Dio, istimo essere avenuto per questo, che la dottrina, laquale grandemente honoravano (oprando Iddio) nobilitassero.

 

Antheo quinto figliuolo della terra.

Ogn'uno chiama Antheo figliuolo della terra, et perche alcuno non gli assigna padre, è stato necessario tra i figliuoli metterlo senza padre certo. Del quale cosi Lucano scrive:

 


Non dopo haver la terra partorito

I gran Giganti, & quel, ch'ella in un parto

Cosi terribil fe nei Libici antri;

Nè de la terra fu gloria si giusta

Thifo, ò il feroce Briareo, ch'al Cielo

Perdonò pure. Quanto ch'ella tolse

Dai Phelegri campi il grande Antheo

Questo si smisurato, & cosi fiero

Partorì con tal don la terra a forza,

Che come i membri suoi toccar la madre

Vissero con forza acre, e robusta

Dicon, ch'una spelonca a lui fu casa,

E sotto un'alta rupe le vivande

Haver nascosto, & haver anco appresso

Rapito gran Leoni, & quello avezzi

Non furo i letti a dar riposo al sonno;

Che ne le selve ei ripigliò le forze

Giacendo sopra de la terra ignuda

Quei che lavoran de la Libia i campi

Morirono a tal modo, ancor morendo

Quelli, che aggiunge il mar, ma con l'aiuto

La vita lungamente non havendo

Animo di cadere ogn'hora sprezza

Le ricchezze terrene; onde l'invitto

Tra tutti di valor, benche restasse.


 

Et quello, che segue. Si vede adunque per li versi di Lucano quanto grande, forte, & fiero fosse Anteo, al quale ritrovare (come narra l'istesso Lucano) andò Hercole vittorioso delle fatiche, per giuocar seco alla lotta. Onde essendo amendue nello steccato, & veggendo Alcide che, molte volte havendolo gittato a terra, più robusto si levava, s'accorse, che dalla terra ricuperava le forze. Per laqual cosa pigliò quello hoggimai lasso sotto le braccia, & lo tenne tanto sospeso in Aere, che mandò fuori lo spirito. Il senso di questa favola è doppio, cioè historico, & morale. Pare, che piaccia a Pomponio Mela, nel libro della Cosmografia, nelle ultime parti della Mauritania essere stato questo Re, affermando appresso Ampelusia promontorio, che guarda verso l'Oceano Atlantico essere un antro consacrato ad Hercole, & di là da Tinge castello molto antico (come dicono) d'Antheo edificato, in testimonio di ciò si mostra dagli habitatori un gran scudo di Elefante, che per la grandezza al presente non è buono per nessuno, ilquale affermando essere stato adoprato da lui, & l'hanno in grandissima riverenza. Appresso si mostra dall'istessi un poco di collo, che tiene dell'imagine d'un huomo, che giaccia col ventre all'insù, ilquale affermano essere stato sua sepoltura. Contra costui (dice Theodontio) Dionigio Thebeo, che per la sua chiara virtù fu chiamato Hercole, haver havuto guerra; ilquale essendosi accorto che, havendolo rotto più volte in Mauritania, in un tratto rifaceva l'essercito, fingendo di fuggire lo condusse a perseguitarlo fino in Libia, dove lo vinse, & lo amazzò. Ma Leontio diceva questo Hercole essere stato figliuolo del Nilo, ilquale io reputo essere uno istesso col detto dianzi. Ma Eusebio nel libro dei Tempi dice questo Antheo esser stato molto instrutto nell'arte della lotta, & d'ogn'altro abbattimento, che si essercitasse in terra. Et per ciò egli dimostra tener per cosa finta, che fosse figliuolo della terra, & che da quella gli fossero reintegrate le forze. Nondimeno Fulgentio dimostra il senso morale essere sotto la fittione, dicendo Antheo nato dalla terra essere la libidine, laquale nasce solo dalla carne, la cui toccata (benche sia lassa) ripiglia le forze; ma dallo huomo virtuoso, negatole il tocco della carne, viene convinta. Costui, dice Agostino essere stato al tempo, che Danao regnava in Argo. Ma Eusebio al tempo d'Egeo in Athene. Leontio poi regnando Argo appresso Argivi.

 

Herebo nono figliuolo di Demogorgone, ilquale hebbe ventiuno figliuolo; cioè Amore, Gratia, Fatica, Invidia, Timore, Inganno, Fraude, Ostinatione, Povertà, Miseria, Fame, Querela, Morbo, Vecchiaia, Pallidezza, Tenebra, Sonno, Morte, Caronte, & Ethere; cioè l'elemento del Fuoco.

Spediti i figliuoli della terra, egli è hoggimai da ritornare all'Herebo con lo stile; ilquale, come dice Paolo essere allegato da Crisippo, fu figliuolo di Demogorgone, & della terra. Io veramente istimo costui, & Tartaro essere uno istesso, essendone generale opinione di tutti gli antichi, che sia nelle più interiora viscere della terra, & nell'istesso (come di sopra habbiamo detto di Tartaro) con tormenti essere punite l'anime scelerate. Di costui nondimeno sono scritte molte cose dagli antichi, massimamente da Virgilio nel sesto dell'Eneida, lequali lascierò sotto brevità scorrere; conciosia che nelle seguenti, quasi di tutte se ne farà più lungo ricordo. Dice adunque il Mantovano, che nelle fauci di questo monstro sono cose molto terribili da riguardare, cioè queste formi, i Pianti, i vindicatrici pensieri, le infermità pallide, l'afflitta vecchiaia, il timore, la fame, & la povertà terribile, & gli spaventevoli da riguardare, morte, fatica, sonno, & cattive allegrezze della mente; la guerra mortale, le furie infernali, la discordia, la confusion dei sogni, la sedia del Centauro, il Briareo di Scilla, il serpente Lerneo, la chimera armata di fiamme, le Arpie Gorgoni, il Cerione da tre corpi, & il trifauce Cerbero, che stà alla guardia della porta infernale. Oltre di ciò questo Herebo essere irrigato da quattro fiumi, cioè Acheronte, Flegetonte, Stigio, & Cocito. Appresso dice Caronte essere il Nocchiero, che passa l'anime di quei che muoiono, nel profondo dell'Herebo. Indi descrive Minos, Radamanto, & Eaco esser quelli, che sententiano secondo i meriti i condennati. Narra anco i Titani Giganti esser giù distesi dai folgori, Salmeone, & Titio stracciato dall'avoltoio, Isione girato da una eterna ruota, Sisifo, che col petto caccia in alto di grandissimi sassi, Tantalo tra l'onde, & i pomi, che muore per fame, & per sete, Theseo confinato a perpetuo otio, & altri, & questi tutti dipinge essere tormentati tra le mura di ferro nell'Inferno dalla vindicatrice Thisifone. Similmente chiamarono anco questo istesso con diversi nomi, che col nome di Herebo, come sarebbe a dire Tartaro, Orco, Dite, Averno, Baratro, & Inferno. Cosi medesimamente lo fanno padre di molti figliuoli. Ma lasciate queste cose, egli è da venire alla dichiaratione della nascosta verità. Vogliono adunque, che fosse figliuolo della Terra, & di Demogorgone percioche tennero Demogorgone Creatore del tutto; della terra poi, perche (com'è manifesto) nel suo ventre è locato. Ma, che quel luogo fosse la stanza dei supplici, non solamente i Gentili, ma anco alcuni famosi Christiani istimarono, guidati forse da questa ragione. Percioche essendo Iddio la somma bontà, & colui, che commette peccato, che forse è cosi cattivo, & l'effetto sia cosi pessimo, è di necessità ch'egli sia lontanissimo da Iddio, come da suo contrario. Poscia noi crediamo Iddio habitare in Cielo, & dal Cielo non è alcuna parte più lontana dal centro della terra, & per ciò forse non pazzamente è stato creduto che i scelerati patiscano ivi le pene, come in luogo da Iddio lontanissimo. Di ciò nondimeno Tullio apertamente nelle Questioni Tusculane se ne fa beffe; onde assai si può presupporre altro haver veduto gli antichi saggi. Et però quando, che volsero esservi due mondi, cioè il maggiore, & il minore: il maggiore, quello, che generalmente chiamiamo mondo, & il minor l'huomo, affermando tutte le cose essere nel minore, che da quelli sono descritte nel maggiore, credo, che istimassero questo Herebo, & questi tormenti essere tra il minor mondo, cioè l'huomo, & credo anco, che volessero quelle horribili forme lequali nell'entrata dell'Herebo descrive Virgilio essere le cause esteriori per lequali di dentro sono causati quei supplici, o vero quelle, che di fuori appaiono cagionate da quelle interne. Il cui senso istimo molto migliore. Ma hora resta, che io segua secondo l'ordine ad esporre il sentimento delle predette. Penso adunque essere finto, che nel profondo centro di questo Herebo sia una città di ferro, accioche per quelle intendiamo la profonda parte del nostro ostinato cuore; nella cui veramente spesse volte siamo pertinaci, & di ferro. I Titani, cioè gli huomini inchinati alle cose terrene, & i giganti, che sono i superbi gittati a terra, non per altro sono detti essere crucciati se non affine, che conosciamo d'intorno questo i terreni, & gli altieri huomini di animo essere tormentati; i quali mentre sempre desiderano essere inalzati sono tenuti essere oppressi, & sprezzati dal suo cieco giudicio, & alle volte sono cacciati dall'altezza; il che a loro è fiero tormento. Per Titio poi stracciato dall'avoltoio è da intendere la mente di ciascuno, che s'affatica conoscere quelle cose ch'a lui non s'appartengono; overo di colui, che in accumular thesori da continuo pensiero è travagliato. Isione girato continuamente da una ruota dimostra i desideri di chi bramano i Regni. Cosi anco Sisifo, che rivolge all'insù i sassi manifesta la vita di colui, che in efficaci, & duri sforzi si consuma. Per Tantalo poi, che tra l'onde, & i pomi si consuma per la sete, & fame, dobbiamo intendere i pensieri degli huomini avari, & le angustie d'intorno la infame parsimonia. Indi Theseo, che se ne sta otioso dimostra i frivoli sforzi de' temerari, per liquali infelicemente sono tormentati. Oltre di ciò dicono questi tali essere crucciati sotto i supplici di Tisifone, il che penso cosi doversi intendere. Tisifone s'interpreta Voce d'ire, onde è chiaro, che quelli iquali sono crucciati da questi tali in sé stessi si adirino, & mai non mandino fuori le voci dell'ire. Per quelli tre giudici poi intendo questo, cioè che, oprando male, possiamo offendere tre persone, Iddio, il prossimo, & noi stessi, & cosi, che siamo ripresi, & condennati da tre giudicij di conscienza. Per lo guardiano della porta, che è il Tricerbero cane, il cui ufficio è lasciar entrare ogn'un che vuole, & uscire a quelli, che sono entrati vietare, istimo essere da intendere tre cause, che con fiero morso rodeno le menti mortali degl'ingannati, cioè le carezze de gli adulatori, la falsa opinione della felicità, & lo splendore della vanagloria; lequali veramente di continuo con nuove scorte allacciando gli ignoranti accrescono gl'infelici pensieri, & i cresciuti non lasciano sminuire. L'Herebo poi è circondato overo inondato da quattro fiumi, accioche perciò conosciamo, che quelli iquali (lasciata la ragione) si lasciano strascinare dalle incominciate concupiscenze, principalmente (turbata la allegrezza del dritto giudicio) passano Acheronte, ilquale s'interpreta mancante d'allegrezza. Così, cacciata la letitia, è di necessità la mestitia occupi il suo luogo; dallaquale (per lo perduto bene della allegrezza) molte volte nasce l'ira impetuosa dalla cui siamo guidati in furore, che è Flegetonte, cioè ardente. Dal furore anco si lasciamo trascorrere in tristezza, che è la palude Stigia, & dalla tristezza in pianto, & lagrime, per lequali e da intendere Cocito, quarto fiume infernale. Et cosi noi miseri mortali guidati dalla cieca opinione del concupiscevole appetito siamo crucciati, & entro noi sopportiamo quello, che i pazzi istimano dai Poeti esser rinchiuse nelle viscere della terra. L'Herebo poi è chiamato con tal nome, come dice Uguccione, perche troppo s'accosta a colui, che piglia.

Dite è nomato da Dite suo Re, ilquale appresso i Poeti è detto Iddio delle ricchezze, & questo imperò, perche questo luogo sia ricco, cioè abondante: attento, che ivi discendano, come anco per lo più fanno quei, c'hoggi dì muoiono, per lo passato tutti. Tartaro cosi è detto dalla Tortura, perche tormenta quelli, che inghiottisce. Ma il Tartaro è un profondissimo luogo de gli inferni; dal cui alcuno (come pare, che voglia Uguccione) giamai trasse fuori Christo. L'Orco viene chiamato per l'oscurità, & il Baratro dalla forma. Percioche il Baratro è un vaso contesto di vimini, dalla parte di sopra ampio, & di sotto acuto, del cui usano i rozi campani, mentre dalle viti congiunte agli alberi vindemiano l'uve. Et per ciò tal similitudine è fatta accioche intendiamo l'Inferno haver grandissime, & ampie fauci, & entrate per ricevere i dannati, & a ritenerli strettissimo, & profondo loco. Si dice Inferno: perche è inferiore a tutte le parti della terra. Averno, poi, da A, che significa senza, & Vernos, che è allegrezza vien detto; percioche manca di allegrezza, & abonda di sempiterna tristezza.

 

Amore primo figliuolo dell'Herebo.

Di figliuoli dell'Herebo primo ci è occorso l'Amore; ilquale afferma Tullio, dove tratta delle Nature de' Dei, essere stato prodotto da lui, & dalla Notte. Il che, o serenissimo dei Re, ti parrebbe forse inconvenevole, & monstruoso, se il vero con la ragione possibile non ti fosse dimostrato. Fu antica sentenza degli antichi l'Amore esser una passion d'animo. Et però ciò, che desideriamo, quello è Amore. Ma perche in diverso fine sono portati i nostri affetti, è necessario, che l'Amor d'intorno a tutte le cose non sia quell'istesso. Et perciò, ridotti in picciolo numero i disideri de' mortali, i nostri maggiori lo fecero di tre sorte. Et inanzi gli altri, con testimonio d'Apuleio in quel libro ch'egli scrisse dei Decreti o vogliamo dire Openioni di Platone, esso Platone afferma essere tre soli amori, & non piu. Il primo de' quali disse esser divino, che si conface con la mente incorrotta, & con la ragione della virtù. Il secondo, passione di tralignato animo, & di mente corrotta. Il terzo, composto di l'uno, & dell'altro. Dopo ilquale, Aristotele suo auditore, mutate più tosto le parole, che la sentenza, medesimamente volle, che fosse di tre sorte. Affermando il primo movere i pigliati da sé per l'honesto, il secondo per lo dilettevole, & il terzo per l'utile. Ma perche questo del quale trattiamo non è quello di cui il divino parla, & meno quello, che tenda all'honesto, nè dei due altri composto, overo per lo dilettevole; ma di declinante animo, & solamente per l'utile, meritamente secondo l'opinione di Cicerone lo chiameremo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, cioè di cieca mente, & d'ostinato petto. Percioche da questo siamo guidati à mortale ingordigia d'oro; da questo a disio crudele d'Imperio; da questo à pazza voglia di mortal gloria. Da questo ad oscura morte d'amici. Et da questo ruine di Città, a torti, a frodi, a violenze, & a scelerati consigli noi infelici siamo guidati. Da questa peste sono pigliati i buffoni, i parasiti, gli adulatori, & simile compagnia d'huomini, che segue la fortuna prospera de' mal accorti, & di quello usa per spogliar con carezze, & false lodi i militi gloriosi. Quello adunque (considerate drittamente tutte le cose) non amore, ma più propriamente devremmo chiamar' odio.

 

Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte.

Dice Tullio tra le Nature de' Dei la Gratia esser figliuola dell'Herebo, & della Notte. Io nondimeno mi ricordo haver letto altrove, le Gratie essere state figliuole o di Giove o d'Auttonio ò del padre Bacco, & di Venere. Ma egli è da sapere, accioche conosciamo quello, che in ciò tennero quelli, che di ciò finsero, la Gratia essere una certa affettione di mente libera, specialmente del maggiore verso il minore; per laquale senza preminenza nessuna di merito di compiacenza; sono conceduti de' benefici, & de' doni a quei anco, che non li dimandano. Nondimeno istimo molte essere le spetie di queste. Altre veramente sono d'Iddio immortale; lequali tolte via, siamo nulla. Altre poi degli huomini tra loro. Et queste ponno inchinarsi al bene, & al male, come, che sempre appaia la Gratia tendere al bene. Tutte queste (cangiati nondimeno i sensi de' padri) potremmo dimostrare per figliuole dell'Herebo, & della Notte. Ma per venire a questa, lasciate da parte l'altre fino al tempo suo, io penso questa essere quella Gratia che, per qualche scelerata operatione ò per dishonesti costumi d'alcun'huomo, sia causata in qualche iniquo, & reo huomo. Et cosi tal Gratia viene ad essere figliuola dell'Herebo, cioè d'un ostinato petto, & della Notte, cioè d'una cieca mente.

 

Fatica terza figliuola dell'Herebo.

Questa Fatica da Cicerone viene descritta per figliuola della Notte, & dell'Herebo; la cui qualità dall'istesso tale viene formata. La Fatica è una certa operatione di grave attione d'anima ò di corpo, ò di volontà ò per prezzo. Laquale molto bene considerata, meritamente della Notte, & dell'Herebo viene detto figliuola, & si può dire colui, che è dannoso è meritamente dà essere rifiutato. Percioche, si come nell' Herebo, & nella notte è una perpetua inquietudine di nocenti, cosi anco negl'interni segreti de' cuori di quelli, che sono guidati da cieco disio circa le cose superflue, & poco convenevoli v'è un disturbo di continuo pensiero. Et perche questi tali pensieri sono causati in petto oscuro, debitamente tale Fatica viene detta figliuola della Notte, & dell'Herebo.

 

Invidia quarta figliuola dell'Herebo.

Tullio dice la Invidia essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte; laquale dove tratta delle Questioni Tusculane, la fa differente dall'Invidenza, dicendo la invidenza solamente appartenere all'invidioso, conciosiache paia la invidia attribuirsi anco a colui a cui si porta. Et di quella conchiudendo dice la Invidenza essere una infermità pigliata per le cose prospere d'altrui, lequali non nuocciano niente all'Invidioso. Descrive poi i costumi, & l'habitatione di questa Ovidio in tal modo:

 


Dell'Invidia và subito a trovare

Gli horrendi tetti per lo nero sangue;

La cui casa è riposta in ime valli,

U dei raggi del Sol manca l'entrata,

Nè d'ivi mai troppo alcun vento passa.

È disutile, & trista, & piena ogn'hora

Di freddo, & sempre mai vi manca il foco

E ogn'hor d'oscura nebbia è più ripiena.

Et poco da poi cosi segue:

Et picchiando alle porte, elle s'apriro;

Dove entro vede l'Invidia, che mangia

Le carni viperine (nodrimenti

De' vitij suoi), & subito veduta

Rivolse gli occhi adietro. Et ella tosto

Levossi in piedi, ivi lasciando i corpi

Dei serpi mezzo divorati homai;

Venendo verso lei con lento passo.

Ma tosto, ch'ella vide l'alta Dea

Ornata di presenza, & d'arme chiare,

Gemere incominciò; di che la Dea

Fu sforzata ai sospir volgere il volto.

Perch'è pallida in viso; e in tutto il corpo

Macilenta, & il guardo ha oscuro, e bieco.

Lividi i denti son per rugginezza;

Il petto per lo fele è tutto verde,

La lingua ha tutta piena di veneno;

Lontano ha il riso; eccetto se le doglie

Ch'altri vegga patir, non ve lo muove;

Non dorme mai; ma sempre da pensieri

Tenuta è vigilante; e ogn'hor riguarda

Degli huomini i successi ingrati, e rei,

Et marcisce in mirargli, e piglia, e insieme

Da quei vien presa; è il suo tormento tale.

Et quello, che va dietro.


 

Là onde s'alcuno a pieno considerarà questi versi, senza difficultà conoscerà quella essere la invidenza; laquale noi con più ampia licenza chiamiamo Invidia, & dell'Herebo, & della Notte figliuola.

 

Timore quinto figliuolo dell'Herebo.

Afferma il detto Tullio il Timore essere stato figlio dell'Herebo, & della Notte. Percioche il timore, come dice l'istesso Cicerone, è una cautione contraria alla ragione. Et istimo costui essere detto figliuolo di tali padri perche da i più rimossi luoghi dalla cognition nostra nei nostri petti nasca. Nondimeno io l'istimo di due sorti, cioè quello, che di ragione può cadere in un'huomo discreto, come è temere i tuoni, & quello, che senza essere sforzato da alcuna ragionevole cagione, non altrimenti, che donnicciuole smarrisce alcuni. Questi, sotto il nome di Timore, è uno de' ministri di Marte, si come ci mostra da Statio cosi dicendo;

 


Indi comanda in quattro gir inanzi

Il Timor, ch'era de la fiera plebe

Un de compagni; ilqual non altramente

Era pronto a locar tremanti teme,

Et dal vero levar gli animi ogn'hora

Di quel, che proprio sia l'effetto espresso;

Pronto ad aggiunger voci, e mani a un mostro

Et oprando ogni cosa, ch'a lui piaccia

Facendo, che l'auttore il tutto creda;

Con spaventevol corso a quel parendo

Veder sommerger le città col Sole;

Facendoli talhor veder due Soli,

Le stelle oscure, & che si volga appresso

La terra, & giù cader l'antiche selve.

Cosi infelicemente i paurosi

Pensano di veder.

Et quello, che va dietro.


 

Potrei, famosissimo Re, far di molte parole esponendo le parti di questi versi, acioche io venissi a dimostrare i costumi del Timore; ma cosi sottili, & liggieri sono i figmenti, ch'io mi sono imaginato essere cosa superflua passar più oltre. Oltre di ciò a costui aggiunge Tullio nelle Questioni Tusculane non avertentemente essere sottoposti molti ministri, come sarebbe a dire la pigritia, la vergogna, il terrore, la tema, la pusillanimità, il tremore, la conturbatione, il sospetto, & molti altri; de tutti e' quali ivi lungamente si legge.

 

Inganno, sesto figliuolo dell'Herebo.

Medesimamente è l'Inganno, come piace a Tullio, figliuole dell'Herebo, & della Notte; del quale era solito raccontare Barlaam che, essendo andato con i Greci alla guerra Troiana, & ritrovandosi male in arnese, & poco armato, consigliandosi alcuni dei primi delle cose da essere oprate da Ulisse, a cui era molto famigliare, essere stato condotto a quel consiglio. Ilquale havendo inteso gli animi inalzati, & gloriosi, & i consigli d'alcuni, & essendossene alquanto seco stesso riso, pregato alla fine disse il suo parere; il cui se bene non era honesto, nondimeno perche pareva utile fu ammesso. Et a lui insieme con Epeo subito fu data la cura di fabricare un cavallo, col mezzo del quale poi si giunse a tanto ch'i Greci già lassi hebbero il suo disio. Assai sottile, & liggiero è il velo della fittione, & però perche sia detto figliuolo dell'Herebo, & della Notte hora veggiamo. Ilche al mio parere si dimostra nelle sacre lettere; per lequali siamo ammaestrati (tolta la forma di serpente dall'Herebo) l'inimico del genere humano esser venuto in terra, & nella notte tartarea con false persuasioni haver offuscato le menti de' nostri padri, & indi come in colto campo haver seminato mortal seme, il cui frutto, havendo eglino prevaricato la legge, venne subito in luce. Et cosi l'Inganno, non anco conosciuto in terra, da principio uscì dell'Herebo, & conceputo nell'utero della cieca mente, con la nostra morte, & con l'essiglio palesemente fattoci del regno celeste, chiaramente dimostrossi essere figliuolo della Notte, & dell'Herebo. Ma perche quello, che i Gentili non conobbero malamente puoterò fingere, penso quelli haver inteso l'intimo recesso dell'human cuore per l'Herebo, perche ivi è la stanza di tutti i pensieri. Et però se l'animo è infermo, sprezzata la virtù (per aggiungere al suo disio) veggendo, che le forze gli mancano, subito drizza l'ingegno alle arti. Et perche più facilmente i pazzi sono presi dall'inganno, formato quello con falsi pensieri, lega sé stesso, & quelli ch'ei piglia con mortal laccio. Et cosi l'Inganno nasce dalla Notte, cioè dalla trascuraggine della mente per la cui parviene al suo disio, passando per strade poco honeste, & viene creato dalla vergognosa concupiscenza del petto infermo, & ardente. Et per lo più non si vede apparire in luce, che colui non vada in ruina per lo quale è fabricato.

 

Frode, settima figliuola dell'Herebo.

Nelle nature de' Dei, meritamente da Cicerone, la Frode vien detta figliuola dell'Herebo, & della Notte. Veramente ella è mortale, & scelerata peste, & abhominevole vitio di mente iniqua. Tra questa, & l'inganno è tal differenza, che l'inganno tal volta si puote oprare in bene, ma la frode giamai se non in male; anzi più tosto contra gl'inimici usiamo dell'inganno, & gli amici inganniamo con la Frode. La forma di costei Dante Alighieri fiorentino nel suo poema scritto in lingua fiorentina, & veramente di non picciolo momento tra tutti gli altri poemi, cosi la descrive, cioè ch'ella ha la faccia d'huomo giusto, & tutto l'avanzo del corpo di serpente, distinto a diverse macchie, & colori, & la sua coda esser ritirata in punta di scorpione, & quella tener coperta nell'onde di Cocito, di maniera, che tiene nascosto tutto l'horrendo del corpo in quelle eccetto la faccia, & la nomina Gerione. Sotto benigna adunque, & simil faccia d'huomo giusto comprende l'Autore l'estrinseco degli huomini fraudolenti. Percioche sono di volto, & di parlar benigni, nell'habito modesti, nel passo gravi, di costumi notabili, & per pietà riguardevoli. Nelle opre poi nascosto sotto compassionevole zelo d'iniquità sono di contraria pele, d'astutia armati, & tinti di macchie di scelerità, talmente ch'ogni loro operatione alla fine si conchiude tutta ripiena di mortal veneno. Et indi è detta Gerione perche regnando appresso l'Isole Baleari Gerione, con benigno volto, con carezzevoli parole, & con ogni famigliarità era avezzo ricevere i viandanti, & gli amici, & poi sotto il colore di questa benignità, & cortesia adormentati, amazzava. La ragione poi, che venga detta figliuola dell'Herebo, & della Notte, è l'istessa detta di sopra dell'Inganno.

 

Ostinatione, ottava figliuola dell'Herebo.

La Pertinatia, ò vogliamo Ostinatione mortalissimo peccato, secondo Tullio è figliuola dell'Herebo, & della Notte; nè la cagione si vede difficile. Percioche ogni fiata, che l'indigesto rigore dell'ignoranza de' mortali, con valide ragioni, & con calore di fervor divino, non può essere rimosso da quella falsa oscura nebbia, che gl'ingombra l'intelletto, è di necessità, che l'Ostinatione vi nasca, anzi già è nato il certissimo argomento dell'ignoranza. Adunque bene habbiamo dimostrato l'Ostinatione essere figliuola dell'Herebo, da noi spesse volte chiamato Freddo, & della Notte, spesse volte fatta conoscere per nebbia della mente.

 

Povertà, nona figliuola dell'Herebo.

Egesta figliuola dell'Herebo, & della Notte, non è quella, che molti istimano, cioè mancamento delle cose opportune. Perche questa gli huomini forti la superarono con la tolleranza, come nelle arena di Libia Catone; ma quella più tosto allaquale gli abondevoli guidati da falsa opinione si sottometteno, come fece il guardiano dell'oro Mida Re di Frigia; ilquale mentre tutte quelle cose ch'egli toccava, secondo la sua dimanda, diventavano oro, si moriva di fame. Questa adunque è vera Povertà, & bisogno, & figliuola dell'Herebo, cioè d'un raffreddato, & da poco cuore, & anco della Notte, cioè di cieco consiglio, ch'istima essere cosa bonissima l'accrescere ricchezze affine, che manchiamo del loro uso.

 

Miseria, decima figliuola dell'Herebo.

Piace anco a Tullio la Miseria essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte. Questa veramente è cosi estrema disgratia, che può muovere a misericordia i riguardanti. Ilche noi stessi a noi medesimi facciamo mentre, sprezzato il lume della verità, sospiriamo le cose c'hanno a mancare, & ad ogni via transitoria, non altramente, che se fossero perpetue, & perdessimo l'eterne. Et cosi il petto afflitto dall'oscurato giudicio della mente con sospiri, & con lagrime manda fuori in publico la miseria; accioche possa indi esser detta figlia dell'Herebo, & della Notte.

 

Fame, undecima figliuola dell'Herebo.

Dice Paolo essere piacciuto a Chrisippo la Fame essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Questa è overo publica, come già fu mostrata a Faraone, ò privata, come a Crisitone. La publica fu solita avenire dall'universale carestia di biade, dellaqual cosa ò l'ira divina n'è cagione, overo la lunga guerra, ò la contraria dispositione dei sopracelesti corpi, ò i vermi, che sotterra radono i semi, ò le locuste, che già divorano i seminati, che nascono. Dellequali la prima cagione da alcuno de' mortali non può essere conosciuta, & cosi potrassi dire figliuola dell'Herebo, & della Notte; ma non dell'Herebo, che sta nascosto nelle viscere della terra o, che fa residenza negl'infermi petti de' mortali, anzi nel profondo segreto della divina mente santissima, & vigilante, ilquale l'intelletto degli huomini offuscato da mortal nebbia non può riguardare nè anco contemplare la notte della divina mente, nella cui giamai non fu alcuna oscurità, ma col suo lume rende sempre il tutto chiaro; ma più tosto gli errori della frigidità nostra. L'altre spetie di questa cagione affermano i Mathematici con l'arti loro potersi prevedere. Se adunque è tale questa Fame, non può essere figliuola dell'Herebo nè della Notte. Se poi cosi non è, alhora, si come habbiamo detto d'Iddio, non si potendo vedere quello ch'è riposto nell'antro secreto di natura, si lascierà, che questa Fame per la già detta ragione sia figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ma la fame privata aviene, come per lo piu, ò per carestia di cibi, overo alle volte dalla noia de' stomacosi. Se per carestia, ò per pigritia, ò per dapocaggine del sopportante, ò per diffetto di povertà occorre. Se per dapocaggine ò pigritia, si come alle fiate veggiamo alcuni più tosto dar opra alle lascivie, & all'otio, che haver cura delle cose famigliare, questa veramente è figliuola dell'Herebo, & della Notte, in quella guisa, che sono gli altri suoi sopradetti fratelli. Se per colpa di bisogno, mentre, che per intemperanza non sia povero chi la patisce, non penso, che nè anco questa sia figliuola dell'Herebo, & della Notte, eccetto s'io non la volessi dir tale, perche deriva dallo stomaco del famelico. Se poi la Fame è per la noia di cibi, come alle volte habbiamo veduto essere avenuto ad alcuni insipidi, & da consueto vitio troppo schifi, & svogliati, iquali se non hanno le vivande elette, & i saporiti con diligenza composti, overo, che non gli siano messi inanzi cibi da Re, & pretiosi vini, di maniera sprezzano i communi, & gli rifiutano, che più tosto si lasciarebbono morir di fame, che mangiarne, non è dubbio alcuno, che questa non sia nata dall'Herebo, & dalla Notte. La stanza adunque di costei, & la forma cosi descrive Ovidio:

 


Trovò la Fame in un sassoso campo

Ricercata da lui; laqual con l'ugne,

Et denti rari fuor cavava l'herbe;

Haveva torto il crine, & gli occhi cavi;

Pallida in viso, & con le labbia in entro;

Di rugginezza havea le fauci roze;

Dura la pelle, & per la cui guardare

L'interiora a lei potesse ogn'uno;

Et sotto i torti lumbi l'ossa secche

Stavan riposte, & del suo ventre il loco

Era invece di ventre; onde istimato

Havresti, ch'il suo petto giù pendesse,

Et solamente fosse sostenuto

Da un secco spine; a lei cresciuto havea

I fianchi la magrezza, & il ginocchio

Una rotondità quel circondava.

Et i calcagni givano distesi

Con picciol spatio. Come di lontano

Costui la vide.

Et quello, che segue.


 

Querela, duodecima figliuola dell'Herebo.

Vuole Tullio la Querela essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si concederà se si riguarderà con occhi sanamente ciò ch'ella sia; percioche è un morbo dell'animo, che malamente quasi seco si conface. Per questo venendo in un petto pazzo, l'huomo con poco consiglio cerca ò levar via quello, che si gli deve, overo malamente sopporta, che non gli sia dato ciò, che disia, o, che non possa quello, che brama. Et cosi quello ch'è di sua colpa, privato del lume della mente istima d'altrui. Di quì si lamenta l'amante lascivo; di quì l'ingordo d'oro; di quì il bramoso di beni; di quì il sitibondo di sangue, & molti altri piangono quel male ch'essi hanno introdotto, & che, se fossero stati prudenti, havrebbono potuto cacciar fuori.

 

Morbo, terzodecimo figliuolo dell'Herebo.

Et dell'Herebo, & della Notte figliuolo, come piace a Cicerone, & Chrisippo, il Morbo. Questo adunque può esser mancamento di mente, & di corpo. Et si come nel corpo è causato dalla discordanza degli humori, cosi nella mente dall'inconvenevolezza de gli animi, & alhora meritamente di tali padri, cioè della cecità intrinseca, è chiamato figliuolo. Et perche pare ch'egli tenda nella morte della sanità, come piace a molti, e chiamato infermità.

 

Vecchiezza, decimaquarta figliuola dell'Herebo.

Conviensi la vecchiezza, ultima delle età, & vicina della morte, al solo colpo, percioche l'anima rationale con perpetua verdezza, & fiore tende all'eterno. Questa, come dice Tullio, fu figlia dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si può concedere, essendo à lei conforme di complessione, cioè fredda, & secca, & i figliuoli sono soliti esser simili a i padri. Appresso l'Herebo è da poco, & tremante, dal quale punto non traligna la Vecchiezza, essendo, come veggiamo, tremante, & tarda. Però, perche ha i sensi corporali lenti, & offuscati, non inconvenevolmente le diedero la Notte per madre. Nondimeno ha questo di notabile, che quanto a lei si tolgono le forze, tanto più le cresce il consiglio. Là onde nasce, che sia riverita, & i loro capelli canuti siano preposti alla robustezza dei giovani.

 

Pallidezza, decimaquinta figliuola dell'Herebo.

La pallidezza della faccia, & di tutto il corpo, è un colore essangue di sangue, che manca, & appresso è certissimo argomento d'infermo, & subito timore. Questa è figliuola della Notte, & dell'Herebo, secondo, che vuole Chrisippo. Et ciò afferma, attento, che tutto quello, che dalla luce del Sole non è veduto, o che l'animo nodrisce con buona sanità, facilmente viene occupato dalla pallidezza. Onde, essendo stato detto di sopra, che l'Herebo non vede il Sole nè sente il calore, & per ciò dove queste cose avengono si raffredda il sangue, & per contraria digestione si corrompe, di che per consequenza è necessario, che la Pallidezza nasca, come a pieno si vede in quelli, che lungamente rinchiusi in oscura prigione vengono in luce; overo, che per infermità corporale lassi si levano; overo assaliti da subita paura impallidiscono.

 

Tenebra, decimasesta figliuola dell'Herebo.

Dell'Herebo, & della Notte la Tenebra essere figliuola, senza testimonio d'altri si crede. Ma accioche la madre, & la figliuola non paiano una cosa istessa, in questo sono differenti. Nella notte si vede alcuna cosa lucente, come è la Luna, le Stelle, & alle volte il fuoco. Nella Tenebra poi alcun lume giamai non appare, & se apparerà in alcun loco, non si dirà più Tenebra.

 

Sonno, decimosettimo figliuolo dell'Herebo.

Il Sonno, secondo alcuni, è una forza d'intrinseco fuoco, & un riposo sparso per le membra afflitte, & dalla fatica stanche. Secondo altri poi è una quiete degli animali con l'intentione delle virtù naturali. Di questo scrive Ovidio in tal modo:

 


Sonno piacevolissimo riposo

D'ogni cosa creata, e insieme dolce

Quiete degli Dei, pace, e contento

De l'animo, che fugge ogni pensiero;

Tu sei quel, ch'accarezzi i corpi lassi

Da le dur'opre, & le fatiche scacci.


 

Ma più a pieno Seneca Poeta nella Tragedia d'Hercole Furioso descrive le commodità del sonno, dove dice;

 


Tu Sonno domitor sei d'ogni male

De l'animo riposo, & miglior parte

De la vita mortal, volubil prole

De la gran madre Astrea, frate a la dura

Languida morte, ch'a le cose vere

Mesci le false del futuro, e certo

De l'uno, & l'altro sei pessimo auttore.

O padre delle cose, ò de la vita

Porto, e riposo de la luce, e appresso

Compagno de la notte, ch'egualmente

Il Rè, e il famiglio a ritrovar pur vieni;

Placido, e molle favorisce a i lasso?

Et si come constringi il sesso humano

Pauroso de la morte, ad imparare

Un morir lungo, hor grava me legato.

 


 

Oltre di ciò gli descrive la stanza assai atta al suo desio di voler dormire, dicendo:

 


E non lontan da le Cimerie grotte

Una spelonca di profonda entrata;

Il monte è cavo, dove sta del Sonno

Pigro la casa, & la sua stanza eletta.

Ivi già mai, nè di mattina, ò sera

Co' raggi penetrar vi puote il Sole,

Anzi nuvoli ogn'hor di nebbia oscura

Escono da la terra; acciò la luce

Stia sempre in dubbio, che mai spunti il giorno.

Ivi il gallo non sta, che col suo canto

Dia segno dell'aurora, & meno ancora

Cani vi sono, ch'abbaiando sempre

Rompano de la Notte i suoi riposi;

Nè la più astuta dei vegghianti cani

Occa vi giace; nè il garrir di Progne

Troppo ha bisogno d'addolcir i petti.

Fera non v'è, non pecora, nè armenti,

Nè s'ode ramo alcun dall'aria scosso,

Nè lingua humana v'interrompe il sonno.

V'habita solo il mutolo riposo;

Nondimeno da un sasso alto, e profondo

D'acqua v'esce un ruscel limpido, e chiaro,

Che con mormorio dolce ogn'hor correndo

Per alcuni sassetti invita i sonni.

Nanzi l'entrata de la porta stanno

Papaveri fioriti, & herbe ombrose

Di numero infinito, onde si fanno

Opre, ch'altrui giaccia col Sonno avolto;

La notte le raccoglie, e ogn'hor le sparge

Per l'opaco terreno, acciò la porta

Coi cardini alcun strepito non faccia.

In quella casa non v'è guardia, ò scorta,

Nè alcun, ch'inanzi de l'entrata sieda.

Ma nel mezzo de l'antro un letto è posto

Per l'ebano sublime, & è di piume

Tutto coperto di color conforme;

Ivi con le sue membra in sonno involte

Riposa il Dio di quel; cui stanno intorno

I vani sogni, ch'imitar ci fanno

Diverse forme, & tanti sono, quante

Spighe ha il raccolto, & quante fronde tiene

Una gran selva, & quante arene insieme

Sparge sui liti il mar con l'onde altere.


 

Questo, ornato di cosi riguardevole stanza, & ornamenti di letto, dice Tullio essere stato figliuolo dell'Herebo, & della Notte. Dellaqual cosa è da veder la cagione, & poi potremo vedere dei ministri, essendo assai chiaro il senso della stanza descritta. Adunque il Sonno viene detto figliuolo dell'Herebo, & della Notte perche nasce dai vapori humidi che si levano dallo stomaco, & oppilano i membri, & dalla queta oscurità. Se poi vogliamo intendere del mortal sonno, non più difficilmente s'allegherà la cagione di tali padri. Percioche, perduto il favore della carità, & abbandonata la via di ragione, è a bastanza chiarissimo esser cosa necessaria passare a mortal sonno. Hora mo veggiamo di quelli, che gli stanno d'intorno, quali sono sogni di diverse spetie; ma solamente cinque ne dimostra Macrobio sopra il Sogno di Scipione. La prima di queste si chiama Fantasma, laquale mai non s'avicina à mortali eccetto che lentamente, mentre il sonno s'incomincia assalire, et ch'istimamo anco vegghiare. Questa apporta seco spaventevoli forme da vedere, & per lo più dalla qualità naturale, & dalla grandezza differenti, come è noioso contrasto e maravigliosa allegrezza, fortune valide, sonori venti, & altre simili. Dice Macrobio il fuoco di questa esser anco Ematte, ò Efiate, overo Efialte; ilquale la persuasione commune giudica assalire i riposanti, & col suo peso aggravare i dormienti, che ciò sentono. La cagione di tal cosa istimano molti essere lo stomaco aggravato dal soverchio cibo, & vino, overo vuoto per lo digiuno lungo, &, che altramente mai non predomini alcuno assalito da altri humori. Sono di quelli, che vi aggiungano le sollecitudini, & dicano Virgilio haver inteso Didone haver veduto fantasme, mentre lamentandosi con la sorella cosi le dice;

 


Quei sogni, che mi tengono sospesa,

Mi smarriscono ogn'hor.


 

Et quelli in sogni, per licenza Poetica, ivi essere stati posti impropriamente per fantasme. La seconda spetie si chiama in sogno causato dalla premeditatione, come pare, che voglia Tullio nel libro della Republica, dicendo: Aviene spesse volte, ch'i pensieri, & i nostri ragionamenti partoriscano alcuna cosa all'insogno. Ilche anco scrive Ennio di Homero, del quale medesimamente vegghiando soleva pensare, & parlare spessissime volte. Etc.. In questa specie di sonno, adunque, l'amante vedrà la donzella da lui amata venire ne' suoi abbracciamenti, ò infelicissimo pregherà quella, che fugge. Il nocchiero vedrà il mare tranquillo, & la Nave, che solca quelle con le vele spiegate, e, che per fortuna si rompi. Cosi anco il villano indarno s'allegrerà riguardando le biade ne' campi fiorite, & piangerà le rovinate. L'ingordo tracannerà le tazze piene di vino. Il digiuno desidererà i cibi, ò con il ventre vuoto divorerà gli apposti dinanzi a lui. Delle considerationi, poi, alcuni vogliono Didone ferita d'amore haverne veduto parte; percioche pare, che Virgilio dimostri la consideratione quando dice;

 


Per l'animo d'Enea la gran virtutte

Va rivolgendo, e 'l chiaro honor de' suoi,

Tien l'imagine sua fisa nel petto,

Et le parole; nè riposo dona.

Et quello, che va dietro.


 

Così, come dalla consideratione pare, che prevenga l'insogno. Ma perche procedono dall'affettione, insieme col sonno se ne vanno in fumo, come l'istesso Virgilio mostra, dove dice; Ma ci mandano al Cielo i falsi insogni. La terza specie si chiama sogno, per lo quale piace a Macrobio, che si sognino cose vere ma sotto coperta però, come per auttorità di Mosè vide Giuseppe i mazzi di spighe de' suoi fratelli ch'adoravano il suo. Et come dice Valerio, che fece Astiage, ilquale vide una vite, & l'urina ch'usciva da le parti genitali d'una sua figlia. Ciò vogliono ch'avegna stando l'huomo sobrio, come per lo più siamo facendosi il giorno. La Quarta spetie poi si chiama Visione, laquale seco non apporta dubbio alcuno; anzi quello, che ha a venire con chiara dimostratione manifesta, come dormendo fece Arterio Ruffo Cavalier Romano, à cui parve la notte vedere che, stando egli a riguardare il dono de gladiatori a Siracusa, che dalla mano d'uno, che faceva reti fosse passato dall'uno all'altro lato. Il che raccontato a molti la mattina, quel giorno istesso gl'intervenne. La quinta, & ultima spetie di sogni fu dagli antichi detta oracolo, laqual cosa Macrobio vuole, che sia quando dormendo veggiamo alcuno de' nostri parenti, & maggiori, overo qualche huomo di gran riputatione, come un Pontefice overo esso Iddio, che si dica ò ci riveli alcuna cosa; come avenne à Giuseppe, in sogno avisato dall'angelo, che togliesse il fanciullo, & la madre di quello, & seco se n'andasse in Egitto. Ma alcuni degli antichi, come a bastanza si può considerare per le parole di Porfirio Filosofo, istimarono tutte le cose vedute nella quiete esser vere, ma, si come per lo piu, non bene intese. Et per ciò pare, che Porfirio habbia l'opinione contraria a molti altri; il che prima per Homero poi per Virgilio è stato detto. Et perche ci è più famigliare il verso di Virgilio, che quello d'Homero, lo addurremmo in mezzo. Cosi adunque dice il Mantovano;

 


 Del sonno son due porte; una de' quali

Si dice esser di corno; onde si dona

Facile uscita a tutte l'ombre vere.

L'altra perfetta d'un'avorio bianco

Per cui sen vanno i falsi sogni al Cielo.


 

Per questi versi vuole Porfirio, che tutti i sogni siano veri, giudicando, che l'anima, addormentato il corpo, come alquanto più libera si sforzi giungere alla sua divinità, & stando involta nell'humanità drizzi tutta la potenza dell'intelletto, & vegga, & discerna alcune cose; ma più siano quelle, che vegga, che quelle, che discerna, ò siano risposte di lontano, ò da più spessa coperta occulte. Et di quì nasce, che quello ch'ella discerne, par, che in tutto nebbia d'oscura mortalità non se le oppona in tutto, viene detto haver uscita per la porta di corno; essendo il corno di natura tale, che incavato, & assottigliato habbia facile entrata, & come un corpo trasparente lascia ch'in sé si vegga le cosi ivi riposte. Quello, che poi opponendovisi la nebbia della carne non si può vedere, diciamo essere rinchiuso in avorio. Il cui osso naturalmente è cosi sodo, & spesso che, facendolo sottile quanto si voglia, non lascia, che vi si vegga le cose rinchiuse; lequali però chiama false Virgilio perche non sono intese, come dice Porfirio. Hora ci resta veder de' suoi ministri; iquali, benche siano molti, nondimeno non s'hanno i nomi di piu, che tre. Di cui il primo vogliono, che si dica Morfeo, il che s'interpreta formatione over simulacro. Il cui ufficio, per comandamento del Signore, è, che si trasformi nella sembianza di tutti gli huomini, & imiti le parole, i costumi, le voci, & gli idioma, come scrive Ovidio dicendo;

 


Ma tra mille suoi figli il padre elegge

Morfeo imitator d'ogni sembianza

Tra tutti gli altri diligente, e saggio.

Imita questi, i passi, il volto, e gli occhi

Et de la voce il suon d'ogni vivente.

Gli habiti insieme con l'usate vesti

V'aggiunge, & le parole, & questi è solo,

Che finge di chi vuol l'essere, e il viso.


 

Il secondo è Itatone overo Fabetora, il significato de' nomi de' quali non so io. Nondimeno l'ufficio di costui in questo verso descrive Ovidio:

 


L'altro fiera diviene, uccello, & serpe,

Et Ithatone è dagli dei chiamato,

Ma Fabetora il vulgo il noma, e dice;


 

Il terzo poi lo chiamarono Panto, cioè tutto. Il cui ufficio è fingere le cose insensibili, & ciò dimostra Ovidio dove dice;

 


Ancho v'è Panto, che con arte strana

Si cangia in terra, in sasso, in onda, e trave,

Et ogn'altra insensibil cosa apprende.


 

Vuole quasi, che per queste parole, che le cose, che noi dormendo veggiamo, ci siano offerte dalla potenza esteriore. Che ciò mò sia vero, altri il veggiano.

 

La Morte, decimaottava figliuola dell'Herebo.

Secondo l'opinione di Tullio, & di Crisippo, la Morte fu figliuola della Notte, & dell'Herebo; laquale dimostra Aristotele essere l'ultima delle cose terribili. Da questa tutti, non veramente incominciando dal giorno, che infelici entriamo nel mondo, pian piano di maniera, che non se n'accorgiamo continuamente siamo pigliati, & morendo noi ogni giorno, allhora volgarmente diciamo morirsi quando lasciamo di morire. Volsero i precessori nostri, se bene noi infelici a mille guise siamo rapiti, quest'essere ò violenta ò naturale. Violenta è quella, che aviene con ferro, con fuoco ò per altra disgratia a colui, che fugge ò la ricerca. La natural poi, secondo Macrobio sopra il Sogno di Scipione, è quella per laquale il corpo non è lasciato dall'anima, ma l'anima è abbandonata dal corpo. Chiamarono appresso gli antichi la morte de' vecchi matura ò convenevole, & quella dei giovani non matura, & quella dei fanciulli acerba. Appresso con molti altri nomi fu dimandata, come sarebbe Atropos, Parca, Leto, Nece, & Fato. La fiera opra di costei cosi anco brevemente descrive Statio:

 


Da le tenebre stigie uscita fuori

La Morte tocca il Cielo, & và volando,

Et copre con un soffio ogni guerriero,

Et quanti huomini tocca atterra, et toglie

Nessuna cosa non commune elegge;

Ma quelle sol, che son degne di vita.

Col veneno mortale i piu sublimi

D'anni, e valor fa morir ella sempre.


 

Ma hora è tempo da scoprire quelle poche cose, che di lei sotto velame sono nascoste. La chiamano figliuola dell'Herebo perche dall'Herebo sia mandata, come nel prescritto verso dimostra Statio, cioè:

Da le tenebre stigie fuor mandata.

Overo perch'ella manchi di callidità, come fa l'Herebo. Detta è poi figliuola della Notte perche pare horribile, & oscura. La morte è anco cosi chiamata, secondo Uguccione, perche morde, overo dal morso del primo padre per lo quale moriamo, overo da Marte, ch'è interfettor degli huomini, overo morte quasi amaror, perche sia amara, conciosia che alcuna altra cosa dagli huomini è tenuta più amara della morte; da quelli in fuori de' quali dice Giovanni Battista nell'Apocalipsi:

Beati quelli, che muoiono nel Signore.

Questa, come pare, che voglia Servio, è differente da Atropos, della cui s'è detto di sopra, in questo, perche per questa violenta dobbiamo intendere la morte, come anco assai si può conietturare dal verso secondo di sopra di Statio. Per Atropos poi; vuole, che s'intenda la dispositione naturale delle cose. Et è detta Atropos perche non si converte. La dissero poi per Antifrasi Parca, percioche non perdona a nessuno; cosi anco Leto, essendo mestissima più d'ogn'altra cosa. Nece propriamente istimo quella per laquale con acqua, con laccio, overo in altra guisa lo spirito viene intercluso. Fato anco viene detta, accioche per divina providenza sia mostrato prima, che tutti quei, che nascono denno morire.

 

Charonte decimonono figliuolo dell'Herebo.

Charonte nocchiero d'Acheronte viene detto da Crisippo figliuolo dell'Herebo, & della Notte; del quale cosi scrive Virgilio:

 


Sta l'horribil nocchier squallido, e negro

Charonte guardian de l'acque e fiumi;

A cui dal mento in giù canuta pende

Squallida barba, & ha di fiamme gli occhi;

Dagli homeri di cui pende una veste

Tutta macchiata, et con un nodo avolta.

Egli una scafa rugginosa, e nera

Con pertica guidando, & con la vela

A l'altra riva porta l'alme ingiuste;

Già di molti anni è pien, ma la vecchiezza

A chi non dee morir, è verde, e forte.


 

Charonte poi, ilquale Servio rivolge in Crononte, è il tempo. Ma l'Herebo è da intender quì per l'interno consiglio della divina mente, dal cui, & il tempo, & tutte l'altre cose sono create, & cosi l'Herebo è padre di Charonte. Ma la Notte per questo gli viene ascritta madre, conciosia che anzi il tempo creato non fu nessuna luce sensibile, & però fu fatto nelle tenebre, & di tenebre pare, che sia prodotto. Charonte poi è locato appresso gl'Inferi perche gli Dei superni non hanno bisogno di tempo, si come n'habbiamo noi mortali, che da quelli siamo inferiori. Che poi Charonte passi i corpi dall'una all'altra ripa d'Acheronte, per questo è finto accioche intendiamo, che il tempo subito, che siamo nati; si raccoglie nel suo grembo, & ci porta ad una opposta ripa, cioè ci conduce alla Morte, laquale è contraria al nostro nascimento; dando questo l'essere ai corpi, & quella togliendocelo. Oltre di ciò siamo guidati da Charon per lo fiume Acheronte, che s'interpreta senza allegrezza, accioche consideriamo, che dal tempo siamo tratti per vita frale, & di miserie piena. Appresso lo chiama Virgilio vecchio ma composto di robusta, & verde vecchiaia, affine, che conosciamo il tempo per gli anni non perder le forze; perche quell'istesso può egli far hoggi, che puotè quando anco fu creato. Che il suo vestire sia poi rozo, & vile è per voler dimostrare, che quelle cose, che si maneggiano d'intorno le cose terrene sono vili, & abiette.

 

Giorno, vigesimo figliuolo dell'Herebo.

Il Giorno fu figliuolo dell'Herebo, & della Notte; cosi tra le Nature de' Dei scrive Tullio. Questi, facendolo Theodontio femina, vuole, che fosse dato per moglie all'Aere, ò vogliamo dire alla sfera del Foco suo fratello. Che fosse poi figliuola dell'Herebo, & della Notte, da alcuni s'allega tal ragione. Perche togliendo tutto l'Herebo in luogo d'una parte, volsero, che fosse pigliato per l'universo corpo della terra. Dalla cui estremità, chiamata da' Greci orizonte, non è dubbio, che dando luogo la notte non si levi il Sole, & il Giorno non si faccia, & cosi l'Herebo haver prodotto dalla Notte il Giorno. Che poi fosse congiunto in matrimonio con l'Ethere lo dicono per questo, perche pigliano l'Ethere per lo foco, che non può mancare di chiarezza, & perciò quando il Giorno è chiaro non vogliono dimostrare alcun'altra cosa, che la chiarezza al foco congiunta. Questo Giorno poi dagli antichi (poscia, che fu detta la sera, & fatta la mattina) fu designato di tale grandezza, che quel tempo, che passa dal levar del Sole, & circonda tutto il mondo, fino a tanto, che ritorni onde s'era levato, insieme con quella notte, che vi s'include sia detto un Giorno, & questo è naturale, percioche è diviso in ventiquattro parti eguali, & queste le chiamarono hore. Indi, si come a loro parve, vi fu sopragiunto il Giorno arteficiale, ilquale partito in Giorno, & Notte, a ciascuna delle parti, cioè al dì, & alla notte concessero dodici hore, benche diseguali, & quello chiamarono artificiale dall'artificio di chi se l'imaginò; del quale ne' suoi giudici per lo più si serveno gli Astrologhi. Indi i medici trovarono il dì Cretico, & di quello usano d'intorno l'osservationi dell'infermità. Il principio poi dei giorni naturali egualmente non si piglia da tutte le nationi. Perche i Romani, come dice Marco Varrone, volsero ch'incominciasse dalla mezza Notte, & havesse fine al mezzo dell'altra, che segue; laqual regola fin'hora servano gli Italiani, & specialmente nelle cause giudiciali. Gli Atheniesi, già incominciando il giorno dal tramontar del Sole, lo finivano all'occaso del giorno a venire. I Babilonici poi facevano dal levar del Sole quello, che gli Attici facevano dal tramontare. Quei dell'Umbria, &, che sono Toscani gli davano principio dal mezogiorno, & lo terminavano al mezogiorno del seguente dì; laquale usanza fin hoggidì da gli Astrologhi viene osservata. Oltre di questo, il giorno naturale è anco distinto secondo diverse sue qualità con varij nomi. Percioche, come afferma Macrobio nei Saturnali, incominciando dal principio del giorno de' Romani, chiama il primo tempo del giorno inchinatione di meza notte, attento, che la notte nel principio del giorno incominci declinare. Indi chiamarsi dal canto del Gallo, Gallicinio. Il terzo conticinio, perche tutte le cose adormentate paiono sepolte. Il quarto Diluculo, conciosia che pare, che la luce del giorno incominci dimostrarsi. Conseguentemente il quinto tempo, levandosi già il Sole, volsero dir mattina, ò che dalle mani l'incominciamento della luce sia paruto uscire, ò dall'augurio del buon nome; attento, che i Lanubini interpretano mattina per bene. Il sesto poi chiamarono Meridio, cioè mezzogiorno, il che noi diciamo Meridie. Da quest'hora in poi il tempo, che s'estende verso la notte, ch'è il settimo, dicesi Occidente, perche pare, che cada. L'ottavo poi è chiamato ultima tempesta percioche sia l'ultimo tempo del giorno, come nelle dodici tavole si contiene; l'ultima tempesta sarà il montar del Sole. Indi il nono tempo si chiama Hespero; il che è tratto da' Greci, perche quelli chiamano Hespero da quella stella Hespero, che appare nel tramontar del Sole. Il decimo tempo poi, ch'è il principio della notte, si dice prima face, percioche alhora le stelle incominciano apparire, overo, come piace ad altri, perche alhora cessando la luce incominciamo accendere i lumi, per vincere con quelli le tenebre della notte. L'undecimo è chiamato notte concubia, percioche in quell'hora dopo l'essersi alquanto vegghiato si va a riposare. Il duodecimo tempo del giorno, ch'è il terzo della notte, vien detto intempesto, conciosia che non pare commodo a alcuna operatione; il cui fine è l'inclinatione della meza notte circa il principio c'habbiamo detto. Appresso, havendo la diligenza humana (havuto rispetto al settennario numero, ilquale gli antichi per certe cagioni tennero perfetto) disposto tutto il tempo de' giorni far il suo corso per settimane, & quei giorni della settimana con diversi nomi chiamare, alcuni degli huomini furono avezzi ricercare le cause di tali nomi. Lequali istimo queste; essendone cinque appresso noi nomati da i Pianeti, il sesto, dagli Hebrei detto sabato, da' Christiani poi non è stato cangiato, percioche dicano Latinamente voler dire riposo, affine, che si vegga che, havendo creato Iddio in sei giorni tutte le cose, nel settimo volse riposare. Ma la Domenica, ch'a noi Christiani è il settimo giorno, cosi è chiamata perche in tal giorno Christo figliuolo d'Iddio non solamente riposò da tutte le sue fatiche, ma vittorioso risuscitò da morte, & cosi quella i famosi padri dal Signor Nostro nomarono Dominica. Altri vogliono, che sia cosi detta dal Sole, perch'egli è prencipe de' Pianeti, & indi sia detto Signore, & perche habbia il prencipato dell'hora prima dell'istesso giorno, per ciò quella essere chiamata Domenica. Ma essendo molto diverso l'ordine di pianeti di quello, che sia tenuto de nomi de' Dei, è da sapere secondo l'ordine dei pianeti successivamente a ciascun'hora del giorno essere data la signoria, & da quello a cui tocca il dominio della prima hora del dì, da lui quel giorno prende il nome; come sarebbe a dire, se tu attribuirai a Venere la seconda hora del giorno di Dominica, laquale subito è sottoposta al Sole, & a Mercurio la terza, ch'è sottoposto a Venere, & alla Luna la quarta, ch'è sottoposta a Mercurio, e la quinta a Saturno, a cui è da rivolgere l'ordine, quando mancherà nella Luna, la sesta à Giove, & cosi di tutte le altri ventiquattro hore del dì Dominicale, sotto il nome overo dominio di Mercurio si trova la vigesimaquarta hora, & la vigesimaquinta, che è la prima del giorno seguente, sotto il nome overo Imperio della Luna, & però da quella viene nomato il secondo dì della settimana, overo più tosto il primo, accioche il dì della Dominica sia il settimo della settimana, & il giorno di riposo. Dalla cui prima hora del giorno del Lunedì, se con l'istesso modo computerai xxiiij hore, troverai la vigesimaquarta hora di lui fermata sotto l'imperio di Giove, & la vigesimaquinta sotto il poter di Marte, dal quale anco esso secondo giorno di Marte ha havuto nome, perche all'hora sua prima Signoreggia Marte. Et cosi successivamente di tutti gli altri, fino a tanto, che tu giungerai all'ultima del sabbato; laquale soggiace a Marte, & segue adietro la prima della Dominica ascritta al Sole; dal cui il giorno, come habbiamo detto, è stato chiamato. Il dì natural poi, essendo terminato col giorno, & con la notte, è nomato solamente da tutto il giorno come da più degna parte, & dì dagli Dei chiamato, percioche Dijos Grecamente s'interpreta Dio. Attento, che si come gli Dei, secondo l'opinione degli antichi, sono favorevoli a mortali, cosi i dì sono prosperi, & da essi Dei anco per tal causa sono derivati.

Hora, che usciti fuori di sotterranee cave, con l'aiuto d'Iddio, siamo giunti alla luce del giorno, restava a noi, accioche ugualmente havessimo trattato di tutti i figliuoli dell'Herebo, che anco si fosse detto del Foco, ilquale vogliono essere stato figlio dell'istesso, & appresso havessimo descritto quello, che gli antichi ne sentano. Ma perche ogni suo figliuolo maschio, eccetto questo, è sterile, & di costui non è picciola la discendenza, & assai in lungo si è steso il volume, m'è paruto più honesto serbarlo nel secondo libro, & al primo dar fine.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO SECONDO

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collatino di Collalto

 

PROEMIO

Siamo con la gratia, & favore del nostro vero, & onnipotente Iddio usciti  fuori delle Caverne, dove habbiamo tratto quasi tutta la prole dell'Herebo; & fino dove è stato conceduto all'ingegno, tolti via i figmenti, ignuda nel precedente volume l'habbiamo posta inanzi ai Lettori.

Et veramente, non senza gran fatica tra gli Stigi fumi, & i nuvoli della mia navicella quà & là pericolante, ciò ho potuto fare. Ma poscia che s'è venuto in più aperto mondo, forse con minor dubbio avanzeremo i diversi viaggi, & gli strani Euripidi, l'onde de quali, che s'alzano fino al Cielo, s'io non m'inganno veggio. Perche tra gli altri il difficile Ethere, ò vogliamo Aere, ò più propriamente dir foco, tratto dalle viscere dell'Herebo in altezza, primo col suo impeto ci occorre, non solamente fecondo per la gran prole, ma anco molto riguardevole. Della cui, se a bastanza drittamente riguardo; il primo Giove n'è uno, il quale non meno è risplendente per la gloria di cosi famoso nome, che per la grande successione; la cui, s'io voglio descrivere, mi bisogna, cacciato dal flusso del mare, solcare per tutto il lito d'Egitto, di Soria & il tuo Reame di Cipro. La quale, essendo tanto alla grandezza tua, ò famosissimo Re palese & chiara, quanto è più lontano il navigare, ti prego, per l'eccelso honore del tuo nome, che patientemente tu sopporti i miei errori, & a usanza di Principe pio, più tosto commandi, che siano corretti, che lasciare, che siano stracciati dai denti degli invidiosi. Percioche io con la vela spiegata dalle foci dell'Orco piglio viaggio, pregando colui, che (pericolando nel mare di Genesareth i discepoli) commandò a i venti, & l'onde, che drizzi il mio camino a buon porto.

 

L'Ethere o vogliamo dir fuoco, vigesimo primo figliuolo dell'Herebo, che generò Giove primo, & Celio, overo Cielo.

L'Ethere, ò vogliamo dir Aere, ò Fuoco, si come piace a Tullio nelle Nature de' Dei fu figliuolo della Notte & dell'Herebo. Il quale, come, che alle volte propriamente sia tolto per lo Cielo, nondimeno da molti pare, che sia istimato l'elemento del foco. Cosi testimonia Uguccione; cosi pare, voglia che Ovidio nel principio del suo maggior volume, dove dice;

 


Ciò sopra pose il liquid'Aer, che manca

Di peso, e in se non ha faccia terrena.


 

Et quello, che va dietro. Alcuni tennero questo essere la prima causa di tutte le cose, come di sopra è stato detto; & similmente Pronapide dimostra con la fittione essere figliuolo di Demogorgone, mentre disse ch'il Chaos infiammato mandò fuori sospiri. Ma m'è paruto credere a Cicerone. Il quale Foco, come, che molti il facciano sterile, egli nondimeno scrive, che fu fecondo, & che generò Giove primo & Celio; da' quali venne & discese poi tutta la gran prole de' Dei.

 

Giove primo figliuolo dell'Ethere, il quale tra maschi, & femine hebbe tredici figliuoli; il primo de quali Minerva, il secondo Apis, il terzo il Sole, il quarto Diana, il quinto Mercurio, il sesto Tritopatreo, il settimo Abuleo, l'ottavo Dionisio, il nono Hercole, il decimo Proserpina, l'undecimo il padre Bacco, il duodecimo Epafo, & l'ultimo Scitha.

Dice Theodontio, che Giove primo fu figliuolo dell'Ethere & del Giorno; del qual Giove veramente, come, che sia stato ornato di cosi chiaro nome; non mi ricordo haver letto alcuna cosa, & poche intese, che siano lodevoli. Raccontava Leontio, huomo Greco & di tali narrationi copiosissimo, costui pria c'havesse cosi gran nome essere stato chiamato Lisania, huomo d'Arcadia & veramente nobile. Il quale d'Arcadia se n'andò ad Athene, & essendo di grand'ingegno, & veggendo in quel rozzo secolo gli Atheniesi vivere rozzamente & quasi da fiere; prima d'ogn'altra cosa ordinò alcune leggi, & con publiche institutioni insegnò il vivere, & fu il primo ch'a loro, i quali havevano le donne come communi, mostrò il celebrare de matrimoni, & havendoli già ridotto ai costumi humani gl'insegnò adorar i Dei; ordinò a quelli altari, tempi & sacerdoti, & appresso gli dimostrò molt'altre cose utili, le quali riguardando & molto lodando i selvaggi Atheniesi, istimandolo Iddio lo chiamarono Giove & lo fecero suo Re. Queste cose so io di costui. Hora mo', poscia, che haveremo veduto perche lo finsero figliuolo dell'Ethere & del Giorno, & perche appresso gentili fu riverito tanto il nome di Giove, vedremmo poi il suo significato, & cercheremo di sapere quale potesse essere la cagione di tal nome & di tal deità. Il dicono adunque figliuolo dell'Ethere ò per nobilitarlo con cosi generoso padre, percioche tenevano la prima cagione delle cose il Fuoco, & cosi non gli potevano dar più nobil padre, overo perche l'istimarono huomo celeste, overo un Dio venuto dal Cielo, per la ragione della profondità dell'ingegno, ò perche videro in lui una natura di fuoco, che sempre a guisa di fiamma tende in alto; come puossi a lui attribuire quel verso di Virgilio;

Vigor di fuoco, e origine celeste.

Che sia poi detto figliuolo del giorno, credo ciò essere detto perche, si ben'alcuno nasce atto a gran cose, nondimeno subito ch'è nato non può oprar quello al cui fine è prodotto; bisogna, che di giorno in giorno se gli accrescano le forze, & l'animo si faccia maggiore nel fervore dell'essecutioni di quelle; & poi, ch'egli le opri, le cui opre, perche nel giorno sono vedute & conosciute, dal Giorno pare prodotto con nuovo parto; come tra tali si può dire quello, che scrive Valerio di Demosthene: per la qual cosa la madre produsse un Demosthene, & la industria ne ha partorito un altro. Cosi un Lisania ha partorito la madre, & un altro il giorno, testimonio dell'opre. Appresso questo Lisania fu chiamato dagli Atheniesi col nome di Giove, per inanzi già mai a alcuno altro de' mortali non conceduto; nè anco ad esso Iddio fin'hora da' gentili era stato imposto, nè a pieno si sa onde sia stato tolto dagl'impositori. Nondimeno io penso quello essere stato causa di tal nome, che anco troviamo essere avenuto di molti altri Pianeti, cioè, che gli fosse dato il nome di Giove dalle operationi conformi di tal huomo. Percioche dice Albumasare nel suo maggior Introduttorio il pianeta di Giove per natura esser calido, & humido, aereo, temperato, modesto, honorato, molto lodevole, osservator di patienzia, nei pericoli dopo la patienzia ardito, liberale, clemente, aveduto, vero amatore, avido di dignità, fedele, parlatore, amico de' buoni, inimico dei cattivi, amator di Principi & maggiori; & molto altre cose scrive di lui, nelle quali aggiunge quello significare natural anima, vita, bellezza, huomini saggi, Dottori di leggi, giusti Giudici, riverenza de' Dei, religione, vittoria, regno, ricchezza, nobiltà, allegrezza & altre simili. Le quali considerate, & poi contrapesati i costumi di quest'huomo, di maniera conosceremo quello convenirsi con Giove, che non inconvenevolmente diremo essere chiamato Giove, & crederemo questa conformità & convenevolezza essere stata cagione di tanto nome. Ma non leggiamo, che questo, poscia, che fu conceduto dagli antichi al Pianeta & a Lisania, non fosse anco da' più moderni attribuito ad alcuni altri, come a Giove secondo figliuolo di Cielo, il quale fu huomo Arcade & Re d'Atheniesi. Et appresso a Giove terzo, huomo di Creta & figliuolo di Saturno; cosi anco a Pericle Prencipe Atheniese, il quale molti chiamarono Giove Olimpio. Oltre di ciò i Poeti ne' suoi figmenti inclusero il fuoco elemento, & alle volte il fuoco & l'aere, sotto il nome di Giove. Et tanto s'è inalzato, che da' più prudenti è stato ascritto al sommo & vero Iddio; & ciò non immeritamente. Perche a lui solo si conviene cosi degno nome. Ilche non rifiuterà il Christiano, considerata la significatione del nome, se ciò non fosse stato inventione de Gentili. Imperoche vogliono alcuni huomini saggi, che Giove sia detto da giovare, & suoni l'istesso, che padre giovante; la qual cosa al solo vero Iddio si conviene. Egli veramente è il vero Padre, & fu da eterno & sarà in sempiterno, il che di nessun altro non si può dire. Similmente aiuta tutti & non nuoce a alcuno; & tanto è difensore che, se non c'è il suo aiuto, tutte le cose andrebbono in ruina in subito; & ciò sarebbe necessario. Appresso, questo nome Giove in greco viene detto Zeph, che Latinamente suona vita. Et chi alle cose & a tutte le creature è vita, se non Iddio? Egli senza dubbio di sé stesso parlando, lo dice: Io sono la strada, la verità, & la vita. Et veramente cosi è. A lui, per lui, & in lui viveno tutte le cose. Fuori di lui, eccetto la morte & le tenebre non v'è altro. Costui, se bene gli antichi Romani drittamente non l'honorarono, chiamarono nondimeno Giove ottimo massimo, essendo sforzati dimostrarlo per queste poche parole. Percioche per grandezza & potenza trapassò gli altri Dei, & ch'egli solo sia il sommo bene, & che da lui dipenda la vita & l'aiuto a tutti. Oltre ciò, molto altre cose potrei descrivere qui, che i Poeti hanno attribuito a Giove, com'è l'armigero uccello, la quercia, le guerre, la moglie Giunone, & altre tali. Ma perche queste paiono drittamente convenirsi a quello, che si favoleggia di Giove Cretese, ho giudicato bene essere da lasciarle a lui. Ma non si ha chiara certezza, famosissimo Re, se gli Atheniesi havessero costui per Dio, ò pure se lo facessero. Perche se lo fecero, egli è da sapere gli antichi essere stati avezzi, per accrescere la nobiltà dell'origine, con certe sue vane cerimonie mettere nel numero de' Dei gli edificatori delle loro Città, & con sacrifici & tempi adorarli. Cosi anco facevano l'istesso verso i padri & parenti dei suoi Prencipi, & medesimamente verso essi Prencipi, quando da quelli havevano ricevuto qualche beneficio, affine di mostrarsigli grati, & per dar animo agli altri ad oprar bene, per disio di cosi honorata gloria. Appresso, scriveno gli antichi essere stati molti i figliuoli di Giove, de' quali istimo veramente alcuni essere stati figliuoli di Giove; ma di qual Giove, ò primo ò secondo ò terzo, d'alcuni non se n'ha certezza. Cosi anco molti altri per la degna preminenza della virtù & per inalzar la gloria del sangue, similmente dai Theologhi sono attribuiti a Giove de' Gentili; i quali io lascierò a quel Giove, percioche più paiono moderni.

 

Minerva prima figliuola del primo Giove.

Minerva, secondo quasi il publico grido di versi di tutti i Poeti, fu figliuola di Giove; del cui nascimento si narra tal favola. Che veggendo Giove Giunone sua moglie non gli far figliuoli, per non restare in tutto senza figliuoli, percosso il suo cervello mandò fuori Minerva armata. Il che pare essere confermato da Lucano, dicendo;

 


Pallade ancor non poco ama costei.

Dicono Giove al nascer di Minerva

La qual'è nata dal Paterno capo,

Fatto haver fiammeggiar l'aurate pioggie.


 

Et nella natività sua dice Claudiano,

Appresso dice Servio costei essere nata nella quinta Luna, si come gli altri, che sono stati sterili. Oltre ciò, vogliono essere stata sua inventione la lana & il filarla, la quale prima non era conosciuta. Et cosi anco il tessere. Lao onde piace ad Ovidio costei haver havuto contentione con Aragne Colofonia sopra la testura, & essere restata vincitrice. Cosi anco con Nettuno sopra il dar nome alla città d'Athene. Appresso, alcuni la fingono armata & sovrastante della Rocca d'Athene. Indi a quella Tito Livio attribuisce il ritrovar de' numeri & le loro figure, attento che per inanzi gli antichi in vece di numeri usavano segni. Recitasi anco di costei un'altra favola. Che havendo ella fatto presuposto di serbare perpetua la sua castità, & Vulcano essendosi inamorato di lei, egli la dimandò per sposa al padre suo Giove, per premio delle saette da lui a quelle fatte con le qual fulminò i Giganti. Là onde Giove, consapevole del voto della figliuola, gli la concesse con tal patto, ch'egli vedesse se la poteva conquistare & ridurre a far le voglie sue. Dall'altro lato diede ampia licenza a Minerva che, s'ella non se ne contentava, si potesse difendere con tutte le forze a suo maggior potere. Così, mentre Vulcano faceva ogn'opra per metterla di sotto, & ella in contrario gli facesse resistenza, avenne, che Vulcano si corruppe, & di quel seme ch'in terra cadè nacque un fanciullo; & ella fu lasciata in pace. Dicono anco quella andar vestita con tre vesti, & gli le consacrarono un elmo in cima un'asta dipinto; & in sua difesa, levatale la Cornice, le posero la Civetta. Indi chiamarono con molti nomi, come Minerva, Pallade, Athena & Tritonia. Spiegate queste cose, l'ordine incominciato voleva che fosse scoperto quello, che gli antichi havessero potuto comprendere sotto i figmenti. Ma qui è da considerare, che tutti quanti i figmenti giù locati non s'appartengono a questa Minerva. Veramente quella del nome istesso ha intricato l'orecchie delle genti, non si curando di ciò i Poeti. Percioche, come afferma Leontio, le arme non s'appartengono a questa, nè il contrasto di Nettuno; ma più tosto sono di quella Minerva, che fu figliuola del secondo Giove. Et però lasciate quelle scovriremo l'altre, & v'aggiungeremo alcune cose historice. Vogliono adunque Minerva, cioè la Sapienza, essere uscita dal cervello di Giove, che tanto è come discesa da Iddio. Percioche i Fisici vogliono tutta la virtù intelletuale essere locata nel cervello, come in una fortezza del corpo. Di qui fingono Minerva, cioè la sapienza, nata dal cervello d'Iddio, affine ch'intendiamo ogni intelligenza & ogni sapienza essere infusa dal profondo segreto della sapienza divina; la quale Giunone, cioè la terra, in quanto a questo sterile non poteva concedere nè può dare. Perche, col testimonio della sacra scrittura, ogni sapienza viene dal Signor Iddio. Et ella istessa medesimamente ivi dice: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo. Et cosi veramente con industria finsero quella non come noi siamo generati, ma dal cervello di Giove essere nata, per dimostrare la singolar sua nobiltà lontana da ogni terrena sporcitie & feccia. Indi a lei si attribuisce la virginità perpetua & poi la sterilità, accioche per questo si conosca, che la Sapienza mai non si macchia per alcun appetito nè atto delle cose mortali; anzi sempre è pura, lucida, intiera & perfetta. Et in quanto alle cose temporali è sterile, essendo i frutti della Sapienza eterni. Ciò, che sentirono poi del suo contrasto, egli si scriverà più di sotto, dove si tratterà d'Erittonio & di questo contrasto. Si cuopre con una veste a tre falde, accioche siano intese le parole de' saggi, & specialmente di quei, che fingono sotto coperta di sensi diversi. A lei appresso è consacrato un arbore dipinto, affine, che conosciamo i parlari dei savi essere ornati, fioriti, eleganti & molto limati. La Nottola poi, a lei dedicata invece della Cornice, è per dimostrare il savio con l'avedimento conoscere le cose poste in oscuro, si come anco la Nottola vede nelle tenebre; onde cacciate via le ciancie & il garrire, dia opra in haver riguardo a tempo & luoghi. Minerva poi è derivata, come dice Alberico, da Min, che significa non, & Erva, che vuol dir mortale; onde nasce la sapienza essere immortale. Pallide & Athene è nome convenevole ad altre Minerve; di che dove d'elle si tratterà, esporremmo il tutto. Ma Tritonia è detta da un loco ò vero da un laco, il quale in Africa è detto Tritone, là dove ella al primo tratto comparve. Esposte adunque le fittioni in questo modo, egli è da passare all'historia, & sapere, che Minerva fu una certa donzella della cui origine non s'ha cognitione; la quale essendo di grand'ingegno, come dice Eusebio, regnando Foroneo in Grecia, prima appresso Titonia palude over lagho d'Africa comparve, non sapendo alcuno da quali contrade ella si fosse venuta. Dice nondimeno Pomponio Mela nella sua Cosmografia, che gli habitanti istimarono quella essere ivi nata; & le favole ne fanno fede, perche quel giorno natalitio, che pensavano essere stato il suo lo celebravano con giuochi di donzelle, che tra loro contrastavano. Questa adunque havendo trovato il filar della lana, la testura & molte altre cose artificiose, fu tenuta per famosa Dea. Et perche tutte le sue inventioni parevano derivare da sottile ingegno & da sapienza, fu aggiunto loco alla favola ch'ella fosse nata dal cervello di Giove. Di costei dice Agostino nel libro della Città d'Iddio che, regnando Ogigi in Attica, ella comparse in habito virginale appresso il laco Tritone, si come è stato detto; & essendo inventrice di molte opre, tanto più facilmente fu tenuta Dea quanto meno la di lei origine fu incognita. Nè da Eusebio è differente Agostino nel tempo, percioche l'istesso Eusebio dimostra Foroneo & Ogigi essere stati ad un medesimo tempo. Et perciò io ho ascritto costei figliuola al primo Giove: attento, che più a lei parmi convenirsi per lo tempo, che a alcun altro.

 

Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo Giove.

Eusebio nel libro dei Tempi dice, che Apis, il quale fu poi Re d' Argivi, fu figliuolo di Giove & di Niobe figliuola di Foroneo; con il cui istesso Eusebio scrive Giove prima, che con nessun altro essersi congiunto. Et cosi fu il primo Giove, attento, che per la distanza del tempo molto più inferiori siano gli altri. Ma Leontio disse costui essere stato figliuolo di Foroneo & di Niobe, sorella & moglie sua, & a lui essere successo herede nel reame di Sicioni; ma poi dagli Egittij essere stato fatto Iddio & figliuolo di Giove. Di questo Api si narrano molte cose; percioche, come rifferiscono alcuni, havendo alquanto tempo signoreggiato dopo la morte di Foroneo agli Argivi, per disio di gloria & ingordigia di maggior reame passò in Egitto; & ottenuto quel regno, poscia, che hebbe insegnato molte cose a quegli huomini rozzi fu incominciato ad essere tenuto per Dio, havendo già tolto l'Iside per moglie. Ma Eusebio scrive ch'egli fu Re di Sicioni, & dove da quello egli è stato detto. Del tempo suo poi, diversa è l'opinione de' scrittori degli annali. Perche alcuni dicono al tempo d'Abraam la Grecia da lui essere stata detta Apia; altri poi vogliono che, già nato Giacob, appresso gli Egittij essere stato tenuto Iddio. Ma Beda in quel libro ch'egli scrisse de' Tempi dice nel tempo di Giacob da Api essere stata edificata Menfi. Oltre di ciò, Eusebio parla secondo altri egli essere stato Re degli Argivi & haver regnato cento anni dopo Giacob, & ivi dice che, havendo Api creato governatore dell'Acaia Egialeo Re & suo fratello, se n'andò in Egitto, & edificò la città di Menfi. Ch'egli poi se n'andasse in Egitto & togliesse per moglie l'Iside, a bastanza da tutti è creduto. Ma si come del suo tempo si dubita, cosi anco della sua morte si dicono diverse cose. Perche alcuni vogliono lui essere morto appresso gli Egittij & sepolto; del quale nel libro della Città d'Iddio cosi dice Agostino; Il Re d'Argivi Apis, essendo navigato in Egitto & ivi morto, fu creato Sarapis, tra tutti gli altri Dei degli Egittij maggiore. Del nome suo poi: perche doppo morte fosse detto più tosto Serapis, che Apis, Varrone ne renda facilissima ragione. Perche l'arca nella quale si mette il morto, chiamata da tutti sepoltura, in greco si dice Soron; & ivi haveano incominciato honorare il sepolto, pria, che gli fosse il tempio edificato. Onde Soron & Apis, prima Sorapis; indi cangiata una lettera come si suol fare, fu poi detto Serapis. Altri poi dissero lui essere stato morto dal fratello Tifeo & a brano a brano stracciato, & lungamente cercato dalla moglie Iside, & ultimamente trovato, & le sue membra raccolte in un panieri; onde poi fu rivolto in religione, nei sacrifici cioè nei februi intravenirgli il crivello. Ma la Iside poi portò le membra raccolte oltre la palude Stigia, ch'è in Africa in una Isola molto lontana, & ivi le ripose. Et vogliono, quelli, che ciò istimano vero, essere nato dal lungo ricercare dell'Iside quello, che lungamente fecero gli Egitii, i quali non prima restarono di cercar lei che, trovato un toro bianco, & a quello ritrovato usando vezzi, lo chiamarono Osiri. Et perche ciò si faceva ogni anno, disse Iuvenale.

Et il mai non cercato a pieno Osiri.

Ma andasse egli quando si volesse in Egitto, ò morisse come si volesse, ò fosse sepolto ad ogni via, che più piaccia, fu in tanta riverenza Apis appresso gli Egittij, che da loro si venne a tal conditione (affine, che la sua divinità non potesse essere machiata da alcuna ombra l'humanità), che publicamente fu ordinato, che se alcuno havesse ardire chiamar quello essere stato huomo, subito gli fosse tagliato il capo. Et per ciò in ogni tempio la sua imagine stava con un dito posto inanzi alla bocca, dimostrando il silentio. Appresso, dice Rabano, che i pazzi Giudei nell'heremo adorarono in loco d'Iddio il capo di questo toro, il quale gli Egittij istimarano Serapin. Oltre di ciò, dimostra Macrobio nel libro dei Saturnali questo Apis con gran riverenza appresso Alessandria d'Egitto essere adorato, affermando ch'eglino fanno quello honore al Sole. Et cosi pare, che s'istimi Apis essere il Sole.

 

Il primo Sole terzo figliuolo del primo Giove.

Scrive Tullio nelle nature degli Dei il primo Sole essere stato figliuolo del primo Giove; nondimeno non dice di qual madre nascesse. Sono di quelli, che vogliono costui essere stato Apis, conciosia, che in luogo del Sole da gli Egittii, si come di sopra habbiamo detto, viene adorato. Ma io, che egli sia stato altramente non mi ricordo haverlo ritrovato; tuttavia sono certo, che fu huomo, & cosi fu differente da Apis. Egli è da credere anco, che fosse un huomo notabile, famoso, & ornato d'animo grande & reale, & in quella guisa, che di sopra è stato detto di Giove essere stato ornato di cosi famoso nome.

 

Diana prima, quarta figliuola del primo Giove.

La prima Diana fu figlia del primo Giove, & Proserpina, come nel medesimo libro di sopra afferma l'istesso Tullio. Istimo anch'io costei essere stata vera figliuola di questo Giove, & non putativa. Et essendo quel nome assai usato dalle donne, è anco possibile, che fosse proprio, & non ritrovato. Ma quale ella si fosse; non è quella, ch'i Poeti fanno cosi famosa di perpetua virginità, leggendosi costei di Mercurio figliuolo di Libero, & di Proserpina haver conceputo il pennato Cupido.

 

Mercurio primo, figliuolo quinto del primo Giove.

Afferma Leontio Mercurio essere stato figliuolo del primo Giove & di Cilene ninfa d'Arcadia. Scriveno i Poeti costui essere stato messaggiero de' Dei & loro interprete. Onde con diversi ornamenti lo dipingono, accioche per quelli s'intenda la varietà dei suoi affari. Scrive di lui Virgilio in questa forma;

 


Prima si lega i suoi talari, ai piedi;

I quali d'oro sopra il mar con l'ali

In alto, over sopra la terra insieme

Velocemente il portano liggieri.

Piglia la verga poi, con la qual'egli

Leva dal centro l'anime tremanti

Et altre qui nel mesto Inferno manda;

Con quella apporta i sonni; e i lumi insieme

Con morte segna; e appresso e' venti caccia

Con furia; e ferma i nuvoli turbati.

Et quello, che segue.


 

Appresso Horatio di lui cosi scrive nelle Ode.

 


O Mercurio d'Athlante alto nipote.,

Che con la voce de l'ornato canto

De la tua pura cetra, i fieri volti

Degli huomini novelli pur formasti.


 

Oltre di ciò Statio gli aggiunge il capello, dicendo;

 


Et ventilla le chiome; & col cappello

Tempra le stelle.


 

Nondimeno, benche leggiamo più huomini essere stati Mercurij, tuttavia riguardando quelle cose, che poco di sopra di lui scriveno i Poeti, come, che si possano applicare ad un huomo, più tosto presumeremo, che siano scritte sopra il Mercurio pianetta; & maggiormente se riguardaremo qualmente con quelle cose, che sono scritte dagli Astrologhi si confacciano le dette dai Poeti. Perche Albumosaro, huomo tra gli antichi di grandissima auttorità, afferma Mercurio essere di cosi pieghevole natura, che incontanente s'appiglia a quella ch'egli s'accosta converte la natura dell'huomo, che ne partecipa; & questo aviene per lo temperamento della sua sicità & frigidità. Ma l'honorato Andalone, mio precettore, di complessione lo chiama calido & secco, & che significa dilettatione di concubine, chiarezza & oracoli di Poeti, eloquenza & memoria d'historie, credenza, bellezza, bontà, disciplina, sottigliezza d'ingegno, scienza di cose future, Aritmetica, Geometria & Astrologia. Et appresso, haver in sé la descrittione di tutte le cose, cosi celesti come terrestri. Oltre di ciò, auguri, dolcezza di ragionamenti, velocità & disio di signori. Et quello lode, fama; & appresso tonsura di chioma, scrittori, libri, bugie, testimonio falso, considerationi di cose rimotte, poca allegrezza, ruina della sostanza, negotii, compride, furti, liti, astutie, profondità di consiglio, dolcezza di versi & canzoni, colorationi diverse, ubidienza, pace, concordia, pietà, povertà, conservatione d'amicitia, artefici manuali, & molte altre cose si dinotano. Et come afferma esso Andalone, con i maschi è maschio & con le femine feminile. Per le quai cose facilmente possiamo comprendere ch'essendo di cosi convertevole natura, di lui ne i prescritti versi haver inteso i Poeti come, che l'istesso si possa anco dire degli huomini Mercuriali & anco si dica, secondo, che si dimostrerà nelle seguenti. Ma piacemi piu largamente dichiarare l'intento di Poeti, accioche più chiaramente si manifesti quanto si convengano con gli Astrologhi. Dicono adunque, affine, che dal capo pigliamo il principio, essere coperto con un capello, per dimostrarci che, si come chi si cuopre col capello schifa le pioggie & il Sole, cosi Mercurio coperto da i solari raggi, ai quali quasi sempre congiunto, fugge essere veduto da' mortali; rarissime volte certamente veduto, & a pochi è noto. Et l'huomo Mercuriale con l'astutia cuopre il suo intento. Haver poi l'ale ai taloni dinota la sua velocità, non solamente nel Moto, il quale a lui circa l'epiciclo è velocissimo, ma per la veloce donatione & apprendere delle proprietà sopracelesti de gli altri corpi; là onde si comprende la voce & l'astuta inclinatione degli huomini mercuriali. La verga poi gli è attribuita per le varietà dei corpi che a lui si congiungono, secondo le quali egli subito partisce i suoi affetti; & anco l'huomo Mercuriale d'intorno ogni opra sua, misura l'effetto & il potere. Che poi con la verga, cioè con la sua potenza, richiami l'anime dal centro, qui è bisogno più acutamente aprir l'orecchi. Furono veramente di quelli i quali istimarono tutte l'anime degli huomini al principio essere stato create insieme, & dopo, concetto gli huomini, essere state mandate in noi a morire & a passare nell'Inferno; & ivi essere tormentate fino attanto, che purghino le cose commesse in vita, & indi passare nei campi Elisi, & mill'anni da poi essere guidate da Mercurio di fiume Lethe, acciò bevendo di quello si scordassero le fatiche della presente vita, & cosi desiderassero di novo ritornare ne i corpi ai quali Mercurio le richiamava. La qual opinione ridiculosa benissimo tocca Virgilio, mentre dice;

 


Sopportiamo ciascun l'anime nostre,

Indi mandati siam per l'ampio Elisio,

Et pochi possediamo i campi lieti;

Fin, che il dì lungo a pien fornito il tempo

Leva la peste generata, e il puro

Ethero senso lascia, e il foco insieme

De l'aura pura; onde pei queste tutte

(Girato, c'hanno il spatio di mille anni)

Iddio in gran schiera al Letheo fiume chiama

Affin, che de l'oblio gustate l'acque;

Tornino a riveder le cose state,

Di novo incominciando ad haver voglia

Di ritornar nei corpi, & farsi humane.


 

Questo ufficio adunque di rivocar l'anime ai corpi vogliono, che sia attribuito a Mercurio, perche dicono, che è presidente al porto, che nel sesto mese sta nel ventre della madre; nel qual tempo molti istimano l'anima rationale essere infusa nel conceputo, & questo per opra di Mercurio, che gli signoreggia. Cosi dall'Orco, cioè dall'inferior loco, viene revocata l'anima nel corpo di quello c'ha a nascere da Mercurio. Che poi le mandi ai Tartari è opinione de' Fisici, perche per lo freddo & per lo secco, qual'è la vera complessione di Mercurio, mancando il callido & humido radicale, l'anima si disgiunge dal corpo, & secondo l'opinione degli antichi va all'Inferno. Togliere poi & dare i sonni è l'istesso con quello ch'è stato detto giudicare i nascenti in vita, ch'è il togliersi il sonno & sciogliersi in morte, che significa darli il sonno. Cacciare i venti è opra di Mercurio, perch'egli col suo freddo alle volte suscita quelli, che, suscitati, qua & là le nebbie sono portate dai loro sforzi. Vogliono anco, che sia il Dio dell'eloquenza, di mercanti, de' ladri & d'alcun'altre cose, che di sotto si diranno trattandosi degli huomini mercuriali. Che poi fosse figliuolo di Giove, è stato finto perche è creatura d'Iddio. Ma di Cilene fu detto per colorar la fittione, ò perche prima fu adorato appresso Cilene monte d'Arcadia.

 

Tritopatreo sesto, Ebuleo settimo, & Dionisio ottavo figliuoli del primo Giove.

Dice Cicerone, dove tratta delle Nature de' Dei; che Tritopatreo, Ebuleio & Dionisio furono figliuoli dell'antichissimo Giove, cioè primo Re d'Atheniesi, & di Proserpina; e, che in Athene furono chiamati Ariarchi. I quali, come, che niente io non ritrovi di loro, nondimeno istimo, che fossero famosissimi huomini, attento, che Ariarches significa Prencipe dell'armi. Percioche Aris in greco suona latinamente Marte, & Archos Prencipe; adunque furono delle guerre overo dell'armi prencipi. Il che a' que tempi, & anco hoggi dì, è grandissimo nome. Ma Leontio dice, che Ebuleo, tratto dalla fama d'Antheo figliuolo della Terra, andò a trovarlo per giuocar seco alla lotta, & havendolo vinto meritò il cognome d'Hercole; il quale pria di lui alcuno non havea meritato. Nondimeno io credo Ebuleo essere stato molto più antico d'Antheo. Similmente dice, che Dionisio mosse guerra agl'Indi, constrette le donne alla guerra, & ottenuta la vittoria ivi haver edificato la città di Nisa. Indi ritornando vittorioso fu il primo, che s'imaginò la pompa del Trionfo, & anco insegnò agli Atheniesi l'uso del vino; & da quelli fu chiamato libero, & padre; conciosia che, vivendo lui si tenevano liberi, & come conservati sotto la difesa d'ottimo padre. Le quali cose non nego, che non potessero essere state in questo modo; ma nondimeno istimo, che fossero molto da poi.

Hercole primo, & nono figliuolo del primo Giove.

Piace appresso, a Tullio, il primo & antichissimo Hercole essere stato figliuolo del primo Giove di Lisico. Et afferma costui essere stato a contrasto con Apollo sopra il tripode; nel quale, perche l'ottenne, Paolo vuole che, essendo prima detto Dionisio, perciò fosse chiamato poi Hercole. Il che veramente afferma anco Leontio; ma però non dimostra la cagione, onde non so, chi mi credere. Ma il contrasto del Tripode, cred'io, che fosse sopra l'indovinare. Conciosia che, dice Paolo le Tripode di Febo essere una spetie di lauro solo, che ha tre radici, & perciò queste nei libri de' Pontefici esser dette Tripode, & essere consacrate ad Apollo; perche essend'egli iddio dell'indovinare, questi tali allori paiono havere l'istessa virtù. Attento, che si legge che, se le frondi della spetie di tal lauro sono messe sotto il capo d'uno, che dorma, senza dubbio egli vedrà veri insogni.

 

Proserpina prima figliuola del primo Giove.

Tullio dimostra Giove haver havuto alcuni figliuoli di Proserpina, & anco dimostra, che una istessa fosse di lui figliuola. Il che è possibile, conservata l'honestà ch'egli havesse Proserpina per moglie, & che di questa medesima overo d'altra donna havesse una figliuola chiamata Proserpina, la quale pare, che l'istesso Tullio voglia, che fosse moglie di Libero suo fratello; non ricordandomi altro, che questo haver letto di lei.

 

Libero primo, undecimo figliuolo del primo Giove, il quale generò Mercurio secondo.

Cicerone nelle Nature de' Dei chiaramente testimonia il primo Libero essere stato figliuolo del primo. Ma Leontio istima costui essere stato uno istesso con Dionisio detto di sopra, & si sforza dimostrare, che tra tutti gli altri suoi fratelli fosse huomo famoso. Nondimeno Eusebio ò di questo ò d'altro (il che anch'io più tosto credo) descrive, che fu molto doppo questo tempi. Ma alcuni vogliono ch'a costui fosse sorella & moglie Proserpina, & che di lei havesse Mercurio secondo per figliuolo.

 

Mercurio secondo figliuolo di Libero, & di Proserpina, che generò Cupido, & Auttolio.

Un'altro Mercurio differente dal detto di sopra fu figliuolo di Libero & di Proserpina, come afferma Theodontio & Corvilio; del quale è recitata tal favola da Teodontio: Che havendo egli rubbato le vacche d'Apollo, che alcun altro non l'havea veduto eccetto, che un certo huomo chiamato Batto; ne donò una al detto, con tal patto, che non palesasse il detto furto. Indi cangiatosi in un'altra sembianza, per far esperienza della fede di Batto, venne a lui fingendo d'essere colui, che le havea perdute, & gli offerse un Toro s'ei gliela insegnava. Onde Batto gli rivelò tutto quello c'havea veduto. Di che sdegnato Mercurio lo converse in sasso, chiamato dagli antichi Indice, & da noi volgarmente Pietra da paragone. Finalmente Apollo, confidatosi nella sua divinità, conobbe il furto; onde pigliato l'arco con le sue saette volse uccidere Mercurio, ma Mercurio fattosi invisibile non puotè essere offeso. Ultimamente, accordatisi insieme, Mercurio concesse ad Apollo la cettra da lui trovata, & Apollo diede a lui la sua verga. Diceva appresso Paolo ch'egli havea letto altrove, che Mercurio, essendosi imaginato dell'ira d'Appollo, per non poter essere da lui offeso, segretamente pian piano gli havea tolta fuori della faretra tutte le saette. Di che l'irato Apollo essendosi accorto, & maravigliandosi della sua astutia, se ne rise, & seco fece pace. Leontio d'intorno questa favola diceva questo Mercurio essere stato figliuolo di Dionisio, che poco di sopra è stato detto Libero, & dal nascimento suo chiamato Niso; percioche nacque appresso Nisa d'India, poco inanzi edificata dal padre. Onde cresciuto in adolescenza, fu tanto veloce de' piedi che nel corso vinceva tutti gli altri dal suo tempo. Per la qual cosa lasciato il primo nome fu chiamato Stilbone, che in latino suona veloce. Poi havendo apparato l'arti magiche, et grandemente dilettandosi di ladronezzi imbolò gli armenti a Foronide sacerdote d'Apollo Delfico, che a quel tempo era tenuto di maravigliosa auttorità; & quelli havea riposti dietro una certa tomba di pietra, chiamata Batho. Ma per caso essendosi separato un toro dagli altri compagni, & volendo ritornare a quelli, avenne, che cadè entro quella tomba, & incominciando a mugghiare gli altri tori con i loro muggiti gli rispondevano; là onde udita la voce da quei, che gli ricercavano, & andati, ritrovarono gli armenti involati; & quella tomba cangiato il nome di Batho fu detta Indice. Stilbone poi havendo fuggito con l'arti sue l'impeto dell'irato Foronide, finalmente divenne suo amico. Ma perseverando in tali misfatti non per avaritia, ma, come diceva, per instinto naturale: essendo appresso bello huomo, eloquentissimo & d'intorno tutti gli essercitij manuali d'acutissimo ingegno, fu nomato Mercurio & Dio dei ladri. Il che (come affermava l'istesso Leontio) se bene hebbe principio da un giuoco, l'incominciamento nondimeno accrebbe tanto appresso gli Atheniesi & Arcadi che dopo la sua morte gli furono edificati tempi & fatti sacrifici, con i quali si sforzavano farselo favorevole quelli a' quali era stato involato alcuna cosa, affermando per sua deità molte cose conservarsi & anco ricuperarsi. Et dicevano lui, si come gli altri dei, havere le sue insegne; delle quali, perche di sotto sono per dire dove tratterò del terzo Mercurio, qui non mi sono curato scrivere alcuna cosa.

 

Il primo Cupido figliuolo del secondo Mercurio.

Il primo Cupido, come dice Tullio & Theodontio, fu figliuolo del secondo Mercurio & della prima Diana; il quale dicono essere stato pennato. Il che circa due sensi poterono intenderci quei c'hanno finto. Prima d'intorno il nome, essendo stato bellissimo fanciullo a guisa di Cupido figliuolo di Venere, sempre dipinto garzone & bellissimo; quasi un altro Cupido, per tale fu chiamato. Pennato poi istimo, che lo chiamassero perche fu giovanetto velocissimo nel corso.

 

Auttolio figliuolo del secondo Mercurio, che generò il primo Sinone.

Auttolio, come piace a Ovidio, fu figliuolo di Mercurio & Lichione; il quale Ovidio dell'origine di costui recita tal favola. Dice, che Lichione fu bellissima figliuola di Dedalione, di maniera, che molto piacque ad Apollo & a Mercurio; i quali amendue ricercandola in uno istesso giorno, senza, che l'uno sapesse dell'altro, a tutti due la notte seguente promise il suo congiungimento. Onde Mercurio, senza poter indugiare, che si facesse notte, la toccò con la sua verga facendola addormentare, & con lei si giacque. Apollo poi vi andò la notte, & medesimamente seco hebbe a fare; dai quali partorì due figliuoli, cioè di Mercurio hebbe Auttolio & di Apollo Filemone. Ma Euttolio tra i ladri divenne famosissimo, di maniera, che non pareva tralignare del padre. Filemone poi fatto citharedo dimostrò ch'era stato figliuolo d'Apollo. Istimo il diverso successo del fine di questi due fratelli haver dato materia a questa fittione, & che l'uno & l'altro di loro fosse attribuito figliuolo a quel Dio del quale imitò i costumi. Et forse anco, che Auttolio nel suo nascimento hebbe in ascendente Mercurio, & però fu detto suo figliuolo. Et Apollo per l'istessa cagione s'acquistò Filemone.

 

Sinone primo figliuolo d'Auttolio, che generò Sissimo & Auttolia.

Sinone fu figliuolo (come piace a Paolo) d'Auttolio. Et Servio dice questo istesso essere stato ladro; il quale nell'essercitio di ladronezzi di maniera si trasformava in varie forme, che leggiermente ingannava ogn'uno. Generò egli Sissimo & Auttolia madre d'Ulisse, & hebbe signoria appresso Parnaso, si come si vede nell'Odissea di Homero; dove recita qualmente, appresso Parnaso da un cignale fu ferito Ulisse.

 

Sisimo figliuolo del primo Sinone, & padre del secondo.

Dice Servio, che Sissimo fu figliuolo del primo Sinone; nè di lui mi ricordo haver letto altro eccetto, che fu padre del secondo Sinone, il quale col suo tradimento fu cagione della ruina di Troia.

 

Auttolia figlia del primo Sinone, & madre d'Ulisse.

Come piace a Servio, Auttolia fu figliuola del primo Sinone. Costei essendosi maritata in Laerte Re d'Erachia, & andando a marito (secondo l'opinione d'alcuni) fu assalita & presa da Sisifo assassino, il quale hebbe seco a congiungersi. Et sono di quelli che vogliono da tale congiungimento essere nato Ulisse. Onde cosi pregna essendo andata alle nozze del marito Laerte, & venuto il tempo del partorire, colui ch'ella havea conceputo di Sisifo fu tenuto figlio di Laerte. Il che Aiace figliuolo di Thelamone appresso Ovidio nel contrasto dell'armi d'Achille a lui gitta in occhio, dicendo:

 


Di Sisifo del sangue uscito, & nato,

Et di furti, & di frode eguale a lui.


 

Costei, come si dice, essendole falsamente riportato Ulisse sotto Troia essere stato morto, non potendo sopportare il dolore con un canape si sospese; la quale da poi (come scrive Homero nell'Odissea) nell'Inferno ritrovò & conobbe Ulisse, dove la interrogò di molte cose & sopra molte fu ammaestrato.

 

Sinone secondo figliuolo di Sissimo.

Il Secondo Sinone per testimonio di Servio fu figlio di Sissimo, & dal primo Sinone suo zio cosi detto. Costui, come dimostra Virgilio, essendo andato con Greci alla distruttione di Troia, andando le cose non molto prospere, corrotto da quelli, che finsero di partirsi dall'assedio, volontariamente si lasciò pigliare da' Troiani & condurre dinanzi al Re Priamo. Appresso il quale primieramente con maravigliosa astutia s'inalzò, & poi con false parole persuase il Re & gli altri Troiani a torre entro la città il cavallo di legno, tuttavia dandogli ad intendere, che Greci volevano partirsi. Che poi avenisse di lui non lo so. Nondimeno Plinio scrive nel libro dell'Historia Naturale costui essere stato l'inventore della significatione speculativa; il che dimostra lui essere stato huomo di non picciolo ingegno & sapere.

 

Epafo duodecimo figliuolo del primo Giove, il quale generò Libia & Belo.

Hora, che habbiamo spedito tutta la prole del primo padre Libero, figliuolo del primo Giove, egli è da rivolgere il parlare ad Epafo Egittio & alla sua grandissima discendenza. Il qual Epafo, come mostra Ovidio, do Ione figliuola d'Inaco fu figlio di Giove. Ma Theodontio & Leontio egualmente dicono, che fu figlio di Giove, ma, che hebbe per madre Iside figliuola di Prometheo, si come più a basso parlandosi d'Iside apertamente si tratterà. Nondimeno Eusebio nel libro dei Tempi dice, che fu figlio di Thelegone, a cui si maritò dopo la morte d'Apis, Iside. Ma Gervaso Telliberese nel libro degli otij Imperali scrive Epafo essere stato figliuolo d'Heleno & d'Iside, & haver edificato Babilonia d'Egitto; la qual'opra più certi auttori affermano essere stata di Cambise Re di Persi. Cosi tra loro gli auttori sono differenti del padre & della madre. Là onde io seguirò la fama più commune & dirò, che fu figliolo d'Ione & Giove; della cui concettione più di sotto, dove si scrive d'Ione, intieramente si reciterà la favola. Di costui dice Lattantio, che fu moglie Cassiopia; non quella, che fu nora di Perseo, ma una più antica, & che da quella hebbe alcuno figliuolo, come poi si vederà. Del suo tempo, non meno discordano gli antichi di quello, che facciano del padre & della madre. Percioche col testimonio d'Eusebio, dove tratta dei Tempi, alcuni dicano, che Giove hebbe a fare con Ione figliuola d'Inaco regnando Cecrope in Athene, il quale signoreggiò circa gli anni del mondo tremilasecento & quarantasette; ritrovandosi poi, che Inaco regnò fino agli anni del mondo tremilatrecento & novantasette. Onde secondo questi bisognò questa essere un'altra Ione, che quella d'Inaco. Indi l'istesso Eusebio poco dopo dice la predetta Ione essere andata in Egitto l'anno quarantesimoterzo dell'Imperio di Cecrope, il quale fu l'anno del mondo tremillesettecento & dieci, & ivi essere stata nomata Iside, essendosi maritata in un certo Telegono, dal quale partorì Epafo. Ma io, lasciate le varietà ho detto Epafo essere stato figliuolo del primo Giove, percioche parmi il suo tempo più convenirsi con Ione figlia d'Inaco & Iside di Prometheo; ciascuna delle quali, che più gli piaccia, può ogn'uno darsi per madre.

 

Libia figliuola d'Epafo.

Libia nacque d'Epafo & di Cassiopea sua moglie, si come a Lattantio piace; la quale essendosi congiunta con Nettuno, cioè con altro huomo differente da Egitto; di lui partorì Busiri, che fu poi immanissimo tiranno. Costei (come dice Isidoro dove tratta dell'Ethimologie) fu reina di quella parte dell'Africa la quale dal suo nome è detta Libia.

 

Belo Prisco figliuolo d'Epafo, il quale generò Danao, Egisto & Agenore.

Belo, ilquale gli antichi dicono (secondo Paolo) fu figliuolo d'Epafo, & dopo lui nel più lontano Egitto hebbe signoria; dove, come dicono, divenuto inventore & dottore della disciplina celeste meritò dagli Egittij (secondo ch'afferma il detto Paolo) un tempio, che in Babilonia gli fu edificato & consecrato a Giove Belo. Ma Theodontio dice questo tempio essere stato fatto doppo Belo per astutia di Giove Cretese; il quale, fatte leghe con i Prencipi come per conservarle, & sotto colore di eternità, fece nei loro Reami edificare molti Tempi, & quelli col titolo del suo nome adornare. Con la quale astutia grandemente il suo nome & la deità fu inalzata. Altri sono, che dicano questo Tempio non essere stato drizzato a Belo Prisco, nè in Babilonia d'Egitto, ma a Belo padre di Nilo Re degli Assiri in Babilonia de' Caldei; & ivi lungamente sotto il nome di Saturno con sacrifici & diversi honori essere stato adorato. Oltre ciò furono a Belo Prisco alcuni figliuoli, ma non si sa di qual donne.

 

Danao figliuolo di Belo Prisco, c'hebbe cinquanta figliuole. Tra le quali solamente si sa il nome d'Hipermestra, Amimone & Buona.

Fu Danao figliuolo di Belo Prisco, come afferma Paolo, & l'istesso conferma Lattantio; il quale anco inanzi Paolo Orosio dice Danao figliuolo di Belo haver havuto da più mogli cinquanta figliuole. Le quali havendo a lui dimandato Egisto suo fratello per nuore, che medesimamente havea cinquanta figliuoli, Danao andatosi a consultare con l'oracolo hebbe risposta, se haver a morire per le mane d'un genero. Di che per schifar il pericolo, montato in nave venne in Argo. Et afferma Plinio nel libro dell'Historia Naturale ch'egli fu il primo, che passasse il mare con navi, attento, che per inanzi, trovate le navi dal Re Eritra, solamente si navigasse per lo mar rosso. Benche siano di quelli, come scrive l'istesso Plinio, che credano i Messi & i Troiani nell'Helesponto esserne stati i primi inventori, mentre passavano contra i Thracesi. Sdegnato adunque Egisto, che fosse sprezzato dal fratello, comandò ai figliuoli ch'il seguissero, ordinandogli, che non ritornassero verso casa se prima non amazzavano Danao. La onde combattendo eglino contra il zio in Argo, da quello, che poco si confidava nelle sue forze, con inganno furono presi. Percioche egli gli promise secondo il voler d'Egisto darli sue figliuole per moglie; nè di fede mancò alla promessa. Di che ammaestrate le figliuole dal padre di ciò c'havessero a fare, ciascuna entrò col suo sposo nel letto havendo seco un coltello nascosto. Onde per la crapula & per la allegrezza essendo facilmente adormentati tutti i giovani, le donzelle volendo ubbidire al padre, pigliata l'occasione scannarono tutti i suoi mariti, eccetto Hipermestra; la quale havendo compassione di Lino, overo di Linceo suo sposo, a cui già havea posto amore, gli perdonò & gli scoperse il trattato. Dice Eusebio, che questo Danao, il quale hebbe anco nome Armaide, nei tremillesettecento & sedici anni dopo la creatione del mondo incominciò regnare appresso gli Egittii. Ma cacciato poi d'Egitto se ne venne in Argo, dove cacciò dal reame Steleno, che prima havea signoreggiato undici anni alli Argivi; i quali poi cacciarono dall'Imperio Galanone suo successore & tolsero Danao, il quale gli fece abondanti d'acque. Perche, secondo Plinio nell'Historia Naturale, fu il primo, che dall'Egitto in Grecia dimostrò il cavare i pozzi. Et afferma appresso, che quasi all'istessi tempi per opra sua dalle cinquanta sue figliuole furono amazzati i cinquanta figliuoli di Egisto suo fratello, eccetto Linceo over Lino. Finalmente, regnato, che hebbe cinquant'anni, fu morto da Linceo.

 

Le cinquanta figliuole di Danao in generale.

Le figliuole di Danao con i propri loro nomi ci sono quasi incognito, attento, che a pena il nome di tre sole è pervenuto all'età nostra. Et si come habbiamo perduto i nomi, cosi anco le loro fortune, dopo il commesso peccato, sono andate in oblio. Nondimeno i Poeti hanno finto queste essere nell'Inferno condennate a tal tormento, cioè a cavar acqua d'un pozzo & empirne alcune urne senza fondo. Onde dice Ovidio;

 


Di Belo le figliuole empie, e crudeli,

C'hebbero ardir dar morte a' suoi germani,

Continuamente tornano per acqua

Et la portano dove invan si versa.

Et Seneca Tragico in Hercole furioso:

E indarno l'urne

Portano piene

Quelle di Belo.


 

Istimo questo tormento essere a loro aggiunto accioche si descriva la singolar cura delle donne, le quali mentre con la soverchia vanità studiano accrescere la sua bellezza perdono la fatica, & si sminuisce quello, che cercano con vana diligenza accrescere. Overo, che più tosto si dimostra quale sia la fatica degli huomini effeminati & lussuriosi; i quali mentre con l'usar spesso il coito credono empire quello, che disiano: senza ottenere il suo disio ritrovano haver evacuato sé stessi.

 

Hipermestra, una delle cinquanta figliuole di Danao.

Hipermestra, come nelle Pistole mostra Ovidio, fu figliuola di Danao, & fu sola, che tra l'altre sorelle, sprezzato il comandamento del padre, perdonò al suo sposo Linceo. Et perciò vuole Ovidio, che Danao la facesse imprigionare. Costei, come dice Eusebio nel libro dei Tempi, alcui istimarono esser Iside. Nondimeno, regnando il padre Danao, fu ministra sacerdote del Re.

 

Amimone una delle cinquanta figlie di Danao.

Fu Amimone, secondo Lattantio, figliuola di Danao, & una delle cinquanta sorelle. Costei, essendo con i suoi dardi in un bosco a caccia nascosta, inavertentemente percosse un Satiro; il quale a lei volendo poi usar violenza, Amimone dimandò aiuto a Nettuno. Onde Nettuno cacciato via il Satiro, la donzella sopportò da Nettuno quello, che non havea voluto patire dal Satiro, & cosi seco si congiunse, & di lui partorì Nauplio. Quello poi, che si nasconda sotto questa fittione, dove si tratterà del nascimento di Nauplio esponeremo.

 

Buona una delle cinquanta figliuole di Danao.

Vuole Dite Candiano, dove scrive dell'Impresa di Greci contra Troiani, Buona essere stata figliuola di Danao & maritata in Atelante; dal quale partorì Elettra, che poi di Giove hebbe Dardano.

 

Egisto figliuolo di Belo Prisco, c'hebbe cinquanta figliuoli, tra quali fu Linceo.

Fu Egisto figliuolo di Belo Prisco & fratello di Danao, si come a bastanza habbiamo di sopra mostrato. Costui hebbe cinquanta figliuoli; per li quali havendo richiesto a Danao suo fratello le cinquanta figliuole per spose, tutti nella notte delle nozze per comandamento di lui furono da quelle amazzati, eccetto Linceo, si come è stato detto.

 

Linceo, uno di cinquanta figliuoli d'Egisto; il quale generò Abante, Iasio & Acrisio.

Linceo, chiamato da Ovidio Lino, fu figliuolo d'Egisto, & solo per compassione d'Hipermestra tra cinquanta fratelli schifò la morte. Costui, come piace ad alcuni, cacciato il zio Danao in sua vece regnò in Argo. Altri poi dicono, che lo amazzò. Ma fosse come si voglia, secondo, che dimostra Eusebio nel libro dei Tempi, regnato c'hebbe Danao cinquant'anni, egli in suo loco nel reame successe. Et havendo signoreggiato quarant'un anno, lasciato Abante, Iasio & Acrisio suoi figliuoli, finì l'ultimo giorno.

 

Abante figliuolo di Linceo, che generò Prito.

Abante, come afferma Barlaam, nacque di Linceo & Hipermestra sua moglie, come, che Paolo dica, ch'egli fosse figliuolo di Belo Prisco. Costui fu gran guerriero & huomo di acutissimo ingegno, & successe nel reame al padre Linceo. Onde, poscia, ch'hebbe signoreggiato vent'otto anni agli Argivi (secondo Eusebio) se ne morì.

 

Prito figliuolo d'Abante, che generò Mera & le sorelle.

Prito, overo Proeto, come piace a Lattantio & Servio, fu figliuolo d'Abante Re d'Argivi. Di costui come affermano quasi tutti fu moglie Stenoboe, ma Homero dice Antiope, dalla quale hebbe tre figliuole; le quali già cresciute in età & essendo bellissime, entrando nel tempio di Giunone di maniera si levarono in superbia, che volevano precedere a lei. Di che Giunone turbata, sopra loro mandò tal furia, che s'istimarono esser vacche, & incominciarono a temer gli aratri nascondendosi nelle selve, si come dice Virgilio:

 


Con mughi falsi di Preto le figlie

Empiro i campi, le campagne, e i colli.


 

Ma Ovidio rifferisce altra cagione di tal pazzia, dicendo ch'elle nell'isola Cea si tennero esser vacche percioche consentirono al furto, che fu fatto degli armenti d'Hercole. Ma avenisse perciò, che si volesse, malamente Proeto sopportò tal sventura. Onde promise parte del suo reame, & quale più gli piacesse di sue figliuole in moglie, a colui, che le liberasse da tal disgratia & le tornasse nella primiera forma. Di che Melampo figliuolo d' Amithaone guidato dal disio del premio le tolse a curare, & come dice Vetruvio nel libro dell'Architettura le menò a Clitore città d'Arcadia; percioche ivi vicino è una spelonca dalla quale nasce un'acqua, che chi di quella gusta si fa smemorato. Et per ciò appresso quella è un Epigramma scolpito in una pietra in versi greci, che dinota quell'acqua non essere buona a lavare, & alle viti inimica. Ivi adunque fatti i dovuti sacrifici, le purgò & le ritornò nel primiero stato; & cosi hebbe una parte del regno, & una di loro per moglie. Proeto poi, secondo Eusebio, regnò dicisette anni, & a lui successe Acrisio suo fratello. Ma io istimo, se bene riguardo la medicina di questo Melampo, le figliuole di tal Proeto essere state piu avide, che non si convenga a donne del vino, & che havendo molto bene bevuto, ardissero spesse volte preferirsi al padre Re; per la qual cosa meritarono l'ira di Giunone, cioè del padre regnante, onde instigando il vino in contraria parte la castità, feminilmente rivolte in furore gridavano si essere divenute giuvenche, serve & suddite al giogo. Il che essendo loro avenuto più volte, Proeto turbato per la disgratia le diede a guarire a Melampo; il quale facendole gustare l'acqua predetta le fece divenire inimiche del vino, & il solito furore partissi da loro.

 

Merane figliuola di Proeto.

Merane; secondo Leontio fu figlia di Preto & d'Anthia figliuola d'Anfianasta; la quale essendo inchinata alle caccie & per li boschi seguendo Diana, fu veduta da Giove & da lui amata; là onde pigliata la sembianza di Diana seco hebbe a fare. Di che la giovane per vergogna del commesso peccato, & temendo di novo non essere ingannata, non volse più ubbidire nè venire a Diana che la chiamava; per la qual cosa la dea sdegnata, con una delle sue saette la amazzò. Costei dice Paolo essere stata figliuola di Stenoboe, si come furono le altre, & vuole, che ricuperata sanità divenisse seguace di Diana. Per la qual fittione, dice l'istesso Leontio; gli Hipocriti spesse volte con inganni haver condotti i sciocchi in quella ruina, che mostrano non sapere. Dalla quale, mentre il verace huomo alle volte cerca & si sforza rilevarvi i caduti, quei, ingannati una volta, temendo d'ogni cosa & divenuti increduli, sprezzando l'offertagli salute cadono in perpetua morte.

 

Acrisio figliuolo d'Abante, che generò Danae madre di Perseo.

Acrisio fu figliuolo d'Abante, come dice Lattantio, & secondo, che scrive Eusebio nel libro dei Tempi successe nel reame al fratello Preto. Questi, si come afferma l'istesso Lattantio, nè da ciò discorda Servio, havendo una sola figliuola chiamata Danae, & essendoli stato rivellato, che per le mani di colui, che era per nascere dalla figliuola havea a morire, per fuggire l'annunciatagli morte la fece rinchiudere in una certa torre & ivi guardare, accioche alcun huomo a lei potesse andare. Avenne adunque che, sparsa la fama della sua bellezza, Giove s'inamorasse di quella; il quale non veggendo altra via per poter andare a lei, cangiatosi in pioggia d'oro per li coppi del tetto lasciò cadersi nel grembo di lei, & cosi la impregnò. Il che sopportando malamente Acrisio, la fece pigliare; & messala in una cassa, comandò, che fosse gittata in mare. La qual cosa essequita dai ministri, fino nel lito di Puglia la cassa fu gittata, & per caso da un pescatore pigliata. La quale aperta, & ritrovatavi Danae & un picciolo figliuolo da lei partorito, la portò al Re Pilunno; il quale conoscendo la natione di lei & la patria, volentieri se la tolse per moglie. Ma il figliuolo di lei, nomato Perseo, cresciuto già in età, & havendo già tagliato il capo a Gorgone, venendo in Argo trasmutò Acrisio in sasso. La qual premutatione secondo Eusebio significa che, havendo regnato appresso Argivi Acrisio trent'un anno, da Perseo suo nipote non volontariamente però fu amazzato & converso in sasso, cioè in frigidezza perpetua. Quello, che ci resta sopra tale fittione, dichiareremo dove si parla di Danae.

 

Danae figliuola d'Acrisio.

Danae, si come s'è detto di sopra, gittata dal padre nel mare pregna, essendo cacciata da quello sul lito di Puglia, si maritò in Pilunno Re di Puglia. Et indi passati da i Rutuli, & edificata ivi la città d'Ardea, partorì a Pilunno Dauno. Ma quello, che di sopra habbiamo lasciato parmi hora da esporre, cioè Giove essersi trasformato in pioggia d'oro & per lo tetto essere caduto in grembo a Danae; onde credo doversi intendere la pudicitia della vergine essere stata corrotta con oro. Et non essendo conceduto all'adultero potervi entrare per la porta, quello esservi andato per lo tetto segretamente, & poi essersi locato nella camera della donzella. Nondimeno Thodontio dice che, essendo Danae amata da Giove, & sapendo, che per tema del padre era condennata a perpetua prigionia, affine di poter scampare & pigliar la fuga, segretamente con Giove fece mercato del prezzo del suo congiungimento. Onde apparecchiata una nave, con quelle ricchezze ch'ella puotè pigliare, essendo pregna di Giove si diede à fuggire.

 

Iasio figliuolo d'Abante, che generò Athalanta, Anfione, & Thalaone.

Questo Iasio, come piace a Theodontio, fu figliuolo d'Abante, del quale non ho letto niente altro eccetto, che spessissime volte viene annoverato tra i Re Greci, & c'hebbe alcuni figliuoli.

 

Athalanta, figliuola di Iasio & madre di Parthenopeo.

Secondo Lattantio & Theodontio Athlanta fu la più giovane dei figliuoli di Iasio. La quale essendo bellissima donzella & delle compagne di Diana, chiamata da Meleagro venne alla caccia del Cinghiale Celidonio insieme con l'avanzo della nobiltà d'Achaia, & ella fu la prima, che ferì il Cinghiale con una saetta. Di che Meleagro per la sua bellezza & valore s'inamorò in lei; onde morta quella la fiera, perciò meritò l'honore d'haverne il capo in dono. Per lo quale venne in amicitia di Meleagro & si congiunse seco, dal quale partorì Parthenopeo.

 

Anfione figliuolo di Iasio, che generò Clori.

Vn'altro Anfione differente da quello, che cinse Thebe di mura fu figliuolo di Iasio, & regnò, come dice Leontio, nell'Orcomeno inimico & in Pilo, il quale anco fu nomato Argo; & hebbe una sola figliuola chiamata Clori.

 

Clori, figliuola d'Anfione & moglie di Neleo.

Clori, come di sopra è stato detto, fu figlia d'Anfione; & secondo, che testimonia Homero nell'Odissea fu maritata in Neleo, al quale partorì Nestore & molti altri figliuoli.

 

Thalone figliuolo di Iasio, che generò Euridice, Flegeo & Adrasto.

Dice Paolo, che Thalaone fu figliuolo di Iasio, & che regnò in Argo. Il che secondo il mio giudicio si deve intendere sanamente, mentre, che gli antichi chiamano questi tali huomini Re. Percioche, non si ritrovando nel Cathalogo dei Re, egli è da giudicare, che solamente fossero di stirpe reale, & havessero qualche particella di signoria. La onde avenisse, che più tosto fossero dimandati Re per lo splendore dell'origine, che per lo possesso dei reami di questi tali. De quali istimo, che fossero simili questo Thalaone, Anfione & Iasio.

 

Euridice figliuola di Thalaone & moglie di Anfiariao.

Euridice, come afferma Theodontio, fu figliuola di Thalaone & data per moglie ad Anfiarao indovino, al quale partorì Anfiloco & Almeone. Ma havendo il Re Adrasto pigliato la difesa di Polinice suo genero contra Etheocle, & apparecchiando la guerra contra Thebani, avenne, che Anfiarao hebbe per oracolo, che s'egli andava a quella guerra non ritornarebbe piu; per la qual cosa si nascose in una grotta sotterra, & solamente manifestò il loco alla moglie. Onde essendo con grande instanza cercato da Adrasto & da altri, mai non fu ritrovato. Ma mentre, che ciò s'instigava, occorse, che Euridice sua moglie vide un certo monile al collo d'Argia moglie di Polinice, il quale fu già donato da Vulcano a Hermiona moglie di Cadmo; & desiderando molto haverlo, disse ad Argia, che s'ella volea darle quel monile, che le insegnarebbe Anfiarao. Et cosi fu fatto. Là onde andando Anfiarao alla guerra, fu dalla terra inghiottito. Ma Euridice poi fu amazzata dal figliuolo Almeone, al quale Anfiarao andando alla guerra havea commesso la vendetta della sua morte.

 

Flegeo figliuolo di Thalaone.

Theodontio dice, che Flegeo fu figliuolo di Thalaone: il quale morendo giovanetto, non lasciò di sé cosa degna di memoria.

 

Il Re Adrasto figliuolo di Thalaone, che generò Deifile & Argia.

Il Re d'Argivi Adrasto fu figliuolo (come Lattantio vuole) di Thalaone & Eurinome. Il quale havendo due figliuole, cioè Deifile & Argia, & essendogli stato per oracolo riferito ch'egli havea a darle per spose una ad un cinghiale & l'altra ad un leone, d'intorno alla futura disgratia delle figliuole si tormentava. Ma avenne per caso, che Polinice Thebano d'accordio col fratello Etheocle fatto essule a mezza notte giunse in Argo, & per fuggire la pioggia & il vento, che quella notte era crudelissimo, entrò sotto i portici, che giravano intorno il palazzo reale. Nè molto vi stette, che medesimamente Thideo, per l'homicidio commesso fuggendo di Calidonia, ivi pervenne. La dove nessuno di loro non si conoscendo, venuti insieme a parole ingiuriose per cagione dell'aloggiamento, ultimamente posero le mani all'armi & incominciarono a combattere. Al cui strepito levatosi il Re Adrasto, & con la sua guardia in persona venuto a loro, con parole & l'auttorità sua acquetò gli sdegni dei giovani, & seco gli menò in palazzo. Et veggendo l'uno di loro, cioè Polinice coperto d'una pele di leone, la quale insegna il real giovane portava in testimonio della virtù d'Hercole Thebano, & l'altro vestito d'una spoglia di cinghiale la quale portava in honore della sua progenie, per haver il zio Meleagro amazzato il cinghiale, si venne a chiarire della dubbiosa risposta dell'oracolo, & conobbe questi generi a lui dai Cieli essere mandati. I quali, poscia, che egli hebbe conosciuti, si contentò di far seco parentado; & a Thideo diede Deifile, & a Polinice Argia per sposa. Et pervenuto il tempo, che Etheocle dovea rendere la signoria a Polinice, secondo la conventione tra loro fatta, ma quello non volendo farne altro, da Polinice con l'aiuto d'Adrasto fu mosso guerra contra Thebani. Nella quale essendo restati morti tutti i suoi capitani, & con eguali ferite ricevute l'uno per le mani dell'altro morto Polinice & Etheocle, egli messo in rotta se ne ritornò in Argo; dove non ho ritrovato, che fine fosse il suo.

 

Deifile figliuola d'Adrasto & moglie di Thideo.

Come dice Statio, Deifile fu figlia del Re Adrasto & moglie di Thideo Calidonio, al quale partorì Diomede.

 

Argia figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice.

Secondo Statio, Argia fu figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice; la quale havendo di lui partorito Thessandro, & inteso Polinice dal fratello essere stato morto, da Argo se ne venne a Thebe, per donare l'ultime lagrime & prestare l'ufficio funerale al corpo del marito. Et facendo ciò contra l'Imperio di Creonte, c'havea comandato, che non fosse sepolto, fu pigliata insieme con Antigone sorella di Polinice, & da Creonte fatta morire.

 

Agenore terzo figliuolo di Belo Prisco, che generò sette figliuoli; de' quali il primo fu Taigete, il secondo Polidoro, il terzo Cilice, il quarto Fenice, la quinta Europa, il sesto Cadmo, il settimo Laddaco.

Oltre l'haver esposto le successioni di Danao & d'Egisto figliuolo di Belo Prisco, egli è da ritornare lo stile alla più ampia prole d'Agenore, figliuolo dell'istesso Belo, si come Theodontio & Paolo scrive. Et benche dai predetti sia detto, che Agenore fosse figliuolo di Belo, nondimeno sono di quei, che dicano lui essere stato figliuolo di Belo, ma non d'Egitto, anzi del Fenicio; & l'avo di questo Agenore haver anco havuto tal nome. Et appresso affermano quel Agenore primo (regnando appresso gli Assiri Nino) constretto da peste con grandissima moltitudine haver abandonato le sedie paterne, le quali egli havea circa l'ultimo Egitto dalla parte di Mezzogiorno; tenendo per guida del suo viaggio il Nilo, con le sue navi essere giunto nel lito di Soria, & quello (cacciati gli antichi habitatori) havere occupato, & ivi esser regnato. Dove lasciò un figliuolo chiamato Belo suo successore; il quale vogliono, che fosse padre di questo Agenore. Altri poi vogliono ch'egli fosse nipote & figliuolo di Fenice. Per le quai cose si può comprendere dalla somiglianza del nome & forse del tempo essere nato l'errore, onde si creda, che colui il quale fosse figliuolo di Belo di Soria fosse tenuto anco di Belo d'Egitto. Ma sia nato di qual Belo si voglia, io ho in animo seguir hora l'opinione di Theodontio & di Paolo, maggiormente, che del primo non si vede certo auttore. Dicono adunque costui essersi partito dal lito di Soria & andato a signoreggiare ai Fenici, dove fu molto famoso per generosa & nobile progenie.

 

Thaigeta prima figliuola d'Agenore.

Il Candiano Dite vuole Thaigeta essere stata figliuola d'Agenore, & di lei essersi inamorato Giove, & seco haver havuto a congiungersi; del quale fatta pregna partorì Lacedemone, come, che altri dicano quello esser nato di Semele.

 

Polidoro, secondo figliuolo d'Agenore.

Polidoro secondo Lattantio fu figlio d'Agenore, del quale non penso esservi altro, che il semplice nome; benche Theodontio di costui faccia un certo leggiere ricordo. Ma dice quello essere stato molto più antico di questo Agenore.

 

Cilice terzo figliuolo d'Agenore, che generò Lansacio, Pigmaleone & Pirode.

Cilice, secondo Lattantio, nacque d'Agenore. Dice Theodontio costui essere stato huomo di grand'ingegno & di robusto corpo. Il quale sprezzando i fratelli di lui maggiori, & poco sperando nella successione del reame (sprezzato il giuoco de superiori), fatto alquanto numero di genti s'acquistò un paese lontano dai suoi, & quello dal suo nome dimandò Cilicia; dove lasciò duoi figliuoli ch'a lui sopravissero, cioè Lampsacio & Pigmaleone. Ma sono di quelli, che dicano questa provincia essere stata occupata da Cadmo pria, che fosse mandato dal padre ad acquistar l'Europa, & poi essere stata posseduta da Cilice non vi ritornando più Cadmo.

 

Lampsacio figliuolo di Cilice.

Lampsacio, come dice Theodontio & dopo lui Paolo, fu figliuolo di Cilice, & a lui successe nel reame; nè di lui altro più oltra si ritrova.

 

Pigmaleone figliuolo di Cilice, & Re di Cipro, che generò Pafo.

Theodontio dice Pigmalione essere stato figliuolo di Cilice; del quale egli rifferisce che, essendo giovane & pigliato dalla gloria de suoi maggiori, i quali havea inteso essere passati fino nell'Occidente & anco haver occupato il lito d'Africa, fatta una compagnia di giovani di Cilicia & di Fenicia, con una armata, ò serenissimo dei Re, nel tuo Cipro smontò col suo essercito. Et indi cacciò gli antichi Assiri, i quali con le forze dell'antichissimo Agenore cacciati dalle antiche loro sedi ivi s'erano riparati, dove tenne tutta l'isola & in quella signoreggiò. Ma havendo ivi trovato sceleratissime donne (il che dimostra anco Ovidio nel suo maggior volume) & in tutto inchinate alla libidine, offeso da quel vitio s'era disposto menar la vita casta. Ma perche era d'alto ingegno & havea le mani atte ad ogni arteficio, i Poeti finsero ch'egli intagliò & fece di bianchissimo avorio una imagine, con tutte quelle linee & portioni, che parvero al voler suo; al quale mirando l'ingegnoso huomo, & maravigliandosi dell'arte sua, lodando grandemente la di lei bellezza di quella arse d'Amore, & grandemente desiderava ch'ella fosse donna vera. Di che incominciò pregar Venere, ch'a quel tempo nell'isola era famosissima Dea, che volesse fare quella statua sensibile, infondendole anima & facendola de' suoi amori partecipe. Là onde alle preghiere non mancò l'effetto, ch'ella divenne vera femina. La qual cosa veduta Pigmaleone, pieno d'allegrezza per haver havuto il suo intento, con lei si giacque, & incontanente la impregnò; la quale gli partorì un figliuolo da lui chiamato Pafo, & dopo morte lasciato herede del reame. Hora egli è da vedere quello, che voglia significare tale imagine di bianco avorio, fabricata più tosto con ingegno Poetico, che artificio humano. Penso io che, essendo sospetta a Pigmaleone la pudicitia delle donzelle provette, ch'egli s'elesse una fanciulla, che per l'età tenerina mancasse d'ogni sospetto, & che di bianchezza & morbidezza fosse simile all'avorio; la quale havendo avezzata secondo i suoi voleri, pria che la giovanetta fosse in dovuta età infiammato in concupiscenza di lei, incominciò desiderare & con preghi dimandare, che tosto divenisse buona da marito; onde finalmente avenuto ciò, che desiderava hebbe l'intento suo.

 

Pafo figliuolo di Pigmalione, che generò Cinara.

Pafo secondo Theodontio fu figliuolo di Pigmalione, & nato di quella madre d'avorio; il quale essendo nel reame successo a Pigmaleone, dal suo nome chiamò l'Isola di Pafo. Ma Paolo dice ch'egli solamente edificò il castello di Pafo &, che da sé gli diede nome, & volse, che fosse dedicato a Venere, perche in quello vi fece fare un solo tempio & altare a lei consacrato, dove con solo incenso lungamente vi fu sacrificato.

 

Cinara figliuolo di Pafo, che generò Mirra, & di Mirra Adone.

Cinara fu figlio di Pafo, si come dimostra Ovidio mentre dice:

 


Di costei nacque quel Cinara; il quale,

Se restato pur fosse senza prole,

Tra i felici potrebbe esser havuto.


 

Questi è differente da quel Cinara, che si dice esser stato Re degli Assiri, & piangendo le disgratie di figliuoli cangiato in sasso. Di questo Cinara Cipriano non havemo altro, che una sola sceleratezza. Percioche, si come narra esso Ovidio, costui hebbe una figliuola chiamata Mirra, la quale essendo bella & già buona da marito, oltre il dritto s'inamorò del padre, & per opra d'una sua balia (mentre la madre di lei celebrava i sacrifici di Cerere, ne' quali per spatio di nove giorni bisognava ch'ella s'astenesse dai congiungimenti del marito) segretamente usò degli abbracciamenti del padre; là onde divenuta pregna partorì Adone.

 

Mirra figliuola di Cinara, & madre d'Adone.

Mirra, si come si vede di sopra, dice Ovidio essere stata figliuola di Cinara & haver amato il padre con lascivo amore, onde per opra d'una sua nutrice seco si congiunse. Nondimeno Fulgentio vuole ch'ella havesse a fare col padre poscia, che lo hebbe inebriato. La quale per lo scelerato congiugimento divenuta pregna, volendo Cinara conoscere con cui si fosse giacciuto, conobbe la figliuola; di che d'ira assalito la volse amazzare. Alcuni dicono poi ch'ella se ne fuggì dai Sabei, fino dove fu perseguitata dal padre & da quello ferita; vogliono, che per compassione de' Dei appresso i Sabei si converse in un arbore chiamato dal suo nome, & per l'ardore del Sole apertasi la corteccia mandò fuori un figliuolo, il quale le Ninfe unsero coi licori materni. Penso, che a questo figmento habbia dato materia il nome dell'arbore, che appresso Sabei si chiama Mirra, la quale stilla certe gocciuole che, toccate dai raggi del Sole, fanno una certa compositione da loro detta Adone, & latinamente significa soave, percioche è di soavissimo odore; & come pare, che voglia Petronio Arbitro molto appropriato alla libidine, di maniera, che afferma si haver portato una bevanda di Mirra per infiammar la lussuria. Ma Fulgentio, si come in più altre cose, più altamente giudicando d'intorno questo, dice Mirra essere un'arbore in India, che arde per li raggi del Sole; & perche dicevano il Sole esser padre di tutte le cose, però essere stato detto Mirra haver amato il padre, & mentre il Sole ardentemente l'infiammasse mandar fuori dalla parte di sopra della corteccia alcune sfessure, & cosi essere stato detto il padre haverla ferita & fattone uscir Adone, cioè la soavità dell'odore.

 

Adone figliuolo di Mirra, & nipote di Cinara.

Adone del Re Cinara suo avo & di Mirra sua sorella fu figliuolo, si come con lunghi versi nel suo maggior volume dimostra Ovidio; del quale recita tal favola. Dice che, essendo egli divenuto un bellissimo garzone, grandemente fu amato da Venere, che a caso dal suo figliuolo fu d'amor percossa; la quale seguendo lui con grandissimo diletto per selve & boschi, & seco usando de' suoi abbracciamenti, più volte l'avisò, che si schifasse dall'armate fiere, & solamente cacciasse le disarmate. Ma avenne un giorno ch' egli, mal ricordevole delle parole di Venere, facendo empito in un cigniale da lui fu morto; il quale poi Venere amaramente pianse & converse in purpureo fiore. Macrobio nel libro dei Saturnali si sforza con maravigliosa ragione dichiarare questo figmento. Dice egli Adone essere il Sole, del quale niuna cosa non è più bella; & quella parte di Terra la quale di sopra non habitiamo, cioè l'Emispero, esser Venere, attento, che quella ch'è nell' Emispero inferiore dai Fisici è chiamata Proserpina. Et cosi appresso gli Assiri & Fenici, a' quali appresso fu in grandissima riverenza Venere & Adone, allhora Venere con Adone da lei amato si dilettava, conciosia, che d'intorno l'Emispero superiore il Sole si gira con più ampio spatio; & indi diviene più ornato, perche la terra allhora produce fiori, frondi & frutti. Mentre adunque egli circonda i più brevi cerchi, di necessità caccia i maggiori appresso l'hemisperio più inferiore. Et cosi l'autunno & il verno con pioggie continue fanno la Terra dell'honor suo priva tutta fangosa, nel qual tempo il Cinghiale, ch'è animale hispido, si diletta; & cosi dal Cinghiale, cioè dalla qualità del tempo ch'egli si diletta, Adone cioè il Sole pare tolto alla Terra, cioè a Venere; la quale indi fangosa diviene. Ch'Adone poi sia trasformato in fiore, penso ciò essere stato finto affine di mostrare la brevità della nostra bellezza, perche quello, che la mattina è purpureo & colorito, la sera languido, pallido & fracido diventa. Cosi l'humanità nostra la mattina, cioè nel tempo della gioventù, è fiorita & splendida; la sera poi, cioè nel tempo della vecchiaia, diventiamo pallidi, & corriamo nelle tenebre della morte. Ma tuttavia dica quello, che si voglia Macrobio, ò gli Assiri, l'historia nondimeno pare, che voglia, & Tullio lo dimostra dove tratta delle Nature de' Dei, Venere essere stata concetta in Soria & Cipro, cioè da un huomo Assirio & da una donna Cipriana, la quale gli Assiri chiamarono Astorcon; & si maritò in Adone, come dice Lattantio nel libro dell'Institutioni Divine. Ma nella sacra historia si contiene costei haver instituito l'arte meretricia & alle donne haver persuaso lo stupro, & che col corpo palesemente richiedessero il congiungimento. Et dice ella haver ciò comandato accioche sola tra l'altre donne non fosse tenuta impudica, & degli huomini ingorda. Là onde nacque, & lungo tempo si osservò, che i Fenici donavano a chi gli sverginava le figliuole pria, che le maritassero, come nel libro della Città d'Iddio mostra Agostino & Giustino nell'Epitoma di Trogo Pompeo, dove scrive Didone nel lito di Cipro haver rapito settanta donzelle ch'erano venute a ricercar le primitie della loro verginità. Fu adunque Adone Re di Cipro & marito di Venere, il quale anch'io penso ò da Cinghiale ò da altra morte esserle stato tolto, percioche ad imitatione delle sue lagrime gli antichi con commune pianto furono avezzi piangere la morte d'Adone. Onde Isaia nelle sue Visioni gli riprende.

 

Pirode figliuolo di Cilice.

Pirode come afferma Plinio fu figlio di Cilice; del quale benche non si habbia altro, col testimonio dell'istesso Plinio nondimeno habbiamo lui essere stato il primo, che dalla pietra cavasse il foco.

 

Fenice quarto figliuolo d'Agenore, che generò Filisteno, & Belo.

Vuole Lattantio, che Fenice fu figliuolo d'Agenore. Et Eusebio nel libro dei Tempi vuole, che costui, regnando Danao in Grecia, insieme col fratello Cadmo da Thebe d'Egitto essere venuto in Soria, & in Tiro & Sidone haver signoreggiato. Il che può essere circa l'anno del mondo millesettecento e quarantasei. Poscia, poco da poi dice, che l'anno primo del Re Linceo egli edificò Bithinia, la quale prima si chiamava Meridiana. Il che fu circa gli anni del mondo MDCCLXXIX. Tuttavia la venuta di costui in Soria non si conface con le cose dette di sopra, dove discorda di Agenore da Theodontio & anco da Ovidio; il quale pare, che voglia Agenore & non Fenice esservi venuto, conciosia, che descrive Cadmo essere stato mandato a ricercar Europa da Agenore & non da Fenice. Ma io lascierò l'affanno, a chi lo vuole, d'accordare queste diversità, & seguirò quello, che di Fenice trovo. Dimostra Eusebio costui essere stato huomo di molto artificio, perche fu il primo, che diede alcune lettere overo caratteri di lettere ai Fenici; indi per scriverle haver trovato il vermicello. Onde anco quel colore si dice Feniceo, cosi chiamato (cred'io) dall'inventore, perche mutata poi la lettera è detto puniceo, cioè morello.

 

Filistene figliuolo di Fenice, che generò Sicheo.

Theodontio vuole, che Filistene fosse figliuolo di Fenice; il quale essendo sacerdote d'Hercole, ch'alhora era tenuto in molta riverenza da' Fenici, & veggendo, che Belo suo fratello maggior d'anni (morto il padre) regnava, lasciato l'ufficio sacerdotale al figliuolo Sicheo, con alquanta gente montò in nave, & adoperò molte fontane havendo passato oltre le Colonne d'Hercole, ivi nel lito dell'Oceano fermò le sue stanze perpetue, & edificò una città chiamata dai suoi Gade. Et affine, che non paresse ch'egli in tutto havesse lasciato il sacerdotio drizzò un tempio ad Hercole, & tutti i sacrifici secondo il costume Fenicio rinovò.

 

Sicheo figliuolo di Filistene, & marito di Didone.

Sicheo secondo Theodontio fu figlio di Filistene, al quale (sì come di sopra è stato detto) partendosi il padre fu lasciato il sacerdotio; la qual dignità, da re in fuori, era la principale. Dice Servio, che costui fu chiamato Sicarba, come, che Virgilio sempre lo nomi Sicheo, & Giustino lo dica sempre Acerba. Costui adunque, ò lasciatili ò altrove trovati molti thesori (come piace a Theodontio & agli altri), divenne grandemente ricco. Onde, morto Belo, tolse Elisa sua figlia per moglie, & sopra ogn'altra cosa amolla molto; la quale poi fu chiamata Didone. Ma essendo Pigmaleone figliuolo di Belo succeduto nel reame del padre, & essendo ingordo d'oro, s'infiammò delle ricchezze di Sicheo. Di che gli tese inganni, & inaccortamente amazzò quello.

 

Belo figliuolo di Fenice, che generò Pigmaleone, Didone, & Anna.

Belo, il quale secondo Servio fu anco detto Metre, come dice Theodontio fu figliuolo di Fenice, & huomo di maniera in guerra & armi valoroso, che soggiogò Cipriani, i quali danneggiavano con una armata di corsali i liti de' Fenici. Il che Virgilio in persona di Didone succintamente tocca, dicendo;

 


Mio padre Belo danneggiava Cipro.

Cosi fertile, e ricca; & la teneva

Vittorioso sotto giogo, e impero.


 

Pigmaleone figliuolo di Belo.

Come piace a Theodontio, Pigmaleone fu figliuolo di Belo re di Tiro, & morendo il padre (secondo, che dice Giustino) insieme con le sorelle ai Tirij fu lasciato. Al quale anco fanciullo il popolo diede la signoria del Reame paterno. Ma costui, nato con avarissimo animo, havendo fatto disegno sopra le ricchezze di Sicheo, figliuolo di suo zio & marito di Didone sua sorella, con inganni lo fece morire. Questa scelerità sola di costui ci ha lasciato la lunga antichità.

 

Didone figliuola di Belo, & moglie di Sicheo.

Il famoso honore, & lume della pudicitia Donnesca Didone (come piace a Virgilio), fu figlia del Re Belo. Questa bellissima donzella (morto Belo) i Tiri diedero per moglie ad Acerba ò Sicarba ò Sicheo sacerdote d'Hercole, il quale poi da Pigmaleone per avaritia fu morto. Costei adunque, dopo le lunghe bugie del fratello, avisata in sonno dal marito, & in lei acceso un animo generoso, fatta una congiura con molti di quelli, a quali sapeva Pigmaleone essere in odio, di notte segretamente montata in nave con tutti i thesori ch'erano stati del marito si partì di Tiro. Et giunta nel lito d'Africa (come anco a Tito Livio piace) venne a mercato con gli habitatori di quel paese, che la persuadevano a fermarsi ivi, di comprare tanto terreno quanto poteva circondare & capire la pelle d'un bue. Onde ridotto il coiro in liste sottilissime, occupò molto terreno. Et ivi mostrati ai compagni del suo viaggio i thesori nascosti, edificò una città da loro chiamata Cartagine, & la rocca dalla pelle del bue fu detta Birsa. a questa tal città, piace a Virgilio, che Enea fuggitivo & dalla fortuna del mare cacciato pervenisse; onde ricevutolo cortesemente & di lui inamorata, seco si giacque. Di che poi alla sua partita non potendo sopportar l'incendio amoroso, sé stessa occise. Il che dimostra Giustino & gli altri historici antichi essere falso; perche dice Giustino che, essend'ella dal Re di Musitani sotto pretesto di guerra dimandata ai Prencipi di Cartagine per sposa; quelli sapendo l'intentione di lei essere di voler vivere casta, s'imaginarono d'ingannarla. Là onde dissero, che il Re di Musitani havea loro richiesto sotto nome di guerra, che i Prencipi di Cartaginesi dovessero andar a viver in Musitania perche egli voleva imparar i costumi de' Cartaginesi, ma, che alcuno di loro non si trovava, che volesse andar a vivere presso cosi barbaro Re. Di che Didone essortandoli ad andarvi, & dicendo, che ogni cosa si doveva lasciare per la salute della sua patria, & che colui non era buon cittadino, che per conservar la città temeva la morte, eglino subito le scoprirono la dimanda del Re, pregandola, che non volesse esser cagione della loro ruina. Ond'ella, veggendo, che da sé stessa si havea dato la sentenza contra, chiese a quelli un certo termine, fra il quale promise d'andare a marito. Il qual termine giunto, ella fatto un gran rogo nella più alta parte della città, sotto ombra di voler placare lo spirito del morto Sicheo, sopra quello salì. Et stando intenti i cittadini a tal spettacolo per veder quello ch'ella si volesse fare, tratto fuori un coltello, che s'haveva nascosto sotto le vesti, disse: "Ottimi cittadini, si come a voi piace, vado a marito." cosi detto, sé stessa amazzò, eleggendo più tosto la morte, che macchiar la pudicitia. Il che anco è molto lontano dalla descrittion di Marone.

 

Anna figliuola del Re Belo.

Anna fu figlia di Belo, si come a Virgilio piace; il quale spessissime fiate la chiama sorella di Didone. Costei fu compagna nella fuga di Didone; la quale, poscia, che vide morta la sorella & il reame di Cartagine occupato da Iarba (come dice Ovidio nel libro de' Fastis), confidandosi nella ragione dell'hospitio antico se ne fuggì da Batto, re dell'isola Corisa. Finalmente, sentendo, che Pigmaleone moveva l'armi contra lei, & per ciò essendole dato congedo da Batto, se n'entrò in mare. Dove assalita da fortuna, si come l'intento suo era di andar a Camerè, fu condotta nel lido de' Laurenti; per lo quale Enea, havendo già vinto Turno, insieme con Acate caminando passeggiava. Di che ella veggendo Enea volse fuggire; ma da quello assicurata sulla fede, si fermò, & fu condotta nel Palazzo Reale. Per la cui giunta, Lavinia mossa da gelosia volse tenderle inganni. Ma avisata di notte in sogno da Didone uscì fuori del palazzo, & (se a bastanza si può far coniettura dalle parole d'Ovidio) si gittò precipitosamente nel Numico fonte. Ma Ovidio passando più oltre dice che, essendo ella ricercata per tutto, ai ricercatori giunti al fiume Numico parve udir una voce uscir del fiume, che gli dicesse.


Del piacevol Numico io sono Ninfa,

Anna chiamata per molti anni eterna.


Che sta nascosta entro il suo chiaro fondo,

 

Dopo esso Ovidio, dice Macrobio nei Saturnali publicamente & privatamente nel mese d'Aprile sacrificarsi, accioche sia lecito per anni & molti anni durare.

 

Europa quinta figliuola d'Agenore.

Europa fu figliuola d'Agenore, come si vede per Ovidio; della quale tal favola si narra. Vogliono che, essend'ella molto amata da Giove, egli comandasse a Mercurio, che cacciasse quelli armenti ch'erano su le montagne di Fenicia, nel lito dove Europa con altre donzelle era avezza andar à giuocare & darsi piacere. Il che fatto, Giove si cangiò in un bianco Toro, & si pose nel mezo de gli altri armenti. Onde veggendo Europa cosi vago & bello animale, & dilettandosi della sua piacevolezza, incominciò prima con le mani a farli vezzi, & indi montarli sopra; il quale pian piano ritirandosi verso l'acqua, & a poco a poco entrando nell'onde, tosto, che sentì quella esser si bene fermata sul suo dorso & haverli le mani nelle corna, notando passò il mare con quella, tutta timida & sbigottita, & la portò in Creta; dove ritornato nella sua vera forma seco hebbe a fare, & la impregnò. Di che poi, secondo ch'alcuni vogliono, ella partorì Minos, Radamanto & Sarpedone. Et egli in eterna memoria di lei dal suo nome chiamò la terza parte del mondo Europa. La fittione di tal favola è coperta da cosi sottil velo, che liggiermente si può vedere il suo significato. Percioche per Mercurio, che cacci gli armenti nel lito io intendo la eloquenza & la sagacità d'alcun ruffiano, che dalla città nel lito guidi qualche donzella; overo un falso mercante, che le mostri qualche cosetta da giuoco & a lei la prometta, & monta seco in nave. Giove poi trasformato in toro, che se ne porti la donzella, homai credo essere noto a tutti quella essere stata una nave la cui insegna era un Toro bianco, sopra la quale (fosse con qual inganno si voglia) salita sopra la donzella, & dati i remi all'acque & ai venti le vele, ella fu portata in Creta & data per moglie a Giove; overo, secondo Eusebio nel libro dei Tempi, ad Asterio Re, dal quale si come è stato detto di sopra partorì i detti tre figliuoli. Nondimeno piace ad Agostino, che costui fosse chiamato Santo, & non Asterio. Appresso, discordano del tempo di tal rapina molti auttori, attento, che vi sono di quelli, come dice Eusebio, che vogliono nell'anno quarantesimo di Danao Re d'Argivi Giove essersi congiunto con Europa, & che poi Asterio Cretese Re la togliesse per moglie; il quale fu l'anno del mondo MDCCCLXIX. Altri poi dicono quella da Cretesi essere stata rapita l'anno del mondo MDCCCLXXVIII, regnando in Argo Acrisio. Ma alcuni vogliono, che fosse rapita nel tempo, che Pandione regnava in Athene, cioè negli anni del mondo MDCCCXVI. Il qual tempo più si conface con quelle cose, che si leggono di Minos, figliuolo dell'istessa. Dice Varrone una imagine bellissima di bronzo di costei essere stata posta da Pithagora in Taranto; & questo si contiene, dove tratta dell'origine della lingua latina.

 

Cadmo sesto figliuolo d'Agenore, che generò Semele, Agane, Auttonoe, & Inoe.

Per publica fama di tutti gli antichi, Cadmo fu figliuolo d'Agenore; il quale scrive Eusebio nel libro de' Tempi essere venuto insieme col fratello Fenice da Thebe degli Egittij nell'anno decimosettimo di Danao Re d'Argivi, & appresso Tiro & Sidone haver regnato. Conciosia, che (sì come di sopra si vede) molto prima ivi venisse Agenore cacciato dalla peste. Il quale Eusebio doppo queste cose scrive nell'anno decimosesto del Reame di Linceo, Cadmo haver occupato l'Armenia; il che di sopra habbiamo ricordato essere stato fatto da Cilice. Questi nondimeno (come scrive Ovidio) havendo Giove rapito Europa, fu mandato dal padre Agenore all'acquisto di lei, con tal patto, che non dovesse ritornar nella patria senz'essa. Il quale partitosi con buona compagnia, nè sapendo dove ricercarla, deliberò trovarsi novo paese. Onde essendo giunto vicino a Parnaso, hebbe per risposta dall'oracolo, che seguisse un bue indomito, & dove quello si fermasse, ivi facesse il suo seggio. Di che cosi havendo fatto fu guidato nel destinato paese, nel quale fermandosi & gittando i primi fondamenti, dal nome del bue lo chiamò Boemia; & la città dagli antichi Egittij di Thebe, da' quali i suoi precessori erano discesi, fu chiamata Thebe. Ma si come dice Ovidio, volendo egli sacrificare & havendo mandato alcuni de' compagni a pigliar dell'acqua, avenne, che per l'indugio del loro ritorno Cadmo gli andò dietro, dove trovò ch'erano stati divorati da un'ismisurato serpente. Il quale riguardato da lui, udì una voce, che gli disse, che vederebbe anco sé stesso serpente. Nondimeno, havendolo amazzato, per oracolo divino gli trasse i denti & gli seminò, da i quali subito nacquero huomini armati, che tra sé stessi incominciaro ammazzarsi; nè prima s'acquetarono, che cinque soli restassero vivi. I quali tra loro fatta pace si congiunsero con Cadmo, & l'aiutarono a fornir la città. Ma Palefatto scrive appresso ch' egli hebbe una donna chiamata Spinga per moglie, la quale per gelosia d'Herminiona si partì da lui, & mosse guerra contra i seguaci di Cadmo. Sono appresso di quelli, che vogliono lui stando appresso il fonte Hippocrene tutto pensoso haver ritrovato sedeci caratteri di lettere, le quali poi da tutta la Grecia furono usate. Cosi Plinio nel libro dell'Historia Naturale dice lui appresso Thebe essere stato l'inventore dei lapidarij, & della mistura dell'oro & dei metalli; come, che Theofrasto voglia ch'egli facesse queste cose appresso i Fenici. Ma molto doppo l'allegato tempo. Percioche quello, che di sopra è scritto di lui fu circa gli anni del mondo MDCCCCXXXVIII. Indi Ovidio dice, che di lui fu moglie Sermiona, figliuola di Marte & di Venere; dalla quale si ha ch'egli generasse quatro figliuole, & che ad Hermiona fosse donato da Vulcano un monile mortale. Dopo questo, essendo occorso molte disgratie ai nipoti & sue figliuole, egli già vecchio da Anfione & Zetho cacciato del reame se n'andò in Schiavonia, dove insieme con la moglie Hermiona amendue furono trasmutati in serpenti. Questa favolosa historia ha in sé alcune cose congiunte, delle quali ci resta vederne il senso. Il serpente adunque consacrato a Marte io intendo, che sia l'huomo vecchio & prudente, già armigero & bellicoso con sue parole, & tardare, ritenne i compagni di Cadmo; per lo cui consiglio, il quale istimo io, che siano i denti, tra gli habitanti fu seminata discordia. I quali persuaduti da Spinga contra lui si mossero; onde in un subito, tolte l'armi in mano, tra sé stessi vennero a battaglia. I cui Prencipi (tagliati a pezzi i popolari) vennero in concordia con Cadmo, & di habitatori & stranieri fecero tutto un popolo. Che poi egli essule insieme con la moglie divenisse serpe, dimostra quelli esser fatti vecchi. Perche i vecchi a guisa di serpenti sono prudenti, & per l'esperienza delle cose aveduti, & per l'età pieni d'anni. Et se bene l'età gli caccia & gli aiuti gli mancano, tuttavia secondo il costume de' serpenti vanno col petto in fuori. Ma del tempo del regno di costui furono anco discordanti gli antichi. Perche Eusebio nel libro dei Tempi dice, che l'anno ottavo della signoria d'Abante re d'Argivi, che fu negli anni del mondo MDCCCXXXVII, Cadmo fu cacciato dal regno da Anfione & Zetho; nè molto doppo dice, che (regnando Acrisio in Argo) Cadmo regnò a Thebe, essendo Acrisio succeduto ad Abante; il che nondimeno puotè essere circa gli anni del mondo MDCCCLXXV. Al qual tempo si conviene quello, che dopo l'istesso Eusebio scrive, cioè, che regnando Acrisio succedessero quelle cose, che si narrano dei Spartani. I quali (dice Palefato) che, essendo di paesi circonvicini, subito si fermarono contra Cadmo; onde per li subiti movimenti loro, come se fossero usciti dalla terra, & perche erano abondati da ogni parte, furono chiamati Spartani. Ma nondimeno ciò malamente si conviene al tempo nel quale habbiamo detto di sopra Europa essere stata rapita. Quelli ne trovino la verità a' quali di ciò è piu cura, perche io non ne ho potuto trovar altro.

 

Semele figliuola di Cadmo.

Fu Semele figliuola di Cadmo & d'Hermione, come assai si manifesta in Ovidio nel suo maggior volume. Sopportando Giunone malamente costei esser pregna di Giove, si trasmutò nella vecchia Beroe Epidaurea, & persuase a Semele, che facesse sperienza se Giove la amava; percioche questo potrebbe conoscere s'egli le facesse gratia di venirsi a congiunger seco, come faceva con Giunone. Alla qual cosa dando a pieno fede Semele, astrinse Giove a giurarli per l'onde stigie di farle quella gratia ch'ella gli dimandarebbe. Et richiedendoli tal cosa, Giove, dolente d'haverglila promessa, tolto il minor folgore con quello la percosse & morì; onde poi trasse dal suo ventre un fanciullo non anco giunto al tempo del parto, chiamato Bacco. La verità di questa favola penso io, che sia; Tal donna pregna (sì come si contiene nella fittione) essere stata perercossa da una saetta. Percioche il foco, cioè Giove, non si congiunge con l'aere, cioè con Giunone, eccetto, che col folgore, che discende ai luoghi inferiori.

 

Agave figluola di Cadmo.

Agave, si come assai è palese, fu figliuola di Cadmo & d'Hermiona; la quale Cadmo diede per sposa ad Echione, che fu uno de' compagni, che l'aitò ad edificar Thebe. Dal cui ella partorì un figliuolo chiamato Pentheo, giovine di grand'animo; il quale (celebrando la madre, le sorelle & altre donne i sacrifici di Bacco di lui sprezzati) fu da quelle divenute furiose amazzato. Diceva Leontio questo Pentheo essere stato Astemio, il quale dalla ubbriaca madre et dall'altre fu morto perche più volte havea biasimato i loro sacrifici & ebrietà.

 

Auttone figliuola di Cadmo.

Secondo Ovidio, Auttone fu figlia di Cadmo & Hermiona. Costei fu moglie d'Aristeo, & di lui partorì Atteone.

 

Ino figliuola di Cadmo.

Ino medesimamente, come dice Ovidio, fu figlia di Cadmo & Hermiona; la quale divenuta moglie d'Atlante figliuolo d'Eolo, & di lui havendo partorito Learco & Melicerte, poscia, che vide Learco dal furioso padre esser morto, temendo, che l'istesso a sé & a l'altro figliuolo non avenisse, da un alto sasso precipitosamente si gittò in mare. Di che avenne per compassione di Nettuno, che Ino fu fatta una dea marina chiamata Leucothoe, & Melicerte divenne Palemone. Ma io credo, che questi due lochi fossero due scogli ai quali furono portati gli infelici corpi & gittati in mare; & per ciò per ricordo de' sopraviventi gli fossero posti questi due nomi divini. Overo più tosto fosse per quello, che di sotto si legge di Learco & Melicerte.

 

Laddacio settimo figliuolo d'Agenore, che generò Laio.

Laddacio, secondo Theodontio, fu il più giovane di tutti i figliuoli d'Agenore. Il quale havendo inteso il fratello essere stato messo in rotta, & Anfione con le proprie mani haversi amazzato, & Lica essere stato morto da Hercole, sollecitato con preghi dagli amici che, lasciata la Soria, se ne venisse in Grecia, & egli per la vecchiaia sentendosi inhabile alla fatica, vi mandò Laio, ch'era il più giovane di tutti gli altri suoi figliuoli. Il quale subito, occupato il reame, fu chiamato Re. Ma Paolo dice Laddacio essere stato figliuolo di Fenice, & vecchio essere venuto a Thebe da' Thebani chiamato: dove regnò alquanto tempo, & generò il figliuolo Laio.

 

Laio, Re di Thebe, & figliuolo di Laddacio, che generò Edipo.

Bastevolmente si è dimostrato, Laio essere stato figlio di Laddacio & Re di Thebe; il quale ò mandato da Fenice ò pur ivi nato se ne venne a Thebe, & ivi regnò. Dove signoreggiando tolse per moglie Iocasta figliuola di Creonte Thebano: la quale poscia, che fu divenuta pregna, egli andò all'oracolo per haver risposta quello, che di tal prole havesse a succedere; & havendo inteso ch'egli per le mani d'un figliuolo ch'era per nascerli havea a morire, comandò alla moglie, che mandasse ad esporre ciò, che da lei nasceva. Là onde venuto il tempo del parto, la madre dogliosa fece esporre alla morte il fanciullo; il quale per voler de' Cieli restato vivo, & cresciuto in età, desideroso di sapere chi fosse il suo padre intese dall'oracolo, che lo ritrovarebbe in Focide: e cosi ivi giunto, & trovata una seditione tra quei Cittadini & stranieri in armi, amazzò il padre da lui non conosciuto, il quale cercava metter di mezzo a tal gara. Et a tal modo Laio per le mani del figliuolo se ne morì.

 

Edipo figlio di Laio, che generò Antigona, Ismena, Etheocle, & Polinice.

Edipo Re di Thebe, secondo, che Statio dimostra nella Thebaide, fu figliuolo di Laio & di Iocasta. Questi per comandamento del padre, si come di sopra è stato detto, subito nato fu portato nel bosco ad esporre alle fiere; il quale essendo in questo modo portato dai servi alla morte, quelli mossi a compassione del fanciullo non lo gittarono secondo il comandamento alle fiere, ma foratigli e' piedi con un vincicastro lo legarono per li piedi sopra un arbore; ai gemiti del quale mosso un certo pastore di Polibo Re di Corinto; il levò da quell'albore & lo portò al Re. Il quale essendo senza figliuoli con paterno affetto lo raccolse, & in loco di figliuolo il fece nodrire. Questi nondimeno, cresciuto in età & havendo inteso se non esser figliuolo di Polibo, si dispose ricercare chi fosse il suo padre; & andato a consigliarsi con l'oracolo d'Apollo, hebbe in risposta, che trovarebbe il padre suo in Focide, & che pigliarebbe la madre per moglie. Cosi venendo in Focide, & ritrovando attaccata una questione tra i cittadini & forestieri, egli messosi a dar aiuto alla parte straniera inavedutamente amazzò il padre Laio, da lui non conosciuto, & che cercava acquetarli. Finalmente come quasi ingannato dall'Oracolo se n'andò a Thebe, & facendo quel viaggio ritrovò la Sfinge, la quale (dichiarati ch'egli le hebbe gli enigma) amazzò & entrò in Thebe; dove essendo tenuto figliuolo di Polibo gli fu data per moglie la madre Iocasta, la quale da lui fu volentieri pigliata temendo di non haver a torre Meroe, già moglie di Polibo & da lui tenuta per madre. Cosi divenuto Re di Thebe, & essendo fatto padre di quattro figliuoli havuti da Iocasta, avenne, che in Thebe nacque una mortalità grande. Onde andatisi a consigliare con l'oracolo, gli fu risposto la peste non essere per cessare, se con l'essiglio del loro Re non si purgasse l'incestuoso matrimonio di Iocasta. Ma mentre, che l'infelice incominciava già a sospirare, a lui venne inanzi un Corintho, che gli portò nova della morte di Polibo, & che lo chiamava nel reame. Ond'egli rispondendo temer di venirci, attento, che havea sospetto di non essere sforzato pigliar la madre per moglie, da quel corrieri vecchio fu ragguagliato a qu