eri e tra il volgo;
    
       e ordisti quel clamore
      dell'armi.
     
    
      ULISSE
      ... Mio... nè il negherò fu in parte.
      Ma e Teucro ov'era? in assemblea nol vidi.
     
    
      AGAMENNONE
      Teucro! – Non v'era?
     
    
      ULISSE
      Ei no. Ben il Locrese
      Aiace armato di tutte armi e ritto
      stavasi i voti subornando. E ombrati
      già sul poter tuo troppo erano molti,
      e aveano eletto in lor pensiero Aiace.
      E i suoi guerrieri, e i Tessali quel nome
      acclamavano. A un tratto il nome mio
      gridar odono i prenci; e i Salamini
      insultar gli Itacensi: e vider l'aste
      de' Mirmidoni balenar sul capo
      alle Argive tue squadre. Muto stava
      Calcante: e incerta fu dei re la mente. –
      Allor partito necessario estremo...
     
    
    
      ULISSE
      Preaccennato io te l'avea...
      Sagace a te, ma poco regio parve...
     
    
      AGAMENNONE
      Che agli stranieri prigionier la lite
      si deferisca? – Arti non mie. Me dunque,
      me primo, e solo omai giudice avrete.
      Che re? che schiere? che profeti? Atride
      alfin voi tutti acqueterà: e voi primi,
      voi nelle vostre ambizion discordi,
      voi che movete il volgo, indi il temete;
      ei se ne avvede.
     
    
      ULISSE
      Aiace spegni... e Ulisse
      dunque: incitate abbiam le schiere entrambi.
      Sei tu sì forte? A' tuoi nemici in preda
      bensì puoi darmi, e contro me la turba
      ch'io per te mossi irriteranno. Oh! speri
      senza il volgo domarli, e che te solo
      il volgo segua finchè gli altri ammira?
      Intempestiva autorità palesi,
      o re, se a un tratto la sentenza annulli. –
      A' prigionieri occulto un cenno ingiungi:
      miseri sono, e obbediranno.
     
    
      AGAMENNONE
      Abbietto
      partito... – e piacque?
     
    
      ULISSE
      A tutti no. Ma quete
      così vedean le risse. Indizio n'ebbe
      da me Nestorre; ed egli in ciò non vide
      che amor di pace: ed il partito ei stesso
      commendando propose. Ebbe l'assenso
      dei più.
     
    
    
      ULISSE
      Non l'udiva: a lui
      più tempo innanzi susurrò il Locrese
      non so che detti. Egli balzando in cocchio
      precipitò i destrieri alle sue tende. –
      ... Tumultuar odi qui presso?...
     
    
      AIACE
      (di dentro)
      Vili,
      prostratevi.
     
    
      AGAMENNONE
      La voce odo d'Aiace?
     
    
      ULISSE
      I tuoi custodi atterra.
     
    SCENA IV
    AGAMENNONE, ULISSE, AIACE.
    
      AGAMENNONE
      E chi il ribelle?
      Chi il furibondo che meco imperversa?
     
    
      AIACE
      Io. – Le schiere mi togli; e il cor pretendi
      togliermi e il ferro?... – Ecco il ripongo. Udirmi
      spero e insieme rispondermi vorrai.
      Teucro dov'è?
     
    
      AGAMENNONE
      Ciò ch'ei tramasse, io tosto
      saprò.
     
    
      ULISSE
      Suo duce e suo fratel non sei?
     
    
      AIACE
      Pur a te venne, o Atride, ei su le prime
      ore del dì, mentr'io stava con pochi
      all'Ellesponto. Trapassando il campo
      mi soffermai qui teco, indi in consesso,
      senza veder le tende mie, chè Teucro
      ivi io credea. Gli mandai tosto un messo
      che nol rinvenne.
     
    
      ULISSE
      Fra le turbe forse
      non l'indagava.
     
    
      AIACE
      Fra le turbe stava
      la calunnia e il tumulto. – In parlamento
      talun mi disse che da lunge il vide,
      quando il sol giunto a sommo il ciel non era,
      solo e sul lito deserto ai Numi
      sacrificar, quasi a mortal periglio
      si accingesse. Volai. Tutti partiti
      celatamente eran con lui gli arcieri.
     
    
      AGAMENNONE
      ... Ulisse... seco rimanevi.
     
    
      ULISSE
      E a' motti
      che a te presente saettò, rimasi.
      Or chi non sa che adulator tuo primo
      seminator di scandali mi chiama
      altamente? Costretto o persuaso
      esser potea da me chi tanto m'odia;
      chi mai verun, tranne il fratel, non ode?
      Ma e quando pur... a che inviarlo? e dove
      che omai tu, o re, nol risapessi? e ch'ei
      nol ridicesse al fratel suo? Devoto
      stavasi il grande Aiace al monumento
      del dio Pelide. Ma il minore Aiace,
      più che fratel sublime amico, forse
      l'avria ignorato anch'egli?
     
    
      AIACE
      Ove pur sia
      mal si accusa di trame: egli? – e tradirvi
      senza tradir me e la sua patria insieme
      potria?
     
    
      ULISSE
      Tradir te, il fratel tuo!... – ma e sempre
      udirmi sdegni? e sì m'abborri?...
     
    
      AIACE
      Il nome
      tuo sempre sdegno io proferir: – ti spregio.
     
    
      ULISSE
      Non vile tuo commiliton m'avesti
      spesso; e pur or tu il confessavi.
     
    
      AGAMENNONE
      E tacqui
      che a te rifugio fu il mio scudo spesso.
      Pur co' Teucri sei prode e vil tra noi.
      Non raggiravi oggi vilmente il volgo
      e più vilmente i re? Tua non fu l'arte
      che li sedusse a deferir la lite
      a' prigionieri? Qui tornando il seppi.
      Della cieca sentenza il fine astuto
      scerno. Que' prenci che oltraggi e catene
      difendendo i lor numi, hanno mertato,
      sgomentati, ingannati, strascinati
      fien al voler di chi sarà sì basso
      da deludere i miseri, e sì crudo
      da perseguirli, e ritorcere in essi
      l'astio del volgo. Ah fien difesi! e il grida
      dal suo trono infernale a me il tremendo
      Eaco del mio gran padre avo e d'Achille;
      e più tremenda la pietà mel grida. –
     
    
      ULISSE
      E chi librar, chi giudicar può i merti
      de' vincitor meglio che i vinti? Alcuni
      da me fur presi, altri dal forte Aiace.
      Di sette prenci prigionieri, due
      fratelli sono di Tecmessa; è l'altro
      suo genitor: suborneranno il quarto.
      Tolta ad Achille fu dal re la schiava
      e a prevenir egual periglio festi
      moglie la tua: i figli tuoi fien pari
      a Teucro in ciò; madre troiana avranno.
      Scudo così farti dicevi allora,
      oggi il ridici, a' miseri: e tu il dei.
      Diè guerra all'Asia il padre tuo; già un tempo
      fu vincitor; ma poi d'ospizio accolse
      pegni, e di pace: ed ebbe iliache spose.
      A rivedere i suoi congiunti a Troia
      finchè spiri la tregua occultamente
      Teucro n'andò: seco gli arcieri ha quindi.
     
    
      AIACE
      Tacito io penso se lasciarti io deggio
      te, di fraudi vestito e d'impudenza
      al vituperio a cui tu vivi; o dentro
      nel cor tuo negro ove l'invidia rugge
      le calunnie rispingere e i sospetti
      col ferro.
     
    
      ULISSE
      E brando v'ha che meglio uccida
      un greco re? Non hai d'Ettore il brando?
     
    
      AIACE
      Ahi fatal dono! E il mio ti diedi, o forte
      Ettore, il mio, sul campo ove leale
      nemico egregio contro me pugnavi.
      Ti valse almeno a morir per la tua
      patria, e cadesti lagrimato e sacro!
      Ma io?... vedi... le furie mi strascinano
      a bagnarlo di sangue, di quel sangue
      che tu abborrivi, e ch'io finor difesi.
     
    
      AGAMENNONE
      Ed io finor tacito veggio in uno
      sospetti indegni, empio furor nell'altro.
      Necessità di alto severo quindi
      imperio veggio. – Aiace; di me pensa
      che vuoi; non mento perchè nessun temo.
      Le tue schiere sviarti o menomarle
      non curo. Teucro e i suoi senza mio cenno
      nè indizio mio, se pur son lunge, il campo
      abbandonaro: usati modi; ogni uomo
      qui si fa duce, e divezzarvi intendo.
      S'anco tornasse vincitor, punito
      il vo' ch'egli più ch'altri impaziente
      è d'ogni legge, ei d'ogni applauso sempre
      avido: ei primo e temerario sempre.
      Che s'ei tradisse... io te fidar più a lungo
      potrei?... – Cessa la tregua. Ebbro il troiano
      di sua vittoria noi tremanti estima
      da che spense l'eroe; s'accorga ei dunque
      se Atride vive. Fin dall'alba indissi
      però l'assalto ad innoltrata notte,
      sì volli, e il voglio perchè il volli. E spenta
      pria nel mio campo ogni discordia voglio.
      Giudici sien, poco rileva, i prenci
      stranieri. Io il dissi; odilo ancora: Troia
      mai non cadrà, mai per l'acciar d'Achille.
     
    
      AIACE
      Pari alle tue, pacate odi parole. –
      Nessun di noi l'armi, per esse, pregia.
      Te ambizion, me libertà sospinge,
      livor costui: ardon le brame; e incerto
      sovrasta evento; onde temiam noi tutti.
      E tu più ch'altri, a cui temenza detta
      l'imperioso favellar. – D'altrui
      schermo in battaglia ebbe mai d'uopo Aiace?
      Sol contro te che a tirannia prorompi
      l'armi bramo di lui che i feri moti
      della superba anima tua gelava.
      Minor di posse, e pari d'alma, vedi
      me, alle tue mire ambiziose inciampo;
      vedi d'Achille adoratori i Greci
      chè amor gli stringe e meraviglia e l'alta
      religion de' suoi avi celesti.
      Ma il lungo imperio tuo molti fea queti
      al giogo, quindi fu protratto ognora
      lo sterminio di Troia; e tuo d'altronde
      l'utile e il vanto ne bramavi. Spento
      alfin è Achille e avvilir vuoi la fama
      d'Achille e me. La meraviglia tutta
      poi che l'amor non puoi, tendi in te solo
      trar della Grecia; e guidarla a trionfi
      col tuo valore o a sempiterne guerre,
      finchè di forti vedovata e lassa
      da te pace ed onore abbia e catene. –
      Me vile fa d'un vile oggi la gara:
      e ov'ei deturpi del Pelide il brando,
      creduto opra divina, anche gli Dei
      fien vano scudo a libertà: costui
      spregi, ma allenti alle sue trame il freno.
      S'ei me tradisca, e te ad un tempo, ignoro.
      Teucro da lui credo aggirato; e certo
      i frigi prenci ingannerà se forse
      nol fe'. Me non vedranno. Inviolato
      servar giurai dell'assemblea il decreto.
      Stolto decreto; e giuramento, ahi! stolto:
      ma rivocarlo ella può sempre. – Intanto
      non però cessa oggi la lite vera,
      e magnanima sia: apertamente
      dimmi se re son io? se a Telamone
      il valor mio frutterà infamia e ceppi?
      Ma bada, o re, che a terminar tal lite
      a noi non resta che la sorte, e il volgo.
      Tu col terrore; io con l'amor; costui
      con fraudi nuove, lo trarremo al sangue.
     
    
      AGAMENNONE
      Udir detti ribelli, e a tuoi furori
      libero abbandonarti, a te sia prova
      se Agamennon t'avanza. Odine i cenni. –
      I re prigioni fien giudici, e tosto. –
      L'armi, e le ottenga chi si vuol, fien vili. –
      Nè più a contender di parole, accolti
      fien d'oggi innanzi a pugnar meco i duci;
      e all'intimata pugna fra brev'ora
      mi seguiran. – Di Teucro, ove non rieda,
      mi sarà pegno il figlio tuo. – Chi sia
      qui re il saprai. – Seguimi Ulisse.
      (Agamennone e Ulisse partono)
     
    SCENA V
    AIACE.
    
      Oh infausto
      Ilio, di qual mai scempio oggi godrai!
     
    (parte)
    ATTO IV
    SCENA I
    AGAMENNONE.
    
      Ma e che? Son io signor di me? Da quanti
      oggi non pendo! – O incerte ore!... Nè il mondo
      lasci alla notte, e a che più tardi, o Sole? –
      O! a chi dar leggi io voglio. – Io?... che ad Aiace
      dir pur or non osai: cedi il tuo scettro,
      snuda il brando e per me pugna, e t'immola.
      Io che onore e possanza e pace aspetto
      or da un Ulisse... – Ah no! la pace mia
      fin ne' miei tetti, e sparì col sorriso
      della mia figlia: all'angoscia, al terrore,
      al parricidio io la mia casa educo. –
      Ch'io qui riposi almen per or.
      (siede)
      – Qui assiso,
      o Agamennone, il tuo tranquillo aspetto
      incodardisce questi avvezzi al sangue
      regnatori superbi... E non ardiva
      qui il mio regal paludamento un uomo,
      un uomo sol quasi strapparmi? e rabbia
      e vendetta e stupor e la vergogna
      del simular, e la tomba che Aiace
      si spalanca... ma più quel terreo, immoto
      volto d'Ulisse, mi fean muto quasi,
      e in me scorrea gelato un sudor lento... –
      Ecco già notte. E Ulisse aspetto io sempre! –
      Vil alma, audace a un tempo, infida, fredda
      sortì colui. Gli uomini, i casi, i tempi
      attrae scaltro, invisibile, e avviluppa
      tutto me in essi. Io m'agito: trascorro
      strascinato... e li guida ov'io più bramo:
      sa ch'egli splende di mia luce, e fida
      come se a un tratto ei spegnerla potesse.
      Già mi ha divelto ogni segreto mio,
      quindi io sospetto...
      (s'alza)
      – Ma non più. Si sappia
      che sin la Grecia vo' regnare io solo. –
      Ardan le faci, il campo mio risplenda.
      Il re de' regi s'apparecchia all'armi.
     
    (i soldati illuminano il campo di faci. Due araldi portano uno scettro, l'altro l'elmo di Agamennone, e si piantano vicino                    al sedile)
    SCENA II
    AGAMENNONE, ULISSE.
    
      ULISSE
      Pertinaci più sempre i frigi prenci
      dall'assegnar l'armi contese, tutti
      ritraggonsi. – Di Teucro altro non sanno
      gli esploratori tuoi, se non ch'ei tenne
      d'Ilio il sentier lungo la spiaggia; e innanzi
      ch'ei si partisse, uscia mesto dal vallo
      de' prigionieri. – Tuttavia Tecmessa
      quivi è col figlio, ed all'araldo il niega.
     
    
      AGAMENNONE
      Oh mia stolta fidanza! – A me si tragga
      Tecmessa.
     
    
      ULISSE
      L'altro messaggero a' suoi
      accampamenti il Telamonio, ritto
      seguiva; e intesi ambi trovò gli Aiaci
      a squadronar le schiere, a cui frementi
      tutti d'Achille i Tessali s'uniro.
     
    
      AGAMENNONE
      O Menelao, superba alma ondeggiante
      nè a virtù, nè a viltà nata nè al regno!
      Ardi s'io teco sono; ov'io ti manchi
      tepido torni.
     
    
      ULISSE
      Nè premio nè legge
      valse, nè il nome tuo con que' perversi
      abborritori degli Atridi; e al tuo
      fratel negando d'obbedire, in guerra
      seguir vogliono Aiace. A lui Taltibio
      della fede di Teucro ostaggio il figlio
      chiese. Il padre tacea. Ma il re de' Locri
      additò quelle schiere; e il fero cenno
      mostrò all'araldo del tornar la via.
     
    
      AGAMENNONE
      Pronti son gli altri alla battaglia?
     
    
      ULISSE
      Tutti. –
      Perfido Teucro stiman molti; e ordita
      o conosciuta dal fratel li fuga.
      Nestore solo e il re Cretese, noto
      bramano a te, che se a civil conflitto
      si mova, ritrarranno essi lor armi.
     
    
      AGAMENNONE
      Odi Euribate.
      (Euribate s'accosta; Agamennone gli parla all'orecchio; Euribate parte)
      Fra non molto aperti
      i miei disegni avrete: e qual pur deggia
      esser la pugna, imparerà il vegliardo
      che il vincitor obbedirà chi mira
      le altrui battaglie immoto; e Idomeneo
      vedrà se orgoglio senza ardir gli giovi.
      Tu va. Silenzio tra le file regni.
      Tutti i fuochi s'estinguano.
      (le guardie spengono le faci)
      Sul piano
      per diversi sentier dietro a quel colle
      sien congregati con le schiere i duci. –
      (Ulisse parte)
     
    SCENA III
    AGAMENNONE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, ARALDO.
    
      AGAMENNONE
      Vien ch'io ti veggia, o sposa del sublime
      propugnator di libertà. Fra queste
      donne io ti scerno alla gemmata zona.
      A me ti appressa. – Muta tremi? Il velo
      togli. Ribrezzo il tuo pudore accresce;
      chè greco io sono, e tu moglie d'Aiace. –
      Or di'; perfette son le trame? e saldi
      stanno vieppiù contro il decreto mio
      gli eroi prigioni? Udisti altra novella
      di Teucro, da che teco egli e co' tuoi
      pria di partir, venne a consiglio? – Parla.
      Ma domestico vezzo è il non udirmi. –
      E ov'è il tuo figlio? A' Tessali il mostravi
      teco stamane, e ne frenasti l'ire,
      poichè stanza ad Aiace omai son fatte
      le frigie tende. – E immobile persisti?
      E più nel velo ti ravvolgi? – Schiava
      svelati.
     
    
      TECMESSA
      O Sante Deità de' nostri
      distrutti altari, ah m'aiutate!
     
    
    
      TECMESSA
      ... Da che all'urna d'Achille il signor mio
      andò, nol vidi;... ohimè! ben aspre cure
      dovean vietargli il rivedermi. E scorta
      egli mi fu quando ier l'altro io venni
      consolatrice a' miei congiunti afflitti.
      Teucro sol vidi: tacito improvviso
      abbracciò il figliuol mio, quasi abbracciarlo
      più non dovesse mai: parlar volea;
      ma fuggì ratto e mi lasciò in affanni. –
      Odo tumulti; il campo freme; il mio
      padre e i fratelli di terror confusi;
      venir, andar, tornar vedo i tuoi messi...
      Misera! e solo il signor mio non vedo.
      Prieghi mando ed avvisi; ei mi risponde
      che perigliosa è l'ora e ch'io nel cielo
      fidi. – Soletta con le ancelle mie,
      fra le spade e le tenebre m'accinsi
      a rivederlo. Al limitar l'araldo
      tuo ne rattenne: altro non so. Paterno
      rito e l'amor de' nostri lari tiene
      divise noi dal viril sesso; e noto
      soltanto è a me delle battaglie il lutto:
      vedo appena i guerrieri; e il tuo sembiante
      talor da lunge io riguardai tremando.
     
    
      AGAMENNONE
      Ma non tremavi trafugando il tuo
      figlio.
     
    
      TECMESSA
      Già in salvo egli era.
     
    
    
      TECMESSA
      Ah forse..,
      signor tu non sei padre.
     
    
      AGAMENNONE
      ... Io?... fui padre.
     
    SCENA IV
    AGAMENNONE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, ARALDI, CALCANTE.
    
      CALCANTE
      O re de' re, corri a battaglia, e i numi
      del popol tuo teco non hai? nè l'aure
      suonan di canti a presagir trionfi?
      E a qual vittoria tendi? orrendamente
      dal silenzio e da tenebre ravvolti
      accelerar s'odon gli armati... O donna
      desolata d'Aiace!... ah! l'ostia forse
      tu sei che il nostro re pria della pugna
      offre agli Dei; – ma non morrai tu sola.
     
    
      AGAMENNONE
      Tua morte a me, nè tua vita rileva.
      Gl'Iddii presenti il mondo teme. A voi
      le sue minaccie diè l'olimpio Giove,
      ed a me le sue folgori. Alle turbe
      tuonar auguri, o degli Dei codardo
      adorator, più non t'udrò. Riposa,
      e manda gl'inni al vincitor.
     
    SCENA V
    AGAMENNONE, CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE. ARALDI, AIACE preceduto da un araldo.
    
      TECMESSA
      O padre
      del figlio mio!... pur ti riveggio.
     
    
      AIACE
      ... Oh iniqui! ...
      Tu qui! – Ben posso io trartene... ma... loco
      ove salvarti a me non resta. – Atride;
      ti sta intorno l'esercito, parato
      a ferir ove accenni. Io co' miei pochi
      e co' Locri, e co' Tessali vi aspetto:
      tranne quella di Troia, ogni altri via
      precideremo a voi. N'avrai nemici
      o federati; eleggi. Ma tua fede
      sola non basti: me la diè in tuo nome
      Euribate; qui a dir venni e ad udire
      sensi di pace: e mentre io fra' prigioni
      finchè il giudizio fosse dato, l'orme
      non pongo, inerme la dolente mia
      donna lasciando; tu svellerla ardivi
      da' domestici Dei; tu la tua fede,
      appena data, rompi.
     
    
      AGAMENNONE
      A voi le trame
      romper intendo; ma da voi fur pria
      sì ben conteste, ch'io veder non posso
      se non che siete traditor voi tutti. –
      Un dì alla tregua rimaneva, e in campo
      non eri tu; ma i tuoi soldati il campo
      con prodigi atterrivano. Bastava
      il frigio sangue a' Mirmidoni; e un grido
      di feminetta contro noi li volge.
      Frattanto i numi parlano più arditi
      dando la gloria de' trionfi a un'ombra;
      mentre il volgo sommosso arma te solo
      successore d'Achille; e obbedienza
      audacemente il fratel tuo m'impone.
      Tu i re chiami a licenza, e ti professi
      vindice a' Greci e d'Asia domatore;
      mentre l'ora, e le vie di trucidarmi
      insegna Teucro in Troia. Ostaggio io chiedo;
      costei non vedi; ma chi tolse a lei
      il figliuolo lattante, e chi più arditi
      fe' gli schiavi? Tu sol. Tu che ribelli
      fai teco i Locri e i Tessili, e mi sfidi;
      e quando? Or che prorompono i Troiani
      dalle lor rocche: or che novello sangue
      spargerem noi per la vittoria. – Torna
      a' magnanimi detti onde tu velo
      festi alle insidie; or te conosco: trema.
     
    
      AIACE
      Tremi colui, che sogna fraudi; trema
      tu che a' rimorsi e al terror che in te provi,
      indur vorresti ogni alto core.
     
    
      TECMESSA
      Oh Aiace!... –
      Tu che pur gemi all'altrui pianto, i miei
      occhi in amare lagrime nuotanti
      non vedi? e dispietato ahi! con me sola
      con me che forse t'amo unica al mondo
      sarai? – Potessi almen perir io sola!
     
    
      CALCANTE
      Dir parole di pace era pensiero
      vostro, e agl'insulti trascorrete? Aperte
      le greche tende all'assalto e alla fiamma
      vedrà il troiano, e forse unico scampo
      vi saran l'onde ed un ritorno infame
      dopo tante speranze. Unico scampo!
      Che spero? Il vincitor fatto più ardito
      all'atterrito esercito la via
      precluderà dell'Oceano. Indarno
      le spose, i padri, i figli vostri indarno
      nella lusinga de' trionfi vostri
      cercan ristoro dell'incerta amara
      lontananza protratta: abbandonati
      eternamente, appena l'ossa e l'urna,
      nè l'urna forse rivedran di voi!
     
    
      AIACE
      Ascolta dunque, o Agamennon. Tradito
      o traditore esser dee Teucro; quindi
      te seguir non poss'io, nè tu a notturna
      pugna puoi muover con fidanza. Al giorno
      sia differita. A Pirro ed a Peleo
      l'infauste spoglie sien retaggio omai
      e conforto nel lutto. Alla mia tenda
      torni Tecmessa. Al re de' Locri e a' miei
      tu manda ostaggio Menelao; che inerme
      teco io starò pegno di Teucro. Il sole
      le trame scopra, e il campo acheo non veda
      di fraterni cadaveri profano.
     
    
      AGAMENNONE
      Non nel mio padiglione, in campo il sole
      mi mostri estinto, o tal, che mai più meco
      nessun da re favelli. Odil tu primo:
      poi la vittoria il manifesti agli altri. –
      L'Asia i greci oltraggiò poi che s'accorse
      quanti discordi avidi re tiranni
      si sbranavan la Grecia; e lor fu esempio
      la schiatta vostra, Eacidi superbi
      predatori di regni. A voi traeste,
      sol con le sette e volgo e fama e cielo;
      e, spenti ancor, resta alle vostre spoglie
      la perfidia e la rissa. Abbia la Grecia
      vendicator de' numi suoi me solo;
      moderator, dominator me solo.
      Vili ed innocue alfin palesi Ulisse
      l'armi vostre. Tu prostrati: o a' Troiani
      numi impotenti, a cui pace giurava
      il padre tuo; a cui l'infame Teucro
      consacra il figlio della schiava, io stesso,
      a strugger tutti d'Eaco i nepoti,
      lo svenerò.
     
    
      AIACE
      Perchè io mi prostri, devi
      evocar la tua figlia e ricomporre
      le ossa che a cena orrenda il padre tuo
      teco imbandiva al suo fratel Tieste.
     
    
      CALCANTE
      O forsennati, forsennati! io veggio
      l'inespiata ira d'Iddio chiamarvi
      a scontar con novelle orride colpe
      le iniquità de' padri. Entro quell'urne
      voi le mani sacrileghe cacciando
      sangue e fiele mescete all'esecrate
      ceneri. – O Agamennon! gli avi tuoi crudi
      e gli Dei che tu provochi, al tuo letto
      vigili stanno; e tu li vedi; e serpe
      negli occhi tuoi fra le lagrime il sonno
      finchè il terror ti desti. Empio non sei;
      ebbro d'orgoglio sei. Della tua vera
      gloria deh! ascondi il tumulo d'Atreo;
      con le regali tue virtù la terra
      consola; e il cielo alfin placa e te stesso. –
      E tu, mio figlio (o a me più assai che figlio!)
      obbliar vuoi che sei mortale; alzarti
      oltre la inferma, sventurata, cieca
      nostra natura? Splendida si mostra
      virtù; ma i petti umani arde funesta
      quanto è più schietta; e appena un raggio scende
      tra noi. S'innalza; già tutta rapita
      al ciel l'hai tu; già del tuo lume splende
      l'universo... Mi stride dall'Olimpo
      la folgore, e l'obblio teco e la lunga
      notte travolve chi agli Dei s'agguaglia. –
      Ma che parlo? Feroci i lumi al suolo
      questi crudeli fuggono. Tu indarno
      morente quasi dal marito implori
      pietà, e le voci ti soffoca il pianto.
      Qui presso è un colle ed un altar... Mi segui.
     
    
      TECMESSA
      A me ti volgi, o signor mio; deh porgi
      a me la destra, che mi trasse un giorno
      di mezzo al sangue, alle rovine, al foco
      de' miei tetti paterni... – Ove mi lasci?...
      chi mi consola?... Ohimè! corri; in periglio
      forse è il mio figlio...
     
    
      AIACE
      Serva d'altri io mai
      vederti meco! – ...
     
    
      TECMESSA
      Il figlio mio...
     
    
      AIACE
      Di tutti
      noi solo, o donna, il figliuol tuo fia salvo.
     
    
      AGAMENNONE
      Guardie, traete a voi la schiava.
     
    
      AIACE
      A voi
      dunque traete il signor vostro esangue...
     
    
      CALCANTE
      Non profanate gli occhi miei di sangue,
      empi! o ch'io torco in voi l'ire de' Greci. –
      Della vostra regina, o sventurate,
      reggete i passi. – Ecco la sacra benda
      stendo sul capo all'innocente donna. –
      Vieni: sull'are di dolor morremo.
      (parte Tecmessa, Calcante e le Troiane, e vanno nel Tempio)
     
    SCENA VI
    AGAMENNONE, AIACE.
    
      AGAMENNONE
      Va; la mia fè ti giovi. Il campo io movo
      ver le dardanie rocche; e sarà face
      al sentier mio l'incendio delle tende
      de' prigionieri.
     
    
      AIACE
      O crudelmente astuto!
      ben fuggi il sol; ben nella notte fidi!
      Ma non osi assalirmi; e vuoi ch'io stesso
      abbandonando i miei congiunti a morte,
      mi palesi tuo servo; o che la plebe
      me traditor sospetti, ov'io col greco
      scempio i frigi difenda. Or di': non pende
      sui guerrier nostri che tien Priamo avvinti
      la scure e il foco? E me divider pensi
      dall'onor, dalla sposa e dal mio soglio
      con le fiamme e i cadaveri? Vien dunque
      poi che per mari d'innocente sangue
      nuoti al sommo poter, vieni e la tua
      fama, e la patria, e te sommergi. – Vedi
      a terra il balteo e la vagina. Ignudo
      sempre a' tuoi sguardi questo acciar baleni
      finchè sicura e libera non sia
      la Grecia meco.
     
    
      AGAMENNONE
      Il loco ove perisse
      Agamennone atterrirà voi tutti
      ed i figli e i nepoti. – A me il mio scettro.
      (gli araldi gli presentano l'elmo e lo scettro, egli calcandosi l'elmo dice l'ultimo verso e parte)
      – Tu Ifigenia reggi i destrieri e l'ira.
     
    SCENA VII
    AIACE.
    
      O Teucro! e dove è il brando tuo? sì vile
      mi credi tu che a vendicarmi corri
      agli agguati? sei tu perfido o insano?
      L'oscurità dell'Erebo è diffusa
      anche su gli astri: io tra l'insidie e l'ombre
      chi sa in che petto immergerò il mio ferro!
      Teucro, ove sei? – Teucro! mi fai codardo. –
      T'odo, Bellona! Il tuo urlo spaventa
      la notte. Vengo, o fera Dea: vedrai
      s'io placherò la tua rabbia di stragi.
      Ma tu perdona agl'innocenti almeno!
     
    SCENA VIII
    AIACE, ULISSE.
    
      ULISSE
      Pur ti trovo: t'arresta. Al tuo disprezzo
      è pari alfin la mia vendetta. O Aiace,
      mi spregiasti; e più vil tu mi credevi
      poi che potendo aver tomba d'eroe,
      da te sostenni esser io salvo. Ah! vissi;
      infame; e vivo; ma per farti infame. –
      Te ammiri tu! Nessuno ammiro io mai,
      tranne chi proprie fa le forze altrui.
      Il tuo valore è mio; lo traggo io solo
      a insane guerre: i mutui sdegni vostri
      o Greci re, son miei; mia la delira
      credulità de' popoli; l'amore
      de' tuoi congiunti, è mio; mia di Calcante
      la pietà che abborrendo Agamennone
      darti i suoi Dei non osa. Io la fortuna
      sol con le vostre passioni affretto;
      ed oggi amica, oltre ogni speme, apparve.
      Atride regni. Palamedi e Achilli
      e nuovi Aiaci io gli apporrò, che Ulisse
      rispetteranno. Ilio conquisti; e vinca,
      s'ei può lo spettro di sua figlia e il muto
      terror della vendetta onde la moglie
      già gli circonda il talamo. Vacilla
      quel trono ognor che su le tombe posa.
      Ma per lui posso or assalirti. In campo
      t'aspetta, o Aiace, il vincitor di Reso.
      Dubbia è mia morte e la tua infamia è certa. –
      Il cor dentro ti rugge... mi trafiggi
      più traditor parrai...
      (Aiace lo guarda con sprezzo e parte)
      Gli apro l'abisso
      lo vede, e freme; e più mi spregia ei sempre.
     
    (parte)
    ATTO V
    SCENA I
    CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE.
    
      CALCANTE
      Fuggi, misera... Scendi.
     
    
    
      CALCANTE
      Dall'orrendo
      spettacolo, voi donne, a piè dei colle
      sottraetela.
     
    
      TECMESSA
      Il foco ahi! li divora. –
      (scendendo)
      E ripercosse quelle fiamme io sento
      sovra il mio volto. – O padre mio!... beato
      re di beati popoli ti vidi:
      chi ti strappò la tua corona? Aiace
      struggea la sede de' tuoi numi; Aiace
      t'incatenò: pianse il crudele; e a Greci
      ti strascinò di cenere cosperso
      nè mi fe' moglie sua, nè ti difende
      che ad innasprir contro di noi l'iniqua
      insanguinata alma d'Atride... – O Aiace
      tu almen ti salva dall'incendio. Invano
      spegnerlo vuoi; vidi crollar fumando
      il carcere de' miei; io con questi occhi
      dagli armati carnefici in quel rogo
      vidi scagliar vivo co' figli il padre...
      Ohimè! spirano ardendo... ed esecrando
      la lor sorella. O padre mio, mio padre
      non maledirmi tu.
      Silenzio
      Ma, e voi... non siete
      misere dunque al par di me? me sola
      piangete forse?... E che? pianger potete! –
      Meco tornate su quell'erta: udremo
      delle vittime i gemiti: il mio padre
      mi chiama... io manco... – o terra, ecco io t'abbraccio;
      coprimi.
      (cade e viene soccorsa)
      Silenzio
      Aiace, vien; mira la tua
      moglie prostesa ove tu dianzi il forte
      provocavi, o superbo, ed obbliasti
      ch'io periva... Ma posso io non amarti?
      Morir poss'io finchè il tuo figlio vive? –
      E sì curvo alla valle, e che più guarda
      l'atterrito profeta?... Odi, Calcante;
      volgiti, deh!... al mio ultimo priego
      rispondi. Vedi tu forse nei campi
      illuminati dall'iniquo rogo
      cader Aiace?... Ah! gridagli che seco
      corre a perir la moglie sua.
     
    
      CALCANTE
      Rimane
      languida vampa all'arse tende; e il fumo
      ogni veder mi toglie. Atride, o figlia,
      s'arretra; chè appressarsi a noi la pugna
      intendo. Sorge in liete voci all'aura
      d'Aiace il nome. – Odi feroce un grido?
      «Io col mio brando ferirò Bellona».
      Dell'aspro figlio d'Oileo è il grido.
      Voi difendete l'are vostre, o Numi!...
      Ma e questa donna a un tempo udite.
     
    
      TECMESSA
      Ah i numi
      da che infelice io fui, più non m'udiro!
      Patria e pace mi han tolto, e padre... tutto
      m'han tolto: sposo mi torranno e figlio. –
      Torni il sorriso al mio pallido volto,
      il ciel non ama i miseri. Versate
      fior sul mio grembo; a me i profumi e l'arpa
      come quando l'allegro inno suonava
      nella mia reggia. Allor m'udiva il cielo;
      allor ch'io non gemeva!
     
    
      CALCANTE
      O desolata
      giovine! oppressa dal cordoglio immenso
      delira.
     
    
      TECMESSA
      E oh quante vergini guidavano
      meco le danze; e zefiro sciogliea
      le lor treccie odorate; ed i miei passi
      e il mio sembiante illuminava il sole,
      quando in Lirnesso i candidi corsieri
      e l'aureo cocchio risplendeano e l'armi
      de' frigi re!... Su via: date all'argiva
      Elena il regio peplo, a lei le rose
      e l'amoroso canto, a lei che il mare
      empiea di navi a desolarmi. Intanto
      fra i morti, il sangue, i gemiti e la notte
      andrò errando se mai l'ossa de' miei
      trovassi; e tutta consecrar sovr'esse
      la mia chioma recisa; e sotterrarle
      nelle rovine dell'avita reggia.
     
    
      CALCANTE
      O sanguinosa alba tu sorgi!
     
    
      TECMESSA
      Orrenda
      del sacro vecchio odo la voce!
     
    
      CALCANTE
      L'asta
      del Telamonio, o re de' re, ti giunge;
      tu vacillando nel tuo cocchio a terra
      cadi; ma sul tuo capo ecco protesi
      cento scudi d'eroi. Muto stupore
      al tuo cadere i popoli confonde.
      Stanno attoniti, immobili. Percote
      Aiace invan lo scudo ampio col brando
      a rinfiammar i suoi guerrieri. – O Aiace,
      solo tu pugni; e contro il ciel. Volava
      l'aquila intorno alla tua culla, e Alcide
      entro la pelle d'un leon sanguigna
      ti ravvolgeva infante. Ah non ti tolse
      l'esser mortal; ritratti: eterno è il fato;
      le Parche ti circondano. E un iddio,
      manifesto un iddio serba la vita
      d'Agamennone a più funeste mani! –
      Ecco il carro d'Ulisse; a rivi il sangue
      dal rotto usbergo gli prorompe; a stento
      regge le briglie; ma col guardo pugna
      e con la voce moribondo. Rapide
      le sue ruote sorvolano i cadaveri
      di schiera in schiera. A' Tessali si mesce
      e a' Salamini inerme; e l'odon tutti,
      torcendo ad Ilio furibondi il volto. –
     
    
      TECMESSA
      ...Spaventoso silenzio!... E non fremea
      di minacce, di carri e di omicidi
      la terra intorno?... Appena odo da lunge
      il burrascoso muggito del mare. –
      O! vi siete tra voi svenati tutti!
     
    
      CALCANTE
      Rapido il campo su le vie di Troia
      s'affretta. – Aiace,... Aiace solo a noi
      torce i destrieri a disperato corso. –
      Odi il fragor delle sue ruote... Ei giunge.
     
    SCENA II
    CALCANTE, TECMESSA, DONZELLE FRIGIE, AIACE.
    
      TECMESSA
      O signor mio!... tu vivi; unico vivi...
     
    
      AIACE
      Nella mia nave è il figliuol nostro; al mare
      fuggi; solingo è il campo: avrai fidata
      scorta l'auriga, e celeri i destrieri.
      I tristi antichi genitori miei
      conforta e di' che tu non hai più padre,
      nè congiunti... che sei madre del figlio
      d'Aiace... ch'io la reggia tua distrussi,
      che t'amai... che gemendo io ti lasciava...
      di' che la gloria mia... – Ahi non m'intende
      e in me tien fitta l'arida pupilla.
      ... Breve ed incerta ora m'avanza!
     
    
      CALCANTE
      Al fato
      il lutto in parte, e solo in parte, il lutto
      che a noi prepara or pagheremo!
     
    
      AIACE
      ... Sorge
      sorge, o Calcante, a' Greci il dì supremo.
      L'incendio e l'alba fer palese a Troia
      la civil pugna. Immensa onda d'armati
      sul vallo acheo del monte Ida prorompe
      e Teucro ei stesso li precorre. Ulisse,
      che di sue colpe ha complici le furie,
      de' saettieri le faretre addita,
      e i noti elmi e i cimieri. Io li conobbi
      co' nemici da lunge e nella mia
      min tremò il ferro e sol vorrei fumante
      trarlo dal sen del perfido fratello.
      E ancor, ahi stolto! perfido nol credo,
      nè so scolparlo. Ad una voce il campo
      fellone il grida; e ogn'uom mi accusa e fugge.
      Dell'empia strage de' prigioni inermi
      già s'esalta il tiranno: a lui sue schiere
      Nestore manda; e per l'achea salute
      gemendo afferra Idomeneo la lancia.
      Mi sospettano i Tessali, esecrando
      Teucro insieme e gli Atridi; e le funeste
      armi d'Achille chiedono a recarle
      al patrio lido, e abbandonar gli Argivi
      all'Iliaca vendetta. Unico il sire
      de' Locri, ancor fido mi resta... ah forse
      il mio verace unico amico è oppresso!
      Che regi e plebe e numi affronta. – Omai
      che fia non so: tutti siam noi traditi.
      E solo tu, forse tu solo...
     
    
    
      AIACE
      Tu va... deh! spento è il nostro sangue
      se tardi.
     
    
    
      AIACE
      Io? – vado ove andar deggio:
      tu starai forse senza me gran tempo.
     
    
      TECMESSA
      Gran tempo!...
      Silenzio
      Aiace... tu d'una regina
      felice un dì, misera poscia, spesso
      tu mi parlavi lagrimando, e il tuo
      cuore accusando, che canuta e assisa
      su le tombe de' suoi, l'abbandonasti
      sordo a' suoi lunghi prieghi. Era tua madre
      quella regina; e ancor vive e t'aspetta,
      e sventurato t'amerà, e con noi
      lagrimerà di men amaro pianto.
      A crescer meco disumano il nostro
      figlio da te, deh! non impari. Torna
      meco al tuo regno. Ahi! se tu mai non torni,
      me d'ogni tua sciagura incolperanno
      i genitori tuoi; della straniera
      figlio fia detto il figlio tuo... – Qui teco
      ch'io resti almen: nè ricordar m'udrai
      ch'io per te più non ho padre e fratelli;
      te piangerò, te seguirò sotterra.
     
    
      AIACE
      ... Mi rivedrai,... se il rivedersi a' giusti
      non è conteso. Ma il più starti meco
      fia periglioso, or che i mortali e i numi
      voglion punita la mia gloria. E Teucro...
      ei che noi sempre amò felici... ei forse
      perseguirà il mio figlio! Asilo in Troia
      non ti sperar; se mai da' greci ha scampo
      oppressa fia dalle sue colpe: e i tuoi
      parenti omai nè il ciel potria ridarti.
      Abbi rifugio a' miei: pietosi afflitti
      sono, e innocenti, e a te simili in tutto.
      Me difender poss'io, me solo; e tolto
      forse dagli altri or ti sarei, se indugi.
      Addio... t'amai; t'amo, Tecmessa...
     
    
      TECMESSA
      Or quando
      tremò, come or, la tua man nelle mie!...
     
    
      AIACE
      Cedi a' miei prieghi... lasciami... – Mi prostri
      il cor. Non far che i miei detti infelici
      sieno comandi.
     
    
      TECMESSA
      A queste fide ancelle
      e a' Dei del mar commetterò il mio figlio:
      tu, padre mio, deh tu alquanto rimani.
      Ratta io qui riedo. Al fero duol ch'ei preme,
      e m'atterrisce, alcun sollievo forse
      fia l'amor mio.
     
    
      AIACE
      Tal v'ha dolor, cui nulla
      dolcezza val che ad innasprirlo.
      (Tecmessa e le donzelle partono)
     
    SCENA III
    AIACE, CALCANTE.
    
      CALCANTE
      Io tremo:
      che degg'io far? tu, che rivolgi in mente?
     
    
      AIACE
      Non gloria a me, nè libertà, nè speme,
      tranne il mio brando e questo petto ov'io
      piantarlo possa, a me nulla più resta.
      Va, di' ch'io muoio, e fia tronca ogni rissa,
     
    
      CALCANTE
      Oh ciel!... Tu dunque rapirai i tuoi giorni
      al voler degli Dei!... Tu d'inaudita
      colpa agli Achei primo darai l'esempio!
     
    
      AIACE
      Fellone io sembro, e viver deggio? – dove? –
      per chi? Fu vano tanto sangue offerto
      a libertà; vinto fu Atride, e pugna.
      Posso domarlo io più? Trarrò alla rissa
      i pochi amici della mia sventura
      or che il furor de' barbari sovrasta
      al popol nostro?... Affronterò i Troiani?
      Ma non gli affida il fratel mio? Già i Greci
      la mia difesa abborrono. Nè posso
      pugnar se il mio fratello io non uccido,
      onde recar poscia alla patria i miei
      ceppi e l'obbrobrio e il lutto. – O se vedessi
      tu come l'infortunio in sì poche ore
      m'ha trasmutata l'alma!... Io... quel fratello
      ch'ebbi sì caro, e tuttavia fedele
      stimo... io talor d'atri disegni accuso.
      Sgombrarsi il mio trono paterno ei tenta.
      Forse... e s'ei vince svenerà il mio figlio.
      In sì bassi, tremanti, orridi sensi
      or la vita io protraggo! – Se di noi
      han cura i numi, e mi han dannato a tristi
      servili dì, non mi dorrò dell'alta
      ingiusta legge; eluderla ben posso. –
      Va, riconcilia e salva i Greci; in tempo
      sei forse.
     
    
      CALCANTE
      ... Teco noi trafiggi... e mentre
      l'evento ignori de' consigli eterni
      tu lo precidi. Indugia almen... per poco
      spera...
     
    
      AIACE
      Se il figlio orfano mio distormi,
      nè quella ch'io morendo amo più sempre,
      non può; tu certo nol potrai. Ben sento
      freddo un orror nel perdere la luce
      del giorno: odo ulular i disperati
      miei genitor nel funereo deserto
      delle mie case... – Il suo materno seno
      m'apre intanto la terra; ed altro asilo
      che in quelle sacre tenebre non trovo. –
      Deh vola; salva con Atride i Greci,
      fa santo il scettro del tiranno; il mio
      capo e di Teucro al Tartaro consacra;
      reca al volgo i suoi numi; uniche vie
      a ricondurlo alla comun difesa
      fien oggi: va... Se mai cedano i Teucri
      avvisa i re che su la Grecia pende
      l'ambizion d'Agamennone, pende
      sovr'essi il ferro e la calunnia e Ulisse.
      Di', che del morir mio solo conforto
      m'è il ridestarli omai... Se rammentarmi
      sdegnano, almen di Palamede, almeno
      di Filottete vittime d'Atride
      giovi il tremendo esempio... – Tu i miei fati
      rispetta.
     
    
      CALCANTE
      ...Ohimè – che all'orrido proposto
      ti lasci!... Almen...
     
    
      AIACE
      E tu abbracciarmi, o giusto,
      potresti? Vedi di che sangue io grondo.
      Or di Lete la sacra onda lavarmi
      dovrà. Ben tu l'esangue Aiace ignudo
      amerai sempre. A quegl'iniqui invola
      il cadavere mio: l'ascondi dove
      nessun m'insulti e gridi: Ecco la fossa
      d'un traditor.
     
    
      CALCANTE
      E così dunque inganni
      la moglie tua, che a te, misera! torna?
     
    
      AIACE
      Poichè tu il brami, l'empio Ilio trionfi;
      tu inorridisci intanto...
     
    (per ferirsi)
    
      CALCANTE
      Arresta –... Addio.
     
    
      AIACE
      Men infelice di me vivi! – Addio.
     
    
      CALCANTE
      Gl'iniqui e i giusti un fulmin solo atterra.
      (parte)
     
    SCENA IV
    AIACE.
    
      Gli ultimi passi miei verso la morte,
      giudice vera di noi tutti, alfine
      libero e forte io volgerò. La speme
      più non m'illude; e certa è la mia pace. –
      Fortune umane tenebrose! Questa
      spada, a' Greci fatale, Ettore diemmi;
      la mia si cinse; e col mio balteo il vidi
      legato esangue e strascinato. Or questa
      spada, sul lito a cui guerra io giurai,
      presso la tenda ove sdegnai curvarmi,
      mi prostra: ed invisibile un fratello
      esplora forse se più il cor mi batte,
      per regnar poscia. – O Telamone, solo
      regna, e nella tua pira ardi quel scettro.
      Tu, o madre mia, abbraccia e mostra ai Greci
      l'unico figlio di tuo figlio. Un empio
      nato dall'abborrita tua rivale
      tel rapirà... – Ahi tornano frementi
      le umane cure e m'abbandona l'alta
      sicurtà della morte. Aiace, fuggi
      ove più non vedrai nè traditori
      nè tiranni nè vili; ove imitarli
      più non dovrai nè calunniar chi forse
      or per te more. – O uomini infelici
      nati ad amarvi e a trucidarvi, addio! –
      O Salamina patria mia, paterne
      are, da me non profanate mai,
      campi difesi dal mio sangue, addio!
      Ch'io veggia e adori quella sacra luce
      del sol prima ch'io mora. Oh come s'alza
      splendida, e il mio occhio avvilito insulta!
      Ah, se rivive la mia fama, allora
      o glorioso, eterno lume, o sole!
      sovra il sepolcro mio versa i tuoi raggi.
      Or ti guardo dall'Erebo, e ti fuggo,
      e nell'ignota oscurità m'immergo
      inorridito!... – Ahi l'infelice donna
      m'insegue; io l'odo... Morir non mi veda.
      (parte)
     
    SCENA V
    TECMESSA.
    
      Salvati, Aiace... Ove sei tu?... T'insegue
      stuol d'armati a gran passi... – Aiace! Aiace!
      Ah m'hanno ucciso il signor mio... – Chi vedo?
      Teucro!
     
    SCENA VI
    TECMESSA, CALCANTE, TEUCRO, AIACE, GUERRIERI.
    
      CALCANTE
      È perduto! – e ogni soccorso è vano.
     
    
      TECMESSA
      Dal suol ripiglia il ferro tuo... mi svena,
      o fratricida; e nell'onde il mio figlio
      insegui, e sovra il padre suo lo svena.
     
    
      AIACE
      (di dentro)
      O morte!... amara or sei... Ah!
     
    
      TECMESSA
      Ahi! chi t'uccide,
      o sposo mio...?
     
    
      CALCANTE
      Deh!... statti...
     
    
      TECMESSA
      Ohimè! sul brando
      si sorregge e vacilla. – O Aiace mio
      vieni; sul petto mio spira... io ti seguo.
     
    
      AIACE
      Ah!... – del mio cor la via... non trovò il ferro.
      E a tanto lutto or qui rimani... – L'elmo
      lasciami, armato io morirò... Il mio scudo
      serba al mio figlio... Ah!... non obblii che è mio
      figlio... ma troppo nol rammenti... – E dove
      mi posi tu?... Questo è d'Atride il seggio.
     
    
      TEUCRO
      Nè a me un guardo rivolge... O mio fratello,
      non esecrarmi! Laverò col mio
      sangue le tue ferite; io che t'uccisi
      e per salvar gl'ingrati Achei.
     
    
      AIACE
      Gli hai salvi!
      Tu!... o mi deludi anche sull'urna?... Or dove
      eri?... e quai genti ti seguian?
     
    
      TEUCRO
      Gran turba
      di prigioni, e d'Ulisse eran le squadre.
      Meco ei dovea sul monte Ida mostrarsi
      a sviar verso noi l'armi nemiche
      mentre alle rocche tu co' Greci avresti
      dato l'assalto.
     
    
      AIACE
      Ah!... Ben nell'empia pugna
      pochi scontrai degli Itacensi.
     
    
      TEUCRO
      Attesi
      In van sino alla prima ora notturna
      l'armi d'Ulisse: e mentre io dubitando
      di sue promesse, già volea dar volta,
      gran stuol d'armati traversò la selva
      tacitamente. Eran novelli aiuti
      che a' Dardani guidava il Licio Sire.
      Pugnai; fuggì Glauco ferito; e i suoi
      dall'ombre esterrefatti e dall'assalto
      si arresero. Io tornava. A sommo il monte
      da' precursori miei seppi che il campo
      si congregava in ordinanza; e tutti
      unirsi a' miei vidi i guerrier d'Ulisse.
      Ei lor duce mi fea, poi che la pugna
      il venir gli contese; e che in agguato
      stessi a infestar l'oste nemica a tergo,
      che a guerreggiarvi dalle porte uscia. –
      Sicura io tenni la vittoria e conscio
      te, Aiace mio, del loco ond'io pugnava,
      ch'io fin d'ier t'inviava a darti avviso
      Medonte nostro. A mezza via sul lito
      mel recar l'onde a' piedi; a mezza via
      fu trucidato e in mar sospinto...
     
    
      AIACE
      O quanti
      fedeli amici... io trassi meco... a morte!
     
    
      TEUCRO
      Spesso l'afflitta mia mente presaga
      mi consigliò il ritorno. Ah tardi io mossi
      poi che m'accorsi dell'incendio. Vidi
      che pria distormi dal congresso volle
      il traditore; e quando arse la rissa
      mandò i guerrieri e t'impedì il soccorso.
      Mentr'io già tocco il vallo, gl'Itacensi
      il mio drappel trafiggono alle spalle.
      E con le guardie Argive Ulisse a un tempo
      precorre il campo, e m'investe. Indifeso
      cado ed oppresso, e te invocando, o Aiace.
      Trattanto i Lici prigionier, cogliendo
      i nostri dardi, tentano la fuga;
      li cinge Ulisse, e a' popoli che omai
      accorrean con gli Atridi: «Ecco, gridava,
      ecco quali armi il traditor notturno
      traea contro voi tutti» – Gl'Itacensi
      la calunnia ripetono, e la plebe
      liberatore Ulisse acclama; e tolte
      l'armi d'Achille dall'altar, ne veste
      quel traditor, che anelante ed esangue
      non domo ancor dalle ferite esulta.
     
    
      CALCANTE
      L'empio nei nembi ravvolgete, o venti!
      Deserta il pianga la sua casa! All'empio,
      o mari, le carpite armi togliete!
      Recatele alla sacra urna d'Aiace!
     
    
      AIACE
      Al tuo fratel gl'iniqui dubbi, o mio
      Teucro, perdona... reggimi, Tecmessa,
      ch'io l'abbracci. – O fratello! io non ti lascio
      esecrandoti... io più vile non moro...
      E tu sei salvo.
     
    
      TEUCRO
      Mi togliea dall'empie
      spade il sire de' Locri; ei la tua fama
      difende ancor,... e il delirante volgo
      disingannar solo potea Calcante.
      Ma qui, mia scorta io il trassi... Ohimè! salvarti
      più non poss'io. – O Salamini, o soli
      di tanti forti, o sciagurati avanzi,
      chi più vi resta omai? viver degg'io?
      Morite almen col nostro re; struggete
      la tenda e il trono del tiranno.
     
    
      CALCANTE
      O figlio!
      Qui i tutelari Dei stanno e le leggi
      del popol nostro; il popolo a più atroci
      colpe strascini...
     
    
      AIACE
      Ah! il civil sangue... basti,
      o Teucro,... teco ogni sostegno a questa
      donna rapisci e a' tuoi... Vano è il tuo brando
      se sta ne' fati che d'Atreo la stirpe
      regni... – Io manco... Addio, Teucro... su questa
      tremante destra... e questo estremo priego
      reca al duca de' Locri – o Teucro giura
      che lascierai le mie vendette... al cielo...
     
    SCENA ULTIMA
    AIACE, TECMESSA, TEUCRO, CALCANTE, AGAMENNONE, ARALDO, GUERRIERI.
    
    
      AIACE
      Deh! vieni, coprimi col tuo
      velo, Calcante, coprimi... che l'occhio
      dell'oppressor... non contamini almeno
      il morir mio. – Sotterra t'aspetto,
      o re de' re!
     
    (muore)
    
      TECMESSA
      Ahi miseri! O mio figlio
      più non hai padre!
     
    
      CALCANTE
      Dell'eroe sopiti
      ecco gli errori, e le virtù del giusto.
     
    
      AGAMENNONE
      O grande anima! – o a te funesta e a noi!
     
    
      TECMESSA
      Piangi? Fu poco di tua figlia il sangue
      alla porpora tua. Tingila in questo
      nè ti basti mai lagrima che il lavi,
      ma il sangue tuo sparso da' tuoi.
     
    
      AGAMENNONE
      Più forte,
      e più esecrato, e più infelice io sono. –