Giovanni Boccaccio
L'Amorosa visione
Edizione
di riferimento: Giovanni Boccaccio: Amorosa visione, a cura di Vittore
Branca, in Tutte le opere, a cura di V. Branca, vol. III, Mondadori,
Milano 1974
Nelli
tre infrascritti sonetti si contengono per ordine tutte le lettere principali
de' rittimi della infrascritta Amorosa Visione. E però che in quelli il
nome dell'autore si contiene, altrimenti non si cura di porlo. I sonetti sono
questi.
Mirabil cosa forse la presente
vision
vi parrà, donna gentile,
a
riguardar, sì per lo nuovo stile,
sì
per la fantasia ch'è nella mente.
Rimirandovi un dì, subitamente, 5
bella,
leggiadra et in abit'umile,
in
volontà mi venne con sottile
rima
tractar parlando brievemente.
Adunque a voi, cui tengho donna mia
et
chui senpre disio di servire, 10
la
raccomando, madama Maria;
e prieghovi, se fosse nel mio dire
difecto
alcun, per vostra cortesia
correggiate
amendando il mio fallire.
Cara Fiamma, per cui 'l core ò caldo, 15
que'
che vi manda questa Visione
Giovanni
è di Boccaccio da Certaldo.
Il dolce inmaginar che 'l mio chor face
della
vostra biltà, donna pietosa,
recam'una
soavità sì dilectosa
che
mette lui con mecho in dolcie pace.
Poi quando altro pensiero questo disface, 5
piangemi
dentro l'anima 'ngosciosa,
cercando
come trovar possa posa,
et
sola voi disiar le piace.
Et però volend'i' perseverare
pur
nello 'nmaginar vostra biltate, 10
cerco
con rime nuove farvi i' onore.
Questo mi mosse, donna, a compilare
la
Visione in parole rimate,
che
io vi mando qui per mio amore.
Fatele onor secondo il su' valore, 15
avendo
a tempo poi di me pietate.
O
chi che voi vi siate, o gratiosi
animi
virtuosi,
in
cui amor come 'n beato loco
celato
tene il suo giocondo focho,
i'
vi priego c'un poco 5
prestiate
lo 'ntellecto agli amorosi
versi,
li quali sospinto conposi
forse
da disiosi
voler
troppo 'nfiammato; o se 'l mio fioco
cantar
s'imvischa nel proferer broco, 10
o
troppo è chiaro o roco,
amendatel
acciò che ben riposi.
Se
in sé fructo o forse alcun dilecto
porgesse
a vo' lector, ringratiate
colei
la cui biltate 15
questo
mi mosse a ffar come subgiecto.
E
perché voi costei me' conosciate,
ella
somigli' Amor nel su' aspecto,
tanto
c'alcun difecto
non
v'à a chi già 'l vide altre fiate; 20
e
l'un dell'altro si gode di loro,
ond'io
lieto dimoro.
Rendete
a llei 'l meritato alloro!
E
più non dico 'mai,
perché
decto mi par aver assai. 25
TESTO A
CANTO
I
Move
nuovo disio la nostra mente,
donna
gentile, a volervi narrare
quel
che Cupido graziosamente
in
vision li piacque di mostrare
all'alma
mia, per voi, bella, ferita 5
con
quel piacer che ne' vostri occhi appare.
Recando
adunque la mente, smarrita
per
la vostra virtù, pensieri al core,
che
già temea della sua poca vita,
accese
lui di sì fervente ardore, 10
che
uscita di sé la fantasia
subito
entrò in non usato errore.
Ben
ritenne però il pensier di pria
con
fermo freno, ed oltre a ciò ritenne
quel
che più caro di nuovo sentia. 15
In
ciò vegghiando, in le membra mi venne
non
usato sopor tanto soave,
ch'alcun
di loro in sé non si sostenne.
Lì
mi posai, e ciascun occhio grave
al
sonno diedi, per lo qual gli agguati 20
conobbi
chiusi sotto dolce chiave.
Così
dormendo, in su liti salati
mi
vidi correr, non so che temendo,
pavido
e solo in quelli abbandonati
or
qua or là, null'ordine tenendo; 25
quando
donna gentil, piacente e bella,
m'apparve,
umil pianamente dicendo:
–
Se questo luogo solo a gire a quella
somma
felicità, che alcun dire
non
poté mai con intera favella, 30
abbandonar
ti piace, il me seguire
ti
poserà in sì piacente festa,
ch'avrai
sicuro e pieno ogni disire –.
Fiso
pareva a me rimirar questa
ed
ascoltare intento sue parole, 35
quando
s'alzò alla sua bionda testa,
ornata
di corona più che 'l sole
fulgida,
l'occhio mio, e mi parea
il
suo vestire in color di viole.
Ridente
era in aspetto e 'n man tenea 40
reale
scettro, ed un bel pomo d'oro
la
sua sinistra vidi sostenea.
Sopra
'l piè grave, non sanza dimoro,
moveva
i passi; e lei tacendo ed io
pensato
di volere suo aiutoro: 45
–
Ecco – risposi, – donna, il mio disio
è
di cercar quel ben che tu prometti,
se
a' tuoi passi di dietro m'invio.
–
Lascia –, diss'ella, – adunque i van diletti
e
seguitami verso quell'altura 50
ch'opposta
vedi qui a' nostri petti.
Allor
lasciar pareami ogni paura
e
darmi tutto a seguitar costei,
abbandonando
la strana pianura.
Poi
che salito fui dietro a costei 55
non
già per molto spazio, il viso alzai
istato
basso infin lì verso i piei:
rimirandomi
avanti, i' mi trovai
venuto
a piè d'un nobile castello,
sopra
al sogliar del quale io mi fermai. 60
Egli
era grande ed altissimo e bello
e
spazioso, avvegna che alquanto
tenebroso
paresse entrando in quello.
–
Siam noi ancora là dove cotanto
ben
mi prometti, donna graziosa, 65
di
dovermi mostrar? –, diss'io intanto.
Ed
ella allora: – Più mirabil cosa
veder
vuoi prima che giunghi lassuso,
dove
l'anima tua fia gloriosa.
Noi
cominciammo pur testé quaggiuso 70
ad
entrar a quel ben: quest'è la porta:
entra
sicuro omai nel cammin chiuso.
Tosto
ti mostrerò la via scorta,
per
la qual fia ad andarvi diletto
se
non ti volta coscienza torta. 75
Ed
io: – Adunque andiam, ché già m'affretto,
già
mi cresce il disio, sì ch'io non posso
tenerlo
ascoso più dentro nel petto.
Vedi
com'io mi son sicuro mosso,
vedi
ch'io vegno e trascorro di voglia, 80
d'ogni
altra cura nella mente scosso.
–
Ir si conviene qui di soglia in soglia
con
voler temperato, ché chi corre
talor
tornando convien che si doglia –.
Sì
era il suo dir vero, che apporre 85
né
contro andarvi io non arei potuto,
né
dal piacer di lei potuto torre
in
ciò, ancor ch'io avessi saputo.
CANTO
II
«O
somma e graziosa intelligenzia
che
muovi il terzo cielo, o santa dea,
metti
nel petto mio la tua potenzia:
non
sofferir che fugga, o Citerea,
a
me lo 'ngegno all'opera presente,
ma
più sottile e più in me ne crea. 5
Venga
il tuo valor nella mia mente,
tal
che 'l mio dir d'Orfeo risembri il suono,
che
mosse a racquistar la sua parente.
Infiamma
me tanto più ch'io non sono,
che
'l tuo ardor, di ch'io tutto m'invoglio, 10
faccia
piacere quel di ch'io ragiono.
Poi
che condotto m'ha a questo soglio
costei,
che cara seguir mi si face,
menami
tu colà ov'io ir voglio,
acciò
che' passi miei, che van per pace 15
seguendo
il raggio della tua stella,
vengano
a quello effetto che ti piace».
Ragionando
con tacita favella
così
m'andava nel nuovo sentiero
seguendo
i passi della donna bella. 20
Ruppemi
tal parlar nuovo pensiero
ch'un
muro antico nella mente mise,
apparitoci
avanti tutto intero.
Allor
la bella donna un poco rise,
me
stupefatto e d'ammirazion pieno 25
veggendo,
e disse: – Forse tu divise
del
camin nostro che qui venga meno:
o
se più è, non vedi da qual loco
li
passi nostri su salir porrieno.
Oltre
convien che venghi ancora un poco, 30
ed
io mostrandol, vederai la via
che
ci merrà al grazioso gioco –.
Non
fummo guari andati che la pia
donna
mi disse: – Vedi qui la porta
che
la tua alma cotanto disia –. 35
Nel
suo parlar mi volsi, e poi che scorta
l'ebbi,
la vidi piccioletta assai,
istretta
ed alta, in nulla parte torta.
A
man sinistra allora mi voltai
volendo
dir: «Chi ci potrà salire 40
o
passar dentro, ché par che giammai
gente
non ci salisse?» e nel mio dire
vidi
una porta grande aperta stare,
e
festa dentro mi vi parve udire.
E
dissi allor: – Di qua fia meglio andare, 45
al
mio parere, e credo troveremo
quel
che cerchiam, ché già udir mel pare –.
Non
è così rispuose, – ma andremo
su
per la scala che tu vedi stretta
e
'n su la sommità ci poseremo. 50
Tu
guardi là, e forse ti diletta
il
cantar che tu odi, il qual piuttosto
pianto
si dovria dire in lingua retta.
Il
corto termine alla vita posto
non
è da consumare in quelle cose 55
che
'l bene etterno vi fanno nascosto.
Levarsi
ad alto, alle gloriose,
utilemente
s'acquista virtute,
che
lascia le memorie poi famose.
E
s' tu non credi forse che a salute 60
questa
via stretta meni, alza la testa:
ve'
che dicon le lettere scolpute
Alzai
allora il viso, e vidi: «Questa
piccola
porta mena a via di vita;
posto
che paia nel salir molesta, 65
riposo
etterno dà cotal salita;
dunque
salite su sanza esser lenti,
l'animo
vinca la carne impigrita».
Io
dissi: – Donna, molto mi contenti
col
ver parlar che tua bocca produce, 70
e
più m'accertan le cose parventi,
guardando
quelle; ma dimmi, che luce
è
quella ch'io veggio là entr'ora?
perché
in questa così non riluce? –
–
Voi che nel mondo state, vostra mora 75
fate
in loco tenebroso e vano:
e
però gli occhi alla dolce aurora
alzare
non potete, a mano a mano
che
voi di quella uscite, a veder quanta
sia
la chiarezza del Fattor sovrano. 80
Rompesi
poi la nebbia che v'ammanta
quando
ad entrar nel vero incominciate,
e
conoscete poi la luce santa.
Dirizza
i piedi alle scale levate;
su
non sarai che vie maggior chiarezza 85
vedrai
che là non è mille fiate:
adunque
che fia in capo dell'altezza? –.
CANTO
III
Ristata
era la donna di parlare
e
rimirava ch'io entrassi dentro
di
rietro a lei, che già volea montare.
–
Sed e' vi piace, prima andiam là entro –,
diss'io
a lei. E quella: – Tu disii 5
di
rovinar con doglia al tristo centro.
Io
dico insino a qui: se là t'invii,
in
cose vane l'anima disposta
a
bene oprar convien che si disvii.
Pon
l'intelletto alla scritta ch'è posta 10
sopra
l'alto arco della porta, e vedi
come
'l suo dar val poco e motto costa –.
Ed
io allora a riguardar mi diedi
la
scritta in alto che pareva d'oro,
tenendo
ancora in là voltati i piedi. 15
«Ricchezze,
dignità, ogni tesoro,
gloria
mondana copiosamente
do
a color che passan nel mio coro.
Lieti
li fo nel mondo, e similmente
do
quella gioia che Amor promette 20
a'
cor che senton suo dardo pugnente».
–
Or hai vedute ed amendune lette
le
scritte, e vedi chi maggior promessa
e
più utile fa: dunque che aspette?
Non
istian più omai, ché 'l tempo cessa 25
e
'l perder quello spiace a' più saputi;
adunque
omai saliam –, mi dicev'essa.
–
Ver è, donna gentil, ch'i' ho veduti –,
risposi,
– scritti i don, però vedere
vorrei
provando qua' son posseduti. 30
Ogni
cosa del mondo a sapere
non
è peccato, ma la iniquitate
si
dee lasciare e quel ch'è ben tenere.
Venite
adunque qua, ché pria provate
deono
esser le cose leggieri 35
ch'entrare
in quelle c'han più gravitate.
Ora
che siamo quasi nel sentieri,
andiam,
vediamo questi ben fallaci:
più
caro fia poi l'affannar pe' veri –.
–
Se tu sapessi quanto e' son tenaci 40
e
quanto traggon l'uom di via diritta,
non
parleresti sì come tu faci.
Toglianci
quinci –, disse, – ché già fitta
veggo
la mente tua, se più ci stai,
a
quel che dice la seconda scritta. 45
Il
che lasciar, a chi il prende, mai
impossibile
par fin che si more,
e
per que' va poi agli etterni guai –.
La
donna giva già. Ed ecco fore
della
gran porta due giovini uscire; 50
l'uno
era corto e bianco in suo colore
e
l'altro rosso; e incominciaro a dire:
–
Dove cercando vai gravoso affanno?
Vien
dietro a noi, se vuoi il tuo disire.
Sollazzo
e festa, come molti fanno, 55
qua
non ti falla, e poi il salir suso
potrai
ancor nell'ultimo tuo anno.
Il
luogo è chiaro e di tenebre schiuso:
vien,
vedi almeno, e satira' ten poi,
se
ti parrà noioso esser quaggiuso –. 60
Piacevami
il dir loro, e già: «Con voi»,
dir
voleva, «io verrò»; ma mi diceva
colei:
– Lascia costoro, andian su noi –.
E
per la destra man preso m'aveva
seco
tirando me in su; e l'uno 65
la
mia sinistra e l'altro ancor teneva,
ridendosene
insieme, e ciascheduno
tirandomi
diceva: – Vienne, vienne,
cerchi
sola costei il cammin bruno –.
Lì
d'una parte e d'altra mi ritenne 70
l'esser
tirato; dond'io: – Ben sapete –,
volto
alla donna, – che io non ho penne
a
poter su volar, come credete,
né
potrei sostener questi travagli
a'
quai dispormi subito volete –. 75
Fermata
allor mi disse: – Tu t'abbagli
nel
falso immaginar, e credi a questi
ch'a
dritta via son pessimi serragli.
A
trarti fuor d'errore e di molesti
disii
discesi, e per voler mostrarti 80
le
vere cose che prima chiedesti;
né
mai avrei lasciato d'aiutarti
col
mio veder nelle battaglie avverse.
Ma
poi che ad altro t'è piaciuto darti,
truova
il cammino dell'opere perse, 85
ch'io
non ti lascerò, mentre che io
vedrò
non darti tra quelle diverse
a
voler seguitar bestial disio –.
CANTO
IV
Seguendomi
la donna, com'io lei
pria
seguitava, co' due giovinetti
a
man sinistra volsi i passi miei.
Intra
lor due avean noi due ristretti,
e
con più spesso passo n'andavamo 5
a
riguardare i men cari diletti.
Andando
in tal maniera, noi entramo
per
la gran porta insieme con costoro,
ed
in una gran sala ci trovamo.
Chiara
era e bella e risplendente d'oro, 10
d'azzurro
e di color tutta dipinta
maestrevolmente
in suo lavoro.
Humana
man non credo che sospinta
mai
fosse a tanto ingegno quanto in quella
mostrava
ogni figura lì distinta, 15
eccetto
se da Giotto, al qual la bella
Natura
parte di sé somigliante
non
occultò nell'atto in che suggella.
Noi
ci traemmo nella sala avante,
quasi
nel mezzo d'essa, e quivi stando 20
vedevam
le figure tutte quante.
Ell'era
quadra: ond'io che riguardando
giva
per tutto, dirizzai il viso
ver
l'una delle facce, in piede stando.
Là
vid'io pinta con sottil diviso 25
una
donna piacente nell'aspetto,
soave
sguardo avea e dolce riso.
La
man sinistra teneva un libretto,
verga
real la destra, e' vestimenti
porpora
gli estimai nell'intelletto. 30
A
piè di lei sedevan molte genti
sopra
un fiorito e pien d'erbette prato,
alcuni
più e alcun meno eccellenti.
Ma
dal sinistro e dal suo destro lato
sette
donne vid'io, dissimiglianti 35
l'una
dall'altra in atto ed in parato.
Elle
eran liete e lor letizia in canti
pareami
dimostrassero, ma io
con
l'occhio alquanto più mi trassi avanti,
Nel
verde prato a man destra vid'io 40
di
questa donna, in più notabil sito,
Aristotile
star con atto pio:
tacito
riguardando, in sé unito,
pensoso
mi pareva; e poi appresso
Socrate
sedea quasi smarrito. 45
Eravi
quivi ancor Platon con esso,
Melisso,
Alessandro v'era e Tale,
Speseusippo
lei mirando spesso;
Raclito
ancora e Ipocràs, il quale
in
abito mostrava d'aver cura 50
ancora
di sanare il mondan male.
Ivi
sedeva con sembianza pura
Galieno,
e con lui era Zenone
e
'l geometra ch'a dritta misura
mosse
lo 'ngegno, sì che con ragione 55
oggi
s'adovra seguendo suo stile;
e
dopo lui Democrito e Solone.
Insieme
con costoro in atto umile
si
sedea Tolomeo, e speculava
i
ciel con intelletto assai sottile, 60
riguardando
una spera che li stava
ferma
davanti; e Tebìth con lui
ed
Abracìs ancora in ciò mirava.
Averroìs
e Fedron dopo lui
sedevan
rimirando la bellezza 65
di
quella donna che onora altrui.
Nassagora
ancor quella chiarezza
mirava
fiso insieme con Timeo,
mostrando
in atto di sentir dolcezza.
Diascoride
ancor v'era ed Orfeo, 70
Ambepece
e Temistio, e poi un poco
Essiodo
almo e Timoteo.
Oh
quanto quivi in grazioso gioco
Pitagora
onorato si vedea
e
Diogene in sì beato loco! 75
Vie
dopo questi ancora mi parea
Seneca
riguardando ragionare
con
Tulio insieme, che con lui sedea.
Innanzi
a loro un poco, ciò mi pare,
Parmenide
sedea e Teofrasto, 80
lieto
ciascun della donna mirare.
Vestito
d'umiltà, pudico e casto,
Boezio
si sedeva ed Avicena,
ed
altri molti, i qua' s'a dir m'adasto,
non
fosse troppo rincrescevol pena 85
dubbio
a' lettor; però mi taccio omai
e
dirò di color che seco mena
dalla
man manca, ov'io mi rivoltai.
CANTO
V
Io
dico che dalla sinistra mano
di
quella donna vidi un'altra gente,
l'abito
della qual non guari strano
sembrava
da color che primamente
contati
abbiam, ben che la vista loro 5
si
stenda ver le donne più fervente.
Vergilio
mantovano infra costoro
conobb'i'
quivi più ch'altro esaltato,
sì
come degno, per lo suo lavoro.
Ben
mostrava nell'atto che a grato 10
gli
eran le sette donne per le quali
sì
altamente avea già poetato:
il
ruinar di Troia ed i suoi mali,
di
Dido, di Cartagine e d'Enea,
lavorar
terre e pascere animali 15
trattar
negli atti suoi ancor parea.
Omero
e Orazio quivi dopo lui,
ciascun
mirando quelle, si sedea.
A'
quai Lucan seguitava, ne' cui
atti
parea ch'ancora la battaglia 20
di
Cesare narrasse e di colui,
Magno
Pompeo chiamato, che 'n Tesaglia
perdé
il campo; e quasi lagrimando
mostra
che di Pompeo ancor li caglia.
Eravi
Ovidio, lo qual poetando 25
iscrisse
tanti versi per amore,
com'
acquistar si potesse mostrando.
Non
guari dopo lui fatt'era onore
a
Giovenal, che ne' su' atti ardito
a'
mondan falli ancor facea romore. 30
Terenzio
dopo lui aveva sito
non
men crucciato, e Panfilo e Pindaro,
ciascun
per sé sopra 'l prato fiorito.
E
Stazio di Tolosa ancora caro
quivi
pareva avesse l'aver detto 35
del
teban male e del suo pianto amaro.
Bell'uom
tornato d'asino, soletto
si
sedea Apolegio, cui seguiva
Varro
e Cicilio lieti nell'aspetto.
Euripide
mi par che poi veniva; 40
Antifonte,
Simonide ed Archita
parea
dicesser ciò ch'ognun sentiva
lì
di diletto e di gioconda vita,
insieme
ragionando; e dopo questi
Sallustio,
quasi in sembianza smarrita, 45
là
parea che narrasse de' molesti
congiuramenti
che fé Catellina
contra'
Roman, ch'a lui cacciar fur presti.
Al
qual Vegezio quivi s'avvicina,
Claudiano,
Persio e Catone, 50
e
Marziale in vista non meschina.
L'antico
e valoroso e buon Catone
quivi
era nel sembiante assai pensoso,
tenendo
con Antigono sermone.
E,
vago ne' suoi atti di riposo, 55
da
una parte mi parve vedere
quel
Livio che fu sì copioso,
guardando
que' che 'nanzi a sé sedere
tanti
vedea, nell'aspetto contento
d'avere
scritte tante storie vere. 60
Goloso
di cotal contentamento
Valerio
appresso parea che dicesse:
«Brieve
mostrai il mio intendimento».
Ivi
con lor mi parve ch'io vedesse
Paolo
Orosio stare ed altri assai, 65
de'
qua' non v'era alcun ch'io conoscesse.
Allora
gli occhi alla donna tornai
a
cui le sette davanti e dintorno
stavano
tutte in atti lieti e gai.
Dentro
dal coro delle donne adorno, 70
in
mezzo di quel loco ove facieno
li
savi antichi contento soggiorno,
riguardando,
vid'io di gioia pieno
onorar
festeggiando un gran poeta,
tanto
che 'l dire alla vista vien meno. 75
Aveali
la gran donna mansueta
d'alloro
una corona in su la testa
posta,
e di ciò ciascun'altra era lieta.
E
vedend'io così mirabil festa,
per
lui raffigurar mi fé vicino, 80
fra
me dicendo: «Gran cosa fia questa».
Trattomi
così innanzi un pocolino,
non
conoscendol, la donna mi disse:
–
Costui è Dante Alighier fiorentino,
il
qual con eccellente stil vi scrisse 85
il
sommo ben, le pene e la gran morte:
gloria
fu delle Muse mentre visse,
né
qui rifiutan d'esser sue consorte –.
CANTO
VI
Al
suon di quella voce graziosa
che
nominò il maestro dal qual io
tengo
ogni ben, se nullo in me sen posa:
–
Benedetto sia tu, etterno Iddio,
c'hai
conceduto ch'io possa vedere
in
onor degno ciò ch'avea in disio –, 5
incominciai
allora; né potere
aveva
di partir gli occhi dal loco
dove
parea il signor d'ogni savere,
tra
me dicendo: «Deh, perché il foco
di
Lachesis per Antropos si stuta 10
in
uomo sì eccellente e dura poco?
Viva
la fama tua, e ben saputa,
gloria
de' Fiorentin, da' quali ingrati
fu
la tua vita assai mal conosciuta!
Molto
si posson riputar beati 15
color
che già ti seppero e colei
che
'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati».
I'
'l riguardava, e mai non mi sarei
saziato
di mirarlo, se non fosse
che
quella donna, che i passi miei 20
là
entro con que' due insieme mosse,
mi
disse: – Che pur miri? forse credi
renderli
col mirar le morte posse?
E'
c'è altro a veder che tu non vedi!
Tu
hai costì veduto, volgi omai 25
gli
occhi a que' del mondan romore eredi;
i
quali quando riguardati avrai,
di
quinci andrenci, ché lo star mi sgrata –.
A
cui io dissi: – Donna, tu non sai
neente
perché tal mirar m'aggrata 30
costui
cui miro, ché se tu il sapessi
non
parleresti forse sì turbata –.
–
Veramente se tu il mi dicessi
nol
saprei me'–, rispose quella allora,
–
ma perder tempo è pur mirare ad essi –. 35
Oltre
passai, sanza più far dimora,
con
gli occhi a riguardar, lasciando stare
quel
ch'io disio di rivedere ancora,
là
dove a colei piacque che voltare
io
mi dovessi; e vidi in quella parte 40
cosa
ch'ancor mirabile mi pare.
Odi,
ché mai Natura con sua arte
forma
non diede a sì bella figura:
non
Citarea, allor ch'ell'amò Marte.
né
quando Adon le piacque, con sua cura 45
si
fé sì bella, quanto infra gran gente
donna
pareva lì leggiadra e pura.
Tutti
li soprastava veramente,
di
ricche pietre coronata e d'oro,
nell'aspetto
magnanima e possente. 50
Ardita
sopra un carro tra costoro
grande
e triunfal lieta sedea,
ornato
tutto di frondi d'alloro.
Mirando
questa gente in man tenea
una
spada tagliente, con la quale 55
che
'l mondo minacciasse mi parea.
Il
suo vestire a guisa imperiale
era,
e teneva nella man sinestra
un
pomo d'oro, e 'n trono alla reale,
vidi,
sedeva; e dalla sua man destra 60
due
cavalli eran che col petto forte
traeano
il carro fra la gente alpestra.
Ed
intra l'altre cose che iscorte
quivi
furon da me intorno a questa
sovrana
donna, nimica di morte 65
nel
magnanimo aspetto, fu ch'a sesta
un
cerchio si movea grande e ritondo,
da'
piè passando a lei sopra la testa.
Né
credo che sia cosa in tutto 'l mondo,
villa,
paese, dimestico o strano, 70
che
non paresse dentro da quel tondo.
Era
sopra costei, e non invano,
scritto
un verso che dicea leggendo:
«Io
son la Gloria del popol mondano».
Così
mirando questa e provedendo 75
ciò
che di sopra, dintorno e di sotto
le
dimorava e chi la gia seguendo
o
lei mirava, sanza parlar motto
per
lungo spazio inver di lei sospeso
tanto
stett'io, che d'altra cura rotto 80
nella
mente sentimmi: il viso steso
diedi
a mirar il popolo che andava
dietro
a costei, chi lieto e chi offeso,
sì
come nel mio credere estimava.
E
quivi più e più ne vidi, i quali 85
conobbi,
se 'l parer non m'ingannava;
onde
al disio di mirar crebbe l'ali.
CANTO
VII
Tra
gli altri che io vidi presso a questa
fu
Giano, ch'esser stato abitatore
dell'italici
regni facea festa.
Turbato
nell'aspetto e di furore
pien
seguiva Saturno, cui il figlio 5
mandò
mendico per esser signore.
Il
superbo Nembròt, che il gran fé impiglio
in
Senaàr per voler gire a Dio,
stordito
v'era sanza alcun consiglio.
Lunghesso
Fauno e Pico lor vid'io 10
seguire,
ed il gran Belo dopo loro,
mirando
ognun la donna con disio.
Elettra
ed Atalante con costoro
givano
insieme, e dopo lor seguire
Italo
vidi sanza alcun dimoro. 15
Robusto
si mostrava e pien d'ardire
Dardano
quivi con un freno in mano,
e
nell'atto parea volesse dire:
«Io
fui colui, nel mondo primerano,
il
qual col freno in Tessaglia domai 20
il
caval primo, in uso ancora strano,
mirabilmente,
e sì edificai
primo
quella città, che poscia Troia
chiamaro
i successor ch'io vi lasciai».
Appresso
il qual, mostrando in atto gioia, 25
seguia
Sicul, che l'isola del foco
prima
abitò in pace e sanza noia.
Troiolo
ancora in quel medesmo loco
coverto
d'oro tutto risplendea,
faccendosi
alla donna a poco a poco. 30
Rigido
e fiero quivi si vedea
Nino,
che prima il suo natural sito
per
battaglia maggior fé, che parea
ancor
che minacciasse insuperbito.
E
dopo lui seguiva la sua sposa 35
con
sembiante non men che 'l suo ardito:
così
rubesta e così furiosa
vi
si mostrava, come quando a lui
succedette
nel regno valorosa.
Tamiris
poi seguitava, nel cui 40
viso
superbia saria figurata,
con
gli occhi ardenti spaventando altrui.
Anfion
poi con labbia consolata
vi
conobb'io, al suon del cui liuto
fu
Tebe pria di muri circumdata. 45
Retro
a lui Niobè, il cui arguto
parlar
fu prima cagion del suo male
e
del danno de' figli ricevuto.
Poi
seguitava Danao, dal quale
l'antico
popol greco veramente 50
trasse
il suo principio originale.
A
cui di dietro quel Serse possente,
che
fé sopra Ellesponto il lungo ponte,
venia,
freno all'orgoglio della gente.
Riguardando
la donna, con la fronte 55
alzata
venia Ciro poco appresso,
di
cui l'opere furo altiere e conte.
Laumedon
sen veniva dopo esso,
con
molti successor dietro alle spalle,
de'
qua' giva Priamo oltre con esso. 60
Anchise
seguitava nel lor calle;
appresso
il qual colui venia correndo
che
le dee vide nella scura valle.
Nello
aspetto parea ch'ancor ridendo
andasse
di ciò ch'elli aveva fatto, 65
quando
di Grecia si partì fuggendo.
Dopo
costui Enea seguia con atto
pietoso
molto, e non molto distante
Giulio
Ascanio il seguitava ratto.
Oh
quanto ardito e fiero nel sembiante 70
quivi
parea Ettòr sopra un destriere
tra
tutti i suoi, di molto oro micante!
Bello
e gentil nell'aspetto a vedere
era,
con una lancia in mano andando
ver
quella donna lieto, al mio parere. 75
Risplendea
quivi ancora cavalcando
Alessandro,
che 'l mondo assalì tutto
con
forza lui a sé sotto recando;
il
qual con fretta voleva al postutto
toccare
il cerchio ove colei posava, 80
cui
questi disiavan per lor frutto.
E
'l re Filippo e Nettabòr, gli andava
ciascuno
appresso rimirando quello,
e
nello aspetto se ne gloriava.
Veniva
in su un caval corrente e snello 85
Dario
crucciato nello aspetto
e
con sembiante dispettoso e fello,
e
sanza aver di tale andar diletto.
CANTO
VIII
Mirando
avanti con ferma intenzione,
veder
mi parve quel re eccellente
che
fu sì savio, io dico Salamone.
Eravi
ancora Sanson, che possente
di
forza corporal più ch'altro mai 5
fu
che nascesse fra l'umana gente.
Nel
riguardar più innanzi affigurai
il
viso d'Ansalon, che più bellezza
ebbe
che altro nel mondo giammai.
Tra
questi pien d'orgoglio e di fierezza 10
seguendo
cavalcava Campaneo,
che
ne' suoi atti ancora Iddio sprezza.
Etiocle
era quivi con Tideo,
Adastro
re pensante e doloroso
del
perder che dintorno a Tebe feo. 15
Ancora
si mostrava il valoroso
Pollinice;
broccando il seguitava
el
re Ligurgo e Giansone animoso.
Di
rietro al quale Pelleo cavalcava,
con
quella lancia in man che prima morte 20
poi
medicina a sua ferita dava.
Veniva
appresso vigoroso e forte
Achille
col figliuol, che sì spietata
vendetta
fé quando l'antiche porte
non
serraron più Troia, che l'entrata 25
aveva
data al gran caval ripieno
della
nimica gente tutta armata.
Questo
crudel sanza mezzo seguieno
Diomede
ed Ulisse, e ad agguati
andare
ancor pensando mi parieno. 30
Vigoroso
di dietro a loro armati
Patrocolo
veniva ed Antenore,
ciascun
con gli occhi ver la donna alzati.
Ercule
v'era, il cui sommo valore
lungo
saria a voler recitare, 35
per
ch'ebbe già d'assai battaglie onore.
Anteo
dopo lui vi vidi stare,
ch'ancor
parea che 'n atto si dolesse
di
ciò che già li fé Ercule provare.
Veniva
poi Minòs, come se stesse 40
ancor
davanti Atene tutto armato,
né
d'Androgeo parea più li dolesse.
Oh
quanto d'ira pareva infiammato,
d'ira
e di mal talento Menelao
seguendo
Agamenòn dal destro lato! 45
Il
qual seguiva poi Protesselao,
bello
e grazioso nello aspetto;
e
dopo lui cavalcava Anfirao,
che'
suoi lasciò ad oste nel conspetto
di
Tebe, ruvinando a' dolorosi 50
c'hanno
perduto il ben dello 'ntelletto.
Venian
dopo costui, molto animosi,
insieme
con Teseo Demofonte,
di
toccar quella donna disiosi.
I
qua' seguia con dolorosa fronte 55
Egeo,
che per veder le vele nere
si
gittò in mar dell'alta torre sponte.
Turno
pareva quivi che di vere
lagrime
avesse tutto molle il viso,
dogliendose
del troian forestiere. 60
Eurialo
ancora v'era e Niso,
mostrandosi
piagati come foro
ciascun
di lor, l'un per l'altro conquiso.
Non
molto spazio poi dietro a costoro
Latino
sen veniva a piccol passo, 65
Pallante
e Creso poi, e dopo loro
Giarba
veniva nello aspetto lasso,
andandosi
di Dido ancor dolendo
perché
ad altro om di lui fece trapasso.
Helena
dopo lui portava ardendo 70
di
foco un gran tizzone, e pur costei
miravan
molti se stessi offendendo.
Oreste
niquitoso dopo lei
con
un coltello in man seguiva fello,
nell'atto
minacciando ancor colei 75
del
corpo a cui uscì; e poi dop'ello
venia
broccando la Pantasilea,
lieta
nel viso grazioso e bello.
Oh
quanto ardita e fiera mi parea,
armata
tutta, con un arco in mano, 80
con
più compagne ch'ella seco avea!
Non
era lì alcun che del sovrano
ed
altier portamento maraviglia
non
si facesse, tenendolo strano.
Non
molto dopo lei venia la figlia 85
del
re Latino lieta, e dopo Iole;
poi
Deianira con bassate ciglia
ancora
quivi d'Ercule si dole.
CANTO
IX
Moveasi
dopo queste quella Dido
cartaginese,
che credendo avere
in
braccio Giulio vi tenne Cupido.
Isconsolata
giva, al mio parere,
chiamando
in boci ancora: «Pio Enea, 5
di
me, ti priego, deggiati dolere».
Ancora,
com'io vidi, in man tenea
tutta
smarrita quella spada aguta
che
'l petto le passò, che mi facea,
essendole
lontan, nella veduta 10
ancor
paura, non ch'a lei ch'ardita
fu
dar di quella a sé mortal feruta.
Trista
piangendo, in abito smarrita
e
come can nella voce latrare,
Ecuba
vidi con poca di vita. 15
Con
lei la mesta Pulisena stare
quivi
parea, in aspetto ancor sì bella
che
me ne fé in me maravigliare.
Hoeta
poi seguitava dop'ella,
piangendo
a' Greci aver piaciuto mai, 20
quand'elli
andar per le dorate vella.
Vedevasi
colei che sentì guai
Ercule
partorendo, e dopo lei
Isifile
dolente affigurai.
In
abito crucciato con costei 25
seguia
Medea crudele e dispietata;
con
voce ancor parea dicere: «Omei,
se
io più savia alquanto fossi stata
né
sì avessi tosto preso amore,
forse
ancor non sarei suta ingannata». 30
Eravi
ancor Camilla che 'l dolore
della
morte sentì, per Turno fiera,
mostrando
ne' sembianti il suo vigore.
Non
molto dopo lei ancora v'era,
col
capo basso ed umil nel sembiante, 35
Ilia
vestale vestita di nera,
portando
in ciascun braccio un piccol fante,
Romolo
e Remolo amendue nomati,
traendo
lor quanto potea avante.
Ratto
tra gli altri di sopra contati 40
si
facea Foroneo, che prima diede
legge
civile, acciò che ordinati
e
suoi vivesser, sì come si crede;
e
dopo lui venia Numa Pompilio
che
lieta ne fé Roma, com si vede. 45
Dop'esso
cavalcava Tulio Ostilio
ed
Anco Marco ed il Prisco Tarquino,
e
dopo lui seguia Tulio Servilio.
Ivi
Tarquin Superbo e Collatino
pareano,
e 'l re Porsenna che andando 50
ferocemente
seguia lor camino.
Seguivali
Cornelio ancor mostrando
l'inarsicciata
man ch'uccise altrui,
che
'l core non volea, nescio fallando.
Il
valoroso Bruto, per lo cui 55
ardir
fu Roma da giogo reale
diliberata,
seguiva; e con lui
Orazio
Cocle v'era, per lo quale,
tagliato
il ponte a lui dietro alle spalle,
libera
Roma fu dal truscian male. 60
Dietro
veniva quel Curzio ch'a valle
armato
si gittò per la fessura,
in
forse di sua vita o di suo calle,
intendendo
a voler render sicura
piuttosto
Roma e i suoi abitatori, 65
che
di se stesso aver debita cura.
Seguia
Fabrizio che gli eccelsi onori
più
disiò che posseder ricchezza,
avendo
que' per più cari e maggiori.
Eravi
quel Metel ch'alla fierezza 70
di
Giulio Tarpea tanto difese,
mostrando
non curar la sua grandezza.
Riguardando
oltre mi si fé palese
Curio,
che diede per consiglio
ch'al
presto sempre lo 'ndugiare offese. 75
Vedevavisi
Mario che lo 'mpiglio
con
Lucio Silla fé nella cittate,
mettendo
a' colpi il padre contro al figlio.
Iuba
ed Amilcare e Mitridate,
Manastabil
e Codro v'era ancora, 80
e
poi Giugurta voto di pietate.
Rigido
nello aspetto vi dimora
Catellina,
e pensando par che vada
allo
essilio, che 'n vista ancor l'accora.
Evvi
Cloelia appresso, che la strada 85
fece
a' Roman quand'ella si fuggio
per
lo Tevero in parte u' non si guada,
lo
cui tornar Roma rinvigorio.
CANTO
X
Ahi
quivi fiero ed orgoglioso quanto
vi
vid'io Annibal sopra un destriere,
ch'alli
Roman levò riposo tanto!
Rubesto
lì parea ancor tenere
Cartagine
sub sé, col viso alzato 5
inver
la donna andando a suo potere.
Asdrubal
gli era dal sinistro lato
con
non men di fierezza nello aspetto,
con
una lancia cavalcando armato.
Coriolan,
che lo 'nfiammato petto 10
ebbe
contra' Romani, e giustamente,
quando
leal cacciar lui per sospetto,
come
vedendo quella umilemente,
che
'l generò, piegando la sua ira
a'
preghi suoi, era quivi presente. 15
Oltre
con gli altri andava ver la mira
bellezza
della donna; dopo il quale,
come
colui che tristo ancor sospira,
Massinissa
seguiva, del suo male,
a
freno abandonato cavalcando, 20
se
stesso avendo poco a capitale.
Allegro
Cincinnato seguitando
l'andava,
e Persio poi, come potea,
giocondo
sé nel sembiante mostrando.
Nobile
nello aspetto si vedea 25
possente
oltre venir intra costoro
Cesare,
che in vista ancor ridea
d'avere
a forza avuto da coloro
nome
d'impero, che real dignitate
per
istatuto avean cassa fra loro. 30
Ornato
di bell'arme e coronate
le
tempie avea di quelle fronde care,
che
fur da Febo già cotanto amate.
Mirabilmente
bell'a campeggiare
in
uno scudo lo divino uccello 35
nero
nell'or li vidi, ciò mi pare;
ancora
in una lancia un pennoncello
che
'n man portava vidi, e simigliante
vi
vidi quella ventilarsi in quello.
Di
quanti a lui ve n'andasser davante 40
nullo
ne fu che tanto mi piacesse
né
tanto valoroso nel sembiante.
Appresso
poi parea che li corresse
volonteroso
e sì forte Ottaviano,
che
dentro al cerchio già parea ch'avesse 45
messa
più che nessun la destra mano:
bello
era e nello aspetto grazioso
quanto
alcun altro fosse mai mondano.
A
lui seguiva poi molto pensoso,
palido
nello aspetto, il gran Pompeo, 50
tal
che di lui mi fé tornar pietoso,
mirando
dietro a sé a Tolomeo
che
il seguiva, cui fé re d'Egitto,
che
poi uccider là vilmente il feo.
A
loro Marco Antonio quiviritto 55
seguiva
e Cleopatra ancor con esso,
che,
in Cicilia, fuggì sanza rispitto,
ridottando
Ottavian, perché commesso
le
parea forse aver sì fatta offesa,
che
non sperava mai perdon da esso. 60
Ivi
non potend'ella far difesa
al
fuoco che l'ardeva forse il core
di
libidine e d'ira, ond'era accesa,
a
fuggir quello oltraggioso furore
con
due serpenti in una sepoltura 65
sofferse
sostener mortal dolore;
ed
ancor quivi nella sua figura
palida,
si vedeano i due serpenti
alle
sue zizze dar crudel morsura.
Prima
che questi, credo più di venti, 70
era
'l primo Africano Scipione,
ch'a
Roma fé con sua forza ubbidenti
ritornar
già, con degna punizione,
que'
di Cartago che insuperbiti
eran
per Annibal lor campione. 75
Ivi
Cornelia in sembianti smarriti
seguia
dietro a color, cui dissi suso
ch'avanti
a Scipion non erano iti.
E
poi che dopo ad essa, gli occhi in giuso,
Traian
vidi venir e dopo lui 80
Marzia
col viso di lagrime infuso,
Giulia
veniva poi dietro; con cui,
in
atti riposati e mansueta,
quasi
alle spalle a Cesare, di cui
honesta
sposa fu, Calpurnia lieta 85
venia,
sanza parer che disiasse
altro
veder che lui, e in lui quieta
ogni
altra voglia che la stimolasse.
CANTO
XI
Venian
dopo costor gente gioconda
ne'
loro aspetti, tutti cavalieri
chiamati
della Tavola ritonda.
Il
re Artù quivi era de' primieri,
a
tutti armato avanti cavalcando 5
ardito
e fiero sopra un gran destrieri.
Seguialo
appresso Bordo spronando
e
con lui Prezivalle e Galeotto
a
picciol passo insieme ragionando.
E
dietro ad essi venia Lancillotto, 10
armato
e nello aspetto grazioso,
con
una lancia in man, sanza far motto,
ferendo
spesso il caval poderoso
per
appressarsi alla donna piacente,
di
cui toccar pareva disioso. 15
Oh
quanto adorna quivi ed eccellente
allato
a lui Ginevra seguitava,
in
su un palafreno orrevolmente!
Stella
mattutina somigliava
la
luce del suo viso, ove biltate 20
quanto
fu mai tututta si mostrava.
Sorridendo
negli atti, di pietate
piena
e parlando a consiglio segreto
con
tacite parole ed ordinate,
era
con que' che già ne visse lieto 25
lunga
fiata, lei sanza misura
amando,
ben che poi n'avesse fleto.
Non
molto dietro ad esso con gran cura
seguiva
Galeotto, il cui valore
più
ch'altro de' compagni si figura. 30
E
lui seguiva Chedino ed Astore
di
Mare insieme con messer Ivano,
disiosi
ciascuno di più onore.
L'Amoroldo
d'Irlanda ed Agravano,
Palamidès
seguiva e Lionello, 35
e
Polinoro con messer Calvano.
Mordretto
appresso e con lui Dodinello,
e
'l buon Tristan seguiva poi appresso
sopra
un cavallo poderoso e isnello.
Isotta
bionda allato allato ad esso 40
venia,
la man di lui con la sua presa
e
rimirandol nella faccia spesso.
Oh
quanto ella parea nel viso offesa
dalla
forza d'amor, di che parea
ch'avesse
l'alma dentro tutta accesa, 45
di
che negli atti fuor tutta lucea!
«Tu
se' colui cui io sola disio»,
timida
nello aspetto li dicea;
«in
qua ti priego ch'alquanto, amor mio,
tu
ti rivolghi, acciò ch'io vegga il viso 50
per
cui vedere in tal camin m'invio».
Retro
a costor sopra un cavallo assiso
rubesto
e fiero Brunoro venia,
ed
altri molti, i qua' qui non diviso,
eran
con lui; ma io, la vista mia 55
dopo
la lunga schiera discendendo,
conobbi
più mirabil baronia.
Di
porpore vestito, oltre correndo,
quel
Carlo Magno sen veniva avante
ch'al
mondo fu cotanto reverendo, 60
in
su un forte e gran destrier ferrante,
ancora
de' triunfi coronato
ch'egli
acquistò sopra le terre sante,
fiero
ed ardito e tutto quanto armato,
co'
gigli d'oro nel campo cilestro 65
e
'l nero uccel davanti nel dorato.
Eravi
Orlando dal lato sinestro
con
una spada in man fiero ed ardito,
ed
Ulivier lo seguiva dal destro.
Cavalcando
tra questi oltre pulito, 70
da
Montalban Rinaldo giva avanti
intra
due suoi fratelli reverito.
Tra
loro era Dusnamo con sembianti
lieti,
e molti altri ancor v'eran li quali
io
non pote' conoscer tutti quanti. 75
Oltre
venia, che parea ch'avesse ali,
il
duca Gottifré dopo costoro
per
volere esser pur de' principali.
Appresso
lui seguiva con coloro
umilemente
Ruberto Guiscardo, 80
che
fu signor già in Terra di Lavoro.
Lui
seguitava frontiero e gagliardo
Federigo
secondo; e 'l Barbarossa
sopr'un
forte roncion di pel leardo,
cavalleroso
e di persona grossa, 85
dritto
sovra le strieve in atto altiero,
nel
sembiante avitendo ogni altra possa,
via
se ne giva per esser primiero.
CANTO
XII
Non
sanza molta ammirazion mirando
m'andava
riguardando quella gente,
fra
me di lor pensier nuovi recando.
Parevami,
nel creder, veramente
che
loro eccelsa fama gloriosi 5
far
li dovesse sempiternamente.
E
fra gli altri che molto disiosi
negli
atti si mostravan di venire
a
quella donna per esser famosi,
robustamente
in aspetto seguire, 10
armato
tutto sopra un gran destriere,
vid'io
quivi un grandissimo sire ,
vestito
di cilestro, al mio parere,
lucente
tutto di be' gigli d'oro
ch'ogni
altra luce facean trasparere. 15
Ognun,
qualunque fosse di coloro
che
gian davanti, rimirava lui,
sì
fiero andava fuggendo dimoro.
Se
ben ricordo, e' mi parve costui
quel
Carlo ardito ch'ebbe il maschio naso 20
insieme
con virtù molta, da cui
tutto
il pugliese regno fu invaso
e
conquistato, e fanne coronato;
del
qual signore il suo seme è rimaso.
Rimirandosi
innanzi quasi irato, 25
con
una spada che in man tenea
da
ogni parte si facea far lato.
Appresso
a lui, al mio parer, vedea
il
Saladin risplender tutto quanto
entro
ad un drappo ad or che 'ndosso avea. 30
Costui
seguiva dal sinistro canto
tututto
armato Ruggier di Loria,
che
in arme ebbe già valor cotanto.
Ontoso
tutto appresso li venia
il
re Manfredi e con dolente aspetto, 35
e
con lui Curradino in compagnia.
Rietro
a costoro assai che io non metto
qui
ne seguien, però che troppo avrei
a
fare a dirti tutti ed il mio detto
tireria
lungo più ch'io non vorrei, 40
posto
ch'alla man manca ed alla dritta,
ch'io
non ne conto, più ne conoscei.
E
la mia mente dal disio trafitta
di
vedere oltre pur mi stimolava,
per
che la vista non teneva fitta. 45
Similemente
quella con cui andava,
con
le parole sue faccendo fretta,
sovente
all'altre cose mi chiamava.
Il
dir ch'io le faceva: – Un poco aspetta –
non
mi valeva, per ch'io mi voltai 50
verso
la terza faccia a man diretta.
Aveavi
certo da mirare assai
più
ch'io dir non potrò, tal che 'n me stesso
assai
fiate men maravigliai.
Con
gli occhi alzati mi feci più presso 55
al
detto luogo, acciò ch'io conoscessi
chi
e che cose vi stessero in esso.
Oro
ed argento, un gran monte, e con essi
zaffiri
ed ismeraldi con rubini
ed
altre pietre assai credo vedessi. 60
Riguardando
più basso, con uncini,
chi
con picconi e chi avea martello
e
chi con pale e chi con gran bacini,
ronconi
alcuni ed altri intorno ad ello
con
l'unghie e chi coi dente, uno infinito 65
popol
vi vidi per pigliar di quello.
E
ciaschedun parea pronto ed ardito,
non
onorando il piccolo il maggiore,
a
suo poter fornia suo appetito.
Gente
v'avea di molto gran valore 70
in
vista, avvegna che la lor viltate
pur
si scopria, veggendo con romore
gli
altri, che quivi per cupiditate
givan,
cacciarli con duoli e con morte
per
prendern'essi maggior quantitate, 75
iniqua
tirannia rubesta e forte
usando,
chi con fatti e chi con detti,
prendendo
più che la dovuta sorte.
Alcun
v'avea che i loro mantelletti
se
n'avean pieni, e per volerne ancora 80
abbandonavan
tutti altri diletti.
Tra
quella gente che quivi dimora
conobb'io
molti, e vidivene alcuno
ch'aver
preso di quello ora ne plora
e
forse ne vorrebbe esser digiuno; 85
ma,
cosa fatta, penter non vi vale,
né
puolla adietro ritornar nessuno:
adunque
ogni uom si guardi di far male.
CANTO
XIII
Mirand'io
quella turba sì gulosa
di
quel per che s'affanna la più gente,
per
esserne nel mondo copiosa,
entrato
infra 'l tesoro più fervente
vi
vid'io Mida, in vista che sazia 5
saria
di tutto appena possedente,
non
bastandoli avere avuta grazia
dall'iddii
che ciò che e' toccasse
ritornasse
oro ver sanza fallazia.
Di
rietro a lui parea che ne tirasse 10
giù
Marco Crasso assai, avvegnadio
che
della bocca ancor li traboccasse.
Allato
a lui con isciolto disio
quell'Attila,
che 'n terra fu flagello
s'affaticava
forte, al parer mio, 15
nelle
sue man tenendo uno scarpello
con
un martel, fierendo sopra 'l monte,
gran
pezzi e grossi levando di quello.
Dall'altra
parte con superba fronte
era
Epasto, con un piccone in mano 20
con
punte agute bene ad entrar pronte.
Ognor
che su vi dava non invano
tirava
il colpo a sé, ma gran cantoni
giù
ne faceva ruvinare al piano,
impiendo
di quel sé e' suoi predoni 25
ed
ogni sciolta voglia adoperando,
dannando
le giustizie e le ragioni.
Là
vi vid'io ancora furiando
Nerone
imperadore, ed avea tesa
sopra
'l monte una rete e già tirando 30
molta
gran quantità n'aveva presa
di
quel tesoro, e qual gittava via
e
qual mettea in disordinata spesa.
Ivi
di dietro un poco a lui seguia
con
una scure in man Polinestore, 35
e
quanto più potea quivi feria,
ora
col colpo faccendo romore,
ora
mettendo biette alla fessura
quando
la scure sua tirava fore,
forse
temendo che non l'apritura 40
si
richiudesse; e molto ne levava
continovando
pur con la sua cura.
Appresso
lui tutto 'l monte graffiava
Pignaleon
con uno uncino aguto,
e
molto giuso a sé ne ritirava. 45
L'acerbo
Dionisio conosciuto
v'ebbi
mirando fra la gente folta,
ch'a
tor dell'oro non voleva aiuto.
Là
si ficcava tra la turba molta
con
un roncone in man tagliando, e presto 50
di
quello a piè si faceva raccolta,
impiendo
con affanno il suo molesto
voler,
cacciando misura e piatate
in
modo sconcio assai e disonesto.
Rubesto
appresso la sua crudeltate 55
Fallarìs
dimostrava, ricidendo
con
una accetta una gran quantitate
e
via di quindi di quel trasferendo;
poi,
arrotata la 'ngrossata accetta,
ancora
quivi tornava correndo. 60
Con
furiosa e minaccevol fretta
quivi
si vedea Pirro accompagnato
con
mal disposta e dispiacevol setta.
A
molti lì per forza avean levato
a
cui cesta di collo, a cui di seno 65
avean
rubato l'or ch'avean cavato.
Ridendo
poi fra lor se ne facieno
beffe
ed istrazio di que' cattivelli,
ch'a
cavar quel fatica avuta avieno.
Ancora
vid'io star presso di quelli 70
il
dispietato ed iniquo Tereo,
di
quel tesoro prender nel quale elli
fatica
non durò mai come feo
quelli
a cui toglieva; e dopo lui
pien
d'oro dimorava Tolomeo. 75
Ivi
era Fisistrato, per la cui
cura
più scrigni ripieni e calcati
quivi
ne vidi tirati da lui.
Avea
in un lembo de' panni piegati
Siragusan
Geronimo tesoro: 80
egli
e molti altri ne gian caricati.
Ma
di Novara Azzolin con costoro
con
molto se ne giva, per tornare
con
maggior forza a sì fatto lavoro.
Molti
altri ancora vi vidi cavare 85
ed
isforzarsi per volerne avere,
ma
niente era il loro adoperare,
anzi
oziosi stavano a vedere.
CANTO
XIV
Più
altra gente ancor v'avea, fra' quali
gran
quantità di nuovi Farisei
ad
aver del tesoro battean l'ali,
e
sconfortando gli altri e come rei
erano
a posseder nel lor parlare 5
mostrando;
e s'io nel rimirar potei
riguardar
vero il loro adoperare,
per
possederne maggior quantitate
li
vi vedeva forte affaticare.
Correndo
sen portavan caricate 10
le
some, e con iscrigni e piene ceste
si
ritornavan quivi molte fiate.
Ver
è che ben ch'avesser lunghe veste
non
gli ingombrava però, ma parea
che
più che gli altri avesser le man preste. 15
Infra
lor riguardando, assai v'avea
di
quelli cui altra volta avea veduti
e
ch'io per nome ben riconoscea.
Li
quali, però che son conosciuti,
non
bisogna ch'io nomi, ben che pari 20
potrebbono
esser tututti tenuti.
Con
questi avanti, al mio parer non guari,
quasi
tra quei ch'erano più eccellenti
e
che parean de' su detti vicari,
ornato
di be' drappi e rilucenti 25
il
nipote vid'io di quel Nasuto,
che
gloriarsi va co' precedenti,
recarsi
in mano un forte biccicuto,
dando
ta' colpi sopra 'l monte d'oro,
che
di ciascun saria un mur caduto; 30
e
d'esso assai levava, e quel tesoro
in
parte oscura tutto si serbava,
e
quasi più n'avea ch'altro di loro.
Oltre
grattando il monte dimorava
con
aguta unghia un, ch'al mio parere 35
in
molte volte poco ne levava.
Con
questo tanto forte quel tenere
in
borsa li vedea, ch'a pena esso,
non
ch'altro alcun, ne potea bene avere.
Al
qual faccendom'io un poco appresso 40
per
conoscer chi fosse apertamente,
vidi
che era colui che me stesso
libero
e lieto avea benignamente
nudrito
come figlio, ed io chiamato
aveva
lui e chiamo mio parente. 45
Davanti
e poi e d'uno e d'altro lato
tanti
su per lo monte e giù scendieno
a
prender del tesoro disiato:
ogni
lingua verrebbe a dirlo meno,
però
qui m'aggia lo lettore alquanto 50
scusato
s'io non gli ritraggo a pieno.
Quand'io
ebbi costor mirati tanto
ch'a
me stesso increscea, io mi voltai,
com'altri
volle, verso il destro canto.
Ver
è che disiato avrei assai 55
d'essere
stato della loro schiera,
se
con onor potesse esser giammai.
E
s'io vi fossi stato, come v'era
alcun
ch'io vi conobbi, io avrei fatto
sì
che veduta fora la mia cera 60
credo
più volentier da tal che matto
or
mi riputa, però che i' ho poco,
e
più caro m'avrebbe in ciascun atto.
Hai
lasso, quanto nelli orecchi fioco
risuona
altrui il senno del mendico! 65
né
par che luce o caldo abbia 'l suo foco,
e
'l più caro parente gli è nimico;
ciascun
lo schifa, e se non ha moneta
alcun
non è che 'l voglia per amico.
Unque
s'ogni uomo pur di quello asseta, 70
mirabile
non è, poiché virtute
sanza
danari nel mondo si vieta;
il
cui valor se fosse alla salute
di
quel pensato che uom pensar dee,
non
le ricchezze sarian sì volute. 75
Ma
io mi credo che parole ebree
parrebbono
a ciascun chiaro intelletto
il
dir che le ricchezze fosser ree,
avvegna
che in me questo difetto
piuttosto
che in altro caderia, 80
tanto
disio d'averne con effetto.
Né
da tal disiderio mi trarria
alcun,
tanto il pregar mi par noioso
che
di danar sovvenuto mi sia.
Dopo
molto pensar, disideroso 85
di
veder tutto, dirizzai il viso:
e
vidi figurato poderoso
Amor,
sì come qui sotto diviso.
CANTO
XV
Quella
parte dov'io or mi voltai
con
gli occhi riguardando e con la mente,
di
storie piena la vidi e d'assai.
Volendo
adunque d'esse pienamente,
almen
delle notabili, parlare, 5
rallungar
sì convien l'opra presente.
E
però dico che, nel riguardare
ch'io
feci, a guisa d'un giovane prato
tutta
la parte vidi verdeggiare,
similemente
fiorito e adornato 10
d'alberi
molti e di nuove maniere,
e
l'esservi parea gioioso e grato.
Tra'
quali, in mezzo d'esso, al mio parere,
un
gran signor di mirabile aspetto
vid'io
sopra due aquile sedere; 15
al
qual mentre io mirava con effetto,
sopra
due lioncelli i piè tenea
ch'avean
del verde prato fatto letto.
Una
bella corona in capo avea
e
li biondi cape' sparti sott'essa, 20
che
un fil d'oro ciaschedun parea.
Il
viso suo come neve mo' messa
parea,
nel qual mescolata rossezza
aveva
convenevolmente ad essa.
Sanza
comparazion la sua bellezza 25
era,
ed aveva due grandi ali d'oro
alle
sue spalle, stese inver l'altezza.
In
man tenea una saetta d'oro
ed
un'altra di piombo, alla reale
vestito,
al mio parer, d'un drappo ad oro. 30
Orrevolmente
là il vedea cotale,
tenendo
un arco nella man sinestra,
la
cui virtù sentir già molti male.
Né
però era sua sembianza alpestra
ma
giovinetta e di mezzana etate, 35
dimestica
e piatosa e non silvestra.
E
'ntorno avea sanza fine adunate
genti,
le qua' parea che ciascheduno
mirasse
pure a sua benignitate.
Gai
e giocondi ve ne vidi alcuno, 40
tristi
e dolenti sospirando gire
altri
vi vidi, in isperanza ognuno.
Io
che mirava il grazioso sire,
immaginando
molto il suo valore
per
molti ch' io vidi a lui servire, 45
ornata
come lui, con grande onore
li
vidi allato una donna gentile,
la
qual pareva sì com'elli Amore,
vaga
nelli occhi, piatosa ed umile;
ver
è ch'era d'alloro coronata, 50
ed
in tanto era ad Amor dissimile.
Angiola
mi pareva nel ciel nata,
e
in me più volte pensai ch'ella fosse
quella
che in Cipri già fu adorata.
Non
so quel che il cor mi si percosse 55
mirando
lei, se non che l'alma mia
pavida
dentro tutta si riscosse,
né
sanza a lei pensar fu poi né fia:
sì
eccellente e tanto graziosa
quivi
allato ad Amor vidi lucia. 60
In
fronte a lei, più ch'a altra valorosa,
due
belli occhi lucean sì che fiammetta
parea
ciascuno d'amor luminosa;
e
la sua bocca bella e piccioletta
vermiglia
rosa e fresca simigliava, 65
e
parea si movesse sanza fretta.
Dintorno
a sé tutto il prato allegrava,
come
se stata fosse primavera,
col
raggio chiar che 'l suo bel viso dava.
Io
non credo ch'al mondo mai pantera 70
col
suo odor già anima' tirasse,
faccendoli
venir dovunque s'era
blandi
e quieti, ch'a lei simigliasse;
e
sì parean mirabili i suoi atti,
ch'Amor
pareva lì s'innamorasse. 75
Oh
come nello aspetto, in detti e 'n fatti,
savia
parea, con alto intendimento,
pensando
a' suo' sembianti ed a' suoi tratti!
Contemplando
ad Amore il suo talento
parea
fermasse en la sua chiara luce: 80
com'aquila
a' figliuo' nel nascimento
con
amor mostra ond'ella li produce
a
seguir sua natura, così questa
credo
che faccia a chi la si fa duce.
A
rimirar contento questa onesta 85
donna
mi stava, che in atti dicesse
parea
parole assai piene di festa,
come
lo 'mmaginar par che intendesse.
CANTO
XVI
Costei
pareva dir negli atti soi:
«Io
son discesa della somma altezza
e
son venuta per mostrarmi a voi.
Il
viso mio, chi vuol somma bellezza
veder,
riguardi, là dove si vede 5
accompagnata
lei e gentilezza.
Ò
pietà per sorella e di merzede
fontana
sono: Iddio mi v'ha mandata
per
darvi parte del ben che possiede.
Donna
più ch'altra sono innamorata 10
e
ma' isdegno in me non ebbe loco,
però
Amor m'ha cotanto onorata.
Ancor
risplende in me tanto il suo foco,
che
molti credon talor ch'io sia ello,
avvegna
che da lui a me sia poco. 15
Cortese
e lieta son di lui vasello,
né
mai mi parran duri i suoi martiri
pensando
al dolce fin che vien da quello.
E
bene è cieco quei che' suoi disiri
si
crede sanza affanno aver compiuti 20
e
sanza copia di dolci sospiri.
Riceva
in pace dunque i dardi aguti,
ch'alcun
piacer di belli occhi saetta
que'
che attendon d'esser proveduti.
Tal,
qual vedete, giovane angioletta 25
qui
accompagno Amor che mi disia:
poi
tornerò al cielo a chi m'aspetta».
Ancor
più intesi, ma la fantasia
nol
mi ridice, sì gran parte presi
di
gioia dentro nella mente mia 30
lei
rimirando e' suoi atti cortesi,
il
chiaro aspetto e la mira biltate,
della
qual mai a pien dir non porriesi.
Dallato
Amor con tanta volontate
vidi
mirarla, che nel bello aspetto 35
tutto
si dipingeva di pietate.
Ognora
a sé con la sua mano il petto
tastando,
quasi non si avesse offeso
perché
a guardarla avea tanto diletto.
Io
stetti molto a lei mirar sospeso 40
per
guardar s'io l'udissi nominare
o
i' 'l vedessi scritto brieve o steso.
Lì
nol vidi né 'l seppi immaginare,
avvegna
che, com'io dirò appresso,
in
altra parte poi la vidi stare 45
dond'io
il seppi, e lì il dico espresso:
però
chi quello ha voglia di sapere
fantasiando
giù cerchi per esso.
Omè,
che lei mirando il mio volere
non
avrei sazio mai! ma stretta cura 50
di
mirare altro mi mise in calere.
Levando
adunque gli occhi inver l'altura
vidi
quel Giove che 'n forma di toro
non
già rubesto mutò sua figura,
che
quivi avendo per umil dimoro 55
Europa
sottratta a cavalcarsi,
per
me' compier l'avvisato lavoro,
e'
parea quindi correndo levarsi
e
gir su per lo mar, come cacciato
fosse,
e poi pianamente posarsi 60
in
quel paese che poi fu nomato
da
quella che da dosso si dispose,
ripigliando
sua forma innamorato.
Nel
loco poi con parole pietose
pareva
a me che la riconfortasse 65
narrando
ancor le sue piaghe amorose;
ma
con disio parea poi l'abracciasse,
e
con diletto l'avuto disio
sanza
contasto parea terminasse.
Alquanto
appresso ancora questo iddio 70
com'una
gotta d'oro risplendente
trasformato
e cadendo, lui vid'io
gittarsi
in una torre prestamente
ad
una giovinetta ch'entro v'era,
per
ben guardarla, chiusa strettamente; 75
il
qual forse l'amava oltra maniera
dovuta,
ed infra le bianche tette
e
belle in piova gir lasciato s'era.
Né
dello inganno già saper cevette
quella,
ma lui ritenne nascoso 80
e
guadagnato forse aver credette.
Alla
vera statura luminoso
quivi
vedeasi tornato e costei
abracciando
e basciando, disioso
riguardando
essa, né giammai da lei 85
partir
sanza il disiato giugnimento;
di
che parea ch'ella dicesse: «Omei,
ch'io
son gabbata dal tuo argomento».
CANTO
XVII
Hai!
come bella seguiva una storia
della
figliuola d'Inaco, mi pare,
se
ben mi rappresenta la memoria.
Era
lì Giove, e vedendo tornare
sola
dal padre quella giovinetta, 5
il
suo disio le vedeva narrare.
Lungo
un boschetto con essa soletta,
sotto
piacevoli ombre con costei
star
lo vedea sopra la verde erbetta.
Ma
così dimorandosi con lei, 10
Giuno
vi sopravenne furiosa
temendo
dello inganno fatto a lei.
Intanto
la persona graziosa
Giove
di quella in una vacca bella
mutò,
e lei donò alla sua sposa. 15
Or
poi che Giuno aveali presa quella,
per
tema forse di simile offesa,
Argo
pien d'occhi guardian fece d'ella.
Colui
appresso, che l'aveva presa
a
guardia, in atto un pastor chiamava, 20
ch'una
sampogna sonar gli avea intesa.
Hatlanciade,
quel pastor, v'andava,
sotto
alberi sonando dolcemente
con
colui quivi riposando stava.
Onde
sonando, vedea chetamente 25
con
tutti e cento gli occhi ch'Argo avea
addormentarsi
e non sentir niente.
Rigido
poi l'altro pastor vedea
trarsi
di sotto un ritorto coltello,
col
qual colui prestamente uccidea. 30
Fu
lì da Giuno mutato in suo uccello
la
quale irata poi parea seguire
la
vacca per cui era morto quello.
A
lei davanti vedeasi fuggire
e
già tenea il Nil, quando lo dio 35
Giuno
rattemperò e le sue ire.
Così
tornò ogni bellezza ad Io,
ch'ell'ebbe
mai, e lasciò la pigliata
forma
bestial che Giove le diè pio.
E
poi la vidi lì deificata, 40
e
dalla gente lì divota assai
con
molti incensi la vidi onorata.
Dopo
essa alquanto avanti riguardai
e
'l detto iddio in forma feminile
in
un fronzuto bosco affigurai; 45
e
riguardando lui, che nel gentile
aspetto
e bello Diana mi pareva,
negli
atti suoi mansueto ed umile,
là
affannato forse si sedeva
ed
un forte arco con molte saette 50
dal
suo sinistro lato posto aveva.
Lui
mirando una delle giovinette
che
per lo bosco con Diana gia,
che
questi dessa fosse si credette;
a
lui venendo in atto onesta e pia 55
per
lei basciar, ché forse consueto
era,
sicura prese la sua via.
Ver
lei si fece Giove, e tutto lieto
prendendola
la trasse seco appresso
entro
in un luogo del bosco segreto; 60
ove
basciando lei, essa con esso
si
stava cheta, che semplice e pura
aveva
rotto il boto già commesso.
Sola
lì mi parea che con paura
gravida
rimanesse di colui 65
che
la 'ngannò sotto l'altrui figura.
Tacquesi
un tempo la donna nel cui
ventre
piacevol peso era nascoso,
ma
pur convenne poi paresse altrui,
ricevend'ella
allora dal grazioso 70
coro
di Diana l'esserne divisa:
di
che poi Giove, essendone piatoso,
a
lei diè forma d'Orsa e fella assisa
essere
intorno al pol piena di stelle,
per
guiderdon della colpa commisa. 75
Bianco,
al mio parer, di dietro a quelle
istorie
il vidi in cigno figurato,
con
bianche penne rilucenti e belle.
In
dentro andando se l'avea pigliato
nelle
sue braccia disiosa Leda, 80
e
'n camera di lei l'avea portato.
Là
come tosto la infinta preda
si
vide inchiuso, lieto ritornossi
nella
sua vera e consueta sceda.
Tutta
negli atti Leda marvigliossi, 85
ma
concedendo sé alla sua voglia,
quivi
mostrava come racchetossi
acciò
che luogo avesse en l'alta soglia.
CANTO
XVIII
Dopo
costei si vedea seguitare
come
di Semelè già gli arse il core,
e
come l'ebbe ancora vi si pare.
Ornata
come vecchia e di dolore
piena
era quivi Giuno, invidiosa 5
perché
Giove portava a quella amore;
nascosa
in forma tale, la graziosa
giovine
domandava s'ella fosse
ben
dell'amor di Giove copiosa.
Nel
viso a riso a quel parlar si mosse 10
non
conoscendo lei, e le rispose:
«Altro
che me non disian sue posse».
Allor
si turbò Giuno, ma l'ascose
con
falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda
ch'e'
non ti inganni con viste frodose. 15
Più
furon quelle già cui la bugiarda
vista
ingannò, ed io ne so alcuno;
ma
se tu vuo' saper se per te arda,
istea
con teco dì come con Giuno.
Se
elli il fa, ben ti dico ch'allora 20
dirò
che non ci sia 'nganno nessuno;
e
fa che 'l facci». E sanza far dimora
da
lei si dipartia; questa aspettando
rimase
con disio la sua malora.
Tacita
e sola così dimorando, 25
parve
che Giove nella casa entrasse,
a
cui ella così dicea pregando:
«Or
neghera'mi tu, s'io domandasse,
un
caro dono?» a cui e' rispondea,
e
rispondendo parea che giurasse 30
sé
a ciò non mancar ch'ella volea.
«Come
con Giuno ti congiugni», disse,
«così
con meco ti priego che stea».
Ahi
come a Giove dolfe! ma non sdisse
quel
che 'mpromise, ma invito quello 35
fé,
perché 'l saramento non perisse.
Rilucer
lì d'un foco grande e bello
Semelè
si vedeva e in cener trita
ritornar
tosto giacendo con ello.
E
così trista finì la sua vita 40
per
lo disio che 'l consiglio dolente
le
porse, e Giuno rimase gioita.
Conforme
poi si vedea similmente
Asterien
ad aquile seguire,
cui
elli amava molto coralmente. 45
Allato
a lei ed or di sopra gire
per
alti boschi quivi si vedeva,
e
poi con l'ali lei presa covrire.
Molto
dubbiosa lì quella pareva,
per
che rivolta contra il grande iddio 50
con
fievol possa cacciar lo voleva.
Valeale
poco, però che 'l disio
suo
ne prendeva que', come che a lei
ne'
suoi sembianti le paresse rio.
Nel
luogo appresso si vedea colei 55
che
partorì i due occhi del cielo,
secondo
che apparve agli occhi miei.
Assai
timida, l'isola di Delo
la
riteneva quasi fuggitiva,
umile
e piana sotto bianco velo. 60
Soletta
appresso Antiopa seguiva,
con
la qual quivi Giove in forma quale
un
satiro, alla mia stimativa.
Ove
allato sedeale e quanto male
amor
per lei li facesse narrava, 65
né
come alcun rimedio ve li vale.
Assai
negli atti suoi la lusingava,
tanto
che 'nfine alla sua volontate
con
impromesse e prieghi la recava.
Vedeasi
appresso quivi la biltate, 70
in
una storia che venia, d'Almena
piena
di grazia e di tutta onestate,
in
suoi sembianti gioconda e serena;
a
cui Giove, in forma del marito
che
dallo studio tornava d'Atena, 75
tutto
il suo disio avea compito.
Vedevavisi
Geta doloroso
perché
un altro n'avea 'n casa sentito.
Appresso
v'era Birria nighittoso
caricato
di libri; al picciol passo 80
parea
venisse tutto dispettoso,
sanza
alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,
quando
sarà ch'i' posi questo peso
che
sì m'affolla, ponendolo abbasso?».
Inver
lo ciel ne gia, poi ch'ebbe preso 85
Giove
il diletto che di lei li piacque,
pregna
lasciandola, al salire inteso:
di
cui appresso il forte Ercule nacque.
CANTO
XIX
Ivi
più non seguia, perché finiva
quella
facciata con gli antichi autori
che
stanno innanzi a quella donna diva.
Laond'io
torna'mi inver li predatori,
ricominciando
a quel canto primiero 5
a
rimirar gli antichissimi amori.
Ed
umile tornato v'era il fiero
Marte,
prencipe d'arme fatto amante,
per
la qual cosa più non era altiero.
Con
tal disio il piacevol sembiante 10
mirava
della bella Citerea,
che
non parea che più curasse avante.
Tra
que' luoghi medesmi mi parea
con
essa lui veder dentro ad un letto,
dintorno
al quale, al mio parere, avea 15
ordinata
di ferro tutto eletto
una
rete sottil che gli avea presi,
come
per coglier loro in quel diletto.
Sovra
la sua vergogna i lacci tesi
avea
Vulcano, il qual veder venia 20
ridendosi
d'averli sì offesi.
Aveva
quivi ciascun dio e dia,
che
nel ciel fosse, tututti chiamati
Vulcan,
per mostrar lor cotal follia.
Commosso
a' prieghi di Nettunno grati 25
fatti
a Vulcan per Marte umilemente,
di
quella fuor da lui eran cacciati.
Hai!
come poi ciascuno apertamente
faceva
il suo piacer, però che avieno
vergogna
ricevuta interamente! 30
E
sì avviene a que' che non vorrieno
trovar
le cose e vannole cercando,
che
molto meglio cheti si starieno.
Molto
consiglio ciaschedun, che quando
pur
divenisse che cosa vedesse 35
che
li spiacesse, con gli occhi bassando
e'
se ne passi, perché molto spesse
son
quelle volte che tai vendicare
tal
vuol, che saria me' che se ne stesse.
Tutto
focoso vidi seguitare 40
quivi
Febo Pennea graziosa,
e
lei con dolci voci lusingare.
Temendo
fuggiva ella impetuosa
quivi
da lui e di sopra le spalle
con
li capelli sparti: più focosa 45
entrava
in Febo, che 'l dolente calle
seguiva,
infin che stanca fé dimoro,
più
non potendo, in una bella valle.
Là
ritornata in grazioso alloro
sopr'essa
il sol la sua luce fermava, 50
faccendole
col raggio chiaro coro.
Veder
pareami, secondo mostrava,
che
si dolesse di tal mutazione
e
ne' sembianti sen ramaricava.
Ivi
era appresso poi come Sitone, 55
maschio
da lui sanza fine amato,
mutava
in feminil sua condizione.
Con
esso lui si stava quivi allato,
e
lei tenendo in braccio con amore
mostrava
ch'altro non li fosse a grato. 60
Or,
con costei finito il suo ardore,
rinchiuso
vidi in una vecchia scura,
più
là un poco, tutto il suo splendore.
Nell'aspetto
pareva la figura
della
madre di quella, per cui questo 65
a
far ciò il sospignea con tanta cura.
Mirabilmente
là si vedea presto
chiuso
tornare in sé, onde colei
dicea
maravigliando: «Or che è questo?».
E
poi il vedeva starsi con costei; 70
ma
morta quella, per la sua potenza
in
albero d'incenso mutò lei.
Così
appresso in forma; e l'accoglienza
che
Issèn li fé quando con essa giacque,
tutto
vi si vedea sanza fallenza. 75
Habituato,
v'era com lì piacque
a
Climenès, del cui congiungimento
Feton
che guidò il carro poi ne nacque.
Oltre
tra questi poi, molto contento,
era
Nettunno in forma d'Euristeo, 80
Esimena
abbracciando al suo talento.
Innanzi
riguardando discerneo
la
vista mia costui in braccio tenere
Cerere,
cui amò quanto poteo.
Non
sanza molti basci, al mio parere, 85
la
stimolava; ma io mi voltai,
non
potend'io più quivi vedere,
dond'io
a riguardar pria cominciai.
CANTO
XX
Ove
io vidi in ordine dipinto
sì
come Bacco. per forza d'amore,
in
forma d'uva ad amar fu sospinto
la
figlia di Ligurgo; il cui ardore
quivi
con lei in braccio si vedea 5
temperar,
non in forma né in colore
che
si sdicesse, e 'l simil mi parea
d'Erigonèn;
e del suo gran disio
così
sé quivi si sodisfacea.
Ivi
seguiva poi, al parer mio, 10
Pan
che Siringa gia perseguitando,
ch'avanti
li fuggia in atto pio;
e
lei fuggente l'andava pregando,
ma
'l pregar non valeva, anzi tornata
in
canna poi la vidi in forma stando. 15
Poi
di quella i bucciuoli spessa fiata
sonati
fur, però che primamente
da
esso fu la sampogna trovata.
Appresso
lui vi vid'io il dolente
Saturno
in forma di cavallo stare, 20
a
Fillara accostarsi dolcemente.
Così
appresso vidi, ciò mi pare,
Pluto
li tristi regni abbandonati
avere
e quivi intendere ad amare.
Ed
a lui presso con atti sfrenati 25
prender
vedea Proserpina e con essa
fuggirsi
a' regni di luce privati,
pur
con istudio e con noiosa pressa,
come
se stato fosse seguitato
da
Giove per volerlo privar d'essa. 30
Oltre
nel loco vidi figurato
Mercurio
con Ersèn: molto stretto,
amando
lei, dimorava abracciato,
insieme
avendo piacevol diletto.
Dopo
'l quale io vedeva tutto bianco 35
Borea
quivi, con un freddo aspetto.
Questi,
li regni abbandonati, stanco
in
Etiopia giugneva a vedere
Ortigia,
ch'a sé dal lato manco,
vedeva,
quivi la facea sedere; 40
ed
abracciata lei tenendo stretta
a
pena seco gliel pareva avere.
A
lui seguiva poi la giovinetta
Tisbe,
che fuor di Bambillonia uscia
e
verso un bosco sen giva soletta. 45
Né
lì guari lontano, la sua via
fornita,
un velo lasciava fuggendo
per
una leona che a ber venia
della
fontana, dov'ella attendendo
Piramo
si posava nell'oscura 50
notte;
così se n'entrava correndo
ove
già fu la vecchia sepultura
di
Nino. E poi si vedeva venire
Piramo
là con sollecita cura,
a
sé intorno mirando se udire 55
o
veder vi potesse se venuta
vi
fosse Tisbe, secondo il suo dire.
Lui
ciò mirando, in terra ebbe veduta,
perché
la luna risplendeva molto,
la
vesta che a Tisbe era caduta, 60
tutto
stracciato e per terra rivolto
con
un mantello il bel vel sanguinoso,
per
che tututto si cambiò nel volto.
Ricogliendo
essi parea che doglioso
dicesse:
«Oimè, Tisbe, chi ti uccise? 65
chi
mi ti tolse, dolce mio riposo?».
Ontoso
tutto lagrimando mise
la
mano ad uno stocco ch'avea seco,
col
qual dal corpo l'anima divise.
Parea
dicesse piangendo: «Con teco, 70
Tisbe,
morrò, acciò ch'all'ombre spesse
di
Dite, lassa, ti ritruovi meco»;
e
sbigottito parea che cadesse
quivi
sopra 'l mantello, a piè d'un moro,
e
del suo sangue i suoi frutti tignesse. 75
Non
dilettava a Tisbe il gran dimoro;
colà
dond'era uscì, e disse: «Forse
quella
bestia è pasciuta, e già non loro
suol
uso a noi far male»: ed oltre corse
alla
fontana, e non credea che fosse 80
essa
quando le more rosse scorse.
In
ciò mirando, tutta si percosse
quando
Piramo vide ancor tremante,
e
dal suo petto il ferro aguto mosse
e
'n su quel si gittò, dicendo: «Amante, 85
io
son la Tisbe tua! mirami un poco
anzi
ch'io muoia», e più non disse avante:
rimirandola,
cadde morta loco.
CANTO
XXI
Or
miri adunque il presente accidente
qualunque
è que' che vuol legge ad amore
impor,
forse per forza, strettamente.
Quivi
credo vedrà che 'l suo furore
è
da temprar con consiglio discreto, 5
a
chi ne vuole aver fine migliore.
Vivean
di questi i padri, ciascun lieto
di
bel figliuolo: e perché contro a voglia
gli
strinser, n'ebbe doloroso fleto.
E
così spesse volte altri si spoglia 10
di
ciò che e' si crede rivestire,
e
poi convien che sanza pro si doglia.
Sì
riguardando poi vidi seguire
Giansone
in mezzo di tre giovinette,
le
quai ciascuna fu al suo disire. 15
Tutte
e tre furon già a lui dilette
e
nominate Isifile e Medea,
al
mio parer, con Creusa sospette.
«O
sanza fede alcuna», mi parea
che
Isifile dicesse, «o dispietato, 20
o
più crudel ch'alcuna anima rea,
deh,
or hai tu ancor dimenticato
a
quanto onor tu fosti ricevuto
nel
regno ond'ogni maschio era cacciato?
Io
non credo che mai fosse veduto 25
uom
volentier in nulla parte strana
né
cotal dono a lui mai conceduto,
simile
a quel che io benigna e piana
a
te concessi, portando fidanza
alla
tua fede come 'l vento vana. 30
Faccendo
saramenti a me, speranza
nel
tuo partir mi desti che giammai
non
cambieresti me per altra amanza.
Andastitene
e me, come tu sai,
pregna
lasciasti di doppio figliuolo, 35
ed
a tornar ancor verso me hai.
Con
sospiri e con pianti e con gran duolo
gran
tempo stetti, dicendo: «Omai tosto
verrà
Giansone qui col suo stuolo»,
ed
appena credetti quel che sposto 40
mi
fu di te, ch'avevi nuova amica
presa
in Colcòs e mutato proposto.
Più
avanti non so ch'io mi ti dica,
se
non ch'io ardo e tu in giuoco e festa
ora
ti stai con la mia nimica. 45
In
tanto questa doglia mi molesta
che
dir nol posso, ma tu stesso pensa
chente
parriati averla tal qual questa.
Assai
ti priego dunque, se offensa
non
ho commessa, non mi abandonare, 50
ma
con pietà al mio dolor dispensa».
Non
rispondea Giansone; ma poi stare
vidi
negli atti molto dispettosa
Medea,
inverso lui così parlare:
«Giansone,
in tutto 'l mondo non fu cosa 55
ch'io
tanto amassi né per cui facessi
quanto
feci per te, sì come sposa;
e
non mi credo ancor che tu sconfessi
com'io
ti diè mirabile argomento,
per
cui sicur co' tori combattessi. 60
Mostra'ti
ancora, per farti contento,
come
'l drago ingannassi, acciò ch'appresso
fornito
avessi tuo intendimento.
Insieme
me ne venni teco stesso,
e
sai che io il mio picciol fratello 65
uccisi,
acciò che 'l mio padre sopr'esso
dimorasse
piangendo, e quindi snello
e
sanza noia passasse il nostro legno
già
cominciato a seguitar da ello.
E
sai ancora ch'io col mio ingegno 70
il
tuo antico padre e vecchio Ensone
di
giovinetta età il feci degno;
né
riguardai ancora a riprensione
ch'io
non facessi morire il tuo zio,
per
signor farti della regione. 75
Tu
il ti conosci e sai per certo ch'io
ogni
cosa avre' fatta per piacerti,
non
credendo che mai il tuo disio
rivoltassi
da me per più doverti
dare
ad altrui. Deh, se altro diletto, 80
se
non di me, due be' figli vederti
ognor
davanti non t'avesse stretto,
non
dovei tu giammai donna nessuna
più
abracciar nel mio debito letto,
lo
qual tu ora possiedi con una: 85
che
s'io non fossi stata alla tua vita,
né
lei né me avevi, né altra alcuna.
Adunque
a me, per Dio, ti rimarita».
CANTO
XXII
Non
rispondeva a nulla di costoro
quivi
Gianson, ma Creusa abracciando
con
lei traeva ditettevol dimoro.
Io,
che andava avanti riguardando,
vidi
quivi Teseo nel Laberinto 5
al
Minutauro pauroso andando.
Ma
poi che quel con ingegno ebbe vinto
che
li diede Adriana, quindi uscire
lui
vedev'io di gioia dipinto;
al
quale appresso Adriana venire 10
e
con lei Fedra, e salir nel suo legno
e
quindi forte a suo poter fuggire.
Nel
quale, avendo già l'animo pregno
del
piacer di Adriana, lei lasciare
vedea
dormendo e girsene al suo regno. 15
Gridando
desta la vedeva stare,
e
lui chiamava piangendo e soletta
sopr'un
diserto scoglio in mezzo mare:
«Omè»,
dicendo, «deh, perché s'affretta
sì
di fuggir tua nave? Aggi pietate 20
di
me ingannata, lassa, giovinetta!»
Segando
se ne gia l'onde salate
con
Fedra quelli, e Fedra si tenea
per
vera sposa, per la sua biltate.
Costei
più innanzi un poco si vedea 25
accesa
tutta di focoso amore
d'Ippolito,
cui per figliastro avea.
Ivi
vedeasi lo sfacciato ardore
di
Pasifè, che 'l toro seguitava
di
sé chiamandol conforto e signore: 30
ove
con le man propie ella segava
le
fresche erbette nel fogliuto prato
e
con quelle medesme gliele dava.
Spesso
li suo' cape' con ordinato
stile
acconciava e, della sua bellezza 35
prima
l'occhio allo specchio consigliato,
adorna
venia innanzi alla mattezza
bestiale,
e quivi parea che dicesse:
«Agraditi
la mia piacevolezza?
Certo
se io solamente vedesse 40
che
più ch'un'altra vacca mi gradissi,
non
so che più avanti mi volesse».
Era
di dietro a lei con gli occhi fissi
sopra
'l suo padre, Mirra scellerata,
né
da lui punto li teneva scissi. 45
Riguardando
io costei lunga fiata,
quivi
la vidi poi di notte oscura
esser
con lui in un letto colcata.
Correndo
poi fuggir l'aspra figura
del
padre la vedea, che conosciuta 50
avea
l'abominevole mistura.
Albero
la vedeva divenuta
che
'l suo nome ritien, sempre piangendo
o
'l fallo o forse la gioia compiuta.
Narcisso
vidi quivi ancor sedendo 55
sopra
la nitida acqua a riguardarsi,
di
sé oltre 'l dovuto modo ardendo.
Deh,
quanto quivi nel ramaricarsi
nel
suo aspetto mi parea piatoso, 60
e
talor seco se stesso crucciarsi:
«Omè»,
dicendo, «tristo doloroso,
la
molta copia, ch'i' ho di me stesso,
di
me m'ha fatto, lasso, bisognoso».
Cefalo
poi, alquanto dietro ad esso, 65
vid'io
posato aver l'arco e li strali
e
riposarsi, per lo caldo fesso.
«O
aura, deh, vien con le fresche ali,
entra
nel petto nostro!» tutto steso
stava
dicendo parole cotali. 70
Ma
questo avendo già Pocris inteso,
cui
ascosa vedea tra l'erbe e' fiori
in
quella valle, con l'udire inteso,
essendo
in sospezion de' nuovi amori,
credendo
forse che l'Aura venisse, 75
volle,
e nol fece, intanto farsi fori.
Tutta
l'erba si mosse e Cefal fisse
gli
occhi colà, credendo alcuna fiera,
e
preso l'arco su lo stral vi misse,
rizzando
quel fra l'erba u' Pocris era, 80
e
lei ferì nello amoroso petto.
Ella,
sentendo il colpo, in voce vera:
«Omè»,
gridò, «perché ebb'io sospetto
di
quel ch'i' non dovea?» così diria
chi
la vedesse ch'ella avesse detto. 85
Venuto
Cefalo: «L'anima mia,
or
che face' tu qui? oimè lasso»,
dicea,
«dogliosa omai mia vita fia,
avendo
te recato a mortal passo».
CANTO
XXIII
Ristrinsemi
pietà l'anima alquanto
ad
aver compassion di quel dolente,
cui
io vedeva far così gran pianto.
Poi
rimirando ad altro ivi presente,
vidi
colui che il dolente regno 5
sonando
visitò sì dolcemente:
Orfeo
dico, che col suo ingegno
fece
le misere ombre riposare
con
la dolcezza del cavato legno.
Sonando
ancora quivi il vidi stare 10
con
Erudice sua, e mi parea
che
il vedessi sonando cantare,
sollazandosi,
versi, e sì dicea:
«Amore,
a questa gioia mi conduce
la
fiamma tua che nel cor mi si crea. 15
Amor,
de' savi graziosa luce,
tu
se' colui che 'ngentilisci i cori,
tu
se' colui che 'n noi valore induce.
Per
te si fugano angosce e dolori,
per
te ogni allegrezza ed ogni festa 20
surge
e riposa dove tu dimori.
O
spegnitor d'ogni cosa molesta,
o
dolce luce mia, questa Erudice
lunga
stagion con gioia la mi presta!
Sempre
mi chiamerò per te felice, 25
per
te giocondo, per te amadore
starò
come fa pianta per radice».
A
veder quel mi s'allegrava il core,
e
'mmaginando quelle parolette
a
me, non che a lui, crescea valore. 30
E
poi, appresso a queste cose dette,
Diomede
ed Ulisse si vedeano
divenuti
merciai vender gioiette
tra
suore quivi, che queste voleano
in
vista comperar, ma dall'un lato 35
spade
ed archi forti posti aveano,
saette
ancor: de' quali avea pigliato
uno
una suora ch'ivi stava presso,
e
infino al ferro l'arco avea tirato.
Onde
parea dicesser: «Questi è desso, 40
questi
è Acchille, cui andian cercando»,
e
gir se ne volean quindi con esso.
La
qual cosa vedendo, sospirando
una
sorella quivi contastava
a
que' che lui andavan lusingando. 45
Acchille
gir con essi disiava,
e
spogliandosi l'abito iveritta
come
buon cavalier presto s'armava.
Vedendo
ciò Deidamia, trafitta
da
grieve doglia, tutta scolorita 50
parea
dicesse a lui allato ritta:
«Omè,
anima mia, o dolce vita
del
cor dolente che tu abandoni,
di
cui fia tosto, credo, la finita,
in
qua' parti vai tu? qua' regioni 55
cerchi
tu più graziose che la mia?
deh,
credi tu a questi due ladroni?
deh,
non t'incresce di Deidamia?
I'
son colei che più che altra t'amo
e
che più ch'altra cosa ti disia. 60
In
quant'io posso più mercé ti chiamo:
non
mi ti torre, deh, non te ne gire,
non
privar me di quel che io più bramo!
sola
mia gioia, solo mio disire,
sola
speranza mia, se tu ten vai, 65
subitamente
mi credo morire.
In
continova doglia e tristi guai
istarò
sempre: deh, aggi pietate
di
me, se grazia merita' giammai!
Ahi
lassa, or son così guiderdonate 70
tutte
le giovinette ch'aman voi,
che
di subito sieno abandonate?
Ricordar
certo credo che ti puoi
quanto
onor abbi da me ricevuto,
e
ancora puoi ricever, se tu vuoi. 75
L'abito
che t'ha fatto sconosciuto
sì
lungo tempo per me 'l ricevesti,
per
me segreto se' stato tenuto.
E
quando prima vergine m'avesti,
di
mai partirti né d'altra pigliarne 80
sopra
la fede tua mi promettesti.
Perché
altrove vuogli adunque andarne?
Di
me t'incresca e del comun figliuolo
ch'abbian,
se non ti duol la propia carne.
Io
so che tu vuogli ire al tristo stuolo 85
ch'è
'ntorno a Troia, ov'io dubito forte
che
morto non vi sia e per gran duolo
a
me medesma non ne segua morte».
CANTO
XXIV
Così
pareva che costei dicesse
ed
altro assai, a' prieghi della quale
non
mi pareva ch'Acchille intendesse;
e
seguitava quelli al troian male,
contento
più che d'esser lì rimaso, 5
dove
quella era, a cui tanto ne cale.
E
'nnanzi a lui, incerto del suo caso,
Briscida
era trista, inginocchiata,
col
viso basso e di baldanza raso.
Tra
l'altre cose quella sconsolata 10
piangendo
mi parea che li dicesse:
«Deh,
perché m'hai, Acchille, abandonata?
Per
te convenne ch'io mi dolesse
de'
miei fratelli, i quali io più amava
che
altra cosa ch'io nel mondo avesse; 15
e,
per l'amore che io ti portava
e
porto, quella morte che tu desti
a
lor dolenti non mi ricordava.
Rapita
me per forza ancor m'avesti,
come
tu sai, e mia verginitate 20
a
forza e contro a voglia mi togliesti.
Omè,
che allora la tua crudeltate
non
conobb'io, ché l'animo sdegnoso
non
t'avre' mai l'offese perdonate.
Veduta
sempre in abito cruccioso 25
m'avresti
certamente, e così forse
non
avrei dentro amor per te nascoso.
Omè,
quanto soperchio ve ne corse
quando
con atti falsi mi mostrasti
ch'io
ti piacessi, e questo il cor mi morse. 30
Levastimi
da te, poi mi mandasti
a
Agamenòn come schiava puttana:
in
quello il falso amor ben dimostrasti
Eimè
lassa, misera profana,
Briseida
cattiva, che farai 35
abandonata
in parte sì lontana?
Non
mi lasciar morire in tanti guai,
Acchille,
aggi piatà di me dolente
che
t'amo più che donna uom giammai!
Deh,
guardami con l'occhio della mente, 40
e
prendati pietà di me alquanto»,
dicea
colei, ma non valea niente.
Ivi
appresso costui vid'io che tanto
ardeva
dell'amor di Pulisena,
ch'ogni
miseria ed angoscioso pianto, 45
periglio,
affanno, guai o grave pena
delle
su dette vendicava amore,
il
qual fervente gli era in ogni vena;
e
per lei spesso mutava colore,
prieghi
porgendo, e non erano intesi, 50
onde
lui costringea grieve dolore.
Rimirando
ivi ancora vediesi
Sesto
ed Abido, picciole isolette,
e
'l mar che le divide ancor pariesi.
Sovvennemi
ivi quando vi cadette 55
Ellès,
andando di dietro al fratello
all'isola
de' Colchi, ove ristette.
Era
notando ignudo nato in quello
mare
Leandro, andando ver colei
cui
più amava, vigoroso e snello. 60
Venuta
là alla riva costei
vedea
con panni e ricever costui,
tutto
asciugando lui dal capo a' piei;
e
poi vedeva quivi lei e lui
con
tanta gioia standosi abracciati, 65
che
simil non si vide mai in altrui.
Ritornar
poi il vedea per li usati
mari
alla casa, e di far quel camino
suoi
membri non parien mai affannati.
A
questo mare alquanto era vicino 70
Minòs,
Alcatoè tenendo stretta
per
forte assedio, volendo il destino
romper
di quel capel che nella vetta
del
capo a Niso stava, che per esso
l'oste
di fuor non avea sospetta. 75
E
quivi quella torre, ove fu messo
già
lo strumento d'Appollo sonante,
vi
si vedea rilucere appresso.
Pareva
in quella Silla fiammeggiante
dell'amor
di Minòs, che a vedere 80
stava
l'oste a sua terra davante.
Venir
la mi parea poscia vedere
avendo
il porporin capel cavato
al
padre, e a Minòs darlo, che 'l volere
robusto
suo facea del disarmato 85
Niso,
privando lui della sua gloria:
Silla
gittata poi nel mar salato,
n'andava
lieto della sua vittoria.
CANTO
XXV
Era
più là Alfeo, con le sue onde
piegate
intorno e dietro ad Aretusa,
con
quelle terre che correndo infonde.
Là
era Egisto ancor, che per iscusa
del
sacerdozio non andò a Troia 5
ma
Clitemestra si tenea inchiusa,
lei
imbracciata e prendendone gioia
a
suo piacere, ben che poco appresso
le
ne seguisse sconsolata noia.
Oh,
come quivi, alquanto dop'esso, 10
seguian
Cannace e Macarco dolenti,
divisi
per lo lor fallo commesso!
Non
molto dopo lor così scontenti
Biblide
vidi lì, che seguitava
il
suo fratel con atti motto ardenti. 15
Molto
pietosamente a lui andava
dietro
parlando, sì come parea
negli
atti suoi che quivi dimostrava.
«Ahi
dolce signor mio», ver lui dicea,
«deh,
non fuggir, deh, prendati pietate 20
di
me che per te vivo in vita rea!
Guarda
con l'occhio alquanto mia biltate,
pensi
l'animo tuo il mio valore,
lo
qual perisce per tua crudeltate.
Io
non t'ho per fratel ma per signore: 25
vedi
ch'io muoio per la tua bellezza,
per
te piango, per te si strugge il core.
Non
tener più ver me questa fierezza,
e
'l superfluo nome di fratello
lascialo
andar, ch'a tenerlo è mattezza. 30
Aiutami,
che puoi, e farai quello
che
più aspetta quella che si sface
considerando
il tuo aspetto bello.
Riso,
conforto ed allegrezza e pace
render
mi puoi, se vuoi: dunque che fai? 35
Deh,
contentami alquanto, se ti piace!
Vedi
ch'io mi consumo in tanti guai,
ch'altra
neuna mai ne sentì tanti
per
te, cui io disio, e tu tel sai.
Omè,
fortuna trista delli amanti! 40
come
coloro che non sono amati
amando
altrui, da tua rota son franti!
Se
tu riguardi però che chiamati
sorella
e frate sian, non è niente,
com
dissi, e minor fieno i tuoi peccati 45
togliendomi
dolor, che se dolente
morir
mi fai per non aconsentire
a
quel che sol disia la mia mente.
Rivolgiti,
per Dio, deh, non fuggire!
pensa
ch'ogni animal tal legge tene 50
quale
a te chiede il mio forte disire.
A
te molto più tosto si conviene
in
questo atto fallir, che dispietato
farmi
morir nelle noiose pene».
Biblide
trista, quanto t'è in disgrato 55
veder
colui, che ti dovria atare
da
chi noia ti desse in alcun lato,
il
tuo dolore in te forte aggregare!
e
non che voglia fare il tuo disio,
ma
tue parole non vuole ascoltare. 60
Là
poi appresso, al mio parer, vid'io
Fillis
allato star a Demofonte
e
pianger sé di lui in atto pio.
Tutta
turbata sue parole conte
li
profferia, ricordandoli ancora 65
quant'ella
e le sue cose tutte pronte
al
suo servigio furono, e com'ora,
a
lei fallita la promessa fede,
per
troppo amor dolor grieve l'acora.
Tra
questi, oltre nel prato, vi si vede 70
Meleagro
e Atalanta che ciascuno
segue
un cinghial con solecito piede,
e
quanto ad esso sforzandosi ognuno
offende,
accesi d'amoroso foco,
non
lasciandoli affar danno nessuno. 75
Costor
preiva, più avanti un poco,
Aconzio
in man con la palla dell'oro
ch'a
Cidipe gittò nel santo loco,
e
quella quivi ancor facea dimoro:
dicendo
a lei Aconzio che sua era, 80
ella
negandol, parlavan fra loro;
riguardando
l'un l'altro, in tal maniera
Cidipe
a lui dicendo: «Se ingannata
fu'
i' da te, la mia voglia non v'era;
ché,
s'io mi fossi della palla addata, 85
non
l'avria mai rimirata né letta,
anzi
l'avrei tosto indietro gittata:
onde
mai non m'avrai e questo aspetta».
CANTO
XXVI
Com'io
mirando andava quel giardino,
vi
vidi in una parte effigiato
Ercule
grande a Cidipe vicino;
ove
con lui sedeva dall'un lato
Iole
piacente e bella nello aspetto, 5
cui
presa avea nel paese acquistato.
Non
mirava Ercule altro che 'l conspetto
di
lei, e quindi tanta gioia prendea
che
duol li fora stato altro diletto.
Ramaricando
dopo lui vedea 10
istar
tutta turbata Deianira,
perch'a
sé ritornarlo non potea.
Il
molle petto acceso in foco d'ira
mostrava
ch'ell'avesse, ognor soffiando
forse
per rabbia che in lei si gira. 15
Ma,
poco spazio, parea che parlando
dicesse
a lui: «O signor valoroso,
volgiti
a me, come tu suoli, amando,
e
lascia cotestei, cui poderoso
guadagnasti
per serva e 'l suo paese 20
insieme,
con vittoria glorioso.
Non
senti tu ch'a ogni uomo è palese
quel
che la fama ora in contrario sona,
di
te, alle passate tue imprese?
Veramente
di te ogni uom ragiona, 25
ché
tu col forte dito quella lana
fili
che Iole pesando ti dona.
Ogni
uomo ancora, ch'abbia mente sana,
crede
che tu il canestro con le fusa
porti
di dietro alla giovane strana. 30
Vogliono
ancora dire ch'ella t'usa
in
ciascuno atto come servidore,
né
ti giova donare alcuna scusa.
È
così ismarrito il tuo valore
che
tu non pensi alle cose passate, 35
ogni
virtute obliando ed onore?
forse
t'ha ella le forze levate
con
alcun suo ingegno falsamente,
come
le donne fanno alle fiate?
Almen
non dovria mai della tua mente 40
trar
quel che tu in culla ancor facesti,
l'uno
uccidendo e poi l'altro serpente.
Ricordar
de' ti ancor che uccidesti
Busiri,
ed in Libia il grande Anteo
della
Terra figliuolo ancor vincesti. 45
Vinto
traesti quel Cerbero reo
ch'avea
tre teste, e tu con tre catene
legasti
lui poi ch'a te si rendeo.
Il
drago ancora con sudanti pene,
ch'ognor
sanza dormir i pomi d'oro 50
guardando
stava, fu morto da tene.
I
forti corni al furioso toro
rompesti,
ed i Centauri domasti
quando
di pria combattesti con loro.
Or
non fostù colui che consumasti 55
l'Idra,
che doppi capi in suo aiuto
rimettea
quando gliele avevi guasti?
non
fu da te il guastator feruto
d'Arcadia?
sì fu, e fu colui 60
ch'avea
di carne umana riempiuto
ogni
suo armento, togliendo l'altrui,
da
te ucciso; e quel Cacco rubesto
tu
uccidesti, rubato da lui,
reggendo
ancora dopo tutto questo 65
il
ciel gravante sopra le tue spalle,
ch'a
ogni altr'uom saria stato molesto.
E
s'io volessi andar per dritto calle
ogni
vittoria a tua mente rendendo,
io
avrei troppo a fare a racontalle. 70
Queste
so c'hai a mente: or dunque, essendo
sanza
pazzia, talora fra te stesso
non
ti vergogni tu Iole seguendo?
Volesse
Iddio che tu giammai a Nesso
non
m'avessi levata, che mi amava, 75
e
forse in gioia or mi sarei con esso!
E
non per tanto io non imaginava
che
mai per altra donna mi lasciassi,
poiché
te per altrui io non lasciava.
Se
quella con cui tu ora ti passi 80
ismemorato
in festa ed allegrezza,
tanta
virtù in lei forse trovassi,
tanto
piacere e tanto di bellezza
quanto
in me, io non riputerei
l'aver
lasciata me fosse mattezza. 85
Ognora
più di ciò ti loderei:
ma
s'io ho ben la sua bellezza intesa,
certo
io son molto più bella di lei.
Molto
mi tengo in questa parte offesa;
ma
torna a me e tutto ti perdono, 90
e
la tua forza in bene ovrar palesa:
io
cheggo a te di grazia questo dono».
CANTO
XXVII
Mostravasi
ivi ancora effigiata
la
valle d'Ida profonda ed oscura,
d'alberi
molti e di frondi occupata,
ove
io discernetti la figura
di
quel Parìs, piacevole Troiano, 5
per
cui Troia sentì la sua arsura.
Sol
si sedeva là nel loco strano,
davanti
al qual Pallade, Giuno e Venere
eran
con una palla d'oro in mano.
Sanza
alcun vestimento ignude, tenere, 10
bianche
e vermiglie quivi e dilicate
le
mi pareva nel sembiante scernere;
e
diceano a Parìs: «In cui biltate
di
noi più vedi, questo pomo d'oro
donalo
a lei, quando ci avrai avisate». 15
Dal
capo al piè rimirava costoro
Parìs:
ciascuna bella lì parea,
onde
fra sé dicea: «Deh, quale onoro?».
Ognuna
d'esse ad esso promettea
e
chi senno e chi ricchezze e chi amore 20
di
bella donna, pur ch'a lei la dea.
Non
si sapea esaminar nel core
Parìs
qual d'esse più biltate avesse,
né
qual ben si pigliar per lo migliore.
Nel
lungo esaminare infine elesse 25
Venus
per la più bella, e diella a lei,
sub
condizion che ella gli attenesse
a
farli avere in sua balia colei,
cui
ella avea lodata per sì bella,
che
nulla v'era simile di lei. 30
A
cui pareva che rispondesse ella:
«Va
tu per essa, ché col mio aiuto
io
farò sì che tua si sarà quella».
Costui
vid'io, poco appresso, saluto
sur
una nave e dar le vele al vento 35
e
tosto in Ispartèn esser venuto;
ove
disceso, sanza tardamento,
andando
Menelao inverso Creti,
a
fornir cominciò suo intendimento.
Ma
dopo molte cose, quivi lieti 40
egli
ed Elena bella e graziosa
saliti
in nave, pe' salati freti
poste
le vele, sanza alcuna posa
tornava
a Troia, e quivi si mostrava
la
vita lor quanto fosse gioiosa. 45
Ivi
Oenone ancora lagrimava
il
perduto marito e con pietose
parole
a sé invano il richiamava.
Là
si vedea Ifi e Iante amorose
far
festa pria che maschio ritornasse 50
que'
che 'l suo sesso tanto tempo ascose.
Appresso
mi parea che seguitasse
Laudomia
bella sospirando,
come
se del suo mal s'indovinasse.
Raviluppata
tutta e non curando 55
di
sé, Protessilao di bella cera
s'aveva
fatto, lui raffigurando;
e
poi a quella innanzi posta s'era
in
ginocchion, dicendo: «Signor mio,
se
io ti sono amanza e donna vera, 60
leal
come dicesti, fa che io
ti
veggia ritornar con quella gloria,
ch'io
l'arme tue presenti al forte iddio.
A
que' c'hanno mestier della vittoria,
lasciali
pria combatter, e il periglio 65
propio
fuggi: ch'ognor ch'a memoria
viemmi
quel ch'io già in alcun pispiglio
udii
d'Ettòr, che tanti cavalieri
contasta
combattendo, ogni consiglio
in
me fugge di me, e volentieri 70
nel
tuo andare ti vorrei aver detto
ch'alla
battaglia tu fossi il derrieri.
Sola
mia gioia, solo mio diletto,
fa
sì ch'io sia di tua tornata lieta,
ché
sanza te mai gioia non aspetto». 75
In
tal maniera quivi mansueta
si
stava Laudomia, tal volta
d'angosciosi
sospir tutta repleta.
Or
era ancora verso lei rivolta
Penelopè,
che aspettando Ulisse 80
giammai
non fu dal suo amor disciolta.
Nella
qual tenend'io le luci fisse,
fra
me volvea quanto fosse il disire
di
que' che mai non cre' ch'a lei reddisse,
e
quanto volle del mondo sentire, 85
ché
per voler veder trapassò il segno
dal
qual nessun poté mai in qua reddire,
io
dico forza usando né suo ingegno.
CANTO
XXVIII
Non
so chi sì crudel si fosse stato
che,
quel ch'io vidi appresso rimirando,
di
pietà non avesse lagrimato.
Pareva
quivi apertamente quando
Dido
partissi in fuga dal fratello, 5
e
similmente come, edificando
a
più poter, Cartagine nel bello
e
util sito faceva avanzare,
e
come a 'ngegno l'abitava quello.
Ricever
quivi Enea ed onorare 10
lui
e' suoi ancor vi si vedea
liberamente;
e sanza dimorare
oltre
mirando, ancora mi parea
vederle
in braccio molto stretto Amore,
ben
che Ascanio aver vi si credea; 15
lo
qual basciando spesso, del suo ardore
prendea
gran quantità occultamente,
tuttor
tenendol nel segreto core.
Eravi
poi come insiememente
costei
con Enea ed altri assai 20
a
caval giva onorevolmente,
ripetend'ella
in sé quel che giammai
più
non pareva a lei aver sentito,
fuor
per Sicceo, sì com'io avisai.
Il
chiaro viso bello e colorito, 25
mirando
Enea con benigno aspetto,
tornava
bianco spesso e scolorito.
Ma
pervenuti quivi ad un boschetto,
lasciando
i cani a' cerbi paurosi
di
dietro, incominciaro il lor diletto. 30
Altri
cornavano ed altri animosi
correvan
dietro, e gridando faceano
i
can più per lo grido valorosi.
Tutto
un gran monte già compreso aveano
i
cacciatori, e 'n una valle oscura 35
Dido
ed Enea rimasi pareano.
E
sì faccendo, fuor d'ogni misura
un
vento quivi pareva levato,
che
di nuvoli avea già la pianura
chiuso
ed il monte ancora: onde tornato 40
pareva
il sole indietro e divenuto
oscura
notte il dì in ogni lato.
Horribili
e gran tuon ciascun sentuto
aveva,
e lampi venivano ardenti
con
piover tal che mai non fu veduto. 45
Enea
e Dido là fuggian correnti
in
una grotta, e la lor compagnia
perduta
avean, di ciò forse contenti.
Ivi
parea che Dido ad Enea pria
parlasse
molte parole amorose, 50
dopo
le quali suo disio scopria:
ove
Enea ascoltar quelle cose
vedeasi,
lei, abracciata tenere,
e
quel fornir che ella li propose.
Venuti
poi al lor reale ostiere 55
ed
in tal gioia lungo tempo stati,
l'uno
adempiendo dell'altro il piacere,
in
quel luogo medesimo cambiati
vi
si vedea dell'uno i sembianti
e
dell'altro i voleri esser mutati. 60
Molto
affrettando li suoi navicanti
Enea
vi si vedea per mar fuggire,
le
vele date all'aure soffianti.
A
cui Dido parea di dietro dire:
«Omè,
Enea, or che t'aveva io fatto 65
che
fuggendo disii il mio morire?
Non
è questo servar tra noi quel patto
che
tu mi promettesti: or m'è palese
lo
'nganno c'hai coperto con falso atto.
Deh,
non fuggir! Se l'essermi cortese 70
forse
non vuogli, vincati pietate
almen
de' tuoi, che vedi quante offese
ognora
ti minaccian le salate
onde
del mar, per lo verno noioso
ch'ora
'ncomincia; e già hanno lasciate 75
qualunque
leggi nel tempo amoroso
sogliono
avere i venti, e ciascheduno
esce
a sua posta e torna furioso.
Vedi
ch'ad ora ad or ritorna bruno
l'acre
e nebuloso e molti tuoni 80
e
lampi lui percuotono, e nessuno
impeto
è che or non s'abandoni
e
faccia danno; e tu col tuo figliuolo
ora
cercate nuove regioni!
Posati
adunque tu ed il tuo stuolo, 85
lasciami
almeno apparare a biasmarmi
immaginando
il mio etterno duolo:
e
poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».
CANTO
XXIX
Riversata
piangendo quivi appresso
si
stava Dido in sul misero letto,
dov'era
già dormitasi con esso,
maladicendo
sé e 'l tristo petto
pien
d'aspre cure aspramente battendo,
ripetendo
ivi il perduto diletto. 5
In
atto mi parea così dicendo:
«O
doloroso luogo nel qual fui
già
con Enea, tanta gioia sentendo,
omè,
perché come ci avesti dui,
due
non ci tieni? perché consentisti 10
che
te giammai vedessi sanza lui?
A'
miei sconsolati membri e tristi
porgi
con falsa immagine letizia,
quando
per te li spando, ove copristi
molte
fiate già quel che 'n tristizia 15
ora
mi fa sanza cagione stare
per
lo suo inganno e coperta malizia».
Oh
come trista lì ramaricare
la
vi vedea con quella spada in mano
che
fé poi la sua vita terminare! 20
Rompendosi
le nere veste, invano
chiamando
il nome d'Enea che l'atasse,
si
pose quella al suo petto non sano:
e
poi sopr'essa parve si lasciasse
cader
piangendo e sospirando forte, 25
perché
la spada di sopra passasse.
Forata
quivi, dolorosa morte
l'occupò
sopra 'l letto ove sedea
prima
piangendo sua misera sorte.
Appresso
questo, al mio parer, 30
vedea
tanto contenti Florio e Biancifiore,
quantunque
più ciascuno esser potea:
tututto
il lor trapassato dolore
v'era
dipinto, degno di memoria.
pensando
al lor perfettissimo amore. 35
E
dopo questa piacevole storia,
vi
vidi Lancilotto effigiato
con
quella che sì lunga fu sua gloria.
Lì
dopo lui, dal suo destro lato,
era
Tristano e quella di cui elli 40
fu
più che d'altra mai innamorato;
e
più assai ancora dopo a quelli
n'avea
ch'io non conobbi, o che la mente
non
mi ridice bene i nomi d'elli.
Ond'io,
che 'n maggior parte la presente 45
faccia
compresa avea, ritornai 'l viso
a
quella donna più ch'altra piacente.
Nol
so, ma credol che di Paradiso
ella
venisse, come io già dissi,
tant'ha
biltà, valore e dolce riso. 50
–
Oh felice colui –, con gli occhi fissi
a
lei allora a dire incominciai,
–
cui tu del tuo piacer degno coprissi!
Ringraziato
possa esser sempre mai
il
tuo Fattore, sì com'elli è degno, 55
veggendo
le bellezze che tu hai.
Se
un'altra volta il suo beato ingegno
ponesse
a far sì bella creatura,
credo
che lieto il doloroso regno
E'
metterebbe in gioia fuor di misura, 60
che'
santi scenderieno alla tua luce
e
que' d'abisso verrieno in altura –,
–
Con quanta gioia, credo, si conduce
ciascun
di questi ch'è pien della grazia
di
quel –, ricominciai, – che qui è duce. 65
Oh
quanto è glorioso chi si spazia
ne'
suoi disii mediante questo,
se
con vile atto tosto non si sazia!
Non
è occulto ciò, poscia che presto
chi
più ha pena più oltre s'invia 70
a
volerne sentir, ben che molesto,
dolendo
sé, altrui dica che sia:
dunque
se questo martire è soave,
la
pace che ne segue chente fia?
Oh
quanti e quali già il tenner grave 75
ch'avrieno
il collo a via maggior gravezza
posto,
sappiendo il dolce che 'n sé have!
Invidiosi
alcuni dicon mattezza
esser
seguir con ragion quello stile
che
dà questo signor di gentilezza, 80
lo
qual discaccia via ogni atto vile:
piacevole,
cortese e valoroso
fa
chi lui segue e più ch'altro gentile.
Superbia
abatte, onde ciascun ritroso
o
di vil condizione esser non puote 85
di
sua schiera, e quinci invidioso
va
ischernendo que' cui e' percuote –.
CANTO
XXX
Volendo
porre fine al recitare,
ch'a
tutto dir troppo lungo saria,
tanto
più ch'io non dico ancor vi pare,
a
quella donna graziosa e pia
che
dentro alla gran porta principale 5
col
suo dolce parlar mi mise pria,
lei
mirando, volta'mi: – Oh quanto vale –,
dicendo,
– aver vedute queste cose
che
diciavate ch'eran tanto male!
Or
come si porria più valorose, 10
che
queste sien, giammai per nullo avere
o
pensare o udir più maravigliose? –.
Rispose
allor colei: Parte vedere
quel
ben che tu cercavi qui dipinto,
ché
son cose fallaci e fuor di vere? 15
E'
mi par pur che tal vista sospinto
t'abbia
in falsa oppinion la mente,
ed
ogni altro dovuto ne sia stinto.
Adunque
torna in te debitamente:
ricorditi
che morte col dubioso 20
colpo
già vinse tutta questa gente.
Ver
è ch'alcun più ch'altro valoroso
meritò
fama, ma se 'l mondo dura
e'
perirà il suo nome glorioso.
È
questa simigliante alla verdura 25
che
vi porge Ariete, che vegnendo
poi
Libra appresso seccando l'oscura.
Nullo
altro ben si dee andar caendo
che
quello ove ci mena la via stretta,
dove
entrar non volesti qua correndo. 30
Deh,
quanto quello a' più savi diletta,
grazioso
ed etterno! ed io il ti dissi
quando
d'entrar pur qui avesti fretta.
Or
dunque fa che più non stieno fissi
gli
occhi a cotal piacer: ché se tu bene 35
quel
ch'egli è con dritto occhio scoprissi,
aperto
ti saria che 'n gravi pene
vive
e dimora chiunque ha speranza
non
saviamente, e a cotai cose tene.
Tu
t'abagli te stesso in falsa erranza 40
con
falso immaginar, per le presenti
cose
che son di famosa mostranza.
Ed
io, acciò che' vani avedimenti
cacci
da te, vo' che mi segui alquanto;
e
mosterrotti contro a quel ch'or senti, 45
mostrandoti
la gioia e 'l lieto canto
de'
tristi, che 'n ta' cose ebber già fede,
mutarsi
in brieve in doloroso pianto.
Potrai
veder colei, in cui si crede
essere
ogni poter ne' ben mondani, 50
quanto
arrogante a suo mestier provede,
or
dando a questo, or ritornando vani
ciò
che diede a quell'altro, molestando
in
cotal guisa l'intelletti umani.
Per
quel potrai veder vero, pensando 55
quanto
sia van quel ben che' vostri petti
va
sanza ragion nulla stimolando;
onde,
seguendo que' beni imperfetti
con
cieca mente, morendo perdete
il
potere acquistare poi i perfetti. 60
In
tal disio mai non si sazia sete:
dunque
a quel ben, che sempre altrui tien sazio
e
per cui acquistar nati ci sete,
dovrebbe
ognuno, mentre ch'egli ha spazio,
affannarsi
ad avere. Omai andiamo, 65
ché
già il luminoso e gran topazio
in
sulla seconda ora esser veggiamo
già
sopra l'orizonte, ed il cammino
è
lungo al poco spazio che abbiamo.
Ma
io spero che 'l voler divino 70
ne
farà grazia, ed io così li cheggio,
ched
e' non ci fallisca punto infino
entrati
sarem là, ove quel seggio
del
perfetto riposo è stabilito
per
que' che non disian d'aver peggio –. 75
Poi
ch'io ebbi sì parlare udito
a
quella donna, io le rispuosi: – Andate,
nullo
mio passo fia da voi partito.
In
questo sol vi priego che m'atiate,
che
là dove 'l disio mi trasportasse 80
contra
vostro piacer, mi correggiate –.
Ella
mostrò negli atti ch'accettasse
la
mia domanda, e mossesi e rivolta
mi
disse allora ch'io la seguitasse.
Tutti
e tre insieme, avvegna che con molta 85
fatica,
la seguimmo, e la cagione
fu
perché quistionammo alcuna volta
a
non voler seguir sua mostrazione.
CANTO
XXXI
Tosto
finì il suo cammin costei,
che
di quel loco per una portella
in
altra sala ci menò con lei.
Ell'era
grande, spaziosa e bella,
ornata
tutta di belle pinture, 5
sì
come l'altra ch'è davanti ad ella.
Oh
quanto quivi in atto le figure
si
mostravan tututte variate
dall'altre
prime e non così sicure!
Color
con festa e con gioconditate 10
parevan
tutte con be' vestimenti,
costor
con doglia e con avversitate.
Hai,
quanto quivi parevan dolenti
e
spaventati, qualunque vi s'era,
con
vili e poverissimi ornamenti! 15
Ivi
vid'io dipinta, in forma vera,
colei
che muta ogni mondano stato,
tal
volta lieta e tal con trista cera,
col
viso tutto d'un panno fasciato,
e
leggermente con le man volvea 20
una
gran rota verso il manco lato.
Horribile
negli atti mi parea,
e
quasi sorda a niun priego fatto
da
nullo lo 'ntelletto vi porgea;
e
legge non avea né fermo patto 25
negli
atti suoi volubili e incostanti,
ma
come posto talor l'avea fratto:
volvendo
sempre ora 'n dietro ora avanti
la
rota sua sanza alcun riposo,
con
essa dando gioia e talor pianti. 30
«Ogni
uom che vuol montarci su sia oso
di
farlo, ma quand'io 'l gitto a basso
inverso
me non torni allor cruccioso.
Io
non negai mai ad alcuno il passo
né
per alcun mia maniera mutai, 35
né
muterò, né 'l mio girar fia lasso,
venga
chi vuol». Così immaginai
ch'ella
dicesse, perché riguardando
dintorno
ad essa vi vid'io assai,
i
qua' su per la rota aderpicando 40
s'andavan
con le man con tutto ingegno,
fino
alla sommità d'essa montando.
Saliti
su parea dicesser: «Regno»;
altri
cadendo en l'infima cornice
parea
dicessero: «Io son sanza regno». 45
In
cotal guisa un tristo, altro felice
facea
costei, secondo che la mente,
la
qual non erra, ancora mi ridice.
Allor
rivolto alla donna piacente
dissi:
– Costei, ch'io veggio qui voltare, 50
conosco
io per nimica veramente.
Tra
l'altre creature a cui mi pare
dover
portar più odio, questa è dessa,
però
ch'ogni sua forza ed operare
ell'ha
contra di me opposta e messa: 55
né
prieghi, né saper, né forza alcuna
pacificar
mi può giammai con essa.
Ognora
nella faccia persa e bruna
mi
si mostra crucciata e sempre a fondo
della
sua rota mi trae dalla cuna, 60
gravandomi
di sì noioso pondo
che
levar non mi posso a risalire,
onde
giammai non posso esser giocondo –.
Ridendo
allor mi cominciò a dire
la
donna: – Allora e' tu se' di coloro 65
ch'alle
mondane cose hanno 'l disire?
ai
quali se ella desse tutto l'oro
che
è sotto la luna, pure aversa
riputerebber
lei a' voler loro.
Torrotti
adunque di cotal traversa 70
oppinione,
e mostrerotti come
più
son beati que' che l'han perversa.
Il
dir Fortuna è un semplice nome,
il
posseder quel ch'ella dà è vano,
o
sanza frutto affanno se ne prome. 75
Odirai
come: e se 'l mio dire estrano
è
dalla verità, conceder puossi
che
seguir vizio sia al salvar sano.
Solamente
da te vo' che rimossi
sieno
i pensier fallaci, se procede 80
il
mio parlar con ver, sì che tu possi
inter
vedere come si concede
che
quel che più al vostro intendimento
agrada,
piú con gravezza vi lede –.
Allora
rispos'io: – Io son contento, 85
donna,
d'udire, acciò che 'l mio errore
io
riconosca, però che io sento
non
aver nulla esser grave dolore –.
CANTO
XXXII
Incominciò
allor costei a dire:
–
Voi, terreni animal, disiderate
i
voler vostri tututti seguire
mediante
costei, cui voi chiamate
Fortuna
buona e rea, secondo ch'essa 5
vi
dà e to' mondana facultate.
In
prima alcuni domandon ad essa
molta
ricchezza, credendosi stare
sanza
bisogno alcun possedendo essa.
Vaghi
sono altri sol di poter fare 10
sii
che avuti sieno in reverenza
da
tutti, e 'n ciò s'ingegnan d'avanzare.
In
alcuni altri aver somma potenza
par
sommo bene, e questo van cercando,
tanto
gli abaglia la falsa credenza. 15
Risplendere
altri si vanno ingegnando
di
nobil sangue ed il nome famoso
o
per guerra o per pace van cercando.
Tai
son che credon ch'esser copioso
di
volontà carnal, ch'è van diletto, 20
faccia
chi ciò possiede glorioso.
Vogliono
alcuni, acciò che il difetto
del
non poter si rivolga in potere,
ricchezza,
e per poter porre in effetto
ogni
libidinoso lor piacere; 25
così
figliuoli alcuni, altri altre cose,
e
questo interamente hanno in calere.
Se
forse una di queste hanno ritrose
al
lor volere, qualunque s'è quello
ch'alcuna
aver nell'animo propose, 30
incontanente
con animo fello
contra
questa si turba ed essa dice
nimica,
e forse fu difetto d'ello.
Intendi
adunque e vedi che felice
costei
non puote giammai fare alcuno, 35
posto
che del mondan sia donatrice.
Non
vedi tu che e' non è nessuno,
che
abondi in ricchezze, che non sia
d'ogni
riposo e diletto digiuno?
Continovo
nell'animo li fia 40
pensiero
e cura di poter guardarle,
temendo
di nascosa tirannia.
Vedi
dunque che bene ha d'ammassarle,
poiché
insidie tutto tempo teme
ed
in più quantità voler recarle. 45
Il
povero uom di tal cosa non geme,
né
perde sonno, né lascia sentiero,
sol
di sua vita trar pensiero il preme:
alla
quale, a voler narrare il vero,
poco
li basta, ma il ricco avaro 50
di
molto aver non ha suo disio intero.
Me'
puote ancora il ricco dar riparo
alle
fami ed a' freddi, ben che puro
le
sente alcuna volta, o spesso o raro.
Or
quinci segue al pover che sicuro 55
vive
di non cader, né spera mai
che
caso fortunal li paia duro.
Ricchezza
adunque, quand'ella è assai,
più
fa indigente il suo posseditore,
con
più pensier, con più cura e più guai. 60
Colui
che vuol per dignitate onore,
veggian,
se la Fortuna gliel concede,
s'egli
avrà quel che e' disia nel core.
Or
non agli occhi di qualunque vede
è
manifesto che tornan viziosi 65
tantosto
che neuna ne possiede?
Ma
se per quelle forse virtuosi
ne
ritornassero, io consentirei
che
tutti voi ne fosti disiosi.
E
d'altra parte dignità i rei 70
fa
manifesti, ed ogni lor mancanza
è
conosciuta più ch'io non potrei
né
parlar, né mostrar: dunque v'avanza
questa
se vi si mostra allor turbata,
quando
chiedendo state in tale erranza. 75
Beati
alcun si diceria se data
fosse
lor forse potenza reale,
non
conoscendo il mal di ch'è vallata.
E
questa podestà niente vale,
ch'ella
non può fuggire il duro morso 80
della
sollecitudine, che male
a
lei non faccia, né può dar soccorso
a
quel noioso e rigido tormento
che
di paura dà l'amaro sorso.
Togliendo
questa cotal reggimento, 85
pace
vi dona dove guerra avreste,
e
voi nol conoscete; onde, scontento
ogni
uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste –.
CANTO
XXXIII
La
nobiltà del sangue altri a costei,
domanda,
come se veracemente
sì
fatto don procedesse da lei.
Oh
quanto a domandare stoltamente
si
muovon questi, se l'operazioni 5
non
seguono il disio della lor mente!
Colui
che con perpetue ragioni
governa
il mondo, come sol fattore
d'esse,
crea nelle sue regioni
ogni
anima che nasce, con amore 10
iguale;
e quella si muove da Lui
vegnendo
lieta al generato core.
Considerando
dunque che Costui
sia
solo e falle egual, conosceremo
così
gentil costui come colui, 15
e
però manifesto vederemo
che
chi seguisse la diritta via
delle
virtù, come da Lui avemo,
l'un
come l'altro così gentil fia;
e
chi da questa torce si può dire 20
non
che villano ma una bestia sia.
A
questi puo' tu dir che in disire
vien
d'esser forse tenuti gentili,
e
cercan ciò per lor vizii coprire.
Tieni
or ben mente e vedi quanto vili 25
sien
lor domande, ché, s'ella concede,
superbi
tornan dov'erano umili:
onde
da questo poi spesso procede
ched
elli scoppian niente tornando,
per
che, s'ella nol fa, vie men li lede. 30
Tratti
ciascun, con virtute operando,
d'aver
ta' lode, ché questa giammai
non
gliel torrà la sua rota voltando.
E
chi la vuole in altro modo guai
va
dimandando, e 'l come gli è coperto; 35
e
se ben guardi tu te n'avedrai.
Né
ciò è lungamente lor sofferto,
ché
degno guiderdon dalla giustizia
etterna
è lor di ciò in brieve offerto.
Ed
alcuni altri son che gran letizia 40
fanno,
quando costei concede loro
lussuriando
poter lor malizia
in
operazion porre; e di costoro
è
il numero grande, i qua' beati
tengonsi
quanto più a tal lavoro 45
lusingando
ne recano i malnati;
e
se questo costei forse lor niega,
incontanente
ver lei son turbati.
Se
ella forse copiosa spiega
tal
grazia a' domandanti, in aspra pena, 50
non
conoscendolo essi, i tristi lega.
Vorrieno
alcuni aver la borsa piena
per
poter comandare: oh quanto senno
poco
costor per via malvagia mena!
Or
credono e' che minaccevol cenno 55
faccian
le lor ricchezze: anzi il faranno
quelli
a cui per guardarle subbietti enno.
Già
puoi veder che gli uomin poco sanno,
ché
per aver delle cose mondane
consuman
sé con non utile affanno. 60
In
brieve adunque queste cose vane
si
consumano e passano, e dovreste
in
ciò tututti aver le menti sane,
ognor
veggendo ciò ch'avien di queste,
come
partendo e tornando tal volta 65
le
menti vostre fanno liete e meste.
Costei,
di cui parliam, s'a voi rivolta
con
tristo viso vi si mostra spesso,
(se
ben hai tutta mia ragion raccolta,
ov'io
ho quasi tutto quanto messo 70
il
suo poter) vi dovria rallegrare,
e
non porger dolor negandovi esso.
Nostro
verace ed util ragionare
troppo
si stenderia volendo intero,
ciò
che dir si porria, d'essa parlare. 75
Di
ciò ch'è detto basti, e con sincero
parere
fa che il prendi, sì che forse
non
tragghi error del mio lucido vero.
Ogni
parer che 'l rimirar ti porse,
di
là vedendo, caccia e quel disio 80
massimamente
che di lor ti morse:
fiso
mirando quello per che io
qua
entro ti menai, fa che col viso
segui
com'io col mio parlar m'invio.
Ogni
mondan valor vedrai conquiso 85
in
termine assai brieve: fa ch'ascolti
e
che non sia dal tuo intender diviso
ciò
ch'io dirò qui appresso di molti –.
CANTO
XXXIV
–
Horribilmente percuote costei –,
cominciò
ella a dir, – chiunque sale
su
la sua rota fidandosi a lei;
onde
ciascun, ch'è qui, per cotal male
piangendo
si ramarca, ed essa vedi 5
che
di tal pianto niente le cale.
Il
suo officio fa, e vo' che credi
che
rade volte aspetta il suo girare
che
lo stato di uno a' terzi eredi
venga,
ma con mirabile voltare 10
dà
a costui a quell'altro levando,
come
vedi un salire, altro abassare.
Intento
dunque quivi riguardando
puo'
tu veder quella città caduta
che
Cadmo fece, lo bue seguitando. 15
Potente
e grande, più ch'altra tenuta
ch'al
mondo fosse, allora fu, ed ora
di
pruni e d'erbe la vedi vestuta,
ruvinati
gli ostier, né vi dimora
altro
che bestie salvatiche e fiere, 20
e
quanto fosse grande parsi ancora.
Iocasta
trista vi puo' tu vedere
ch'al
figlio moglie misera divenne,
ben
ch'avenisse sanza suo sapere;
e
vedi que' che questa tutta tenne 25
contra
'l voler del frate, per cui questo
distruggimento
misero n'avenne.
Giace
con lui in quel fuoco molesto,
che
quivi vedi, il frate, che amendui
fu
l'uno all'altro uccider così presto. 30
Oltre
un poco poi vedi colui
che
sopra 'l mur da Giove fulminato
fu,
dispregiando ancor negli atti lui.
Con
questi vedi Adastro allato allato,
con
gli altri regi che l'accompagnaro 35
a
quel distrugimento dispiatato.
Vedi
Tideo, vedi il pianto amaro
che
fer le triste che a compimento,
in
ristoro del duol, la consumaro.
Non
t'è occulto or quanto mutamento 40
dal
bene al mal fosse quel di costoro,
e
quasi fu in un picciol momento.
Pon
mente poi un poco dietro a loro:
Troia
vedrai e 'l superbo Ilione,
ch'a
pena alcuna parte par di loro. 45
Ora
non v'ha né tetto né magione,
ma
qual caduto e qual arso si mostra,
come
tu vedi, e sai ben la cagione.
Così
costei con cui le piace giostra,
sempre
abattendo chi s'oppone ad essa; 50
ma
perseguiamo alla materia nostra.
Or
mira a piè della città depressa,
e
vedi que' che già ne fu signore
quando
da' Greci fu con forza aggressa:
Priamo
dico, il cui sommo valore, 55
la
sua ricchezza, la fama e l'ardire,
i
molti figli, il potere e l'onore
raccontar
non porriasi mai né dire;
questa
arsa e' figli morti innanzi ad esso
tututti
vide avanti il suo morire. 60
Ecuba
trista puoi vedere appresso
per
doglia andar latrando come cane,
morte
chiamando, che l'uccida, spesso.
Similemente
ancor delle troiane
genti
vi vedi assai in sanguinoso 65
lago
star morte e d'ogni possa vane.
Tra
gli altri puoi vedere il valoroso
Ettor
giacer, e non li valse niente
contra
costei il suo esser famoso.
Ivi
Parìs ancora, insiememente 70
Troiolo,
Polidoro e Pulisena
veder
puoi tu giacere assai vilmente.
Agamenòn
insieme e la sua pena:
poi
ch'ebbe Marte e Nettunno avanzato,
vedi
ch'Egisto a lui l'ultima cena, 75
togliendoli
la vita, dà, ingannato
lui
col vestir malizioso e fallace,
nel
quale e' tristo s'è raviluppato.
E
vedi ancor Senacherìb che giace
morto
dentro a quel tempio, e vedi Enea 80
che
Turno, il qual si credea stare in pace,
lui
caccia via. – E appresso parea
Serse
dolente e tristo nello aspetto,
del
passare Ellesponto ancor piangea.
Oh
quanto pien di furia e di sospetto 85
Atamante
teban, che uccise i figli,
quivi
parea, nel sembiante dispetto,
nelle
lor carni ancor con tristi artigli!
CANTO
XXXV
–
Tu puoi –, rincominciò la donna a dire,
veder
qui Alessandro, ch'assalio
il
mondo tutto, per velen morire;
e
non esser però il suo disio
pien,
ma più che giammai esser ardente, 5
e
'n tale ardor, come vedi, morio.
Lo
qual fu quanto alcun altro possente,
né
però averia questa lasciato,
che
se fosse vivuto, che vilmente
lui
non avesse in infimo voltato 10
della
sua rota; ma quel che costei
non
fé, morte adempié nel nominato.
E
poi appresso puoi veder colei
che
pugnò con Pallade come stolta,
ch'ancor
del fallo suo par dica omei. 15
Come
la vedi ancor quivi ravolta
ne'
suo' istracci, in ragnol trasmutata
fu
dalla dea e dal laccio disciolta.
Tu
puoi appresso vedere effigiata
la
sembianza di Dario, la quale 20
di
leto aspetto in tristo par mutata.
Oh
come poco al presente li vale
essere
stato grande! anzi gli è noia
or
che si vede in disperato male.
Aver
puoi già udito quanta gioia 25
avesse
Niobè de' suoi figliuoli,
e
agual qui pare di dolor si muoia.
Guarda
un poco innanzi, se tu vuoli:
superba
lei potrai quivi vedere
ancora
incerta de' suoi tristi duoli; 30
lor
poi appresso ad uno ad un cadere
morti
dintorno a lei ancor vedrai,
per
la superbia e suo poco sapere.
In
trista angoscia ed in amari guai
la
vedi quivi ritornata umile, 35
sanza
suo pro di sé piangendo assai.
Appresso
vedi que' che con sottile
maestero
del padre usci volando
del
Laberinto, che tenendo vile
miseramente
ciò ch'amaestrando 40
il
padre gli avea detto, per volare
troppo
alto, in giù, le sue reni spennando,
ora
si cala, e appresso affogare
più
là il vedi ne' salati liti:
questo
avien de' non savi seguitare. 45
Riguarda
poi più là: vedi smarriti
il
fiero Ciro e Persio; ne' sembianti,
l'ardir
perduto, paiono inviliti.
Or
vedi ancora a mano a man da quanti
uccelli
il corpo di Nabùch è roso, 50
temendo
il figlio che per tempo avanti,
surgendo
del sepolcro, poderoso
non
ritornasse e lui cacciasse fore
del
regno, dove vivea glorioso.
Ivi
ve' tu ancora il gran romore 55
che
fanno le figliuole di Piero
voltate
in piche per greve dolore.
Veggon
sanza lor pro ora quel vero
ch'a
lor superbamente s'ocultava
nel
lor parer fallace e non intero –. 60
E
quivi appresso costei mi mostrava
Cartagine
in ruvina, tutta accesa
d'ardente
fuoco che la divampava.
Riguardar
quella con sembianza offesa
mi
mostrò quella donna Scipione, 65
al
cui valor non potè far difesa.
Seguiva
con non poca ammirazione
Anibale,
turbato nello aspetto
o
di quella o di sua distruzione.
In
abito dolente e con sospetto 70
quivi
Asdrubale ancora si vedea,
col
capo basso mirandosi il petto.
Là
similmente veder mi parea
la
struzione della antica cittate
di
Fiesole, la qual tutta cadea. 75
Ivi
pareva la gran crudeltate
che
'l pistolese pian sostenne pieno
di
Catellino, le cui opre spiatate
quasi
narrando non verrian mai meno,
avvegna
ch'a ragion posto li fosse 80
nella
sfrenata bocca cotal freno.
Vedevanvisi
ancora le percosse
che
Mario da Lucio sostenne,
quando
la briga cittadina mosse.
A'
quei così, come a colui n'avenne, 85
possa
avenir, che nelle città loro
a
suscitar battaglia metton penne,
lasciando
il comun ben per suo lavoro.
CANTO
XXXVI
–
Intento ora ti volgi a riguardare
la
vendetta di Dio, che non oblia
mai
fallo alcun che si debbia purgare.
Se
'n parer posto forse ad alcun sia
ch'ella
si muova con un lento passo, 5
non
è così, ma que' troppo disia;
o
se va forse adagio al tristo lasso
ch'aspetta
quella per la fatta offesa,
non
giova già, che più grave fracasso
segue
per quello indugio: sì compesa 10
al
fatto fallo, sì che igualmente
da
ogni parte la bilancia pesa.
Pon
mente là: colui che sì vilmente
veste
e si tien la mano alla mascella,
mostrando
sé nel sembiante dolente –, 15
incominciò
colei, – oh quanto fella
fu
l'aspra signoria che 'n Siragusa
tenne,
mentre per lui si guardò quella!
Nel
tempo avanti che li fosse chiusa,
tiranneggiando
fieramente in essa 20
sanza
ricevere o priego o iscusa,
tenea
la gente sì vilmente oppressa,
ch'ognun
piangeva e dicer non osava
la
doglia sua, per tema d'altra ressa.
Oh
come fiero li tiranneggiava! 25
e
Dionisio fero fu chiamato
per
la fierezza la quale elli usava.
Così
avenne che ne fu cacciato
con
tanta noia e con tanto furore,
ch'a
lui parve aver vinto esser campato. 30
Onde
fuggendo ad Atena, il dolore
mitigato,
pensò, per non morire
di
fame, farsi in lettera dottore.
Nol
vedi tu ched e' fa là aprire
i
libri a' garzonetti e mostra loro 35
com'una
lettera altra dee seguire?
Poi
guarda avanti nel dolente coro,
e
vederai Tesaglia sanguinosa
del
roman sangue mischiato e di ploro.
Or
guarda quivi, e vedi sconcia cosa 40
tanti
grandi uomin, tanti valorosi
esser
sommessi a rovina angosciosa.
Simile
guarda quanto ponderosi
son
gli alberi del sangue che portati
v'hanno
li piè delli uccellon golosi, 45
i
qua' prima si son ben satollati
de'
corpi morti, che sanza alcun foco
o
sepoltura stan quivi gelati.
Fra
folti boschi o tane o altro loco
leon
né lupo né can par rimaso 50
che
non si pasca quivi o molto o poco.
Ondeggiar
vedi del dolente caso
i
tristi fiumi, ed ispumanti, rossi
del
tristo sangue non isparto in vaso.
Riguarda
là Pompeo con volti dossi 55
che
fuggendo abandona il campo tristo,
ed
ancor ve' come a Lesbòs posossi.
Se
là rimiri, con sembiante misto
di
lagrime Cornelia accoglier lui
vedrai,
poi che sconfitto l'ebbe visto; 60
e
vedi ancor come quindi con lui
si
parte e vanne per mare in Egitto,
in
sé immaginando che colui
dovesse
lui ricevere, respitto
avendo
al regno che avuto avea 65
da
lui: ma 'l suo pensier non venne dritto –.
Avanti
mi mostrò, dov'io vedea
come
scendea del suo legno Pompeo,
perché
carico troppo li parea,
di
quello entrando in un che Tolomeo 70
per
Achillàs insieme con Futino,
sotto
spezie d'onor, menar li feo.
In
quel già assettato lui meschino,
i
traditori, alquanto indi lontani,
pigliaron
lui, quasi al suo mal divino, 75
sì
com parea: il capo l'aspre mani
a
lui tagliaro, il tronco in mar gittaro,
e
quello al sir portaron di lor cani.
Ivi
pareasi ancora il duolo amaro
che
Codro fece quando vide il busto 80
del
capo, ch'a' Roman fu tanto caro.
Onde
dolente, povero e vetusto
prendea
di notte quello, al mio parere,
e
poi che 'n picciol fuoco lui combusto
sotterrato
ebbe secondo il potere 85
in
piccioletta fossa, ricoprendo
lui
del sabbione, con lagrime vere
il
suo infortunio ripetea piangendo.
CANTO
XXXVII
Vedevavisi
appresso quanto e quale
già
fosse stato Cesare, tenendo
in
prima in Roma offizio imperiale.
Oh
quanto poco questo possedendo
il
vedea gloriar! che quivi allato 5
tra'
sanatori il vedeva morendo,
lui
avendo essi tutto pertugiato
co'
loro stili, e quegli era piggiore
cui
elli aveva già più onorato.
E
simile la rabbia e 'l gran furore 10
di
Neron si vedeva terminare
in
brieve tempo con molto dolore.
Risplendevavi
ancora, ciò mi pare,
ciò
che fé Giuba mai, ed ivi appresso
dopo
'l salir il suo tristo calare. 15
Tarquin,
Porsenna e Lentulo dop'esso,
Ovidio,
Tulio, Amulcar si vedieno
ed
altri molti, i quali io con espresso
riguardo
non mirai, perché già pieno
di
tal materia aveva lo 'ntelletto, 20
ed
eran tanti che non venien meno.
–O
beato –, diss'io, – que' che l'effetto
ad
altre cose tira che a queste,
le
quali istato mostrano imperfetto!
Più
vili ch'altre sono e più moleste, 25
piene
d'inganno e d'affanno gravoso,
e
la lor fine è sola mortal peste –.
Poi
mi voltai al viso grazioso
di
quella donna che m'avea condotto,
dicendo:
– Il mio voler, che fu ritroso, 30
or
è tornato dritto, e già non dotto
che
questi ben terren son veramente
que'
che a' vizi ciascun mettono sotto.
Nessun
porria pensar che tanta gente,
così
famosa e di tanta virtute, 35
Fortuna
avesse sfatti sì vilmente.
Fosse
chi nol vedesse? o chi salute
ispererà
omai, se non coloro
che
le vere ed etterne han conosciute?
Il
più far qui omai lungo dimoro, 40
donna,
mi spiace: però giamo omai
dove
volete, e qui lascian costoro –.
Allor
disse la donna: – Or t'è assai
aperto
che costei esser turbata
vi
dà salute ed iscemavi guai? 45
Ma
se tu fossi stato altra fiata
così
disposto, come ora ti sento,
già
meco fori in capo alla montata.
Ma
poi che del seguirmi se' contento
ed
hai veduto le mondane cose 50
volubili
e caduche più che vento,
appresso
viemmi, ché le gloriose
ed
etterne vedrai. Ma non torniamo
onde
venimmo, per le 'mpetuose
tralciute
vie, ma di qua teniamo, 55
ché
picciola rivolta alla portella
prima
ci menerà, che noi vogliamo –
Ora
si mosse questa ed io dop'ella,
di
quelle cose molto ragionando
ch'eran
dipinte nella sala bella. 60
Ognor
seguendo lei, così mirando
intorno
a me per veder ciò che v'era
e
nella mente ogni cosa recando.
sì
vi vidi io, per una porta ch'era
alla
sinistra mano, un bel giardino 65
fiorito
e bello com di primavera.
–
Entrian –, diss'io, – in questo orto vicino,
donna,
se piace a voi, ché poi alquanto
ricreati
terrem nostro cammino –.
Là
entro udiva io festa e gran canto, 70
onde
mi crebbe d'esservi il disio,
sì
ch'altri mai non disiò cotanto.
Mirandomi
allor dopo, mi vid'io
i
due primier che dicean: – Che, non passi
dentro,
poiché ardi di volere? – ed io 75
infra
me gia dicendo: «Se tu lassi
costei
per colà entro voler gire,
s'ella
non vien, chi guiderà i tuoi passi?».
–
Oh – cominciò costei allora a dire,
–
che credi tu che colà entro sia? 80
Troppo
ti volge ogni cosa il disire.
Faccian,
mentre avem tempo, nostra via,
ché,
come tu costà pinto hai veduto,
così
v'è dentro mondana vania.
Il
ver che ora avanti conosciuto, 85
secondo
il tuo parlar, avevi tutto,
seguilo,
e non voler con non dovuto
operar
seguir danno e perder frutto –.
CANTO
XXXVIII
Comincia'
io allora: – A te che face
l'entrar
là entro ed un poco vedere?
Io
verrò poi là ovunque ti piace –.
–
Or veggio ben che tu il tuo parere
vuo'
pur seguire in ciascheduna cosa, 5
e
fai quel che tu vuo' a me volere –.
Così
mi disse, e quasi dispettosa
soggiunse:
– Andian, ched e' potrà seguire
che
quando tu in più pericolosa
angoscia
ti vedrai, vorrai reddire 10
con
meco adietro e non esser forse ito,
ed
io ti lascerò in tal martire –.
Non
fu il suo parlar da me udito
allor
per poco, tanto avea la mente
pure
al giardin verdeggiante e fiorito. 15
Tutti
e quatro v'entrammo insiememente:
tanta
gioia vi vidi, che ciò ch'io
dinanzi
vidi ivi m'usci di mente.
Ahi
quanto egli era bello il luogo ov'io
era
venuto, e quanto era contento 20
dentro
da me l'ardente mio disio!
Rimirando
m'andava intorno attento
per
lo gioioso loco, scalpitando
l'erbette
e' fior col passo lento lento.
Sì
con diletto per lo loco andando 25
vidi
in un verde e piccioletto prato
una
fontana bella e grande; e quando
io
m'appressai a quella, d'intagliato
e
bianco marmo vidi assai figure,
ognuna
in diverso atto ed in istato. 30
Mirando
quelle, vidi le scolture
di
diversi color, com'io compresi,
qua'
belle e qua' lucenti e quali oscure.
Vidi
lì un bel marmo; e quel sedesi
sopra
la verde erbetta, di colore
sanguigno
tutto, e 'n su quella stendesi 35
in
piano, e s'io già non presi errore
nell'avisare,
una canna per verso,
quadro
e basso e lucido di fore.
Sovr'ogni
canto di quel marmo terso
di
marmo una figura si sedea, 40
ben
che ciascuna avea atto diverso,
ch'umil,
bella, soave mi parea
l'una
di queste, e due spiritelli
con
l'una mano a pie di sé tenea.
Habituati,
parlando con quelli, 45
gli
aveva sì in un voler recati,
che
ciascuno contento è di quel ch'elli
all'altro
vedea 'n voglia; e colorati
eran
li suoi vestir di tanti e tali
color,
ch'io non li avrei mai avisati. 50
Nell'altro
canto, a man destra, ch'iguali
spazio
occupava, una donna vi stava
ad
ogni creatura disiguali.
Ella
nel capo suo quivi mostrava
tre
visi, ed è vestita, ciò mi pare, 55
come
di neve e così biancheggiava.
Là
vid'io poi nel terzo angulo stare
una
donna robusta tutta armata,
ad
ogni affanno presta di portare.
Parea
di ferro questa ivi formata 60
tutta
a veder; e dopo lei seguia
un'altra
sopra 'l quarto angul fermata.
Rimirando
colei ognun diria
che
di fino smeraldo fatta fosse,
in
abito piacente, umile e pia. 65
Or
quel che più a mirarle mi mosse
fu
un vaso vermiglio grande e bello,
che
tutte sostenien con le lor posse.
Fermato
sopra loro, il bel vasello
più
chè 'l sanguigno marmo si spandeva 70
sopra
'l fiorito e verde prato quello.
Egli
era tondo, e 'n mezzo d'esso aveva
fermata
una colonna piccioletta
che
diamante in vista mi pareva,
ritonda
e bella; e sopra quella eretta 75
un
capitel v'aveva di fino oro,
fatto
con maestria, non miga in fretta;
e
sopra quel tre figure dimoro
faceano
ignude, e le spalle rivolte
erano
l'una all'altra di costoro. 80
Rideva
l'una in atto, ben che molte
lagrime
fuor per gli occhi ella gittasse,
che
poi nel vaso parevan racolte.
Bruna
era e nera; e poi che somigliasse
foco
pareva l'altra e dalla poppa 85
d'acqua
gittava; e la terza sopr'a sé
rampollava
ancor, bianca ma non troppa.
CANTO
XXXIX
Oh
quanto bella tal fonte pariemi
e
quanto da lodar, tal che giammai
di
mirarla saziato non sariemi!
Com'io
a basso al vaso riguardai,
dove
l'acqua cadea ch'era gittata 5
da
quelle tre, se bene immaginai
o
vidi il vero, io vidi ch'adunata
era
da parte quanta ne gittava
la
bianca donna e là effigiata.
Onde
uscia quella del vaso vi stava 10
un
capo d'un leone, e ver levante
d'un
picciol fiume il bel giardin rigava.
Tolto
di quivi e fattomi più avante,
ciò
che la donna vermiglia spandea
nel
vaso vidi fare il simigliante. 15
Rimirando
esso ancora vi vedea
una
testa d'un toro, al mio parere,
del
qual quell'acqua adunata scendea;
oltre
ver mezzogiorno il suo sentiere
tenendo,
mi parea che se ne andasse 20
ancor
rigando il piacente verziere.
Poi
mi parve ch'alquanto mi tirasse
inver
la terza donna tutta nera,
che
ridendo parea che lagrimasse.
Parevami
che, poi ch'adunato era 25
suo
lagrimar nel vaso, che scendesse
per
una testa ancora che quivi era;
ove
mirando, parve ch'io vedesse
che
lupo fosse, e questa se ne gia
or
qua or là, né parea che tenesse 30
en
l'andar suo nulla diritta via:
ad
aquilon talora e ver ponente
scendendo,
non so dove si finia.
Ciò
che dal leon cade pianamente
dico
che corre, e sopra li suoi liti 35
d'erbe
e di fior si vede ognor ridente.
Herba
non v'ha, né frutti che smarriti
teman
dell'autunno, ma tuttora
con
frutti e frondi be' verdi e fioriti
ivi
dimoran, né mai si scolora 40
prato,
ma bel di variati fiori
la
state e 'l verno sempre vi dimora.
A
que' 'l ruscel, che al toro di fori
cade
di bocca, similmente è bello
d'erbe
e di fior di diversi colori; 45
rivestito
di ciascuno albuscello
è
'l dolce lito, che porti verdura,
e
similmente d'ogni gaio uccello.
Odesi
alcuna volta en la pianura
le
frondi risonar per dolce vento, 50
il
qual si move da quell'aere pura.
Ogni
pratel di quel lito è contento
di
mutar condizione a tempo e loco,
secondo
c'ha 'l vigore acceso e spento.
Rallegrasi
ogni animale e gioco 55
vi
fa, secondo che amor lo strigne
sotto
la forza sua o molto o poco.
Ovunque
la natura più dipigne
la
terra di bellezza, è a rispetto
nulla
di quello che quel fiume tigne. 60
Così
veduto quel, con lo 'ntelletto
io
corsi a quel che fuor del lupo usciva:
ov'io
non vidi un albero soletto
o
altra pianta, la qual verde o viva
vi
sia, ma secca la pianura trista, 65
biancheggiar
tutto con l'occhio scopriva.
Aveva
ben del fiumicel la lista
tinta
la terra d'un suo color perso,
che
quasi lo schifava la mia vista.
Mossimi
allora quindi, ed a traverso 70
presi
il sentiero per lo bel giardino,
per
gire al fiume del bel toro emerso.
E
quella donna con cui il cammino
impresi
prima, disse: – Se ti piace,
andian
per questa via, ché più vicino 75
ne
fia 'l sentier che ci merrà a pace.
Dove
tu vai, come tu hai veduto,
è
del bel transitorio e fallace;
del
qual se tu ti se' bene aveduto,
come
dicevi e come il tuo parlare 80
mostrava
che avessi conosciuto,
a
quel non guarderesti, ma andare
il
lasceresti come cosa vana
e
'ntenderesti a sol me seguitare.
Trai
dalla mente tua quel che insana 85
esser
la fa, giovi quel ch'io ti dico,
e
per quel falla che ritorni sana:
e
non esser di te stesso nimico –.
CANTO
XL
La
donna mi parlava, ed io mirando
con
l'occhio andava pure ove 'l disio
mi
tenea fitto, non so che ascoltando.
Avevami
davanti, al parer mio,
su
quella riva assai donne vedute, 5
di
cui veder in tal voglia venn'io,
ch'io
dissi: – Donna mia, a mia salute
non
pensar più ch'i' voglia, a tempo e loco
farò
d'adoperar la tua virtute;
ch'ora
di novo m'è nel cor un foco 10
venuto
d'esser là: però o vienci,
o
tu m'aspetta infin ch'i' torni un poco.
In
qual parte vorrai poi insieme andrenci:
nostra
stanza fia poca veramente,
che
noi da veder quelle liberrenci –. 15
Oltre
n'andai, sanza dir più niente,
co'
due che mi traevano, e costei
quasi
scornata mi teneva mente
con
intentivo sguardo, ed io a lei;
sanza
dir nulla io la vi pur lasciai, 20
o
bene o mal non so qual io mi fei.
Hardito
con costoro oltre passai,
e
'n sulla riva del bel fiumicello
io
vidi donne ch'io conobbi assai;
e
riguardando lor con occhio snello, 25
qual
gia cantando e qual cogliendo fiori,
chi
sedea, chi danzava in un pratello.
Bello
era il loco e di soavi odori
ripien
per molte piante che 'l coprieno
dal
sole e dalli suoi già caldi ardori; 30
e'
suoi cavalli, al mio parer, salieno
già
sopra la quarta ora e mezzo il segno
del
friseo monton co' piè tenieno.
Non
credo ched e' sie sì alto ingegno
che
'nteramente potesse pensare 35
le
bellezze di quelle ch'io disegno.
Rimanga
adunque qui questo lodare,
sol
procedendo a' nomi di coloro
ch'io
vi conobbi degne di nomare.
Infra
quel bello e grazioso coro 40
di
tante donne, vidi una bellezza
ch'ancora
stupefatto ne dimoro.
Pietoso
Appollo, alquanto dell'altezza
del
tuo ingegno presta, o tu ispira
ora
per me con la tua sottigliezza! 45
Omero,
Maro, Naso, o chi più mira
discrizione
o di donna o di dea
fé,
saria poco a quella che si gira
sopra
quel prato, ov'io vidi sedea
giovinetta
leggiadra e tanto bella, 50
ch'io
la pensai per fermo Citarea.
Inginocchia'
mi per volere ad ella
far
reverenza, ma poscia m'avidi
ch'era
mondana e somigliava stella.
Sallosi
Amore che i piatosi gridi 55
del
cor sentì a sì mirabil vista,
ch'io
nol so dir, ché non ho chi mi guidi,
e
s'io pur conforto l'anima trista
poi
che per li occhi senti' 'l dolce raggio
di
tal bellezza, per obliqua lista. 60
Istesi
adunque inver di lei il visaggio,
e
s'a sua posta l'alma, ch'altra guarda,
dar
si potesse, io muterei coraggio.
Nel
viso che d'amor sempre par ch'arda
afigurai,
mirando con diletto, 65
che
costei era la bella lombarda.
Signore
etterno, a cui nessuno effetto
mai
si nascose, alla giusta preghiera
rispondi
e dì: fu mai sì bello aspetto?
Essa
sopra la verde primavera 70
si
riposava con altre dintorno,
delle
quali il bel luogo ripien era,
faccendo
con la luce dell'adorno
e
bellissimo viso, riflettendo
con
lume, troppo più il chiaro giorno; 75
rimirando
talor, fra sé ridendo
ver
me di me, che arso m'accendeva
di
nova fiamma ancora lei vedendo.
Udire
appresso questa mi pareva
cantar
tanto soave in voce lieta 80
che
me di me sovente mi toglieva.
Così
al canto libera e quieta
tutta
la mente avea disposta, allora
che
con benigna voce e mansueta: 85
–
Troppa qui lunga dispendiam dimora –,
i
due mi dissero; a' qua' rivoltato
risposi:
– Andiam, sed e' vi pare, ancora –.
Oltre
la via prendemmo per lo prato.
CANTO
XLI
Oltre
passando tra' fiori e l'erbette,
in
loco pien di rose e d'albuscelli
venimmo,
ove ciascun di noi ristette;
fra
li qua' canti piacenti d'uccelli
s'udivan
tai, che io mi saria stato 5
quasi
contento pure ad udir quelli.
Or
mirando più là nel verde prato,
donne
vi vidi una carola fare
ad
uno strano suon, ch'una dallato
ritta
a me mi parve udir sonare. 10
Io
non conobbi lei, posto ch'assai
bella
paresse a me nel riguardare:
sì
ch'io avanti all'altre riguardai,
ornata
quale a sua somma grandezza
si
conveniva, in atti lieti e gai, 15
esser
la mira e piacevol bellezza
di
Perigota, nata genitrice
dell'onor
di Durazzo e dell'altezza.
Ahi
quanto allor mi reputai felice,
non
risparmiando gli occhi a mirar quella 20
che
per bellezza si può dir fenice!
La
qual non donna, ma diana stella,
con
passo rado la menava attenta,
non
altrimenti che si voglia ad ella,
con
gli occhi bassi, del mirar contenta 25
che
io faceva in lei, che già sentia
come
d'altrui per biltà si diventa.
Vaga
e leggiadra molto la seguia
la
ninfa fiorentina, al cui piacere
oppongon
tai, che non san che si sia, 30
nel
viso lei parere un cavaliere,
onesta
andando sì umilemente
ch'oltra
dovere me ne fu in calere.
Dopo
essa, attenta al suon similemente,
veniva
quella Lia che trasse Ameto 35
dal
volgar uso dell'umana gente,
in
abito soave e mansueto,
inghirlandata
di novella fronda,
con
lento passo e con aspetto lieto.
Lì
dopo lei, bianca e rubiconda 40
quanto
conviensi a donna nel bel viso,
tutta
gentile, graziosa e gioconda,
era
colei di cui nel fiordaliso
il
padre fu dall'astuzia volpina,
col
zio e col fratel di lei, conquiso 45
con
molta della gente fiorentina:
li
quai libraron lor poscia, per merto,
troppo
più che 'l dover pace vicina.
Tra
tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto
era
'n quel loco, vid'io poi seguire, 50
come
'l ramemorar me ne fa certo,
ognor
più belle è più conte nel gire
donne
altre assai, i nomi delle quali
io
non saprei di tutte ben ridire.
Però
le taccio, ma con disiguali 55
passi
e maniere si movea catuna,
sì
come il suon ne porgeva segnali,
oltre,
al parer mio; e ciascheduna
a
tal bisogna conta, lieta e presta
mi
pareva che fosse, perch'ognuna, 60
ridendo
in sé, prendeva gioia e festa,
sanza
mostrar negli atti ch'altra cura
le
fosse forse dentro al cor molesta.
Givansi
adunque su per la verdura
e
sopra i fior che novi produceva 65
allato
al rivo la bella pianura;
e
talor quella che le conduceva
fino
alla bella fonte se ne giva
e
'ntorno ad essa in giro si torceva,
sopra
tornando per la chiara riva 70
del
fiumicello e poi nel pian tornando
che
di diversi odor tututto oliva.
Sempre
con l'occhio quelle seguitando
m'andava
io, e dentro lo 'ntelletto
la
lor bellezza giva immaginando; 75
e
di quella prendea tanto diletto
in
sé, ch'alcuna volta fu che io,
a
tal piacer, credetti far subbietto
alla
mia voglia quiveritta il mio
libero
albitrio: ma pur si ritenne 80
con
vigorosa forza il mio disio.
Voltatomi
a que' due, allor mi venne,
ch'eran
con meco, verso lor dicendo:
–
Oh quanto a queste natura sovenne,
ogni
bellezza in esse componendo! 85
Beati
que' che della grazia d'esse
son
fatti degni, quella mantenendo,
la
qual volesse Iddio che io l'avesse! –.
CANTO
XLII
E
mentre ch'io m'andava sì parlando
con
questi due, ed ecco d'altra parte
molte
donne gentili assai danzando.
Certo
non credo che natura od arte
bellezze
tante formasse giammai, 5
quanto
ne' visi a quelle vidi sparte.
Tra
me medesmo men maravigliai,
ma
volto il viso a lor, come venieno
così
nella memoria le fermai.
Onde
mi par che quella, cui seguieno 10
danzando
a nota d'una canzonetta
che
due di quelle cantando dicieno,
raffigurando,
era una giovinetta
dell'alto
nome di Calavra ornata,
di
Carlo figlia gaia e leggiadretta: 15
reggendo
quella alla nota cantata
con
volte degne e passi, a cotal danza,
come
mi parve, appresso seguitata
ivi
dall'alta ed unica intendanza
del
Melanese, che col Can lucchese 20
abatté
di Cardona l'arroganza.
Nelle
man della qual poi la cortese
donna
di quel cui seguita Ungheria,
bellissima
si fece a me palese:
graziosa
venendo, onesta e pia, 25
con
lieta fronte, in atto signorile,
fece
maravigliar l'anima mia.
Riguardando
oltre, con sembianza umile
venia
colei che nacque di coloro,
che
tal fiata con materia vile 30
aguzzando
lo 'ngegno a lor lavoro,
fer
nobile colore ad uopo altrui,
multiplicando
con famiglia in oro.
Tra
l'altre nominat' è da colui
che
con Cefàs abandonò le reti 35
per
seguitare il Maestro, per cui
i
tristi duoli e gli angosciosi fleti
fur
tolti a' padri antichi, e parimente
da
Lui menati nelli regni leti.
Appresso
questa assai vezzosamente 40
se
ne veniva la novella Dido,
di
nome, non di fatto veramente,
tenendo
acceso nel viso Cupido,
di
tale sposa ch'assai mal contenta
credo
la faccia nel marital nido. 45
Ed
il nome di lui di due s'imprenta,
d'un
albero e d'un tino, e 'l poco fatto
dal
suo diminutivo s'argomenta.
Costei
seguiva con piacevol atto
donna
che del sussidio d'Orione 50
il
nome tien, quando sonò per patto.
Oh
quanto ella vorria, ed a ragione,
vedova
rimaner partenopea
di
tal c'ha nome da quel che menzione
l'agosto
dà ad Ascesi! E poi vedea 55
dopo
essa molte, le qua' raccontare
per
più brieve parlar meglio è mi stea.
E
com'io dissi, ad un dolce cantare,
in
voce fatto angelica e sovrana,
era
guidata, qual di sotto pare. 60
–
In chiunque dimora alma sì vana
ch'esser
non voglia suggetta ad Amore,
da
nostra festa facciasi lontana.
Lo
suo inestimabile valore,
che
adduce virtute e gentilezza, 65
a
ciascuna di noi disposto ha il core
a
sempre seguitar la sua grandezza,
e
lui servendo staremo in disire,
tanto
che sentiren quella dolcezza
ched
e' concede altrui dopo 'l martire: 70
null'altra
gioia al suo dono è iguale,
poiché
per quel sembra dolce il morire.
Vita
che sanza lui dura non vale
né
più né meno che se ella fosse
cosa
insensata o d'un bruto animale. 75
In
quel disio adunque in che ci mosse,
quando
a noi fé sua signoria sentirsi,
a
sostenere inforzi nostre posse:
benivol
poi essendoci a largirsi,
sì
che, deh, non ci paian le ferute 80
di
lui noiose né grave il soffrirsi,
in
cui consiste la nostra salute;
quando
parralli, la dobbiamo avere,
dandola
tosto con la sua virtute –.
L'altre
poi tutte appresso, al mio parere, 85
rispondendo
diceano: – O signor nostro,
in
te si ferma ogni nostro volere,
tutte
disposte siamo al piacer vostro –.
CANTO
XLIII
Aveami
già quel canto e la bellezza
delle
giovani donne l'alma presa
e
riempiuta di nuova allegrezza,
tanto
che ad altro la mente sospesa
con
gli occhi non tenea, che non faceano 5
alli
raggi di lor nulla difesa;
e
com'io loro alzai, vidi sedeano
donne
più là, quasi sé riposando,
che
forse fatta festa innanzi aveano.
Queste,
mentre io andava riguardando, 10
d'erbe
e di frondi tutte coronate
vidi
ed insieme d'amor ragionando.
Ver
è ch'ell'eran di maturitate,
di
costumi, di senno e di valore
e
di bellezza molto e molto ornate. 15
E
volto verso là, il primo ardore
della
bellezza dell'altre fu spento,
di
tutte, fuor che d'una, nel mio core;
sì
ch'io con passo mansueto e lento
a
quelle m'appressai com'io potei, 20
ed
a mirarle mi disposi attento.
Tra
l'altre che io prima conoscei,
fu
una ninfa sicula per cui
già
si maravigliaron gli occhi miei.
Oh
quanto bella lì negli atti sui, 25
biasimando
le fiamme di Tifeo,
si
sedea ragionando con altrui!
mostrando
come per quelle perdeo
l'amato
sposo in cieco marte preso,
allor
che tutto vinto si rendeo 30
in
Lipari lo stuolo, ond'elli offeso
col
bianco monte nel campo vermiglio
ne
fu menato, ove ancora è difeso,
mudando
in chiusa dell'aureo giglio;
donde
doleasi, perch'a lui riavere 35
non
valean prieghi, danar, né consiglio.
Ove
costei così, al mio parere,
quivi
doleasi, attenta l'ascoltava
giovane
donna di sommo piacere,
simile
a cui nessuna ve ne stava, 40
per
quel ch'a me paresse, nel suo viso
che
d'ogni biltà pien si dimostrava.
Sariasi
detto che di paradiso
fosse
discesa da chi 'ntentamente
l'avesse
alquanto rimirata fiso. 45
E
com'io seppi, ell'era della gente
del
Campagnin che lo Spagnuol seguio
nella
cappa, nel dire e con la mente,
a
sé faccendo sì benigno Iddio,
che
d'ampio fiume di scienza degno 50
si
fece, come poi chiar si sentio,
faccendo
aperte col suo sommo ingegno
le
scritture nascose, e quinci appresso
da
Carlo pinto gì nello dio regno;
faccendo
sé da quella, in cui compresso 55
stette
Colui che la nostra natura
nobilitò,
nomar, che poi l'eccesso
absterse
della prima creatura
con
la sua pena; e quivi coronata
della
fronda pennea, con somma cura 60
raggiugnea
fior per farsi più ornata,
mostrando
sé tal fiata piatosa
della
noia dell'altra a lei narrata.
Con
questa era colei ch'essere sposa
e
figliuola perdé quasi in un anno, 65
di
brun vestita e nel viso amorosa:
oggi
tornando dove i fabbri stanno
vulcanei
e' miropoli e coloro
ch'ornan
di freno e di sella, all'affanno
me'
sostener l'animal, ch'al sonoro 70
percuoter
di Nettunno apparve fori
nel
bel conspetto del celeste coro.
Ed
il bel nome che' gemmier maggiori
danno
alla perla è suo, il cui cognome
gli
Asini legan, di que' guardatori. 75
Splendida,
chiara e bella era sì come
nel
ciel si mostra qual più luce stella,
di
vel coperte l'auree chiome.
Vaga
più ch'altra, si sedea con ella
un'altra
fiorentina in atto onesto, 80
assai
passante di bellezza quella.
Ben
m'accors'io chi era e che dal sesto
Cesare
nominato era il marito,
qual
chi 'l conosce il pensa a lei molesto.
Guardando
adunque nel piacente sito 85
costoro
ed altre che v'erano assai,
sentiva
ben da me mai non sentito,
in
guisa tal ch'io men maravigliai.
CANTO
XLIV
Era
più là, di donne accompagnata,
la
Cipriana, il cui figliuolo attende
d'aver
la fronte di corona ornata,
con
quello onore che ad essa si rende
dell'isola
maggior de' Baleari, 5
se
caso fortunal non gliel contende.
Tra
le quali era, in atto non dispari
della
gran donna, un'altra tanto bella,
che
mi fur gli atti suoi a mirar cari.
Ognuna
quivi riguardava ad ella 10
per
la sua gran bellezza, ed io con loro
che
già in me riconosceva quella.
Ell'è
colei di cui il padre nell'oro
l'azzurro
re de' quadrupedi tene
nel
militare scudo, e di coloro 15
passata
stassi, come si convene,
isposa
d'un che la fronzuta pera
d'oro
nel ciel per arma ancor ritene.
E
con queste a seder bellissim'era,
simile
a riguardare ad una dea, 20
la
sposa di colui che la rivera
rosseggiar
fé di Lipari, eolea
isola,
poi togliendo in guidardone
l'amiraglia
da chi dar la potea.
Con
essa questa ancora ad un sermone 25
conobb'io
quella che fu tratta al mondo,
onde
fuggita s'era in religione,
honesta
e gaia nel viso giocondo,
moglie
di tal che me' saria non fosse:
ma
chi più sia non mosterrò del fondo. 30
E
l'altre oltre mirando, mi percosse
ma
non so che, e tutto quasi smorto
subito
altrove gli occhi e me rimosse.
Venend'io
così men sanza conforto,
tremando
tutto, mi ritorna' a mente 35
ch'io
vidi in una parte di quell'orto,
onesta
e graziosa umilemente,
una
donna sedere il cui aspetto
tutto
dintorno a sé facea lucente.
In
questo alquanto nel tremante petto 40
con
forza ritornò l'alma smarruta,
rendendo
forza al debile intelletto.
Così
mi ricordò che io veduta
avea
costei tra quelle donne prima,
e
'n altra parte ancora conosciuta. 45
Onde
se sua bellezza la mia rima
qui
al presente perfetta non dice,
maraviglia
non è; ma tanto estima
sentendo
l'alma mia, che om felice
mirando
quella dovria divenire, 50
se
la memoria mia ver mi ridice.
Tenendo
mente lei, sommo disire
d'entrar
mi venne dentro allo splendore
che
delli suoi belli occhi vedea uscire;
e
'n ciò pensando subito nel core 55
punger
sentimmi, e quasi in un momento
mi
ritrovai nel piacevol lustrore.
Ivi
mirabile il dimoramento
pareami,
e quasi in me di me facea
beffe
di sì notabile ardimento. 60
Ma
lì essere stato mi parea
tanto
che quattro via sei volte il sole
con
l'orizonte il ciel congiunto avea.
E
come nell'orecchia talor sole
subito
dolce suon percuoter tale 65
che
quello udendo poi le piace e vole,
così
orribil mi venne cotale
e
spaventommi per lungo soggiorno,
né
mi fé già, ben ch'io temessi, male:
–
O tu – dicendo, – ch'e' nel chiaro giorno 70
del
dolce lume della luce mia,
che
a te vago si raggia dintorno,
non
ischernir con gabbo mia balia,
né
dubitar però per mia grandezza,
la
quale umil, quanto vorrai, ti fia. 75
Onora
con amor la mia bellezza,
né
d'alcun'altra più non ti curare,
se
tu non vuo' provar mia rigidezza –.
Sentimmi
poi il cor dentro legare
co'
cari crini del suo capo, e adesso 80
più
volte intorno avolgere e girare.
Così
mi parve, se bene in me stesso
ricordo,
che costei dicesse: ond'io
risposi:
– Donna, a te tutto sommesso
io
sono e sarò sempre, e ciò disio –. 85
CANTO
XLV
A
tal partito nel beato loco
istandomi,
io mi senti' nel core
raccender
più ardente questo foco,
tal
ch'io pensai che 'l novello ardore
oltre
al dovuto modo mi tirasse, 5
tal
nel principio suo mostrò furore.
E
'l cor, che ciò pareva che pigliasse
a
sé, lo 'ncendio, quantunque potesse,
oltre
a dovuta parte a sé ne trasse. 10
E
così stando parve ch'io vedesse
questa
donna gentile a me venire
ed
aprirmi nel petto, e poi scrivesse
là
entro nel mio cor posto a soffrire,
il
suo bel nome di lettere d'oro 15
in
modo che non ne potesse uscire.
La
qual, non dopo molto gran dimoro,
nel
mio dito minore uno anelletto
metteva
tratto di suo gran tesoro;
al
qual pareami, se 'l mio intelletto 20
bene
stimò, che una catenella
fosse
legata, che infino al petto
si
distendeva della donna bella,
passando
dentro, e con artigli presa,
come
ancora scoglio, tenea quella. 25
Oh
quanto da quell'ora in qua accesa
fu
la mia mente del piacer di lei,
che
mai non era più stata offesa!
Moveami
questa ove pareva a lei
co'
suoi belli occhi, e sol pensando andava 30
com'io
potessi piacere a costei.
Infra
quel circuito che ocupava
la
luce sua, quasi come 'nretito,
a
forza a rimirarla mi girava.
Gravoso
mi parea l'esser fedito 35
e
più fiate lagrime ne sparsi,
non
potend'io durar l'esser partito
là
onde quella soleva mostrarsi
agli
occhi miei gentile e graziosa,
e
più nel cor sentia 'l foco allumarsi. 40
Io
non trovava nella mente posa,
sì
mi stringea pur di lei vedere
la
mente ardente di sì bella cosa.
Adunque
seguitando il mio volere,
dovunque
era costei, così tirato 45
parea
ch'io fossi dal suo bel piacere;
ma
certo in ciò Amor m'era assai grato,
sol
che 'l disio non fosse oltra misura
nell'amoroso
cor troppo avanzato.
Ognora
che la sua bella figura 50
disiava
vedere, Amor faceva
di
ciò contenta la mia mente scura,
rendendo
lei umil quand'io voleva.
E
questo più m'accendeva, vedendo
che
'l mio disio adempier si poteva, 55
né
per lei rimaneva ma, sentendo
forse
maggior periglio, consentia
che
io avanti mi stessi piangendo,
e
graziosa mostrandosi e pia
verso
di me, con sua benignitate 60
in
conforto tenea la mente mia.
Lungamente
seguendo sua pietate,
ora
in avversi ed ora in graziosi
casi
reggendo la mia volontate,
sollecito
del tutto mi proposi 65
di
pur sentire l'ultima possanza
che
in loro hanno i termini amorosi.
Ver
è che molto prolissa speranza
mi
tenne in questa via, non però tanto
che
'l mio proposto gisse in oblianza. 70
Alla
seconda con sospiri e pianto,
quando
con festa, sempre seguitai
il
mio proponimento, infino a tanto,
sottilmente
guardando, m'avisai
che
la donna pensava terminare 75
con
savio stile i disiosi guai.
Però
alquanto lasciai 'l pensare,
dicendo:
«Tosto credo proveduto
fia
da costei il mio grave penare.
Ell'ha
ben ora tanto conosciuto 80
del
mal ch'io sento e del mio disio,
ch'io
credo che di me le sia incresciuto».
Così
fra me gia ragionando io,
pure
aspettando che la sua grandezza
si
dichinasse alquanto al dolor mio 85
torre
potere con la sua bellezza: