CAPITOLI

Lorenzo de' Medici

I

Capitolo fatto a Giovanfrancesco Ventura per la morte di una sua figliuola

L'amoroso mio stil, quel dolce canto,

qual, come volle il mio cieco disio,

un tempo lieto fu, or vòlto è in pianto.

Flebile e mesto ha fatto il verso mio

quell'acerbo dolor, quale in me sparse

disio più vero, amor più santo e pio.

Questa fiamma d'amor che nel petto arse,

non patì mie pupille esser digiune

di pianto o cheto in tal suo danno starse.

Ma quando ha viste l'avverse fortune,

di quelle e del dolor tal parte assunse,

qual mostrassi ogni cosa esser comune:

onde gran doglia il cor offese e punse,

amico, per la tua mal fausta sorte,

perché al proprio dolor il tuo s'aggiunse,

quando sentì troppo immatura morte

della tua cara e tanto amata figlia,

le cui fila fe' Cloto troppo corte;

se non che accorse alla mia mental ciglia

con la tua passion la tua prudenza,

ch'al corrente dolor dee por la briglia.

Cercando confortarti a pazienza,

dar quel non ti potea, che in me non era:

tanto avea la tua doglia in me potenza.

Dunque se in te la miglior parte impera,

leva dal cor quel mal che troppo il preme,

con la comun ragion, benché sia vera.

Cercasi indarno, si disia e geme

quel che l'inesorabil morte fura:

e 'nvan quel, ch'esser dee, si fugge e teme:

ella sta immota sempre, ferma e dura;

né tu doler ti dei, se a quella ha fatto

quel ch'a ciascun per nostra o sua natura.

Non fu mai violato alcun suo patto,

né pate eccezion l'antica legge,

che chiunque nasce, sia così disfatto.

Poi che il Monarca, ch'ogni cosa regge,

per la sua carità ardente e torrida

non trasse sé, non trarrà alcun di gregge.

Tu mi dirai: «L'età sua verde e florida,

l'indole e di sé data opinione

la sùbita rapina fa più orrida».

Qui vinca il tuo appetito la ragione,

perché conosce più l'amor divino

che noi il tempo della salvazione.

S'una morte è questo mortal cammino,

all'età immaculata, pura e netta,

vita è lasciar di vita ogni confino;

se l'età brieve, eterna e più perfetta

fussi, il dolor non saria forse a torto:

ma chi è quel che tanto a sé prometta?

Dunque, se de' cader qualunche ha orto,

poco è da dir, rispetto al tempo eterno,

del lungo termin della vita al corto.

Anzi, chi più sta al mondo e in suo governo,

deturpa più sua candida bianchezza,

giugnendo legne al foco sempiterno.

Però non ti doler s'è in giovinezza

salita a maggior bene, che par offizio

di chi il suo mal più che l'altrui ben prezza.

Tuo piacer brieve, eterno suo supplizio

era sua vita, che quel giorno ha sciolto

di questa fine e di miglior inizio.

Se per lei bagni di lagrime il volto,

qui resti il pianto, perché a maggior bene

tirata l'ha Colui, che a te l'ha tolto.

Né ti facci doler concetta spene

di più contento, ché da dolce fiore

il frutto spesse volte amaro viene.

Se pur il proprio mal ti dà dolore,

ch'è transitorio, e sua gloria infinita,

sarebbe invidia, non già vero amore.

Facci da te ogni dolor partita,

e se pur pianger dei, piangi te stesso,

non lei, perch'è trascesa a miglior vita.

Piangi tua dura sorte, che concesso

non t'ha che sia al bel cammin suo scorta:

ch'or fia tua, quando sarà permesso.

Et anco di te stesso ti conforta,

pur che per questo esempio sia più saggio

a non amar tanto una cosa morta.

Già non t'ha fatto Fortuna oltraggio:

quel ch'era in suo poter, messo ha ad effetto,

quando è venuto il fin del suo viaggio.

Ma tu perché ponesti tanto affetto

a mortal cosa, fragile e caduca,

come se eterno fussi il suo diletto?

E 'l nostro sommo Bene, il vero Duca,

spesso il mortal cammin rompe e traversa,

perché il suo lume in nostro oscur più luca.

Sare' di lui ogni memoria persa,

tanto sono i mortali al cader proni,

se non venissi qualche cosa avversa.

Dunque il divino amor con questi sproni

nostra prostrata mente al ciel rileva,

perché se stessa al fin non abbandoni.

Questo grieve dolor del cor tuo lieva,

né prendi tanto danno a tua salute,

qual, se non ora, ad altra età giugneva.

Non ti doler se più cose vedute

quella non ha o a più tempo aggiunto;

ché piena d'ogni male è senettute.

Tu lo pruovi or e (più sopra lo appunto)

quanto più là ti condurrà tua Parca:

che 'l viver lieto è il vero mortal punto;

quanto più oltre nostra vita varca,

tanto truova al cammin più duri i passi

e di dannosa soma più si carca.

E poi giugnendo al nostro estremo lassi,

quando il tornar e 'l penter poco vale,

conosciam chiaro aver perduti i passi.

Ah quanto è troppo incomparabil male

quel tristo pentimento, che non giova!

E di più alto cade, chi più sale.

Foll'è colui che quasi ognora pruova

del mondo cieco qualche gabbo o inganno,

e stimal sempre come cosa nuova.

Ov'è minor affetto, è manco affanno:

ov'è manco speranza, è minor doglia,

quel che poco si prezza, fa men danno.

La troppa accesa e sviscerata voglia

della salute di tua figlia cara

d'ogni dolcezza il cor tuo priva e spoglia.

Da questo esemplo in tutti gli altri appara:

ricordati esser viro, onde s'appella

quella virtù, ch'è tanto degna e chiara.

Perché più dura condizione è quella

della virtù per molti tempi esperta,

che dell'occulta, incognita e novella.

Tanto più diligenzia e sudor merta

l'opra di quel, che opinione ha dato

che sia la sua virtù più ferma e certa.

Più s'aspetta da quel che ha più provato,

anzi come per debito si chiede

l'operar grave, saggio e moderato.

Poi che virtù tuo buon destin ti diede,

se in te stesso prima non fa' l'opra,

ch'ad altri giovar possa non si crede.

Onde la miglior parte, ch'è di sopra,

la nebbia de' sospir', l'acqua de' pianti

levi dagli occhi, sì che il sol si scuopra.

Questo con gli splendor' suoi radianti

scorga la guida di tua cara salma,

dove si gode in Ciel con gli altri santi,

come conviensi a benemerita alma.

II

Magno Iddio, per la cui costante legge

e sotto il cui perpetuo governo

questo universo si conserva e regge;

del tutto Creator, che dallo eterno

punto comandi corra il tempo labile,

come rota faria su fisso perno;

quieto sempre, e già mai non mutabile,

fai e muti ogni cosa, e tutto muove

da te, fermo motore infaticabile.

Né fuor di te alcuna causa truove,

che ti muova a formar questa matera,

avida sempre d'aver forme nuove.

Non indigenzia, sol di bontà vera

la forma forma questa fluente opra,

bontà, che sanza invidia o malizia era.

Questa bontà sol per amor s'adopra

in far le cose a guisa di modello,

simile allo edifizio ch'è di sopra.

Bellissimo Architetto, il mondo bello

fingendo prima nell'eterna mente,

fatto hai questo all'immagine di quello.

Ciascuna parte perfetta esistente

nel grado suo, alto Signor, comandi

che assolva il tutto ancor perfettamente.

Tu gli elementi a' propri luoghi mandi,

legandoli con tal proporzione,

che l'un dall'altro non disiungi o spandi.

Tra 'l fuoco e 'l ghiaccio fai cognazione,

così temperi insieme il molle e il duro:

da te fatti contrari hanno unione.

Così non fugge più leggiero e puro

il foco in alto, né più il peso affonda

in terra in basso, sotto il centro oscuro.

Per la tua provvidenzia fai s'infonda

l'anima in mezzo del gran corpo, donde

in tutti i membri par poi si diffonda.

Ciò che si muove, non si muove altronde

in sì bello animale; e tre nature

quest'anima gentile in sé nasconde.

Le due più degne, più gentili e pure,

da sé movendo, due gran cerchi fanno,

in se medesme ritornando pure,

e intorno alla profonda mente vanno;

l'altra va dritta, mossa dall'amore

di far gli effetti, che da lei vita hanno.

E come muove sé questo motore,

movendo il cielo, il suo moto simiglia

come membra in mezzo al petto il core.

Da te, primo Fattor, la vita piglia

ogni animale ancor di minor vita,

benché più vile: questa è pur tua famiglia.

A questi dà la tua bontà infinita

curri leggier' di puro foco adorni,

quando la terra e 'l ciel li chiama e invita.

E dipoi, adempiuti i mortal' giorni,

la tua benigna legge allor concede

che 'l curro ciascun monti, e a te torni.

Concedi, o Padre, l'alta e sacra sede

monti la mente, e vegga il vivo fonte,

fonte ver, bene onde ogni ben procede.

Mostra la luce vera alla mia fronte

e, poi ch'è conosciuto il tuo bel Sole,

dell'alma ferma in lui le luci pronte.

Fuga le nebbie e la terrestre mole

leva da me e splendi in la tua luce:

tu se' quel sommo Ben che ciascun vuole.

A te, dolce riposo, si conduce,

e te, come suo fin, vede ogni pio;

tu se' principio, portatore e duce,

la via e 'l termin tu sol, magno Iddio.

III

Grazie a te, sommo, esuperante Nume,

da poi che per tua grazia, e non altronde,

della tua cognizione abbiamo lume.

Nome santo, onorando: sol nome, onde

dobbiam te benedir, sol con paterna

religion, cui tua bontà risponde;

perché tu, Padre, tu, Bontate eterna,

pietà, religione, amor ne dài,

o qual più dolce affetto si discerna.

D'alto senso e ragione un don ne fai

e d'intelletto, o liberale e immenso,

che per tua grazia noi a te fatto hai.

Che tu sei, conosciam con l'alto senso:

la ragion dubitando cerca, e truova

poi l'intelletto, e godo s'a te penso.

Questo suave gaudio si rinnuova,

quando da te salvati a noi ti mostri

tutto te, Bene, onde ogni ben par muova.

E stando ancor ne' fragil' corpi nostri,

sentiam dolcezza, che così mortali

ci hai consecrati agli alti, eterni chiostri.

Questo è quel ben ch'è fuor di tutti i mali,

sola gratulazion nostra, se 'l numine

tuo santo conosciam, e quanto vali.

Te conosciuto abbiamo, immenso Lumine,

lume che sente sol la mente degna

la mente sol, non sensitivo acumine.

Te intendiam, Vita vera, onde par vegna

ogni altra vita, o Natura alta e vera,

ch'ogni natura pienamente impregna.

Te conosciam della natura, ch'era

in te, da te concetta; pien te intendo,

Eternità che sempre persevèra.

In questo mio orar, quale a te rendo,

il ben della bontà tua adorando,

questo impetrar da te sol bramo e intendo,

per questo gli umil' prieghi a te, Dio, mando,

che vogli conservarmi nello amore

della tua cognizion perseverando;

né lasci separar già mai il mio core

dal santo affetto o da sì dolce vita:

tu puoi, onnipotente alto Signore;

tu vuoi, perché tu se' bontà infinita.

IV

Santo Iddio, padre di ciò che 'l mondo empie;

santo Iddio, perché quel che hai voluto

dalla tua propria potestà s'adempie;

santo Iddio, il quale sol sei conosciuto

da' tuoi familiari e santo se',

che nel Verbo ogni cosa hai costituto:

santo Iddio, del qual solo immagin è

ogni natura; santo per essenzia,

perché mai la natura formò te;

santo, potente più ch'ogni potenzia;

santo, la tua bontà vince ogni loda;

santo se' e maggior d'ogni eccellenzia;

i santi sacrifizi il tuo orecchio oda

del mio orar, che manda alla tua faccia

il cor, che d'esser tuo tutto par goda.

Ineffabil, chi vuol laudarti, taccia:

chi ben ti lauda, le fallacie ha scorte

per vane e vede il ver ch'ogni ombra caccia.

Esaudimi, Signore, e fammi forte

e fa', in tanta grazia meco pari,

partecipi di questa santa sorte

color che son di tanto bene ignari:

Natura, madre comune, li diede

fratelli a me e a te figli cari.

Signor, perch'io ti presto intera fede

e di te testimonio a ciascuno mando,

in vita surgo e l'alma lume vede.

O Signor, tu se' padre venerando;

l'uomo tuo teco insieme santitate

fruir sempre desia, te solo amando.

Tu gli hai arbitrio dato e potestate

d'ogni cosa; e però, s'egli ha desio

da te di voler sol la tua bontate,

tu 'l muovi, tu 'l contenta, o santo Iddio.

V

Oda quest'inno tutta la natura,

oda la terra, e nebulosi e foschi

turbini e piove, che fan l'aria oscura.

Silenzio, ombrosi e solitari boschi;

posate, venti; udite, cieli, il canto,

perché il creato il Creator conoschi.

Il Creatore e il Tutto e l'Uno, io canto:

queste sacre orazion' sieno esaudite

dello immortale Dio dal cerchio santo.

Il Fattor canto, che ha distribuite

le terre e il ciel bilancia; e quel che vuole

che sien dell'oceàn dolci acque uscite

per nutrimento dell'umana prole;

pel quale ancor comanda sopra splenda

il foco, e per chi Dio adora e cole.

Grazie ciascun con una voce renda

a lui, che passa i ciel': quel vive e sente

crea, e convien da lui natura prenda.

Questo è solo e vero occhio della mente;

delle potenzie a lui le laude date:

questo riceverà benignamente.

O forze mie, costui solo or laudate;

ogni virtù dell'alma questo Nume

laudi, conforme alla mia voluntate.

Santa è la cognizion, che del tuo lume

splende, e canta illustrato in allegrezza

d'intelligibil luce il mio acume.

O tutte mie potenzie, in gran dolcezza

meco cantate; o spirti miei costanti,

cantate la costante sua fermezza.

La mia giustizia per me il Giusto canti;

laudate meco il Tutto insieme e intero,

gli spirti uniti e' membri tutti quanti.

Canti per me la veritate il Vero

e tutto il nostro buon canti esso Bene,

Ben che appetisce ciascun desidèro.

O Vita, o Luce, da voi in voi viene

la benedizion; grazie t'ho io,

o Dio, da cui potenzia ogni atto tiene.

Il Verbo tuo per me te lauda, Dio;

per me ancor delle parole sante

riceve il mondo il sacrifizio pio.

Questo chieggion le forze mie clamante:

cantono il Tutto, e così son perfette

da lor l'alte tue voglie tutte quante.

Il tuo desio da te in te reflette;

ricevi il sacrifizio, o santo Re,

delle parole pie da ciascun dette.

O Vita, salva tutto quel ch'è in me;

le tenebre, ove l'alma par vanegge,

Luce, illumina tu, che lume se'.

Spirto Dio, il Verbo tuo la mente regge,

Opifice, che spirto a ciascun dài,

tu sol se' Dio, onde ogni cosa ha legge.

L'uomo tuo questo chiama sempre mai;

per foco, aria, acqua e terra t'ha pregato

per lo spirto e per quel che creato hai.

Dall'eterno ho benedizion trovato

e spero, come io son desideroso,

trovar nel tuo desio tranquillo stato:

fuor di te, Dio, non è vero riposo.

VI

Beato chi nel concilio non va

dell'impii e nella via molto patente

de' peccatori il piè non ferma o sta,

né siede nella sede pestilente,

ma giorno e notte la legge divina

brama nel cor, tal legge ha nella mente.

Fia come pianta, che all'acqua è vicina:

suo frutti nel suo tempo nasceranno

e non secca le foglie o a terra inchina:

le cose che farà prospere andranno.

Non così, non così l'impii nel vizio,

ma innanzi al vento polvere saranno.

Però non surgon l'impii nel giudizio,

né 'l peccator poi nel concilio fia

de' giusti, c'hanno empiuto il santo offizio.

Perché de' giusti Dio la strada pia

conosce, e perirà il cammin del rio:

ché tu sei Vita, Verità e Via.

Gloria a te sempre, onnipotente Iddio.

VII

Déstati, pigro ingegno, da quel sonno,

che par che gli occhi tua d'un vel ricuopra,

onde veder la verità non ponno;

svégliati omai, contempla ogni tua opra

quanto disutil sia, vana e fallace,

poi che 'l disio alla ragione è sopra.

Deh, pensa quanto falsamente piace

onore, utilità, o ver diletto,

ove per ' più s'afferma esser la pace.

Pensa alla dignità del tuo intelletto,

non dato per seguir cosa mortale,

ma perché avessi il cielo per suo obietto.

Sai per esperienzia quanto vale

quel ch'altri chiama ben, dal ben più scosto

che l'oriente dall'occidentale.

Quella vaghezza, ch'agli occhi ha proposto

Amor (e cominciò ne' teneri anni),

d'ogni tuo viver lieto t'ha deposto:

brieve, fugace, falsa e pien d'affanni,

ornata in vista, ma poi crudel mostro,

che tien lupi e delfin' sotto i be' panni.

Deh, pensa qual sarebbe il viver nostro,

se quel che dee tener la prima parte,

preso avessi il cammin qual io t'ho mostro.

Pensa se tanto tempo, ingegno e arte

avessi vòlto a più giusto disio,

ti potresti or in pace consolarte.

Se ver'te fussi il tuo voler più pio,

forse quel che per te si brama e spera,

conosceresti me' s'è buono o rio.

Dell'età tua la verde primavera

hai consumata, e forse tal fia il resto,

fin che del verno sia l'ultima sera,

sotto falsa ombra e sotto rio pretesto

persuadendo a te che gentilezza,

che vien dal cuor, abbi causato questo.

Questi tristi legami oramai spezza:

leva dal collo tuo quella catena,

ch'avvolta vi tenea falsa bellezza,

e la vana speranza che ti mena

leva dal cor, e fa' il governo pigli

di te la parte più bella e serena,

e sottometta questa alli sua artigli

ogni disir al suo voler contrario,

con maggior forza e con miglior' consigli,

sì che, sbattuto il suo tristo avversario,

non drizzi più la venenosa cresta,

ma resti servo vile e mercenario.

Quattro venti in mar fanno ogni tempesta,

percotendo la nostra fragil barca,

da coste, poppa, prua, che mai non resta.

Questi la fanno d'ignoranzia carca,

tal che convien che per perduta corra,

ch'esser dee d'ogni ben albergo et arca.

Con questo tristo incarco par che scorra

e ne' più cari lochi, ove star suole

le cose preziose, è la zavorra.

Il primo vento, che percuoter vuole

il disiato legno, è vana spene,

da prua il corso le interrompe e tole.

Da poppa assai più furiosa viene

con grande impeto e forza la paura,

che in gran travaglio il miser legno tiene.

Da costa il ben che al mondo poco dura:

vana letizia, che percuote forte

la barca e falla in mar poco sicura.

Dall'altra costa in simigliante sorte

è il presente dolor, che molto strigne:

questo fa nostra vita parer morte.

Or l'una or l'altro d'esti venti pigne

il tristo legno in sì crudel procella,

or tutti insieme, or di lor parte il cigne.

Questi la vista della fida stella

tolgon al buon nocchier: di tanta nube

ricuopron l'aria, ch'era chiara e bella.

Onde convien che doloroso cube

lasciando il legno in discrezion dell'onda,

che par ch'ognor se lo inghiottisca e rube.

E se grazia divina non v'abbandona,

che 'l buon nocchier risurga attrito e morto,

parmi che 'l mar già lo ricuopra e asconda.

Veggolo invan chiamar o sperar porto

e invan pentirsi quei che cagion funno

di prendere il cammin mortale e torto.

Perché il giusto voler del gran Nettuno

raro si piega a' prieghi di colui

ch'è d'ignoranzia e di malizia alunno.

Deh, prendi esemplo, per lo danno altrui

o ver pel tuo, perché «Già in simil briga»,

puoi veramente dir, «ancora io fui».

Sei ancora, e sarai, insin che stringa

il tuo veloce curro quel che siede,

ove seder dovrebbe fido auriga.

Il disio nostro, se più ha, più chiede,

e come non ha fin, non ha quiete.

Non si può ben posar chi mai non siede,

ma quanto più l'insaziabil sete

ricorre al tristo fonte che la spenga,

tanto più cresce, insin che passi Lete.

Questo convien che per ragione avvenga.

L'alma creata alle perfette cose

non par contenta a imperfezion si tenga;

onde convien che cerchi, e mai non pose,

finch'ella trovi quel ch'al fin desia,

che lei per segno al suo balestro pose.

Ma spesse volte, mentre che s'invia

scorta da trista e da inimica guida,

pria che truova il suo ben, cade tra via.

Dunque convien ben guardi in cui si fida

e a chi dia del suo cavallo il freno,

pria che 'n cercar o in camminar s'intrida.

Bisogna ben conosca il troppo o il meno:

ché di là o di qua di tal confine

mai non si truova il vero ben a pieno.

E benché il suo proposito e 'l suo fine

sia buono, e quasi avvenga in ogni mente,

pur si va per diverse discipline.

Sono infinite vie e differente,

e quel che si ricerca solo è uno:

però si truova sì difficilmente.

Un picciol sasso per la via, un pruno,

che si attraversi al piè fragile e lento,

di sì suave cibo il fa digiuno:

onde gli avvien dipoi contrario evento,

ché l'anima, pigliando l'altra volta,

pruova per bene ogni crudel tormento.

In quest'ambage inviluppata e involta,

tanto pena a vedere il vero lume,

che la virtù visiva alfin gli è tolta.

Così convien sempre arda e si consume,

perché il dominio del natural corso

per lunga usanza ha perso il rio costume.

Però per me, se al mio danno ho corso,

pria che la trista usanza in te più possa

che non potrebbe il ragionevol morso;

pria che scavi a te stesso quella fossa,

nella qual poco dopo tristo caggia

per mai più cavarne se non l'ossa,

guarda il celeste Sol, che splende e raggia,

guarda che dolce frutto da lui cade,

che null'altro li piace chi l'assaggia.

Deh, lascia le calcate triste strade

e volgi gli occhi a cose eterne e belle,

tanto più belle, quanto son più rade;

non di falsa bellezza, come quelle

ornate, che t'han dato tanto affanno

e 'l sentier tolto che guida alle stelle.

Le tue operazion' vergogna e danno,

queste di qua quiete e gloria eterna,

dopo il grieve cammino, all'alma fanno.

Ben è cieco colui che non discerna

quanto sia differente lo splendore

del sol dal falso lume di lucerna.

Dir più non mi permette il mio ardore,

sol ti soggiungo questo per espresso:

che, s'alcun ben disia o cerca il core,

non lasci sé già mai sanza se stesso.