DELLA

GENEOLOGIA

DEGLI DEI

DI M. GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRI QVINDECI

Ne'quali si tratta dell'Origine, & discendenza di tutti gli Dei de' Gentili.

Con la spositione de' sensi allegorici delle Favole: & dichiaratione dell'Historie appartenenti à detta materia.

TRADOTTA GIÀ PER M GIOSEPPE BETVSSI.

Et hora di nuovo con ogni diligenza revista, & corretta.

Aggiuntavi la vita di M. Giovanni Boccaccio, con le Tavole de' Capitoli, & di tutte le cose degne di memoria.

Dedicata all'Illustre Signor

BONIFACIO PAPAFAVA

 

 

 

 

 

In Venetia per il Valentini MDCXXVII

CON PRIVILEGIO.


 

All'Illustre Sig. & Patron Colendiss. Signor

BONIFACIO PAPAFAVA

Cavalier dell'Ordine del REDENTORE, dell'Altezza Serenissima di MANTOVA, &c

LA Geneologia de' Dei già dall'Eccellentiss. Boccaccio descritta, & per la materia, di che tratta famosa, & per l'eminenza dell'Autore, che l'ha composta, singolare; essendo già da' morsi del tempo, che tutto lacera, & consuma, quasi logorata, & guasta; si che appresso gli uomini appena più si ricordava; volendo io, & per ornar le mie stampe di cosi nobil'opera, & per non lasciar un tanto tesoro dimenticato, trarla dalle tenebre dell'oblivione alla luce della reminiscenza; non ho saputo à più sicuro bisogno di V.S. Illustriss. appoggiarla. Laquale, avvenga, che di presenza io non la conosca, vola ad ogni modo cosi altamente il grido della nobiltà, & graNdezza cosi della famiglia, traendo particolarmente l'origine dalla Illustrissima Casa de Signori di Carrara, come de' proprij suoi meriti, che non solo me, che nulla sono, & nulla vaglio, ha reso riverente a' suoi honori, & divoto alla sua grandezza; ma gli Prencipi grandi à desiderar l'amicitia, & accomunare con lei le proprie grandezze., che però l'Altezza del Sereniss di Mantova si ha compiacciuto di annoverarla tra suoi Cavalieri del Redentore co'l colare nobilissimo di quella Religione arricchendola d'infiniti privilegij, de' quali questa breve lettera non è capace; Come ne della parentella per via di matrimonio contratti con l'illustriss. Casa Pesaro: ne meno delle grandezze del'illustriss. Sig suo Padre (per star ne limiti vicini della famiglia) Cavalier nobilissimo, Priore della religione di S. Stefano appretto il gran Duca di Toscana. Indi dal'illustriss. Sig. Ambasciatore di Francia appresso la Sereniss. Republica Veneta a nOme del Re Christianissimo honorato del vero, e gran colare di S. Michele. Nè tan poco de gl'illustrissimi Signori suoi fratelli, l'uno Cavalier di S.Marco, che ora gode i primi; & principali honori della sua Patria, l'altro Vescovo d'Adria, e di Rovigo, & Abbate di Sebenico, un'altro apparentato con i primi Prencipi (per la moglie) d'Alemagna; un'altro Cavalier di Malta vicino per i suoi meriti alla commenda, & alla gran Croce, di maniera, che se vorressimo andar ricercando per la famiglia antichissima; & numerosissima la trovaremmo ricca non solo di palme, di mitre, d'armi, e di Spoglie nobilissime, ma di scettri, e di corone, degni più tosto di Bronzi, e di Marmi, d'inchiostri finissimi, & di penne sovrane, che d'una letteRa d'un minimo suo servitore. Il quale viene solo a supplicarla, ricever in grado nel picciol dono di quest'opera il grande desiderio, che tiene di servirla; Et come le dedica il Libro, cosi le dona se stesso in perpetuo serviggio, pregandole da N.S. l'adempimento de' suoi alti, & nobilissimi pensieri, riverentemente le bacia le mani.

Venetia il dì 18. Marzo M DC XXVII.

Di V.S, Illustrissima

Servitore humilissimo

Giorgio Valentini

 


 

VITA DI M. GIOVANNI

BOCCACCIO

DESCRITTA DAL BETVSSI.

 

PARRÀ forse istrano ad alcuno, c'havendo io prima nel libro delle Donne illustri del presente autore, & poscia M. Francesco Sansovino inanzi il Decamerone da lui corretto, & in molte parti adornato, et ridotto a perfettione, descritto la vita del Boccaccio, hora di nuovo io mi sia messo quella nella fronte di questi libri locare, il che però cosi non deve parere, conciosia, che non senza ragione a ciò mi sono mosso.  Primamente alcuno non ha a dubitare che, colui il quale otioso, & indarno vivere non vuole, ogni giorno appara, & vede qualche cosa di piu, di che la confessione, che faceva il saggio Socrate di non saper altra cosa meglio, eccetto, che non sapeva nulla, non procedeva da altro, che da la imperfettione dell'huomo, il quale per lo piu di quelle cose, che ei si reputa piu essere capace, & instrutto, aviene, che si ritorna meno essere intelligente & ammaestrato. Io nello descrivere l'altra fiata la vita di M. Giovanni, cercai darla a leggere piu perfetta ch'io potessi; il che in tutto non m'è venuto fatto, perche nel rivolgere molti altri libri cosi suoi, come d'altri, ho ritrovato delle cose da me à dietro lasciate, le quali hora non mi paiono da tacere. Il Sansovino medesimamente, come persona dotta, & studiosa con l'acuto, & elevato ingegno investigando trovarne il vero, non ha saputo, nè poTuto haverne miglior testimonio, che le scritture del proprio auttore; però sopra quelle fondandosi, nella maggior parte fedelmente della vita del Boccaccio ha parlato. Ma essendo impossibile ch'un huomo solo possa vedere il tutto, non sarà meraviglia, che da lui molti luoghi non siano stati tralasciati, & (forse per non havergli veduti) non citati; i quali hora intendo, insieme con i suoi io produrre a commune piacere di quelli, che si dilettano intieramente vedere quel piu di vero, che restare ci possa della di lui vita havendo per fermo di tanto non poter dire, che piu non ne habbia tacciuto. La seconda cagione anco, che a ciò mi ha guidato è stato, che non havendo l'autore fatto alcun'altra fatica piu da lui istimata della presente (così portando il costume degli scrittori), mi pareva ch'ella non havesse ad uscire in mano degli huomini da me tradotta senza la sua vita; accioche tra le celesti beatitudini (se le anime sciolte dai corpi possono sentire alcuna felicità mondana) quella del Boccaccio goda questo contento di vedere le fatiche sue da tutti non sprezzate, ma da molti degnamente graditO.

Giovanni adunque per cognome detto Boccaccio fu di Certaldo Castello di Toscana, & nacque negli anni del signore MCCCXIII, nel tempo, che Arrigo Quinto Imperatore & Federigo Re di Sicilia insieme con Genovesi mossero guerra contra il Re Roberto; nel qual tempo poi il detto Imperatore morì in Puglia appresso Benevento. È questo Certaldo posto sopra un eminente colle vicino al quale corre il fiume Elsa, onde propriamente chiamasi Certaldo di val d'Elsa. Nacque di vili & poveri parenti, sì come egli medesimo ne fa fede, & si può conietturare in molti luoghi delle opere sue: i quali come poco importanti, & di nesuno momento lascio adietro.

Fu il padre suo poverissimo, & dato agli essercitij rusticani, il nome del quale senza dubbio veruno fu Boccaccio, come egli istesso ne fa fede nel nono & ultimo libro sopra i Casi degli Huomini Illustri, dove nel trattato di Iacopo, Mastro dei Cavalieri templari, cosi dice: Nil aliud quousque illis ingentes spiritus sufficere; quam qui dudum occubuere; testantes ut aiebat Boccatius vir honestus & genitor meus, qui se his testabatur interfuisse rebus. Non haveva il padre suo cognome alcuno, eccetto che dal proprio suo nativo luoco; onde si diceva Boccaccio da Certaldo; il che si manifesta nella Visione di M. Giovanni, come, che dubbio sia ella essere sua, quando ei dice:

Quel, che vi manda questa visione

Giovanni è di Boccaccio da Certaldo.

Nondimeno egli, lasciando il cognome del Castello, & prendendo quello del padre, si chiamò quasi sempre Giovanni Boccaccio. Ma ritornando al padre di lui, dico ch'egli, veggendosi povero & aggravato d'altri figliuoli, conoscendo questo anco fanciullo, che nella fisonomia, nei costumi & nelle operationi dimostrava non essere di basso & rozzo intelletto, atto ad essere posto ad alcuno essercitio piu che mecanico, anzi per essere d'aveduto, & acuto ingegno, di attendere a cose di momento, tra se propose, che si essercitasse nella mercatantia. Così, essendo Giovanni anco fanciullo, il pose a stare a Firenze con un mercatante Fiorentino; onde per essere buono Aritmetico & sapere benissimo tener conto di libri, da quello era tenuto caro & seco fu condotto a Parigi, col quale dimorò lo spatio quasi di sei anni non già con l'animo tranquillo, anzi piu che mezzanamente travagliato, parendogli non spendere i giorni come havrebbe voluto & desiderava; la qual cosa, che cosi fosse, egli istesso nel Quintodecimo libro della presente Geneologia, dove tratta che per lo piu l'huomo segue quegli studi a' quali è inchinato, il dimostra. Scrive Benvenuto da Imola, egli odiando tale essercitio, & poco curando i negotij del padrone, da lui fu licentiato, & rimandato alla patria; là onde essendo giunto all'età di sedeci anni, in tutto si tolse dall'incominciato ufficio & drizzò l'animo a più lodati studi, piacendogli sommamente leggere, & intendere i buoni Poeti, a' quali era molto inchinato, & in tutte le sue attioni la vita filosofica imitando. Nondimeno questo suo proposito gli era non impedito, ma quasi vietato dal padre; il quale, si perche era male agiato, come anco perche giudicava gli studi della humanità & filosofia congiunti con la Poesia potergli dare poco utile, desiderava & voleva, che si mettesse ad altra professione, per lo mezzo della quale potesse sostentar se, & dare aiutto a lui. Di che alla fine mosso da' suoi prieghi, & da quegli degli altri amici, si diede allo studio delle leggi, nel cui si può giudicare se vi havesse con diligenza atteso, che v'havrebbe fatto buon frutto. Ma perche l'animo suo era in tutto rivolto allo studio dell'humanità, la quale si come infinitamente amava, altrettanto & piu, odiava le leggi, come di ciò ne fa fede una pistola scritta a M. Cino da Pistoia, al tempo suo Legista notabile, & di lui precettore, nella quale si sforzava mostrargli quanto gli era grave, & noioso quel peso da lui contra sua voglia portato, di continuo si dava segretamente a leggere i Poeti & gli historici, facendosi molto famigliare lo studio della Filosofia.

Nè perche tutto il giorno dai preghi del padre, nè dai ricordi degli amici, & famigliari suoi con lettere fosse molestato ad attendere solamente alla professione delle leggi, egli mai puote essere distolto dal suo proponimento, attento che egli a questo era nato, si come medesimamente dimostra poco di sopra nel luogo da noi citato. Cosi vivendo egli in questi termini, giunto all'età d'anni XXV, altri vogliono XXVIII, avenne, che il padre gravemente amalato, passò di questa ad altra vita. La onde restato il Boccaccio di se padrone, ne havendo piu da compiacere maggiormente in ciò ad altri, ch'alla tranquilità dell'animo suo, palesemente gittati da parte i testi, & le chiose, si diede ad abbracciar i Poeti, & in quelli fece quel profitto, che da le opere sue si può comprendere.

Et non v'è dubbio alcuno, che se dal principio vi havesse possuto attendere come desiava, & ne era inchinato, che molto maggiore di nome, & d'effetti sarebbe divenuto, perche a ciò dai Cieli era prodotto, & dagli huomini era eletto, di che ei medesimo nel predetto ragionamento ne fa fede, dicendo; Et mirabile dictu cum nondum novissem, quibus seu quot pedibus carmen incederet; me etiam pro viribus retinente quot nondum sum, Poeta fere a notis omnibus, vocatus fui. Nec dubito, dum aetas in hoc aptior esset, si æquo genitor tulisset animo, qui inter celebres Poetas unus evasissem. Verum dum in lucrosas artes primo, inde in lucrosam facultatem ingenium flectere conatur meum; factum est; ut nec negociator sim, nec evaderem canonista, & perderem Poetam esse conspicuum. Caetera facultatum studia, & si placerent; minime sim secutus. Si che si vede quanto torto fosse fatto all'ingegno di sì degno Poeta, & come con ogni sforzo a lui fosse cercato torre quello che gli promettevano i Cieli. Nondimeno, rimasto senza padre, non solo rivolse l'animo a studiare l'opre di quelli, ch'erano stati molto prima di lui, ma anco ricercò haver contezza di quei, che vivevano al tempo suo, & hebbela. Tra quali fu l'Honorato M. Francesco Petrarca, al quale divenuto molto intrinseco, & cordiale, per tre mesi continui dimorò seco: di che ne fa fede la Prima Pistola del terzo libro delle Senili di M. Francesco; & di lui fu spetiale osservatore, sì come in infiniti luoghi delle opere sue latine dimostra, & tra gli altri nel parlamento ch'egli finge seco nel principio dell'ottavo libro sopra i casi degli huomini Illustri, del quale dimostrando la riverenza, cosi parla. Quem dum reseratis oculis somnoque omnino excusso acutius intuerer; agnovi esse Franciscum Petrarcam optimum venerandumque preceptorem meum, cuius monita semper mihi ad virtutem calcar extiterant; & quem ego ab ineunte iuventute mea prae caeteris colueram. Et quello, che segue. Essendo adunque cosi infiammato di questi santi studi, a guisa d'antico & vero filosofo, non bastandogli le sue rendite a mantenerlo, incominciò vendere il capitale del patrimonio, non perdonando a spesa nè a fatica in andare dove sapeva, che fosse alcun huomo dotto, & eccelente.

Passò in Sicilia per udire un certo Calavrese ch'in quel tempo havea gran nome, com'egli scrive, d'essere dottissimo in lettere Greche, & tanto di quelle venne ad animarsi che, ritornando a dietro & pervenuto a Venegia, menò seco a Fiorenza Leontio Pilato, di natione greco, molto dotto & letterato, tenendolo nella propria casa dov'egli habitava a sue spese; & da quello si fece legere la Iliade d'Homero & l'Odissea, adoprandosi tanto con gli amici, che communemente fu salariato, & publicamente in Firenze per mezzo del Boccaccio hebbe una lettura, della qual cosa egli istesso ne fa fede nell'ultimo libro della presente opra, dove dice: Post hos & Leontium Pilatum Thessalonicensem virum, & ut ipse asserit, Predicti Barlae auditorem persepe deduco. Et poco da poi di lui continoando segue; Huius ego nullum vidi opus, sanè quicquid ex eo recito, ab eo viva voce referente percepi. Nam eum legentem Homerum, & mecum singulari amicitia conversantem fere tribus annis audivi. Cosi anco in uno altro capitolo del detto libro di quello parlando scrive; Nonne ego fui qui Leontium Pilatum a Venetiis occiduam Babilonem querentem a longa peregrinatione meis flexi consiliis? In patria tenui? Qui illum in propriam domum suscepi, & diu hospitem habui, & maximo labore meo curavi ut inter Doctores Florentini studij susciperetur, ei ex publico mercede apposita? Fu quasi il primo, questo Leontio, che leggesse in Italia le opere d'Homero, le quali tanto per innanzi erano state nascoste; & il Boccaccio fu de' principali, che le udisse, & che raccogliesse tutti i libri Greci, che puotè ritrovare, i quali fino a quel tempo erano stati quasi dispersi & sepolti;  il che testimonia nel predetto luogo dicendo; Ipse insuper fui, qui primus meis sumptibus Homeri libros & alios quosdam graecos in Hetruriam revocavi, ex qua multis ante seculis abierant non redituri. Nec in Hetruriam tantum sed in patriam deduxi. Ipse ego fui, qui, primus ex Latinis a Leontio Pilato in privato Iliadem audivi, ipse insuper fui, qui, ut legerentur publice libri Homeri, operatus sum; & esto non satis plene perceperim; percepi tamen quantum potui; nec dubium si permansisset homo ille vagus diutius penes nos; qui plenius percepisse. Et quello, che segue. Onde veramente per queste sole buone operationi habbiamo non poco a restare obligati al Certaldese, & infinitamente da commendarlo, poscia ch'egli in buona parte fu prencipal cagione di cosi utile principio.

Ma non possendo il povero Poeta col debile patrimonio, che quasi già se n'era andato, lungamente piu negli studi continuare, come disperato se ne stava quasi per pigliare novo partito, & senza dubbio sarebbe stato a ciò constretto dalla necessità; ma il divino Petrarca, che molto l'amava, incomiciò sovenirlo in diverse cose, aiutandolo secondo i bisogni di denari, & provedendogli di libri, & altre necessarie cose; onde sempre egli lo chiamò padre & benefattor suo in tutti i luoghi, dove di quello gli è occorso far memoria;  il che ha fatto in ciascuna dell'opre sue latine, & spetialmente in molti luoghi di questa. Nè perche in molti suoi scritti si ritrovi, che anco lo chiama precettore, a me non piace affermare, nè secondo il vocabolo intenderlo per maestro di scuola, ma giudico piu tosto per riverenza, che per altro cosi lo chiamasse, attento, che non si ritrovò giamai, che il Petrarca fosse pedagogo di alcuno. Fece in processo di tempo, si come habbiamo di sopra con le proprie sue parole mostrato, che il detto Leontio gli tradusse di greco in latino Homero, tutto, che altri dicano, che il Petrarca fece fare questa fatica; fondandosi, cred'io, sopra la sesta Epistola del terzo libro delle Senili, nella quale il Petrarca il prega ad oprare talmente, che faccia, che Leontio a sue spese gli traduca l'opre d'Homero: & nella seconda del sesto, dove mostra il ricevere dell'opera; ma chi bene riguarderà la prima del quinto libro, apertamente conoscerà il Boccaccio essere stato quello, che fece fare la fatica, & poi ne fece parte & dono al Petrarca. Confermato adunque col buono aiuto di M. Francesco a continuare nelle lettere, diede quell'opra maggiore, che per lui si potesse alla Poesia: & anco si pose a studiare nelle Sacre Lettere, ma essendo hoggimai quasi vecchio, si come testimonia egli stesso nell'ultimo dei presenti libri, dicendo: Caetera facultatum studia, & si placerent quoniam non sic impellerent minime secutus sum. Vidi tamen sacra volumina, a quibus, quoniam annosa est ætas; & tenuitas ingenij disuasere destiti, turpissimum ratus senem (ut ita loquar) elementarium nova inchoare studia; & cunctis indecentissimum esse id attentasse, quod minime arbitreris perficere posse. Cosi non molto in questi studi si fermò, anzi lasciandogli da parte attese alla sua cara Poesia alla quale dai Cieli era chiamato, si come continuando segue dicendo. Et ideo cum existimem Dei beneplacito me in hac vocatione vocatum; in eadem consistere mens est. Ma non contentandosi solamente dello intendere i buoni Poeti si diede anco poeticamente al comporre, & molte opere latine scrisse, tra le quali come principale fece i presenti quindici libri sopra la Geneologia degli Dei a petitione di Ugo Re di Gierusalemme & di Cipro; i quali di quanta dignità, utilità siano, non è alcuno, che ne possa far giudicio non gli havendo letti & gustati. Questo so bene io, che in quelli vi è incluso la maggior parte delle cose utili & necessarie non solamente alla Poesia, ma anco alle altre scienze, che a gran fatica in molti altri poetici libri si potrebbe ritrovare. Et in ciò ho conosciuto lo errore, che infiniti nostri moderni pigliano, i quali si fanno beffe delle scritture, che non hanno l'odore d'antichità, come quasi non si possa piu scrivere cosa, che buona sia. Ma di questo ne sia detto assai: perche ogn'un del suo saper par che s'appaghi. Scrisse medesimamente nove libri sopra i casi degli huomini illustri, con quegli essempi & regola del ben vivere, che piu politicamente alcuno altro non havrebbe possuto amaestrarci. Ne compose poi uno delle Donne illustri, tanto dilettevole & vago, quanto altro a beneficio loro si potesse formare, le quai opere io a commune utilità nella nostra natia lingua tutte ho riportate. Scrisse appresso un libro della origine & nomi de i monti, uno delle selve, uno dei fonti, uno dei laghi, uno dei fiumi, & uno degli stagni, & paludi. Trattò anco dei nomi del mare; fece la Bucolica in verso; un'opra nella cui si tratta dei fatti dei Pontefici, & Imperatori Romani; scrisse della ribelione delle Terre della Chiesa. Delle Guerre de' Fiorentini contra il Duca di Milano, & il Re d'Aragona. Della Vittoria dei Tartari contra Turchi. Delle Vittorie di Sigismondo contra infedeli. Delle heresie di Boemi. Della presa di Costantinopoli. Et oltre ciò si leggono molte sue Pistole famigliari, le quali fatiche tutte furono latine. Nel cui stile, considerandosi quei tempi, che anco erano infettati dalle reliquie dei Gothi & degli altri barbari, non poco si vede egli essere stato eccellente; perche se riguardaremo al Petrarca & agli altri scrittori del suo tempo, vedremo la latinità del Boccaccio (come, che in tutto perfetta non sia) senza dubbio essere stata la migliore dell'altre essendo anco di havere compassione ai loro giorni i quali mancavano di molte comodità a ciò necessarie, nè quella copia di libri havevano c'hora si ritroviamo noi. Si dilettò medesimamente di scrivere nel suo natio idioma; nel quale quanto valesse, tutto, che alhora fosse poco in prezzo, ne fanno fede l'opre sue, dalle quali si ha conosciuto quanta utilità n'habbiano havuto i successori, & la dignità, che a questa lingua habbiano accresciuto le fatiche sue, alle quali come a nuovo oracolo si riportiamo. Compose il Filocolo, la Fiammetta, l'Ameto, il Labirinto d'Amore o vogliamo Corbaccio, la Vita di Dante, & incominciò a commentare Latinamente la sua Comedia, cioè una parte dell'Inferno. Fece le diece Giornate del non mai a bastanza lodato & degno d'ogni pregio Decamerone, l'ultima delle quali novelle fu dal Petrarca tradotta in latino, si come si legge nella terza Epistola del decimosettimo libro delle Senili del Petrarca. Scrisse la Theseide, opra in ottava rima nella cui si contengono i fatti di Theseo, & fu il primo inventore di tale testura, percioche per inanzi non mi ricordo io haver trovato ch'altri la usasse. Fece medesimamente una Apologia difesa del Petrarca contra gli invidiosi & maledici, si come ne fa fede l'instesso nella ottava Epistola del quintodecimo libro delle senili; compose anco molte rime & altre simili cose; ma per dire il vero, lo stile volgare in verso non gli fu troppo amico. Nondimeno a' suoi giorni, tra Dante, il Petrarca & lui, a quello era attribuito il terzo luogo, si come dimostra il Petrarca in una lettera scritta al Boccaccio; dove dice; Io odo, che quel vecchio da Ravenna, non inetto giudice della Poesia volgare, ogni volta, che si ragiona di cosi fatta cosa, che egli ha sempre in usanza d'assegnarti il terzo luogo. Se questo ti dispiace, parendo a te ch'io sia un ostacolo, che non sono, ecco, se tu voi, io ti cedo & ti rinuntio il secondo luogo; intendendo tuttavia, che nel primo sia Dante. Cosi anco Benvenuto da Imola in una lettera scritta al Petrarca parlando della spositione d'alcuni poemi di Dante, Petrarca, & Boccaccio cosi ragiona: Ma io lo faccio per mostrare a' posteri di haver suscitato i tre Prencipi de Poeti de' nostri tempi, i tre chiarissimi lumi della Greca, della Latina & della lingua Volgare; Dante cioè, te medesimo, & Giovanni Boccaccio. si che si comprende egli non essere stato indegno Poeta. Nondimeno, veduti c'hebbe un giorno il Boccaccio i Sonetti & le Canzoni con le altre compositioni simili del Petrarca, conoscendo quanto le sue fossero inferiori a quelle deliberò donarle alle fiamme ,& non acconsentire, che mai si vedessero; il che inteso dal Petrarca fu da lui sconsigliato con una Epistola, nella cui si leggono queste parole: Perdona alle fiamme. & habbia compassione de' tuoi scritti, & alla publica utilità & dilettatione. Qui non starò io a disputare, che cosa lo movesse a comporre questa & quell'opra, & ciò ch'egli vuole inferire nel tale & nel tal luogo, perche ne lascio la cura agli spositori. Quello per le sue degne virtù fu fatto Cittadino Fiorentino, & dalla Republica fu adoprato in molti negotij publici. Egli fu quello, che per la comunità di Firenze fu mandato ambasciadore al Petrarca per la sua restitutione, si come si legge nella quinta Epistola del Petrarca dopo le senili scritta a' Fiorentini; il che fu negli anni MCCCLI a tredeci d'Aprile; nondimeno il Petrarca non solamente non venne a Fiorenza, ma anco fu cagione, che il Boccaccio se ne levasse, perche essendo per le parti la città divisa, & M. Giovanni nè all'una nè all'altra accostandosi, secondo il consiglio di M. Francesco per lo meglio elesse per qualche tempo viversene fuori; il che fece. Onde Giovanni Thiodorigo parlando della vita del Boccaccio non devea dubitare perche Raffaello Volaterano il chiami Giovanni Boccaccio da Certaldo, & Antonio Sabellico nel nono Libro ragionando di lui cosi dica. Fuit ea tempestate in re literaia clarus Ioannes Boccacius Florentinus Certalda domo, vir copioso ingenio & cuius varia extant studiorum monumenta; le cui parole paiono quasi far dubitare, che il Poeta fosse Fiorentino & di casa Certalda, overo, che non sia l'istesso, che vuole il Volaterrano, attento, che la propria sua origine, si come chiaramente habbiamo mostrato, fu da Certaldo; & come, che il Sabellico il chiami Fiorentino non deve per ciò nascere dubbio alcuno, perche fu fatto Cittadino di Fiorenze. Diede anco opera alla Astrologia, & hebbe per suo prencipale precettore Andalone de' Negri Genovese, al suo tempo famosissimo Astrologo. Fu di natura molto sdegnoso, il qual vitio gli nocque non poco negli studi; amatore anco della sua libertà, di sorte, che mai non volle accostarsi nè obligarsi ad alcuno Prencipe nè Signore, come, che da molti fosse desiderato & pregato; ilche egli tocca nel Filocolo quando dice; Deh, misera la vita tua, quanti sono i Signori; li quali, s'io li loro titoli hora ti nomassi, in tuo danno te ne vanagloriaresti, dove in tuo pro non te ne sei voluto rammemorare. quanti nobili & grandi huomini, a' quali, volendo tu, saresti carissimo? Et per soverchio & poco lodevole sdegno, che è in te, o a niuno t'accosti, o se pure ad alcuno, poco con lui puoi sofferire, s'esso fare a te quello, che tu ad esso doveresti fare, non ti dichini, cioè seguitare i tuoi costumi & esserti arrendevole. Fu medesimamente molto inchinato all'amore & libidinoso, & non poco gli piacquero le donne, come, che di loro in molti luoghi dell'opere sue ne dicesse quel peggio, che dire si potesse; tuttavia di alquante nelle scritture sue sotto finto nome ne fa honorato ricordo. Fieramente s'accese dell'amore di Maria, figliuola naturale di Roberto Re di Napoli. Percioche per le guerre civili egli, come amatore della pace & quiete partitosi di Firenze, & girata la maggior parte dell'Italia, alla fine pervenuto a Napoli & honoratamente raccolto da Roberto, a que' tempi Sommo Filosofo, avenne, si come agli animi generosi accader suole, che chiudendosi nel suo corpo altissimo & divino spirito, un giorno veduta la di lui figliuola nella chiesa di San Lorenzo, quella estremamente prese ad amare; a petitione della quale compose il Filocolo; & che cosi fosse egli medesimo ne fa fede nel principio di quell'opra, quando scrive; Io della presente opra componitore mi trovai in un gratioso & bel Tempio in Parthenope, nominato da colui, che per deificarsi sostenne, che fosse fatto di lui sacrificio sopra la grata. Cosi anco nell'Ameto: Io entrai in un Tempio, da colui detto, che per salire alle case delli Dij immortali, tale di sé tutto sostenne; quale Mutio di Porsenna in presenza della propria mano. Ma perche lo amore suo non fosse a ciascuno palese, egli hebbe riguardo col proprio nome non la ricordare; nondimeno, si come è naturale costume degli amanti, che non vogliono dire lo stato loro, & tuttavia vorrebbono, che la maggior parte se ne sapesse, non gli bastò solamente il chiamarla Fiammetta, che anco in molti luoghi dà ad intendere, che il suo proprio nome fosse Maria, & di chi figliuola; si come si vede nel Filocolo quando dice; Et lei nomò del nome di colei, che in se contenne la redentione del misero perdimento, che adivenne per lo ardito gusto della prima madre. Et piu oltre seguendo scrive; Il suo nome è qui da noi chiamato Fiammetta, posto che la piu parte delle genti il nome di colei la chiamino; per la quale quella piaga, che 'l prevaricamento della prima madre apprese, ci racchiuse. Cosi anco medesimamente ne fa testimonio nell'amorosa visione:

"Dunque a voi, cui io tengo donna mia,     "Et cui sempre disio di servire.

"La raccomando Madama Maria.

Dimostra poi palesemente nel Filocolo ella essere stata figliuola del Re Roberto, ma naturale, dicendo. Ella è figliuola dell'altissimo Prencipe, sotto lo cui scettro questi paesi quieti si reggono, e a noi tutti è donna. Et piu oltre segue; Un nominato Roberto nella real dignità constituito, e avanti, che alla reale eccellenza pervenisse, costui preso dal piacere d'una gentilissima giovane dimorante nelle reali case generò di lei una bellissima figliuola, & lei nomò del nome, &c. Fu medesimamente amato da lei, & si come si può innestigare & dall'opre sue comprendere, egli n'hebbe il disiato frutto d'Amore; il che si vede nell'Ameto; quando introduce Fiammetta cosi parlare; Essendo io (come v'ho detto) del pronto giovane, & sua stata piu anni, avenne, che per caso opportuno gli convenne a Capoua per adietro, l'una delle tre migliora terre del mondo, andare; ond'io nella mia camera le paurose notti traheva; & quello che và dietro. Di che si vede chiaramente, che egli seco hebbe a fare. Il medesimo anco si comprende nella Fiammetta & nel Filocolo, & in molti altri luoghi, che lungo fora raccontare, dove palesemente quasi di questo suo amore si gloria; di che per molto spatio di tempo dimorò a Napoli, & gran parte in Sicilia, dove dalla Reina Giovanna era favorito. Chiamossi anco per amore di costei con finto nome Caleone, col quale diede il titolo al Decamerone cognominato Prencipe Caleotto, formato da Calaon, voce greca, che significa fatica: cosi anco il Filocolo, che s'interpreta fatica d'Amore. Et ch'egli cosi si chiamasse per cagione di lei il dimostra nel Filocolo, ove è scritto; Et percioche tante volte dal mio Caleone, da cui sempre fui chiamata Fiammetta, avanti l'acceso amore verde fui conosciuta, di vestirmi di verde poi sempre mi sono dilettata. Cosi anco in molti altri luoghi ne fa ricordo, i quali come superflui lascio. Questa Maria non molto dopo la morte del Boccaccio nel mutamento dello Stato di Napoli dalla parte aversaria fu decapitata, benche altri vogliano, che per intendimento havuto contra il Re Roberto ciò le venisse. Ma tornando al Boccaccio, amò egli medesimamente una giovane Fiorentina nomata Lucia, la quale sempre con finto nome chiamò Lia. Cosi anco sotto altri finti nomi nelle opere sue si comprende ad altre donne haver altre fiate rivolto la fantasia, nondimeno, perche lieve è la loro memoria, & poco di chiaro se ne può cavare da' suoi scritti, non ne diremo altro; ma l'ultimo & il perfetto de' suoi amori fu di questa Maria, in nome della quale compose Fiammetta; benche io non ardisca affermare, che in tutto egli in quella volesse figurare l'amore suo & di lei; ma piu tosto istimo che, toccandone solamente parte, l'animo suo fosse di solamente descrivere la potenza d'un fervente amore in una giovane dal suo amante abandonata. Conciosia, che nell'opra si vede ch'ei finge la Fiammetta essersi accesa in un giovane che, a pena incominciava mettere la prima lanuggine di barba, & che haveva padre, per amore della vecchiaia del quale l'inamorato fu sforzato partirsi di Napoli & andare in Toscana; & nondimeno quando il Boccaccio andò a Napoli era huomo fatto, & non haveva padre. Cosi anco in molte altre cose di maniera varia, che sopra quella non si può far fondamento alcuno, benche l'intendimento suo principale fosse di scrivere quell'opra con studio tale, che altri non potessero comprendere la verità di quell'amore, eccetto che la persona a cui s'appartenesse, si come si vede nel primo libro dove dice; Percioche quantunque io scriva cose verissime, sotto si fatto ordine l'ho disposte che, eccetto colui, che cosi come io le sa (essendo di tutte cagioni), niuno altro, per quantunque havesse acuto intelletto, potrebbe chi io mi fossi, conoscere. Et io lui prego (se mai per sua aventura questo libretto alle mani gli perviene), che egli per quello amore il quale già mi portò celi quel, che a lui nè utile nè honore può manifestandolo tornare; et quello, che segue; onde si può leggiermente comprendere ch'egli medesimo non volle essere inteso. Ma lasciando questo cose, che piu tosto sarebbono necessarie alla vita di costei, che al ragionar di lui, seguiremo quello, che ci resta; fu di statura di corpo & proportione di membri assai bene composto, si come egli stesso di sé scrivendo fa, che la Fiammetta nel primo libro ne parla. Fu anco piacevole, & molto costumato, si come dalle dilettevoli opere sue si può fare presuposto; ultimamente acquetatesi alquanto le cose di Thoscana, & essendo desideroso quel poco avanzo di tempo, che di vivere gli restava goderlo quietamente, hoggimai fatto vecchio se ne tornò a Firenze; ma non possendo sopportare la civile ambitione ritornò al suo Certaldo, dove lontano da travagli ne' suoi studi vivendo passava i giorni secondo il suo volere, si come egli medesimo scrive in quella Pistola a M. Pino de Rossi, dove in fine gli dice; Io secondo il mio proponimento, quale vi ragionai, sono tornato a Certaldo. Alla fine pervenuto all'età d'anni LXII. si come scrive Benvenuto da Imola, se ne morì di male di stomaco, il quale gli fu cagionato per lo continuo soverchio studio, che gli nocque assai, essendo egli di complessione molto grasso, & pieno. Non lasciò di sé heredi legittimi, perche non hebbe mai moglie. Solamente di lui rimase un figliuolo naturale, senza piu. Passò di questa all'altra vita negli anni del signore MCCCLXXV, il che fu un'anno dopo la morte del Petrarca. Fu sepolto in Certaldo nella chiesa di San Iacopo & Filippo con questo epitafio sopra la sua sepoltura, il quale da lui medesimo pria, che morisse fu composto:

" Hac sub mole iacent cineres, ac ossa Ioannis;

" Mens sedet ante Deum meritis ornata laborum;

" Mortalis vitae genitor Boccacius illi,

" Patria Certaldum, studium fuit alma poesis.

Appresso i quali versi si legge anco un altro epitafio in lode del Boccaccio di M. Colluccio Salutati segretario fiorentino, ma per piu longamente non porger noia ai lettori, lasciaremo da parte questo & altre cose, che si potrebbono dire; le quali essendo di niun momento arrecharebbono piu tosto noia, che diletto, nè utile alcuno.

 

IL FINE.

 


TAVOLA PRIMA CAVATA

Per ordine di tutti i nomi nell'Opera contenuti

 


 

Atropos figliuola di Demogorgone

Antheo quinto figliuolo della Terra

Amore primo figliuolo dell'Herebo

Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo Giove

Auttolio figliuolo del secondo Mercurio

Auttolia, figliuola del primo Sinone, & madre d'Vlisse

Amimone figliuola di Danao

Abante figliuolo di Linceo

Acrisio figliuolo d'Abante

Athalanta, figlia di Lasio, & madre di Parthenopeo

Amphione figliuolo di Isio

Adrasto figliuolo di Thalaone

Argia, figlia d'Adrasto, & moglie di Pòlinice

Ageone terzo figliuolo di Belo di Prisco

Adone figliuolo di Mirra

Anna figliuola del Re Belo

Agatte figliuolo di Cadmo

Auttone figliuola di Cadmo

Antigona figliuola d'Edippo

Acheronte Fiume infernale figliuolo di Cerere

Aletto prima figliuola d'Acheronte

Ascalapho quinto figliuolo d'Acheronte

Apollo figl. del primo Vulcano

Assirthio figliuolo di Oeta

Angiria figliuola del Sole

Asteria figliuola di Ceo

Aeo figliuolo di Tipheo

Auro settima figliuola di Titano

Atlante nono figliuolo di Titano

Alcione figliuola d'Atlante

Astreo figliuolo di Titano

Astrea figliuola d'Astreo

Austro figliuolo d'Astreo

Afro figliuolo d'Austreo

Aquilone figliuolo d'Austreo.

Arpalice, figliuola di Borea, e moglie di Phineo

Africo figliuolo d'Astreo

Aloo decimo figliuolo di Titano

Apollo secondo figliuolo del secondo Giove

Aristeo decimo figliuolo d'Apollo

Atteone figliuolo d'Aristeo

Autoo duodecimo figliu. d'Apollo

Argo terzodecimo figliu. d'Apollo

Asclepio figliuolo di Machaonne

Arabe figliuolo d'Apollo

Amphione, Rè di Thebe, & quinto figliuolo di Giove

Amiclate figliuolo di Lacedemone

Argolo figliuolo di Amiclate

Arcade 15. figliu. del secondo Giove

Antigona figliuola di Laomedonte

Astianatte figliuolo d'Hettore

Antipho 18. figliuolo di Priamo

Antiphone 19. figliuolo di Priamo

Agatone 30. figliuolo di Priamo

Agamennone 32. figl. di Priamo

Assaraco figliuolo di Troilo

Anchise figliuolo di Capi

Ascanio figliuolo d'Enea

Alba Silvio figl. di Latino Silvio

Athi Silvio figliuolo d'Alba

Agrippa Silvio figl. di Tiberino

Aventino Silvio figl. di Romolo Silvio

Amulio figliuolo di Proca

Aetta, figliuola dell'Oceano, & moglie d'Atlante.

Aretusa figliuola di Nereo

Acheloo 11. figliuolo dell'Oceano

Alueo 15. figliuolo dell'Oceano

Aceste figliuol del fiume Crinisio

Axio 18. figliuolo dell'Oceano

Asteropio figliuolo di Pelagonio

Asopo 19. figliuolo dell'Oceano

Aci figliuolo di Fauno

Ascalafo quarto figliuol di Marte

Agrio figliuolo di Partaone

Althea figliuola di Testio

Astilo figliuolo d'Isione

Amico figliuolo di Nettuno

Albione quarto figliuolo di Nettuno

Atiti figliuola di Risinore

Alcinoo figliuolo di Nausithoo

Alioo figliuolo d'Alcinoo

Attorione figliuolo di Nettuno

Aone figliuolo di Nettuno

Antiopa figliuola di Nitteo

Acastosi figliuolo di Pelia

Antiloco figliuolo di Nestore

Aritto figliuolo di Nestore

Antigono figliuolo di Theseo

Arpie figliuole di Nettuno

Ahello figliuola di Nettuno

Acheo figliuolo di Giove

Amore duodecimo figl. di Giove

Angeo figliuolo di Ligurgo

Arpalice figliuola di Ligurgo

Arpalice figliuola di Ligurgo

Androgeo figliuolo di Minos

Arianna figliuola di Minos

Antiphate figliuolo di Sarpedone

Acrisio figliuolo di Giove

Ausonio figliuolo di Pelope

Alceo figliuolo d'Atreo

Arpagige figliuolo d'Atreo

Agamennone figliuolo di Phistone

Aleso figliuolo d'Agamennone

Alcmena moglie d'Amphitrione

Alceo figliuolo di Gorgophone

Amphitrione figliuolo d'Alceo

Athermenide figliuolo di Bacchemone

Aone figliuolo di Giove

Asio figliuolo di Dimante

Alisiroe figliuola di Dimante

Aiace figliuolo di Telamone

Achile figliuolo di Peleo

Agile figliuolo d'Hercole

Aventino figliuolo d'Hercole

Alciona figliuola d'Eolo

Alcimedonte figliuolo d'Eritteo

Amittaone figliuolo di Criteo

Antipho figliuolo di Thessalo

Antiphare figliuolo di Biante

Amphiarao figliuolo d'Oioloo

Almeone figliuolo d'Amphiriao

Amphiloco figl. d'Amphiriao

Athamante figliuolo d'Eolo.

 

B

BELLO Prisco figliuolo d'Ephalocar

Buona figliuola di Danao

Belo figliuolo di Phenice

Bibli figliuolo di Mileto

Briareo figliuolo di Titano

Bianco settimo figliuolo d'Apollo

Borea figliuolo di Astreo

Bacco quarto figliuolo del secondo Giove

Bucolione figliuolo di Laomedonte

Britona nona figliuola di Marte

Buthe figliuolo di Amico

Batillo figliuolo di Pherco

Borgione quinto figl. di Nettuno

Bronte nono figliuolo di Nettuno

Busiri figliuolo di Nettuno

Bacchemone figliuolo di Perseo

Biante, overo Bia figliuolo di Amittaone

Bellorophonte figliuolo di Glauco.

 

C

CHAOS

Cloto figl. di Demogorgone

Caronte decimo nono figliuolo dell'Herebo

Cupido primo figliuolo del secondo Mercurio

Cinquanta figliuole di Danao in generale

Clori, figliuola d'Amphione, & moglie di Neleo

Cilice terzo figliuolo d'Agenore

Cinara figliuolo di Papho

Cadmo sesto figliuolo d'Agenore

Cielo figliuolo dell'Ethereo

Cerere prima, seconda figliuola del Cielo

Cocito figliuolo di Stigia

Cupido figliuolo di Venere

Cauno figliuolo di Mileto

Calciope figliuola di Oeta

Circe figliuola del Sole

Ceo figliuolo di Titano

Chimera figliuola di Tiphone

Cilieno figliuola d'Atlante

Calipsone figliuola di Atlante

Circio figliuolo d'Astreo

Calai figliuolo di Borea

Choro vento figliuolo d'Astreo

Calisto figliuola di Licaone

Calato settimo figliuolo del secondo Giove

Cartagine figliuola del quarto Hercole

Clitione figliuole di Laumedonte

Creusa, prima figliuola di Priamo, & moglie d'Enea

Cassandra seconda figliuola di Priamo

Chaone undecimo figliuolo di Priamo

Cromenone ventesimo terzo figliuolo di Priamo

Cebrione ventesimo quinto figliuolo di Priamo

Capi figliuolo d'Astaraco

Capi Silvio figliuolo d'Athi

Climene quinta figliuola dell'Oceano

Corufice figliuola dell'Oceano

Cimodoce figliuola di Nereo

Cirene figliuola di Peneo

Critone figliuolo di Diocleo

Crinisio sestodecimo figliuolo dell'Oceano

Citheone figliuolo del Tebro.

Cephiso ventessimo figliuolo dell'Oceano

Ciane figliuola di Menandro

Croni figliuola di Saturno

Cerere terza figliuola di Saturn.

Chirone sesto figliuolo di Saturno

Cupido primo figliuolo di Marte

Coronide nimpha, figliuola di Phlegia, & madre d'Esculapio

Centauri figliuoli d'Isione .

Clitonio figliuolo d'Alcinoo

Cavallo Pegaso figliuolo di Nettuno

Cronio figliuolo di Neleo

Cigno ventesimo terzo figliuolo di Nettuno

Celleno figliuola di Nettuno

Castore figliuolo di Giove

Clitennestra figliuola di Giove

Ceice figliuolo di Lucifero

Crisostemi figliuola d'Agamennone

Corinto figlio d'Horeste

Caco figliuolo di Vulcano

Canace figlia d'Eolo

Clitone figliuolo di Mantione

Catillo figliuolo d'Amphiarao

Catillo figliuolo di Catillo

Corace figliuolo del primo Catillo

Creonte figliuolo di Sisipho.

Creusa figliuola di Creonte

Cephalo figliuolo d'Eolo

Citoro figliuolo d'Atamante

 

D

DEmogorgnoe

Diana prima & quarta figliuola del primo Giove

Dionigi ottavo figliuolo del primo Giove

Danao figliuolo di Belo Prisco

Danae figliuola d'Acrisio

Deiphile, figliuola d'Adrasto, & moglie di Thideo

Didone, figliuola di Belo, & moglie di Siceo

Dirce quinta figliuola del Sole

Deucalione figliuol di Prometeo

Dionigi figliuolo di Deucalione

Diana figliuola del secondo Giove

Dardano sestodecimo figliuolo del Secondo Giove

Daphni figliuolo di Paris

Deiphebo terzodecimo figliuolo di Priamo.

Dicomoonte ventesimo primo figliuolo di Priamo.

Doridone ventesimo settimo figliuolo di Priamo.

Dori settima figliuol dell'Oceano

Danae figliuola di Peneo

Dionisio figliuolo del Nilo

Daphni figliuolo del quarto Mercurio

Diocleo figliuolo d'Orsiloco

Deianira, figliuola d'Oeneo, & moglie di Hercole

Diomede figliuolo di Thideo

Doro primo figliuolo di Nettuno

Demophonte figliuolo di Theseo

Dedalione figliuolo di Lucifero

Driante figliuolo d'Hippolago

Deucalione figliuolo di Minos

Dionisio figlio di Giove

Dimante figliuolo d'Aone

Dauno figliuolo di Pilunno

Dauno nipote del primo Dauno

Diodoro figliuolo d'Hercole

Dicoonte figliuolo d'Hercole

 

E

Eternità

Ethere primo figliuolo dell'Herebo

Ebuleo settimo figliuolo del primo Giove

Epapho duodecimo figliuolo del primo Giove

Egisto figliuolo di Belo Prisco

Euridice figliuola di Thalaone

Europa quinta figliuola d'Agenore

Edipo figliuolo di Laio

Etheocle figliuolo d'Edipo

Eone figliuole del Sole

Enchelado quinto figliuolo di Titano

Egeone sesto figliuolo di Titano

Egle figliuola d'Hespero

Elethra figliuola d'Atlante

Epimetheo figliuolo di Giapeto

Ellano figliuolo di Deucalione

Eurimone seconda figliuola di Apollo

Esculapio decimo quarto figliuolo di Apollo

Egiale figliuola del secondo Giove

Euphrosine figliuola del secondo Giove

Erigione figliuola d'Icaro.

Erittonio figliuolo di Dardano

Esipio figliuolo di Bucalione

Esaco decimo settimo figliuolo di Priamo

Echemone ventesimo secondo figliuolo di Priamo

Enea figliuolo d'Anchise

Enea Silvio figliuolo di Silvio Posthumo

Eurinome figliuola dell'Oceano

Etra, figliuola dell'Oceano, & moglie d'Atlante

Egialeo figliuolo di Phoroneo

Ethiope figliuolo di Vulcano

Egina figliuola d'Asopo

Eurimedonte figliuolo di Fauno

enomao secondo figliuolo di Marte

Eurito figliuolo d'Isione

Evanne decima figliuola di Marte

Etholo decimoterzo figliuolo di Marte

Erice figliuolo di Buthe

Euriale figliuola di Phorco

Echefrone figliuolo di Nestore

Ephialte ventesimo sesto figlio di Nettuno

Egeo ventesimosettimo figliuolo di Nettuno

Ecchimene figliuola di Laerte

Evioto figliuolo d'Atreo

Egisto figliuolo di Thieste

Elettra figliuola d'Agamennone

Elettrione figliuolo di Gorgophone

Euristeo figliuolo di Stileno

Eritreo figliuolo di Perseo

Eaco figlio di Giove

Eudoro figliuolo di Mercurio

Evandro figlio di Mercurio

Erittonio figlio di Vulcano

Euriphilo figliuolo di Telepho

Eolo figliuolo di Giove

Eritteo figliuolo d'Esone

Esone figliuolo d'Eritteo

Epitropo figliuolo d'Alchimedonte

 

F

Fama seconda figliuola della Terra

Fatica terza figliuola dell'Herebo

Frode settima figliuola dell'Herebo

Fame undecima figliuola dell'Herebo.

Figliuole di Danao in generale

Flegeo figliuolo di Thalaone

Furie in generale, figliuole d'Acheronte

Fauno figliuolo di Pico

Fauni figliuoli di Fauno

Figliuole di Pelia

 

G

Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte

Giorno ventesimo figliuolo dell'Herebo

Giove primo figliuolo dell'Ethere

Giapeto ottavo figliuolo di Titano

Giganti generati dal sangue dei Titani, & della Terra

Giove secondo, & nono figlio del Cielo

Garamante sesto figliuolo di Apollo

Gratie figlie del secondo Giove

Ganimede figliuolo di Troio

Gorgitione ventesimo quarto figliuolo di Priamo

Giulio Silvio figliuolo d'Ascanio

Giulio Silvio figliuolo di Romolo

Galathea figliuola di Nereo

Glauca quarta figliuola di Saturno

Giunone ottava figliuola di Sat.

Gorge figliuola d'Oeneo

Grisaore ventesimo quarto figliuolo di Nettuno

Giove terzo, & decimo figliuolo di Saturno

Glauco figliuolo di Minos

Gorgophone figliuolo di Perseo

Giasone figliuolo d'Esone

Glauco figlio di Sissipho

Glauco figlio d'Hippoloco

 

H

Herebo nono figliuolo di Demogorgone

Hercole primo, & nono figliuolo del primo Giove

Hipermestra figliuola di Danao

Honore figliuolo della vittoria

Hermaphrodito figliuolo di Mercurio; & di Venere

Hiperione primo figliuolo di Titano

Hore figliuole del Sole, & di Croni

Hespero figliuolo di Giapeto

Hetetula figliuola di Hespero

Hespertula figliuola di Hespero

Hia figliuolo di Atlante

Hiadi sette figliuole di Atlante

Himeneo figliuolo di Baccho

Hissiphile figliuola di Thoante

Hiptima figliuola d'Icaro

Hercole decimoterzo figliuolo del secondo Giove

Hesiona figliuola di Laumedonte

Hettore figliuolo di Priamo

Heleno decimo figliuolo di Priamo

Hipotoo figliuolo di Priamo

Hippodamia figliuola di Anchise

Hercole figliuolo del Nilo

Hebe figliuola di Giunone

Hippodamia figliuola d'Enomao

Hermiona undecima figliuola di Marte

Hiperino duodecimo figliuolo di Marte

Hirceo ventesimo figliuolo di Nettuno

Hippolito figliuolo di Theseo

Hippomene figliuolo di Megarea

Helena moglie di Menelao

Hippolago figliuolo d'Orione

Hidumeneo figliuolo di Deucalione

Hermiona figliuola di Menelao

Hiphigenia figlia d'Agamennone

Hiphianassa figliuola d'Agam.

Horeste figliuolo d'Agamennone

Horeste figliuolo d'Horeste

Hiphicleo figlio d'Amphitrione

Hercole figliuolo di Giove

Hitoneo figliuolo d'Hercole

Hilo figliuolo d'Hercole

Hippoloco figlio di Bellorophonte

Hespero figlio di Cephalo

Helle figliuolo d'Atamante

 

I

Invidia quarta figliuola dell'Herebo

Inganno sesto figliuolo dell'Herebo

Iasio figliuolo d'Abante

Ino figliuola di Cadmo

Ismene figliuola d'Edipo

Isis figliuola di Prometeo

Iolao figliuolo d'Aristeo

Ithilo figliuolo di Zeto

Icaro figliuolo d'Oebalo

Ionio figliuolo d'Arcade

Ilione figliuolo di Troio

Ioetaone figliuolo di Laumedonte

Iliona terza figliuola di Priamo

Ideo figliuolo di Paris

Ilioneo figliuolo di Phorbante

Iphate trentesimo quinto figliuolo di Priamo

Iso figliuolo di Priamo

Ilia figliuola di Numitore

Idothea figliuola di Proteo

Inaco duodecimo figliuolo dell'Oceano

Ione figliuola d'Inaco

Ipetia figlia del Sole

Ipseo figliuolo del Fiume Asopo

Ithi figliuolo di Tereo

Ialmeno figliuolo di Marte

Isione figliuolo di Phlegia

Iarba figliuolo di Giove

Iolao figliuolo d'Hiphicleo

Iuturna figliuola di Dauno

Isandro figliuolo di Bellorophonte

 

L

Litigio primo figliuolo di Demogorgone

Lachesis figliuola di Demogorgone

Libero Primo undecimo figliuolo del primo Giove

Libia figliuola d'Epapho

Linceo figliuolo d'Egisto

Lampscio figliuolo di Cilice

Laddacio settimo figliuolo d'Agenore

Laio re di Thebe, figliuolo di Laddacio

Lethe figliuolo di Phlegetonte

Luna figliuola d'Hiperione

Latona figliuola di Ceo

Licaone figliuolo di Titano

Lapitha prima figliuola di Apollo

Lino quarto figliuolo di Apollo

Lacedemone undecimo figliuolo del secondo Giove

Laumedonte figliuolo d'Ilione

Lampo figliuolo di Laumedonte

Laodicea quarta figliuola di Priamo

Licaste quinta figliuola di Priamo

Licaone figliuolo di Priamo

Laocoonte trentesimo terzo figliuolo di Priamo

Latino Silvio figliuolo d'Enea Silvio

Lauso figliuolo di Numitore

Ligo figliuolo di Phetonte

Lampetusa figlia del Sole

Latino figliuolo di Fauno

Lavinia figliuola di Latino

Laodamante figliuolo d'Alcinoo

Lucifero figliuolo di Giove

Lichione figliuola di Dedalione

Ligurgo figliuolo di Driante

Laerte figliuolo d'Acrisio

Lisicide figliuola di Pelope

Laodicea figlia d'Agamennone

Leucotoe figliuola d'Orcamo

Lari figliuolo di Mercurio

Lido, & Lario figliuoli d'Hercole

Lario figliuolo di Lido

Learco figliuolo di Atamante

Laodomia figlia di Bellorophonte

 

M

Miseria decima figliuola dell'Herebo.

Morbo terzo decimo figliuolo dell'Herebo

Morte decima ottava figliuola dell'Herebo

Minerva prima figliuola del primo Giove

Mercurio primo figliuolo del primo Giove

Mercurio secondo figliuolo di Libero

Merane figliuola di Prito

Mirra figliuola di Cinara

Megera figliuola d'Acheronte

Maesta figliuola dell'Honore

Mercurio quinto figliuolo del Cielo

Mileto sesto figliuolo del Sole

Medea figliuola d'Oeta

Maia figliuola d'Atlante

Merope figliuola d'Atlante

Minerva figliuola di Pallene

Mopso terzo figliuolo di Apollo

Macaone figliuolo d'Esculapio

Minerva quartadecima figliuola del secondo Giove

Mennone figliuola di Titone

Medisicasti figliuola di Priamo

Mistore trentesimoquarto figliuolo di Priamo

Melantone figliuola di Proteo

Minerva figliuola del Nilo

Mercurio quarto figliuolo del Nilo

Mercurio quinto figliuolo del quarto Mercurio

Meandro ventesimoprimo figlio dell'Oceano

Mnesteo figliuolo di Sperchio

Marte figliuolo di Giunone

Mela figliuola di Atteone

Meleagro figliuolo d'Oeneo

Menalippo figliuolo d'Oeneo

Medusa figliuola di Phorco

Melione figliuolo di Nettuno

Mesappo sestodecimo figliuolo di Nettuno

Medo figliuolo d'Egeo

Megareo figliuolo di Anchesto

Muse figliuole di Giove

Mena figliuola di Giove

Mirmidone figliuolo di Giove

Minos figliuolo di Giove

Melampo figliuolo d'Atreo

Megapento figliuolo di Menelao

Molosso figliuolo di Pirrho

Mercurio figliuolo di Giove

Mirtilo figliuolo di Mercurio

Macareo figliuolo d'Eolo

Miseno figliuolo d'Eolo

Melampo figliuolo d'Amittaone

Manthione figliuolo di Biante

Melicerte figliuolo d'Atamante

 

N

NOTTE prima figliuola della Terra

Notho figliuolo d'Astreo

Nomio undecimo figliuolo di Apollo

Nicostrata figliuola d'Ionio

Numitore figliuolo di Proca

Nereo decimo figliuolo dell'Oceano

Ninfe in generale

Niobe figliuola di Phoroneo

Nilo quartodecimo figliuolo dell'Oceano

Norace figliuolo del quinto Mercurio

Narciso figliuolo di Cephiso

Nesso figliuolo d'Isione

Nettuno nono figliuolo di Saturno

Nausithoo duodecimo figliuolo di Nettuno

Nausithea figliuola d'Alcinoo

Nitteo figliuolo di Nettuno

Nittimene figliuola di Nitteo

Neleo ventesimosecondo figliuolo di Nettuno

Nestore figliuolo di Neleo

Nauplio figliuolo di Nettuno

Niobe figliuola di Tantalo.

 

O

OSTINATIONE figliuola dell'Herebo

Opi prima figliuola della Terra

Oeta figliuolo del Sole

Orpheo nono figliuolo di Apollo

Ocbalo figliuolo d'Argolo

Oceano figliuolo del Cielo, & di Vesta

Orfiloco figliuolo del fiume Alpheo

Ochiroe figliuola di Chirone

Oeneo figliuolo di Parthaone

Otto ventesimoquinto figliuolo di Nettuno

Onchesto figliuolo di Nettuno

Occipite figliuola di Nettuno

Orione figliuolo di Giove

Orsiloco figliuolo d'Hidumea

Orcamo figliuolo d'Achemenide

Orithia figliuola d'Erittonio

Osea, Creontiade, Creomaco, & Diocoonte figliolo d'Hercole

Oicleo figliuolo d'Antiphite

P

PANE secondo figliuolo di Demogorgone

Polo sesto figliuolo di Demogorgone

Phitone settimo figliuolo di Demogorgone

Povertà nona figliuola dell'Herebo

Pallidezza decima quinta figliuola dell'Herebo

Proserpina prima, decima figliuola del primo Giove

Prito figliuolo d'Abante

Polidoro secondo figliuolo d'Agenore

Pigmaleone figliuolo di Cilice

Papho figliuolo di Pigmalione

Pirode figliuolo di Cilice

Phenice quarto figliu. d'Agenore

Philistene figliuolo di Phenice

Pigmaleone figliuolo di Belo

Polinice figliuolo d'Edippo

Philegetonte figliuolo di Cocito

Phetusa terza figliuola del Sole

Pasiphe ottava figliuola del Sole

Pirrha figliuola d'Epimetheo

Prometheo figliuolo di Giapeto

Pandora huomo da Prometheo formato

Psitaco figliuolo di Deucalione

Phenatrate figliuolo di Deucalione

Pallene undecimo figliuolo di Titano

Purpureo figliuolo di Titano

Philistene quinto figliuolo di Apollo

Philemone ottavo figliuolo di Apollo

Psiche quintadecima figliuola di Apollo

Pasithea figliu. del secondo Giove

Penelope figliuola d'Icaro

Piadoso figliuolo di Bucolione

Priamo figliuolo di Laumedonte

Polissena settima figliuola di Priamo

Paris ottavo figliuolo di Priamo

Polidoro quartodecimo figlio di Priamo

Polidoro quintodecimo figliuolo di Priamo

Phorbante ventesimo sesto figliuolo di Priamo

Pammone ventesim ottavo figliuolo di Priamo

Polite trentesimo ottavo figliuolo di Priamo

Priamo figliuolo di Polite

Proca Silvio figliuolo d'Aventino

Persa figliuola dell'Oceano

Pleione quarta figliuola dell'Oceano

Proteo ottavo figliuolo dell'Oceano

Phoroneo figliuolo d'Inaco

Phogo figliuolo del Fiume Inaco

Peneo figliuolo dell'Oceano

Phetonte figliuolo del Sole

Phetusa figliuola del Sole

Pelagonio figliuolo del Sole

Plutone figlio di Saturno

Pico settimo figliuolo di Saturno

Perivio figliuola d'Erimedonte

Preneste figliuolo del Re Latino

Parthaone sesto figliuolo di Marte

Plesippo figliuolo di Thestio

Partenopeo figliuolo di Meleagro

Phelegia ottavo figliuolo di Marte

Perithoo figlio d'Isione

Polipite figlio di Perithoo

Phorco terzo figliuolo di Nettuno

Poliphemo settimo figliuolo di Nettuno

Pirammone undecimo figliuolo di Nettuno

Pelia ventesimoprimo figliuolo di Nettuno

Pisistrato figliuolo di Nestore

Perseo figliuolo di Nestore

Policaste figliuola di Nestore

Periclimeone figliuolo di Neleo

Piro figliuola di Neleo

Pelasgo figliuolo di Nettuno

Palamede figliuolo di Nauplio

Proserpina figliuola di Giove

Polluce figliuolo di Giove

Palisci figliuoli di Giove

Phillide figliuola di Ligurgo

Phedra figliuola di Minos

Pelope figliuolo di Tantalo

Phistene figliuolo d'Atreo

Pelopia figliuola di Thieste

Phistene figliuolo di Pelope

Perseo figliuolo di Giove

Perse figliuolo di Perseo

Phoco figliuolo d'Eaco

Peleo figliuolo d'Eaco

Polidori figliuola di Peleo

Pirro figliuolo d'Achille

Peripeleo figliuolo d'Achille

Polidette figliuolo di Molosso

Pilunno figliuolo di Giove

Pallante figliuolo d'Evandro

Pane figliuolo di Mercurio

Pandione figliuolo d'Erittonio

Progne figliuola di Pandione

Philomena figliuola di Pandione

Phidippo, & Antippo figliuoli di Thessalo

Philomelo figliuolo di Giasone

Pluto figliuolo di Philomelo

Pateante figliuolo di Plutone

Polimila figliuolo d'Esone

Peritha figliuolo di Priteo

Poliphide figliuolo di Mantione

Podacre figliuolo d'Iphicleo

Phriso, & Helle figli d'Atamante

 

Q

QVERELA duodecima figliuola dell'Herebo

Quattordici figliuoli d'Amphione

 

R

RVGIADA figliuola della Luna

Runco duodecimo figliuolo di Titano

Rhoma figliuola d'Ascanio

Romolo Silvio figliuolo d'Agrippa

Remo decimoquarto figliuolo di Marte

Romolo decimo quinto figliuolo di Marte

Risinore figliuolo di Nausitoo

Rhodamanto figliuolo di Giove

 

S

SONNO decimo settimo figliuolo dell'Herebo

Sole primo, terzo figliuolo del primo Giove

Sinone primo figliuolo d'Autteolio

Sissimo secondo figliuolo del primo Sinone

Sinone figliuolo di Sissimo

Sicheo figliuolo di Philistene

Semele figliuola di Cadmo

Scita figliuolo del primo Giove

Stigia sesta figliuola d'Acheronte

Seconda Venere figliuola del Cielo

Sole figliuolo d'Hiperione

Sterope figliuola d'Atlante

Subsolano figliuolo d'Astreo

Settentrione figliuolo d'Astreo

Silvio Posthumo figliuolo d'Enea

Sirene figliuole d'Acheloo

Sole figliuolo di Vulcano

Sperchio figliuolo ventesimo dell'Oceano

Sole ventesimoquarto figliuolo dell'Oceano

Saturno undecimo figlio del Cielo

Senta Fauna figliuola di Pico

Scilla figliuola di Phorco

Stennione figliuola di Phorco

Sterope decimo figliuolo di Net.

Stiato figliuolo di Nestore

Sicano figliuolo di Nettuno

Siculo figliuolo di Nettuno

Sarpedone figliuolo di Giove

Steleno figliuolo di Perseo

Sardo figliuolo d'Hercole.

Sophone figliuolo di Diodoro

Silmoneo figliuolo d'Eolo

Sissipho figliuolo d'Eolo.

 

T

TERRA ottava figliuola di Demogorgone

Tartaro terzo figliuolo della Terra

Tagete quarto figliuolo della Terra

Timore quinto figliuolo dell'Herebo

Tenebra figliuola dell'Herebo

Tritopatreo sesto figliuolo del primo Giove

Thalaone figliuolo di Iasio

Thalgeta prima figliuola d'Agenore

Thessando figliuolo di Polinice

Theti seconda figliuola del Cielo

Tesiphone seconda figliuola d'Acheronte

Tosio nono figliuolo del Cielo

Titano ottavo figliuolo del Cielo

Tiphone overo Tiplheo quarto figliuolo di Titano

Taigeta figliuola d'Atlante

Titio terzo figliuolo di Giove

Thioneo figliuolo di Baccho

Thoante figliuolo di Baccho

Tindaro figliuolo d'Oebalo

Tantalo duodecimo figliuolo del secondo Giove

Troio figliuolo d'Erittonio

Titone figliuolo di Laumedonte

Troilo figliuolo di Priamo

Tevero ventesimo figliuolo di Priamo

Testorio figliuolo di Priamo

Timoete trentesimo settimo figliuolo di Priamo

Tiberino Silvio figliuolo di Carpento

Tritone sesto figliuolo dell'Oceano

Theti minore figliuola di Nereo

Tebro settimo figliuolo dell'Oceano

Thereo terzo figliuolo di Marte

Thestio figliuolo di Parthaone

Thosio figliuolo di Testio

Thideo figliuolo di Oeneo

Thoesa figliuola di Phorco

Tara sesto figliuolo di Nettuno

Tilemo ottavo figliuolo di Nettuno

Thrasimede figliuolo di Nestore

Theseo figliuolo d'Egeo

Thelemaco figliuolo d'Vlisse

Tantalo figliuolo di Giove

Thieste figliuolo di Pelope

Tantalo figliuolo d'Atreo

Thisamene figliuolo d'Horeste

Thelamone figliuolo d'Eaco

Tevero figliuolo di Telamone

Turno figliuolo di Dauno

Tullio Servilio figliuolo di Vulcano

Tullie due figlie di Tullio Servilio

Thessalo figliuolo d'Hercole

Thipolemo figliuolo d'Hercole

Thelemo figliuolo d'Hercole

Thoante, & Euneo figliuoli d'Esone.

 

V

Vecchiezza decimaquarta figliuola dell'Herebo

Venere maggiore, & sesta figliuola del Cielo

Venti figliuoli d'Astreo

Vulturno figliuolo d'Astreo

Vulcano figliuolo del Nilo

Vesta seconda figlia di Saturno

Voluttà figliuola di Cupido

Virbio figliuolo d'Hippolito

Vlisse figliuolo di Laerte, che generò Telemaco

Vulcano figliuoloo di Giove

 

X

XANTO figliuolo di Giove

 

Z

ZETTO figliuolo di Borea

Zephiro figliuolo d'Astreo

Zebo settimo figliuolo di Marte


 


Il Fine della Prima Tavola.


 


 

 

TAVOLA SECONDA

di tutte le cose notabili, & degne di memoria, che nell'opra si contengono.

 

ORDINE di tutti i presenti libri del Boccaccio

Chi fosse il primo tenuto per Iddio dai Gentili

Openioni di diversi Filosofi d'intorno Iddio

Elettione tra tutti i dei del Dio prencipale de' Gentili

Dichiaratione delle cose attribuite a Demogorgone

Descrittione della Eternità

Figuratione dell'anno secondo gli antichi

Nascimento del Letigio

Come si contengono diversi misteri sotto una descrittione di parole

Che cosa sia allegoria, & la sua derivatione

Divisione del mondo, & degli Elementi

A che fine sia stata prodotta la Natura

Origine della Musica, & dell'armonia

Spositione della favola di Pane, & di Siringa

Descrittione del corpo universale della Natura

Figuratione del Sole

Quali siano le Parche

Vffici delle Parche, & interpretationi dei nomi loro

Differenza del Fato, & della Fortuna

Origine, & potenza del Fato

Differenza delle diversità dei nomi attribuiti alla terra

Espositione di tutta la favola della notte

I nomi de' sette tempi della notte con la dichiaratione

La cagione, perché nascesse la Fama

Descrittione della Fama, & potenza di quella

Quale fosse il loco dove gli antichi tenevano i dannati essere tormentati

Il senso historio, & morale della favola di Anteo

La diversa qualità dei monstri che si nascondeno nell'Herebo

Dichiaratione dei tormenti infernali

Che cosa sia Amore secondo l'opinione antica

Quanti siano gli amori secondo Platone

Di quante cose sia cagione Amore

Che cosa sia la gratia

Forma dell'Invidia

Diffinittone del timore

Favola dell'Inganno, & la sua dichiaratione

Forma della Frode secondo Dante

Quale sia la vera povertà

Descrittione della Fame, & della sua habitatione

Quali siano le forze della vecchiaia

La forma, & l'habitatione del Sonno poeticamente descritta

Quante siano le spetie dei sogni, & i nomi loro

Da che nasca la diversità dei sogni

Dichiaratione dei ministri dei segni, et varii essempi

Che cosa sia la morte secondo Aristotele

Quali siano le attioni della Morte

Varietà dei giorni secondo diverse openioni antiche

In quanti termini sia partito il giorno

Divisione delle settimane, & dell'anno

Rivolutione della sphera

Quale sia il dì naturale, & l'artificiale

 

NEL SECONDO.

CHI fosse il primo che mostrasse il vivere politico agli Atheniesi

Onde nascesse il nome di Giove

Dichiaratione del pianeta di Giove, & le sue operationi

Quale sia il vero Giove dagli antichi non conosciuto

Figuratione di Minerva, & dichiaratione di quella

Origine della vera Minerva, cioè della speranza

Chi ritrovasse il filare la lana, il tessere, & altri essercitii

Come si nomasse la Grecia al tempo di Abraam

Chi fosse edificator di Memphi

Quale sia la inchinatione del pianeta di Mercurio

Dichiaratione di Mercurio secondo la figuratione Poetica

Quale sia il Tripode

La vera historia di Mercurio

Quale fosse quel Sinone che tradì Troia

Originine di quella parte dell'Africa che si dice Libia

Chi fosse il primo che toccasse il mare

Il primo inventore de' pozzi in Grecia

Virtù d'una fontana in Arcadia

Onde la Cilicia pigliasse il nome

Nome dell'Isola di Papho

Espositione della favola di Mirrha

Dichiaratione dei tempi, & dei cieli

Chi primo mostrasse le lettere ai Phenici

Espositione della favola di Europa

Il primo inventore de' caratteri delle lettere

Varietà di molti tempi d'intorno il tempo di Cadmo

Historia di Edippo.

 

NEL TERZO.

 

RAGIONAMENTO delle Eusine Dee dell'Autore

Gli ornamenti attribuiti dagli antichi alla Dea Opi con la spositione di quelli

Con quanti nomi fosse chiamata Opi, & il suo significato

Che cosa sia la gran Theti

Favola della prima Cerere, & narratione di quella

Quello che significhi Acheronte

Openione di Dante d'intorno Acheronte

Diverse openione d'altri autori

Trattato generale sopra le Furie

Come si dipinga la Vittoria

La riverenza che portavano i Romani all'honore

Significato della trasmutatione d'Ascalapho

Di quante sorti sia la tristezza

Il loco dove Dante descrive il fiume Lethe

Descrittione di Mercurio, & potenza di quello

Interpretatione del nome di Mercurio

Quello che dinotino le cose attribuite a Mercurio

Favola di Salmace, & dell'Hermaphrodito

Che cosa sia Hermaphrodito

Che cosa sia la matrice della donna, &

quanti buchi sia in quella

La via per la quale si generano i maschi et le femine

Significato di tutte le cose attribuiti a Venere

Proprietà del pianeta di Venere

Creatione dei corpi sopracelesti

Origine delle tre gratie

Quale sia il legame di Venere chiamato Ceston

Quali siano le cose attribuite a Marte

Proprietà del Montone, & di Scorpione, segni celesti

Perché sia detto Venere perseguitare la progenie del Sole

La cagione per la quale le colombe siano attribuite a Venere

Proprietà del Mirto, & perché sia ascritto a Venere

Interpretatione dei nomi di Venere

Origine della seconda Venere nata nel mare

La ragione perché si dica Venere nata della schiuma del mare

Spositione del nome di Saturno secondo Fulgentio

Perché si dica Venere haver habitato in Cipro.

 

NEL QVARTO.

 

DICHIARATIONE generale sopra Titano Gigante

Particolare narratione sopra il pianeta del Sole

Perché il Sole sia detto figliuolo d'Hiperione

Espositione dei quattro cavalli del Sole

Nomi dei cavalli del Sole

Con quanti nomi dai Filosofi, & da tutti gli scrittori sia chiamato il Sole, con la dichiaratione di quelli

Perché il Sole sia detto core del cielo

Quanti anni, secondo l'openione antica, facciano un secolo

Favola d'Vlisse, & delle favole del Sole.

Favola di Dirce, & espositione di quella

Edificatione di Mitilene, città di Lesbo

Spositione della favola di Pasiphe tratta dall'anima nostra

Perché il Minotauro fosse figurato mezzo huomo, & toro

Narratione di tutta la favola di Medea

Dichiaratione della favola di Circe

Perché sia detto nel monte di Circe sentirsi fiere

Chi sia Cariddi, & Scilla

Il modo che gli Antichi dipingevano la Luna

Proprietadi della Luna

Quale fosse l'Amor d'Endimione, & della Luna

Chi fosse il primo che ritrovasse il corso della Luna

I nomi della Luna, & dichiaratione di quelli

Perché Briareo fosse detto haver cento mani

Perché l'Isola d'Ortigia fosse chiamata Delo

Dichiaratione della favola di Latona

Chi fosse il serpente chiamato Phitone

La causa, per la quale fosse detto Apollo dare oracoli

Narratione della favola dei villani cangiati in rane

Quali siano i monti posti sopra il Gigante Tipheo

Descrittione d'una grandissima spelonca in Sicilia

Significato del nome di Tipheo

Chi fosse l'edificatore di Papho

Quale sia la Chimera, & descrittione di quella

Perché l'Aurora sia detta figliuola della Terra

Perché tutto il paese d'Oriente fosse detto Hesperia

Quale fosse il giardino delle Hesperidi

Favola di Atlante, & di Perseo, con la sua dichiaratione

Chi fosse Atlante secondo Santo Agostino

La ragione per la quale le Hiadi furono locate nel numero delle Stelle, & per qual cagione siano dette generare la pioggia

Descrittione delle Pleiadi secondo gli Astrologhi

Il costume che tenevano gli Antichi in sacrificare a Maia

Perché fosse detto Epimetheo essersi cangiato in Simia

Favola di Prometheo, & di Minerva

Il vero senso della favola di Prometheo figurato per Iddio

Distintione dell'huomo naturale, & del civile

Come avenisse la dannatione dell'huom

Divisione del primo, & del secondo Prometeo

Perché si dicesse Prometeo haver rubato dalla ruota del Sole il foco

La cagione per la quale fosse detto Mercurio haver legato Prometeo nel Caucaso

Chi primo fosse l'inventore di formare imagini di fango

Di quanto danno sia all'huomo il conversare con la donna

Chi primo mostrasse agli Egittii i caratteri delle lettere

Narratione del Diluvio, di Deucalione et Pirra

Per qual ragione sia detto Deucalione et Pirra haver ristorato la generatione humana dopo il diluvio

Da cui fosse nomata Ellada quasi tutta la Grecia rivolta verso il mare Egeo

Espositione della favola d'Astrea

Narratione della favola de' venti

Partitione di tutti i venti al loco suo

Quanti siano i venti, & i nomi loro

Le parti nelle quali ciascuno vento da per se soffia

Ethimologia del nome di ciascun vento

Proprietà del vento chiamato Subsolano

Natura del vento Notho, & suoi congiunti

Effetti prodotti dal vento Settentrione, et suoi congiunti

Favola del vento Aquilone, & proprietà di quello

Favola di Hiacinto, & Apollo

Chi fossero quelli che cacciarono le Harpie

Narratione delle Arpie, & interpretatione di quelle

Sententia di Seneca Philosopho

Interpretatione degli Argonauti

La vera historia di Phineo, & dell'Harpie

Natura del vento Zephiro, & espositione dei suoi nomi

Origine dei cavalli d'Achille

Historia di Flora meretrice, & institutione dei giuochi suoi

Favola di Licaone, & del convito da lui fatto a Giove

Perché fosse detto Licaone essere cangiato in Lupo

Diversi nomi attribuiti a Calisto, & favola di quella

Origine di tutti i Giganti in generale

Vera narratione d'un Gigante trovato a' nostri tempi

Perché sia detto i Giganti essere confinati nell'Inferno

La ragione per la cui fosse detto Giove essersi cangiato in montone

Proprietà attribuita al corvo

Espositione della tramutatione di molti Dei

 

NEL QVINTO.

 

DISCORSO dell'Autore sopra molte antichità

Nobiltà della città d'Athene

Figuratione del monte Parnaso, di Thebe, & d'altri infiniti luoghi

Quale fosse la grandezza del secondo Giove

Ornamenti attribuiti a Diana, & significato di quelli

Perché, & quanto Diana sia chiamata Luna

Favola di Apollo, & origine di lui

Quale fosse quello Apollo che rendeva gli oracoli in Delpho

Variationi di molti scrittori d'intorno Apollo

Perché ad Apollo fosse attribuito l'inventione della medicina

La ragione per la cui ad Apollo fosse sacrato il Lauro, & il corvo

Proprietà, & virtù del Lauro nei sogni

Che la potenza del Sole è di tre qualità

Espositione delle insegne attribuite ad Apollo

Origine dei popoli Lapithi di Thessaglia

Edificatione della città Phaseli nei confini di Pamphilia

Nascimento di Lino Poeta

Novella dilettevole d'un Cigno

Perché Orpheo sia detto figliuolo di Apollo, & Calliope

La cagione perché Orpheo fosse detto movere i monti, etc.

Interpretatione di Euridice

Chi primo trovasse i sacrifici di Baccho

Chi si debba intendere il serpente qual voleva divorare il capo d'Orpheo

Di quale famiglia fosse Orpheo

Oracolo nella edificatione della città Cirene

Chi primo ritrovasse l'uso dell'api, del mele, del latte, delle olive, & dell'olio

Chi primo desse leggi agli Arcadi

Espositione della favola d'Esculapio, & Hippolito

Perché la famiglia dei Cesari osservasse i sacrifici di Apollo

Come gli Esculapii sono stati tre

Inventione dell'uso di molte cose

Quanto tempo la medicina fosse interdetta, & nascosta

Favola di Psiche, & di Cupido

Interpretatione del nome di Psiche

Attioni dell'anima nostra di tempo in tempo

Quali siano le sorelle dell'anima nostra

Chi primo in Babilonia mostrasse la medicina

Il senso historico di Titio

Il modo de' sacrifici che si usavano a Baccho

Come Baccho nacque nella città di Nisa

Il senso phisico della favola di Baccho

Perché Sileno sia detto allevo di Baccho

Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a Baccho

Come i Poeti furono già soliti essere coronati d'Edera

Dichiaratione di tutti i nomi attribuiti a Baccho

Quale era il simulacro antico delle città libere

Perché Himeneo fosse chiamato Dio delle nozze

La ragione per la quale si dica Giove essere cangiato in Toro

Come Amphione col suono della lira edificasse Thebe

I nomi dei quattordici figliuoli d'Amphione

Attioni oprate verso noi dalle tre Gratie

Interpretationi dei nomi delle Gratie

Perché il cane fosse assunto in Cielo

Principio del segno celeste chiamato Vergine

La vera historia di Penelope

Perché Minerva si dipinga armata

Espositione di tutti gli ornamenti attribuiti a Minerva

Contentione tra Minerva, & Nettuno nell'imporre il nome ad Athene

Perché Calisto fosse chiamata Orsa, & chi primo donasse il nome agli Arcadi detti prima Pelasgi

Origine del nome del mare Ionio

Chi nell'Italia ritrovasse i caratteri delle lettere.

 

NEL SESTO.

 

DISCORSO sopra la degnità di Roma

Edificatione di Corneto

Da cui il paese di Dardania prendesse il nome di Troia

Come Ganimede fu cangiato nel segno di Aquario

Da cui la città di Troia pigliasse il nome d'Ilione

Conventioni di Laumedonte con Apollo & Nettuno in edificar Troia

Prima destruttione d'Ilione fatta per Hercole

Perche Titone fosse detto esser rapito dall'Aurora

Conversione di Titone in Cicada

Meraviglioso caso d'intorno l'essequie di Mennone, & origine degli uccelli detti Mennoni

Discorso sopra la vita di Priamo

Perché a Cassandra fosse tolto la credenze de' suoi pronostichi

Sogno d'Hecuba nella natività di Paris

Giudicio di Pari in Ida, & promissione delle tre Dee

Openioni diverse del rapir d'Helena da Paris

Divisione della vita mortale in tre parti

Breve raccolta di tutti i fatti d'Hettore

Come i figliuoli d'Hettore ricuperararono Troia

Origine dei Re di Francia da i figliuoli d'Hettore

Espositione de' virgulti ne' quali fu cangiato Polidoro

Favola dell'Hesperide, & d'Esaco

Perché fosse detto Esaco essersi cangiato in Smergo

Favola di Venere, & Anchise nella generatione d'Enea

Diverse openioni di vari scrittori d'intorno la vita d'Anchise

La spositione per la quale fosse detto Anchise essere stato da Venere accecato

Lodi di Francesco Petrarca sopra la sua Africa

Raccolta dei fatti, & degli errori di Enea

Varie openioni d'intorno la morte di Enea

Il vero senso d'intorno tutte le parti favolose d'Enea

Derivatione di tutti i nomi co' quali fu chiamato Ascanio

Edificatione di Alba per Ascanio

Principio della famiglia Giulia

Openione d'Eraclide sopra il nome di Roma

Da chi la Brettagna, & la Cornubia prendessero nomi

Come il Tevere lasciò il nome d'Albula, & fu detto Thebro

Da chi derivasse la famiglia Giulia, & i Cesari

 

NEL SETTIMO.

 

Openione dei Theologhi d'intorno l'Oceano

Perché l'Oceano sia detto padre delle cose

Diverse openioni di quelli che credettero l'acque essere il principio delle cose

Dichiaratione degli ornamenti attribuiti all'Oceano

Interpretatione del nome d'Eurimone figliuola dell'Oceano

Perché Pleione sia detta moglie d'Atlante

Chi sia Tritone, & l'ufficio suo

Il modo che bisognava tenere per ricevere auguri da Proteo

Come si faceva l'indovinatione con l'acqua

Quale sia l'arte dell'Hidromantia

Humanità, & piacevolezza d'un Delphino

Divisione di tutti i nomi, & proprietà delle Nimphe

Quali siano le Nimphe dei fiumi, dei fonti, dei boschi, degli alberi, dei monti, dei prati, dei fiori, & delle selve

Oracolo del nascimento d'Achille

Espositione del nome di Theti

Transformatione di Aretusa in fonte

Proprietà d'alcuni fonti di Sicilia

Openione dei Phisici del Sole d'intorno l'attioni dell'acque

Perché sia stato detto Hercole haver levato un corno ad Aheloco

Descrittione delle Sirene

Dichiaratione dei nomi, & vera narratione delle Sirene

Come si dipingano le Sirene

Il senso naturale, & l'historico della favola di Giove, & Io

Variatione di molti scrittori d'intorno il tempo d'Inaco

Chi trovasse l'uso del lino, delle sementi et d'altre cose necessarie

Perché il loco della ragion civile sia detta Foro

Chi si debba intendere Daphne amata da Apollo

Costume antico nel coronare i vincitori

Perché si prendesse la corona dell'Alloro in incoronare altrui

Virtù dell'alloro, & proprietà di quello

Trattato del Nilo

Chi donasse ai Phrigij i caratteri delle lettere

Chi fosse Hermete Trimegisto

Proprietadi attribuite a Mercurio, & ornamenti a lui ascritti

Onde la Sardigna havesse il nome

Origine del nome dato all'Ethiopia

Il vero senso della favola di Phetonte

Quale fosse l'incendio che avenne nei tempi di Phetonte

Discorso sopra i movimenti, & giri della sphera celeste

Onde i Liguri populi havessero nome

Historia d'Hesiona, & Hippote Troiano

Openione sopra l'edificatione di Mantoa

Perché l'acque del fiume Cephiso siano dette fatidiche

Espositione di Echo, & di Narciso

 

NELL'OTTAVO.

 

QVANTI siano stati i Labirinti.

Variatione di molti scrittori d'intorno Saturno

Il senso historico, & il naturale di Saturno

Perché si sia detto Saturno divorare i fanciulli

Quale sia la complessione di Saturno pianeta

Inclinatione dell'huomo nato sotto Saturno

Ornamenti di Saturno, & dichiaratione di quelli

Perché i secoli di Saturno fossero detti aurei

Onde i libri prendessero il nome di Croniche

Descrittione dell'anno serpentario secondo gli antichi

Narratione dell'anno doppio, cioè gigante, & magno

Variatione antica dei mesi dell'anno

Riformatione di Gaio Giulio Cesare dell'anno solare

Quale sia l'anno grande secondo Aristotele

Quanti migliaia d'anni facciano l'anno maggiore

Narratione della dea Vesta

Fatiche durate da Cerere in cercare la figliuola Proserpina

Favola di Trittolemo, & dono fattogli da Cerere

Come si comprenda Cerere in più modi

Interpretatione di Giove, & Cerere

Il senso delle tre grana di melegrane gustate da Proserpina

Figuratione delle biade che nascono

Descrittione della casa di Plutone

Ornamenti attribuiti a Plutone

Perché Plutone sia detto Dio dell'Inferno

Per qual causa Chirone si depingesse nella forma, che si fa

Chi trovasse la medicina agli huomini, & a' giumenti

Favola, & Historia di Circe, & Pico

Natura dell'uccello Pico

Narrattione di tutti i dei Silvani

Proprietà delle acque del fiume Aci

Origine, & discendenza del Re Latino

Edificatione di Preneste

 

NEL NONO.

 

DISCORSO dell'Autore di molte parti del mondo

Compassione dell'Autore d'intorno alle cose antiche

Dichiaratione di tutti gli ornamenti attribuiti a Giunone

Con quanti nomi Giunone sia chiamata, & la spositione di quelli

Per quale degli Elementi Giunone sia compresa

Perché Iris, cioè l'arco celeste, sia attribuito a Giunone

Natura del pavone, & favola di quello

Favola di Hebe assunta in Cielo

Quanti segni del Zodiaco siano attribuiti a Giove

Perché Hebe fosse detta dea della gioventù

Descrittione del paese di Marte secondo Statio

Dichiaratione degli ornamenti attribuiti a Marte

Trattato del pianeta di Giove, & di quello di Marte

Quanto sia pestifero il menstruo della donna

Perché Marte sia detto figlio di Giunone

Quali siano i ministri attribuiti a Marte

Descrittione di Cupido secondo Seneca Tragico

Varie openioni di diversi auttori d'intorno Cupido

Openione degli Astrologhi d'intorno la natività dell'huomo

Quale sia il punto che ci inclini alla lussuria

Espositione degli ornamenti attribuiti a Cupido

Favola di Pelope, & Hippodamia

Chi primo acquistasse, & possedesse la Calidonia

Quale sia il tizzone compreso nella vita di Meleagro

Favola di Thideo, & Polinice, con la dichiaratione di quella

Breve raccolta della vita, & fatti di Diomede

Significato della pena attribuita a Phlegia nell'Inferno

La vera historia d'Isione

Differenza tra il nome di Re, & Tiranno

Per qual cagione Isione fosse cacciato dal Cielo, & confinato nel centro dell'Inferno, & ascrittoli tali tormenti

Favola de' Centauri

Dignità della barba conceduta dalla natura agli huomini

Amore di Evanne verso il morto marito Capaneo

Chi prima amazzasse nessuno animale

Sogno d'Ilia, madre di Romolo, & Remo, nella concettione di loro

Auguri nell'impor nome alla Città di Roma

Chi primo a' Romani ordinasse l'anno di diece mesi

Raccolta di tutti gli ordini instituiti da Romolo

Perché Romolo fosse detto Quirino

 

NEL DECIMO.

 

Openione degli antichi d'intorno il mare Mediterraneo

L'utile che si thrae dalle navigationi

Espositione degli ornamenti attribuiti a Nettuno

Onde habbia havuto principio la lingua Dorica

Come gli antichi solevano honorare quelli che cercavano paesi stranieri

Quale sia il paese chiamato Bithinia

Perché a Trapani fosse edificato il Tempio a Venere Ericina

La cagione per la quale Phorco fu detto Dio Marino

Dichiaratione della favola di Scilla conversa in cane

Quante sorte di terrori si trovino

Favola di Medusa, & dichiaratione di quella

Origine del cavallo Pegaso

Favola d'Vlisse, & Poliphemo

Con qual studio, & via Vlisse vincesse Poliphemo

Quante siano state le specie di Ciclopi

Ethimologia del nome de' Ciclopi

Come le arti siano da' Greci chiamate

Prova per la quale si mostra quasi tutti gli essempi dell'arteficiate cose dal mare, & dalle acque essere cavati

Di quanto utile siano le acque

Da cui sia discesa la origine di Ennio Poeta

Chi sia il cavallo Pegaso tanto da' Poeti celebrato

Dichiaratione di tutti i misteri compresi sotto il nome del cavallo Pegaso

Perché Giasone fosse mandato da Pelia all'acquisto del Vello d'oro

Breve raccolta de' gran fatti di Theseo

Perché Hippolito fosse chiamato Virbio

Da cui quella parte dell'Asia chiamata Media prendesse nome

Astutia d'Hippomene in vincere Atalanta

Trasmutatione di Hippomene, & Atalanta in Leoni

Principio del nome dato ai popoli Pelasgi

Seditione di Nauplio per tutta la Grecia

Astutia di Palamede usata contra Vlisse

Tradimento d'Vlisse contra Palamede

Origine del nome delle Arpie, & loro derivatione

 

NELL'UNDECIMO

 

Openioni di diversi scrittori di Giove

Fatti di Giove raccolti sotto brevità

Espositione di tutti gli ornamenti attributi a Giove

Delle Muse, & della virtù loro

Da che nascano le voci degli huomini

Dichiaratione de' nomi di tutte le Muse

Perché sia detto le Muse essere necessarie all'huomo studioso

Esclamatione dell'Autore contra i Maledici delle Muse

Quale sia il vero amore tra noi mortali

Conversione di Giove in cigno nel giacer con Leda

Narratione di Castore, Polluce, & Helena

Origine del pianeta de Gemini

Principio della guerra di Troia

Diversità sopra il rapire d'Helena

Morte di Agamennone per Egisto

Favola della origine dei Palisci

Virtù dell'acqua di Palisco in Sicilia secondo Aristotele

Per qual merito il Cancro fosse collocato nel segno del Zodiaco

Quale fosse la Dea sopra il menstruo

Origine dei Mirmidoni

Tramutatione di Dedalione in sparvieri

Inganno di Apollo, & Mercurio per Lichione

Favola di Ceice, & Alcione

Nascimento favoloso di Orione

Dichiaratione della favola d'Orione

Discorso sopra la gravidanza delle donne

Favola di Ligurgo, & espositione di quella

Favola di Phillide, & dichiaratione di lei

Diversità di molti scrittori sopra la vita di Minos

Assuntione della corona di Arianna in cielo

Edificatione della città di Pittiglia

Opinioni diverse dell'Origine d'Vlisse

Vita, costumi, & opre d'Vlisse

Astutia di Palamede verso Vlisse

Breve compendio dei fatti d'Vlisse

Tutti gli errori di fortuna di Vlisse

Morte d'Vlisse per le mani del figliuolo

Dichiaratione dei venti rinchiusi negli utri

edificatione della città di Tivoli

 

NEL DVODECIMO

 

DISCORSO sopra le antichità dell'Ausonia

Trattato del supplicio di Tantalo, & scelerità di quello

Favola di Niobe, & tramutatione di quella

Guerra tra Pelope, & Endimaco per Hippodamia

Favola, & proprietà del monton d'oro

Scelerità di Thieste contro il fratello Atreo

Descrittione del scettro d'Agamennone fabricato da Volcano

Travagli patiti da Agamennone

Favola sopra la immolatione di Hiphigenia

Furore d'Horeste

Congiuntione di Giove, & Luna

Chi fosse tenuto dagli antichi padre di tutta la nobilità della Grecia

Fatti di Perseo figliuolo di Giove

Interpretatione dello scudo di Pallade

Spositione di tutta la favola di Medusa & Perseo

Chi fosse l'inventore dei sogni, & visioni

Se la donna può impregnarsi in diversi tempi di più d'uno in un parto

Edificatione di Olbia in Grecia

Favola nel nascimento d'Euristeo

Inventione di sacrifici di Apollo

Dell'origine dell'incenso

Perché il mar Rosso si chiami Eritreo

Dichiaratione della favola delle formiche

Origine della città di Salamina

Prove di Peleo nell'acquisto della moglie Theti

Discordia tra le tre Dee

Significato del nome di Achille

Breve raccolta di fatti d'Achille

Chi primo principiasse l'arte de' corsari

Chi fosse il primo che incominciasse ingrassare i terreni

Principio di macinare il fromento

Maravigliosa fortezza di Turno

Come Enea fu morto da Turno, & non Turno da Enea

Come vi è più d'uno Mercurio, & la differenza loro

Perché Mercurio sia detto messaggiero dei Dei

Lodi dell'eloquenza

Fittione dei Lari

Discorso sopra i nostri Genij

Vsanza moderna cavata dall'antica dei lari

Epitafio di Pallante figliuolo d'Evandro

Da chi fosse nomato il monte Palatino

Particolare descrittione di tutta la vita di Mercurio

Quante spetie di foco siano appresso noi

Perché si dica Vulcano essere stato esposto in Lenno

Quanta sia l'utilità del foco

Perché Volcano sia detto fabro di Giove

Openione di Vitruvio nell'inventione del foco

Il modo per lo quale si donasse principio alle parole

Chi primo ritrovasse l'uso della carretta

Perché Caco fosse detto figlio di Vulcano

Edificatione della città di Preneste

Breve trattato di Tullio Servilio

Scelerate operationi di Tullia figlia di Tullio Servilio

 

NEL TERZODECIMO.

 

BREVE raccolta di tutte le fatiche d'Hercole

Segno di grandissimo amore di Alceste verso il marito Admeto

Morte d'Hercole nel foco

Interpretatione del nome di Hercole

Come vi sono stati molti Hercoli

Perche sia detto nella generatione d'Hercole tre notti essersi ridotte in una

Il vero senso di tutte le fatiche oprate da Hercole

Quali siano l'operationi del Sapiente

Congiuntione dell'anima rationale con la virtù

Edificatione di Hittone, antichissima città di Boemia

Onde sia derivato il nome della Sardigna

Origine del nome dell'Isola di Corsica

Conversione di Ciparisso in Cipresso

Da che sia nato, che Eolo sia chiamato Dio de' venti

Onde sia detto nascere i venti

Quanti siano i venti secondo Aristotele

Perché Miseno sia detto figliuolo d'Eolo

Adunatione degli Argonauti all'acquisto del Vello d'oro

Da chi prima il castello di Pola fosse habitato

Tutti i fatti, & vita di Giasone

Avaritia di Eriphile, & poco amore verso il marito

Da cui prendesse nome la città di Tivoli

Opra strana, & maravigliosa di Salmoneo per farsi adorar per Iddio

Herba appropriata alla sterelità delle donne, & alla morte del serpente

Trattato di due Sisiphi

Edificatione della città d'Ephira, chiamata Corinto

Valorose prove di Bellorofonte

Allegoria della Chimera

Chi primo mettesse cavalli sotto carretta

Favola di Cephalo, & l'Aurora

Narratione d'Athamante, & Ino

Da cui l'Hellesponto prendesse nome

Quale fosse il montone dal vello d'oro

Morte di Learco, & Melicerte

La ragione per la quale l'autore non habbia posto tra il numero de' dei Alessandro, & Scipione

 

Il fine della Seconda Tavola.

 


TAVOLA TERZA, & VLTIMA

di tvtti i Capi, & cose degne che nel quartodecimo, & quintodecimo libro si contengono.

 

DISCORSO dell'Autore sopra tutte le cose narrate nei precedenti libri

La ragione per la quale l'Autore si sia mosso a fare questi due ultimi libri in difesa degli altri

Parlamento dell'autore al Re

Tema dell'autore non dei dotti, ma de gli ignoranti

Alcune cose contra gli ignoranti

Quello che gli ignoranti potranno opporre alla presente opra

Come i vituperi degli huomini vergognosi sono lodi degli huomini illustri

Discorso contra quelli che sono ignoranti, et vogliono essere tenuti saggi

Contra quelli che a pena hanno visto le coperte dei libri, & vogliono sempre allegar gli auttori

Editto di Pittagora nel ragionar della Filosofia

Parlamento contra i giurisperiti, con alquante lodi della povertà

Oppositioni de' leggisti contra i Poeti

La ragione per la quale la Poesia non apporti ricchezze

Lodi, & grandezza della Poesia

Che la Poesia è celeste, & eterna

Da che siano buoni i Causidici

Comparatione delle leggi, & della Poesia

Povertà, & grandezza d'alcuni Poeti

In quanto prezzo Alessandro Magno havesse le opre d'

I Homero

Amore di Scipione verso Ennio Poeta

Commodi della povertà, & incommodi della ricchezza

Molti essempi di Filosofi amatori della

povertà

Nomi di molti Poeti, & famosi Romani che amarono la povertà

Che cosa sia la povertà

Con quante angustie vivano i ricchi

Quali siano quelli che s'oppongono a' Poeti, & quali siano le cose che da alcuni gli sono opposte

Descrittione della Filosofia

La diversità di quelli che segueno la Filosofia

Simulatione di quelli che vogliono essere tenuti Filosofi

Le oppositioni dei Filosofi in apparenza contra i Poeti

Che la Poesia è una scienza utile

Ragione contra quelli che dicono la Poesia esser nulla

Che la Poesia non è facultà vana

Che quelli che dicono i Poemi esser vani non gli intendeno

Che cosa sia la Poesia onde detta, & quale il suo ufficio

Quali siano gli effetti del fervor Poetico

Le cose che si ricercano a un buon Poeta

Derivatione della Poesia

Parole di Cicerone d'intorno la Poesia

Che dal cielo è discesa la Poesia

In quali parti del mondo prima risplendesse la Poesia

Openioni di diversi auttori nell'origine della Poesia

Quali fossero tenuti i primi Poeti

Tempo nel quale hebbe principio la Poesia

Come vi sono stati due Orphei

Come Mosè fu Poeta

Che più tosto egli si vede essere cosa utile che dannosa haver composto favole

Che cosa sia favola, & sua derivatione

La spetie delle favole essere di quattro sorti

Come le favole spesse volte hanno acquetato gli animi instigati da pazzo furore

Essempio di Roberto figliuolo del re Carlo per le favole

Ch'egli è pazzia credere ch'i Poeti sotto le corteccie delle favole non habbiano compreso alcuna cosa

Espositione d'alcuni passi favolosi di Vergilio

Breve trattato di nascosti sentimenti di alcuni Poeti

Che i Poeti per la commodità della consideratione habitarono le solitudini

Essempi di molti Poeti antichi, & moderni, che lasciarono la conversatione de gran principi per habitar le solitudini

Versi d'Horatio sopra la Poesia

Lodi della vita solitaria, & contentezza dell'animo nelle cose lontane dalle città

Che l'oscurità de' Poeti non è da biasimare

Che l'ignoranza altrui è quella che fa parer le cose oscure

Ch'egli è proprio ufficio del Poeta essere oscuro

Parole d'Agostino sopra lo scrivere oscuro

Che i Poeti non sono bugiardi

Le ragioni per le quali i Poeti non sono mendaci

Argomenti in difesa de' Poeti

Ragionamento sopra la Apocalipsi di Giovanni

Quante siano le spetie degli huomini bugiardi

Che i Poeti non hanno peccato in altro che nel non conoscere il vero Iddio, che non era ancho venuto in Terra

Bellissimo misterio di Vergilio sopra l'historia di Didone

Come Virgilio per quattro cagioni fu sforzato far Didone impudica

Che pazzamente si biasma quello che men drittamente s'intende

Quali siano le fittioni ne' Poeti da lodare & quali da biasimare

Il tempo nel quale in tutto si estinsero l'opre de' Poeti lascivi

Ch'egli è cosa vergognosissima far giudicio delle cose non conosciute

Oppositione fatta a' Poeti dagli ignoranti

Essempio di uno a' dì nostri inimicissimo del Poetico nome

Con qual ragione alcuno possa parlare contro e' Poeti, se prima non gli ha studiati

Discorso sopra la grandisssima utilità che si cava da' Poeti, & tra gli altri particolarmente da Virgilio

Che i Poeti guidano al bene chi loro legge

Esclamatione verso i Poeti

Come quelli che biasmano i Poemi hanno solamente atteso alle vanità loro

Espositione d'un passo della Sacra Scrittura

Che i Poeti non sono punto simie de Filosofi

Quale sia la natura delle simie

Attioni di Filosofi, & operationi de' Poeti

Come il Poeta segue le cose naturali

Ch'egli non è mal fatto né peccato mortale leggere e' libri de' Poeti

Autorità delle sacre lettere prodotte contra i Poeti

Proverbio anticamente usato

Libertà conceduta a buon fine al Poeta, & al Pittore

Che non è male sapere il male, ma l'oprarlo

Come la Poesia è ministra della Filosofia

Che gli scrittori delle Sacre Lettere si sono serviti de' Poeti

Che tutti i Poeti secondo il comandamento di Platone non sono da essere cacciati dalle città

Essempi di molti Poeti che, lasciate le città, habitarono le solitudini

Contentione di sette Cittadi nella morte d'Homero

Molti Poeti tenuti in pregio da gran prencipi

Lodi di Francesco Petrarca

Quali siano i Poeti da essere cacciati dalle Cittadi

Che le Muse non possono essere oltraggiate per difetto di nessuno ingegno cattivo

Dichiaratione del detto di Boetio contra le Muse

Ragionamento dell'Autore al Re

Preghi dell'Autore verso gli inimici del poetico nome

Mutatione di Roberto Re di Sicilia, inimicissimo de' Poeti

Breve trattato di molti poemi di diversi auttori

Parole di Cicerone in lode della Poesia

 

NEL QVINTODECIMO ET VLTIMO.

 

PRoemio dell'Autore in difesa della presente opra

Che le cose men necessarie alle volte sono state più pregiate

Prova l'Autore la presente opra essere necessarissima

Che spesse volte sono durate più lungamente quelle cose che paiono meno durabili

Ragioni per le quali questa opra potrebbe essere durabile

Che le membra di quest'opra più propriamente non si sono potute congiungere

Sententia di Socrate Filosofo

Che nella presente opra non v'è stato posto quello che non vi s'è trovato

Escusatione dell'Autore d'intorno la spositione delle favole

Che nella presente opra non v'è incluso alcuna historia ne favola che non sia tolta dai comentari degli antichi

Oppositioni fatte dai sindici delle fatiche altrui

Che gli auttori novi dal Boccaccio citati sono famosissimi huomini

Lode d'Andalone de' Negri Genovese

Lodi di Dante Alighieri Fiorentino

Breve trattato di molti altri autori moderni

Lodi, & opre di Francesco Petrarca

Difesa sopra la produttione di molti auttori antichi

Perché la Poesia sia seguita da pochi

Che molti versi si sono posti in diversi luoghi dell'opra non senza mistero

Molte ragioni dell'Autore d'intorno il procedere di detta opra

Essempio del Boccaccio nel far profitto nelle lettere

Ramarico dell'Autore d'intorno gl'impatienti delle fatiche altrui

Che i Poeti Gentili sono Mithici Theologhi

Che la Theologia è di tre sorti

Derivationi di tutte le sorti di Theologia

Non essere cosa dishonesta alcuni Christiani trattare cose Gentili

Quando era pericoloso trattare cose Gentili

Credenza dell'Autore d'intorno la fede Chistiana

Trattato della Trinità

Discorso sopra tutto il Testamento nouo

Openione di Tomaso d'Aquino nella morte di Christo

Credenza del giorno del giudicio

Con quali sacri autori il Boccaccio si fosse fermato nella fede

Errore di Salomone verso Iddio

In che l'Autore havesse fermato la sua speranza

Che per lo più seguitiamo gli studi a' quali gl'ingegni paiono inchinati

Effetti partoriti verso noi dalla madre Natura

Discorso sopra la vita humana

Che l'huomo non puote né deve seguire altro essercitio eccetto quello al quale lo ha prodotto la Natura

Prove fatte dal padre del Boccaccio per levarlo dalla Poesia

Inclinatione dell'Autore all'arte Poetica

Che dannosamente habbiamo compassione ai Re, & alli Dei Gentili

Con che meriti s'acquisti la nobiltà

Che il breve overo lungo parlare non è per mancamento da essere stracciato

Risposta a quelli che tasseranno l'Autore di soverchia lunghezza

Difesa contra quelli che il biasmeranno di brevità

Che per vero, & non per finto comandamento del Re, egli compose la presente opra

Sentenza di M. Tullio Cicerone

Proue dell'autore nel mostrare il Re havergli commesso questa fatica

Essempio d'Alessandro nel desiderare scrittori dell'opre sue

Molti essempi d'antichi famosi Romani desiderosi di gloria

Dimanda di Roberto Re di Gierusalemme & Sicilia al Petrarca, che gli intitolasse la sua Africa

Superbia dell'autore nelle sue fatiche

Conclusione dell'autore

Speme dell'autore in Dio.

Preghi dell'autore verso quelli, che leggeranno quest'opera.


Il fine di tutte le Tavole cavate da' presenti Libri.


 


 


 

PROEMIO

 

Se à pieno, famosissimo Re, ho inteso quanto mi ha riferito Donnino Parmigiano, tuo valoroso soldato, grandemente desideri la Genealogia de Dei Gentili, & degli heroi, che secondo le fintioni antiche sono da loro discesi, & appresso, l'opinione, che già per lo passato sotto la corteccia di queste favole n'hebbero gli huomini illustri: & di ciò l'altezza tua ha eletto me, come huomo sufficientissimo, & auttore ammaestratissimo a cosi fatta opra. Ma per lasciare la maraviglia del tuo disio (percioche non istà bene ad uno di picciolo grado ricercar l'intentione d'un Re) lascierò da parte quello ch'io senta in contrario della mia elettione, accioche dimostrando la mia insufficienza, tu non t'imaginassi, che di nascosto & con iscuse io volessi schifar il peso della fatica impostami. Nondimeno, pria ch'io giunga all'openion mia circa il carico datomi, piacciati, Serenissimo dei Re, ammettere, & se non tutte, almeno alcune parole, che intravennero tra Donnino tuo famosissimo soldato, & me, mentre egli mi spiegava i comandamenti di tua Maestà; accioche leggendole molto bene a bastanza tu vegga il tuo giudicio, & la mia arroganza, fino a tanto ch'io giunga all'ubbidienza della grandezza tua.

Havendomi adunque egli con grandissima facondia narrato i sacri studi della tua sublimità, le maravigliose opre dell'amministration Reale, & appresso con lungo parlare alcuni notabili & gloriosi titoli del tuo nome, pervenne a tanto, che con grandissimo sforzo s'ingegnò ritrarmi ne' tuoi voleri non con una sola ragione, ma con molte, delle quali confesso, che alcune parevano valide. Ma poscia, che tacque &, che a me fu dato agio di rispondere, così gli dissi; O valoroso guerriero, forse, che tu pensi, overo che 'l tuo Re che per l'avenire (piacendo a Iddio) sarà nostro, istima questa pazzia degli antichi, cioè, che desiderarono essere tenuti discesi di sangue divino, haver occupato un picciolo spatio di terra; e si come ridicolosa cosa, come era, haver durato poco tempo, e come anco opra moderna, e di pochi giorni facilmente potersi raccorre. Nondimeno (dirò sempre con tua buona pace) altramente stà la cosa. Percioche, lasciando da parte le Cicladi, & l'altre Isole del mare Egeo, con la sua macchia bruttò, et infettò l'Achaia, la Schiavonia & la Thracia, le quali per lo fiorire, & per la grandezza di questa pazzia furon, in grandissimo splendore, massimamente nel tempo, che la Republica de Greci fu in fiore, cosi anco i liti del mare Eusino, Hellesponto, Meonio, Icario, Panfilio, Cilicio, Fenicio, Sirio & Egittiaco. Nè Cipro, notabil scettro del nostro Re, fu liberato da questa macchia. Cosi medesimamente infettò tutto il paese della Libia, delle Sirti & di Numidia, tutti i luoghi del mare Atlantico & Occidentale, & tutti i remotissimi horti delle Hesperide. Nè solamente fu contenta dei liti del Mare Mediteraneo, che trappassò anco a non conosciute nationi di mare. Caderono etiandio con i maritimi in questo errore tutti gli habitatori del Nilo (che manca di fonte) & tutte le solitudini dell'arena Libica insieme con le sue moralitadi & dell'antichissima Thebe. Appresso gli ultimi Egittii, i focosi, & troppo calidi Garamanti, i neri Ethiopi, gli odorati Arabi, i ricchi Persi; i popoli Ganaridi, i Babilonici. Indi per la nerezza notabili, l'altre cime del Caucaso con tutto il suo duro discendere così verso il caldo Sole, come i freddi Poli; il mare Caspio; i crudeli hircani, tutto il Tanai, il Rodope sempre pieno di nevi, & anco la rozza fierezza dei Sciti. Et havendo tutti i vasti dell'Oriente, & dell'Occidente, & del mar rosso l'Isole contaminate si ridusse da noi Italiani; di maniera, che Roma Reina del mondo si lasciò acceccare da questa nebbia. Et accioche minutamente io non stia a discorrere, per tutti i paesi, dove questa cecità hebbe molto potere, come a bastanza tu puoi vedere, una portioncella sola fu del mondo fra Tramontana e Occidente, benche di scelerata crudeltà, la quale non fu nobilitata dalla progenie di questa deità, si come l'avanzo fu infettato; nè quelle cose furono all'età nostra. Et allhora forse giovanetto Abraam, mentre appresso Sicioni questa pianta incominciò far radici, & entrare negli animi de gli huomini trascurati. Al tempo nondimeno degli heroi fu in molta riputatione, & divenne in grandissimo nome, & riverenza, continuando ogni dì più sino alla ruina del superbo Ilion. Percioche nella guerra Troiana si ricordiamo haver letto essere stati amazzati alcuni figliuoli di Dei: & Hecuba in cane, & Polidoro in virgulti essersi convertiti ch'è antichissima, & in tempo di molti secoli. Onde non è da dubitare chè per tutto dove questa pazzia ha havuto radice, ivi non siano scritti di gran volumi, accioche la divina nobiltà de' maggiori col ricordo delle lettere pervenisse ai posteri. Et quantunque istimai il numero di questi tali essere stato picciolo quanto fosse grandissimo, Paolo Perugino, cosi grand huomo, & di tai cose diligentissimo, & curiosissimo investigatore, spesso afferma in mia presenza da Barlaam huomo Calavrese, & di lettere Greche benissimo instrutto haver inteso alcun huomo notabile, nè famoso Prencipe, ò d'altra preminenza, in tutta la Grecia (mostrando prima tutte l'isole, & i liti) essere stato in quel secolo, nel quale questa pazzia fiorì, ch'egli non gli facesse vedere che havesse havuto origine da alcuno de questi tali Dei. Che dirò adunque, che risponderai tu? Se tu potessi riguardar un mar cosi lungo, largo, & spatioso, cosi antico, durato tanti secoli, spiegato in tanti volumi, & ampliato in cosi gran numero d'huomini, crederesti, tu, ch'io potessi adempire i voleri del Re? Veramente, se i monti prestassero i passi facili, & le solitudini diserte il viaggio palese, & aperto; se i fiumi, i guadi, & i mari l'onde tranquille, & il passaggiero Eolo mandasse dalla spelonca i venti tanto prosperi; & fecondi, & che piu è, se havesse le ali d'oro d'Agrifonte legate ò piedi d'ogni huomo, che si voglia, & se fosse uccello che potesse volare dove piu piacesse, a pena potrà girare il mondo, & cosi lunghi passi del mare, & della terra, non che far altro, se bene a lui fosse conceduto una grandissima quantità d'anni, & secoli. Di più concederotti, che si habbiano tutte queste cose, & che si possa, col voler d'Iddio, congiungere in un momento tutte le scritture, & le memorie antiche, & che per dono divino si habbia la notitia di tutti i caratteri, & gli idioma delle nationi diverse, & che in ogni luoco, che si giunga siano preparati i volumi intieri, chi sarà colui (lasciando tra mortali me fuori), che habbia le forze cosi ferme, l'ingegno cosi acuto, la memoria cosi profonda, che possa veder tutte le cose poste a lui dinanzi? intendere le vedute? le intese conservare, & poi con la penna finalmente distenderle, & le raccolte, in un'opra renderle a perfettione? Oltra di ciò m'aggiungevi ch'io descrivessi quelle che sotto ridicoloso velame delle favole hanno nascosto gli huomini saggi, come se l'inclito Re istimasse pazzamente credere, gli huomini ammaestrati quasi in ogni scienza semplicemente haver speso il tempo, & sudato d'intorno lo scrivere favole lontane da ogni verità, & che non habbiano altro che il latino senso. Non negherò che questa reale elettione m'è stata grata, & hammi dato certissimo argomento; perche, si come per inanzi tu dicevi, egli ha l'ingegno divino, & m'ha istimato sofficiente ad adempire il suo disio, pur che le mie forze fossero bastanti. Ma d'intorno queste tali narrationi vi è di gran lunga maggior difficultà, che tu non istimi, & è fatica da huomo Theologo. Percioche concedendo, secondo la opinione di Varrone, dove scrisse molto delle cose divine, & humane, che questo genere di Theologia sia quello, che mistico, overo, come piace ad altri, & forse meglio sia fisico, benche habbia in se molta falsità da ridersi, nondimene ricerca molto arteficio ad scoprirla. Et per ciò honoratissimo soldato sono da considerare le forze degli huomini, & essaminare gl'ingegni, & cosi a quelli imporre convenevoli carichi. Potè Atlante col capo sostenere il Cielo & a lui, lasso per lo peso, potè Alcide prestare aiuto. Amendue furono huomini divini & quasi invincibile fortezza fu quella d'amendue. Ma io che son huomo picciolo, non ho forze di alcun valore, l'ingegno tardo, la memoria intricata, & tu alle mie spalle desideri, non il Cielo ch'eglino sostennero, ma anco la terra sovragiungere, & appresso i mari, essi habitatori dei Cieli, & con loro i famosi sostentatori. Non è altro questo, eccetto volere ch'io sotto il peso creppi. Nondimeno, se tal cosa era tanto a cuore al Re, era peso convenevole (se tra mortali uno è atto a tanta fatica) alle forze del celebratissimo huomo Franceseo Petrarca, del quale già molto io sono discepolo. Veramente egli è huomo dotto di celeste ingegno, di profonda memoria & anco di maravigliosa eloquenza, al cui sono famigliarissime l'historie di ciascuna natione, i sentimenti delle favole chiarissimi, & brevemente tutto quello che giace nel sacro grembo della Filosofia a lui è manifesto. Già taceva io, quand'egli con piacevol faccia & ornato parlare cosi seguì; Credo, molto meglio di quello, che non havea conosciuto, esser vere tutte quelle cose, che dici; & appresso veggio le difficultà. Ma ti prego dirmi caro il mio Giovanni, pensi tu, che il nostro Re non habbia avedimento? Certamente egli è aveduto Signore, di benigno ingegno, & lodevole per felicità reale; & da te sia lontano ch'egli voglia alcuno non che te aggravare, anzi ha per antico costume alleggierire ciascuno; & però drittamente sono da intendere & da capire i suoi comandamenti. Per Dio, che facilmente si può credere essere incessabili quelle ragioni, che poco fa hai raccontato, & i loro annali (se alcuni ve ne sono) in tutto a' Latini nascosti. Ma se alcuna memoria dai Greci, che per insino ai Latini sia pervenuta, overo appresso essi Latini, alle cui scritture non picciolo honore & gloria hanno riportato gli studi de nostri maggiori, è rimasta, & se non tutti i ricordi, almeno quei, che per tua industria si ponno ritrovare, quegli disia. Su adunque, e con largo animo (havendo buona speranza in Dio) piglia la faticosa impresa et fa quello, che puoi, non si ritrovando persona atta all'impossibile. La fortuna non m'ha fatto venire in mente quell'honorato huomo, non solamente appresso Cipriani, ma per fama conosciuto sovra le stelle, Francesco Petrarca, credo perche Iddio ha voluto così, accioche io perdonassi a lui in grandissime imprese occupato, & alla gioventù tua imponessi cosi honesta fatica, per la quale il tuo nome, poco fa incominciando andar in luce, piu chiaro appresso i nostri risplenda. Allhora io risposi: A quel ch'io veggio, credo, che tu istimi, ò strenuo guerriero, senza i lontanissimi libri de' barbari, de' Greci & de' Latini solamente questa opra potersi a pieno riddurre in essere? O buono Iddio, non vedi tu istesso, Signore, che con questa tale concessione tu vieni a levare la miglior parte all'opra? Ma facciamo come già molto fecero i nostri Prencipi partendo il Romano Imperio nel orientale & occidentale. Sia à questo monstro due corpi, un Barbaro, & l'altro Greco & Latino? & al Greco & al Latino, i quali tu istesso chiami, i libri; nè anco questo potrà fare, che si consegua quello, che tu addimandi. Habbiamo dimostrato questa peste essere stata antichissima; tu hora teco stesso considera quanti nemici nei secoli passati habbiano havuto i volumi. Confesserai veramente, che gl'incendij & i diluvij d'acque (accioche taccia dei particolari) hanno consumato molte librarie; et se altra non fosse andata a male, che l'Alessandrina, la quale già molto il Filadelfo con grandissima diligenza havea ordinato, sarebbe grandissima diminutione de' libri. Conciosia che, per lo testimonio d'antichi, in quella potevi ritrovare quello che volevi. Oltre di ciò, crescendo il glorissimo nome di Christo, & rimovendo la dottrina sua splendente di sincera verità le tenebre del mortale errore, & massimamente del Gentile, & appresso lungamente declinando lo splendor di Greci (gridando i messi di Christo con la falsa religione & cacciandola in ruina), non è da dubitare, che seco non mandassero in eterno oblio molti libri serbanti le memorie di questa materia, acciò, che con veri & pij predicamenti dimostrassero non esservi tanti dei nè figliuoli di Dei, ma un solo Iddio Padre, & unico figliuolo d'Iddio. Appresso, mi concederai c'habbia havuto per nimico l'avaritia, alla cui non sono debili forze. Percioche è cosa certissima l'arte Poetica, a quei, che la sanno, non apportare alcun guadagno, & appresso lei non è altra cosa pregiata eccetto quella ch'apporta seco l'oro, & dalla quale si conseguisce l'oro & non se lo leva; & quelle scienze, che a ciò non sono atte non solamente sono sprezzate, ma anco havute in odio & rifiutate. Onde caminando quasi tutti a gran passi per acquistar ricchezze, tai volumi andarono in oblio, & anco perirono cosi facilmente, che molti Prencipi, odiando tali memorie, fecero lega contra loro, percioche contenendosi sotto la corteccia delle favole molti vitij di gran signori, eglino quanti volumi, che mai poterono havere mandarono in ruina, perdonando cosi poco a i favolosi come ad ogni altra sorte discritti, de' quali certamente cosi di liggiero non si potrebbe esprimere il numero. Ma se tutto il resto gli havessi perdonato, a quelli non havrebbe havuto riguardo il veloce tempo, essendo, come sono stati, privi di riformatore. Conciosia, chè egli ha i denti quieti & adamantini, che corrodono non solamente i libri, ma i durissimi sassi & esso ferro, che doma tutto il resto. Questo veramente ha mandato molte cose, cosi greche come latine, in polve. Nondimeno, come, che habbiano patito questi & molti altri infortunii, & maggiormente dico quelle memorie, che spetialmente sarebbeno al proposito di questa nostra fatica, tuttavia negar non si puote, che molte non ve ne siano rimaste; ma nessuna però, ch'io mai habbia ritrovato, scritta in questa materia, che tu desideri. Vanno adunque qua & là per lo mondo disperse le origini & i nomi cosi dei dei come dei progenitori suoi. Di questi questo libro ha alcuna cosa, & un altro alcuna altra; le quali ti prego dirmi chi sarà colui, che per dono, overo almeno per poco fruttevole fatica, vorrà ricercarle & rivolgere tanti volumi, leggerli, & fuori di quelli eleggere pochissime? Credo essere molto meglio non se n'impacciare. Ma egli con gli occhi fisi cosi mi risponde. Non m'era nascosto, che all'incontro dell'honesta mia dimanda tu non havessi, che dire, ma non di maniera mi caccierai, che non mi rimanga alcun picciolo luogo dov'io mi salvi. Veramente non negherò questo, che m'affermi. Ma voglio solamente quello, che la seconda fiata hai detto; cioè farò quello, che potrò. Questa particella, che di qui potrai raccorre, desidera il nostro Re. Potrai negarli questo? Ma ohimè, ch'io temo, che la dopochaggine non t'apparecchi alcuna ragione per la quale tu schifi la fatica. Nessuna cosa veramente non è piu vergognosa in un giovane dell'otio; & se è da essercitarci, essendo tutti noi nati per affaticarsi, a chi meglio puoi tu prestare la fatica tua, che a un Re? Levati adunque & caccia la pigritia, drizzandoti con forte animo a tal'opra; accioche in un istesso tempo tu obedisca a un Re & al nome tuo facci la strada all'inclita fama. Verrai senza dubbio (se sei prudente) piu oltre di quello ch'io mi sforzo cacciarti. Sai pure, che la fatica vince il tutto & la fortuna aiuta gli arditi, & molto piu esso Iddio, il quale mai non abbandona chi spera in lui. Partiti adunque, & arditamente volgi, rivolgi & ricerca i libri; togli la penna, & mentre cerchi piacere al Re guida il nome tuo in lunghissima età. Allhora dissi io: piu resto vinto dalla dolcezza delle tue parole, che dalla forza delle ragioni. Mi constringi, mi persuadi, mi cacci, & mi trahi di maniera che, se bene io non volessi, è forza, che ti ubbidisca." In tal modo, pietosissimo Re, alquanto contrastammo insieme il tuo Donino & io, pria, che volessi piegare la mia penna a' tuoi voleri; & voglia o non voglia, ultimamente vinto, a forza cacciato vengo a sodisfarti. Con quai forze, nondimeno, tu lo vedi. Per tuo commandamento adunque, lasciati i sassi dei monti di Certaldo & lo sterile paese, con debile barchetta in un profondo mare, pieno di spessi scogli, come novo nocchiero entrerò, dubbioso veramente, che opra io mi sia per fare, se bene leggerò tutti i liti, i montuosi boschi, gli antri & le spelonche, & se sarà bisogno caminar per quelli & discender fino all'Inferno, & fatto un altro Dedalo, secondo il tuo disio volelerò per insino al Cielo; non altramente, che per un vasto lido raccoglendo i fragmenti d'un gran naufragio, cosi raccorrò io tutte le reliquie, che troverò sparse quasi infiniti volumi dei Dei gentili; & raccolte & sminuite, & quasi fatte in minuzzioli, con quell'ordine ch'io potrò, accioche tu habbi il tuo disio, in un corpo di Geneologia le ritornerò. Tutta via mi spavento a pigliare cosi grande impresa, & a pena credo, se suscitasse & venisse un altro Prometheo, overo quell'istesso, che per dimostratione dei Poeti al tempo antico era solito di fango formar gli huomini, non che io di quest'opra sarebbe sufficiente artefice. Ma, famosissimo Re, accioche tu non ti maravigli ch'io voglia dire per l'avenire, non aspetterai, dopo un molto spender di tempo & una lunga fatica fatta con molte vigilie, haver questo tal corpo compiuto. Assai veramente, & Dio voglia, che senza molti membri, & forse torto, gobbo & attratto, ha da vedersi, per le ragioni, che già si sono mostrate. Ma, famosissimo Prencipe, accioche io venga a comporvi i membri, cosi verrò a dichiarire i sensi nascosti sotto dura corteccia. Non già ch'io voglia persuadermi far ciò minutamente secondo l'intento di quei c'hanno finto. Percioche, chi al tempo nostro potrebbe agguagliare le menti degli antichi & esporre l'intentioni già tanto separate dalla mortale in altra vita, & ritrovare i sentimenti ch'eglino hebbero? Ciò certamente sarebbe piu tosto divino, che humano. Gli antichi senza dubbio, lasciate le scritture ornate de' suoi nomi, sono andati nella via della carne commune, & il senso di quelle lasciarono al giudicio di quelli, che haveano a nascere dopo loro; de' quali quanti sono i capi, quasi tanti giudicij si ritrovano. Et non è maraviglia. Percioche veggiamo le parole della Sacra Scrittura, cavate da essa lucida, certa & immobile verità, se bene alle volte sono coperte d'un sottil velo di figuratione, essere tirate in tante interpretationi in quante sono capitate alle mani di diversi lettori: là onde in ciò con minor timidità entrerò, percioche se bene dirò poco bene, almeno sveglierò alcun altro piu di me prudente a scriver meglio, & ciò facendo, prima scriverò quelle cose ch'io potrò haver inteso dagli antichi; indi dove havranno mancato, overo meno a bastanza secondo il mio giudicio detto, dirò il mio parere; & questo farò molto volentieri, a fine, che ad alcuni ignoranti, & che noiosamente sprezzano i Poeti da loro poco intesi, si mostri quelli (benche non Catholici) di tanta prudenza essere stati dotati, che nessuna cosa da loro sotto figmenti Poetici con maggior arteficio d'ingegno si poteva, nè è stata trascorsa, nè con maggiori ornamenti di parole adornata. Per il che è manifesto quelle essere stati ripieni d'infinita mondana sapienza, della quale molte volte mancano i noiosi loro riprensori; onde dalle loro profondità, oltre l'artificio delle fittioni Poetice & le consanguinità & parentele spiegate de' vani Dei, vedrai alcune cose naturali coperte da tanto misterio, che ti maraviglierai; cosi anco i fatti & i costumi dei baroni, non triviali nè communi. Oltre di ciò, perche l'opra passerà in maggior volume, che tu non istimi, giudico convenevole, accioche piu facilmente tu possi ritrovare quello, che cercherai, e meglio ritenere quello che vorrai, partir quella in piu parti, & chiamarli libri. Nel principio di ciascuno de' quali giudico essere da porvi l'arbor. Nella cui radice sia il padre della generatione. Nei rami poi, vista l'ordine dei gradi, mettervi tutta la sparsa progenie, accioche col mezzo di questo tu vegga di chi & con qual ordine nel seguente libro tu ricerchi. I quai libri anco con i dovuti capitoli troverai distinti con piu ampia dichiaratione & piu manifesti, & vi vedrai tutto quello che con un solo nome per le frondi dell'arbore prima havraj letto, con parole ampio & diffuso. Poi gli aggiungerò due libretti, et nel primo risponderò ad alcune obiettioni fatte contra la Poesia & i Poeti. Nel secondo, che sarà di tutta l'opra l'ultimo, mi sforzerò rimuovere alcune cose, che forse contra me saranno opposte. Ma per non scordarmi (non voglio, che ti maravigli, accioche ti pensasti ciò essere avenuto per error mio), egli è colpa degli antichi, che spessissime volte leggerai molte cose cioè di sorte differenti dalla verità, & tra se stesse molte fiate discordanti, che non solamente le istimerai non pensate da Filosofanti, ma nè anco da villani imaginate; cosi anco malamente ai tempi convenevoli. Le quali veramente, & altre, se alcune ve ne sono dal debito varianti, non è l'intention mia riprenderle overo ad alcun modo correggerle, se da se stesse non si lasciano ridurre a qualche ordine. A me basterà assai rescrivere le trovate, & lasciar le dispute ai Filosofanti. Ultimamente, se gli huomini d'intiera mente, cosi per debito come per decreto di Platone, in tutti i principij, dico anco di picciole cose, hebbero in costume ricercare l'aiuto divino, & appresso in nome di quello dar principio alle cose a fare; percioche lasciato lui, per sentenza di Torquato, non si farà nessun buon fondamento, assai posso considerare quello ch'a me si convenga; il quale tra gli aspri deserti dell'antichità & tra i tormenti degli odi hor quà hor là son per raccorre lo sbranato, minuzzato, consumato & quasi in ceneri già ritornato gran corpo dei Dei Gentili & de famosi heroi, & quasi un altro novo Esculapio a guisa di quello d'Hippolito ritornarlo insieme. Et però solamente al pensare, tremando sotto il soverchio peso, humilmente prego quel piatosissimo Padre vero Iddio, Creatore di tutte le cose &, che può il tutto, sotto cui viviamo tutti noi mortali, che sia favorevole al mio superbo & gran principio. A me sia egli splendente & immobile stella, & governi il timone della mia navicella, che solca un disusato mare; et, si come il bisogno ricerca, dia le vele a i venti accioche io giunga là dove al suo nome sia ornamento, lode, honore & gloria sempiterna; a i maldicenti poi disprezzo, ignominia, dishonore & dannatione eterna.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO PRIMO

 

 

Al Serenissimo Vgo re di Gierusalem.

 

Havendo io a entrare in un profondo mare, & non solito a navigarsi, & havendo a pigliare un novo viaggio, mi sono imaginato essere piu diligentemente da riguardare da qual lito la prora della barchetta sia da sciorre, accioche piu drittamente con prospero vento io giunga là dove l'animo disia. Ilche allhora istimerò haver fatto, quando havrò ritrovato colui che i passati antichi finsero loro Iddio, percioche da quello tolto il principio della discendenza, potrò poi con dovuto ordine venire ai posteri. In me adunque s'erano adunate tutte le forze dell'animo, & dal sublime specchio della mente riguardava quasi tutto l'ordine del mondo; onde subito vidi levarsi assaissimi huomini, nè solamente d'una sola religione; ma nondimeno dignissimi testimoni per fide di verità, con la loro gravità affermando Iddio esser unico: ilquale alcuno mai non vide, & questo essere il vero che manca di principio, & di fine, che può il tutto, Padre delle cose, & Creatore, cosi delle cose manifeste, come delle non palesi a noi. Ilche credend'io benissimo, & dai giovenili anni sempre havendo creduto, incominciai rivolgere la mente d'assaissimi antichi, che circa ciò hebbero varie, & diverse openioni, & a me parve quasi questo istesso haver creduto i Gentili, ma essere restati ingannati mentre attribuirono tal dignità a fattura del Creatore, nè tutti ad uno, ma diversi a diversi si sono sforzati darla. Al cui errore haver dato materia istimo io i Filosofanti, & giudicanti diversamente, mentre ammaestrarono la rozezza antica, & dopo quelli essere stati i Poeti, iqual primi Theologizando (dice Aristotele) secondo il creder loro, quelli essere i primi Dei, iquali essi pensavano essere stati prime cause delle cose. Et di quì, se molti diversamente furono gli istimatori, di necessità è seguito, che molti, & diversi dei havessero varie nationi, overo sette, ciascuna dellequali tenne il suo essere vero, primo, & unico Iddio de gli altri Padre & Signore. Et cosi non solamente a guisa di Cerbero formarono una bestia di tre capi, ma si sono sforzati descriverlo in mostro di piu capi. De' quali cercando io il piu antico, mi si fece all'incontro Thalete Milesio al tempo suo sapientissimo huomo, & molto famigliare al Cielo, & alle Stelle, & ilquale io havea udito piu con l'ingegno, che con la fede lungamente haver ricercato molte cose del vero Iddio. Costui pregai, che mi dicesse chi egli istimasse degli dei essere stato il primo, ilquale subito mi rispose, & di tutte le cose cred'io l'acqua essere stata la pria cagione, & quella in sé havere la mente divina, che produce il tutto; nè altrimenti di quello, che appresso noi bagni le piante, cosi dall'abisso mandati fuori i nascimenti dell'acque in Cielo, fino alle stelle, & tutto il resto di questo ornamento con l'humida mano haver fabricato. Di quì trovai Anassimene, un'altro dottissimo huomo, & mentre io ricerco quest'istesso, che domandai a Thalete, mi rispose; L'Aere produttore di tutte le cose; percioche gli animali senza l'Aere subito morrebbono, & senza lui non potrebbono generare. Dopo questi mi s'offerse Crisippo, tra gli antichi huomo famoso, ilquale pregato disse che credeva il foco essere Creatore di tutte le cose, conciosia che senza il calore pare, che alcuna cosa mortale non si possa generare, overo generata durare. Havendo poi ritrovato Alcinoo Cortoniese, lo provai huomo tra tutti gli altri d'elevato animo. Percioche volando sovra gli elementi, subito con l'intelletto si congiunse con i Pianeti, tra quali quello, che vi ritrovasse no'l so, ma riferì che pensava il Sole, la Luna, le Stelle, e tutto il Cielo essere stati i Fabbri di tutte le cose. O liberale huomo, quella deità, che tutti gli altri haveano dato ad un solo elemento, questi a tutti i corpi dei sopra celesti la donò. Dietro questi toglio Macrobio, piu giovane di tutti. Quello poi diede solamente al Sole quelli, che Alcinoo havea conceduto a tutto il Cielo. Ma Theodontio (come penso) huomo non novo, ma di tai cose solenne ricercatore, senza nomar alcuno rispose degli antichissimi Arcadi essere stato opinione la terra essere origine di tutte le cose, & istimando, si come dice Thalete dell'acqua, in quella essere la mente divina, credettero per opra di lei tutte le cose essere state prodotte & create. Ma per tacere de gli altri, i Poeti c'hanno seguito l'opinione di Thalete chiamarono l'Oceano elemento dell'acqua, & lo dissero Padre di tutte le cose, de gli huomini & de' Dei, & dell'istesso diedero principio alla geneologia de' Dei. Ilche anco noi havressimo potuto fare, se non havessimo ritrovato (secondo alcuni) l'Oceano essere stato figliuolo del Cielo. Et quelli ch'instimarono Anassimene & Crisippo haver detto il vero, percioche spessissime volte i Poeti metteno Giove per l'elemento del fuoco, & alle volte del fuoco & dell'aere, a lui diedero il principato di tutti i Dei, & alle loro geneologie il pigliarono primo di tutti gli altri. Iquali imperò in ciò non habbiamo seguito, perche si ricordiamo haver letto Giove essere stato hora figliuolo dell'Aere, hora del Cielo & hora di Saturno. Quelli poi, che volsero dar fede ad Alcinoo tolsero per prencipe della sua Geneologia Celio overo il Cielo; ilquale havendo letto essere stato generato con l'Aere l'habbiamo lasciato adietro, si com'anco quelli che, seguendo Macrobio & i suoi primi, hanno concesso il principato della Geneologia al Sole; ilquale i Poeti testimoniano haver havuto molti padri, dandoli hora Giove, hora Hiperione & hora Vulcano. Quelli anco c'hanno voluto la terra produttrice di tutte le cose, come dice Theodontio, chiamarono la mente divina in lei composta Demogorgone. Ilquale io veramente istimo Padre & principio di tutti i Dei Gentili, non ritrovando alcuno a lui secondo i figmenti Poetici esserli stato Padre, & havendo letto lui non solamente essere stato Padre dell'Aere, ma avo, & di molti altri Dei da' quali questi sono nati; di quai di sopra habbiamo fatto ricordo. Cosi adunque riguardati tutti, & troncati gli altri capi come superflui & ritornatigli in membri, imaginandosi haver ritrovato il principio del viaggio, facendo Demogorgone non Padre delle cose, ma de' Dei Gentili, con l'aiuto d'Iddio entraremo nel viaggio duro & alpestre per lo Tenaro, overo per l'Etna, discendendo nelle viscere della Terra, & inanzi gli altri solcando i vasti della palude Stigia.

 

DEMOGORGONE.

Con grandissima maestà di tenebre, poscia ch'io hebbi descritto l'albero, quel antichissimo proavo di tutti i Dei Gentili, Demogorgone accompagnato da ogni parte di nuvoli, & di nebbie, a me, che trascorreva per le viscere della Terra apparve; ilquale per tal nome horribile, vestito d'una certa pallidezza affumicata, & d'una humidità sprezzata, mandando fuori da sé un odore di terra oscuro, & fetido, confessando piu tosto per parole altrui, che per propria bocca se essere Padre dell'infelice principato, dinanzi a me artefice di nova fatica fermossi. Confesso ch'io mi posi a ridere, mentre riguardando lui mi veni a ricordare della pazzia degli antichi; iquali istimarono quello da alcuno generato, eterno, di tutte le cose Padre, & dimorante nelle viscere della Terra. Ma perche questo poco importa all'opra, lasciamolo nella sua miseria, passando là dove desideriamo. Dice Theodontio la cagione di questa vana credenza non haver havuto principio dagli huomini studiosi, ma dagli antichissimi rustici d'Arcadia, iquali essendo huomini mediterranei, montani, & mezzo selvaggi, & veggendo la Terra da sé stessa produrre le selve, & tutti gli arboscelli, mandar fuori i fiori, i frutti, & le sementi, nodrir tutti gli animali, & poi finalmente ritorre in sé tutte le cose, che muoiono; appresso i monti vomitar fiamme, dalle dure pietre trarsi i fuochi, dai cavi luoghi, & valli spirare i venti, sentendo quella alle volte moversi, & mandar fuori muggiti, & dalle sue viscere spargersi i fonti, i laghi, & i fiumi, quasi, che da lei fosse nato il foco celeste, & il lucente aere, & havendo ben bevuto havesse mandato fuori quel gran mare Oceano, & degli adunati incendij volando in alto le faville havessero formato i globi del Sole, & della Luna, & intricatesi nell'alto Cielo si fossero cangiate in sempiterne stelle, pazzamente credettero. Quelli, che poi dopo questi seguirono, considerando un poco piu alto, non chiamarono la Terra semplicemente auttore di queste cose, ma s'imaginarono a quella essere congiunta una mente divina: per intelligenza, & voler della quale s'oprassero queste, & quella mente haver stanza sotterra. Al cui errore accrebbe fede appresso i rozzi l'essere entrati alle volte nelle spelonche, & nelle profondissime cavità della Terra; conciosia che, in processo morta la luce, paia un silentio occuppare le menti, & accrescerlo, onde col nativo horrore dei luoghi la religione si messe in uso, & agli ignoranti nacque il sospetto della presenza d'alcuna divinità. Laquale divinità imaginata da questi tali, istimavano non d'altri, che di Demogorgone, percioche credevano la sua stanza nelle viscere della Terra, si come è stato detto. Questi adunque essendo appresso gli antichissimi Arcadi in grandissima riverenza, imaginandosi col silentio del suo nome crescersi la maestà della deità sua, overo istimando inconvenevole cosi sublime nome venire nelle bocche de' mortali, o forse temendo, che nomato non si movesse ad ira contro loro, di commune consentimento fu vietato, che senza pena non fusse mentovato da alcuno. Ilche dimostra Lucano dove descrive Eritto, che chiama l'alme, dicendo;

 


Ubbidirete, ò quel fie da trovare

Che chiamato la terra non percossa

Fa ogn'hor tremare? quel che vede aperta

Gorgona, & con estreme battiture


Castiga Erinne timida, & tremante?

 

Cosi anco Statio, dove interroga per commandamento di Etheocle il cieco vecchio Tiresia del successo della guerra Thebana, dice;

 


Sappiamo bene quel che voi temete

Esser nomato, & esser conosciuto,

Et Hecate turbar, s'io non temessi

Te sol Timbreo, & del triplice mondo,

Il sommo, che conoscer quì non lice;

Ma i taccio.


 

Et quel, che segue. Onde questo del quale parlano questi due Poeti senza esprimer il nome, Lattantio, huomo famoso, & dotto, scrivendo sopra Statio chiaramente dice essere Demogorgone, capo, & primo de' Dei Gentili. Et noi anco a bastanza possiamo conoscerlo, se vogliamo considerar bene le parole dei versi. Percioche dice appresso Lucano una incantatrice, & gentile, volendo dimostrare la preminenza, & la sotterranea stanza di costui, la terra tremare al suo nome; il che non fa giamai, se non percossa. Seguita questo istesso perche vede Gorgone, cioè la terra aperta ch'è al sommo, percioche habita nelle viscere della Terra, rispetto a noi, che habitiamo di sopra a lui, conciosia che veggiamo solamente la superficie; overo vede Gorgona aperta, cioè quel monstro, che cangia in sassi ch'il mira; nè però si tramuta in sasso, accioche appaia della sua preminenza un'altro segno. Terzo poi dimostra la sua potenza d'intorno le cose infernali, mentre dice quello, con battiture castigare la Erinne, invece delle Erinne, cioè quelle Furie infernali, non con altro, che con la potenza opprimendole, & sdegnandosi. Questo, poi, che sia conosciuto da i Superi dice Statio, affine di far conoscere quello, & sotterraneo, & prencipe di tutti, che chiamato può constringere gli spiriti beati ne i desideri de' mortali; ilche essi non vorrebbono quello essere conosciuto, perciò dice illicito, perche sapere i segreti d'Iddio non appartiene a tutti. Conciosia che se fossero conosciuti, la potenza della deità vorrebbe quasi in disprezzo. Oltre di ciò a costui, accioche la liberale, & rispettata antichità crescesse per lo rincrescimento della solitudine (come dice Theodontio), aggiunse la Eternità, & il Chaos, & una famosa schiera di figliuoli. Imperoche vollero lui tra maschi, & femine haver havuto nove figliuoli, si come si dimostrerà più distintamente. Quì era luogo da scoprire, se alcuna cosa fosse riposta sotto fittione Poetica; ma essendo ignudo il sentimento di questa falsa deità, solamente ci resta dichiarare quello, che paia voler significare cosi horrido nome. Risuona adunque, si come istimo, Demogorgone in Greco, Latinamente Iddio della terra. Perche, come dice Lattantio, s'interpreta Demon per Iddio, & Gorgon, per terra, overo piu tosto sapienza della terra, essendo spesse volte Demon esposto per sapere o per scienza. O pure, come meglio ad altri piace, Iddio terribile; il che del vero Iddio c'habita in Cielo si legge: Santo, & terribile il nome di lui. Ma questo per altra cagione è terribile; percioche quello per l'integrità della giustitia ai malfattori nel giudicio è terribile, questo poi a quei c'hanno creduto pazzamente. Finalmente, pria, che trattiamo altro de' figliuoli, ci pare dire alcuna cosa de' compagni.

 

ETERNITÀ.

SEGVE l'Eternità, laquale non per altro gli antichi diedero per compagna a Demogorgone, eccetto affine, che colui ch'era nulla paresse eterno. Et quello ch'ella si sia lo dimostra col suo nome, percioche con alcuna quantità di tempo non può essere misurata, nè con alcuno spatio di tempo disignata; contenendo in sé tutte l'età, & da alcuna non essendo contenuta. Quello, che di lei habbia scritto Claudio Claudiano, dove in versi heroici inalza le Lodi di Stilicone, mi piace inchiudervi. Dice egli cosi;

 


E da lontano una spelonca ignota,

Inacessibil fino a nostre menti

Dove a penna gli dei ponno arrivare,

Vede la lunga età stassi la madre,

Laquale i tempi da lei rovinati

Riforma, e avanza, & l'antro in seno abbraccia,

Tutti i principii. Siede dell'entrata.

La Natura a la guardia d'età lunga

Con grave maestà, da cui dipende

Per tutti i membri suoi spirti volanti,

Stabili e ferme, et che partisce insieme

Rendendo tutto quello che consuma

Il serpe con le squame eterno, & verde,

Con benigna deitade; & si com'egli

Rode la coda con ritorta bocca,

Con quieto trascorrere rilega

I numeri a le stelle, e i corsi fermi.

Tutti gli indugi per liquali vive,

Et more il tutto, egli con fisse leggi

Giudicando riforma.


Et un vecchio che scrive le ragioni

 

Et quello, che segue. Indi descritto in questo modo l'antro, cosi segue;

 


Habitan quì diverse forme, & tutti

I secoli distinti dai metalli;

Ivi s'ammassa il bronzo, & ivi il ferro.

L'argento in altra parte si fa bianco.

Onde per l'habitar la stanza è bella.


 

Et quello che và dietro. Onde queste sono quelle cose per lequali istimo, o famosissimo fra i Re, che tu puoi considerare con quanto soave stile, benche con lunga, & limata oratione, questo Poeta descriva, che cosa sia l'eternità, & ciò, che si contenga tra quella. Ilquale per dimostrare l'eccesso di tutti i tempi dice la spelonca di lei, cioè la profondità del grembo, essere non conosciuta, & molto lontana; dove non solamente i mortali, ma a pena i Dei vi ponno arrivare, & per questi dei intende le creature, che sono nel conspetto d'Iddio. Indi poi dice, che quella avanza, & rifforma i tempi, accioche dimostri tra quella ogni tempo haver pigliato, & pigliar principio, & ultimamente venire al suo fine. Et affine, che si veggia con qual ordine, descrive il serpente eternamente verde, cioè, in quanto a lui, che mai non giunge alla vecchiezza, & dice, che quello rivolta la bocca verso la coda, la divora, accioche da questo atto habbiamo a capire il giro circolare del tempo, che trascorre; percioche sempre il fine d'un anno è principio del seguente, & cosi sarà mentre durerà il tempo. Del quale essempio ha usato, conciosia che per quello gli Egittij hebbero in usanza, pria, che apparassero lettere, descriver l'anno. Seguita poi dicendo questo farsi tacitamente, attento, che non se n'accorgendo noi pian piano se ne passa il tempo. La Natura poi piena d'anime circonvolanti, perciò, che continuamente infonde l'alme a molti animali; però la descrive dinanzi alla porta dell'eternità, affine, che intendiamo, che ciò, che entra nel grembo dell'eternità, per starvi poco ò molto, con l'operar della natura delle cose v'entra, & cosi quivi è quasi come portinaro. Et si deve intendere della natura naturata, percioche tutto quello, che fa entrare la natura produttrice, mai non esce. Il vecchio poi ilquale nell'antro partisce le stelle in numeri credo essere il vero Iddio; non perche sia vecchio, percioche nell'eterno non cade alcuna descrittione d'età, ma parla secondo il costume de' mortali, iquali anco dicemo i vecchi di lunga età immortali. Costui partisce i numeri alle stelle, accioche intendiamo per opra sua, & ordine ch'a noi per certo, & ordinato moto delle stelle siano partiti i tempi; si come per lo circuito del Sole per tutto il Cielo habbiamo l'anno intiero, & per l'istessa circonvolutione della Luna il mese, & per l'intiera rivolutione dell'ottava sfera, il giorno. Dei secoli poi ch'ivi dice essere, a pieno si scriverà poi, dove si tratterà degli Eoni.

CHAOS.

Il Chaos, si come afferma Ovidio nel principio della sua maggior opra, fu una certa materia adunata, & confusa di tutte le cose da essere create. Percioche cosi dice;

 


Inanzi il mare, & prima de la terra,

Et pria del Cielo, che ricuopre il tutto

Di natura nel mondo era un sol volto

Chiamato Chaos, mole confusa, & roza,

Nè altro, eccetto peso, fiocco, e vano,

Et adunati semi dell'istesso

Sol per discordia de le cose insieme

Non ben congiunte.


 

Et quello, che segue. Onde questo, o vero questa cosi spetiosa effigie, che mancava di certa forma, volsero alcuni, ma altramente i famosi Filosofi, essere stata compagna, & già eterna a Demogorgone; acciò, che s'a lui alle volte fosse venuto in animo di produr creature non gli fosse mancato materia, come se non potesse, colui c'havea potuto a diverse cose dar forma, produr materia per darvi forma; veramente egli è da ridersi, ma mi sono deliberato di non riprender nessuno.

Litigio, Primo figliuolo di Demogorgone.

Lasciati questi, egli è da passare alla famosa progenie del primo Iddio de Gentili, del quale volsero, che il primo figliuolo fosse il Litigio, percioche dicono, che primo fu tratto dal ventre di Chaos pregna, non si sapendo nondimeno il vero Padre; del cui allevamento Theodontio recita tal favola. Dice egli, che Pronapide Poeta scrive che, facendo residenza Demogorgone per riposarsi alquanto nell'antro dell'Eternità, udì un rimbombo nel ventre di Chaos. Per il che mosso, & stendendo la mano, aperse il ventre di quello, & trattone il Litigio, che faceva tumulto, perche era di roza, & dishonesta faccia lo gittò in aria; ilquale subito volò in alto percioche non havea potuto scendere al basso, parendo colui, che lo havea tratto del ventre della madre piu inferiore di tutte l'altre cose. Chaos poi, lassa per la dura fatica, non havendo alcuna Lucina da chiamare, che l'aiutasse, tutta bagnata, & tutta infiammata, mandando fuori infiniti sospiri pareva, che si havesse a cangiare in sudore, havendo ella ancora in sé la forte mano di Demogorgone; per cui avenne che, trattogli già il Litigio, gli cavò medesimamente insieme tre Parche, & Pane. Indi, parendogli poi Pane piu atto degli altri nelle attioni delle cose, lo fece governatore della tua stanza, & gli diede per serventi le sorelle. Chaos a questo partito, libera del peso, per comandamento di Pane successe nella sedia di Demogorgone. Ma il Litigio, da noi piu volgarmente detto Discordia, da Homero nella Iliade è chiamato Lite, & detta figliuola di Giove; laquale egli dice, percioche Giove per colpa sua era stato offeso da Giunone circa la natività d'Euristeo, di Cielo in Terra era stata cacciata. Theodontio poi sopra il Litigio adduce appresso molte altre cose, lequali dove meglio ci parranno da porre, le metterò; onde quì al presente le lascio. Hora hai inteso, inclito Re, la ridicolosa favola; ma siamo già giunti là dove è bisogno levare la corteccia dalla verità della fittione. Ma prima egli è da rispondere a quei, che spesse volte dicono, perche i Poeti scrissero le opre d'Iddio, della natura, o vero degli huomini sotto velame di favole? Non havevano altra via? Certissimamente la vi era, ma si come a tutti non è una istessa faccia, cosi nè anco i giudici degli animi. Achille prepose l'armi all'otio. Egisto l'otio all'armi. Platone, lasciato tutto il resto, seguitò la Filosofia. Fidia il scolpire statue col scalpello. Apelle col pennello dipingere imagini. Cosiaccioche io lasci gli altri studi degli huomini, il Poeta s'è dilettato con favole coprire il vero. La cagione del cui diletto Macrobio scrivendo sopra il Sogno di Scipione assai apertamente pare che dimostri mentre dice, Ho detto degli altri dei, & dell'anima non indarno si convertono alle favole per dilettarsi, nè altri, ma perche sanno la sua spositione aperta in ogni parte essere inimica della natura; laquale si come ai sensi degli huomini volgari col diverso suo cuoprire di cose ha levato la cognitione di intenderla, cosi dai prudenti ha voluto i suoi segreti con favolose discrittioni essere trattati. In tal modo essi misteri di favole con segreti sono aperti, overo accioche tolti via questi la natura si dimostri ignuda di cose tali; ma consapevoli solamente gli huomini saggi del vero segreto con l'interpretatione della sapienza, contenti sono gli altri. Questo dice Macrobio. Et come che molto più si potesse dire, nondimeno istimo a bastanza essersi risposto ai dimandanti. Appresso o Rè, egli è da sapere sotto questi figmenti non esservi una sola intelligenza, anzi piu tosto si può dire Poliisemo, cioè senso di molte. Percioche il primo senso si ha per corteccia, & questo è chiamato litterale. Altri le significationi, per corteccia, & questi sono detti allegorici. Et accioche quello ch'io voglia dire piu facilmente si capisca, metteremo un'essempio; Perseo figliuolo di Giove per figmento Poetico amazzò Gorgone, & vittorioso volò in Cielo. Mentre questo si legge secondo la scrittura, non si piglia altro, che il senso d'historia. Se da queste scritture poi si ricerca il senso morale, si dimostra la vittoria del prudente contra il vitio, & il camino alla vertù. Se anco vogliamo poi allegoricamente pigliare il tutto, ci viene designata l'elevatione della pia mente alle cose celesti, sprezzate le mondane. Oltre di ciò, potrebbe analogicamente esser detto per la favola esser figurato l'ascender di Christo al Padre, vinto il prencipe del mondo. I quai sensi nondimeno, benche siano nomati con diversi nomi, tuttavia si pono chiamar tutti allegorici; il che per lo piu si fa. Percioche allegoria viene detta da Allon, che latinamente significa alieno, overo diverso, & però tutte quelle cose, che sono diverse dall'historiale overo letteral senso ponno essere meritamente dette allegorice, si come già è stato detto. Ma l'animo mio non è secondo tutti i sensi voler dichiarar le favole, che seguono, potendosi assai imaginare di più sensi cavarsene uno, come che alle volte forse ve se n'aggiungano piu. Hora con che poche parole narrerò quello, che istimo Pronapide di ciò haver giudicato? A me pare quello haver voluto designare la creation del mondo secondo la falsa opinione di quelli c'hanno istimato Iddio di composta materia haver prodotto le cose create. Percioche haver sentito Demogorgone nel ventre di Chaos far tumulto, non tengo esser altro, che la divina sapienza, che movesse quella per alcuna cagione, come sarebbe a dire la maturezza del ventre, cioè l'hora del tempo determinato essere venuta, & cosi haver incominciato volere la creatione, & con regolato ordine partire le cose congiunte. Et però haver steso la mano, cioè dato effetto al volere, affine, che di una diforme adunanza producesse un'opra formata, & ordinata; onde prima degli altri trasse del ventre della affaticata, cioè, che sopportava la fatica della confusione, il Litigio, ilquale tante volte si leva dalle cose quanto, rimosse le cagioni delle cose, a quelle si mette debito ordine. E adunque manifesto egli prima d'ogn'altra cosa haver fatto questo, cioè haver separato quelle cose, che erano insieme. Gli elementi erano confusi; le cose calde alle fredde, le secche all'humide, & le liggieri alle gravi contrastavano. Et parendo, che la prima attione d'Iddio per ordinare i disordini havesse tratto il Litigio, fu detto primo figliuolo di Demogorgone. Che poi fosse gittato via per la diforme faccia, perche è cosa brutta per lo piu il litigare. Indi che volasse in alto, piu tosto pare, che dia ornamento all'ordine favoloso, che voglia significar altro. Oltre di ciò, gittato, & non havendo luogo dove in alto si potesse fermare, dimostra quello essere stato levato dalle più inferiori parti del già prodotto mondo, & mandato in luce. Che dagli dei fosse poi di novo cacciato in Terra, scrive Homero, che fu per questo, perche per opra di lui Euristeo nacque inanzi Hercole, si come si dirà al suo luogo. Ma in quanto all'interno senso questo io tengo, che dal movimento de' corpi superiori spessissime volte appresso mortali nascano litigi. Appresso si può dire quello essere stato gittato in terra dai superi, conciosia che appresso i Dei superni tutte le cose si facciano con certo, & eterno ordine; là dove appresso mortali a pena si trova alcuna cosa esser concorde. Indi quando dice Chaos bagnata di sudore, & infiammata mandar fuori sospiri, penso, che non istimi altro, che la prima separatione degli elementi, accioche per lo sudore sentiamo l'acqua, per gl'infiammati sospiri poi l'aria, & il foco, & quei corpi, che sono di sopra, & per la grossezza di questa mole, la Terra; laquale subito per consiglio del suo Creatore divenne stanza, & sedia di Pane. Di esser nato poi Pane dietro il Litigio, cred'io, che gli antichi s'imaginarono in quella separatione d'elementi la Natura naturata haver havuto principio, & incontanente alla stanza di Demogorgone, cioè al mondo, essere stata preposta; come se per opra sua, cosi volendo Iddio, tutte le cose mortali siano prodotte. Le Parche poi nate nell'istesso parto, & date per baile al fratello, istimo essere state finte accioche s'intenda la Natura essere stata prodotta con queste leggaccio che procrei, generi, nodrisca, & infine allevi le cose nate; i quali sono i tre uffici delle Parche, ne' cui prestano continua servitù alla natura, si come piu diffusamente nelle seguenti si dimostrerà.

Pane secondo figliuolo di Demogorgone.

Che Pan sia stato figliuolo di Demogorgone, già a bastanza di sopra si ha dimostrato. Di cui Theodontio recita tal favola. Dice, che quello con parole provocò l'Amore, & venuti insieme a battaglia fu da lui vinto; onde per comandamento del vincitore amò Siringa d'Arcadia, laquale essendosi prima fatto beffe dei Satiri, sprezzò anco il maritaggio di quello. Onde Pan constretto dall'amore, & seguendo quella, che fuggiva, venne ch'ella giunta al fiume Ladone, & impedita da quello ivi si fermò, & veggendo non poter schifar Pane, con preghi incominciò dimandare l'aiuto delle Ninfe, per opra delle quali fu convertita in cannelle di paludi. Le cui sentendo Pan per lo movere de' venti, mentre l'una con l'altra si percoteva, essere canore, cosi per l'affettione della giovane da lui amata, come per la dilettatione del suono commosso, volontieri tolse di quelle canne, & di quelle tagliatone sei diseguali, compose (come dicono) una fistola, & con quella primo sonò, & cantò, come anco pare, che Virgilio dimostri; Fu il primo Pan, qual dimostrasse insieme. Con la cera congiunger piu cannelle. Et quello, che segue. Oltre di ciò, di costui i Poeti, & altri famosi huomini descrissero una maravigliosa figura. Percioche, si come Rabano nel libro dell'origine delle cose dice. Questi inanzi l'altre cose, ha le corni fisse nella fronte, che guardano in Cielo, & la barba lunga, & pendente verso il petto, & in luogo di veste una pelle tutta distinta a macchie, laquale gli antichi chiamarono Nebride. Cosi nella mano una bacchetta, & un'instrumento di sete cannelle. Oltre di ciò lo descrive nei membri piu inferiori peloso, & hispido, cioè piedi di capra, & come v'aggiunge Virgilio, di faccia tra rosso, & nero. Rabano istimava questo, & Silvano essere tutto uno. Ma il Mantovano Homero gli descrive diversi dicendo;

 


Venne Silvano ornato il capo agreste.

Con honore squassando i ben fioriti

Piccioli rami, & i gran gigli appresso.

Et poi subito soggiunge.

Indi vi venne Pan d'Arcadia Dio

Et altrove.

Pan, col vecchio Silvano, & le sorelle Ninfe.


 

Et quello, che segue. Lasciate adunque queste cose da parte è da passar più oltre. Et perche sopra Pan è stato detto esservi la natura naturata, quello, che volessero fingere dicendo essere stato vinto dall'Amore, facilmente m'imagino potersi vedere. Percioche come subito la natura fu prodotta da esso Creatore, tantosto incominciò operare, & dilettandosi dell'opra sua quella incominciò amare; cosi, mossa dal diletto, si sottopose all'amore. Siringa poi, laquale dicono essere stata amata da Pan, come diceva Leontio, vien detta grecamente da Sirim , che latinamente suona cantante a Dio. Onde potremmo dire Siringa essere melodia dei Cieli o delle sfere, laquale (come piacque a Pitagora) si faceva overo si fa da' vari movimenti tra se de' circoli delle sfere. Et per consequenza, come cosa gratissima a Iddio, & alla natura, dalla natura operatrice viene amata. O vogliamo piu tosto Siringa essere (oprando d'intorno a noi i sopra celesti corpi) un'opra di natura armonizata con tanto ordine che, mentre con continuo tratto è guidata a incerto, & determinato fine, ci faccia un'armonia non punto differente da quella dei buoni cantori; il che è da credere dover esser gratissimo a Iddio. Perche dicessero poi questa Ninfa essere stata d'Arcadia, & tramuttata in cannelle, penso perche, come piace a Theodontio, gli Arcadi furono i primi che, imaginatisi il canto, mandando fuori per cannelle lunghe, & corte il fiato trovarono quattro differenze di voci; indi ve n'aggiunsero tre. Ultimamente, quello, che facevano con molte cannelle ritirarono in una fistola con i forami vicini alla bocca del soffiante, con l'imaginatione di piu lontani. Ma dice Macrobio questa inventione di Pitagora essere stata cavata dai colpi dei martelli piccioli, & grandi. Giuseppe poi nel libro dell'Antichità de' Giudei vuole il Iubal, molto piu antica inventione, essere stato ritrovamento di Iubalcain suo fratello al tintinir dei martelli; ilquale fu fabbro. Ma perche a' quei c'hanno finto ha paruto piu vero gli Arcadi essere stati gl'inventori, percioche forse in quella età trappassavano gli altri con la fistola, hanno voluto quella essere stata d'Arcadia. Che Siringa poi sprezzasse i Satiri, & Pan fuggendo, & che fossi ritardata dal Ladone, & indi per aiuto delle Ninfe convertita in canna, circa i nostri canti, al mio giudicio nasconde alcuna consideration buona. Perche costei, sprezzati i Satiri, cioè gl'ingegni rozzi, fuggì Pan, cioè l'huomo atto, & nato alle cose musicali; nè veramente fuggì l'atto, ma per istima del desiderante, nella cui prolungatione pare, che cessi quello, che disia. Questa poi viene fermata da Ladone, fino attanto, che si fornisce l'instrumento da mandar fuori l'opra compiuta. È il Ladone un fiume s'una ripa, che nodrisce cannelle della sorte, che dicon Siringa essersi tramutata, de' quali poi habbiamo conosciuto la fistola esser composta. Là onde dobbiamo intendere che, si come la radice de calami è infissa nella terra, cosi anco l'opra dell'arte della musica, & indi il canto ritrovato, tanto sta nascosto nel petto dell'inventore quanto vien prestato l'instrumento da mandarlo fuori; il che si fa delle cannelle con l'aiuto della humidità ch'esce dalla radice. Onde messolo insieme, l'armonia n'esce con l'aiuto dell'humidità dello spirito, ch'eshala. Percioche se fosse secco nessuna dolcezza sonora, ma piu tosto un muggito n'uscirebbe, si come veggiamo farsi del foco mandato per le cannelle. Cosi in calami pare, che sia convertita Siringa, percioche per le cannelle risuona. Oltre di ciò, fu possibile dall'inventor della fistola al primo tratto haver ritrovato le cannelle a questo effetto appresso il Ladone, & cosi dal Ladone ritenuto. Resta vedere quello, che poterono imaginarsi circa l'imagine di Pan. Nella cui istimo gli antichi haver voluto descrivere l'universal corpo della natura cosi delle cose agenti come delle patienti, come sarebbe a dire intendendo per li corni diritti verso il Cielo la dimostratione dei corpi sopra celesti, laqual, con doppio modo intendiamo, cioè con l'arte, per laquale investigando conosciamo i discorsi delle stelle, & per lo cui sentimento sentimo in noi le infusioni. Per l'accesa faccia di lui, l'elemento del foco, al cui istimo, che volsero essere da pigliar l'Aere congiunto, ilqual cosi congiunto, dissero alcuni esser Giove. Per la barba poi, che dimostra la virilità, giudico haver voluto intendere la virtù attiva di questi due elementi cosi congiunti, & appresso la loro operatione in terra, & in acqua, mentre allungarono quella insino al petto, & alle parti piu basse. Indi che fosse coperto d'una pelle macchiata, lo fecero accioche per quella si dimostrasse la maravigliosa bellezza dell'ottava sfera dipinta dallo spesso splendore delle stelle; dalla cui sfera, si come l'huomo è coperto dalla veste, cosi tutte le cose appartenenti alla natura delle cose sono celate. Per la verga poi m'imagino essere da intendere il governo della natura, per lo quale tutte le cose, massime quelle, che mancano di ragione, sono governate, & nelle sue operationi sono ancho guidate a diterminato fine. Aggiunsero a quello la fistola, per disegnare l'armonia celeste. Ch'egli circa le parti piu basse havesse il ventre hispido, & peloso, intendo la superfitie della Terra, dei monti, quella gobba delli scogli, & quella coperta delle selve, dei virgulti, & delle gramigne. Altri poi giudicarono altramente, cioè per questa imagine esser figurato il Sole, ilquale credettero padre, & signore delle cose. Tra quali fu Macrobio. Cosi vogliono i suoi corni essere inditio della Luna, che rinasce, over la faccia rossa l'aspetto dell'Aere la mattina, & la sera fiammeggiante. Per la lunga barba, i rai d'esso Sole, che calano fino in terra. Per la macchiata pelle, l'ornamento, che deriva dalla luce del Sole. Per lo bastone, overo verga, la potenza, & la moderatione delle cose. Per la fistola, l'armonia del Cielo conosciuta dal movimento del Sole, si come di sopra. Credo, Magnanimo Re, che tu veggia come liggiermente la passi nelle spositioni, il che faccio per due ragioni. Prima, perche mi confido, che tu sia di nobile ingegno, per lo quale tu possa, con ogni piccioli inditii, che ti siano dati, penetrare in tutti i profondissimi sentimenti. Secondariamente perche egli è da credere alle seguenti. Conciosia che, s'io volessi descrivere tutte quelle cose, che si ponno addurre alla spositione di questa favola parrebbe forse, ch'io l'havessi voluto fare per invidia della posterità, & essa sola occuparebbe quasi tutto l'imaginato volume. Ilche voglio anco, che sia detto dell'avanzo. Et per ritornare alle lasciate, questo Pan, overo quelle, che in processo gli Arcadi istimarono istesso con Demogorgone (come è paruto a Theodontio), ò che sprezzato quello drizzassero tutte le menti in questo, con sacrificij horrevoli, come sarebbe dire sacrificandoli con sangue humano, anzi de figliuoli, grandemente adorarono et lo chiamarono Pana, da Pan, che latinamente significa il tutto. Volendo perciò che tutte quante le cose, che sono nel grembo della Natura siano concluse, et cosi ch'essa sia il tutto. I piu giovani poi, percioche le cose rinovate piacciono chiamarono Pana Liceo. Altri levato il nome di Pan solamente il dissero Liceo, & alcuni Giove Liceo, istimando per opra della natura, overo di Giove, i lupi lasciare le greggi, de' quali quasi tutti loro erano molto abondanti, et cosi dal cacciar dei lupi pare, che meritasse il cognome. Percioche in greco il lupo si dice Licos. Ma Agostino dove scrive della Città d'Iddio narra non perciò essere avenuto, che Pan si chiamasse Liceo, anzi per la spessa mutatione degli huomini in lupi, che occorreva in Arcadia, il che pensavano non esser fatto senza operatione divina. Oltre di ciò pare, che Macrobio habbia voluto intendere Pan non in vece di Giove, ma esser il Sole. Percioche il Sole era tenuto per padre di tutta la vita mortale. Conciosia che al levar suo, havevano in usanza i lupi, lasciate l'insidie contra i greggi, ritornar nelle selve, cosi per questo beneficio il chiamarono Liceo.

Cloto, Lachesi, & Atropos, figliuole di Demogorgone.

Cloto, Lachesi, & Atropos, come di sopra, dove si ha trattato del Litigio, furono figliuole di Demogorgone. Ma Cicerone chiama queste le Parche, dove scrive delle Nature de' Dei, & dice, che furono figliuole dell'Herebo, & della Notte. Nondimeno piu tosto m'accosto a Theodontio, ilquale dice quelle essere create con la natura delle cose, il che molto piu pare al vero conforme, ciò è loro essere state coetanee alla natura delle cose. Et queste istesse dove di sopra Tullio le chiama in singolar Fato, facendolo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, io piu tosto, havendo rispetto a quello che vien scritto del Fato, accioche dopo seguiti figliuolo di Demogorgone, chiamerollo con questo nome, che è in luogo di Parche. Seneca poi nelle Pistole a Lucullo chiama queste Fati, citando il detto di Cleante, cosi dicendo: I Fati traheno quello che vuole, & non vuole. Ilche circa non solamente descrive il loro ufficio, cioè esse sorelle guidare il tutto, ma anco costringere, non altrimenti, che se di necessità occorra il tutto. Laqual cosa molto piu apertamente pare, che Seneca Poeta Tragico tenga nelle Tragedie, massimamente in quella il cui titolo è Edippo, dove dice; Da i Fati siamo constretti ai Fati credere. Non ponno le sollecite diligenze cangiare li stami del torto fuso. Ciò, che patisce il genere mortale, & ciò, che facciamo, la conocchia rivolta alla dura mano di Lachesis, rivolge dal Cielo, & serba i suoi decreti. Tutte le cose vanno per troncato sentiero, & il primo giorno ha dato l'estremo. Non l'è concesso da Iddio rivolger quelle cose lequali congiunte per sue cagioni occorrono. Và a colui l'ordine immobile, a cui istima senza nessuna preghiera, che noccia haver temuto lui per molte cagioni. Molti vennero al suo fato, mentre temerono i Fati, et quello, che segue. Ilche pare anco, che Ovidio giudicasse, quando nel maggior suo volume in persona di Giove dice a Venere;

 


Tu sola pensi l'invincibil Fato

Poter cangiare, se ben'entro entrassi

Da le sorelle, dove tu vedrai

Le istanze da le tre d'una gran mole,

Et d'aere i palchi, & di ben fermo ferro:

I quai non temon, ne di Ciel concorso,

Nè di fiume ira, nè rovina alcuna,

Cosi sicuri sono, & anco eterni

Ivi tu troverai scolpiti i Fati,

De la prosapia tua, di dur diamante.


 

Per lequali parole, oltre già la falsa opinione, si può considerare queste tre sorelle essere il Fato, & come, che Tullio habbia distinto i Fati in Parche, & Fati, volendo piu tosto, come istimo, con la divinità dei nomi dimostrar la diversità degli uffici, che delle persone. Ma noi di questi tre, ultimamente da esser ridotti in uno, quello, che ne sentano alcuni vederemo. Di sopra habbiamo detto queste essere state dedicate dal Padre ai servigi di Pane, et n'habbiamo dimostrato la cagione. Fulgentio poi dove tratta dei Mitologij dice quelle essere state attribuite ai voleri di Plutone dio degl'Inferi, & credo affine, che sentiamo le attioni di queste solamente impacciarsi d'intorno le cose terrene, perche Pluto s'interpreta terra. Et dice il medesimo Fulgentio Cloto essere interpretata Evocatione, percioche, gittato il seme di ciascuna cosa, sta in suo potere condur quello di maniera in accrescimento, che sia atto a venir in luce. Lachesi poi (come vuole l'istesso) viene interpretata protrattione, cioè guida, & allungatione; conciosia che tutto quello, che da Cloto è composto, & chiamato in luce, da Lachesi viene raccolto, & allungato in vita. Ma Atropos dall'A , che significa senza, & Tropos , che è conversione, o vogliamo dire tramutatione, viene ad essere interpretata senza conversione; attento, che ogni cosa nata subito, che da lei è conosciuta essere giunta al termine a se prima segnato conduca a morte, dallaquale per opra naturale non è poi nessuna conversione. Apuleio poi Medaurese Filosofo di non minor auttorità di queste nel libro da lui chiamato Cosmografia cosi ne scrive; Ma sono tre i Fati per numero, che oprano con la ragione del tempo, se tu riferisci la potenza di questi alla assimiglianza del medesimo tempo. Percioche quello, che nel fuso è compiuto ha spetie del tempo passato; quello, che si torne nei diti significa li spatij del momento presente, & quello, che anche non è tratto dalla conocchia, & sottoposto alla cura dei diti, pare, che mostri le cose avenire del futuro, & consequente secolo. A questi ha toccato tale conditione, & proprietà dei loro nomi. Che Atropos sia il fato del tempo passato, il che veramente Iddio non sarà non fatto, del tempo futuro; Lachesi poi cognominata dal fine, percioche anco Iddio hà dato il suo fine alle cose, ch'hanno a venire. Cloto ha cura del tempo presente, accioche persuada ad esse attioni; affine, che la cura diligente non manchi a tutte le cose. Questo dice Apuleio. Sono appresso di quelli, che vogliono Lachesi essere quella, che noi chiamiamo Fortuna; et da lei l'essere maneggiate tutte quelle cose, che s'appartengono à mortali. Ma quello, che tengano gli antichi del fato, come che non siano molto differenti dai precedenti, hora parmi da vedere. Dice adunque Tullio del fato, nel libro ch'egli scrisse della Divinatione, in questo modo: Chiamo il fato quello ch'i Greci marmedine, cioè ordine, & capo delle cause, partorendo la causa di se la causa, & quella è la verità sempiterna, che abonda d'ogni eternità; il che cosi essendo, non ha per avenire alcuna cosa, della cui la natura non contenga le cagioni ch'oprano l'istesso. Onde s'intende, che il fato sia, non quello che superficiosamente, ma quello, che filosoficamente vien detto causa eterna delle cose, per laquale si sono fatte le cose passate, si fanno quelle, che sono, & quelle, che seguiranno sono per essere. Questo dice Cicerone. Boetio Torquato poi, huomo studiosissimo, et catholico, dove scrisse della consolatione filosofica, altercando diffusamente sopra questa materia con la filosofia maestra delle cose, tra l'altre cose dice del Fato cosi; La generatione di tutte le cose, & tutto il progresso delle nature mutabili, & ciò, che si move ad alcun modo, opera, & seguita le cause, gli ordini, & le forme secondo la stabilità della mente divina. Questa, composta nella Roccha della sua semplicità, ordinò diverso modo nell'essequire le cose; ilqual modo, riguardandosi con essa purità di divina intelligenza, viene detto Providenza. Quando poi egli vien rifferito a quelle cose, che move, & dispone, dagli antichi è chiamato Fato. Queste cose dice Torquato. Potrei anco descrivere quello, che Apuleio nella Cosmografia diterminò del Fato, & appresso l'openioni d'altri; ma perche istimo assai essersi detto, brevemente descriverò perche le Parche, ò il Fato, overo i Fati siano detti figliuoli di Demogorgone o dell'Herebo, overo della Notte. Havendo spesso ad occorrere per l'avenire, & essendo già nelle precedenti cose accaduto, che il causato sia detto figliuolo del causante, possiamo al presente dire queste tre sorelle, chiamate con diversi nomi, figliuole d'Iddio, come da lui causate; ilquale è prima cagione delle cose, come a bastanza per le parole poco dianzi di sopra di Cicerone, & Torquato si può vedere. Questo Iddio, come è stato detto, gli antichi chiamarono Demogorgone. Che poi dell'Herebo, & della notte, come dice Tullio, siano nate, si può produrre tal ragione. L'Herebo è un luogo (come piu apertamente si dimostrerà nelle cose seguenti) della Terra profondissimo, & nascosto, ilquale allegoricamente possiamo torre per la profondità della divina mente, nella cui occhio mortale non può penetrare, & la divina mente, come sé stessa veggendo, intendendo quello havesse a fare producesse indi queste, havendo a fare con la natura delle cose; onde a bastanza possiamo dire essere nate dall'Herebo, cioè dal profondissimo, & interno segreto della divina mente. Figliuole poi della Notte si ponno dire in quanto a noi, percioche tutte quelle cose nelle quali la luce degli occhi nostri non può penetrare chiamiamo oscure, & simili alla notte quelle, che mancano di luce. Cosi noi adombrati da mortal nebbia non potendo passare con l'intelletto all'intrinseco della divina mente, essendo quella in sé chiarissima, & splendente di viva, & sempiterna luce, attribuiamo il vitio a lei col nome del nostro habito, chiamando notte il giorno chiaro. Et cosi saranno figliuole della Notte, o vogliamo dire, perche ci sono nascoste le loro dispositioni le chiamiamo oscure, e figliuole della Notte. De' nomi propri egli s'ha detto di sopra; degli appellativi, si dirà. Chiama adunque Tullio queste Parche come pens'io per antifrasim, percioche non perdonano a nessuno; conciosiache appresso loro non è alcuna eccettione di persone. Solo Iddio può calcare, & rivolgere le sue forze, & ordine. Fato poi, overo Fati, è nome tratto da for faris, quasi che vogliano quelli, che l'imposero tal nome, che da quelle di maniera quasi irrevocabile sia detto, overo previsto; come per le parole di Boetio assai si comprende, & come anco pare, che tenga Santo Agostino dove parla della Città di Dio: ma egli rifiuta il vocabolo, avisando, che se alcuno chiamerà la volontà o la potenza d'Iddio con nome di Fato, sia sententiato a lasciarvi la lingua.

Polo, sesto figliuolo di Demogorgone.

Dicono appresso Polo essere stato figliuolo di Demogorgone, & questo nel suo Protocosmo afferma Pronapide, che di lui recita tal favola. Dicendo che, stando appresso l'onde nella sua sedia Demogorgone, & del fango, che n'usciva compose una massa da lui chiamata Polo, ilquale spezzato le caverne del Padre, & la pigritia se ne volò in alto, & essendo anco una mole, nel volare crebbe in cosi gran corpo, che circondò tutte quelle cose, che per inanzi dal Padre erano state composte. Ma nè anco havea alcuno ornamento; quando stando d'intorno al Padre, che fabricava il globo della luce, & veggendo molte faville accese per li colpi dei martelli, che qua, & là volavano, allargato il grembo tutte le raccolse, & portolle nella sua stanza, adornandola tutta di quelle. Havrei, Inclito Re, di che ridermi veggendo cosi disutile ordine del composto mondo; ma inanzi ho protestato non voler biasimare alcuna cosa. Seguita adunque nel resto secondo quei, che vogliono l'opinione di Pronapide, che di terra inclusa dalla mente divina in terra essere stata prodotta, mentre dice il Polo; ilquale io intendo il Cielo, di terra estesa essere fatto, & ridotto in grandissimo corpo ch'abbraccia il tutto. Che poi di faville ch'uscivano dalla luce ornasse la sua casa, istimo ciò essere insteso perche, splendendo i raggi del Sole, le stelle locate in Cielo, per natura mancando di sua luce, siano fatte splendenti. Il Polo poi vien detto, come penso, da alcune sue parti piu appartinenti, percioche è chiaro, secondo, che l'Honorato Andalone mio precettore, & gli antichi auttori d'Astrologia affermano, tutto il Cielo essere fermato sopra due Poli; l'uno de quali, il piu vicino a noi chiamano Artico, & l'opposito Antartico. Nondimeno alcuni chiamano questo Poluce; ma non ne trovo la cagione.

 

Fitone, settimo Figliuolo di Demogorgone.

Fitone (per testimonio di Pronapide) fu figliuolo di Demogorgone, e della Terra: della cui natività egli recita tal favola. Dice, che Demogorgone fastidito dal rincrescimento della continua nebbia ascese i monti Acrocerauni, & da quelli trasse una troppo grande, & infiammata mole, & prima con forsici d'ogn'intorno la tondò, indi col martello la fermò nel monte Caucaso. Dopo questo la portò di là dal Taprobane, e sei volte bagnò quel lucido globo nell'onde, & altrettante lo girò d'intorno per aria: e questo fece, accioche per lo girare mai non si potesse sminuire, nè mancare dalla rugginezza dell'età: & affine, che anco piu leggieri fosse portato per tutto. Ilquale subito levandosi in alto entrò nella stanza del Polo, & empì tutta la stanza del Padre di splendore. Poi per le immersioni sue l'acque pria dolci pigliarono l'amarezza del salso, & l'aere cacciato dai giri fu fatto a capire i raggi della luce. Orfeo poi, ilquale fu antichissimo di quasi tutti i Poeti (come Latantio scrive nel libro delle Divine Institutioni) ha creduto questo Fitone essere il primo grandissimo, & vero Iddio, & da lui essere stato prodotto, & creato tutte le cose; il che forse in questa opra gli havrebbe dato il primo loco, havendo cosi degno testimonio, se esso istesso Orfeo poco considerando (come istimo), o vero perche non potesse imaginarsi alcuno non essere stato generato, non havesse scritto: Prothogonus Fiton perimeteos; neros, & yos, che in verso suona;

 

Nacque in principio Fithon d'aere lungo.

 

Cosi non viene ad essere primo, si come di sopra havea detto, essendo generato dall'Aere. Oltre di ciò Lattantio, dove di sopra lo chiama Faneta. Ma l'ordine già pigliato ricerca, che noi veggiamo quello, che contenga la fittione; il che si vedrà quasi da sé, dichiarato c'havremmo il senso de' nomi. Uguccione nel libro dei Vocaboli dice Fitone essere il Sole, & haversi acquistato tal nome dal serpente Fitone da lui amazzato. Cosi anco Paolo nel libro da lui chiamato delle Collettioni dice Fanos , overo Faneta esser l'istesso, che apparitione. Cosi anco Lattantio chiama questo Fitone, ilqual nome benissimo si conviene al Sole. Percioche egli è quello, che levando appare, & cessando lui non sarà alcuna apparitione d'altre creature mortali, o vero anco di stelle. Adunque Pronapide vuol dimostrar la creatione del Sole, circa laquale, accioche consegua la sua opinione, quelli, che vogliono tutte le cose create di terra induce Iddio, overo la divina mente della Terra, dagli Acrocerauni monti haver tolto la materia, istimando egli la terra infiammata essere piu atta a componere un lucido corpo. Che poi con forsici tondasse questa mole, intendo la divina arte; per laquale di maniera il globo del Sole è fatto talmente sferico, che per alcuna cosa soprabondante la sua superfitie è gobba. Medesimamente anco il martello può essere chiamato intento del sommo artefice, col quale nel monte Caucaso, cioè nella sommità del Cielo, di maniera formò quel corpo solido, & fermo, che da nessuna parte pare, che non si possa sminuire nè consumare. Indi dice quello essere stato portato di là Taprobane, affine di dimostrare dove si pensi essere stato creato. Taprobane è una Isola dirimpeto alla foce del fiume Gange, dalla cui parte nell'Equinotio a noi nasce il Sole, & cosi pare, che voglia essere composto in Oriente. Dice poi, che sei volte fu ivi tuffato nell'onde, immitando le attioni del fabbro; ilquale per indurare il ferro bollente lo caccia nell'acqua. Et in ciò giudico, che Pronapide habbia voluto mostrare la perfettione, & eternità di questo corpo. È poi il sei numero perfetto, che si fa con tutte le sue parti compiute; onde vuole, che intendiamo la perfettione dell'artefice, & dell'arteficiato. Indi che lo girasse d'intorno sei volte, istimo, che per lo numero perfetto del giro habbia voluto descrivere il suo motto circolare, & che non manca; dal cui mai non si trova egli haver mancato nè essere restato. Che poi, per haver bagnato il grande, & infiammato corpo, le acque prima dolci siano divenute amare, penso non essersi detto per altro se non affine di dimostrare, che per lo continuo percuotere degli ardenti raggi del Sole nell'acque del mare, che quella superficie di sopra via dell'acqua marina sia divenuta salsa, come vogliono i Fisici.

 

Terra ottava figliuola di Demogorgone, laquale di non conosciuti padri partorì cinque figliuoli, cioè Notte, Tartaro, Fama, Thaigete, & Antheo.

La Terra, come di sopra si è veduto, fu sedia, & figliuola di Demogorgone; dellaquale Statio nella Thebaide cosi scrive;

 


O eterna madre d'huomini, & di Dei,

Che generi le selve, i fiumi, e tutti

Del mondo i semi, d'animali, & fiere.

Di Prometheo le mani, e insieme i sassi

Di Pirra, & quella fosti, la qual diede

Prima d'ogn'altra gli elementi primi,

E gli huomini cangiasti, &, che camini,

E 'l mare guidi, onde a te intorno siede

La queta gente degli armenti, & l'ira

De le fiere; e il riposo degli uccelli:

Et appresso del mondo la fortezza

Stabile, e ferma, & del Ciel d'Occidente

La macchina veloce, & l'uno, & l'altro

Carro circonda te, ch'in Aere vuoto

Pendente stai. O de le cose mezzo,

Et indivisa ai grandi tuoi fratelli.

Adunque insieme sola a tante genti,

Et una basti a tante alte Cittadi,

Et popoli di sopra, anco di sotto,

Che senza sopportar fatica alcuna

Athlante guidi, ilqual pur affatica

Il Cielo à sostener, le Stelle e i Dei.


 

Et quello, che segue. Ne quai versi certamente a pieno si dimostra l'opra, e le lodi della Terra; della cui generatione havendone detto di sopra, dove si hà parlato del Litigio parmi più non essere bisogno dirne altro. Nondimeno gli antichi la chiamarono moglie di Titano, & che di lui partorisce alcuni figliuoli, come è stato dianzi mostrato, & dal nepote Oceano, & dall'infernal Fiume Acheronte, et anco da altri non conosciuti, come si mostrerà al luogo suo. Oltre di ciò la chiamarono per molti nomi, come sarebbe a dire Terra, Tellure, Tellumene, Humo, Arrida, Buona Dea, gran madre, fauna, & fatua. Ha oltre di ciò costei con alcune dee i nomi comuni, perche si chiama Cibele, Berecinthia, Rhea, Opis, Giunone, Cerere, Proserpina, Vesta, Isis, Maia, & Media. Ma quello, che d'intorno i predetti volsero intendere i Theologhi, è homai da vedere. La chiamano moglie di Titano, che è il Sole, percioche il Sole in lei opra come in materia atta a produrre ogni sorte d'animali, metalli, pietre pretiose, & simili cose. Alcuni vogliono Titano essere stato un huomo di gran potere, & chiamato marito nella Terra perche possedeva molto terreno, & hebbe figliuoli di tanta maravigliosa fortezza, & grandezza di corpo, che parevano nati non di donna, ma di molto maggior corpo, come sarebbe della Terra. Et per giungere ai nomi, dice Rabano nel libro dell'origine delle cose la terra essere detta con questo nome da terendo , percioche cuopre quello, che s'appartiene alla superficie sola; Tellus poi, come l'istesso testimonia, è detta percioche da quella tagliamo i frutti. Ma Servio dice Terra essere quella, che si cuopre, & Tellus la Dea. Et altrove dice Tellus essere la Dea, & terra lo elemento; ma alle volte l'una si mette per l'altra, si come Vulcano per lo fuoco, & Cerere per lo frumento. Tellumene poi, com'io per congiettura posso capire, dissero quella parte della terra laquale non si cuopre, nè è buona per radici di gramigne ò d'arbori, percioche è molto piu inferiore di quella, che si dice Tellure. Humo poi, secondo Rabano, è chiamata quella parte della terra, che ha molta humidità, come è propinqua a i paludi, & ai fiumi. Chiamarono anco Arida la terra; non perche il Creatore dalla creatura sua cosi la nomasse, affine di mostrare la sua vera complessione, ma percioche si ara. Ma Buona Dea, per testimonio di Macrobio ne' Saturnali, fu detta cosi essendo causa a noi di tutti i beni al vivere. Per che nudrisce le cose, che producono, serba i frutti, dà l'esche agli uccelli, i paschi ai bruti, de' quali anco noi siamo nodriti. Gran Madre poi, secondo Paolo, volsero, che si chiamasse pensandosi, che fosse creatrice del tutto. Ma io istimo perche come pia madre con sua grandissima abondanza nodrisce tutte le cose mortali, & nel suo grembo raccoglie quelle che muoiono. Perche poi la dicessero Fauna, Macrobio il descrive dicendo, tutto che favorisce ad ogni uso degli animali; il che è di maniera chiaro, che non fa mistieri dichiararlo. Fatua dice, che è detta a fando, come vogliono gli antichi, che significa dal parlare. Conciosia che i fanciulli da essere partoriti non prima hanno voce ò la mandano fuori, che non tocchino quella. I quai nomi veramente con gli altri nomi sono comuni; dove nelle seguenti cose, facendone mentione, s'intenderanno tutto uno. Ma verremo a dichiarare de figliuoli, iquali dicono ella haver partorito di Padre incerto.

Notte prima figliuola della Terra.

Dice Paolo, d'incerto padre la notte essere stata figliuola della terra. Dellaquale Pronapide recita tal favola, cioè quella essere stata amata da Fanete pastore; ilquale ricercando per sposa alla madre, & quella volendoglila dare, ella rispose, che non voleva un huomo non conosciuto, da lei non mai veduto, et sentito ricordare per huomo molto differente da suoi costumi, onde più tosto voler morire, che a lui maritarsi. Di che sdegnato Fanete, d'inamorato se le fece inimico, & seguendola per amazzarla ella si congiunse con l'Herebo, non havendo ardire apparrire dove fosse Fanete. Dice appresso Theodontio, che Giove à costei concesse la carretta da quattro ruote, conciosia che gli era stata favorevole mentre inanzi giorno andava a ritrovare Alcmena. Oltre di ciò, come, che sia fosca, la ornarono di una sopravesta dipinta, & lucente, & ciò in sua lode, & affine, che in parte dimostrasse il suo effetto. Statio nella Thebaide canta questi versi;

 


Notte, ch'abbracci tutte le fatiche

Del Cielo, e de la terra, & oltre mandi

L'ardenti stelle con trascorrer lungo,

Cercando riparar l'animo fiero,

Mentre Titano agli animali infermi

Vicino infonde i parti suoi veloci.


 

Et quanto va dietro. Ma hora veggiamo il senso. Dicono prima quella essere figliuola della terra senza conoscimento di padre certo. Il che istimo perche la terra per la densità del suo corpo opra, che i raggi del Sole nella parte opposta a quelli non possano penetrare, cosi per causa della terra si fa l'ombra cosi grande quanto spatio viene occupato dalla metà del corpo della terra. La cui ombra viene chiamata notte. Et cosi come causata dalla terra, & non da altra cosa, viene istimata solamente figliuola della notte, senza haver padre certo nè conosciuto. Che poi fosse amata da Fanete Pastore, credo deversi intendere a questo modo. Io penso Fanete essere il Sole, & però detto pastore, conciosia che per opra sua le cose viventi si pascano. Che amasse la Notte, istimo essere, finto attento, che egli, desiderando come cosa da lui amata vederla, con veloce corso la segue, & pare, che seco si voglia congiungere. Quella poi lo rifiuta, ne con quello fugge di che egli la segua. Conciosia che i costumi loro sono differenti, imperoche egli alluma, & ella oscura. Ne indarno dice, che se la giunga la vuol far morire, dissolvendo il Sole con la sua luce ogni oscurità; cosi le diventa inimico. Indi la notte si congiunge con l'Herebo, cioè con l'inferno, nel cui non penetrando mai i solari raggi la notte vive, e sta sicura. Che poi prestasse favore a Giove, la favola il manifesta, come si vede in Plauto nell'Anfitrione. Percioche essendo andato Giove la mattina nell'alba a ritrovare Alcmena, la notte, per prestargli favore, come se incominciasse dopo il tramontar del Sole durò in lunga oscurità, per laqual cosa meritò il carro da quatro ruote; per lo cui continuo giro, che fa della terra intendo significare i quattro tempi della notte, che solo serveno al notturno riposo. Macrobio partisce la notte in sette tempi, il primo incomincia dallo entrar del Sole, & chiamasi crepusculo da crepero, che significa dubbio, conciosia che dubiti se sia da concedere al giorno passato o alla notte vegnente, & questo non diserve alla quiete. Il secondo poi, quando è oscuro, si chiama prima face, conciosia che allhora si accendono i lumi; nè questo è commodo al riposo. Il terzo, quando la notte è già piu densa, & allhora si dice intempestiva notte, perche quel tempo non è atto à operatione alcuna. Il quinto si noma Gallicinio, conciosia che dal mezzo suo in poi, venendo la notte verso il giorno, i galli cantano. Il sesto è detto conticinio, già vicino all'aurora, & cosi si chiama perche alhora per lo piu il riposo è grato, & per ciò tutte le cose stanno quete, & ferme. Et questi quattro termini si attribuiscono alla quiete. Il settimo si chiama Diluculo, cosi detto dal giorno, che già luce, nel cui tempo gl'industriosi si levano per fatti suoi, & ilquale non è punto atto al sonno. Et cosi tante sono le ruote del carro della notte quanto in lei sono i tempi, che solamente serveno al riposo. Overo vogliamo a guisa di nocchieri o di guardie de' castelli partire la notte in quattro parti, cioè nella prima, nella seconda, terza, & quarta vigilia della notte. Cosi verremo a fare quattro ruote del carro di tante vigilie. Che poi sia vestita di veste dipinta, facilmente si può vedere quella significare l'ornamento del Cielo, del quale siamo coperti. La notte anco, come dice Papia, cosi si chiama perche nuoce agli occhi, conciosia che toglie a quelli l'ufficio di vederci, imperoche di notte non ci veggiamo. Nuoce appresso perche è mal atta alle operationi; imperoche leggiamo; Odia la luce quel, ch'opera male. Onde segue, che ami le tenebre come piu atte al mal fare. Et dice anco Giuvenale.

 


Per gli huomini scannar levan di notte

I ladroni, etc.


 

Oltre di ciò Homero nella Iliade la chiama donatrice de' Dei, accioche conosciamo, che la notte quei di grand'animo rivoltano grandissime cose nei loro petti. Nondimeno la notte, poco atta a tai cose, aggrava gli spiriti infiammati, & constringe quelli come domati fino alla luce. Hebbe appresso, costei, sì dal marito come da altri, molti figliuoli, come si narrerà nelle seguenti cose.

 

La Fama seconda figliuola della Terra.

Piace a Virgilio, Poeta d'ingegno divino, la Fama essere stata figliuola della Terra, mentre nell'Eneida dice,

 


Quella la terra partorendo tratta

Per sdegno de li Dei, sorella estrema,

(Come dicon) d'Encelado, & di Ceo,

Generò pure , & quello, che segue.


 

Di costei, accioche appaia la cagione della sua origine, da Paolo è recitata tal favola, che per ingordigia di regnare essendo nata guerra tra i giganti Titani figliuoli della Terra, & Giove, si venne a questo, che tutti i figliuoli della terra ch'erano contrari a Giove fossero amazzati, & da Giove, & dagli altri Dei. Per la cui doglia la Terra sdegnata, & di vendetta ingorda, non essendo bastanti l'arme sue contra cosi potenti nemici, affine d'oprar quel male, che per lei si potesse, con tutte le forze, constretto l'utero suo mandò fuori la Fama, riportatrice delle scelerità degli Dei. Poscia, di costei descrivendo Virgilio la statura, & l'accrescimento, cosi dice:


 

La Fama è un mal di cui non più veloce

È alcun'altro, & di volubilezza

Sol vive, & caminando acquista forze,

Picciola al timor primo, e s'inalza

Fino alle stelle, & entra ne la terra,

Et tra i nuvoli ancora estende il capo.

Et poco da poi soggiunge:

Et veloce de piedi, e liggier d'ale,

Un monstro horrendo, & grande, al quale quante

Sono nel corpo piume sono tanti occhi

 

Di sotto vigilanti, e tante lingue,

(Maraviglia da dire), & tante bocche

Suonano in lei, & tante orecchie inalza.

Vola di notte in mezzo'l Ciel stridendo

Et per l'ombra terrena, nè mai china

Gli occhi per dolce sonno, & siede il giorno

A la guardia del colmo d'alcun tetto,

O sopra d'alte, & eminenti torri,

Le gran Città smarrendo, e sì del falso,

Come del vero è messaggier tenace.


 

Senti adunque eccelso Re, con quanto ornamento di parole, con quanta eleganza, & con quanto suco, benche in molto stretta fintione, Virgilio si sforzi mostrare, & dimostri quali siano le sue attioni, veramente che lo senti. Ma accioche quelli che (oltre di te) sono per leggere le veggiamo un poco più stese, a me piace esporre alquanto, lasciando nondimeno da parte quello, che si voglia la favola di Paolo. Dice adunque primieramente la Terra sdegnata per l'ira delli dei: il che circa per gli irati Dei, intendo l'opra delle stelle d'intorno alcune cose. Perche le Stelle, ò i corpi sopra celesti, senza dubbio oprano in noi per la potenza a loro dal Creatore conceduta, secondo le spositioni di quelli, che ricevano li loro influssi. Et di quì nasce, che un fanciullo o un giovanetto cresce per opra sua. Quando poi venendo vecchio si declina, & mai non si disgiunge dalla ragione dell'ottimo governatore, mai non oprano alcuna cosa, che non paiano al falso, & subito giudicio di mortali, haverla fatta con sdegno, come sarebbe quando guidano al suo fine un Re giusto, un felice Imperadore, et un valoroso soldato. Et perciò disse Paolo Dei sdegnati perche amazzarono quegli huomini, i quali gli huomini istimavano degni da essere fatti eterni. Ma, che segue da questo; la terra per tal opra chiamata ira degli dei si sdegna, & questa Terra s'intende l'huomo animoso, percioche tutti siamo di terra. E a che si muove ella ad ira, affine di partorire la Fama vindicatrice della futura morte, cioè, che opri quello per lo quale la fama del suo nome nasca; accioche per ira degli Dei essendo caduto il suo nome, per la Fama degli oprati meriti sopraresti, contra il voler anco di quelli, che amazzaando l'huomo si sono sforzati in tutto levarlo dalla memoria. Al che ci essorta anco Vir. dicendo;

 


A ciascun sta il suo giorno, & hanno tutti

Di vita breve, e irreparabil tempo.

Ma la fama inalzar coi propri fatti.

Quest'è di virtù sola ingegno, & opra.


 

Chiama Virgilio questa Fama di sopra un male, percioche per acquistarla con dritto passo tutti non vi concorriamo. Conciosia che per lo più veggiamo i sommi sacerdotij essere occupati con inganni, per frodi ottenersi le vittorie, per violenza possedersi i prencipati, & tutte quelle cose licite, & illecitamente essere acquistate, che sogliono inalzar i nomi. Attento che, se si opra virtuosamente, alhora non si chiama vivendo la Fama vivere un male. Ma non propriamente ha parlato l'Auttore, usando per l'infamia il vocabolo della Fama. Conciosia che, se guarderemo la fittione, o più tosto la cagione, a bastanza conosceremo da quella essere seguita la infamia, & non la Fama. Appresso dice questa nella prima paura picciola, & cosi è. Imperò che come, che i fatti siano grandi, da' quali nasce, pare, c'habbia principio da una certa tema degli ascoltanti, attento che sempre siamo mossi dal primo sentire di alcuna cosa, & se ci piace habbiamo paura, che sia falsa, se poi ci spiace, medesimamente teniamo, che sia vera. Poi s'inalza in Aere, cioè vola in ampliarsi per lo parlare delle genti; over si caccia tra gli huomini mediocri, & indi va per la terra, cioè tra il vulgo, & i plebei. Allhora poi nasconde il capo tra i nuvoli, quando si trasferisce ai Re. Et anco veloce d'ale perche, com'esso dice, nessuna cosa non è più veloce. L'afferma gran monstro, & horribile per rispetto del corpo, che a lei descrive, volendo che tutte le sue piume (chiamandola uccello per lo suo veloce movimento) habbiano effigie d'huomo, non ad altro fine, che per ciò s'intenda, che ciascun, che parli d'alcuna cosa aggiunga una pena alla Fama, & cosi di molti, essendo molte le piume degli uccelli, & non di poche si fa Fama. O più tosto chiama questo horribil monstro perche quasi mai non può essere vinto. Conciosiache quanto più alcuno cerca opprimerla, tanto più diventa maggiore; il che è cosa monstruosa. Dice appresso tutti i suoi occhi essere vigilanti, attento che la fama non risuona se non da persone vigilanti. Percioche se il parlamento sta queto, & dorme, la fama si converte in niente. Che poi la notte voli in mezzo il Cielo, il dice perche spessissime volte s'è ritrovato la sera essere avenuto alcun fatto, che la mattina anco in lontanissime parti si ha saputo, non altramente, che se la notte fosse volata. Overo, che dice questo affine di mostrare la vigilanza de' cianciatori. Indi fa, che il giorno ella sieda guardiana, per dimostrare, che per le sue nove si mettano guardie alle porte delle Terre, & delle Città, & sopra le torri ad eccittare i guardiani, overo a far la scorta di lontano. Et non distinguendo il falso dal vero, è contenta rifferire tutte le cose per vere. La cui stanza appresso nel suo maggior volume cosi discrive Ovidio;

 


Tra terra, mare, & il celeste clima

Vicino a mezo il mondo è un ampio luogo

Da cui si vede quanto in quello è posto,

Benche lontani sian tutti i paesi;

Dove ogni voce penetra le cave

Per fino al Cielo. Ivi la fama tiene

Il seggio suo, e in quella rocca elesse

Entrate innumerabili, & aggiunse

Mille forami ai tetti, & non rinchiuse

D'alcuna porta i muri, anzi dì, è notte

Sta sempre aperta, & tutta, è fabricata

Di bocche risonanti, & tutta freme,

Et riporta le voci, e ogn'hor palesa

Quello ch'ell'ode. Entro non v'è riposo,

Nè alcun silentio da alcuna parte

Non solo v'è gridar, ma un mormorare

Bugiardo, & temerario, ivi la vana

Letitia, & ivi le abbattute teme,

La nova sedition (senza sapersi

Di bassa voce, come propio quello

Che da l'onde del mar suol esser fatto;

Se di lontano alcun fremer lo sente,

Overo qual'è il suono, allhor che Giove

Fende l'oscure nubi, onde si fanno

Gli estremi suoi, & occupa i theatri

La turba, e il liggier vulgo vassi, e viene

Insieme seminando varie cose;

Et vere, & false, et van volando insieme

Mille parole da rumor confuse,

Di quali empiono questi co i parlari

L'orecchie vuote. Rifferiscon questi

Le cose udite ad altri, & cresce appresso

La misura del finto, e il novo auttore

Sempre n'aggiunge alcuna a l'altre intese;

Ivi sta la credenza, ivi l'errore

Chi de l'invention ne sia l'autore

Ella, ciò che si faccia in Cielo, e in mare

E in terra vede, & tutto il mondo cerca.


 

Et quello, che va dietro. A bastanza anco ai poco ammaestrati queste cose sono palesi. Et però quello, che voglia Paolo, mentre aggiunge alla favola la Fama essere stata generata affine di palesare le cose dishoneste degli Dei, resta, che dichiariamo. Ilche non istimo voler significar altro eccetto che, non potendo i minori con le forze de maggiori contrastare, si sforzano con l'infamarli con parole vindicarsi. Volsero poi ch'ella fosse figliuola della terra, perche la Fama non nasce da altro, che dalle attioni oprate in terra. Che anco sia senza padre non è stato detto senza ragione, attento che, si come spessissime volte delle cose oprate dalla fama, de lequali per lo piu, secondo, che sono falsissime, non se ne sa lo inventore, colui, che fosse ritrovato potrebbe essere descritto in luogo di padre.

Tartaro terzo figliuolo della terra.

Afferma Theodontio Tartaro essere stato figliuolo della terra, senza padre. Dice Barlaam, che costui pigro, & da poco giace anco nel ventre della madre; percioche, volendolo partorire, & chiamando in suo aiuto Lucina, ella non volse esserle favorevole al parto, la onde partorì poi la fama per vergogna delli dei. Questo figmento ha pigliato materia dall'effetto, non perche Lucina non fosse per dar favore a quello, che era per nascere, overo al parto avenire; conciosia che gli antichi s'imaginarono d'intorno il centro della terra essere un luogo molto cavo; dove l'anime nocenti erano tormentate, come a pieno dimostra Virgilio nel discender d'Enea all'Inferno. Questo vogliono esser detto Tartaro, & secondo Isidoro delle Ethimologie cosi chiamato dal tremor del freddo. Percioche ivi nè mai raggio di Sole non puote penetrare, nè v'è alcun movimento d'Aere per lo quale possa scaldarsi. Che poi nel ventre della madre si faccia da poco, assai si conosce perche non può ascender di sopra, & se vi ascendesse, non sarebbe più Tartaro. Impropriamente è poi chiamato figliuolo della terra. Percioche, come, che una donna l'habbia conceputo, nondimeno s'un conceputo non sarà venuto in luce, di ragione non si potrà dire figliuolo. E nomato anco senza padre conceputo, accioche crediamo il corpo della terra haver concavitadi. Non siamo già però certi si havesse origine della creatione, overo dal seguito dopo la creatione. In testimonio delle predette cose dice Virgilio;

 


Esso Tartaro sta due volte tanto

In profondo sepolto sopra l'ombre

Quanto di sopra è l'aspetto del Cielo

Verso la terra d'ogn'intorni in alto.

Indi segue:

Qui l'antica progenie de la terra

(Di Titan) da folgor percossa

E rivoltata nel profondo centro.

Et quello, che và dietro.


 

Tagete quarto figliuolo della terra.

Tagete come affermarono i Gentili, & massimamente Toscani, senza cognitione di padre fu tenuto figliuolo della terra. Di cui rifferisce Paolo Perugino che, essendosi alquanto gonfiata la terra appresso Toscani nel campo Tarquinese, quel villano del quale era il campicello, commosso dalla novità della cosa, desideroso di vedere ciò che volesse mostrare quella gonfiezza stette alquanto ad aspettare; finalmente divenuto impatiente, un giorno tolse una zappa, et incominciò pian piano a cavar quel loco; nè molto penetrò ch'eccoti da quelle glebe uscire un fanciullo. Per lo cui monstro smarrito l'huomo rozo chiamò i circonvicini. Ne molto da poi questi, che poco dianzi era stato veduto fanciullo, fu visto d'età compiuta, et indi a poco vecchio. Poi havendo insegnato a gli habitatori l'arte dell'indovinare, mai più non comparse. Onde gli habitatori tenendolo Dio l'hebbero per figliuolo della terra, & lo chiamarono Tagete, che l'istesso sonava già in lingua Toscana, che fa nel latino Iddio, & poscia in luogo di sommo Iddio lo adorarono. Ma Isidoro dice, che con l'aratro havendo un Contadino levato una zolla fu trovato il fanciullo, nè più da' Toscani veduto, & allhora haverli insegnato l'arte dello indivinare, & di quella anco haverne lasciato libri, iquali da' Romani furono poi nella loro lingua trasportati. Del cui figmento istimo essere stato il senso tale, cioè poter essersi ritrovato alcuno che, lungamente studiando d'intorno quest'arte, & per commodità della contemplatione (sprezzata la conversatione degli huomini) comparse in un subito dotto; cosa, che punto non era creduta. Et il finto partorir della terra, si può credere che egli forse veduto fosse uscire diqualche speloncha, overo, che come non pensato s'appresentò dinanzi gli occhi del lavoratore del campo, come se fosse uscito da quelle glebe; cosi dal rozo vulgo fu detto figliuolo della terra. Senza padre, poi, perche il suo nascimento fu dubbioso. Oltre di ciò, hebbero in usanza gli antichi chiamar figliuoli della terra tutti gli stranieri non conosciuti, che venivano a loro da viaggio per terra, si come dicevano Nettuni quelli, che venivano per mare. Fu detto fanciullo perche fu ritrovato novo, & subito in età provetta, & vecchio; il che significa dotto, & prudente (cosa che è propria de' vecchi). Che ciò avenisse nel campo Tarquinese, o perche fosse ivi prima il detto Tagete conosciuto, ò perche Toscani furono famosissimi nell'arte d'indovinare. Per lo breve termine poi del suo dimorare, si comprende l'affettione grande degli habitanti verso lui, percioche il dimorar de una cosa amata (come che fosse lunghissima) all'amante par sempre breve. Che anco fosse tenuto per Dio, istimo essere avenuto per questo, che la dottrina, laquale grandemente honoravano (oprando Iddio) nobilitassero.

 

Antheo quinto figliuolo della terra.

Ogn'uno chiama Antheo figliuolo della terra, et perche alcuno non gli assigna padre, è stato necessario tra i figliuoli metterlo senza padre certo. Del quale cosi Lucano scrive:

 


Non dopo haver la terra partorito

I gran Giganti, & quel, ch'ella in un parto

Cosi terribil fe nei Libici antri;

Nè de la terra fu gloria si giusta

Thifo, ò il feroce Briareo, ch'al Cielo

Perdonò pure. Quanto ch'ella tolse

Dai Phelegri campi il grande Antheo

Questo si smisurato, & cosi fiero

Partorì con tal don la terra a forza,

Che come i membri suoi toccar la madre

Vissero con forza acre, e robusta

Dicon, ch'una spelonca a lui fu casa,

E sotto un'alta rupe le vivande

Haver nascosto, & haver anco appresso

Rapito gran Leoni, & quello avezzi

Non furo i letti a dar riposo al sonno;

Che ne le selve ei ripigliò le forze

Giacendo sopra de la terra ignuda

Quei che lavoran de la Libia i campi

Morirono a tal modo, ancor morendo

Quelli, che aggiunge il mar, ma con l'aiuto

La vita lungamente non havendo

Animo di cadere ogn'hora sprezza

Le ricchezze terrene; onde l'invitto

Tra tutti di valor, benche restasse.


 

Et quello, che segue. Si vede adunque per li versi di Lucano quanto grande, forte, & fiero fosse Anteo, al quale ritrovare (come narra l'istesso Lucano) andò Hercole vittorioso delle fatiche, per giuocar seco alla lotta. Onde essendo amendue nello steccato, & veggendo Alcide che, molte volte havendolo gittato a terra, più robusto si levava, s'accorse, che dalla terra ricuperava le forze. Per laqual cosa pigliò quello hoggimai lasso sotto le braccia, & lo tenne tanto sospeso in Aere, che mandò fuori lo spirito. Il senso di questa favola è doppio, cioè historico, & morale. Pare, che piaccia a Pomponio Mela, nel libro della Cosmografia, nelle ultime parti della Mauritania essere stato questo Re, affermando appresso Ampelusia promontorio, che guarda verso l'Oceano Atlantico essere un antro consacrato ad Hercole, & di là da Tinge castello molto antico (come dicono) d'Antheo edificato, in testimonio di ciò si mostra dagli habitatori un gran scudo di Elefante, che per la grandezza al presente non è buono per nessuno, ilquale affermando essere stato adoprato da lui, & l'hanno in grandissima riverenza. Appresso si mostra dall'istessi un poco di collo, che tiene dell'imagine d'un huomo, che giaccia col ventre all'insù, ilquale affermano essere stato sua sepoltura. Contra costui (dice Theodontio) Dionigio Thebeo, che per la sua chiara virtù fu chiamato Hercole, haver havuto guerra; ilquale essendosi accorto che, havendolo rotto più volte in Mauritania, in un tratto rifaceva l'essercito, fingendo di fuggire lo condusse a perseguitarlo fino in Libia, dove lo vinse, & lo amazzò. Ma Leontio diceva questo Hercole essere stato figliuolo del Nilo, ilquale io reputo essere uno istesso col detto dianzi. Ma Eusebio nel libro dei Tempi dice questo Antheo esser stato molto instrutto nell'arte della lotta, & d'ogn'altro abbattimento, che si essercitasse in terra. Et per ciò egli dimostra tener per cosa finta, che fosse figliuolo della terra, & che da quella gli fossero reintegrate le forze. Nondimeno Fulgentio dimostra il senso morale essere sotto la fittione, dicendo Antheo nato dalla terra essere la libidine, laquale nasce solo dalla carne, la cui toccata (benche sia lassa) ripiglia le forze; ma dallo huomo virtuoso, negatole il tocco della carne, viene convinta. Costui, dice Agostino essere stato al tempo, che Danao regnava in Argo. Ma Eusebio al tempo d'Egeo in Athene. Leontio poi regnando Argo appresso Argivi.

 

Herebo nono figliuolo di Demogorgone, ilquale hebbe ventiuno figliuolo; cioè Amore, Gratia, Fatica, Invidia, Timore, Inganno, Fraude, Ostinatione, Povertà, Miseria, Fame, Querela, Morbo, Vecchiaia, Pallidezza, Tenebra, Sonno, Morte, Caronte, & Ethere; cioè l'elemento del Fuoco.

Spediti i figliuoli della terra, egli è hoggimai da ritornare all'Herebo con lo stile; ilquale, come dice Paolo essere allegato da Crisippo, fu figliuolo di Demogorgone, & della terra. Io veramente istimo costui, & Tartaro essere uno istesso, essendone generale opinione di tutti gli antichi, che sia nelle più interiora viscere della terra, & nell'istesso (come di sopra habbiamo detto di Tartaro) con tormenti essere punite l'anime scelerate. Di costui nondimeno sono scritte molte cose dagli antichi, massimamente da Virgilio nel sesto dell'Eneida, lequali lascierò sotto brevità scorrere; conciosia che nelle seguenti, quasi di tutte se ne farà più lungo ricordo. Dice adunque il Mantovano, che nelle fauci di questo monstro sono cose molto terribili da riguardare, cioè queste formi, i Pianti, i vindicatrici pensieri, le infermità pallide, l'afflitta vecchiaia, il timore, la fame, & la povertà terribile, & gli spaventevoli da riguardare, morte, fatica, sonno, & cattive allegrezze della mente; la guerra mortale, le furie infernali, la discordia, la confusion dei sogni, la sedia del Centauro, il Briareo di Scilla, il serpente Lerneo, la chimera armata di fiamme, le Arpie Gorgoni, il Cerione da tre corpi, & il trifauce Cerbero, che stà alla guardia della porta infernale. Oltre di ciò questo Herebo essere irrigato da quattro fiumi, cioè Acheronte, Flegetonte, Stigio, & Cocito. Appresso dice Caronte essere il Nocchiero, che passa l'anime di quei che muoiono, nel profondo dell'Herebo. Indi descrive Minos, Radamanto, & Eaco esser quelli, che sententiano secondo i meriti i condennati. Narra anco i Titani Giganti esser giù distesi dai folgori, Salmeone, & Titio stracciato dall'avoltoio, Isione girato da una eterna ruota, Sisifo, che col petto caccia in alto di grandissimi sassi, Tantalo tra l'onde, & i pomi, che muore per fame, & per sete, Theseo confinato a perpetuo otio, & altri, & questi tutti dipinge essere tormentati tra le mura di ferro nell'Inferno dalla vindicatrice Thisifone. Similmente chiamarono anco questo istesso con diversi nomi, che col nome di Herebo, come sarebbe a dire Tartaro, Orco, Dite, Averno, Baratro, & Inferno. Cosi medesimamente lo fanno padre di molti figliuoli. Ma lasciate queste cose, egli è da venire alla dichiaratione della nascosta verità. Vogliono adunque, che fosse figliuolo della Terra, & di Demogorgone percioche tennero Demogorgone Creatore del tutto; della terra poi, perche (com'è manifesto) nel suo ventre è locato. Ma, che quel luogo fosse la stanza dei supplici, non solamente i Gentili, ma anco alcuni famosi Christiani istimarono, guidati forse da questa ragione. Percioche essendo Iddio la somma bontà, & colui, che commette peccato, che forse è cosi cattivo, & l'effetto sia cosi pessimo, è di necessità ch'egli sia lontanissimo da Iddio, come da suo contrario. Poscia noi crediamo Iddio habitare in Cielo, & dal Cielo non è alcuna parte più lontana dal centro della terra, & per ciò forse non pazzamente è stato creduto che i scelerati patiscano ivi le pene, come in luogo da Iddio lontanissimo. Di ciò nondimeno Tullio apertamente nelle Questioni Tusculane se ne fa beffe; onde assai si può presupporre altro haver veduto gli antichi saggi. Et però quando, che volsero esservi due mondi, cioè il maggiore, & il minore: il maggiore, quello, che generalmente chiamiamo mondo, & il minor l'huomo, affermando tutte le cose essere nel minore, che da quelli sono descritte nel maggiore, credo, che istimassero questo Herebo, & questi tormenti essere tra il minor mondo, cioè l'huomo, & credo anco, che volessero quelle horribili forme lequali nell'entrata dell'Herebo descrive Virgilio essere le cause esteriori per lequali di dentro sono causati quei supplici, o vero quelle, che di fuori appaiono cagionate da quelle interne. Il cui senso istimo molto migliore. Ma hora resta, che io segua secondo l'ordine ad esporre il sentimento delle predette. Penso adunque essere finto, che nel profondo centro di questo Herebo sia una città di ferro, accioche per quelle intendiamo la profonda parte del nostro ostinato cuore; nella cui veramente spesse volte siamo pertinaci, & di ferro. I Titani, cioè gli huomini inchinati alle cose terrene, & i giganti, che sono i superbi gittati a terra, non per altro sono detti essere crucciati se non affine, che conosciamo d'intorno questo i terreni, & gli altieri huomini di animo essere tormentati; i quali mentre sempre desiderano essere inalzati sono tenuti essere oppressi, & sprezzati dal suo cieco giudicio, & alle volte sono cacciati dall'altezza; il che a loro è fiero tormento. Per Titio poi stracciato dall'avoltoio è da intendere la mente di ciascuno, che s'affatica conoscere quelle cose ch'a lui non s'appartengono; overo di colui, che in accumular thesori da continuo pensiero è travagliato. Isione girato continuamente da una ruota dimostra i desideri di chi bramano i Regni. Cosi anco Sisifo, che rivolge all'insù i sassi manifesta la vita di colui, che in efficaci, & duri sforzi si consuma. Per Tantalo poi, che tra l'onde, & i pomi si consuma per la sete, & fame, dobbiamo intendere i pensieri degli huomini avari, & le angustie d'intorno la infame parsimonia. Indi Theseo, che se ne sta otioso dimostra i frivoli sforzi de' temerari, per liquali infelicemente sono tormentati. Oltre di ciò dicono questi tali essere crucciati sotto i supplici di Tisifone, il che penso cosi doversi intendere. Tisifone s'interpreta Voce d'ire, onde è chiaro, che quelli iquali sono crucciati da questi tali in sé stessi si adirino, & mai non mandino fuori le voci dell'ire. Per quelli tre giudici poi intendo questo, cioè che, oprando male, possiamo offendere tre persone, Iddio, il prossimo, & noi stessi, & cosi, che siamo ripresi, & condennati da tre giudicij di conscienza. Per lo guardiano della porta, che è il Tricerbero cane, il cui ufficio è lasciar entrare ogn'un che vuole, & uscire a quelli, che sono entrati vietare, istimo essere da intendere tre cause, che con fiero morso rodeno le menti mortali degl'ingannati, cioè le carezze de gli adulatori, la falsa opinione della felicità, & lo splendore della vanagloria; lequali veramente di continuo con nuove scorte allacciando gli ignoranti accrescono gl'infelici pensieri, & i cresciuti non lasciano sminuire. L'Herebo poi è circondato overo inondato da quattro fiumi, accioche perciò conosciamo, che quelli iquali (lasciata la ragione) si lasciano strascinare dalle incominciate concupiscenze, principalmente (turbata la allegrezza del dritto giudicio) passano Acheronte, ilquale s'interpreta mancante d'allegrezza. Così, cacciata la letitia, è di necessità la mestitia occupi il suo luogo; dallaquale (per lo perduto bene della allegrezza) molte volte nasce l'ira impetuosa dalla cui siamo guidati in furore, che è Flegetonte, cioè ardente. Dal furore anco si lasciamo trascorrere in tristezza, che è la palude Stigia, & dalla tristezza in pianto, & lagrime, per lequali e da intendere Cocito, quarto fiume infernale. Et cosi noi miseri mortali guidati dalla cieca opinione del concupiscevole appetito siamo crucciati, & entro noi sopportiamo quello, che i pazzi istimano dai Poeti esser rinchiuse nelle viscere della terra. L'Herebo poi è chiamato con tal nome, come dice Uguccione, perche troppo s'accosta a colui, che piglia.

Dite è nomato da Dite suo Re, ilquale appresso i Poeti è detto Iddio delle ricchezze, & questo imperò, perche questo luogo sia ricco, cioè abondante: attento, che ivi discendano, come anco per lo più fanno quei, c'hoggi dì muoiono, per lo passato tutti. Tartaro cosi è detto dalla Tortura, perche tormenta quelli, che inghiottisce. Ma il Tartaro è un profondissimo luogo de gli inferni; dal cui alcuno (come pare, che voglia Uguccione) giamai trasse fuori Christo. L'Orco viene chiamato per l'oscurità, & il Baratro dalla forma. Percioche il Baratro è un vaso contesto di vimini, dalla parte di sopra ampio, & di sotto acuto, del cui usano i rozi campani, mentre dalle viti congiunte agli alberi vindemiano l'uve. Et per ciò tal similitudine è fatta accioche intendiamo l'Inferno haver grandissime, & ampie fauci, & entrate per ricevere i dannati, & a ritenerli strettissimo, & profondo loco. Si dice Inferno: perche è inferiore a tutte le parti della terra. Averno, poi, da A, che significa senza, & Vernos, che è allegrezza vien detto; percioche manca di allegrezza, & abonda di sempiterna tristezza.

 

Amore primo figliuolo dell'Herebo.

Di figliuoli dell'Herebo primo ci è occorso l'Amore; ilquale afferma Tullio, dove tratta delle Nature de' Dei, essere stato prodotto da lui, & dalla Notte. Il che, o serenissimo dei Re, ti parrebbe forse inconvenevole, & monstruoso, se il vero con la ragione possibile non ti fosse dimostrato. Fu antica sentenza degli antichi l'Amore esser una passion d'animo. Et però ciò, che desideriamo, quello è Amore. Ma perche in diverso fine sono portati i nostri affetti, è necessario, che l'Amor d'intorno a tutte le cose non sia quell'istesso. Et perciò, ridotti in picciolo numero i disideri de' mortali, i nostri maggiori lo fecero di tre sorte. Et inanzi gli altri, con testimonio d'Apuleio in quel libro ch'egli scrisse dei Decreti o vogliamo dire Openioni di Platone, esso Platone afferma essere tre soli amori, & non piu. Il primo de' quali disse esser divino, che si conface con la mente incorrotta, & con la ragione della virtù. Il secondo, passione di tralignato animo, & di mente corrotta. Il terzo, composto di l'uno, & dell'altro. Dopo ilquale, Aristotele suo auditore, mutate più tosto le parole, che la sentenza, medesimamente volle, che fosse di tre sorte. Affermando il primo movere i pigliati da sé per l'honesto, il secondo per lo dilettevole, & il terzo per l'utile. Ma perche questo del quale trattiamo non è quello di cui il divino parla, & meno quello, che tenda all'honesto, nè dei due altri composto, overo per lo dilettevole; ma di declinante animo, & solamente per l'utile, meritamente secondo l'opinione di Cicerone lo chiameremo figliuolo dell'Herebo, & della Notte, cioè di cieca mente, & d'ostinato petto. Percioche da questo siamo guidati à mortale ingordigia d'oro; da questo a disio crudele d'Imperio; da questo à pazza voglia di mortal gloria. Da questo ad oscura morte d'amici. Et da questo ruine di Città, a torti, a frodi, a violenze, & a scelerati consigli noi infelici siamo guidati. Da questa peste sono pigliati i buffoni, i parasiti, gli adulatori, & simile compagnia d'huomini, che segue la fortuna prospera de' mal accorti, & di quello usa per spogliar con carezze, & false lodi i militi gloriosi. Quello adunque (considerate drittamente tutte le cose) non amore, ma più propriamente devremmo chiamar' odio.

 

Gratia figliuola dell'Herebo, & della Notte.

Dice Tullio tra le Nature de' Dei la Gratia esser figliuola dell'Herebo, & della Notte. Io nondimeno mi ricordo haver letto altrove, le Gratie essere state figliuole o di Giove o d'Auttonio ò del padre Bacco, & di Venere. Ma egli è da sapere, accioche conosciamo quello, che in ciò tennero quelli, che di ciò finsero, la Gratia essere una certa affettione di mente libera, specialmente del maggiore verso il minore; per laquale senza preminenza nessuna di merito di compiacenza; sono conceduti de' benefici, & de' doni a quei anco, che non li dimandano. Nondimeno istimo molte essere le spetie di queste. Altre veramente sono d'Iddio immortale; lequali tolte via, siamo nulla. Altre poi degli huomini tra loro. Et queste ponno inchinarsi al bene, & al male, come, che sempre appaia la Gratia tendere al bene. Tutte queste (cangiati nondimeno i sensi de' padri) potremmo dimostrare per figliuole dell'Herebo, & della Notte. Ma per venire a questa, lasciate da parte l'altre fino al tempo suo, io penso questa essere quella Gratia che, per qualche scelerata operatione ò per dishonesti costumi d'alcun'huomo, sia causata in qualche iniquo, & reo huomo. Et cosi tal Gratia viene ad essere figliuola dell'Herebo, cioè d'un ostinato petto, & della Notte, cioè d'una cieca mente.

 

Fatica terza figliuola dell'Herebo.

Questa Fatica da Cicerone viene descritta per figliuola della Notte, & dell'Herebo; la cui qualità dall'istesso tale viene formata. La Fatica è una certa operatione di grave attione d'anima ò di corpo, ò di volontà ò per prezzo. Laquale molto bene considerata, meritamente della Notte, & dell'Herebo viene detto figliuola, & si può dire colui, che è dannoso è meritamente dà essere rifiutato. Percioche, si come nell' Herebo, & nella notte è una perpetua inquietudine di nocenti, cosi anco negl'interni segreti de' cuori di quelli, che sono guidati da cieco disio circa le cose superflue, & poco convenevoli v'è un disturbo di continuo pensiero. Et perche questi tali pensieri sono causati in petto oscuro, debitamente tale Fatica viene detta figliuola della Notte, & dell'Herebo.

 

Invidia quarta figliuola dell'Herebo.

Tullio dice la Invidia essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte; laquale dove tratta delle Questioni Tusculane, la fa differente dall'Invidenza, dicendo la invidenza solamente appartenere all'invidioso, conciosiache paia la invidia attribuirsi anco a colui a cui si porta. Et di quella conchiudendo dice la Invidenza essere una infermità pigliata per le cose prospere d'altrui, lequali non nuocciano niente all'Invidioso. Descrive poi i costumi, & l'habitatione di questa Ovidio in tal modo:

 


Dell'Invidia và subito a trovare

Gli horrendi tetti per lo nero sangue;

La cui casa è riposta in ime valli,

U dei raggi del Sol manca l'entrata,

Nè d'ivi mai troppo alcun vento passa.

È disutile, & trista, & piena ogn'hora

Di freddo, & sempre mai vi manca il foco

E ogn'hor d'oscura nebbia è più ripiena.

Et poco da poi cosi segue:

Et picchiando alle porte, elle s'apriro;

Dove entro vede l'Invidia, che mangia

Le carni viperine (nodrimenti

De' vitij suoi), & subito veduta

Rivolse gli occhi adietro. Et ella tosto

Levossi in piedi, ivi lasciando i corpi

Dei serpi mezzo divorati homai;

Venendo verso lei con lento passo.

Ma tosto, ch'ella vide l'alta Dea

Ornata di presenza, & d'arme chiare,

Gemere incominciò; di che la Dea

Fu sforzata ai sospir volgere il volto.

Perch'è pallida in viso; e in tutto il corpo

Macilenta, & il guardo ha oscuro, e bieco.

Lividi i denti son per rugginezza;

Il petto per lo fele è tutto verde,

La lingua ha tutta piena di veneno;

Lontano ha il riso; eccetto se le doglie

Ch'altri vegga patir, non ve lo muove;

Non dorme mai; ma sempre da pensieri

Tenuta è vigilante; e ogn'hor riguarda

Degli huomini i successi ingrati, e rei,

Et marcisce in mirargli, e piglia, e insieme

Da quei vien presa; è il suo tormento tale.

Et quello, che va dietro.


 

Là onde s'alcuno a pieno considerarà questi versi, senza difficultà conoscerà quella essere la invidenza; laquale noi con più ampia licenza chiamiamo Invidia, & dell'Herebo, & della Notte figliuola.

 

Timore quinto figliuolo dell'Herebo.

Afferma il detto Tullio il Timore essere stato figlio dell'Herebo, & della Notte. Percioche il timore, come dice l'istesso Cicerone, è una cautione contraria alla ragione. Et istimo costui essere detto figliuolo di tali padri perche da i più rimossi luoghi dalla cognition nostra nei nostri petti nasca. Nondimeno io l'istimo di due sorti, cioè quello, che di ragione può cadere in un'huomo discreto, come è temere i tuoni, & quello, che senza essere sforzato da alcuna ragionevole cagione, non altrimenti, che donnicciuole smarrisce alcuni. Questi, sotto il nome di Timore, è uno de' ministri di Marte, si come ci mostra da Statio cosi dicendo;

 


Indi comanda in quattro gir inanzi

Il Timor, ch'era de la fiera plebe

Un de compagni; ilqual non altramente

Era pronto a locar tremanti teme,

Et dal vero levar gli animi ogn'hora

Di quel, che proprio sia l'effetto espresso;

Pronto ad aggiunger voci, e mani a un mostro

Et oprando ogni cosa, ch'a lui piaccia

Facendo, che l'auttore il tutto creda;

Con spaventevol corso a quel parendo

Veder sommerger le città col Sole;

Facendoli talhor veder due Soli,

Le stelle oscure, & che si volga appresso

La terra, & giù cader l'antiche selve.

Cosi infelicemente i paurosi

Pensano di veder.

Et quello, che va dietro.


 

Potrei, famosissimo Re, far di molte parole esponendo le parti di questi versi, acioche io venissi a dimostrare i costumi del Timore; ma cosi sottili, & liggieri sono i figmenti, ch'io mi sono imaginato essere cosa superflua passar più oltre. Oltre di ciò a costui aggiunge Tullio nelle Questioni Tusculane non avertentemente essere sottoposti molti ministri, come sarebbe a dire la pigritia, la vergogna, il terrore, la tema, la pusillanimità, il tremore, la conturbatione, il sospetto, & molti altri; de tutti e' quali ivi lungamente si legge.

 

Inganno, sesto figliuolo dell'Herebo.

Medesimamente è l'Inganno, come piace a Tullio, figliuole dell'Herebo, & della Notte; del quale era solito raccontare Barlaam che, essendo andato con i Greci alla guerra Troiana, & ritrovandosi male in arnese, & poco armato, consigliandosi alcuni dei primi delle cose da essere oprate da Ulisse, a cui era molto famigliare, essere stato condotto a quel consiglio. Ilquale havendo inteso gli animi inalzati, & gloriosi, & i consigli d'alcuni, & essendossene alquanto seco stesso riso, pregato alla fine disse il suo parere; il cui se bene non era honesto, nondimeno perche pareva utile fu ammesso. Et a lui insieme con Epeo subito fu data la cura di fabricare un cavallo, col mezzo del quale poi si giunse a tanto ch'i Greci già lassi hebbero il suo disio. Assai sottile, & liggiero è il velo della fittione, & però perche sia detto figliuolo dell'Herebo, & della Notte hora veggiamo. Ilche al mio parere si dimostra nelle sacre lettere; per lequali siamo ammaestrati (tolta la forma di serpente dall'Herebo) l'inimico del genere humano esser venuto in terra, & nella notte tartarea con false persuasioni haver offuscato le menti de' nostri padri, & indi come in colto campo haver seminato mortal seme, il cui frutto, havendo eglino prevaricato la legge, venne subito in luce. Et cosi l'Inganno, non anco conosciuto in terra, da principio uscì dell'Herebo, & conceputo nell'utero della cieca mente, con la nostra morte, & con l'essiglio palesemente fattoci del regno celeste, chiaramente dimostrossi essere figliuolo della Notte, & dell'Herebo. Ma perche quello, che i Gentili non conobbero malamente puoterò fingere, penso quelli haver inteso l'intimo recesso dell'human cuore per l'Herebo, perche ivi è la stanza di tutti i pensieri. Et però se l'animo è infermo, sprezzata la virtù (per aggiungere al suo disio) veggendo, che le forze gli mancano, subito drizza l'ingegno alle arti. Et perche più facilmente i pazzi sono presi dall'inganno, formato quello con falsi pensieri, lega sé stesso, & quelli ch'ei piglia con mortal laccio. Et cosi l'Inganno nasce dalla Notte, cioè dalla trascuraggine della mente per la cui parviene al suo disio, passando per strade poco honeste, & viene creato dalla vergognosa concupiscenza del petto infermo, & ardente. Et per lo più non si vede apparire in luce, che colui non vada in ruina per lo quale è fabricato.

 

Frode, settima figliuola dell'Herebo.

Nelle nature de' Dei, meritamente da Cicerone, la Frode vien detta figliuola dell'Herebo, & della Notte. Veramente ella è mortale, & scelerata peste, & abhominevole vitio di mente iniqua. Tra questa, & l'inganno è tal differenza, che l'inganno tal volta si puote oprare in bene, ma la frode giamai se non in male; anzi più tosto contra gl'inimici usiamo dell'inganno, & gli amici inganniamo con la Frode. La forma di costei Dante Alighieri fiorentino nel suo poema scritto in lingua fiorentina, & veramente di non picciolo momento tra tutti gli altri poemi, cosi la descrive, cioè ch'ella ha la faccia d'huomo giusto, & tutto l'avanzo del corpo di serpente, distinto a diverse macchie, & colori, & la sua coda esser ritirata in punta di scorpione, & quella tener coperta nell'onde di Cocito, di maniera, che tiene nascosto tutto l'horrendo del corpo in quelle eccetto la faccia, & la nomina Gerione. Sotto benigna adunque, & simil faccia d'huomo giusto comprende l'Autore l'estrinseco degli huomini fraudolenti. Percioche sono di volto, & di parlar benigni, nell'habito modesti, nel passo gravi, di costumi notabili, & per pietà riguardevoli. Nelle opre poi nascosto sotto compassionevole zelo d'iniquità sono di contraria pele, d'astutia armati, & tinti di macchie di scelerità, talmente ch'ogni loro operatione alla fine si conchiude tutta ripiena di mortal veneno. Et indi è detta Gerione perche regnando appresso l'Isole Baleari Gerione, con benigno volto, con carezzevoli parole, & con ogni famigliarità era avezzo ricevere i viandanti, & gli amici, & poi sotto il colore di questa benignità, & cortesia adormentati, amazzava. La ragione poi, che venga detta figliuola dell'Herebo, & della Notte, è l'istessa detta di sopra dell'Inganno.

 

Ostinatione, ottava figliuola dell'Herebo.

La Pertinatia, ò vogliamo Ostinatione mortalissimo peccato, secondo Tullio è figliuola dell'Herebo, & della Notte; nè la cagione si vede difficile. Percioche ogni fiata, che l'indigesto rigore dell'ignoranza de' mortali, con valide ragioni, & con calore di fervor divino, non può essere rimosso da quella falsa oscura nebbia, che gl'ingombra l'intelletto, è di necessità, che l'Ostinatione vi nasca, anzi già è nato il certissimo argomento dell'ignoranza. Adunque bene habbiamo dimostrato l'Ostinatione essere figliuola dell'Herebo, da noi spesse volte chiamato Freddo, & della Notte, spesse volte fatta conoscere per nebbia della mente.

 

Povertà, nona figliuola dell'Herebo.

Egesta figliuola dell'Herebo, & della Notte, non è quella, che molti istimano, cioè mancamento delle cose opportune. Perche questa gli huomini forti la superarono con la tolleranza, come nelle arena di Libia Catone; ma quella più tosto allaquale gli abondevoli guidati da falsa opinione si sottometteno, come fece il guardiano dell'oro Mida Re di Frigia; ilquale mentre tutte quelle cose ch'egli toccava, secondo la sua dimanda, diventavano oro, si moriva di fame. Questa adunque è vera Povertà, & bisogno, & figliuola dell'Herebo, cioè d'un raffreddato, & da poco cuore, & anco della Notte, cioè di cieco consiglio, ch'istima essere cosa bonissima l'accrescere ricchezze affine, che manchiamo del loro uso.

 

Miseria, decima figliuola dell'Herebo.

Piace anco a Tullio la Miseria essere stata figlia dell'Herebo, & della Notte. Questa veramente è cosi estrema disgratia, che può muovere a misericordia i riguardanti. Ilche noi stessi a noi medesimi facciamo mentre, sprezzato il lume della verità, sospiriamo le cose c'hanno a mancare, & ad ogni via transitoria, non altramente, che se fossero perpetue, & perdessimo l'eterne. Et cosi il petto afflitto dall'oscurato giudicio della mente con sospiri, & con lagrime manda fuori in publico la miseria; accioche possa indi esser detta figlia dell'Herebo, & della Notte.

 

Fame, undecima figliuola dell'Herebo.

Dice Paolo essere piacciuto a Chrisippo la Fame essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Questa è overo publica, come già fu mostrata a Faraone, ò privata, come a Crisitone. La publica fu solita avenire dall'universale carestia di biade, dellaqual cosa ò l'ira divina n'è cagione, overo la lunga guerra, ò la contraria dispositione dei sopracelesti corpi, ò i vermi, che sotterra radono i semi, ò le locuste, che già divorano i seminati, che nascono. Dellequali la prima cagione da alcuno de' mortali non può essere conosciuta, & cosi potrassi dire figliuola dell'Herebo, & della Notte; ma non dell'Herebo, che sta nascosto nelle viscere della terra o, che fa residenza negl'infermi petti de' mortali, anzi nel profondo segreto della divina mente santissima, & vigilante, ilquale l'intelletto degli huomini offuscato da mortal nebbia non può riguardare nè anco contemplare la notte della divina mente, nella cui giamai non fu alcuna oscurità, ma col suo lume rende sempre il tutto chiaro; ma più tosto gli errori della frigidità nostra. L'altre spetie di questa cagione affermano i Mathematici con l'arti loro potersi prevedere. Se adunque è tale questa Fame, non può essere figliuola dell'Herebo nè della Notte. Se poi cosi non è, alhora, si come habbiamo detto d'Iddio, non si potendo vedere quello ch'è riposto nell'antro secreto di natura, si lascierà, che questa Fame per la già detta ragione sia figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ma la fame privata aviene, come per lo piu, ò per carestia di cibi, overo alle volte dalla noia de' stomacosi. Se per carestia, ò per pigritia, ò per dapocaggine del sopportante, ò per diffetto di povertà occorre. Se per dapocaggine ò pigritia, si come alle fiate veggiamo alcuni più tosto dar opra alle lascivie, & all'otio, che haver cura delle cose famigliare, questa veramente è figliuola dell'Herebo, & della Notte, in quella guisa, che sono gli altri suoi sopradetti fratelli. Se per colpa di bisogno, mentre, che per intemperanza non sia povero chi la patisce, non penso, che nè anco questa sia figliuola dell'Herebo, & della Notte, eccetto s'io non la volessi dir tale, perche deriva dallo stomaco del famelico. Se poi la Fame è per la noia di cibi, come alle volte habbiamo veduto essere avenuto ad alcuni insipidi, & da consueto vitio troppo schifi, & svogliati, iquali se non hanno le vivande elette, & i saporiti con diligenza composti, overo, che non gli siano messi inanzi cibi da Re, & pretiosi vini, di maniera sprezzano i communi, & gli rifiutano, che più tosto si lasciarebbono morir di fame, che mangiarne, non è dubbio alcuno, che questa non sia nata dall'Herebo, & dalla Notte. La stanza adunque di costei, & la forma cosi descrive Ovidio:

 


Trovò la Fame in un sassoso campo

Ricercata da lui; laqual con l'ugne,

Et denti rari fuor cavava l'herbe;

Haveva torto il crine, & gli occhi cavi;

Pallida in viso, & con le labbia in entro;

Di rugginezza havea le fauci roze;

Dura la pelle, & per la cui guardare

L'interiora a lei potesse ogn'uno;

Et sotto i torti lumbi l'ossa secche

Stavan riposte, & del suo ventre il loco

Era invece di ventre; onde istimato

Havresti, ch'il suo petto giù pendesse,

Et solamente fosse sostenuto

Da un secco spine; a lei cresciuto havea

I fianchi la magrezza, & il ginocchio

Una rotondità quel circondava.

Et i calcagni givano distesi

Con picciol spatio. Come di lontano

Costui la vide.

Et quello, che segue.


 

Querela, duodecima figliuola dell'Herebo.

Vuole Tullio la Querela essere stata figliuola dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si concederà se si riguarderà con occhi sanamente ciò ch'ella sia; percioche è un morbo dell'animo, che malamente quasi seco si conface. Per questo venendo in un petto pazzo, l'huomo con poco consiglio cerca ò levar via quello, che si gli deve, overo malamente sopporta, che non gli sia dato ciò, che disia, o, che non possa quello, che brama. Et cosi quello ch'è di sua colpa, privato del lume della mente istima d'altrui. Di quì si lamenta l'amante lascivo; di quì l'ingordo d'oro; di quì il bramoso di beni; di quì il sitibondo di sangue, & molti altri piangono quel male ch'essi hanno introdotto, & che, se fossero stati prudenti, havrebbono potuto cacciar fuori.

 

Morbo, terzodecimo figliuolo dell'Herebo.

Et dell'Herebo, & della Notte figliuolo, come piace a Cicerone, & Chrisippo, il Morbo. Questo adunque può esser mancamento di mente, & di corpo. Et si come nel corpo è causato dalla discordanza degli humori, cosi nella mente dall'inconvenevolezza de gli animi, & alhora meritamente di tali padri, cioè della cecità intrinseca, è chiamato figliuolo. Et perche pare ch'egli tenda nella morte della sanità, come piace a molti, e chiamato infermità.

 

Vecchiezza, decimaquarta figliuola dell'Herebo.

Conviensi la vecchiezza, ultima delle età, & vicina della morte, al solo colpo, percioche l'anima rationale con perpetua verdezza, & fiore tende all'eterno. Questa, come dice Tullio, fu figlia dell'Herebo, & della Notte. Ilche facilmente si può concedere, essendo à lei conforme di complessione, cioè fredda, & secca, & i figliuoli sono soliti esser simili a i padri. Appresso l'Herebo è da poco, & tremante, dal quale punto non traligna la Vecchiezza, essendo, come veggiamo, tremante, & tarda. Però, perche ha i sensi corporali lenti, & offuscati, non inconvenevolmente le diedero la Notte per madre. Nondimeno ha questo di notabile, che quanto a lei si tolgono le forze, tanto più le cresce il consiglio. Là onde nasce, che sia riverita, & i loro capelli canuti siano preposti alla robustezza dei giovani.

 

Pallidezza, decimaquinta figliuola dell'Herebo.

La pallidezza della faccia, & di tutto il corpo, è un colore essangue di sangue, che manca, & appresso è certissimo argomento d'infermo, & subito timore. Questa è figliuola della Notte, & dell'Herebo, secondo, che vuole Chrisippo. Et ciò afferma, attento, che tutto quello, che dalla luce del Sole non è veduto, o che l'animo nodrisce con buona sanità, facilmente viene occupato dalla pallidezza. Onde, essendo stato detto di sopra, che l'Herebo non vede il Sole nè sente il calore, & per ciò dove queste cose avengono si raffredda il sangue, & per contraria digestione si corrompe, di che per consequenza è necessario, che la Pallidezza nasca, come a pieno si vede in quelli, che lungamente rinchiusi in oscura prigione vengono in luce; overo, che per infermità corporale lassi si levano; overo assaliti da subita paura impallidiscono.

 

Tenebra, decimasesta figliuola dell'Herebo.

Dell'Herebo, & della Notte la Tenebra essere figliuola, senza testimonio d'altri si crede. Ma accioche la madre, & la figliuola non paiano una cosa istessa, in questo sono differenti. Nella notte si vede alcuna cosa lucente, come è la Luna, le Stelle, & alle volte il fuoco. Nella Tenebra poi alcun lume giamai non appare, & se apparerà in alcun loco, non si dirà più Tenebra.

 

Sonno, decimosettimo figliuolo dell'Herebo.

Il Sonno, secondo alcuni, è una forza d'intrinseco fuoco, & un riposo sparso per le membra afflitte, & dalla fatica stanche. Secondo altri poi è una quiete degli animali con l'intentione delle virtù naturali. Di questo scrive Ovidio in tal modo:

 


Sonno piacevolissimo riposo

D'ogni cosa creata, e insieme dolce

Quiete degli Dei, pace, e contento

De l'animo, che fugge ogni pensiero;

Tu sei quel, ch'accarezzi i corpi lassi

Da le dur'opre, & le fatiche scacci.


 

Ma più a pieno Seneca Poeta nella Tragedia d'Hercole Furioso descrive le commodità del sonno, dove dice;

 


Tu Sonno domitor sei d'ogni male

De l'animo riposo, & miglior parte

De la vita mortal, volubil prole

De la gran madre Astrea, frate a la dura

Languida morte, ch'a le cose vere

Mesci le false del futuro, e certo

De l'uno, & l'altro sei pessimo auttore.

O padre delle cose, ò de la vita

Porto, e riposo de la luce, e appresso

Compagno de la notte, ch'egualmente

Il Rè, e il famiglio a ritrovar pur vieni;

Placido, e molle favorisce a i lasso?

Et si come constringi il sesso humano

Pauroso de la morte, ad imparare

Un morir lungo, hor grava me legato.

 


 

Oltre di ciò gli descrive la stanza assai atta al suo desio di voler dormire, dicendo:

 


E non lontan da le Cimerie grotte

Una spelonca di profonda entrata;

Il monte è cavo, dove sta del Sonno

Pigro la casa, & la sua stanza eletta.

Ivi già mai, nè di mattina, ò sera

Co' raggi penetrar vi puote il Sole,

Anzi nuvoli ogn'hor di nebbia oscura

Escono da la terra; acciò la luce

Stia sempre in dubbio, che mai spunti il giorno.

Ivi il gallo non sta, che col suo canto

Dia segno dell'aurora, & meno ancora

Cani vi sono, ch'abbaiando sempre

Rompano de la Notte i suoi riposi;

Nè la più astuta dei vegghianti cani

Occa vi giace; nè il garrir di Progne

Troppo ha bisogno d'addolcir i petti.

Fera non v'è, non pecora, nè armenti,

Nè s'ode ramo alcun dall'aria scosso,

Nè lingua humana v'interrompe il sonno.

V'habita solo il mutolo riposo;

Nondimeno da un sasso alto, e profondo

D'acqua v'esce un ruscel limpido, e chiaro,

Che con mormorio dolce ogn'hor correndo

Per alcuni sassetti invita i sonni.

Nanzi l'entrata de la porta stanno

Papaveri fioriti, & herbe ombrose

Di numero infinito, onde si fanno

Opre, ch'altrui giaccia col Sonno avolto;

La notte le raccoglie, e ogn'hor le sparge

Per l'opaco terreno, acciò la porta

Coi cardini alcun strepito non faccia.

In quella casa non v'è guardia, ò scorta,

Nè alcun, ch'inanzi de l'entrata sieda.

Ma nel mezzo de l'antro un letto è posto

Per l'ebano sublime, & è di piume

Tutto coperto di color conforme;

Ivi con le sue membra in sonno involte

Riposa il Dio di quel; cui stanno intorno

I vani sogni, ch'imitar ci fanno

Diverse forme, & tanti sono, quante

Spighe ha il raccolto, & quante fronde tiene

Una gran selva, & quante arene insieme

Sparge sui liti il mar con l'onde altere.


 

Questo, ornato di cosi riguardevole stanza, & ornamenti di letto, dice Tullio essere stato figliuolo dell'Herebo, & della Notte. Dellaqual cosa è da veder la cagione, & poi potremo vedere dei ministri, essendo assai chiaro il senso della stanza descritta. Adunque il Sonno viene detto figliuolo dell'Herebo, & della Notte perche nasce dai vapori humidi che si levano dallo stomaco, & oppilano i membri, & dalla queta oscurità. Se poi vogliamo intendere del mortal sonno, non più difficilmente s'allegherà la cagione di tali padri. Percioche, perduto il favore della carità, & abbandonata la via di ragione, è a bastanza chiarissimo esser cosa necessaria passare a mortal sonno. Hora mo veggiamo di quelli, che gli stanno d'intorno, quali sono sogni di diverse spetie; ma solamente cinque ne dimostra Macrobio sopra il Sogno di Scipione. La prima di queste si chiama Fantasma, laquale mai non s'avicina à mortali eccetto che lentamente, mentre il sonno s'incomincia assalire, et ch'istimamo anco vegghiare. Questa apporta seco spaventevoli forme da vedere, & per lo più dalla qualità naturale, & dalla grandezza differenti, come è noioso contrasto e maravigliosa allegrezza, fortune valide, sonori venti, & altre simili. Dice Macrobio il fuoco di questa esser anco Ematte, ò Efiate, overo Efialte; ilquale la persuasione commune giudica assalire i riposanti, & col suo peso aggravare i dormienti, che ciò sentono. La cagione di tal cosa istimano molti essere lo stomaco aggravato dal soverchio cibo, & vino, overo vuoto per lo digiuno lungo, &, che altramente mai non predomini alcuno assalito da altri humori. Sono di quelli, che vi aggiungano le sollecitudini, & dicano Virgilio haver inteso Didone haver veduto fantasme, mentre lamentandosi con la sorella cosi le dice;

 


Quei sogni, che mi tengono sospesa,

Mi smarriscono ogn'hor.


 

Et quelli in sogni, per licenza Poetica, ivi essere stati posti impropriamente per fantasme. La seconda spetie si chiama in sogno causato dalla premeditatione, come pare, che voglia Tullio nel libro della Republica, dicendo: Aviene spesse volte, ch'i pensieri, & i nostri ragionamenti partoriscano alcuna cosa all'insogno. Ilche anco scrive Ennio di Homero, del quale medesimamente vegghiando soleva pensare, & parlare spessissime volte. Etc.. In questa specie di sonno, adunque, l'amante vedrà la donzella da lui amata venire ne' suoi abbracciamenti, ò infelicissimo pregherà quella, che fugge. Il nocchiero vedrà il mare tranquillo, & la Nave, che solca quelle con le vele spiegate, e, che per fortuna si rompi. Cosi anco il villano indarno s'allegrerà riguardando le biade ne' campi fiorite, & piangerà le rovinate. L'ingordo tracannerà le tazze piene di vino. Il digiuno desidererà i cibi, ò con il ventre vuoto divorerà gli apposti dinanzi a lui. Delle considerationi, poi, alcuni vogliono Didone ferita d'amore haverne veduto parte; percioche pare, che Virgilio dimostri la consideratione quando dice;

 


Per l'animo d'Enea la gran virtutte

Va rivolgendo, e 'l chiaro honor de' suoi,

Tien l'imagine sua fisa nel petto,

Et le parole; nè riposo dona.

Et quello, che va dietro.


 

Così, come dalla consideratione pare, che prevenga l'insogno. Ma perche procedono dall'affettione, insieme col sonno se ne vanno in fumo, come l'istesso Virgilio mostra, dove dice; Ma ci mandano al Cielo i falsi insogni. La terza specie si chiama sogno, per lo quale piace a Macrobio, che si sognino cose vere ma sotto coperta però, come per auttorità di Mosè vide Giuseppe i mazzi di spighe de' suoi fratelli ch'adoravano il suo. Et come dice Valerio, che fece Astiage, ilquale vide una vite, & l'urina ch'usciva da le parti genitali d'una sua figlia. Ciò vogliono ch'avegna stando l'huomo sobrio, come per lo più siamo facendosi il giorno. La Quarta spetie poi si chiama Visione, laquale seco non apporta dubbio alcuno; anzi quello, che ha a venire con chiara dimostratione manifesta, come dormendo fece Arterio Ruffo Cavalier Romano, à cui parve la notte vedere che, stando egli a riguardare il dono de gladiatori a Siracusa, che dalla mano d'uno, che faceva reti fosse passato dall'uno all'altro lato. Il che raccontato a molti la mattina, quel giorno istesso gl'intervenne. La quinta, & ultima spetie di sogni fu dagli antichi detta oracolo, laqual cosa Macrobio vuole, che sia quando dormendo veggiamo alcuno de' nostri parenti, & maggiori, overo qualche huomo di gran riputatione, come un Pontefice overo esso Iddio, che si dica ò ci riveli alcuna cosa; come avenne à Giuseppe, in sogno avisato dall'angelo, che togliesse il fanciullo, & la madre di quello, & seco se n'andasse in Egitto. Ma alcuni degli antichi, come a bastanza si può considerare per le parole di Porfirio Filosofo, istimarono tutte le cose vedute nella quiete esser vere, ma, si come per lo piu, non bene intese. Et per ciò pare, che Porfirio habbia l'opinione contraria a molti altri; il che prima per Homero poi per Virgilio è stato detto. Et perche ci è più famigliare il verso di Virgilio, che quello d'Homero, lo addurremmo in mezzo. Cosi adunque dice il Mantovano;

 


 Del sonno son due porte; una de' quali

Si dice esser di corno; onde si dona

Facile uscita a tutte l'ombre vere.

L'altra perfetta d'un'avorio bianco

Per cui sen vanno i falsi sogni al Cielo.


 

Per questi versi vuole Porfirio, che tutti i sogni siano veri, giudicando, che l'anima, addormentato il corpo, come alquanto più libera si sforzi giungere alla sua divinità, & stando involta nell'humanità drizzi tutta la potenza dell'intelletto, & vegga, & discerna alcune cose; ma più siano quelle, che vegga, che quelle, che discerna, ò siano risposte di lontano, ò da più spessa coperta occulte. Et di quì nasce, che quello ch'ella discerne, par, che in tutto nebbia d'oscura mortalità non se le oppona in tutto, viene detto haver uscita per la porta di corno; essendo il corno di natura tale, che incavato, & assottigliato habbia facile entrata, & come un corpo trasparente lascia ch'in sé si vegga le cosi ivi riposte. Quello, che poi opponendovisi la nebbia della carne non si può vedere, diciamo essere rinchiuso in avorio. Il cui osso naturalmente è cosi sodo, & spesso che, facendolo sottile quanto si voglia, non lascia, che vi si vegga le cose rinchiuse; lequali però chiama false Virgilio perche non sono intese, come dice Porfirio. Hora ci resta veder de' suoi ministri; iquali, benche siano molti, nondimeno non s'hanno i nomi di piu, che tre. Di cui il primo vogliono, che si dica Morfeo, il che s'interpreta formatione over simulacro. Il cui ufficio, per comandamento del Signore, è, che si trasformi nella sembianza di tutti gli huomini, & imiti le parole, i costumi, le voci, & gli idioma, come scrive Ovidio dicendo;

 


Ma tra mille suoi figli il padre elegge

Morfeo imitator d'ogni sembianza

Tra tutti gli altri diligente, e saggio.

Imita questi, i passi, il volto, e gli occhi

Et de la voce il suon d'ogni vivente.

Gli habiti insieme con l'usate vesti

V'aggiunge, & le parole, & questi è solo,

Che finge di chi vuol l'essere, e il viso.


 

Il secondo è Itatone overo Fabetora, il significato de' nomi de' quali non so io. Nondimeno l'ufficio di costui in questo verso descrive Ovidio:

 


L'altro fiera diviene, uccello, & serpe,

Et Ithatone è dagli dei chiamato,

Ma Fabetora il vulgo il noma, e dice;


 

Il terzo poi lo chiamarono Panto, cioè tutto. Il cui ufficio è fingere le cose insensibili, & ciò dimostra Ovidio dove dice;

 


Ancho v'è Panto, che con arte strana

Si cangia in terra, in sasso, in onda, e trave,

Et ogn'altra insensibil cosa apprende.


 

Vuole quasi, che per queste parole, che le cose, che noi dormendo veggiamo, ci siano offerte dalla potenza esteriore. Che ciò mò sia vero, altri il veggiano.

 

La Morte, decimaottava figliuola dell'Herebo.

Secondo l'opinione di Tullio, & di Crisippo, la Morte fu figliuola della Notte, & dell'Herebo; laquale dimostra Aristotele essere l'ultima delle cose terribili. Da questa tutti, non veramente incominciando dal giorno, che infelici entriamo nel mondo, pian piano di maniera, che non se n'accorgiamo continuamente siamo pigliati, & morendo noi ogni giorno, allhora volgarmente diciamo morirsi quando lasciamo di morire. Volsero i precessori nostri, se bene noi infelici a mille guise siamo rapiti, quest'essere ò violenta ò naturale. Violenta è quella, che aviene con ferro, con fuoco ò per altra disgratia a colui, che fugge ò la ricerca. La natural poi, secondo Macrobio sopra il Sogno di Scipione, è quella per laquale il corpo non è lasciato dall'anima, ma l'anima è abbandonata dal corpo. Chiamarono appresso gli antichi la morte de' vecchi matura ò convenevole, & quella dei giovani non matura, & quella dei fanciulli acerba. Appresso con molti altri nomi fu dimandata, come sarebbe Atropos, Parca, Leto, Nece, & Fato. La fiera opra di costei cosi anco brevemente descrive Statio:

 


Da le tenebre stigie uscita fuori

La Morte tocca il Cielo, & và volando,

Et copre con un soffio ogni guerriero,

Et quanti huomini tocca atterra, et toglie

Nessuna cosa non commune elegge;

Ma quelle sol, che son degne di vita.

Col veneno mortale i piu sublimi

D'anni, e valor fa morir ella sempre.


 

Ma hora è tempo da scoprire quelle poche cose, che di lei sotto velame sono nascoste. La chiamano figliuola dell'Herebo perche dall'Herebo sia mandata, come nel prescritto verso dimostra Statio, cioè:

Da le tenebre stigie fuor mandata.

Overo perch'ella manchi di callidità, come fa l'Herebo. Detta è poi figliuola della Notte perche pare horribile, & oscura. La morte è anco cosi chiamata, secondo Uguccione, perche morde, overo dal morso del primo padre per lo quale moriamo, overo da Marte, ch'è interfettor degli huomini, overo morte quasi amaror, perche sia amara, conciosia che alcuna altra cosa dagli huomini è tenuta più amara della morte; da quelli in fuori de' quali dice Giovanni Battista nell'Apocalipsi:

Beati quelli, che muoiono nel Signore.

Questa, come pare, che voglia Servio, è differente da Atropos, della cui s'è detto di sopra, in questo, perche per questa violenta dobbiamo intendere la morte, come anco assai si può conietturare dal verso secondo di sopra di Statio. Per Atropos poi; vuole, che s'intenda la dispositione naturale delle cose. Et è detta Atropos perche non si converte. La dissero poi per Antifrasi Parca, percioche non perdona a nessuno; cosi anco Leto, essendo mestissima più d'ogn'altra cosa. Nece propriamente istimo quella per laquale con acqua, con laccio, overo in altra guisa lo spirito viene intercluso. Fato anco viene detta, accioche per divina providenza sia mostrato prima, che tutti quei, che nascono denno morire.

 

Charonte decimonono figliuolo dell'Herebo.

Charonte nocchiero d'Acheronte viene detto da Crisippo figliuolo dell'Herebo, & della Notte; del quale cosi scrive Virgilio:

 


Sta l'horribil nocchier squallido, e negro

Charonte guardian de l'acque e fiumi;

A cui dal mento in giù canuta pende

Squallida barba, & ha di fiamme gli occhi;

Dagli homeri di cui pende una veste

Tutta macchiata, et con un nodo avolta.

Egli una scafa rugginosa, e nera

Con pertica guidando, & con la vela

A l'altra riva porta l'alme ingiuste;

Già di molti anni è pien, ma la vecchiezza

A chi non dee morir, è verde, e forte.


 

Charonte poi, ilquale Servio rivolge in Crononte, è il tempo. Ma l'Herebo è da intender quì per l'interno consiglio della divina mente, dal cui, & il tempo, & tutte l'altre cose sono create, & cosi l'Herebo è padre di Charonte. Ma la Notte per questo gli viene ascritta madre, conciosia che anzi il tempo creato non fu nessuna luce sensibile, & però fu fatto nelle tenebre, & di tenebre pare, che sia prodotto. Charonte poi è locato appresso gl'Inferi perche gli Dei superni non hanno bisogno di tempo, si come n'habbiamo noi mortali, che da quelli siamo inferiori. Che poi Charonte passi i corpi dall'una all'altra ripa d'Acheronte, per questo è finto accioche intendiamo, che il tempo subito, che siamo nati; si raccoglie nel suo grembo, & ci porta ad una opposta ripa, cioè ci conduce alla Morte, laquale è contraria al nostro nascimento; dando questo l'essere ai corpi, & quella togliendocelo. Oltre di ciò siamo guidati da Charon per lo fiume Acheronte, che s'interpreta senza allegrezza, accioche consideriamo, che dal tempo siamo tratti per vita frale, & di miserie piena. Appresso lo chiama Virgilio vecchio ma composto di robusta, & verde vecchiaia, affine, che conosciamo il tempo per gli anni non perder le forze; perche quell'istesso può egli far hoggi, che puotè quando anco fu creato. Che il suo vestire sia poi rozo, & vile è per voler dimostrare, che quelle cose, che si maneggiano d'intorno le cose terrene sono vili, & abiette.

 

Giorno, vigesimo figliuolo dell'Herebo.

Il Giorno fu figliuolo dell'Herebo, & della Notte; cosi tra le Nature de' Dei scrive Tullio. Questi, facendolo Theodontio femina, vuole, che fosse dato per moglie all'Aere, ò vogliamo dire alla sfera del Foco suo fratello. Che fosse poi figliuola dell'Herebo, & della Notte, da alcuni s'allega tal ragione. Perche togliendo tutto l'Herebo in luogo d'una parte, volsero, che fosse pigliato per l'universo corpo della terra. Dalla cui estremità, chiamata da' Greci orizonte, non è dubbio, che dando luogo la notte non si levi il Sole, & il Giorno non si faccia, & cosi l'Herebo haver prodotto dalla Notte il Giorno. Che poi fosse congiunto in matrimonio con l'Ethere lo dicono per questo, perche pigliano l'Ethere per lo foco, che non può mancare di chiarezza, & perciò quando il Giorno è chiaro non vogliono dimostrare alcun'altra cosa, che la chiarezza al foco congiunta. Questo Giorno poi dagli antichi (poscia, che fu detta la sera, & fatta la mattina) fu designato di tale grandezza, che quel tempo, che passa dal levar del Sole, & circonda tutto il mondo, fino a tanto, che ritorni onde s'era levato, insieme con quella notte, che vi s'include sia detto un Giorno, & questo è naturale, percioche è diviso in ventiquattro parti eguali, & queste le chiamarono hore. Indi, si come a loro parve, vi fu sopragiunto il Giorno arteficiale, ilquale partito in Giorno, & Notte, a ciascuna delle parti, cioè al dì, & alla notte concessero dodici hore, benche diseguali, & quello chiamarono artificiale dall'artificio di chi se l'imaginò; del quale ne' suoi giudici per lo più si serveno gli Astrologhi. Indi i medici trovarono il dì Cretico, & di quello usano d'intorno l'osservationi dell'infermità. Il principio poi dei giorni naturali egualmente non si piglia da tutte le nationi. Perche i Romani, come dice Marco Varrone, volsero ch'incominciasse dalla mezza Notte, & havesse fine al mezzo dell'altra, che segue; laqual regola fin'hora servano gli Italiani, & specialmente nelle cause giudiciali. Gli Atheniesi, già incominciando il giorno dal tramontar del Sole, lo finivano all'occaso del giorno a venire. I Babilonici poi facevano dal levar del Sole quello, che gli Attici facevano dal tramontare. Quei dell'Umbria, &, che sono Toscani gli davano principio dal mezogiorno, & lo terminavano al mezogiorno del seguente dì; laquale usanza fin hoggidì da gli Astrologhi viene osservata. Oltre di questo, il giorno naturale è anco distinto secondo diverse sue qualità con varij nomi. Percioche, come afferma Macrobio nei Saturnali, incominciando dal principio del giorno de' Romani, chiama il primo tempo del giorno inchinatione di meza notte, attento, che la notte nel principio del giorno incominci declinare. Indi chiamarsi dal canto del Gallo, Gallicinio. Il terzo conticinio, perche tutte le cose adormentate paiono sepolte. Il quarto Diluculo, conciosia che pare, che la luce del giorno incominci dimostrarsi. Conseguentemente il quinto tempo, levandosi già il Sole, volsero dir mattina, ò che dalle mani l'incominciamento della luce sia paruto uscire, ò dall'augurio del buon nome; attento, che i Lanubini interpretano mattina per bene. Il sesto poi chiamarono Meridio, cioè mezzogiorno, il che noi diciamo Meridie. Da quest'hora in poi il tempo, che s'estende verso la notte, ch'è il settimo, dicesi Occidente, perche pare, che cada. L'ottavo poi è chiamato ultima tempesta percioche sia l'ultimo tempo del giorno, come nelle dodici tavole si contiene; l'ultima tempesta sarà il montar del Sole. Indi il nono tempo si chiama Hespero; il che è tratto da' Greci, perche quelli chiamano Hespero da quella stella Hespero, che appare nel tramontar del Sole. Il decimo tempo poi, ch'è il principio della notte, si dice prima face, percioche alhora le stelle incominciano apparire, overo, come piace ad altri, perche alhora cessando la luce incominciamo accendere i lumi, per vincere con quelli le tenebre della notte. L'undecimo è chiamato notte concubia, percioche in quell'hora dopo l'essersi alquanto vegghiato si va a riposare. Il duodecimo tempo del giorno, ch'è il terzo della notte, vien detto intempesto, conciosia che non pare commodo a alcuna operatione; il cui fine è l'inclinatione della meza notte circa il principio c'habbiamo detto. Appresso, havendo la diligenza humana (havuto rispetto al settennario numero, ilquale gli antichi per certe cagioni tennero perfetto) disposto tutto il tempo de' giorni far il suo corso per settimane, & quei giorni della settimana con diversi nomi chiamare, alcuni degli huomini furono avezzi ricercare le cause di tali nomi. Lequali istimo queste; essendone cinque appresso noi nomati da i Pianeti, il sesto, dagli Hebrei detto sabato, da' Christiani poi non è stato cangiato, percioche dicano Latinamente voler dire riposo, affine, che si vegga che, havendo creato Iddio in sei giorni tutte le cose, nel settimo volse riposare. Ma la Domenica, ch'a noi Christiani è il settimo giorno, cosi è chiamata perche in tal giorno Christo figliuolo d'Iddio non solamente riposò da tutte le sue fatiche, ma vittorioso risuscitò da morte, & cosi quella i famosi padri dal Signor Nostro nomarono Dominica. Altri vogliono, che sia cosi detta dal Sole, perch'egli è prencipe de' Pianeti, & indi sia detto Signore, & perche habbia il prencipato dell'hora prima dell'istesso giorno, per ciò quella essere chiamata Domenica. Ma essendo molto diverso l'ordine di pianeti di quello, che sia tenuto de nomi de' Dei, è da sapere secondo l'ordine dei pianeti successivamente a ciascun'hora del giorno essere data la signoria, & da quello a cui tocca il dominio della prima hora del dì, da lui quel giorno prende il nome; come sarebbe a dire, se tu attribuirai a Venere la seconda hora del giorno di Dominica, laquale subito è sottoposta al Sole, & a Mercurio la terza, ch'è sottoposto a Venere, & alla Luna la quarta, ch'è sottoposta a Mercurio, e la quinta a Saturno, a cui è da rivolgere l'ordine, quando mancherà nella Luna, la sesta à Giove, & cosi di tutte le altri ventiquattro hore del dì Dominicale, sotto il nome overo dominio di Mercurio si trova la vigesimaquarta hora, & la vigesimaquinta, che è la prima del giorno seguente, sotto il nome overo Imperio della Luna, & però da quella viene nomato il secondo dì della settimana, overo più tosto il primo, accioche il dì della Dominica sia il settimo della settimana, & il giorno di riposo. Dalla cui prima hora del giorno del Lunedì, se con l'istesso modo computerai xxiiij hore, troverai la vigesimaquarta hora di lui fermata sotto l'imperio di Giove, & la vigesimaquinta sotto il poter di Marte, dal quale anco esso secondo giorno di Marte ha havuto nome, perche all'hora sua prima Signoreggia Marte. Et cosi successivamente di tutti gli altri, fino a tanto, che tu giungerai all'ultima del sabbato; laquale soggiace a Marte, & segue adietro la prima della Dominica ascritta al Sole; dal cui il giorno, come habbiamo detto, è stato chiamato. Il dì natural poi, essendo terminato col giorno, & con la notte, è nomato solamente da tutto il giorno come da più degna parte, & dì dagli Dei chiamato, percioche Dijos Grecamente s'interpreta Dio. Attento, che si come gli Dei, secondo l'opinione degli antichi, sono favorevoli a mortali, cosi i dì sono prosperi, & da essi Dei anco per tal causa sono derivati.

Hora, che usciti fuori di sotterranee cave, con l'aiuto d'Iddio, siamo giunti alla luce del giorno, restava a noi, accioche ugualmente havessimo trattato di tutti i figliuoli dell'Herebo, che anco si fosse detto del Foco, ilquale vogliono essere stato figlio dell'istesso, & appresso havessimo descritto quello, che gli antichi ne sentano. Ma perche ogni suo figliuolo maschio, eccetto questo, è sterile, & di costui non è picciola la discendenza, & assai in lungo si è steso il volume, m'è paruto più honesto serbarlo nel secondo libro, & al primo dar fine.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO SECONDO

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collatino di Collalto

 

PROEMIO

Siamo con la gratia, & favore del nostro vero, & onnipotente Iddio usciti  fuori delle Caverne, dove habbiamo tratto quasi tutta la prole dell'Herebo; & fino dove è stato conceduto all'ingegno, tolti via i figmenti, ignuda nel precedente volume l'habbiamo posta inanzi ai Lettori.

Et veramente, non senza gran fatica tra gli Stigi fumi, & i nuvoli della mia navicella quà & là pericolante, ciò ho potuto fare. Ma poscia che s'è venuto in più aperto mondo, forse con minor dubbio avanzeremo i diversi viaggi, & gli strani Euripidi, l'onde de quali, che s'alzano fino al Cielo, s'io non m'inganno veggio. Perche tra gli altri il difficile Ethere, ò vogliamo Aere, ò più propriamente dir foco, tratto dalle viscere dell'Herebo in altezza, primo col suo impeto ci occorre, non solamente fecondo per la gran prole, ma anco molto riguardevole. Della cui, se a bastanza drittamente riguardo; il primo Giove n'è uno, il quale non meno è risplendente per la gloria di cosi famoso nome, che per la grande successione; la cui, s'io voglio descrivere, mi bisogna, cacciato dal flusso del mare, solcare per tutto il lito d'Egitto, di Soria & il tuo Reame di Cipro. La quale, essendo tanto alla grandezza tua, ò famosissimo Re palese & chiara, quanto è più lontano il navigare, ti prego, per l'eccelso honore del tuo nome, che patientemente tu sopporti i miei errori, & a usanza di Principe pio, più tosto commandi, che siano corretti, che lasciare, che siano stracciati dai denti degli invidiosi. Percioche io con la vela spiegata dalle foci dell'Orco piglio viaggio, pregando colui, che (pericolando nel mare di Genesareth i discepoli) commandò a i venti, & l'onde, che drizzi il mio camino a buon porto.

 

L'Ethere o vogliamo dir fuoco, vigesimo primo figliuolo dell'Herebo, che generò Giove primo, & Celio, overo Cielo.

L'Ethere, ò vogliamo dir Aere, ò Fuoco, si come piace a Tullio nelle Nature de' Dei fu figliuolo della Notte & dell'Herebo. Il quale, come, che alle volte propriamente sia tolto per lo Cielo, nondimeno da molti pare, che sia istimato l'elemento del foco. Cosi testimonia Uguccione; cosi pare, voglia che Ovidio nel principio del suo maggior volume, dove dice;

 


Ciò sopra pose il liquid'Aer, che manca

Di peso, e in se non ha faccia terrena.


 

Et quello, che va dietro. Alcuni tennero questo essere la prima causa di tutte le cose, come di sopra è stato detto; & similmente Pronapide dimostra con la fittione essere figliuolo di Demogorgone, mentre disse ch'il Chaos infiammato mandò fuori sospiri. Ma m'è paruto credere a Cicerone. Il quale Foco, come, che molti il facciano sterile, egli nondimeno scrive, che fu fecondo, & che generò Giove primo & Celio; da' quali venne & discese poi tutta la gran prole de' Dei.

 

Giove primo figliuolo dell'Ethere, il quale tra maschi, & femine hebbe tredici figliuoli; il primo de quali Minerva, il secondo Apis, il terzo il Sole, il quarto Diana, il quinto Mercurio, il sesto Tritopatreo, il settimo Abuleo, l'ottavo Dionisio, il nono Hercole, il decimo Proserpina, l'undecimo il padre Bacco, il duodecimo Epafo, & l'ultimo Scitha.

Dice Theodontio, che Giove primo fu figliuolo dell'Ethere & del Giorno; del qual Giove veramente, come, che sia stato ornato di cosi chiaro nome; non mi ricordo haver letto alcuna cosa, & poche intese, che siano lodevoli. Raccontava Leontio, huomo Greco & di tali narrationi copiosissimo, costui pria c'havesse cosi gran nome essere stato chiamato Lisania, huomo d'Arcadia & veramente nobile. Il quale d'Arcadia se n'andò ad Athene, & essendo di grand'ingegno, & veggendo in quel rozzo secolo gli Atheniesi vivere rozzamente & quasi da fiere; prima d'ogn'altra cosa ordinò alcune leggi, & con publiche institutioni insegnò il vivere, & fu il primo ch'a loro, i quali havevano le donne come communi, mostrò il celebrare de matrimoni, & havendoli già ridotto ai costumi humani gl'insegnò adorar i Dei; ordinò a quelli altari, tempi & sacerdoti, & appresso gli dimostrò molt'altre cose utili, le quali riguardando & molto lodando i selvaggi Atheniesi, istimandolo Iddio lo chiamarono Giove & lo fecero suo Re. Queste cose so io di costui. Hora mo', poscia, che haveremo veduto perche lo finsero figliuolo dell'Ethere & del Giorno, & perche appresso gentili fu riverito tanto il nome di Giove, vedremmo poi il suo significato, & cercheremo di sapere quale potesse essere la cagione di tal nome & di tal deità. Il dicono adunque figliuolo dell'Ethere ò per nobilitarlo con cosi generoso padre, percioche tenevano la prima cagione delle cose il Fuoco, & cosi non gli potevano dar più nobil padre, overo perche l'istimarono huomo celeste, overo un Dio venuto dal Cielo, per la ragione della profondità dell'ingegno, ò perche videro in lui una natura di fuoco, che sempre a guisa di fiamma tende in alto; come puossi a lui attribuire quel verso di Virgilio;

Vigor di fuoco, e origine celeste.

Che sia poi detto figliuolo del giorno, credo ciò essere detto perche, si ben'alcuno nasce atto a gran cose, nondimeno subito ch'è nato non può oprar quello al cui fine è prodotto; bisogna, che di giorno in giorno se gli accrescano le forze, & l'animo si faccia maggiore nel fervore dell'essecutioni di quelle; & poi, ch'egli le opri, le cui opre, perche nel giorno sono vedute & conosciute, dal Giorno pare prodotto con nuovo parto; come tra tali si può dire quello, che scrive Valerio di Demosthene: per la qual cosa la madre produsse un Demosthene, & la industria ne ha partorito un altro. Cosi un Lisania ha partorito la madre, & un altro il giorno, testimonio dell'opre. Appresso questo Lisania fu chiamato dagli Atheniesi col nome di Giove, per inanzi già mai a alcuno altro de' mortali non conceduto; nè anco ad esso Iddio fin'hora da' gentili era stato imposto, nè a pieno si sa onde sia stato tolto dagl'impositori. Nondimeno io penso quello essere stato causa di tal nome, che anco troviamo essere avenuto di molti altri Pianeti, cioè, che gli fosse dato il nome di Giove dalle operationi conformi di tal huomo. Percioche dice Albumasare nel suo maggior Introduttorio il pianeta di Giove per natura esser calido, & humido, aereo, temperato, modesto, honorato, molto lodevole, osservator di patienzia, nei pericoli dopo la patienzia ardito, liberale, clemente, aveduto, vero amatore, avido di dignità, fedele, parlatore, amico de' buoni, inimico dei cattivi, amator di Principi & maggiori; & molto altre cose scrive di lui, nelle quali aggiunge quello significare natural anima, vita, bellezza, huomini saggi, Dottori di leggi, giusti Giudici, riverenza de' Dei, religione, vittoria, regno, ricchezza, nobiltà, allegrezza & altre simili. Le quali considerate, & poi contrapesati i costumi di quest'huomo, di maniera conosceremo quello convenirsi con Giove, che non inconvenevolmente diremo essere chiamato Giove, & crederemo questa conformità & convenevolezza essere stata cagione di tanto nome. Ma non leggiamo, che questo, poscia, che fu conceduto dagli antichi al Pianeta & a Lisania, non fosse anco da' più moderni attribuito ad alcuni altri, come a Giove secondo figliuolo di Cielo, il quale fu huomo Arcade & Re d'Atheniesi. Et appresso a Giove terzo, huomo di Creta & figliuolo di Saturno; cosi anco a Pericle Prencipe Atheniese, il quale molti chiamarono Giove Olimpio. Oltre di ciò i Poeti ne' suoi figmenti inclusero il fuoco elemento, & alle volte il fuoco & l'aere, sotto il nome di Giove. Et tanto s'è inalzato, che da' più prudenti è stato ascritto al sommo & vero Iddio; & ciò non immeritamente. Perche a lui solo si conviene cosi degno nome. Ilche non rifiuterà il Christiano, considerata la significatione del nome, se ciò non fosse stato inventione de Gentili. Imperoche vogliono alcuni huomini saggi, che Giove sia detto da giovare, & suoni l'istesso, che padre giovante; la qual cosa al solo vero Iddio si conviene. Egli veramente è il vero Padre, & fu da eterno & sarà in sempiterno, il che di nessun altro non si può dire. Similmente aiuta tutti & non nuoce a alcuno; & tanto è difensore che, se non c'è il suo aiuto, tutte le cose andrebbono in ruina in subito; & ciò sarebbe necessario. Appresso, questo nome Giove in greco viene detto Zeph, che Latinamente suona vita. Et chi alle cose & a tutte le creature è vita, se non Iddio? Egli senza dubbio di sé stesso parlando, lo dice: Io sono la strada, la verità, & la vita. Et veramente cosi è. A lui, per lui, & in lui viveno tutte le cose. Fuori di lui, eccetto la morte & le tenebre non v'è altro. Costui, se bene gli antichi Romani drittamente non l'honorarono, chiamarono nondimeno Giove ottimo massimo, essendo sforzati dimostrarlo per queste poche parole. Percioche per grandezza & potenza trapassò gli altri Dei, & ch'egli solo sia il sommo bene, & che da lui dipenda la vita & l'aiuto a tutti. Oltre ciò, molto altre cose potrei descrivere qui, che i Poeti hanno attribuito a Giove, com'è l'armigero uccello, la quercia, le guerre, la moglie Giunone, & altre tali. Ma perche queste paiono drittamente convenirsi a quello, che si favoleggia di Giove Cretese, ho giudicato bene essere da lasciarle a lui. Ma non si ha chiara certezza, famosissimo Re, se gli Atheniesi havessero costui per Dio, ò pure se lo facessero. Perche se lo fecero, egli è da sapere gli antichi essere stati avezzi, per accrescere la nobiltà dell'origine, con certe sue vane cerimonie mettere nel numero de' Dei gli edificatori delle loro Città, & con sacrifici & tempi adorarli. Cosi anco facevano l'istesso verso i padri & parenti dei suoi Prencipi, & medesimamente verso essi Prencipi, quando da quelli havevano ricevuto qualche beneficio, affine di mostrarsigli grati, & per dar animo agli altri ad oprar bene, per disio di cosi honorata gloria. Appresso, scriveno gli antichi essere stati molti i figliuoli di Giove, de' quali istimo veramente alcuni essere stati figliuoli di Giove; ma di qual Giove, ò primo ò secondo ò terzo, d'alcuni non se n'ha certezza. Cosi anco molti altri per la degna preminenza della virtù & per inalzar la gloria del sangue, similmente dai Theologhi sono attribuiti a Giove de' Gentili; i quali io lascierò a quel Giove, percioche più paiono moderni.

 

Minerva prima figliuola del primo Giove.

Minerva, secondo quasi il publico grido di versi di tutti i Poeti, fu figliuola di Giove; del cui nascimento si narra tal favola. Che veggendo Giove Giunone sua moglie non gli far figliuoli, per non restare in tutto senza figliuoli, percosso il suo cervello mandò fuori Minerva armata. Il che pare essere confermato da Lucano, dicendo;

 


Pallade ancor non poco ama costei.

Dicono Giove al nascer di Minerva

La qual'è nata dal Paterno capo,

Fatto haver fiammeggiar l'aurate pioggie.


 

Et nella natività sua dice Claudiano,

Appresso dice Servio costei essere nata nella quinta Luna, si come gli altri, che sono stati sterili. Oltre ciò, vogliono essere stata sua inventione la lana & il filarla, la quale prima non era conosciuta. Et cosi anco il tessere. Lao onde piace ad Ovidio costei haver havuto contentione con Aragne Colofonia sopra la testura, & essere restata vincitrice. Cosi anco con Nettuno sopra il dar nome alla città d'Athene. Appresso, alcuni la fingono armata & sovrastante della Rocca d'Athene. Indi a quella Tito Livio attribuisce il ritrovar de' numeri & le loro figure, attento che per inanzi gli antichi in vece di numeri usavano segni. Recitasi anco di costei un'altra favola. Che havendo ella fatto presuposto di serbare perpetua la sua castità, & Vulcano essendosi inamorato di lei, egli la dimandò per sposa al padre suo Giove, per premio delle saette da lui a quelle fatte con le qual fulminò i Giganti. Là onde Giove, consapevole del voto della figliuola, gli la concesse con tal patto, ch'egli vedesse se la poteva conquistare & ridurre a far le voglie sue. Dall'altro lato diede ampia licenza a Minerva che, s'ella non se ne contentava, si potesse difendere con tutte le forze a suo maggior potere. Così, mentre Vulcano faceva ogn'opra per metterla di sotto, & ella in contrario gli facesse resistenza, avenne, che Vulcano si corruppe, & di quel seme ch'in terra cadè nacque un fanciullo; & ella fu lasciata in pace. Dicono anco quella andar vestita con tre vesti, & gli le consacrarono un elmo in cima un'asta dipinto; & in sua difesa, levatale la Cornice, le posero la Civetta. Indi chiamarono con molti nomi, come Minerva, Pallade, Athena & Tritonia. Spiegate queste cose, l'ordine incominciato voleva che fosse scoperto quello, che gli antichi havessero potuto comprendere sotto i figmenti. Ma qui è da considerare, che tutti quanti i figmenti giù locati non s'appartengono a questa Minerva. Veramente quella del nome istesso ha intricato l'orecchie delle genti, non si curando di ciò i Poeti. Percioche, come afferma Leontio, le arme non s'appartengono a questa, nè il contrasto di Nettuno; ma più tosto sono di quella Minerva, che fu figliuola del secondo Giove. Et però lasciate quelle scovriremo l'altre, & v'aggiungeremo alcune cose historice. Vogliono adunque Minerva, cioè la Sapienza, essere uscita dal cervello di Giove, che tanto è come discesa da Iddio. Percioche i Fisici vogliono tutta la virtù intelletuale essere locata nel cervello, come in una fortezza del corpo. Di qui fingono Minerva, cioè la sapienza, nata dal cervello d'Iddio, affine ch'intendiamo ogni intelligenza & ogni sapienza essere infusa dal profondo segreto della sapienza divina; la quale Giunone, cioè la terra, in quanto a questo sterile non poteva concedere nè può dare. Perche, col testimonio della sacra scrittura, ogni sapienza viene dal Signor Iddio. Et ella istessa medesimamente ivi dice: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo. Et cosi veramente con industria finsero quella non come noi siamo generati, ma dal cervello di Giove essere nata, per dimostrare la singolar sua nobiltà lontana da ogni terrena sporcitie & feccia. Indi a lei si attribuisce la virginità perpetua & poi la sterilità, accioche per questo si conosca, che la Sapienza mai non si macchia per alcun appetito nè atto delle cose mortali; anzi sempre è pura, lucida, intiera & perfetta. Et in quanto alle cose temporali è sterile, essendo i frutti della Sapienza eterni. Ciò, che sentirono poi del suo contrasto, egli si scriverà più di sotto, dove si tratterà d'Erittonio & di questo contrasto. Si cuopre con una veste a tre falde, accioche siano intese le parole de' saggi, & specialmente di quei, che fingono sotto coperta di sensi diversi. A lei appresso è consacrato un arbore dipinto, affine, che conosciamo i parlari dei savi essere ornati, fioriti, eleganti & molto limati. La Nottola poi, a lei dedicata invece della Cornice, è per dimostrare il savio con l'avedimento conoscere le cose poste in oscuro, si come anco la Nottola vede nelle tenebre; onde cacciate via le ciancie & il garrire, dia opra in haver riguardo a tempo & luoghi. Minerva poi è derivata, come dice Alberico, da Min, che significa non, & Erva, che vuol dir mortale; onde nasce la sapienza essere immortale. Pallide & Athene è nome convenevole ad altre Minerve; di che dove d'elle si tratterà, esporremmo il tutto. Ma Tritonia è detta da un loco ò vero da un laco, il quale in Africa è detto Tritone, là dove ella al primo tratto comparve. Esposte adunque le fittioni in questo modo, egli è da passare all'historia, & sapere, che Minerva fu una certa donzella della cui origine non s'ha cognitione; la quale essendo di grand'ingegno, come dice Eusebio, regnando Foroneo in Grecia, prima appresso Titonia palude over lagho d'Africa comparve, non sapendo alcuno da quali contrade ella si fosse venuta. Dice nondimeno Pomponio Mela nella sua Cosmografia, che gli habitanti istimarono quella essere ivi nata; & le favole ne fanno fede, perche quel giorno natalitio, che pensavano essere stato il suo lo celebravano con giuochi di donzelle, che tra loro contrastavano. Questa adunque havendo trovato il filar della lana, la testura & molte altre cose artificiose, fu tenuta per famosa Dea. Et perche tutte le sue inventioni parevano derivare da sottile ingegno & da sapienza, fu aggiunto loco alla favola ch'ella fosse nata dal cervello di Giove. Di costei dice Agostino nel libro della Città d'Iddio che, regnando Ogigi in Attica, ella comparse in habito virginale appresso il laco Tritone, si come è stato detto; & essendo inventrice di molte opre, tanto più facilmente fu tenuta Dea quanto meno la di lei origine fu incognita. Nè da Eusebio è differente Agostino nel tempo, percioche l'istesso Eusebio dimostra Foroneo & Ogigi essere stati ad un medesimo tempo. Et perciò io ho ascritto costei figliuola al primo Giove: attento, che più a lei parmi convenirsi per lo tempo, che a alcun altro.

 

Apis Re d'Argivi, secondo figliuolo del primo Giove.

Eusebio nel libro dei Tempi dice, che Apis, il quale fu poi Re d' Argivi, fu figliuolo di Giove & di Niobe figliuola di Foroneo; con il cui istesso Eusebio scrive Giove prima, che con nessun altro essersi congiunto. Et cosi fu il primo Giove, attento, che per la distanza del tempo molto più inferiori siano gli altri. Ma Leontio disse costui essere stato figliuolo di Foroneo & di Niobe, sorella & moglie sua, & a lui essere successo herede nel reame di Sicioni; ma poi dagli Egittij essere stato fatto Iddio & figliuolo di Giove. Di questo Api si narrano molte cose; percioche, come rifferiscono alcuni, havendo alquanto tempo signoreggiato dopo la morte di Foroneo agli Argivi, per disio di gloria & ingordigia di maggior reame passò in Egitto; & ottenuto quel regno, poscia, che hebbe insegnato molte cose a quegli huomini rozzi fu incominciato ad essere tenuto per Dio, havendo già tolto l'Iside per moglie. Ma Eusebio scrive ch'egli fu Re di Sicioni, & dove da quello egli è stato detto. Del tempo suo poi, diversa è l'opinione de' scrittori degli annali. Perche alcuni dicono al tempo d'Abraam la Grecia da lui essere stata detta Apia; altri poi vogliono che, già nato Giacob, appresso gli Egittij essere stato tenuto Iddio. Ma Beda in quel libro ch'egli scrisse de' Tempi dice nel tempo di Giacob da Api essere stata edificata Menfi. Oltre di ciò, Eusebio parla secondo altri egli essere stato Re degli Argivi & haver regnato cento anni dopo Giacob, & ivi dice che, havendo Api creato governatore dell'Acaia Egialeo Re & suo fratello, se n'andò in Egitto, & edificò la città di Menfi. Ch'egli poi se n'andasse in Egitto & togliesse per moglie l'Iside, a bastanza da tutti è creduto. Ma si come del suo tempo si dubita, cosi anco della sua morte si dicono diverse cose. Perche alcuni vogliono lui essere morto appresso gli Egittij & sepolto; del quale nel libro della Città d'Iddio cosi dice Agostino; Il Re d'Argivi Apis, essendo navigato in Egitto & ivi morto, fu creato Sarapis, tra tutti gli altri Dei degli Egittij maggiore. Del nome suo poi: perche doppo morte fosse detto più tosto Serapis, che Apis, Varrone ne renda facilissima ragione. Perche l'arca nella quale si mette il morto, chiamata da tutti sepoltura, in greco si dice Soron; & ivi haveano incominciato honorare il sepolto, pria, che gli fosse il tempio edificato. Onde Soron & Apis, prima Sorapis; indi cangiata una lettera come si suol fare, fu poi detto Serapis. Altri poi dissero lui essere stato morto dal fratello Tifeo & a brano a brano stracciato, & lungamente cercato dalla moglie Iside, & ultimamente trovato, & le sue membra raccolte in un panieri; onde poi fu rivolto in religione, nei sacrifici cioè nei februi intravenirgli il crivello. Ma la Iside poi portò le membra raccolte oltre la palude Stigia, ch'è in Africa in una Isola molto lontana, & ivi le ripose. Et vogliono, quelli, che ciò istimano vero, essere nato dal lungo ricercare dell'Iside quello, che lungamente fecero gli Egitii, i quali non prima restarono di cercar lei che, trovato un toro bianco, & a quello ritrovato usando vezzi, lo chiamarono Osiri. Et perche ciò si faceva ogni anno, disse Iuvenale.

Et il mai non cercato a pieno Osiri.

Ma andasse egli quando si volesse in Egitto, ò morisse come si volesse, ò fosse sepolto ad ogni via, che più piaccia, fu in tanta riverenza Apis appresso gli Egittij, che da loro si venne a tal conditione (affine, che la sua divinità non potesse essere machiata da alcuna ombra l'humanità), che publicamente fu ordinato, che se alcuno havesse ardire chiamar quello essere stato huomo, subito gli fosse tagliato il capo. Et per ciò in ogni tempio la sua imagine stava con un dito posto inanzi alla bocca, dimostrando il silentio. Appresso, dice Rabano, che i pazzi Giudei nell'heremo adorarono in loco d'Iddio il capo di questo toro, il quale gli Egittij istimarano Serapin. Oltre di ciò, dimostra Macrobio nel libro dei Saturnali questo Apis con gran riverenza appresso Alessandria d'Egitto essere adorato, affermando ch'eglino fanno quello honore al Sole. Et cosi pare, che s'istimi Apis essere il Sole.

 

Il primo Sole terzo figliuolo del primo Giove.

Scrive Tullio nelle nature degli Dei il primo Sole essere stato figliuolo del primo Giove; nondimeno non dice di qual madre nascesse. Sono di quelli, che vogliono costui essere stato Apis, conciosia, che in luogo del Sole da gli Egittii, si come di sopra habbiamo detto, viene adorato. Ma io, che egli sia stato altramente non mi ricordo haverlo ritrovato; tuttavia sono certo, che fu huomo, & cosi fu differente da Apis. Egli è da credere anco, che fosse un huomo notabile, famoso, & ornato d'animo grande & reale, & in quella guisa, che di sopra è stato detto di Giove essere stato ornato di cosi famoso nome.

 

Diana prima, quarta figliuola del primo Giove.

La prima Diana fu figlia del primo Giove, & Proserpina, come nel medesimo libro di sopra afferma l'istesso Tullio. Istimo anch'io costei essere stata vera figliuola di questo Giove, & non putativa. Et essendo quel nome assai usato dalle donne, è anco possibile, che fosse proprio, & non ritrovato. Ma quale ella si fosse; non è quella, ch'i Poeti fanno cosi famosa di perpetua virginità, leggendosi costei di Mercurio figliuolo di Libero, & di Proserpina haver conceputo il pennato Cupido.

 

Mercurio primo, figliuolo quinto del primo Giove.

Afferma Leontio Mercurio essere stato figliuolo del primo Giove & di Cilene ninfa d'Arcadia. Scriveno i Poeti costui essere stato messaggiero de' Dei & loro interprete. Onde con diversi ornamenti lo dipingono, accioche per quelli s'intenda la varietà dei suoi affari. Scrive di lui Virgilio in questa forma;

 


Prima si lega i suoi talari, ai piedi;

I quali d'oro sopra il mar con l'ali

In alto, over sopra la terra insieme

Velocemente il portano liggieri.

Piglia la verga poi, con la qual'egli

Leva dal centro l'anime tremanti

Et altre qui nel mesto Inferno manda;

Con quella apporta i sonni; e i lumi insieme

Con morte segna; e appresso e' venti caccia

Con furia; e ferma i nuvoli turbati.

Et quello, che segue.


 

Appresso Horatio di lui cosi scrive nelle Ode.

 


O Mercurio d'Athlante alto nipote.,

Che con la voce de l'ornato canto

De la tua pura cetra, i fieri volti

Degli huomini novelli pur formasti.


 

Oltre di ciò Statio gli aggiunge il capello, dicendo;

 


Et ventilla le chiome; & col cappello

Tempra le stelle.


 

Nondimeno, benche leggiamo più huomini essere stati Mercurij, tuttavia riguardando quelle cose, che poco di sopra di lui scriveno i Poeti, come, che si possano applicare ad un huomo, più tosto presumeremo, che siano scritte sopra il Mercurio pianetta; & maggiormente se riguardaremo qualmente con quelle cose, che sono scritte dagli Astrologhi si confacciano le dette dai Poeti. Perche Albumosaro, huomo tra gli antichi di grandissima auttorità, afferma Mercurio essere di cosi pieghevole natura, che incontanente s'appiglia a quella ch'egli s'accosta converte la natura dell'huomo, che ne partecipa; & questo aviene per lo temperamento della sua sicità & frigidità. Ma l'honorato Andalone, mio precettore, di complessione lo chiama calido & secco, & che significa dilettatione di concubine, chiarezza & oracoli di Poeti, eloquenza & memoria d'historie, credenza, bellezza, bontà, disciplina, sottigliezza d'ingegno, scienza di cose future, Aritmetica, Geometria & Astrologia. Et appresso, haver in sé la descrittione di tutte le cose, cosi celesti come terrestri. Oltre di ciò, auguri, dolcezza di ragionamenti, velocità & disio di signori. Et quello lode, fama; & appresso tonsura di chioma, scrittori, libri, bugie, testimonio falso, considerationi di cose rimotte, poca allegrezza, ruina della sostanza, negotii, compride, furti, liti, astutie, profondità di consiglio, dolcezza di versi & canzoni, colorationi diverse, ubidienza, pace, concordia, pietà, povertà, conservatione d'amicitia, artefici manuali, & molte altre cose si dinotano. Et come afferma esso Andalone, con i maschi è maschio & con le femine feminile. Per le quai cose facilmente possiamo comprendere ch'essendo di cosi convertevole natura, di lui ne i prescritti versi haver inteso i Poeti come, che l'istesso si possa anco dire degli huomini Mercuriali & anco si dica, secondo, che si dimostrerà nelle seguenti. Ma piacemi piu largamente dichiarare l'intento di Poeti, accioche più chiaramente si manifesti quanto si convengano con gli Astrologhi. Dicono adunque, affine, che dal capo pigliamo il principio, essere coperto con un capello, per dimostrarci che, si come chi si cuopre col capello schifa le pioggie & il Sole, cosi Mercurio coperto da i solari raggi, ai quali quasi sempre congiunto, fugge essere veduto da' mortali; rarissime volte certamente veduto, & a pochi è noto. Et l'huomo Mercuriale con l'astutia cuopre il suo intento. Haver poi l'ale ai taloni dinota la sua velocità, non solamente nel Moto, il quale a lui circa l'epiciclo è velocissimo, ma per la veloce donatione & apprendere delle proprietà sopracelesti de gli altri corpi; là onde si comprende la voce & l'astuta inclinatione degli huomini mercuriali. La verga poi gli è attribuita per le varietà dei corpi che a lui si congiungono, secondo le quali egli subito partisce i suoi affetti; & anco l'huomo Mercuriale d'intorno ogni opra sua, misura l'effetto & il potere. Che poi con la verga, cioè con la sua potenza, richiami l'anime dal centro, qui è bisogno più acutamente aprir l'orecchi. Furono veramente di quelli i quali istimarono tutte l'anime degli huomini al principio essere stato create insieme, & dopo, concetto gli huomini, essere state mandate in noi a morire & a passare nell'Inferno; & ivi essere tormentate fino attanto, che purghino le cose commesse in vita, & indi passare nei campi Elisi, & mill'anni da poi essere guidate da Mercurio di fiume Lethe, acciò bevendo di quello si scordassero le fatiche della presente vita, & cosi desiderassero di novo ritornare ne i corpi ai quali Mercurio le richiamava. La qual opinione ridiculosa benissimo tocca Virgilio, mentre dice;

 


Sopportiamo ciascun l'anime nostre,

Indi mandati siam per l'ampio Elisio,

Et pochi possediamo i campi lieti;

Fin, che il dì lungo a pien fornito il tempo

Leva la peste generata, e il puro

Ethero senso lascia, e il foco insieme

De l'aura pura; onde pei queste tutte

(Girato, c'hanno il spatio di mille anni)

Iddio in gran schiera al Letheo fiume chiama

Affin, che de l'oblio gustate l'acque;

Tornino a riveder le cose state,

Di novo incominciando ad haver voglia

Di ritornar nei corpi, & farsi humane.


 

Questo ufficio adunque di rivocar l'anime ai corpi vogliono, che sia attribuito a Mercurio, perche dicono, che è presidente al porto, che nel sesto mese sta nel ventre della madre; nel qual tempo molti istimano l'anima rationale essere infusa nel conceputo, & questo per opra di Mercurio, che gli signoreggia. Cosi dall'Orco, cioè dall'inferior loco, viene revocata l'anima nel corpo di quello c'ha a nascere da Mercurio. Che poi le mandi ai Tartari è opinione de' Fisici, perche per lo freddo & per lo secco, qual'è la vera complessione di Mercurio, mancando il callido & humido radicale, l'anima si disgiunge dal corpo, & secondo l'opinione degli antichi va all'Inferno. Togliere poi & dare i sonni è l'istesso con quello ch'è stato detto giudicare i nascenti in vita, ch'è il togliersi il sonno & sciogliersi in morte, che significa darli il sonno. Cacciare i venti è opra di Mercurio, perch'egli col suo freddo alle volte suscita quelli, che, suscitati, qua & là le nebbie sono portate dai loro sforzi. Vogliono anco, che sia il Dio dell'eloquenza, di mercanti, de' ladri & d'alcun'altre cose, che di sotto si diranno trattandosi degli huomini mercuriali. Che poi fosse figliuolo di Giove, è stato finto perche è creatura d'Iddio. Ma di Cilene fu detto per colorar la fittione, ò perche prima fu adorato appresso Cilene monte d'Arcadia.

 

Tritopatreo sesto, Ebuleo settimo, & Dionisio ottavo figliuoli del primo Giove.

Dice Cicerone, dove tratta delle Nature de' Dei; che Tritopatreo, Ebuleio & Dionisio furono figliuoli dell'antichissimo Giove, cioè primo Re d'Atheniesi, & di Proserpina; e, che in Athene furono chiamati Ariarchi. I quali, come, che niente io non ritrovi di loro, nondimeno istimo, che fossero famosissimi huomini, attento, che Ariarches significa Prencipe dell'armi. Percioche Aris in greco suona latinamente Marte, & Archos Prencipe; adunque furono delle guerre overo dell'armi prencipi. Il che a' que tempi, & anco hoggi dì, è grandissimo nome. Ma Leontio dice, che Ebuleo, tratto dalla fama d'Antheo figliuolo della Terra, andò a trovarlo per giuocar seco alla lotta, & havendolo vinto meritò il cognome d'Hercole; il quale pria di lui alcuno non havea meritato. Nondimeno io credo Ebuleo essere stato molto più antico d'Antheo. Similmente dice, che Dionisio mosse guerra agl'Indi, constrette le donne alla guerra, & ottenuta la vittoria ivi haver edificato la città di Nisa. Indi ritornando vittorioso fu il primo, che s'imaginò la pompa del Trionfo, & anco insegnò agli Atheniesi l'uso del vino; & da quelli fu chiamato libero, & padre; conciosia che, vivendo lui si tenevano liberi, & come conservati sotto la difesa d'ottimo padre. Le quali cose non nego, che non potessero essere state in questo modo; ma nondimeno istimo, che fossero molto da poi.

Hercole primo, & nono figliuolo del primo Giove.

Piace appresso, a Tullio, il primo & antichissimo Hercole essere stato figliuolo del primo Giove di Lisico. Et afferma costui essere stato a contrasto con Apollo sopra il tripode; nel quale, perche l'ottenne, Paolo vuole che, essendo prima detto Dionisio, perciò fosse chiamato poi Hercole. Il che veramente afferma anco Leontio; ma però non dimostra la cagione, onde non so, chi mi credere. Ma il contrasto del Tripode, cred'io, che fosse sopra l'indovinare. Conciosia che, dice Paolo le Tripode di Febo essere una spetie di lauro solo, che ha tre radici, & perciò queste nei libri de' Pontefici esser dette Tripode, & essere consacrate ad Apollo; perche essend'egli iddio dell'indovinare, questi tali allori paiono havere l'istessa virtù. Attento, che si legge che, se le frondi della spetie di tal lauro sono messe sotto il capo d'uno, che dorma, senza dubbio egli vedrà veri insogni.

 

Proserpina prima figliuola del primo Giove.

Tullio dimostra Giove haver havuto alcuni figliuoli di Proserpina, & anco dimostra, che una istessa fosse di lui figliuola. Il che è possibile, conservata l'honestà ch'egli havesse Proserpina per moglie, & che di questa medesima overo d'altra donna havesse una figliuola chiamata Proserpina, la quale pare, che l'istesso Tullio voglia, che fosse moglie di Libero suo fratello; non ricordandomi altro, che questo haver letto di lei.

 

Libero primo, undecimo figliuolo del primo Giove, il quale generò Mercurio secondo.

Cicerone nelle Nature de' Dei chiaramente testimonia il primo Libero essere stato figliuolo del primo. Ma Leontio istima costui essere stato uno istesso con Dionisio detto di sopra, & si sforza dimostrare, che tra tutti gli altri suoi fratelli fosse huomo famoso. Nondimeno Eusebio ò di questo ò d'altro (il che anch'io più tosto credo) descrive, che fu molto doppo questo tempi. Ma alcuni vogliono ch'a costui fosse sorella & moglie Proserpina, & che di lei havesse Mercurio secondo per figliuolo.

 

Mercurio secondo figliuolo di Libero, & di Proserpina, che generò Cupido, & Auttolio.

Un'altro Mercurio differente dal detto di sopra fu figliuolo di Libero & di Proserpina, come afferma Theodontio & Corvilio; del quale è recitata tal favola da Teodontio: Che havendo egli rubbato le vacche d'Apollo, che alcun altro non l'havea veduto eccetto, che un certo huomo chiamato Batto; ne donò una al detto, con tal patto, che non palesasse il detto furto. Indi cangiatosi in un'altra sembianza, per far esperienza della fede di Batto, venne a lui fingendo d'essere colui, che le havea perdute, & gli offerse un Toro s'ei gliela insegnava. Onde Batto gli rivelò tutto quello c'havea veduto. Di che sdegnato Mercurio lo converse in sasso, chiamato dagli antichi Indice, & da noi volgarmente Pietra da paragone. Finalmente Apollo, confidatosi nella sua divinità, conobbe il furto; onde pigliato l'arco con le sue saette volse uccidere Mercurio, ma Mercurio fattosi invisibile non puotè essere offeso. Ultimamente, accordatisi insieme, Mercurio concesse ad Apollo la cettra da lui trovata, & Apollo diede a lui la sua verga. Diceva appresso Paolo ch'egli havea letto altrove, che Mercurio, essendosi imaginato dell'ira d'Appollo, per non poter essere da lui offeso, segretamente pian piano gli havea tolta fuori della faretra tutte le saette. Di che l'irato Apollo essendosi accorto, & maravigliandosi della sua astutia, se ne rise, & seco fece pace. Leontio d'intorno questa favola diceva questo Mercurio essere stato figliuolo di Dionisio, che poco di sopra è stato detto Libero, & dal nascimento suo chiamato Niso; percioche nacque appresso Nisa d'India, poco inanzi edificata dal padre. Onde cresciuto in adolescenza, fu tanto veloce de' piedi che nel corso vinceva tutti gli altri dal suo tempo. Per la qual cosa lasciato il primo nome fu chiamato Stilbone, che in latino suona veloce. Poi havendo apparato l'arti magiche, et grandemente dilettandosi di ladronezzi imbolò gli armenti a Foronide sacerdote d'Apollo Delfico, che a quel tempo era tenuto di maravigliosa auttorità; & quelli havea riposti dietro una certa tomba di pietra, chiamata Batho. Ma per caso essendosi separato un toro dagli altri compagni, & volendo ritornare a quelli, avenne, che cadè entro quella tomba, & incominciando a mugghiare gli altri tori con i loro muggiti gli rispondevano; là onde udita la voce da quei, che gli ricercavano, & andati, ritrovarono gli armenti involati; & quella tomba cangiato il nome di Batho fu detta Indice. Stilbone poi havendo fuggito con l'arti sue l'impeto dell'irato Foronide, finalmente divenne suo amico. Ma perseverando in tali misfatti non per avaritia, ma, come diceva, per instinto naturale: essendo appresso bello huomo, eloquentissimo & d'intorno tutti gli essercitij manuali d'acutissimo ingegno, fu nomato Mercurio & Dio dei ladri. Il che (come affermava l'istesso Leontio) se bene hebbe principio da un giuoco, l'incominciamento nondimeno accrebbe tanto appresso gli Atheniesi & Arcadi che dopo la sua morte gli furono edificati tempi & fatti sacrifici, con i quali si sforzavano farselo favorevole quelli a' quali era stato involato alcuna cosa, affermando per sua deità molte cose conservarsi & anco ricuperarsi. Et dicevano lui, si come gli altri dei, havere le sue insegne; delle quali, perche di sotto sono per dire dove tratterò del terzo Mercurio, qui non mi sono curato scrivere alcuna cosa.

 

Il primo Cupido figliuolo del secondo Mercurio.

Il primo Cupido, come dice Tullio & Theodontio, fu figliuolo del secondo Mercurio & della prima Diana; il quale dicono essere stato pennato. Il che circa due sensi poterono intenderci quei c'hanno finto. Prima d'intorno il nome, essendo stato bellissimo fanciullo a guisa di Cupido figliuolo di Venere, sempre dipinto garzone & bellissimo; quasi un altro Cupido, per tale fu chiamato. Pennato poi istimo, che lo chiamassero perche fu giovanetto velocissimo nel corso.

 

Auttolio figliuolo del secondo Mercurio, che generò il primo Sinone.

Auttolio, come piace a Ovidio, fu figliuolo di Mercurio & Lichione; il quale Ovidio dell'origine di costui recita tal favola. Dice, che Lichione fu bellissima figliuola di Dedalione, di maniera, che molto piacque ad Apollo & a Mercurio; i quali amendue ricercandola in uno istesso giorno, senza, che l'uno sapesse dell'altro, a tutti due la notte seguente promise il suo congiungimento. Onde Mercurio, senza poter indugiare, che si facesse notte, la toccò con la sua verga facendola addormentare, & con lei si giacque. Apollo poi vi andò la notte, & medesimamente seco hebbe a fare; dai quali partorì due figliuoli, cioè di Mercurio hebbe Auttolio & di Apollo Filemone. Ma Euttolio tra i ladri divenne famosissimo, di maniera, che non pareva tralignare del padre. Filemone poi fatto citharedo dimostrò ch'era stato figliuolo d'Apollo. Istimo il diverso successo del fine di questi due fratelli haver dato materia a questa fittione, & che l'uno & l'altro di loro fosse attribuito figliuolo a quel Dio del quale imitò i costumi. Et forse anco, che Auttolio nel suo nascimento hebbe in ascendente Mercurio, & però fu detto suo figliuolo. Et Apollo per l'istessa cagione s'acquistò Filemone.

 

Sinone primo figliuolo d'Auttolio, che generò Sissimo & Auttolia.

Sinone fu figliuolo (come piace a Paolo) d'Auttolio. Et Servio dice questo istesso essere stato ladro; il quale nell'essercitio di ladronezzi di maniera si trasformava in varie forme, che leggiermente ingannava ogn'uno. Generò egli Sissimo & Auttolia madre d'Ulisse, & hebbe signoria appresso Parnaso, si come si vede nell'Odissea di Homero; dove recita qualmente, appresso Parnaso da un cignale fu ferito Ulisse.

 

Sisimo figliuolo del primo Sinone, & padre del secondo.

Dice Servio, che Sissimo fu figliuolo del primo Sinone; nè di lui mi ricordo haver letto altro eccetto, che fu padre del secondo Sinone, il quale col suo tradimento fu cagione della ruina di Troia.

 

Auttolia figlia del primo Sinone, & madre d'Ulisse.

Come piace a Servio, Auttolia fu figliuola del primo Sinone. Costei essendosi maritata in Laerte Re d'Erachia, & andando a marito (secondo l'opinione d'alcuni) fu assalita & presa da Sisifo assassino, il quale hebbe seco a congiungersi. Et sono di quelli che vogliono da tale congiungimento essere nato Ulisse. Onde cosi pregna essendo andata alle nozze del marito Laerte, & venuto il tempo del partorire, colui ch'ella havea conceputo di Sisifo fu tenuto figlio di Laerte. Il che Aiace figliuolo di Thelamone appresso Ovidio nel contrasto dell'armi d'Achille a lui gitta in occhio, dicendo:

 


Di Sisifo del sangue uscito, & nato,

Et di furti, & di frode eguale a lui.


 

Costei, come si dice, essendole falsamente riportato Ulisse sotto Troia essere stato morto, non potendo sopportare il dolore con un canape si sospese; la quale da poi (come scrive Homero nell'Odissea) nell'Inferno ritrovò & conobbe Ulisse, dove la interrogò di molte cose & sopra molte fu ammaestrato.

 

Sinone secondo figliuolo di Sissimo.

Il Secondo Sinone per testimonio di Servio fu figlio di Sissimo, & dal primo Sinone suo zio cosi detto. Costui, come dimostra Virgilio, essendo andato con Greci alla distruttione di Troia, andando le cose non molto prospere, corrotto da quelli, che finsero di partirsi dall'assedio, volontariamente si lasciò pigliare da' Troiani & condurre dinanzi al Re Priamo. Appresso il quale primieramente con maravigliosa astutia s'inalzò, & poi con false parole persuase il Re & gli altri Troiani a torre entro la città il cavallo di legno, tuttavia dandogli ad intendere, che Greci volevano partirsi. Che poi avenisse di lui non lo so. Nondimeno Plinio scrive nel libro dell'Historia Naturale costui essere stato l'inventore della significatione speculativa; il che dimostra lui essere stato huomo di non picciolo ingegno & sapere.

 

Epafo duodecimo figliuolo del primo Giove, il quale generò Libia & Belo.

Hora, che habbiamo spedito tutta la prole del primo padre Libero, figliuolo del primo Giove, egli è da rivolgere il parlare ad Epafo Egittio & alla sua grandissima discendenza. Il qual Epafo, come mostra Ovidio, do Ione figliuola d'Inaco fu figlio di Giove. Ma Theodontio & Leontio egualmente dicono, che fu figlio di Giove, ma, che hebbe per madre Iside figliuola di Prometheo, si come più a basso parlandosi d'Iside apertamente si tratterà. Nondimeno Eusebio nel libro dei Tempi dice, che fu figlio di Thelegone, a cui si maritò dopo la morte d'Apis, Iside. Ma Gervaso Telliberese nel libro degli otij Imperali scrive Epafo essere stato figliuolo d'Heleno & d'Iside, & haver edificato Babilonia d'Egitto; la qual'opra più certi auttori affermano essere stata di Cambise Re di Persi. Cosi tra loro gli auttori sono differenti del padre & della madre. Là onde io seguirò la fama più commune & dirò, che fu figliolo d'Ione & Giove; della cui concettione più di sotto, dove si scrive d'Ione, intieramente si reciterà la favola. Di costui dice Lattantio, che fu moglie Cassiopia; non quella, che fu nora di Perseo, ma una più antica, & che da quella hebbe alcuno figliuolo, come poi si vederà. Del suo tempo, non meno discordano gli antichi di quello, che facciano del padre & della madre. Percioche col testimonio d'Eusebio, dove tratta dei Tempi, alcuni dicano, che Giove hebbe a fare con Ione figliuola d'Inaco regnando Cecrope in Athene, il quale signoreggiò circa gli anni del mondo tremilasecento & quarantasette; ritrovandosi poi, che Inaco regnò fino agli anni del mondo tremilatrecento & novantasette. Onde secondo questi bisognò questa essere un'altra Ione, che quella d'Inaco. Indi l'istesso Eusebio poco dopo dice la predetta Ione essere andata in Egitto l'anno quarantesimoterzo dell'Imperio di Cecrope, il quale fu l'anno del mondo tremillesettecento & dieci, & ivi essere stata nomata Iside, essendosi maritata in un certo Telegono, dal quale partorì Epafo. Ma io, lasciate le varietà ho detto Epafo essere stato figliuolo del primo Giove, percioche parmi il suo tempo più convenirsi con Ione figlia d'Inaco & Iside di Prometheo; ciascuna delle quali, che più gli piaccia, può ogn'uno darsi per madre.

 

Libia figliuola d'Epafo.

Libia nacque d'Epafo & di Cassiopea sua moglie, si come a Lattantio piace; la quale essendosi congiunta con Nettuno, cioè con altro huomo differente da Egitto; di lui partorì Busiri, che fu poi immanissimo tiranno. Costei (come dice Isidoro dove tratta dell'Ethimologie) fu reina di quella parte dell'Africa la quale dal suo nome è detta Libia.

 

Belo Prisco figliuolo d'Epafo, il quale generò Danao, Egisto & Agenore.

Belo, ilquale gli antichi dicono (secondo Paolo) fu figliuolo d'Epafo, & dopo lui nel più lontano Egitto hebbe signoria; dove, come dicono, divenuto inventore & dottore della disciplina celeste meritò dagli Egittij (secondo ch'afferma il detto Paolo) un tempio, che in Babilonia gli fu edificato & consecrato a Giove Belo. Ma Theodontio dice questo tempio essere stato fatto doppo Belo per astutia di Giove Cretese; il quale, fatte leghe con i Prencipi come per conservarle, & sotto colore di eternità, fece nei loro Reami edificare molti Tempi, & quelli col titolo del suo nome adornare. Con la quale astutia grandemente il suo nome & la deità fu inalzata. Altri sono, che dicano questo Tempio non essere stato drizzato a Belo Prisco, nè in Babilonia d'Egitto, ma a Belo padre di Nilo Re degli Assiri in Babilonia de' Caldei; & ivi lungamente sotto il nome di Saturno con sacrifici & diversi honori essere stato adorato. Oltre ciò furono a Belo Prisco alcuni figliuoli, ma non si sa di qual donne.

 

Danao figliuolo di Belo Prisco, c'hebbe cinquanta figliuole. Tra le quali solamente si sa il nome d'Hipermestra, Amimone & Buona.

Fu Danao figliuolo di Belo Prisco, come afferma Paolo, & l'istesso conferma Lattantio; il quale anco inanzi Paolo Orosio dice Danao figliuolo di Belo haver havuto da più mogli cinquanta figliuole. Le quali havendo a lui dimandato Egisto suo fratello per nuore, che medesimamente havea cinquanta figliuoli, Danao andatosi a consultare con l'oracolo hebbe risposta, se haver a morire per le mane d'un genero. Di che per schifar il pericolo, montato in nave venne in Argo. Et afferma Plinio nel libro dell'Historia Naturale ch'egli fu il primo, che passasse il mare con navi, attento, che per inanzi, trovate le navi dal Re Eritra, solamente si navigasse per lo mar rosso. Benche siano di quelli, come scrive l'istesso Plinio, che credano i Messi & i Troiani nell'Helesponto esserne stati i primi inventori, mentre passavano contra i Thracesi. Sdegnato adunque Egisto, che fosse sprezzato dal fratello, comandò ai figliuoli ch'il seguissero, ordinandogli, che non ritornassero verso casa se prima non amazzavano Danao. La onde combattendo eglino contra il zio in Argo, da quello, che poco si confidava nelle sue forze, con inganno furono presi. Percioche egli gli promise secondo il voler d'Egisto darli sue figliuole per moglie; nè di fede mancò alla promessa. Di che ammaestrate le figliuole dal padre di ciò c'havessero a fare, ciascuna entrò col suo sposo nel letto havendo seco un coltello nascosto. Onde per la crapula & per la allegrezza essendo facilmente adormentati tutti i giovani, le donzelle volendo ubbidire al padre, pigliata l'occasione scannarono tutti i suoi mariti, eccetto Hipermestra; la quale havendo compassione di Lino, overo di Linceo suo sposo, a cui già havea posto amore, gli perdonò & gli scoperse il trattato. Dice Eusebio, che questo Danao, il quale hebbe anco nome Armaide, nei tremillesettecento & sedici anni dopo la creatione del mondo incominciò regnare appresso gli Egittii. Ma cacciato poi d'Egitto se ne venne in Argo, dove cacciò dal reame Steleno, che prima havea signoreggiato undici anni alli Argivi; i quali poi cacciarono dall'Imperio Galanone suo successore & tolsero Danao, il quale gli fece abondanti d'acque. Perche, secondo Plinio nell'Historia Naturale, fu il primo, che dall'Egitto in Grecia dimostrò il cavare i pozzi. Et afferma appresso, che quasi all'istessi tempi per opra sua dalle cinquanta sue figliuole furono amazzati i cinquanta figliuoli di Egisto suo fratello, eccetto Linceo over Lino. Finalmente, regnato, che hebbe cinquant'anni, fu morto da Linceo.

 

Le cinquanta figliuole di Danao in generale.

Le figliuole di Danao con i propri loro nomi ci sono quasi incognito, attento, che a pena il nome di tre sole è pervenuto all'età nostra. Et si come habbiamo perduto i nomi, cosi anco le loro fortune, dopo il commesso peccato, sono andate in oblio. Nondimeno i Poeti hanno finto queste essere nell'Inferno condennate a tal tormento, cioè a cavar acqua d'un pozzo & empirne alcune urne senza fondo. Onde dice Ovidio;

 


Di Belo le figliuole empie, e crudeli,

C'hebbero ardir dar morte a' suoi germani,

Continuamente tornano per acqua

Et la portano dove invan si versa.

Et Seneca Tragico in Hercole furioso:

E indarno l'urne

Portano piene

Quelle di Belo.


 

Istimo questo tormento essere a loro aggiunto accioche si descriva la singolar cura delle donne, le quali mentre con la soverchia vanità studiano accrescere la sua bellezza perdono la fatica, & si sminuisce quello, che cercano con vana diligenza accrescere. Overo, che più tosto si dimostra quale sia la fatica degli huomini effeminati & lussuriosi; i quali mentre con l'usar spesso il coito credono empire quello, che disiano: senza ottenere il suo disio ritrovano haver evacuato sé stessi.

 

Hipermestra, una delle cinquanta figliuole di Danao.

Hipermestra, come nelle Pistole mostra Ovidio, fu figliuola di Danao, & fu sola, che tra l'altre sorelle, sprezzato il comandamento del padre, perdonò al suo sposo Linceo. Et perciò vuole Ovidio, che Danao la facesse imprigionare. Costei, come dice Eusebio nel libro dei Tempi, alcui istimarono esser Iside. Nondimeno, regnando il padre Danao, fu ministra sacerdote del Re.

 

Amimone una delle cinquanta figlie di Danao.

Fu Amimone, secondo Lattantio, figliuola di Danao, & una delle cinquanta sorelle. Costei, essendo con i suoi dardi in un bosco a caccia nascosta, inavertentemente percosse un Satiro; il quale a lei volendo poi usar violenza, Amimone dimandò aiuto a Nettuno. Onde Nettuno cacciato via il Satiro, la donzella sopportò da Nettuno quello, che non havea voluto patire dal Satiro, & cosi seco si congiunse, & di lui partorì Nauplio. Quello poi, che si nasconda sotto questa fittione, dove si tratterà del nascimento di Nauplio esponeremo.

 

Buona una delle cinquanta figliuole di Danao.

Vuole Dite Candiano, dove scrive dell'Impresa di Greci contra Troiani, Buona essere stata figliuola di Danao & maritata in Atelante; dal quale partorì Elettra, che poi di Giove hebbe Dardano.

 

Egisto figliuolo di Belo Prisco, c'hebbe cinquanta figliuoli, tra quali fu Linceo.

Fu Egisto figliuolo di Belo Prisco & fratello di Danao, si come a bastanza habbiamo di sopra mostrato. Costui hebbe cinquanta figliuoli; per li quali havendo richiesto a Danao suo fratello le cinquanta figliuole per spose, tutti nella notte delle nozze per comandamento di lui furono da quelle amazzati, eccetto Linceo, si come è stato detto.

 

Linceo, uno di cinquanta figliuoli d'Egisto; il quale generò Abante, Iasio & Acrisio.

Linceo, chiamato da Ovidio Lino, fu figliuolo d'Egisto, & solo per compassione d'Hipermestra tra cinquanta fratelli schifò la morte. Costui, come piace ad alcuni, cacciato il zio Danao in sua vece regnò in Argo. Altri poi dicono, che lo amazzò. Ma fosse come si voglia, secondo, che dimostra Eusebio nel libro dei Tempi, regnato c'hebbe Danao cinquant'anni, egli in suo loco nel reame successe. Et havendo signoreggiato quarant'un anno, lasciato Abante, Iasio & Acrisio suoi figliuoli, finì l'ultimo giorno.

 

Abante figliuolo di Linceo, che generò Prito.

Abante, come afferma Barlaam, nacque di Linceo & Hipermestra sua moglie, come, che Paolo dica, ch'egli fosse figliuolo di Belo Prisco. Costui fu gran guerriero & huomo di acutissimo ingegno, & successe nel reame al padre Linceo. Onde, poscia, ch'hebbe signoreggiato vent'otto anni agli Argivi (secondo Eusebio) se ne morì.

 

Prito figliuolo d'Abante, che generò Mera & le sorelle.

Prito, overo Proeto, come piace a Lattantio & Servio, fu figliuolo d'Abante Re d'Argivi. Di costui come affermano quasi tutti fu moglie Stenoboe, ma Homero dice Antiope, dalla quale hebbe tre figliuole; le quali già cresciute in età & essendo bellissime, entrando nel tempio di Giunone di maniera si levarono in superbia, che volevano precedere a lei. Di che Giunone turbata, sopra loro mandò tal furia, che s'istimarono esser vacche, & incominciarono a temer gli aratri nascondendosi nelle selve, si come dice Virgilio:

 


Con mughi falsi di Preto le figlie

Empiro i campi, le campagne, e i colli.


 

Ma Ovidio rifferisce altra cagione di tal pazzia, dicendo ch'elle nell'isola Cea si tennero esser vacche percioche consentirono al furto, che fu fatto degli armenti d'Hercole. Ma avenisse perciò, che si volesse, malamente Proeto sopportò tal sventura. Onde promise parte del suo reame, & quale più gli piacesse di sue figliuole in moglie, a colui, che le liberasse da tal disgratia & le tornasse nella primiera forma. Di che Melampo figliuolo d' Amithaone guidato dal disio del premio le tolse a curare, & come dice Vetruvio nel libro dell'Architettura le menò a Clitore città d'Arcadia; percioche ivi vicino è una spelonca dalla quale nasce un'acqua, che chi di quella gusta si fa smemorato. Et per ciò appresso quella è un Epigramma scolpito in una pietra in versi greci, che dinota quell'acqua non essere buona a lavare, & alle viti inimica. Ivi adunque fatti i dovuti sacrifici, le purgò & le ritornò nel primiero stato; & cosi hebbe una parte del regno, & una di loro per moglie. Proeto poi, secondo Eusebio, regnò dicisette anni, & a lui successe Acrisio suo fratello. Ma io istimo, se bene riguardo la medicina di questo Melampo, le figliuole di tal Proeto essere state piu avide, che non si convenga a donne del vino, & che havendo molto bene bevuto, ardissero spesse volte preferirsi al padre Re; per la qual cosa meritarono l'ira di Giunone, cioè del padre regnante, onde instigando il vino in contraria parte la castità, feminilmente rivolte in furore gridavano si essere divenute giuvenche, serve & suddite al giogo. Il che essendo loro avenuto più volte, Proeto turbato per la disgratia le diede a guarire a Melampo; il quale facendole gustare l'acqua predetta le fece divenire inimiche del vino, & il solito furore partissi da loro.

 

Merane figliuola di Proeto.

Merane; secondo Leontio fu figlia di Preto & d'Anthia figliuola d'Anfianasta; la quale essendo inchinata alle caccie & per li boschi seguendo Diana, fu veduta da Giove & da lui amata; là onde pigliata la sembianza di Diana seco hebbe a fare. Di che la giovane per vergogna del commesso peccato, & temendo di novo non essere ingannata, non volse più ubbidire nè venire a Diana che la chiamava; per la qual cosa la dea sdegnata, con una delle sue saette la amazzò. Costei dice Paolo essere stata figliuola di Stenoboe, si come furono le altre, & vuole, che ricuperata sanità divenisse seguace di Diana. Per la qual fittione, dice l'istesso Leontio; gli Hipocriti spesse volte con inganni haver condotti i sciocchi in quella ruina, che mostrano non sapere. Dalla quale, mentre il verace huomo alle volte cerca & si sforza rilevarvi i caduti, quei, ingannati una volta, temendo d'ogni cosa & divenuti increduli, sprezzando l'offertagli salute cadono in perpetua morte.

 

Acrisio figliuolo d'Abante, che generò Danae madre di Perseo.

Acrisio fu figliuolo d'Abante, come dice Lattantio, & secondo, che scrive Eusebio nel libro dei Tempi successe nel reame al fratello Preto. Questi, si come afferma l'istesso Lattantio, nè da ciò discorda Servio, havendo una sola figliuola chiamata Danae, & essendoli stato rivellato, che per le mani di colui, che era per nascere dalla figliuola havea a morire, per fuggire l'annunciatagli morte la fece rinchiudere in una certa torre & ivi guardare, accioche alcun huomo a lei potesse andare. Avenne adunque che, sparsa la fama della sua bellezza, Giove s'inamorasse di quella; il quale non veggendo altra via per poter andare a lei, cangiatosi in pioggia d'oro per li coppi del tetto lasciò cadersi nel grembo di lei, & cosi la impregnò. Il che sopportando malamente Acrisio, la fece pigliare; & messala in una cassa, comandò, che fosse gittata in mare. La qual cosa essequita dai ministri, fino nel lito di Puglia la cassa fu gittata, & per caso da un pescatore pigliata. La quale aperta, & ritrovatavi Danae & un picciolo figliuolo da lei partorito, la portò al Re Pilunno; il quale conoscendo la natione di lei & la patria, volentieri se la tolse per moglie. Ma il figliuolo di lei, nomato Perseo, cresciuto già in età, & havendo già tagliato il capo a Gorgone, venendo in Argo trasmutò Acrisio in sasso. La qual premutatione secondo Eusebio significa che, havendo regnato appresso Argivi Acrisio trent'un anno, da Perseo suo nipote non volontariamente però fu amazzato & converso in sasso, cioè in frigidezza perpetua. Quello, che ci resta sopra tale fittione, dichiareremo dove si parla di Danae.

 

Danae figliuola d'Acrisio.

Danae, si come s'è detto di sopra, gittata dal padre nel mare pregna, essendo cacciata da quello sul lito di Puglia, si maritò in Pilunno Re di Puglia. Et indi passati da i Rutuli, & edificata ivi la città d'Ardea, partorì a Pilunno Dauno. Ma quello, che di sopra habbiamo lasciato parmi hora da esporre, cioè Giove essersi trasformato in pioggia d'oro & per lo tetto essere caduto in grembo a Danae; onde credo doversi intendere la pudicitia della vergine essere stata corrotta con oro. Et non essendo conceduto all'adultero potervi entrare per la porta, quello esservi andato per lo tetto segretamente, & poi essersi locato nella camera della donzella. Nondimeno Thodontio dice che, essendo Danae amata da Giove, & sapendo, che per tema del padre era condennata a perpetua prigionia, affine di poter scampare & pigliar la fuga, segretamente con Giove fece mercato del prezzo del suo congiungimento. Onde apparecchiata una nave, con quelle ricchezze ch'ella puotè pigliare, essendo pregna di Giove si diede à fuggire.

 

Iasio figliuolo d'Abante, che generò Athalanta, Anfione, & Thalaone.

Questo Iasio, come piace a Theodontio, fu figliuolo d'Abante, del quale non ho letto niente altro eccetto, che spessissime volte viene annoverato tra i Re Greci, & c'hebbe alcuni figliuoli.

 

Athalanta, figliuola di Iasio & madre di Parthenopeo.

Secondo Lattantio & Theodontio Athlanta fu la più giovane dei figliuoli di Iasio. La quale essendo bellissima donzella & delle compagne di Diana, chiamata da Meleagro venne alla caccia del Cinghiale Celidonio insieme con l'avanzo della nobiltà d'Achaia, & ella fu la prima, che ferì il Cinghiale con una saetta. Di che Meleagro per la sua bellezza & valore s'inamorò in lei; onde morta quella la fiera, perciò meritò l'honore d'haverne il capo in dono. Per lo quale venne in amicitia di Meleagro & si congiunse seco, dal quale partorì Parthenopeo.

 

Anfione figliuolo di Iasio, che generò Clori.

Vn'altro Anfione differente da quello, che cinse Thebe di mura fu figliuolo di Iasio, & regnò, come dice Leontio, nell'Orcomeno inimico & in Pilo, il quale anco fu nomato Argo; & hebbe una sola figliuola chiamata Clori.

 

Clori, figliuola d'Anfione & moglie di Neleo.

Clori, come di sopra è stato detto, fu figlia d'Anfione; & secondo, che testimonia Homero nell'Odissea fu maritata in Neleo, al quale partorì Nestore & molti altri figliuoli.

 

Thalone figliuolo di Iasio, che generò Euridice, Flegeo & Adrasto.

Dice Paolo, che Thalaone fu figliuolo di Iasio, & che regnò in Argo. Il che secondo il mio giudicio si deve intendere sanamente, mentre, che gli antichi chiamano questi tali huomini Re. Percioche, non si ritrovando nel Cathalogo dei Re, egli è da giudicare, che solamente fossero di stirpe reale, & havessero qualche particella di signoria. La onde avenisse, che più tosto fossero dimandati Re per lo splendore dell'origine, che per lo possesso dei reami di questi tali. De quali istimo, che fossero simili questo Thalaone, Anfione & Iasio.

 

Euridice figliuola di Thalaone & moglie di Anfiariao.

Euridice, come afferma Theodontio, fu figliuola di Thalaone & data per moglie ad Anfiarao indovino, al quale partorì Anfiloco & Almeone. Ma havendo il Re Adrasto pigliato la difesa di Polinice suo genero contra Etheocle, & apparecchiando la guerra contra Thebani, avenne, che Anfiarao hebbe per oracolo, che s'egli andava a quella guerra non ritornarebbe piu; per la qual cosa si nascose in una grotta sotterra, & solamente manifestò il loco alla moglie. Onde essendo con grande instanza cercato da Adrasto & da altri, mai non fu ritrovato. Ma mentre, che ciò s'instigava, occorse, che Euridice sua moglie vide un certo monile al collo d'Argia moglie di Polinice, il quale fu già donato da Vulcano a Hermiona moglie di Cadmo; & desiderando molto haverlo, disse ad Argia, che s'ella volea darle quel monile, che le insegnarebbe Anfiarao. Et cosi fu fatto. Là onde andando Anfiarao alla guerra, fu dalla terra inghiottito. Ma Euridice poi fu amazzata dal figliuolo Almeone, al quale Anfiarao andando alla guerra havea commesso la vendetta della sua morte.

 

Flegeo figliuolo di Thalaone.

Theodontio dice, che Flegeo fu figliuolo di Thalaone: il quale morendo giovanetto, non lasciò di sé cosa degna di memoria.

 

Il Re Adrasto figliuolo di Thalaone, che generò Deifile & Argia.

Il Re d'Argivi Adrasto fu figliuolo (come Lattantio vuole) di Thalaone & Eurinome. Il quale havendo due figliuole, cioè Deifile & Argia, & essendogli stato per oracolo riferito ch'egli havea a darle per spose una ad un cinghiale & l'altra ad un leone, d'intorno alla futura disgratia delle figliuole si tormentava. Ma avenne per caso, che Polinice Thebano d'accordio col fratello Etheocle fatto essule a mezza notte giunse in Argo, & per fuggire la pioggia & il vento, che quella notte era crudelissimo, entrò sotto i portici, che giravano intorno il palazzo reale. Nè molto vi stette, che medesimamente Thideo, per l'homicidio commesso fuggendo di Calidonia, ivi pervenne. La dove nessuno di loro non si conoscendo, venuti insieme a parole ingiuriose per cagione dell'aloggiamento, ultimamente posero le mani all'armi & incominciarono a combattere. Al cui strepito levatosi il Re Adrasto, & con la sua guardia in persona venuto a loro, con parole & l'auttorità sua acquetò gli sdegni dei giovani, & seco gli menò in palazzo. Et veggendo l'uno di loro, cioè Polinice coperto d'una pele di leone, la quale insegna il real giovane portava in testimonio della virtù d'Hercole Thebano, & l'altro vestito d'una spoglia di cinghiale la quale portava in honore della sua progenie, per haver il zio Meleagro amazzato il cinghiale, si venne a chiarire della dubbiosa risposta dell'oracolo, & conobbe questi generi a lui dai Cieli essere mandati. I quali, poscia, che egli hebbe conosciuti, si contentò di far seco parentado; & a Thideo diede Deifile, & a Polinice Argia per sposa. Et pervenuto il tempo, che Etheocle dovea rendere la signoria a Polinice, secondo la conventione tra loro fatta, ma quello non volendo farne altro, da Polinice con l'aiuto d'Adrasto fu mosso guerra contra Thebani. Nella quale essendo restati morti tutti i suoi capitani, & con eguali ferite ricevute l'uno per le mani dell'altro morto Polinice & Etheocle, egli messo in rotta se ne ritornò in Argo; dove non ho ritrovato, che fine fosse il suo.

 

Deifile figliuola d'Adrasto & moglie di Thideo.

Come dice Statio, Deifile fu figlia del Re Adrasto & moglie di Thideo Calidonio, al quale partorì Diomede.

 

Argia figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice.

Secondo Statio, Argia fu figliuola d'Adrasto & moglie di Polinice; la quale havendo di lui partorito Thessandro, & inteso Polinice dal fratello essere stato morto, da Argo se ne venne a Thebe, per donare l'ultime lagrime & prestare l'ufficio funerale al corpo del marito. Et facendo ciò contra l'Imperio di Creonte, c'havea comandato, che non fosse sepolto, fu pigliata insieme con Antigone sorella di Polinice, & da Creonte fatta morire.

 

Agenore terzo figliuolo di Belo Prisco, che generò sette figliuoli; de' quali il primo fu Taigete, il secondo Polidoro, il terzo Cilice, il quarto Fenice, la quinta Europa, il sesto Cadmo, il settimo Laddaco.

Oltre l'haver esposto le successioni di Danao & d'Egisto figliuolo di Belo Prisco, egli è da ritornare lo stile alla più ampia prole d'Agenore, figliuolo dell'istesso Belo, si come Theodontio & Paolo scrive. Et benche dai predetti sia detto, che Agenore fosse figliuolo di Belo, nondimeno sono di quei, che dicano lui essere stato figliuolo di Belo, ma non d'Egitto, anzi del Fenicio; & l'avo di questo Agenore haver anco havuto tal nome. Et appresso affermano quel Agenore primo (regnando appresso gli Assiri Nino) constretto da peste con grandissima moltitudine haver abandonato le sedie paterne, le quali egli havea circa l'ultimo Egitto dalla parte di Mezzogiorno; tenendo per guida del suo viaggio il Nilo, con le sue navi essere giunto nel lito di Soria, & quello (cacciati gli antichi habitatori) havere occupato, & ivi esser regnato. Dove lasciò un figliuolo chiamato Belo suo successore; il quale vogliono, che fosse padre di questo Agenore. Altri poi vogliono ch'egli fosse nipote & figliuolo di Fenice. Per le quai cose si può comprendere dalla somiglianza del nome & forse del tempo essere nato l'errore, onde si creda, che colui il quale fosse figliuolo di Belo di Soria fosse tenuto anco di Belo d'Egitto. Ma sia nato di qual Belo si voglia, io ho in animo seguir hora l'opinione di Theodontio & di Paolo, maggiormente, che del primo non si vede certo auttore. Dicono adunque costui essersi partito dal lito di Soria & andato a signoreggiare ai Fenici, dove fu molto famoso per generosa & nobile progenie.

 

Thaigeta prima figliuola d'Agenore.

Il Candiano Dite vuole Thaigeta essere stata figliuola d'Agenore, & di lei essersi inamorato Giove, & seco haver havuto a congiungersi; del quale fatta pregna partorì Lacedemone, come, che altri dicano quello esser nato di Semele.

 

Polidoro, secondo figliuolo d'Agenore.

Polidoro secondo Lattantio fu figlio d'Agenore, del quale non penso esservi altro, che il semplice nome; benche Theodontio di costui faccia un certo leggiere ricordo. Ma dice quello essere stato molto più antico di questo Agenore.

 

Cilice terzo figliuolo d'Agenore, che generò Lansacio, Pigmaleone & Pirode.

Cilice, secondo Lattantio, nacque d'Agenore. Dice Theodontio costui essere stato huomo di grand'ingegno & di robusto corpo. Il quale sprezzando i fratelli di lui maggiori, & poco sperando nella successione del reame (sprezzato il giuoco de superiori), fatto alquanto numero di genti s'acquistò un paese lontano dai suoi, & quello dal suo nome dimandò Cilicia; dove lasciò duoi figliuoli ch'a lui sopravissero, cioè Lampsacio & Pigmaleone. Ma sono di quelli, che dicano questa provincia essere stata occupata da Cadmo pria, che fosse mandato dal padre ad acquistar l'Europa, & poi essere stata posseduta da Cilice non vi ritornando più Cadmo.

 

Lampsacio figliuolo di Cilice.

Lampsacio, come dice Theodontio & dopo lui Paolo, fu figliuolo di Cilice, & a lui successe nel reame; nè di lui altro più oltra si ritrova.

 

Pigmaleone figliuolo di Cilice, & Re di Cipro, che generò Pafo.

Theodontio dice Pigmalione essere stato figliuolo di Cilice; del quale egli rifferisce che, essendo giovane & pigliato dalla gloria de suoi maggiori, i quali havea inteso essere passati fino nell'Occidente & anco haver occupato il lito d'Africa, fatta una compagnia di giovani di Cilicia & di Fenicia, con una armata, ò serenissimo dei Re, nel tuo Cipro smontò col suo essercito. Et indi cacciò gli antichi Assiri, i quali con le forze dell'antichissimo Agenore cacciati dalle antiche loro sedi ivi s'erano riparati, dove tenne tutta l'isola & in quella signoreggiò. Ma havendo ivi trovato sceleratissime donne (il che dimostra anco Ovidio nel suo maggior volume) & in tutto inchinate alla libidine, offeso da quel vitio s'era disposto menar la vita casta. Ma perche era d'alto ingegno & havea le mani atte ad ogni arteficio, i Poeti finsero ch'egli intagliò & fece di bianchissimo avorio una imagine, con tutte quelle linee & portioni, che parvero al voler suo; al quale mirando l'ingegnoso huomo, & maravigliandosi dell'arte sua, lodando grandemente la di lei bellezza di quella arse d'Amore, & grandemente desiderava ch'ella fosse donna vera. Di che incominciò pregar Venere, ch'a quel tempo nell'isola era famosissima Dea, che volesse fare quella statua sensibile, infondendole anima & facendola de' suoi amori partecipe. Là onde alle preghiere non mancò l'effetto, ch'ella divenne vera femina. La qual cosa veduta Pigmaleone, pieno d'allegrezza per haver havuto il suo intento, con lei si giacque, & incontanente la impregnò; la quale gli partorì un figliuolo da lui chiamato Pafo, & dopo morte lasciato herede del reame. Hora egli è da vedere quello, che voglia significare tale imagine di bianco avorio, fabricata più tosto con ingegno Poetico, che artificio humano. Penso io che, essendo sospetta a Pigmaleone la pudicitia delle donzelle provette, ch'egli s'elesse una fanciulla, che per l'età tenerina mancasse d'ogni sospetto, & che di bianchezza & morbidezza fosse simile all'avorio; la quale havendo avezzata secondo i suoi voleri, pria che la giovanetta fosse in dovuta età infiammato in concupiscenza di lei, incominciò desiderare & con preghi dimandare, che tosto divenisse buona da marito; onde finalmente avenuto ciò, che desiderava hebbe l'intento suo.

 

Pafo figliuolo di Pigmalione, che generò Cinara.

Pafo secondo Theodontio fu figliuolo di Pigmalione, & nato di quella madre d'avorio; il quale essendo nel reame successo a Pigmaleone, dal suo nome chiamò l'Isola di Pafo. Ma Paolo dice ch'egli solamente edificò il castello di Pafo &, che da sé gli diede nome, & volse, che fosse dedicato a Venere, perche in quello vi fece fare un solo tempio & altare a lei consacrato, dove con solo incenso lungamente vi fu sacrificato.

 

Cinara figliuolo di Pafo, che generò Mirra, & di Mirra Adone.

Cinara fu figlio di Pafo, si come dimostra Ovidio mentre dice:

 


Di costei nacque quel Cinara; il quale,

Se restato pur fosse senza prole,

Tra i felici potrebbe esser havuto.


 

Questi è differente da quel Cinara, che si dice esser stato Re degli Assiri, & piangendo le disgratie di figliuoli cangiato in sasso. Di questo Cinara Cipriano non havemo altro, che una sola sceleratezza. Percioche, si come narra esso Ovidio, costui hebbe una figliuola chiamata Mirra, la quale essendo bella & già buona da marito, oltre il dritto s'inamorò del padre, & per opra d'una sua balia (mentre la madre di lei celebrava i sacrifici di Cerere, ne' quali per spatio di nove giorni bisognava ch'ella s'astenesse dai congiungimenti del marito) segretamente usò degli abbracciamenti del padre; là onde divenuta pregna partorì Adone.

 

Mirra figliuola di Cinara, & madre d'Adone.

Mirra, si come si vede di sopra, dice Ovidio essere stata figliuola di Cinara & haver amato il padre con lascivo amore, onde per opra d'una sua nutrice seco si congiunse. Nondimeno Fulgentio vuole ch'ella havesse a fare col padre poscia, che lo hebbe inebriato. La quale per lo scelerato congiugimento divenuta pregna, volendo Cinara conoscere con cui si fosse giacciuto, conobbe la figliuola; di che d'ira assalito la volse amazzare. Alcuni dicono poi ch'ella se ne fuggì dai Sabei, fino dove fu perseguitata dal padre & da quello ferita; vogliono, che per compassione de' Dei appresso i Sabei si converse in un arbore chiamato dal suo nome, & per l'ardore del Sole apertasi la corteccia mandò fuori un figliuolo, il quale le Ninfe unsero coi licori materni. Penso, che a questo figmento habbia dato materia il nome dell'arbore, che appresso Sabei si chiama Mirra, la quale stilla certe gocciuole che, toccate dai raggi del Sole, fanno una certa compositione da loro detta Adone, & latinamente significa soave, percioche è di soavissimo odore; & come pare, che voglia Petronio Arbitro molto appropriato alla libidine, di maniera, che afferma si haver portato una bevanda di Mirra per infiammar la lussuria. Ma Fulgentio, si come in più altre cose, più altamente giudicando d'intorno questo, dice Mirra essere un'arbore in India, che arde per li raggi del Sole; & perche dicevano il Sole esser padre di tutte le cose, però essere stato detto Mirra haver amato il padre, & mentre il Sole ardentemente l'infiammasse mandar fuori dalla parte di sopra della corteccia alcune sfessure, & cosi essere stato detto il padre haverla ferita & fattone uscir Adone, cioè la soavità dell'odore.

 

Adone figliuolo di Mirra, & nipote di Cinara.

Adone del Re Cinara suo avo & di Mirra sua sorella fu figliuolo, si come con lunghi versi nel suo maggior volume dimostra Ovidio; del quale recita tal favola. Dice che, essendo egli divenuto un bellissimo garzone, grandemente fu amato da Venere, che a caso dal suo figliuolo fu d'amor percossa; la quale seguendo lui con grandissimo diletto per selve & boschi, & seco usando de' suoi abbracciamenti, più volte l'avisò, che si schifasse dall'armate fiere, & solamente cacciasse le disarmate. Ma avenne un giorno ch' egli, mal ricordevole delle parole di Venere, facendo empito in un cigniale da lui fu morto; il quale poi Venere amaramente pianse & converse in purpureo fiore. Macrobio nel libro dei Saturnali si sforza con maravigliosa ragione dichiarare questo figmento. Dice egli Adone essere il Sole, del quale niuna cosa non è più bella; & quella parte di Terra la quale di sopra non habitiamo, cioè l'Emispero, esser Venere, attento, che quella ch'è nell' Emispero inferiore dai Fisici è chiamata Proserpina. Et cosi appresso gli Assiri & Fenici, a' quali appresso fu in grandissima riverenza Venere & Adone, allhora Venere con Adone da lei amato si dilettava, conciosia, che d'intorno l'Emispero superiore il Sole si gira con più ampio spatio; & indi diviene più ornato, perche la terra allhora produce fiori, frondi & frutti. Mentre adunque egli circonda i più brevi cerchi, di necessità caccia i maggiori appresso l'hemisperio più inferiore. Et cosi l'autunno & il verno con pioggie continue fanno la Terra dell'honor suo priva tutta fangosa, nel qual tempo il Cinghiale, ch'è animale hispido, si diletta; & cosi dal Cinghiale, cioè dalla qualità del tempo ch'egli si diletta, Adone cioè il Sole pare tolto alla Terra, cioè a Venere; la quale indi fangosa diviene. Ch'Adone poi sia trasformato in fiore, penso ciò essere stato finto affine di mostrare la brevità della nostra bellezza, perche quello, che la mattina è purpureo & colorito, la sera languido, pallido & fracido diventa. Cosi l'humanità nostra la mattina, cioè nel tempo della gioventù, è fiorita & splendida; la sera poi, cioè nel tempo della vecchiaia, diventiamo pallidi, & corriamo nelle tenebre della morte. Ma tuttavia dica quello, che si voglia Macrobio, ò gli Assiri, l'historia nondimeno pare, che voglia, & Tullio lo dimostra dove tratta delle Nature de' Dei, Venere essere stata concetta in Soria & Cipro, cioè da un huomo Assirio & da una donna Cipriana, la quale gli Assiri chiamarono Astorcon; & si maritò in Adone, come dice Lattantio nel libro dell'Institutioni Divine. Ma nella sacra historia si contiene costei haver instituito l'arte meretricia & alle donne haver persuaso lo stupro, & che col corpo palesemente richiedessero il congiungimento. Et dice ella haver ciò comandato accioche sola tra l'altre donne non fosse tenuta impudica, & degli huomini ingorda. Là onde nacque, & lungo tempo si osservò, che i Fenici donavano a chi gli sverginava le figliuole pria, che le maritassero, come nel libro della Città d'Iddio mostra Agostino & Giustino nell'Epitoma di Trogo Pompeo, dove scrive Didone nel lito di Cipro haver rapito settanta donzelle ch'erano venute a ricercar le primitie della loro verginità. Fu adunque Adone Re di Cipro & marito di Venere, il quale anch'io penso ò da Cinghiale ò da altra morte esserle stato tolto, percioche ad imitatione delle sue lagrime gli antichi con commune pianto furono avezzi piangere la morte d'Adone. Onde Isaia nelle sue Visioni gli riprende.

 

Pirode figliuolo di Cilice.

Pirode come afferma Plinio fu figlio di Cilice; del quale benche non si habbia altro, col testimonio dell'istesso Plinio nondimeno habbiamo lui essere stato il primo, che dalla pietra cavasse il foco.

 

Fenice quarto figliuolo d'Agenore, che generò Filisteno, & Belo.

Vuole Lattantio, che Fenice fu figliuolo d'Agenore. Et Eusebio nel libro dei Tempi vuole, che costui, regnando Danao in Grecia, insieme col fratello Cadmo da Thebe d'Egitto essere venuto in Soria, & in Tiro & Sidone haver signoreggiato. Il che può essere circa l'anno del mondo millesettecento e quarantasei. Poscia, poco da poi dice, che l'anno primo del Re Linceo egli edificò Bithinia, la quale prima si chiamava Meridiana. Il che fu circa gli anni del mondo MDCCLXXIX. Tuttavia la venuta di costui in Soria non si conface con le cose dette di sopra, dove discorda di Agenore da Theodontio & anco da Ovidio; il quale pare, che voglia Agenore & non Fenice esservi venuto, conciosia, che descrive Cadmo essere stato mandato a ricercar Europa da Agenore & non da Fenice. Ma io lascierò l'affanno, a chi lo vuole, d'accordare queste diversità, & seguirò quello, che di Fenice trovo. Dimostra Eusebio costui essere stato huomo di molto artificio, perche fu il primo, che diede alcune lettere overo caratteri di lettere ai Fenici; indi per scriverle haver trovato il vermicello. Onde anco quel colore si dice Feniceo, cosi chiamato (cred'io) dall'inventore, perche mutata poi la lettera è detto puniceo, cioè morello.

 

Filistene figliuolo di Fenice, che generò Sicheo.

Theodontio vuole, che Filistene fosse figliuolo di Fenice; il quale essendo sacerdote d'Hercole, ch'alhora era tenuto in molta riverenza da' Fenici, & veggendo, che Belo suo fratello maggior d'anni (morto il padre) regnava, lasciato l'ufficio sacerdotale al figliuolo Sicheo, con alquanta gente montò in nave, & adoperò molte fontane havendo passato oltre le Colonne d'Hercole, ivi nel lito dell'Oceano fermò le sue stanze perpetue, & edificò una città chiamata dai suoi Gade. Et affine, che non paresse ch'egli in tutto havesse lasciato il sacerdotio drizzò un tempio ad Hercole, & tutti i sacrifici secondo il costume Fenicio rinovò.

 

Sicheo figliuolo di Filistene, & marito di Didone.

Sicheo secondo Theodontio fu figlio di Filistene, al quale (sì come di sopra è stato detto) partendosi il padre fu lasciato il sacerdotio; la qual dignità, da re in fuori, era la principale. Dice Servio, che costui fu chiamato Sicarba, come, che Virgilio sempre lo nomi Sicheo, & Giustino lo dica sempre Acerba. Costui adunque, ò lasciatili ò altrove trovati molti thesori (come piace a Theodontio & agli altri), divenne grandemente ricco. Onde, morto Belo, tolse Elisa sua figlia per moglie, & sopra ogn'altra cosa amolla molto; la quale poi fu chiamata Didone. Ma essendo Pigmaleone figliuolo di Belo succeduto nel reame del padre, & essendo ingordo d'oro, s'infiammò delle ricchezze di Sicheo. Di che gli tese inganni, & inaccortamente amazzò quello.

 

Belo figliuolo di Fenice, che generò Pigmaleone, Didone, & Anna.

Belo, il quale secondo Servio fu anco detto Metre, come dice Theodontio fu figliuolo di Fenice, & huomo di maniera in guerra & armi valoroso, che soggiogò Cipriani, i quali danneggiavano con una armata di corsali i liti de' Fenici. Il che Virgilio in persona di Didone succintamente tocca, dicendo;

 


Mio padre Belo danneggiava Cipro.

Cosi fertile, e ricca; & la teneva

Vittorioso sotto giogo, e impero.


 

Pigmaleone figliuolo di Belo.

Come piace a Theodontio, Pigmaleone fu figliuolo di Belo re di Tiro, & morendo il padre (secondo, che dice Giustino) insieme con le sorelle ai Tirij fu lasciato. Al quale anco fanciullo il popolo diede la signoria del Reame paterno. Ma costui, nato con avarissimo animo, havendo fatto disegno sopra le ricchezze di Sicheo, figliuolo di suo zio & marito di Didone sua sorella, con inganni lo fece morire. Questa scelerità sola di costui ci ha lasciato la lunga antichità.

 

Didone figliuola di Belo, & moglie di Sicheo.

Il famoso honore, & lume della pudicitia Donnesca Didone (come piace a Virgilio), fu figlia del Re Belo. Questa bellissima donzella (morto Belo) i Tiri diedero per moglie ad Acerba ò Sicarba ò Sicheo sacerdote d'Hercole, il quale poi da Pigmaleone per avaritia fu morto. Costei adunque, dopo le lunghe bugie del fratello, avisata in sonno dal marito, & in lei acceso un animo generoso, fatta una congiura con molti di quelli, a quali sapeva Pigmaleone essere in odio, di notte segretamente montata in nave con tutti i thesori ch'erano stati del marito si partì di Tiro. Et giunta nel lito d'Africa (come anco a Tito Livio piace) venne a mercato con gli habitatori di quel paese, che la persuadevano a fermarsi ivi, di comprare tanto terreno quanto poteva circondare & capire la pelle d'un bue. Onde ridotto il coiro in liste sottilissime, occupò molto terreno. Et ivi mostrati ai compagni del suo viaggio i thesori nascosti, edificò una città da loro chiamata Cartagine, & la rocca dalla pelle del bue fu detta Birsa. a questa tal città, piace a Virgilio, che Enea fuggitivo & dalla fortuna del mare cacciato pervenisse; onde ricevutolo cortesemente & di lui inamorata, seco si giacque. Di che poi alla sua partita non potendo sopportar l'incendio amoroso, sé stessa occise. Il che dimostra Giustino & gli altri historici antichi essere falso; perche dice Giustino che, essend'ella dal Re di Musitani sotto pretesto di guerra dimandata ai Prencipi di Cartagine per sposa; quelli sapendo l'intentione di lei essere di voler vivere casta, s'imaginarono d'ingannarla. Là onde dissero, che il Re di Musitani havea loro richiesto sotto nome di guerra, che i Prencipi di Cartaginesi dovessero andar a viver in Musitania perche egli voleva imparar i costumi de' Cartaginesi, ma, che alcuno di loro non si trovava, che volesse andar a vivere presso cosi barbaro Re. Di che Didone essortandoli ad andarvi, & dicendo, che ogni cosa si doveva lasciare per la salute della sua patria, & che colui non era buon cittadino, che per conservar la città temeva la morte, eglino subito le scoprirono la dimanda del Re, pregandola, che non volesse esser cagione della loro ruina. Ond'ella, veggendo, che da sé stessa si havea dato la sentenza contra, chiese a quelli un certo termine, fra il quale promise d'andare a marito. Il qual termine giunto, ella fatto un gran rogo nella più alta parte della città, sotto ombra di voler placare lo spirito del morto Sicheo, sopra quello salì. Et stando intenti i cittadini a tal spettacolo per veder quello ch'ella si volesse fare, tratto fuori un coltello, che s'haveva nascosto sotto le vesti, disse: "Ottimi cittadini, si come a voi piace, vado a marito." cosi detto, sé stessa amazzò, eleggendo più tosto la morte, che macchiar la pudicitia. Il che anco è molto lontano dalla descrittion di Marone.

 

Anna figliuola del Re Belo.

Anna fu figlia di Belo, si come a Virgilio piace; il quale spessissime fiate la chiama sorella di Didone. Costei fu compagna nella fuga di Didone; la quale, poscia, che vide morta la sorella & il reame di Cartagine occupato da Iarba (come dice Ovidio nel libro de' Fastis), confidandosi nella ragione dell'hospitio antico se ne fuggì da Batto, re dell'isola Corisa. Finalmente, sentendo, che Pigmaleone moveva l'armi contra lei, & per ciò essendole dato congedo da Batto, se n'entrò in mare. Dove assalita da fortuna, si come l'intento suo era di andar a Camerè, fu condotta nel lido de' Laurenti; per lo quale Enea, havendo già vinto Turno, insieme con Acate caminando passeggiava. Di che ella veggendo Enea volse fuggire; ma da quello assicurata sulla fede, si fermò, & fu condotta nel Palazzo Reale. Per la cui giunta, Lavinia mossa da gelosia volse tenderle inganni. Ma avisata di notte in sogno da Didone uscì fuori del palazzo, & (se a bastanza si può far coniettura dalle parole d'Ovidio) si gittò precipitosamente nel Numico fonte. Ma Ovidio passando più oltre dice che, essendo ella ricercata per tutto, ai ricercatori giunti al fiume Numico parve udir una voce uscir del fiume, che gli dicesse.


Del piacevol Numico io sono Ninfa,

Anna chiamata per molti anni eterna.


Che sta nascosta entro il suo chiaro fondo,

 

Dopo esso Ovidio, dice Macrobio nei Saturnali publicamente & privatamente nel mese d'Aprile sacrificarsi, accioche sia lecito per anni & molti anni durare.

 

Europa quinta figliuola d'Agenore.

Europa fu figliuola d'Agenore, come si vede per Ovidio; della quale tal favola si narra. Vogliono che, essend'ella molto amata da Giove, egli comandasse a Mercurio, che cacciasse quelli armenti ch'erano su le montagne di Fenicia, nel lito dove Europa con altre donzelle era avezza andar à giuocare & darsi piacere. Il che fatto, Giove si cangiò in un bianco Toro, & si pose nel mezo de gli altri armenti. Onde veggendo Europa cosi vago & bello animale, & dilettandosi della sua piacevolezza, incominciò prima con le mani a farli vezzi, & indi montarli sopra; il quale pian piano ritirandosi verso l'acqua, & a poco a poco entrando nell'onde, tosto, che sentì quella esser si bene fermata sul suo dorso & haverli le mani nelle corna, notando passò il mare con quella, tutta timida & sbigottita, & la portò in Creta; dove ritornato nella sua vera forma seco hebbe a fare, & la impregnò. Di che poi, secondo ch'alcuni vogliono, ella partorì Minos, Radamanto & Sarpedone. Et egli in eterna memoria di lei dal suo nome chiamò la terza parte del mondo Europa. La fittione di tal favola è coperta da cosi sottil velo, che liggiermente si può vedere il suo significato. Percioche per Mercurio, che cacci gli armenti nel lito io intendo la eloquenza & la sagacità d'alcun ruffiano, che dalla città nel lito guidi qualche donzella; overo un falso mercante, che le mostri qualche cosetta da giuoco & a lei la prometta, & monta seco in nave. Giove poi trasformato in toro, che se ne porti la donzella, homai credo essere noto a tutti quella essere stata una nave la cui insegna era un Toro bianco, sopra la quale (fosse con qual inganno si voglia) salita sopra la donzella, & dati i remi all'acque & ai venti le vele, ella fu portata in Creta & data per moglie a Giove; overo, secondo Eusebio nel libro dei Tempi, ad Asterio Re, dal quale si come è stato detto di sopra partorì i detti tre figliuoli. Nondimeno piace ad Agostino, che costui fosse chiamato Santo, & non Asterio. Appresso, discordano del tempo di tal rapina molti auttori, attento, che vi sono di quelli, come dice Eusebio, che vogliono nell'anno quarantesimo di Danao Re d'Argivi Giove essersi congiunto con Europa, & che poi Asterio Cretese Re la togliesse per moglie; il quale fu l'anno del mondo MDCCCLXIX. Altri poi dicono quella da Cretesi essere stata rapita l'anno del mondo MDCCCLXXVIII, regnando in Argo Acrisio. Ma alcuni vogliono, che fosse rapita nel tempo, che Pandione regnava in Athene, cioè negli anni del mondo MDCCCXVI. Il qual tempo più si conface con quelle cose, che si leggono di Minos, figliuolo dell'istessa. Dice Varrone una imagine bellissima di bronzo di costei essere stata posta da Pithagora in Taranto; & questo si contiene, dove tratta dell'origine della lingua latina.

 

Cadmo sesto figliuolo d'Agenore, che generò Semele, Agane, Auttonoe, & Inoe.

Per publica fama di tutti gli antichi, Cadmo fu figliuolo d'Agenore; il quale scrive Eusebio nel libro de' Tempi essere venuto insieme col fratello Fenice da Thebe degli Egittij nell'anno decimosettimo di Danao Re d'Argivi, & appresso Tiro & Sidone haver regnato. Conciosia, che (sì come di sopra si vede) molto prima ivi venisse Agenore cacciato dalla peste. Il quale Eusebio doppo queste cose scrive nell'anno decimosesto del Reame di Linceo, Cadmo haver occupato l'Armenia; il che di sopra habbiamo ricordato essere stato fatto da Cilice. Questi nondimeno (come scrive Ovidio) havendo Giove rapito Europa, fu mandato dal padre Agenore all'acquisto di lei, con tal patto, che non dovesse ritornar nella patria senz'essa. Il quale partitosi con buona compagnia, nè sapendo dove ricercarla, deliberò trovarsi novo paese. Onde essendo giunto vicino a Parnaso, hebbe per risposta dall'oracolo, che seguisse un bue indomito, & dove quello si fermasse, ivi facesse il suo seggio. Di che cosi havendo fatto fu guidato nel destinato paese, nel quale fermandosi & gittando i primi fondamenti, dal nome del bue lo chiamò Boemia; & la città dagli antichi Egittij di Thebe, da' quali i suoi precessori erano discesi, fu chiamata Thebe. Ma si come dice Ovidio, volendo egli sacrificare & havendo mandato alcuni de' compagni a pigliar dell'acqua, avenne, che per l'indugio del loro ritorno Cadmo gli andò dietro, dove trovò ch'erano stati divorati da un'ismisurato serpente. Il quale riguardato da lui, udì una voce, che gli disse, che vederebbe anco sé stesso serpente. Nondimeno, havendolo amazzato, per oracolo divino gli trasse i denti & gli seminò, da i quali subito nacquero huomini armati, che tra sé stessi incominciaro ammazzarsi; nè prima s'acquetarono, che cinque soli restassero vivi. I quali tra loro fatta pace si congiunsero con Cadmo, & l'aiutarono a fornir la città. Ma Palefatto scrive appresso ch' egli hebbe una donna chiamata Spinga per moglie, la quale per gelosia d'Herminiona si partì da lui, & mosse guerra contra i seguaci di Cadmo. Sono appresso di quelli, che vogliono lui stando appresso il fonte Hippocrene tutto pensoso haver ritrovato sedeci caratteri di lettere, le quali poi da tutta la Grecia furono usate. Cosi Plinio nel libro dell'Historia Naturale dice lui appresso Thebe essere stato l'inventore dei lapidarij, & della mistura dell'oro & dei metalli; come, che Theofrasto voglia ch'egli facesse queste cose appresso i Fenici. Ma molto doppo l'allegato tempo. Percioche quello, che di sopra è scritto di lui fu circa gli anni del mondo MDCCCCXXXVIII. Indi Ovidio dice, che di lui fu moglie Sermiona, figliuola di Marte & di Venere; dalla quale si ha ch'egli generasse quatro figliuole, & che ad Hermiona fosse donato da Vulcano un monile mortale. Dopo questo, essendo occorso molte disgratie ai nipoti & sue figliuole, egli già vecchio da Anfione & Zetho cacciato del reame se n'andò in Schiavonia, dove insieme con la moglie Hermiona amendue furono trasmutati in serpenti. Questa favolosa historia ha in sé alcune cose congiunte, delle quali ci resta vederne il senso. Il serpente adunque consacrato a Marte io intendo, che sia l'huomo vecchio & prudente, già armigero & bellicoso con sue parole, & tardare, ritenne i compagni di Cadmo; per lo cui consiglio, il quale istimo io, che siano i denti, tra gli habitanti fu seminata discordia. I quali persuaduti da Spinga contra lui si mossero; onde in un subito, tolte l'armi in mano, tra sé stessi vennero a battaglia. I cui Prencipi (tagliati a pezzi i popolari) vennero in concordia con Cadmo, & di habitatori & stranieri fecero tutto un popolo. Che poi egli essule insieme con la moglie divenisse serpe, dimostra quelli esser fatti vecchi. Perche i vecchi a guisa di serpenti sono prudenti, & per l'esperienza delle cose aveduti, & per l'età pieni d'anni. Et se bene l'età gli caccia & gli aiuti gli mancano, tuttavia secondo il costume de' serpenti vanno col petto in fuori. Ma del tempo del regno di costui furono anco discordanti gli antichi. Perche Eusebio nel libro dei Tempi dice, che l'anno ottavo della signoria d'Abante re d'Argivi, che fu negli anni del mondo MDCCCXXXVII, Cadmo fu cacciato dal regno da Anfione & Zetho; nè molto doppo dice, che (regnando Acrisio in Argo) Cadmo regnò a Thebe, essendo Acrisio succeduto ad Abante; il che nondimeno puotè essere circa gli anni del mondo MDCCCLXXV. Al qual tempo si conviene quello, che dopo l'istesso Eusebio scrive, cioè, che regnando Acrisio succedessero quelle cose, che si narrano dei Spartani. I quali (dice Palefato) che, essendo di paesi circonvicini, subito si fermarono contra Cadmo; onde per li subiti movimenti loro, come se fossero usciti dalla terra, & perche erano abondati da ogni parte, furono chiamati Spartani. Ma nondimeno ciò malamente si conviene al tempo nel quale habbiamo detto di sopra Europa essere stata rapita. Quelli ne trovino la verità a' quali di ciò è piu cura, perche io non ne ho potuto trovar altro.

 

Semele figliuola di Cadmo.

Fu Semele figliuola di Cadmo & d'Hermione, come assai si manifesta in Ovidio nel suo maggior volume. Sopportando Giunone malamente costei esser pregna di Giove, si trasmutò nella vecchia Beroe Epidaurea, & persuase a Semele, che facesse sperienza se Giove la amava; percioche questo potrebbe conoscere s'egli le facesse gratia di venirsi a congiunger seco, come faceva con Giunone. Alla qual cosa dando a pieno fede Semele, astrinse Giove a giurarli per l'onde stigie di farle quella gratia ch'ella gli dimandarebbe. Et richiedendoli tal cosa, Giove, dolente d'haverglila promessa, tolto il minor folgore con quello la percosse & morì; onde poi trasse dal suo ventre un fanciullo non anco giunto al tempo del parto, chiamato Bacco. La verità di questa favola penso io, che sia; Tal donna pregna (sì come si contiene nella fittione) essere stata perercossa da una saetta. Percioche il foco, cioè Giove, non si congiunge con l'aere, cioè con Giunone, eccetto, che col folgore, che discende ai luoghi inferiori.

 

Agave figluola di Cadmo.

Agave, si come assai è palese, fu figliuola di Cadmo & d'Hermiona; la quale Cadmo diede per sposa ad Echione, che fu uno de' compagni, che l'aitò ad edificar Thebe. Dal cui ella partorì un figliuolo chiamato Pentheo, giovine di grand'animo; il quale (celebrando la madre, le sorelle & altre donne i sacrifici di Bacco di lui sprezzati) fu da quelle divenute furiose amazzato. Diceva Leontio questo Pentheo essere stato Astemio, il quale dalla ubbriaca madre et dall'altre fu morto perche più volte havea biasimato i loro sacrifici & ebrietà.

 

Auttone figliuola di Cadmo.

Secondo Ovidio, Auttone fu figlia di Cadmo & Hermiona. Costei fu moglie d'Aristeo, & di lui partorì Atteone.

 

Ino figliuola di Cadmo.

Ino medesimamente, come dice Ovidio, fu figlia di Cadmo & Hermiona; la quale divenuta moglie d'Atlante figliuolo d'Eolo, & di lui havendo partorito Learco & Melicerte, poscia, che vide Learco dal furioso padre esser morto, temendo, che l'istesso a sé & a l'altro figliuolo non avenisse, da un alto sasso precipitosamente si gittò in mare. Di che avenne per compassione di Nettuno, che Ino fu fatta una dea marina chiamata Leucothoe, & Melicerte divenne Palemone. Ma io credo, che questi due lochi fossero due scogli ai quali furono portati gli infelici corpi & gittati in mare; & per ciò per ricordo de' sopraviventi gli fossero posti questi due nomi divini. Overo più tosto fosse per quello, che di sotto si legge di Learco & Melicerte.

 

Laddacio settimo figliuolo d'Agenore, che generò Laio.

Laddacio, secondo Theodontio, fu il più giovane di tutti i figliuoli d'Agenore. Il quale havendo inteso il fratello essere stato messo in rotta, & Anfione con le proprie mani haversi amazzato, & Lica essere stato morto da Hercole, sollecitato con preghi dagli amici che, lasciata la Soria, se ne venisse in Grecia, & egli per la vecchiaia sentendosi inhabile alla fatica, vi mandò Laio, ch'era il più giovane di tutti gli altri suoi figliuoli. Il quale subito, occupato il reame, fu chiamato Re. Ma Paolo dice Laddacio essere stato figliuolo di Fenice, & vecchio essere venuto a Thebe da' Thebani chiamato: dove regnò alquanto tempo, & generò il figliuolo Laio.

 

Laio, Re di Thebe, & figliuolo di Laddacio, che generò Edipo.

Bastevolmente si è dimostrato, Laio essere stato figlio di Laddacio & Re di Thebe; il quale ò mandato da Fenice ò pur ivi nato se ne venne a Thebe, & ivi regnò. Dove signoreggiando tolse per moglie Iocasta figliuola di Creonte Thebano: la quale poscia, che fu divenuta pregna, egli andò all'oracolo per haver risposta quello, che di tal prole havesse a succedere; & havendo inteso ch'egli per le mani d'un figliuolo ch'era per nascerli havea a morire, comandò alla moglie, che mandasse ad esporre ciò, che da lei nasceva. Là onde venuto il tempo del parto, la madre dogliosa fece esporre alla morte il fanciullo; il quale per voler de' Cieli restato vivo, & cresciuto in età, desideroso di sapere chi fosse il suo padre intese dall'oracolo, che lo ritrovarebbe in Focide: e cosi ivi giunto, & trovata una seditione tra quei Cittadini & stranieri in armi, amazzò il padre da lui non conosciuto, il quale cercava metter di mezzo a tal gara. Et a tal modo Laio per le mani del figliuolo se ne morì.

 

Edipo figlio di Laio, che generò Antigona, Ismena, Etheocle, & Polinice.

Edipo Re di Thebe, secondo, che Statio dimostra nella Thebaide, fu figliuolo di Laio & di Iocasta. Questi per comandamento del padre, si come di sopra è stato detto, subito nato fu portato nel bosco ad esporre alle fiere; il quale essendo in questo modo portato dai servi alla morte, quelli mossi a compassione del fanciullo non lo gittarono secondo il comandamento alle fiere, ma foratigli e' piedi con un vincicastro lo legarono per li piedi sopra un arbore; ai gemiti del quale mosso un certo pastore di Polibo Re di Corinto; il levò da quell'albore & lo portò al Re. Il quale essendo senza figliuoli con paterno affetto lo raccolse, & in loco di figliuolo il fece nodrire. Questi nondimeno, cresciuto in età & havendo inteso se non esser figliuolo di Polibo, si dispose ricercare chi fosse il suo padre; & andato a consigliarsi con l'oracolo d'Apollo, hebbe in risposta, che trovarebbe il padre suo in Focide, & che pigliarebbe la madre per moglie. Cosi venendo in Focide, & ritrovando attaccata una questione tra i cittadini & forestieri, egli messosi a dar aiuto alla parte straniera inavedutamente amazzò il padre Laio, da lui non conosciuto, & che cercava acquetarli. Finalmente come quasi ingannato dall'Oracolo se n'andò a Thebe, & facendo quel viaggio ritrovò la Sfinge, la quale (dichiarati ch'egli le hebbe gli enigma) amazzò & entrò in Thebe; dove essendo tenuto figliuolo di Polibo gli fu data per moglie la madre Iocasta, la quale da lui fu volentieri pigliata temendo di non haver a torre Meroe, già moglie di Polibo & da lui tenuta per madre. Cosi divenuto Re di Thebe, & essendo fatto padre di quattro figliuoli havuti da Iocasta, avenne, che in Thebe nacque una mortalità grande. Onde andatisi a consigliare con l'oracolo, gli fu risposto la peste non essere per cessare, se con l'essiglio del loro Re non si purgasse l'incestuoso matrimonio di Iocasta. Ma mentre, che l'infelice incominciava già a sospirare, a lui venne inanzi un Corintho, che gli portò nova della morte di Polibo, & che lo chiamava nel reame. Ond'egli rispondendo temer di venirci, attento, che havea sospetto di non essere sforzato pigliar la madre per moglie, da quel corrieri vecchio fu ragguagliato a qual partito fosse portato a Corinto. Il che sentendo Iocasta, & tornandole a memoria quello c'havea inteso dai servi ch'il portarono ad esporre, subito guardandoli i piedi conobbe quello esserle figliuolo. La qual cosa intesa da lui, & conoscendosi haver'amazzato il padre, assalito dal dolore con le proprie mani si cavò gli occhi, & volontariamente volse vivere in tenebre. Ma i figliuoli, venuti per l'ingordigia di regnare tra loro all'armi & fatti disubidienti al padre, s'amazzarono insieme. Et essendosi già con le proprie mani amazzata Iocasta, egli doglioso & afflitto, menando seco una delle figliuole, per comandamento di Creonte fu confinato in essiglio nel monte Citerone. Quello, che poi avenisse di lui non saprei dire. Nondimeno questo so bene, ma non già per quali meriti, che dagli Atheniensi si come a Dio gli fu edificato un tempio & fatti sacrifici; & di ciò n'è testimonio Valerio.

 

Antigona figliuola d'Edipo.

Per testimonio di Statio, Antigona fu figliuola d'Edipo & di Iocasta. Costei fu quella che, havendo compassione al padre mandato in essiglio da Creonte, sempre gli diede il vivere. Et fu quella, che di notte, contra l'imperio di Creonte, venne a dare le ultime lagrime & sepellire i fratelli. Dove ritrovando Argia moglie di Polinice, che faceva l'istesso ufficio, secondo l'usanza antica abbrusetaro i corpi dei fratelli. Ma sovragiunta insieme con Argia dalla guardia della Città, per comandamento di Creonte fu morta.

 

Ismene figliuola d'Edipo.

Fu Ismene figliuola di Edipo, secondo, che scrive Statio; della quale altro non si ha eccetto, che fu maritata in un certo giovane atheniese chiamato Cirreo, il quale inanzi, che celebrasse le nozze fu morto da Tideo.

 

Itheocle figliuolo di Edipo, & di Iocasta.

Etheocle figliuolo d'Edipo, sprezzando la riverenza del padre, venne a tal conditione col fratello Polinice sopra il governo del Reame, che un anno per uno ciascuno di loro havesse il governo. Et, che quel anno, che l'uno fosse signore, l'altro andasse in essiglio: Cosi rimasto egli il primo anno signore, & fornito il suo tempo, Polinice fece per Tideo suo amico richiederli, che secondo il patto devesse cederli il governo. Ma Etheocle non solamente non volse servar la conditione tra loro, ma cercò far amazzare a tradimento Tideo ch'era venuto per ambasciadore. Per la qual cosa egli patì lo assedio di sette Re; & finalmente venuto a duello col fratello, con eguali ferite si amazzarono amendue. Et si come furono in vita discordi, cosi anco i loro corpi in morte non hebbero eguali fiamme.

 

Polinice figliuolo d'Edipo, che generò Thessandro.

Chiarissimo è Polinice essere stato figliuolo d'Edipo & di Iocasta. Questi, col fratello (sì come è stato detto di sopra) venuto ad accordo nel governo del reame, fu il primo, che se n'andò in essiglio, & cacciato da pioggie & venti di notte giunse in Argo; dove messosi a riposare sotto i portici del palazzo reale, avenne, che Tideo essule della sua patria medesimamente ivi capitò. Et venuti seco alle mani per cagione dell'alloggiamento furono acquetati dal Re Adrasto, menati nel palazzo & fatti suoi generi, si come di sopra è stato mostrato. In processo poi di tempo essendo andato Tideo come legato di Polinice ad Etheocle per dimandarli il possesso del reame, contra ogni ragione del mondo non solamente non fu essaudito, ma anco fu cercato di tradire. La onde si venne a tanto (essendo già nato a Polinice d'Argia sua moglie un picciolo figliuolo), che Adrasto, adunati i prencipi d'Argo, mosse guerra contra Etheocle & i Thebani. Nella quale inghiottito dalla terra Anfiarao, ferito Tideo a morte con una saetta, & morti diversamente combattendo gli altri Re, fu insieme fatto volontario accordo ch'amendue i fratelli a corpo a corpo havessero a finir le liti. Nel qual duello, parendo già vincitor Polinice, pian piano dal fratello, che ferito in terra giaceva fu passato da lato in lato; & cosi amendue con eguali ferite caderono. De' quali fu tanto fiero & iniquo l'odio, che anco tra i loro morti corpi quello continuò. Percioche, essendo amendue in un istesso rogo posti da Argia moglie di Polinice & da Antigona loro sorella, non prima fu acceso il foco, che le fiamme si partirono; di maniera, che chiaramente parve i corpi non sopportare d'essere abbruggiati da un istesso foco.

 

Thessandro figliuolo di Polinice.

Thessandro fu figliuolo di Polinice & Argia, secondo il testimonio di Statio; il quale essendo divenuto forte giovane tra tutti gli altri Baroni, se n'andò con i Greci alla guerra Troiana. Et, si come dice Virgilio, fu uno di quei ch'entrò con Ulisse nel cavallo di legno. Ciò, che poi avenisse di lui, non l'ho ritrovato.

 

Scita decimo terzo figliuolo del primo Giove.

Come Plinio vuole nel libro dell'historia naturale, Scita fu figliuolo di Giove; del quale non si legge altro eccetto quello, che l'istesso Plinio allega di lui, cioè, che fu il primo qual ritrovasse l'arco & le saette. Il cui inventore la Sacra Scrittura vuole, che fosse molto più antico; perche si vede quella affermare Lamech essere stato arcieri. Della stirpe dell'Ethere à noi resta Celio; il quale, accioche dia principio al seguente libro, ci è paruto meglio lasciarlo a dietro.

 

Il Fine del Secondo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO TERZO

 

 

All'Illustre suo sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Solcando io con picciola barchetta il gran mar salso degli Eroi antichi; ecco, che tra l'asprezze delli scogli, & tra i turbati mari, Numenio Filosofo, vecchio di grand'età, & huomo al tempo suo d'autorità degna, mi si fece incontra; & con assai benigna voce, & ornato parlare cosi mi disse; Perche con la tua fatica offendi le deità, là dove col riposo potresti haverle piacciuto? à me anco fu già nell'animo quel pensiero, che te hor preme, cioè aprire i chiostri al vulgo de' theologhizanti Poeti.

Onde mentre con tutte le forze del mondo, che fosse possibile m'ingegnava palesare, & scoprir il segreto de sacrifici Eleusini; ecco che dormendo nella profonda notte à me apparvero le Eleusine Dee con habiti da meretrici, con vesti vergognose; & ritrattesi nelle profonde cave delle fornicationi con i panni alzati per compiacere ad ogn'uno. Ilche parendomi poco honesto alla dignità, & maravigliandomi molto cosi pudiche Dee essere venute in cosi scelerato, & dishonesto luogo di meretrici, subito ricercai la cagione di tanto vergognosa ignominia. Ma quelle con guardo bieco, & con rugginosa fronte verso me rivolte, con faccia, & parole sdegnose cosi incominciarono. Ahi scelerato ruffiano, che cosa ci domandi? Tu sei la cagione di cosi vituperosa ribalderia. Perche pigliando ne capelli per forza noi, che con l'opre sempre siamo state caste, & pudiche, pian piano guidi noi castissime, & pudicissime nelle publiche stanze delle meretrici. Ma io, come che fossi involto in profondo sonno, non altramente, che s'io havessi vegghiato subito le intesi essersi sdegnate, & dormendo conobbi quello, che vegghiando non havea: cioè i misteri sacri essere opra di pochi, & subito dalle cose incominciate mi rimossi, affine di non incorrere in più fiero sdegno. Ma tu molto più desiderando, che non ti si conviene poco avedutamente sei entrato in un profondo, & oscuro gorgo, & ti presumi quello, c'hò lasciato io. Tacerò, ch'io mi creda à te essere conceduto tanto lume, & ingegno, quanto faccia mestieri a cosi sublime opra, ma non voglio già tacer questo. Avertisci già, che t'ho avisato quello, che fai. Crisitone, per haver offeso Cerere, pericolò. Pentheo sprezzando i sacrifici di Baccho, percosso nel capo dalla madre, ne diede le dovute pene. Niobe, per haver oltraggiato Latona, perduti i figliuoli, & il marito, divenne dura selice. Et per non raccontare più essempi, credi tu forse senza pena scoprire i fatti degli Dei? Tu t'inganni. Et se tu non ti rimovi, non conoscerai l'ira loro, fin, che non l'havrai provata. Allhora io (se bene l'impeto dell'ondeggiante mare mi ostava), alquanto nondimeno stei sopra di me, & dissi; Da quai paesi sei venuto tra questi scogli? dimmilo, che te ne prego, perche tengo, che tu sia venuto dall'Inferno. Conciosia, che con l'odore di solfo tu empi il tutto, & hai la bocca piena d'infernale caligine. Et di più udì io questi essere mandati del scelerato Plutone: ilquale pensa, quasi ad un huomo Christiano, come già tempo soleva à Gentili con tai cose mettere paura. Quelle catene veramente sono cadute, & le arme dell'inimico sono state vinte. Noi redenti col pretioso sangue habbiamo vinto, & essendo rinati, & lavati in quello, non temiamo i suoi inganni. Nondimeno io non manifesto i segreti delle tue Dee, nè apro gli andamenti de tuoi Dei, come s'io volessi più da vicino vedere le loro pazzie: ma ciò faccio, accioche si conosca, che se i Poeti havessero ottimamente conosciuto Iddio, sarebbono stati huomini famosissimi, & per lo maraviglioso arteficio degni di riverenza. Et affine, che tu vegga quanto poco conto io faccia di questi tuoi favolosi Dei, userò una preghiera simile à quella di Stratonico, che pregava in se l'ira d'Alabando, & cosi Hercole, che pregava l'immolesto. Adunque io prego tutti quelli, de quali m'essorti fuggir l'ira, che mi siano contrari. Ma à te, & à loro insieme con quelli, che creggiono tali pazzie, Giesù Christo ponga la sua mano aiutarci. Cosi detto, quello subito disparve. Ma io attento col mio naviglio solcherò il mare Egeo, per cercare una grandissima prole del Cielo. Onde colui mi conduca, che con la guida della Stella condusse in Soria i Magi, ch'erano venuti da Sabea ad adorarlo, & offerirli doni.

 

Il Cielo figliuolo dell'Ethere, & del giorno, il quale generò undici figliuoli, benche nel presente libro faccia mentione solamente di otto, quai sono Opi, Theti la grande, Cerere prima, Vulcano primo, Mercurio terzo, Venere magna, Venere seconda, & Iosio.

Il Cielo, non quella grande macchina ornata di Stelle, la quale Orfeo diceva essere composta da Fanete per habitatione sua, & degli altri Dei, & la quale noi sempre veggiamo con un circuito caminare, ma un certo huomo cosi chiamato (come dice Tullio nelle nature degli Dei), fu figliuolo dell'Ethere, & del giorno, cioè della virtù ardente, & della luce famosa: da quali il suo nome venne in luce. Et, ch'egli sia stato huomo, assai manifestamente si dimostra in Lattantio; il quale cosi dice nella sacra historia; Io ho ritrovato Uranio huomo potente haver havuto per moglie una donna chiamata Vesta, & da lei haver havuto per figliuoli Saturno, & Opi; ilqual Saturno, divenuto potente per lo reame, chiamò il padre suo Uranio, Cielo, & la madre, Terra, accioche con questa mutatione di nomi egli venisse ad aggrandire lo splendore dell'origine sua, &c. Oltre di ciò, si come dice Ennio nell'historia sacra, à Giove suo nipote fu il primo che nel Monte Paneo edificasse Altari, & gli sacrificasse, & da lui nomò questa vera machina, che veggiamo, Cielo. Ma Eumero dice questo Celio, overo Cielo essere morto nell'Oceano, & sepolto nel castello d'Aulatia.

 

Opi prima figliuola del Cielo, & moglie di Saturno.

Opi, overo Opis, che è la terra, come piace à Lattantio nel libro dell'institutioni divine, fu figliola del Cielo, & di Vesta, & del fratello Saturno moglie, & madre di Giove, & di molti altri dei; per la qual cosa appresso i ciechi del mondo fu molto riverita. Ma, ò che gli antichi theologizando facessero ciò per manifestare gli errori suoi, ò per nascondere con le lor fittioni al vulgo la verità delle cose alte (come è stato mostrato), ò più tosto per adulare à Giove grandissimo Re (lasciata da parte l'historia), con maravigliose fittioni ornarono questa, & di maniera la inalzarono, che in luogo di grandissima dietà fu honorata da molti, & à lei furono drizzati altari, & tempi, & furono instituiti sacerdoti, & fatti sacrifici in diversi luoghi; de quali (per meglio vedere il tutto) diremo alcuna cosa. Prima la chiamarono madre degli Dei, & à lei ordinarono una carretta da quattro ruote guidata da due leoni; & al suo campo assignarono una corona in forma di torre, aggiungendo nelle sue mani un scettro. Oltre di ciò la vestirono con una veste molto notabile, per essere intagliata di rami, & herbe. Et quando ella caminava le andavano inanzi alcuni huomini, i quali, perche erano Eunuchi, venivano detti Galli, sonando alcuni timpani, & instrumenti di rame. Et nel suo circuito posero le sedie vuote, volendo ch'alcuni huomini armati la accompagnassero. Quello adunque, che sentissero, di tante cose, hora veggiamo. Fu tenuta madre degli Dei, perche terreni sono gli huomini, che dagli huomini sono fatti Dei. La corona in forma di torre, della quale è ornata, assai dimostra dover esser intesa invece di Terra, essendo il circuito della Terra à guisa di diadema ornato di Cittadi, & Castella. La veste poi distinta à rami, & foglie dinoterà le selve, i frutti, & l'infinite spetie dell'herbe, de' quali la superficie della Terra è coperta. Ma il scettro ch'ella porta nelle mani significherà i Reami, le ricchezze, & la potenza dei signoreggianti sopra la terra. Che poi sia guidata da una carretta, essendo immobile, intesero l'ordine, nelle opre della terra, per li quattro tempi dell'anno continuamente essere serbato con un certo circolar camino. Ma perche sia guidata da Leoni, egli si può render questa ragione. Volsero veramente mostrar l'usanza degli agricoltori nel seminar la terra, perche i Leoni (come dice Solino nel libro delle Cose Maravigliose) sono avezzi, se fanno il loro viaggio, solamente per la polve con la loro coda guastare le vestigia de' suoi piedi, accioche i cacciatori da quelle orme non possano haver inditio del suo camino. Il che fanno anco gli agricoltori del terreno, i quali, gittato c'hanno in terra i semi, subito cuoprono i solchi, affine, che gli uccelli non mangiano le sementi. Oltre di ciò, essendo l'ossa dei Leoni tra tutte l'altre ossa d'animali dure, volsero intendere essere bisogno le membra de' coltivatori essere più robuste di quelli degli altri. Overo più tosto si dimostri quelli, che noi chiamiamo Re dei quadrupedi sudditi al giogo di Opi, i prencipi del mondo, che sono sottoposti alle leggi della Terra. Le sedie poi vuote d'intorno à lei istimo, che non vogliono inferir altro, eccetto, che dimostrare non solamente le case, ma anco le Città, che sono stanze degli habitanti, rimangono vacue molte volte ò per guerra ò per peste, overo, che nella superficie della Terra molte sedie siano vuote, cioè molti luoghi dishabitati; overo ch'essa Terra sempre tenga molte sedie vuote per quelli c'hanno à nascere. Overo per dimostrare, che quelli a' quali s'appartiene il lavorìo della terra, nè dico solamente degli agricoltori, ma anco dei Prencipi, che sono Governatori delle Città, & Reami, non debbono darsi in preda all'otio nè alla da poco quiete, anzi continuamente star aveduti, & avertire, conciosia, che sempre vanno in ruina quelle cose, che mancano dell'essercitio di questi tali. Oltre di ciò gli assignarono huomini armati, che d'intorno le fanno la guardia, volendo per ciò dinotare ciascuno de mortali per la patria dover esporsi alla guerra, & per la salute di quella prender l'armi. Haver poi i Sacerdoti Galli, dicono ciò essere avenuto che, questa madre dei dei havendo grandemente amato un fanciullo Ati, & trovatolo giacere con una concubina, per gelosia gli tagliò le parti genitali; per la qual cosa vogliono à lei convenirsi simili sacerdoti, per contrario senso Galli chiamati. Ma vuole Macrobio, nel libro dei Saturnali, per l'amato Ati doversi intendere il Sole, il quale in ogni anno mostra ringiovinire, & di maniera dalla Terra è amato, che (in se raccolta ogni influenza) partorisca l'herbe, & i fiori, che noi veggiamo. Che poi ella lo castrasse, credo ciò essere finto perche ad un certo tempo dell'anno i raggi del Sole paiono essere sterili, & spetialmente d'intorno l'Autunno, & il Verno, nelle quai stagioni pare alcuna cosa da loro non essere generata. Overo (sì come dice Porfirio) Ati è un fiore dalla terra amato, come proprio ornamento suo, il quale allhora dalla terra è castrato quando, succedendo il frutto, il fiore cade; overo se cade pria del frutto, non è poi più atto al frutto. Che questi sacerdoti portino i Timpani, & altri instrumenti di rame, vogliono, che per tali Timpani: i quali sono vasi semisferici, & sempre à due à due sono portati, doversi intendere due hemisperi della Terra; in tutti due e quali (come alcuni si sono imaginati), l'opra della Terra si dimostra. Per quelli di rame vogliono, che s'intenda gli stromenti atti alla agricoltura, i quali, già pria, che si trovasse l'uso del ferro, solevano farsi di rame. Oltre di ciò nomarono costei con molti nomi, parte de' quali si sono di sopra dichiarati dove si ha trattato della Terra, & alcuni sono qui communi con alcune dee, che si diranno per l'avenire. Nondimeno quelli, che sono suoi propri ho giudicato esser bene descriverli. La chiamano adunque Opi, Berecinthia, Rhea, Cibele, Anna, & magna Pale. Vogliono per ciò, che sia detta Opi (come dice Rabano) perche dia aiuto alle biade, & per l'opra sia fatta migliore; Berecinthia (secondo Fulgentio) come signora dei monti, perche è madre dei dei, conciosia, che i monti s'intendeno per li Dei, cioè per gli huomini inalzati; overo (sì come piace ad altri, & à me anco) da Ericinthio monte, overo castello di Frigia, dove con molta riverenza era adorata. Rhea, poi, percioche l'istesso tal vocabolo in greco suona, che in latino fa Ope. Ma Cibele alcuni volsero quelle cosi essere detta da un certo Cibalo, il quale vogliono, che fosse il primo Sacerdote ch'a lei amministrasse; altri dal castello Cibalo: dove dicono i suoi sacrifici essere stati ritrovati. Nondimeno alcuni affermano essere cosi detta da Cibel , che significa movimento di capo, il quale si faceva frequentemente ne' suoi sacrifici. Alma poi da alendo , che significa nodrire, percioche con suoi frutti nudrisce tutti. Pale, poi, cosi la dissero i pastori, & la chiamarono anco Dea de' pascoli, perche dai pascoli agli armenti, & ai greggi.

 

La gran Theti seconda figliuola del Cielo, & moglie dell'Oceano.

La gran Theti, dice Paolo, Crisippo volere, che fosse figliuola di Cielo, & Vesta, & moglie dell'Oceano. Il che Lattantio afferma, & dice, che fu madre delle Ninfe. Ma Servio la chiama Dori, la qual cosa penso ch'egli habbia cavato da Virgilio, mentre dice;

 


Così mentre trascorri il mar Sicano

L'amara Dori non conturbi l'onde.


 

In queste cose adunque non vi essendo niente d'historico, egli è da vedere il senso allegorico. Theti senza dubbio è un'acqua, la quale (dice Crisippo) per forza di fervor celeste è tratta dalle viscere della Terra; & cosi dal Cielo, non da huomo; & di Vesta, cioè della terra essere nata. Ma Dori s'interpreta per amarezza, il quale per lo calor del Sole (come i Fisici vogliono) s'aggiunge all'acqua marina; il che per esperienza chiaramente si vede. Perche, secondo, che dicono i nocchieri, l'acqua salata sta solamente mischiata col mare di sopra via, di maniera, che fra lo spatio di dieci piedi sotto le acque il mare si trova dolce. Ma veggiamo la cagione per la quale la fanno sposa dell'Oceano, essendo anco l'Oceano acqua, onde pare, che marito, & moglie sia una cosa istessa. Credo io, che quelli, che hanno finto tal cosa habbiano voluto intender l'Oceano doversi pigliare per elemento semplice dell'acqua, il che è tenuto per l'agente, dove si ritrova attione d'acqua; ma Theti essere l'acqua elementata, overo c'habbia mistura d'altri elementi, per opra della cui mistura può concepire, & nodrire. Ma descrivendosi i Dei haver l'uno, & l'altro sesso, come si vede per li versi di Valerio Serrano, che cosi dice;

 


Onnipotente Giove Re dei regi,

Et inventore, & padre, & madre insieme

Degli Dei, & solo Iddio, e istesso Iddio , &c.


 

Vogliono, che mentre l'acqua opra alcuna cosa sia detta Oceano, & quando patisce, Theti. Seneca poi, dove scrive delle Questioni Naturali, pare, che voglia altramente, perche dice l'acqua virile esser detto mare, & la feminile tutto loavanzo. La chiamarono anco Theti Maggiore per differenza di Theti madre d'Achille, la quale gli antichi volsero, che fosse ninfa, ma non grandissima Dea, eccetto se non chiamiamo (come alle volte si fa) anco le ninfe Dee. Questa Gran Theti partorì dall'Occeano molti figliuoli, de' quali si dirà poi.

 

Cerere prima, qual fu seconda figliuola del Cielo, & partorì Acheronte.

Lattantio nel libro delle Divine Institutioni vuole, che Cerere fosse figliuola del Cielo, & di Vesta. Di Theodontio costei essere stata moglie di Sicano, antichissimo Re di Sicilia, & essere stata la prima ch'insegnasse a Siciliani l'uso del fromento, indi a Sicano haver partorito molti figliuoli; nondimeno non ne noma alcuno. Tuttavia Pronapide vuole Acheronte essere stato suo figliuolo, & per ciò di lei recita questa favola, cioè ella essere divenuta pregna, & per vergogna del ventre, che le cresceva essersi andata à nascondere in una segreta spelonca di Creta, dove partorì Acheronte. Il quale, non havendo ardire riguardar la luce, scese all'Inferno, & ivi fu fatto fiume infernale. Della cui fittione l'istesso Theodontio spiega tal ragione. Dice egli haversi per cosa ferma, che Cerere persuase al fratello Saturno, che à patto alcuno non restituisse il reame à Titano; così, contra il patto tra Saturno, & Titano fatto, quei figliuoli maschi, che generò Saturno segretamente subito nati gli tolse, & insieme con la madre Vesta gli fece nodrire. Il che essendosi scoperto, & havendo inteso Saturno, & Opi essere imprigionati da Titano, temendo, che l'istesso à lei non avenisse, andò in Creta à nascondersi in alcune spelonche, nè hebbe ardire comparire, fino attanto, che non fu fatta certa Giove vittoriosamente haver liberato i padri. Là onde Pronapide vuole Cerere per la prigionia dei fratelli ivi haver concetto il dolore, & in quelle oscurità haverlo partorito, cioè mandato fuori, overo lasciato, mentre per la vittoria di Giove tutta lieta si lasciò in publico vedere. Ma quello essere stato detto Acheronte dall'A, che vuol dir senza, & Cheron, allegrezza; percioche senza allegrezza è colui, che si duole. Onde dice, ch'egli non volse veder la luce, perche i dogliosi per lo più, con gli occhi à terra chini, disiano lo star soli, & in luoghi oscuri. Divenne poi fiume infernale, conciosia, che nell'Inferno non v'è allegrezza alcuna. Nè à lui è dato padre alcuno, attento che solamente viene generato dal voler nostro.

 

Acheronte fiume infernale figliuolo di Cerere, il qual generò sei figliuoli, cioè Aletto, Thisifone, Megera, Vittoria, Aschalfo, & Stige.

Acheronte Fiume infernale, senza padre, fu figliuolo di Cerere, si come è stato mostrato. Paolo diceva costui essere stato figlio di Titano, & della Terra, & per ciò da Giove nell'Inferno cacciato: perche havendo sete i figliuoli di Titano, egli gli havea conceduto acque limpide, & chiare. Ma il nostro Dante nella prima parte del suo Poema chiamato Inferno tiene contraria opinione da questa del suo nascimento, perche dice nella sommità del monte Ida in Creta essere una gran statua d'un certo vecchio, il cui capo è di oro, il petto, & le braccia d'argento, il corpo, & le reni di rame, le gambe, le giunture, & il piè sinistro di ferro eletto, il destro piede di terra cotta; & in lei essere quasi una corporal grandezza, tutta rivolta verso Roma. Indi tutte queste parti di membra, eccetto il capo d'oro, ha certe fessure, che stillano gocciuole d'acqua, overo di lagrime; le quali raccolte insieme, & passando per caverne all'Inferno, fanno il fiume Acheronte. Ma quello, che vogliano significare cosi diverse fittioni hoggimai è da vedere. Perche sia detto figliuolo di Cerere, egli è stato mostrato. Che sia poi stato figliuolo di Titano, & della Terra si può anco ammettere, mentre vogliamo pigliare Titano per lo Sole, come anco vollero gli antichi, & cosi alcuni si sono imaginati, oprando il calor del Sole, l'acque del mare essere condotte nelle viscere della Terra, & da quelle per lo freddo della terra divenute dolci, estendersi. Et cosi dando il Sole la materia, può essere detto suo figliuolo, & anco di colei dal cui ventre pare ch'egli esca fuori. Che sia fiume infernale, egli si può intendere in tal modo. Sono due fiumi c'hanno il nome d'Acheronte: uno irriga appresso i Molossi, come dice Tito Livio, & mette capo in certi stagni chiamati inferni, & da quelli corre nel Thelespontio seno. L'altro poi per la morte d'Alessandro Epirota, molto famoso, correndo appresso Lucani scende nell'Inferno. Et cosi ciascuno di loro cala all'Inferno, percioche quello il quale è appresso i Molossi nel reame già di Plutone, che è detto Dio dell'Inferno (per essere fatto dall'Oriente del Sole) scorre più à basso, & cosi se è nel reame di Plutone è nell'Inferno. Nondimeno in tal maniera alcuni giudicarono del secondo. Affermano nel tempo antico essere usanza ai Greci di mandare i condennati in essilio in Italia, overo essi essuli venirci volontariamente; la quale, perche dicevano essere appresso il mar infero, ò perche la Grecia è inferiore dall'Oriente del Sole, eglino volevano il fiume, & i condennati essere nell'Inferno. Là onde vogliono essere stato aggiunto il luogo alla favola, attento, che anco la ethimologia del nome del fiume favorisce alla fittione, essendo interpretato senza allegrezza, overo salute, come se gli essuli dalla patria fossero senza allegrezza nè salute. Quelli poi c'hebbero contraria opinione, si come Servio, & dopo lui Alberigho, dicono Acheronte non essere fiume, ma terra d'Italia. Nondimeno di questo dirassi altrove. Ma Dante intende del vero fiume Acheronte infernale, & dicendo, che nell'isola di Candia sia una statua d'un vecchio di vari metalli composta, che guarda da Adannata città di Soria verso Roma, fa presuposto designare la convenevolezza del luogo all'origine, insieme con i tempi, & le cagioni. Ma prima veggiamo del luogo. Dice adunque la statua del vecchio star diritta, accioche vegniamo ad intendere la generatione humana, che anco dura, benche sia antica; appresso è posta nel monte Ida. Ida adunque significa bellezza, per la quale vuol intendere la beltà delle cose temporali, la cui volendo dimostrar caduca, & frale, dice già quel monte essere lieto, & hoggidì triste, & diserto. Dice anco in un monte di Creta, percioche l'Isola di Candia pare essere nel mezzo del Mondo in tre parti diviso: perche da Settentrione vi è il mare Egeo, dall'Occidente l'Ionio, overo il Onirteo, che sono mari d'Europa; dall'Oriente il mare Icario, & il Carpatio, overo Egittio, i quali sono d'Asia, ma da mezzo Giorno, & Occidente è sostenuta dal mare Africano, & cosi da tre parti del Mondo v'è il termine, accioche intendiamo non solamente una di queste parti, ma tutte dar opra, che questo Acheronte si generi. Ma quello già si creò dalle gocciuoli cadenti, cioè dai peccati, da le opre scelerate, & dai manchamenti dell'antiche età, & hoggidì fa l'istesso; affine, che conosciamo per li peccati de' mortali perdersi l'eterna allegrezza. Ma accioche appaia non ogni età in ciò convenirsi, dice il capo d'oro essere massiccio, affine, che per quello si comprenda il tempo dell'inocenza del primo padre insieme col nostro; mentre per lo battesmo rinati nella fanciullezzat semplici perseveriamo. Poi si viene al metallo d'argento, ch'è l'età più compiuta, la quale come che dimostri essere più intiera per le forze corporali, nondimeno per li vitij divene più vile; cosi quella parte d'argento ha molte fessure, cioè peccati. Finalmente segue la terza età, più sonora delle prime, & d'opre molto più lontana, & questa medesimamente è aperta, & procaccia accrescimento di miseria. Segue poi la ferrea più forte dell'altre, ma anco peggiore, & più ostinata. Ultimamente viene la terrea, verso la quale tutta la machina corporea s'inchina, & per la cui si figura la fragilità de' mortali, & la debolezza dei vecchi, & questa anco è fessa. Dalle quali fessure nasce, che le lagrime escano fuori, & facciano l'Acheronte, cioè la perdita dell'allegrezza, dalla cui nasce l'aquisto della tristitia, affine ch'indi succeda l'origine di Stige; & dalla tristitia venga l'incendio del dolore, che è Flegetonte, & da questo germogli il pianto della miseria, & una frigidezza perpetua, che dinota Cocito. Che poi da Damiata si sia cangiato verso Roma, descrive il genere humano, c'hebbe principio nel campo Damasceno, & hora riguarda Roma ultima de' Reami del Mondo, cioè il fine suo.

 

Delle figliuole d'Acheronte trattato in generale.

Pare che tutti i Poeti vogliano le furie essere tre, delle quale parmi in generale voler trattare alcune poche cose; accioche in particolar poi più facilmente il resto intendere si possa. Primieramente dicono quelle essere state figliuole d'Acheronte, & della Notte. Che Acheronte le sia stato padre, Theodontio lo dimostra. Che siano figliuole della Notte, egli si vede per Virgilio, dove cosi parla:


Queste due pesti per cognome dette

Furie si sono in uno istesso parto

Prodotte da la Notte atra, & oscura

Insieme con Megera empia, e infernale .


Appresso volsero questi tali haver diversi nomi, perche dissero nell'Inferno chiamarsi cani, come pare, che voglia Lucano, dove dice;


Homai v'allaccierò con vero nome

Et voi cani infernai ne l'alta luce


Collocherò , &c.

Da' mortali sono dette furie, si come è manifesto dall'effetto per li versi di Virgilio:


Dai cerulei capei si leva un serpe,

Et gli lo gitta in sen: il qual scorrendo

Fino al profondo cor, ivi si ferma

Là onde avien, che per lo fiero mostro.


Tutta furiosa il gran Palazzo scuotte

 

Sono anco appresso noi dette Eumenide, si come mostra Ovidio dicendo:

 


Tennero in man l'Eumende le faci

Rapite, e tolte dal funebre rogo.


Onde assai chiaramente si vede ciò essere fatto appresso noi nello sventurato matrimonio. Si chiamano anco Dire, & questo appresso i Dei del Cielo, secondo, che dimostra Virgilio:


Come tosto conobbe di lontano

Lo strido de la dira, & l'ali; allhora


L'infelice Iuturna squarciò i crini .

Percioche la Dea Iuturna conobbe lo strido della dira, ò vogliamo dir fiera, nell'aere, & non in terra, si dicono anco uccelli, come mostra l'istesso Virgilio:


Hor lascio le squadre; & non smarrite

O rozzi augei, me timido, & tremante;


Che di vostr'ali le percosse i veggio.

Oltre di ciò Theodontio dice appresso habitatori di liti esser chiamate Arpie, & appresso dicono, che sono sottoposte à i voleri di Giove, & di Plutone, come di loro scrivendo Virgilio dimostra.


Queste stanno dinanzi il tribunale

Di Giove; & stanno ancor nell'ampia entrata

Del fiero Re; dove a' mortali infermi

Accrescono il timor; s'avien ch'il capo

De gli altri dei vuol far, ch'alcun divenga

Di lieto mesto; vuol punir alcuno.


O con guerra smarrir Regni, e Cittadi.

 

Ma hora è da vedere il significato di queste cose. Le chiamano figliuole d'Acheronte, & della Notte non per altra ragione, (a me pare), che per questa. Quando non succedono secondo il disio i voleri, è forza, che la ragione ceda; di maniera, che di necessità pare, che nasca una perturbatione di mente; la quale non senza giudicio di cecità di mente continua, & per lo continuare diviene maggiore, fino attanto, che cade nell'effetto; il quale, oprato senza ragione, necessariamente conviene parere furioso. Et cosi le furie nascono di Acheronte, & dalla Notte. Oltre di ciò appresso gl'infernali sono dette cani, overo cagne, cioè appresso gli huomini di bassa conditione, i quali ricevendo qualche disturbo, non potendo le loro forze far resistenza al furore, con gridi empiono il tutto, à guisa di cani ch'abbaiano. Appresso gli huomini mezzani sono poi dette furie, overo Eumenide: percioche con maggior incendio offendono il furioso, attento che, affine, che l'huomo mediocre in se si roda, & consumi, oprano alcune cose. conciosia, che la legge publica vieta, che non si opra nei minori, ma nei maggiori la potenza, Cosi lo sdegno non lascia, che questi tali secondo il costume del basso vulgo mandino fuori pianti, nè lamenti. Seco adunque sono infuriati, & se dirompono in pianti, la forza gli constringe, & può cagionare, che loro entrano poi in grandissimo furore, rispetto à molte cose, che si congiungono alla furia. Il nome d'Eumenide è venuto da Hei, che è accento doglioso, & da Men; che significa mancamento: percioche colui, che patisce, à se stesso è propria pena; overo per antifrasi sono dette da Heu, & Mane: il che l'uno, & l'altro significa bene, & elleno mancano d'ogni bene. Appresso i Dei sono dette Dire, rispetto alla crudeltà de' maggiori contra i minori, alla cui subito ricorre il furor de' maggiori. Sono poi dette uccelli dalla velocità del furore, attento, che subito dalla mansuetudine volano gli huomini al furore. Da gli habitatori dei liti si chiamano Arpie, dalla rapacità. Percioche con tanta ingordigia quelli correno alla preda, che punto non sono differenti dal furore. Le chiamano anco inchinate a Plutone, perche egli viene detto Dio delle ricchezze, onde noi veggiamo spesso l'ire, i disturbi, & le gare nascere per l'ingordo disio dell'oro. Che poi stiano dinanzi à Giove non è maraviglia, come che egli sia detto benigno, & pio, percioche al pio giudice è bisogno haver per ministri dei vindicatori delle scelerità; de quali, se mancano ò non tengono cura, l'autorità delle leggi liggiermente va in fumo. Appresso alle volte per li peccati de' popoli dalla divinità è conceduto, che negli elementi si congiunga il furore, & che per la discordia di quelli s'infetti l'aere; onde nascano pestilenze mortali, per le cui noi infelici siamo ingiottiti. Cosi anco per la superbia di que' tali nascano guerre, da' quali si conseguono incendii, sacheggiamenti, & ruine.

 

Aletto prima figliuola d'Acheronte.

La prima delle furie Aletto, è figliuola d'Acheronte, & della Notte, la quale cosi descrive Virgilio:


Elegge Aletto, ch'è cagion dei pianti

Tra tutte l'altre sue fiere sorelle,

Et da l'infernal tenebre la scioglie.

A costei sono à cor le triste guerre

L'ire, gl'inganni, & i peccati iniqui.

Di maniera, ch'il padre esso Plutone

L'odia, & in odio ancor l'han le sorelle.

Questo monstro infernal si cangia in tante

Diverse forme, & molte faccia piglia,

Con tanti fieri serpi d'ogn'intorno.


 

Et poco da poi soggiunge dicendo:

 


Sta in tuo potere a perigliose guerre

Armar l'un contra l'altro i car fratelli,

Et in odio voltar tutte le case.

Tu sopra i tetti puoi recar tormenti,

Et portarli funebri, ardenti faci.

Mille deitadi sono in tuo potere,


Et di nuocere altrui teco hai mille arti.

 

Et quello, che segue. Onde assai per questi versi si veggono gli uffici di tal furia, & si vede anco à bastanza la sua potenza, & la crudeltà, essendo per insino à Plutone, & all'istesse sue sorelle in odio. Secondo Fulgentio, Aletto significa inquietudine; accioche si conosca ogni furia dall'animo inquieto haver principio. La quale inquietezza tante volte entra nelle menti, quante noi restiamo di conoscere noi medesimi, & Iddio.

 

Thesifone seconda figlia d'Acheronte.

Thesifone è la seconda delle furie, & figliuola d'Acheronte, & della Notte; la quale cosi dipinge Ovidio:


Nè con indugio Thesifone piglia

Con importunità l'humida face

Per lo gelato sangue, & per quel rossa

In publico si veste, e à se d'intorno

Cinge, & intorce velenosi serpi.

Esce di casa, e accompagnata viene


Da pianti, da timor, da doglia e stridi.

Et quello, che và dietro; alle quai cose Claudiano aggiunge queste;


Cento serpi, ch'a lei d'intorno stanno

Le girano la faccia, e intorno il capo

Minori sono, ma piu crudi e fieri.

Entro le membra poi splende una luce

Eguale à quella, che dimostra Febo

Quando da nubi è circondato, e chiuso,


Di venen piena, & di color di ferro.

Et à queste tali appresso, Statio continuando soggiunge:


Camina tutta colma di veleno,

Et per l'oscura bocca le esce fuori

Un'infiammato odor di marcia, e lezzo,

Dal qual viensi à produrre ad ogni gente


Et fame, & sete, & morbi, & una morte.

 

Cosi adunque, si come per Virgilio è stata mostrata la qualità d'Aletto, per questi tre Poeti è stata descritta quella di Thisifone. Oltre di ciò dice Fulgentio Thisifone essere l'istesso, che è Trithonifone, cioè voce d'ire, nella cui, poscia, che il petto gonfio ha fatto una inquietezza, leggiermente si cade. Et per ciò Ovidio vuole tal successo essere quella face, che di sangue ondeggia, perche l'ira infiammata mai non esce, eccetto, che in sangue. Et per tal causa la chiama rossa per lo sangue, che abonda, togliendo il colore della faccia dell'huomo irato, affine di mostrare la dispositione dell'animo. Nè prima l'irato si leva, che non venga accompagnato dalle lagrime degli amici, che conoscendolo poco in cervello, di lui temeno; il quale però viene accompagnato dal terrore, accioche corrucciato tutto paia terribile. Ma i serpenti à quella locati, sono per dinotare la crudeltà dell'ira. Di quì venendo l'huomo irato manda i vapori in voce, cioè in parole, che spesso partoriscono ruine di paesi, & morti, & povertadi d'huomini.

 

Megera terza furia, & figliuola d'Acheronte.

Megera terza delle furie, figliuola d'Acheronte, & della Notte, in questo modo viene dipinta da Claudiano, dove si tratta delle Lodi di Stillicone:


Si leva poi da sedia triste, e vile

Megera iniqua, a cui stassi appresso

Un scelerato error d'animo pazzo,

Et l'ire, che di spiume empie, e severe

Per tutto ondeggia; & altro non ricerca,

Che sangue sparso per ferite, e morti,

Et di quel beve solo; & sol si nutre

Di quel, ch'insieme spargono i fratelli.

D'Hercole sol smarrì costei la faccia;

Questa de' difensor bruttò le membra,

Che difendean la terra; & questa sola

D'Athamante drizzò gli acuti dardi.

Costei d'Agamennon scorrendo in casa

Tese gli aguai al re poco avedutto.

Con auspitio di costei le faci

D'Himeneo congiunse il mesto Edipo

Con la dolente madre, e ancor Thieste

Con la figliuola oprò l'istesso effetto.


Et quello, che segue. Onde, perche Megera significa gran contrasto, overo lite, assai possiamo conoscere per li sopradetti versi i fatti convenirsi al nome, la onde nasce, che dal travaglio dell'animo vegniamo ne i gridi, & dai gridi nell'odio, & rissa; per le quai cose divenuti furiosi spessissime volte andiamo in ruina.

 

Vittoria quarta figliuola d'Acheronte.

Secondo Paolo, Vittoria fu figliuola d'Acheronte, & partorita da Stige sua figliuola; alla cui (dicono) Giove essere stato cosi grato che, havendolo ella favorito nella guerra contra i Giganti, le diede per incompensa tal dono, che il giuramento degli Dei fosse sopra la madre Stigia. Et se alcuni di loro facessero contra il giuramento, fossero obligati per spatio d'un certo tempo astenersi dal Nettare. Costei in tal modo viene dipinta da Claudiano dove egli tratta delle lodi di Stilicone:


Al Capitano essa Vittoria mostra

L'ale forate, & con la palma verde

Tutta festosa, ornata di trofei

Si dimostrasse guardia dell'impero

O donzella, che sol rimedi a tutte

L'empie ferite, & sol insegni a noi

Non sol quelle patir; ma non provare

Fatica alcuna, dolente affanno.


Ma Theodontio, quasi accordandosi con Claudiano, nel dipingerla l'adorna d'ornamenti trionfali. Nondimeno Paolo discorda da loro, & la chiama lieta, Ma circondata di rugginezza, & di polveroso lezzo, vestita d'armi, & con mani sanguinose, hora menando prigioni, & hora partendo spoglie. Et quegli ornamenti, che Theodontio à lei ascrivea egli attribuisse all'Honore, il quale dicono essere suo figliolo. Ma hora veggiamo quello, che di ciò volsero inferire. Credo gli antichi haver voluto la Vittoria essere stata figliuola d'Acheronte perche non s'aquista per otio nè riposo, ma da continui pensieri: i quali, mentre dall'ingegno cacciano piu utili consigli, veramente svegliano il pensiero, & dà lui rimovono ogni allegrezza; & cosi viene ad offerirsi Acheronte. Oltre di ciò nè nelle conversationi, & meno nei giuocchi non si ritrova, anzi si trahe da vigilie, imaginationi, & continue fatiche, con constante animo, & forte petto, dolori di ferite, & toleranze correrie; le quai cose senza tristezza del sopportante occorere, nè patir, non si ponno. Ma accioche questa tristezza sia differente da quella tristitia delle furie, quella dall'infermità della mente, & questa dalla corporale per lo piu si genera. Et cosi à colei ch'era venuto Acheronte per padre, incontanente Stigia le succedè per madre. Per lo contrario poi gli festosi, & che non pensano à niente, facilmente caggiono in ruina. Troia afflitta non puote esser presa, & lieta subito fu pigliata. Dice Clodiano la Vittoria haver l'ale, percioche leggiermente, lasciata un'opportuna occasione, spesso vola in altra parte: viene ornata di palma, perche mai il legno della palma non si corrompe, & le foglie serbano la verdezza, affine che per quella si comprenda l'accresciuta fortezza del vincitore, & il nome verdeggiar lungamente. E poi ornata di Trofei, per dimostrare la seconda spetie dell'Honore dal vincitor speso; perche il trionfo era minore, & perche in quello il vincitore sacrificava una pecora, dalla similitudine della parola Ovem, Ovatio si chiamava. Overo gli antichi chiamavano il trofeo Tronco, fatto a somiglianza d'un huomo vinto, onde essendo dell'armi del vinto cosi vestito, piu tosto (secondo Paolo) era più propriamente disegnato per un habito di Vittoria, che (sì come vuole Thedontio), in altra guisa. Percioche subito il vincitor non s'orna delle spoglie; ma poi elle si danno à lui per la Vittoria, & non alla Vittoria s'attribuiscono.

 

Honore figliolo della Vittoria.

Dice Paolo, & Theodontio, l'Honore essere stato figliuolo della Vittoria; ma non gli danno padre. Nondimeno io istimo costui essere detto figliuolo della Vittoria perche egli si consegue dell'aquistata Vittoria, il quale anco viene dato in presenza di chi lo riceve; essendoli anco in assenza date le lodi. A costui fu dedicato già da Romani un tempio vicino à quello della Virtù, nel quale non si poteva entrare se non per quello della Virtù; accioche si conoscese alcuno, ecceto, che col mezzo della Virtù, non poter conseguir Honore. Et se ciò aviene ad alcuno per altra cagione, egli allhora non è Honore, ma ridicolose, et mortali carezze. Vogliono, che la riverenza gli fosse moglie, & da quella à lui nascesse la Maestà. Nondimeno sono di quelli, che dicano l'Honore, & la Riverenza essere una cosa istessa, essendo elleno però differenti. Vi è l'Honor publico, & il privato. Publico egli è allhora quando si conosce in alcuno con la corona di lauro, overo col trionfo. Privato è quello, che è conceduto dai privati, mentre si leviamo a far riverenza ad alcuno privato, lo mettiamo di sopra, & ne' tempij, & nel sedere gli diamo il primo luogo. Riverenza poi è quella, che prestiamo a i maggiori, non per comandamento, ma volontariamente, overo per usanza, & quando anco con i ginocchi chini, & col capo scoperto parliamo con humani degni di honore; le quai attioni s'appartengono solo a Iddio, benche gli ambitiosi Prencipi à se le habbiano usurpate.

 

La Maestà figliuola dell'Honore.

Vuole Ovidio la Maestà essere stata figliuola dell'Honore, della quale nei libri delle Pompe cosi dice:


Mentre l'Honore, e honesta riverenza

Con piacevol faccia messe i corpi

Nei legitimi letti; di qui nacque

La sacra Maestà, che regge il mondo.

La qual in ogni , che fu prodotta

Grandissima fu certo; & poi fermossi

Subito in mezzo il Cielo alta, e sublime,

V d'oro si vedea col bianco seno.


Istimo, che volessero costei essere stata figlia dell'Honore, & della Riverenza: perche dal dato honore, & della conceduta Riverenza nasce un certo stato di maggioranza in colui, che lo riceve; dal cui si è detta la maestà convenevole al solo Iddio.

 

Ascalafo quinto figliuolo d'Acheronte.

Ascalafo fu figlio d'Acheronte, & di Orna Ninfa, si come dice Ovidio.


Ascalafo la ode; il qual si dice

Orna, non Ninfa vil tra le infernali

Già d'Acheronte suo prodotto havere,

Et partorito sotto l'onde oscure.


Dicono, che costui, essendo stata rapita Proserpina da Plutone, & cercandosi s'ella, nell'Inferno, havesse mangiato alcuna cosa, la accusò, & disse, che havea mangiato tre grani di melegrane nel giardino di Dite, la onde fu sententiato, ch'ella non si potesse piu rihavere in tutto; & egli da Cerere fu tramutato in Aloco. Circa la qual fittione credo i Poeti non haver voluto intender altro, che dimostrare esser cosa odiosissima l'ufficio dell'acusatore. Et però dicono subito Ascalafo essere stato converso in un Barbagianni, percioche, si come l'Aloco è un uccello funebre, & sempre di cattivo augurio tenuto, cosi l'accusatore di continuo è prenuntio di fatica, et ansietà all'accusato. Oltre di ciò l'Alocco è animale, che strida, affine dimostrare gli accusatori essere stridosi. Cosi anco, si come tal uccello sotto la quantità di varie piume è di picciolo corpo, medesimamente sotto le lunghe ciancie degli accusatori per lo più si trova poca verità. Non inconvenevolmente adunque è detto figliuolo d'Acheronte, a somiglianza almeno dell'ufficio; perche, si come Acheronte priva d'allegrezza tutti quelli ch'egli passa all'altra riva, cosi l'accusatore empie di tristezza quelli ne' quali è contrario. Che poi Orna sia detta sua madre, ciò è pigliato dall'usanza dell'Alocco, il quale spessissime volte, si come dicono quelli c'hanno scritto delle proprietà delle cose, nel giorno de' morti habita sopra i loro sepolchri, i quali (secondo Papia) si chiamano Urne; onde Lucano dice:

 

Il Ciel cuopre colui, che non have Urna.

 

Le cose poi, che s'appartengono à Cerere, & Proserpina, dove di loro si tratterà, saranno dichiarate.

 

Stigia sesta figliuola d'Acheronte.

Stigia viene detta l'infernal palude, & da tutti è tenuta figliuola d'Acheronte, & della Terra, & appresso (secondo Alberigo) nutrice, & albergatrice degli Dei; per la quale anco, si come di sopra è stato detto, giurano i Dei, & per tema di supplicio non ardiscono giurare in vano, secondo, che dice Virgilio:

 


Et la Palude Stigia per la quale

Temeno in van di non giurare i Dei.


 

Percioche, per insino ad un certo spatio di tempo, colui, che sopra lei giurava invano era privato del Nettare dei dei. Et ciò vogliono ch'a lei fosse conceduto perche la Vittoria sua figliuola diede favore alli Dei contra i Giganti Titani: Stigia s'interpreta tristezza, & però essendo Acheronte senza allegrezza, di lui viene detta figliuola; attento che, secondo Alberico, colui, che manca d'allegrezza entra in tristitia leggiermente, anzi è necessario, che v'incorra. La terra poi le è data per madre perche, derivando ogni acqua da quel fonte di tutte le acque solo, Oceano, è necessario, che sia condotta per le viscere della terra per insino à quel luogo dove entra in publico: & cosi Stigia viene ad essere figliuola della terra. Overo, secondo altro sentimento. Tra gli humori imprese da gli elementi mortali, dalla terra s'imprime la maninconia: la quale senza dubbio è madre, & nutrice della tristezza. Che fosse poi nutrice, & albergatrice degli Dei, ciò non fecero senza mistero. D'intorno il quale egli è d'avertire la tristezza essere di due sorti. Percioche ò si attristiamo per non poter conseguir, sia per qual cagione si voglia, i fieri nostri desideri, ò si attristiamo conoscendo da noi essere oprata alcuna cosa men giustamente di quello si convenga. La prima tristezza non fu mai nutrice nè albergatrice dei Dei. La seconda veramente ci fu, & è perche dolersi delle cose mal fatte, non è altro, che dar nutrimenti alla virtù, col mezzo della cui i Gentili vennero nelle loro deità, & noi Christiani giungiamo alla beatitudine eterna; nella quale non siamo Dei bugiardi, nè caduchi. Queste spetie di tristezze nel sesto dell'Eneida molto bene haverle conosciute dimostra Virgilio, dove caccia nel profondo centro i perfidi, & ostinati huomini nel male: nel cui luogo non è redentione alcuna. Ma gli altri, dopo le purgate pene per li peccati, conduce nei campi elisi. Overo vogliamo dire quello, che più tosto hanno giudicato forse i Poeti, i Dei, cioè il Sole, & le Stelle alle volte essere andati dagli Egittij. Il che aviene nel verno, quando il Sole lontano da noi tiene il Solsticio Antartico; la qual cosa medesimamente ivi fa oltre gli Egittij meridionali, e habitano appresso il capo di Cenith; & allhora le Stelle sono nutrite dalla palude Stigia, secondo l'opinione di quelli che istimavano i fuochi dei corpi celesti pascersi dell'humidità dei vapori, che si levano da l'acqua, & appresso lei dimorano, fino a tanto, che non chinano il grado verso il polo Artico. Seneca poi dimostra Stigia essere sotto la regione d'Austro, & ciò narra in quello libro, ch'ei scrisse de i sacrifici degli Egittij, dicendo; la palude Stigia essere appresso i superi, cioè appresso quelli, che sono nell'Emispero superiore, dimostrando poi appresso Cirene, ultima parte dell'Egitto verso Austro, esservi un luogo: il quale gli habitatori chiamarono Fiala, cioè amico, & ivi appresso essere una gran palude, che, essendo difficilissima da passare, per ritrovarsi piena di fango, & ella, è detta Stigia, come cosa, che apporti seco tristezza, & molta fatica ai passaggieri. Che li Dei giurino per la palude Stigia, vi può essere questa ragione. Colui il quale grandemente s'allegra non mostra haver quel, che disia; percioche a lui non manca ragione perche non habbia da temere di qualche sinistro. Et di questi tali vi sono i Dei da loro fatti felici, per la qual cosa resta ch'eglino giurino per la tristezza, che a loro conoscono contraria. Che anco quei, che giurano il falso siano privi della bevanda del Nettare, penso ciò essere detto perche quei, che di felicità sono caduti in miseria erano detti haver mal giurato, cioè male essersi adoprati, cosi della bevanda Nettarea erano caduti all'amarezza della disgratia.

 

Cocito fiume infernale figliuolo di Stigia, che generò Flegetonte.

Cocito è fiume infernale, il quale (secondo Alberico) nacque della palude Stigia: il che penso essere detto in tal modo: perche il pianto, figurato per Cocito, nasce dalla tristezza, che è Stigia.

 

Flegetonte fiume infernale, & figliuolo di Cocito, che generò Lethe.

Anco Flegetonte è fiume infernale, & secondo Theodontio è figlio di Cocito. Onde (penso) ciò essere detto percioche dal lungo pianto liggiermente ogn'uno entra in furore; il che (sì come piace ad alcuni) occorre per natura. Attento, che per le lagrime, restando il cervello d'humidità vuoto, gli ardenti empiti del core non si ponno raffrenare. Et cosi l'huomo entra in furia. Flegetonte s'interpreta ardore, affine, che si comprenda dal troppo ardore del cuore i furori degli huomini eccitarsi.

 

Lethe fiume infernale, & figliuolo di Flegetonte.

Lethe viene detto fiume infernale, & figliuolo di Flegetonte, istimo io per tal ragione, conciosia, che dal furore nasca l'oblio; percioche veggiamo gl'infuriati scordarsi dell'honor proprio, & de' suoi. Et Lethe viene interpretato oblio. Virgilio mette questo fiume appresso i Campi Elisi, & finge, che Mercurio dà à bere dell'acqua di tal fiume à quelli ch'egli vuole, che tornino ne' corpi, delle quai cose s'è detto di sopra, dove si ha trattato del primo Mercurio. Ma il nostro Dante scrive quello nella sommità d'un Monte del Purgatorio, & dimostra, che le anime pure, & degne del Paradiso ivi beono per scordarsi i passati mali, il ricordo de quai darebbe impedimento alla felicità eterna.

 

Vulcano primo, & quarto figliuolo del Cielo, che generò Apollo.

Il primo Vulcano, col testimonio di Tullio, dove tratta delle nature de' Dei, nacque dal Cielo, del quale non si ritrova altro eccetto che generò da Minerva, figliuola del secondo Giove (sì come dice Theodontio) il primo Apollo. Credo io, che costui fosse un huomo infocato, & d'ardente vigore, & che anco fosse figliuolo di Saturno.

 

Apollo figliuolo del primo Vulcano.

Piace a Cicerone, & Theodontio, che Apollo fosse figliuolo del primo Vulcano, & di Minerva; & si come l'istesso Tullio nelle Nature de Dei afferma, fu il più antico di tutti gli altri Apolli. Dice Theodontio, che costui fu l'inventor della medicina, & il primo conoscitore delle virtù dell'herbe, come che Plinio nell'historia naturale affermi Chirone, figliuolo di Saturno, & di Filara, essere stato il primo, che conoscesse le virtù dell'herbe, &, che ritrovasse il medicare.

 

Mercurio quinto figliuolo del Cielo.

Mercurio, il quale è il terzo, come dice Tullio nelle Nature dei Dei, hebbe per padre il Cielo, & per madre il Giorno (eccittata nondimeno vergognosamente la natura); conciosia che, essendosi mosso dall'aspetto di Proserpina, à lei diede quei ornamenti ch'agli altri si metteno. Tuttavia Theodontio dice, che gli Egittij di intorno alla verga, che costui tiene in mano gli hanno d'intorno involto un serpe; il che Valerio dimostra nel settimo libro de gli Epigrami di Martiale, dicendo;

 


Mercurio honor del Cielo, & massaggiero

Molto facondo; qual in mano tiene

D'oro una verga; à cui d'intorno giace

Un'horribile serpe in giro avolto.


 

Oltre di ciò dicono ch'egli hebbe da Venere sua sorella un figliuolo Hermafrodito. Ma lasciate queste cose, veggiamo d'investigare quello, che sotto tali fittioni volsero intendere gli antichi. Et prima perche dicano lui vergognosamente essere stato generato dal Cielo. D'intorno ciò esponeva Leontio molte cose, si come l'aspetto del Cielo verso la Terra, il raro apparire del Pianeta di Mercurio, & altre simili. Le quali, perche à me paiono frivole, (lasciatele da parte) ho voluto descrivere l'opinione di Barlaam. Diceva egli questo tal Mercurio nella natività sua essere stato chiamato Hermete, overo Hermia, & generato di stupro da Filone d'Arcadia, & da Proserpina sua figliuola, della quale, essendo in un bagno, impudicamente s'accese. Et cosi assai chiaramente si vede che, commossa la lussuria, & la natura vergognosamente, Proserpina fu veduta. Dice anco haver havuto nome Hermes percioche, subito nato, Filone s'andò à consigliare con un Mathematico delle successioni di quello, onde gli fu risposto, che tal figliuolo diventarebbe un huomo divino, & grandissimo interprete delle cose celesti. Là onde Filone, c'havea deliberato esporlo alla morte, lo fece serbare, & con diligenza nodrire, chiamandolo Hermes; percioche Hermena in greco latinamente suona Interprete. Dopo questo, essendo il fanciullo cresciuto in età, & per vergogna della scelerata sua origine andato in Egitto, ivi maravigliosamente fece profitto in molte scienze, & specialmente in Aritmetica, Geometria, & Astrologia, in tanto, che fu preposto à tutti gli altri Egittij. Onde, per la eccellenza delle predette cose havendo già dalli Egittij meritato il cognome di Mercurio, diede opra alla Medicina, nella quale divenne non meno profondo, che nelle altre scienze; & in tanta riputatione crebbe che, senza lasciare il nome di Mercurio, fu tenuto per Apollo. Appresso, essendo molto più ampiamente divenuto capace ne' sacrifici degli Egittij, à tutti crebbe in grandissima riverenza. Et ivi, ò per nobilitare l'origine sua, ò per coprir la vergogna di quella, fu detto figliuolo del Cielo, et del Giorno, come persona scesa dal Cielo, & nella luce del giorno divenuto notabile. Oltre di ciò, di costui Hermes Trimegistos, il quale di lui mostra essere stato nipote, fa ricordo in quel libro scritto ad Asclepio dell'Idolo, dicendo che se bene è morto: aiuta, & conserva quelli, che vengono al suo sepolcro. Ma quello, che vogliano significare le insegne a lui attribuite hora è da vedere, attento, che diverso significato hanno in Mercurio pianeta, altro in Mercurio governatore, altro nel mercante, & altro nel ladro. Dicono adunque (sì come è stato trattato parlandosi del primo Mercurio) lui essere coperto con un capello, accioche per quello intendiamo il Cielo, dal quale, benche tutti noi siamo coperti, specialmente debbe essere conosciuto dal Medico con la speculatione d'intorno alle stelle, & i vari movimenti, & dispositioni dei pianeti; accioche per quelli, che oprano ne i corpi humani, & cagionano molte cose, egli possa conoscere le cause dell'infermità, i successi, & i propri rimedi, & appresso ordinare quelle cose, che si mostrano necessarie alla salute dell'infermo. Le ale poi, che a lui si mettono ai piedi sono affine, che conosciamo bisognare al Medico la prontezza, & la scienza delle cose convenevoli ai rimedi, & l'avertimento, che l'infermo non manchi, inanzi la malattia, che prima non giunga l'argomento del Medico tardo. Oltre di ciò, accioche essi conoscano che, essendo eglino ministri della natura (messa da parte ogn'altra cura), debbono volare a i bisogni degl'infermi. Appresso egli porta una verga, la quale habbiamo detto di sopra essergli stata conceduta da Apollo, affine, che si veggia l'autorità, senza la quale alcuno non devrebbe essercitare tal ufficio; essere data da Apollo autore della medicina, cioè dal Medico esperimentato, & dotto. Indi dicono lui con questa verga chiamar le pallide anime dalla morte; accioche si conosca molti già gran tempo ch'erano per lo giudicio, & arte d'infiniti Medici per morire, essere stati sostenuti in vita con l'aiuto del Medico saputo, overo dalla morte ritornati in vita. Cosi per lo contrario, mentre poco sono conosciute le cagioni de i morbi, con questa istessa verga, cioè autorità, overo arteficio men dovutamente oprato; molte anime, che sarebbono restate in vita sono mandate nel profundo Tartaro, cioè alla morte. Con questa verga il Medico dà anco i sonni, cioè con l'arte molte fiate dà il sonno à quei, che non ponno declinare, & in loro danno lo toglie à quei, che troppo dormeno. Appresso, con tal verga il Medico rimove i venti, mentre con persuasioni, & vere ragioni, togliendoli il timore, rimove le stolte openioni degl'infermi; overo, mentre anco con suoi siloppi, & altri rimedi rissolve in niente le ventosità, che crucciano le viscere in grandissimo dolore del sopportante. Cosi anco penetrano i nuvoli mentre cacciano le humidità superflue, cioè levandole dal corpo languido, & mandandole in fumo. Il serpe poi è rivolto d'intorno quella verga, accioche conosciamo l'essercitio medicinale, senza naturale, & dovuta discretione, non meno inchinarsi alla ruina, che alla salute, perche alle volte non meno dalla consideratione del Medico, che dall'arte derivano i rimedi. Conciosia, che l'arte insegna col Reobarbaro cacciarsi dai corpi le cose supperflue; il che se si usasse più del dovere, ò in quantità, in uno indebilito, leggiermente con la superfluità n'uscirebbe l'anima. Et però d'intorno tali, & simili cose molto giova l'aveduta discretione del medico, la quale viene sotto apparenza del prudentissimo serpe aggiunta alla verga, & d'intorno à quella avolta, affine, che mai l'autorità senza la discrettione non si debba oprare. Paolo dice, poi, che non è cosa vera che abbia generato un Hermafrodito, ma ciò è stato finto, & aggiunto perch'egli fu il primo, che dimostrasse agli Egittij con raggione naturale poter nascere uno Hermafrodito, & in qual parte della matrice dalla femina fosse concetto; attento, che per inanzi loro istimavano essere cosa monstruosa nascer tali parti, & però (se alle volte aveniva, che ne nascesse alcuno) come cosa contra natura lo gittavano via.

 

Hermafrodito, figliuolo di Mercurio, & di Venere.

Dice Theodontio, che Hermofrodito fu figliuolo di Mercurio, & di Venere; il che dimostra anco Ovidio, dicendo:

 


Nudrirono le Naiade negli antri

Del monte Ideo un bel fanciul, che nacque

Di Venere, e Mercurio; del qual'era

Il sesso tal, ch'in lui chiar si scorgea

L'imagine del padre, & de la madre,

Et da l'uno, & da l'altra hebbe il suo nome.


 

Del quale, Ovidio recita appresso tal favola. Dice egli che, essendo costui stato lasciato in Ida monte della Frigia, dove era stato nudrito, cosi caminando giunse in Caria, & ivi vide un fonte limpido, & chiaro, nel cui la ninfa Salmace habitava. La quale, veggendo questo giovanetto bellissimo, incontanente di lui s'accese, & con piacevoli parole si sforzò di condurlo al suo disio. Finalmente di ciò vergognandosi il giovanetto, & insieme sprezzando le parole, & gli abbracciamenti della ninfa, quella, fingendo partirsi, si nascose dietro un cespuglio. Onde il giovane, pensando la Ninfa essersi partita, ignudo entrò in quel fonte. Il che veggendo la Ninfa Salmace, subito spogliatasi, ivi medesimamente si corcò, & à forza lo prese, & tenne stretto. Ma ritrovandolo fiero, & a' suoi desideri non pieghevole, pregò li Dei, che facessero ch'amendue loro divenissero un solo. La qual cosa avenne. Et cosi colui, che maschio era entrato nel fiume, uscendo, & maschio, & femina ritrovossi; il quale poscia pregò medesimamente i Dei, che tutti quelli ch'entrassero nel detto fonte havessero à patire l'istesso infortunio. Il che egli, col favore del padre, & della madre ottenne. Vuole Alberico, che l'Hermafrodito generato da Mercurio, & Venere sia il parlar lascivo oltre il diritto, il quale, dovendo esser virile, per la soverchia delicatezza di parole pare feminile. Ma io riferisco questo Hermafrodito alla natura di Mercurio, il quale ha l'uno, & l'altro sesso, si come l'honorato Andalone diceva; percioche con i maschi Pianeti è maschio, & con li feminini è femina. Onde egli vuole tra l'altre cose inferire, à quei nelle cui natività sta in ascendente, che se altro pianeta non gli facesse opposta, overo altro luogo del Cielo, di necessità sarebbe tenuto dalla concupiscenza dell'uno, & l'altro sesso. Ma alcuni vogliono il Poeta haver penetrato più in alto, dicendo nelle matrici delle donne esservi sette stanze atte al parto, tre delle quali sono nella parte destra del ventre, altrettante nella sinistra, & una nel mezzo; & ciascuna di queste ne può concipere due, come che Alberico dica, nel libro delle nature degli animali, egli haver avertito dal nascimento d'una certa donna, ella l'un dopo l'altro haver conceputo 150. figliuoli. Quelle stanze adunque, che sono dalla parte dritta quando riceveno il seme partoriscono maschi, quelle poi dalla sinistra femine; quando poi il seme entra nel mezzo, & produce, quelli, che nascono hanno il sesso commune, cioè maschio, & femina, & gli chiamiamo hermafroditi. Cosi in quella celletta di mezzo, si come in fonte dell'uno, & l'altro sesso, si bagnò, & mentre l'uno, & l'altra cerca vincere per non star di sotto, nasce, che si veggiamo i segnali dell'una, & l'altra vittoria. Là onde la preghiera viene essaudita, che se alcuno si bagna in quel fonte, uscendo fuori, divenga mezzo huomo. Ma istimo io molto diversamente i Poeteggianti haver inteso. Percioche Salmace è un fonte famosissimo di Caria; il quale, accioche non resti tinto di tal machia, piacemi, & il fonte purgare, & ogn'altra cosa insieme c'havrà dato materia à tal fittione. Et adunque, (si come vuole Vitruvio nel libro dell'Architettura) in Caria un fonte di tal nome non lontano da Halicarnaso, per la sua limpidezza famosissimo, & per lo sapore notabile, appresso il quale i barbari, cioè Carij, & le Leligia habitavano; i quali, essendo cacciati da Nida, & Revania Arcadi che haveano ivi fatto Troezen commune colonia, fuggirono sopra le montagne, & incominciarono con rubberie, & ladronezzi à turbare tutti quei paesi. Ma havendo uno di quegli habitatori Arcadi, tratto dalla speranza del guadagno, ivi vicino à quel fonte levato una hosteria, con presuposto, che la bontà di tal acqua a lui devesse porger gran favore, avenne, che spesse volte que' Barbari fieri, mossi non tanto dal bisogno de' cibi, come dalla dilettatione dell'acqua, entravano in quella taverna, & à poco à poco venivano a metter giù per la conversatione quella Barbarica fierezza. Cosi incominciandosi ad accostare ai costumi de' Greci più molli, & più humani, in breve tempo di fierissimi parvero esser divenuti benigni. Là onde, perche la mansuetudine (rispetto alla ferocità) par femina, fu detto che quelli ch'entravano in quel fiume s'effeminassero.

 

Venere maggiore, & sesta figliuola del Cielo.

La gran Venere, secondo, che scrive Cicerone nelle nature dei Dei, fu figliuola del Cielo, & del Giorno. Dimostrando appresso, che oltre costei ve ne furono tre altre. Ma afferma questa essere stata la prima di tutte. Nondimeno, ritrovandosi diverse fittioni confuse d'intorno tali Veneri, tolto solamente quelle, che ci pareranno a questa appartenere, lasciaremo le altre all'avanzo. Et ciò faremmo non perche tutte non si possano appropriare à questa: ma perche, essendo attribuite alle altre, egli ci pare più honesto riservarle allhora quando di loro si farà memoria; inanzi l'altre cose vogliono il gemino amore essere stato di costei figliuol, si come mostra Ovidio, dicendo;

 


Alhor diss'io, ò alma madre, e dea.

Di amendue gli Amor dammi favore.


 

Del padre poi discordano insieme, dicendo alcuni ch'egli nacque di Giove, & altri dal padre Libero, cosi anco vogliono delle Gratie, le quali dicono essere di costei figliuole. Appresso fanno, che costei ha una cinta nomata Ceston, della quale afferma, ch'ella essendone cinta; intervenne alle legitime nozze. Altri poi vogliono, che senza altro legame entri nelle congiuntioni del maschio, & della femina. Et dicono anco ch'ella grandemente ha in odio la progenie del Sole, rispetto ch'egli palesò à Vulcano l'adulterio di lei con Marte. Oltre di ciò aggiungono le colombe essere in sua difesa. Indi, concedendole una carretta, vogliono, che quella sia guidata da Cigni, consacrandole appresso l'arbore del Mirto, & tra i fiori la Rosa. Doppo questo Theodontio dice quella nella casa di Marte haver albergato le furie, & molto essere divenuta loro famigliare. Et si come per lo più fanno degli altri dei, la chiamano con vari nomi, come sarebbe Venere, Citherea, Acidalia, Hespero, & Vesperugine, & altri ancora, i quali lascierò, per venir al senso. Ma perche tutte le cose predette, ò almeno la maggior parte, è stata quasi da i fingenti raccolta dalle proprietà del Pianeta di Venere, ho giudicato pria d'ogn'altra cosa descriver quello che di ciò habbiano compreso gli Astrologhi, accioche più facilmente si capisca l'intelligenza dei detti Poetici. Et perche ho seguito l'opinione d'Albumasaro, & dell'honorato Andalone, descriverò secondo le loro fantasie i costumi, & la potenza di costei, & d'intorno che ella si travagli. Vogliono adunque Venere essere donna di complessione flemmatica, & notturna, d'acuto pensiero nel compor versi, beffatrice de' giuramenti, bugiarda, credula, liberale, patiente, & di molta leggierezza; ma nondimeno d'honesto costume, & aspetto giocondo, piacevole; nel parlar molto dolce, rifiutatrice della fortezza del corpo, & della debolezza dell'animo. Oltre di ciò è cosa propria di costei il dinotare bellezza di faccia, bella presenza di corpo, & gratia in tutte le cose. Cosi anco maneggio di pregiati odori, & d'unguenti pretiosi, giuochi di tavole, barrerie, ebbriezze, crapule, & dilettatione di vini, mele, & d'ogn'altra cosa, che s'appartenga à dolcezza, & alteratione del corpo. Medesimamente significa fornicationi, & lascivie d'ogni sorte, quantità di coito, arteficio d'intorno statue, & dipinture, misture di colmi, variatione di veste ricamate d'oro, & argento; grandissima dilettatione nel canto, nel riso, ne' balli, & suoni; nozze, & molte altre cose. Ma lasciate queste da canto, verremo à levare la corteccia della fittione. La dicono figliola del Cielo, & del Giorno, là onde (intendendosi del Pianeta) non è tal cosa inconvenevole. Percioche, parendo fisa nel Cielo, & con quello movendosi, da lui mostra essere prodotta. Del Giorno poi è chiamata figliuola per la sua chiarezza, conciosia, che di splendor vince tutti gli altri Pianeti. Non è anco senza misterio il dire ch'ella habbia partorito il gemino amore. Per la cui chiarezza egli è da credere quello, che alle volte fu avezzo dire l'honoratissimo Andalone: cioè Iddio padre onnipotente, fabricando la machina di tutto questo mondo, non haver fatto alcuna cosa superflua, ò, che mancasse alla commodità degli animali c'haveano à venire. Cosi anco egli è da credere c'habbia creato i corpi sopra celesti cosi grandi, & che con ordine per suo, & d'altrui movimento si girano, non solamente per ornamento, del quale noi per averlo sempre ne gli occhi, facciamo poco conto, ma haverli anco dato molto potere d'intorno le cose inferiori, & massimamente questo effetto, accioche per loro movimento, & influsso i tempi dell'anno, che gira si variassero, si generassero le cose mortali, le generate nascessero; le nate si nodrissero, & col tempo giungessero al fine. Nè dobbiamo anco pensare questa potenza confusamente insieme ne i corpi essere stata congiunta; anzi a ciascuno haver dato il suo proprio ufficio, & haver distinto d'intorno a quai cose s'havesse ad oprare la sua autorità. Appresso, haver voluto tutte le cose l'una verso l'altra, secondo il piu, & il meno delle congiuntioni, & dell'avanzo delle forze, prestar aiuto secondo la varietà dei luoghi, con corrispondenti bisogni à condurre l'opra all'intento fine. Et tra l'altre autorità concedute a molti, si come dimostra l'effetto del Pianeta di Venere, affermava l'istesso Andalone à quello essere stato concesso ogni cosa, che s'appartiene all'amore, all'amicitia, all'affettione, alla compagnia, alla domestichezza, & unione tra gli animali, & specialmente nel generar figliuoli, affine, che vi fosse alcuno pianeta per la natura pigra, & alla continuatione, & ampliatione del sesso. La onde si può ammettere da costei esser causato i piaceri degli huomini. Il che conceduto, benissimo finsero que' Poeti, che dissero l'Amore, overo Cupido, essere di lei figliuolo. Ma egli è d'avertire perche Ovidio dica l'Amor gemino. Credo io l'amore esser solo, ma bene istimo che, quante volte egli si lascia guidare in diversi effetti, & cangia costumi, tante fiate acquisti novo cognome, & novo padre. Et di qui penso Aristotele haver designato l'amor triplice per lo honesto, per lo diletto, & per l'utile. Et accioche Aristotele, & Ovidio non paiano insieme discordanti, forse Ovidio de gli due ultimi ne faceva un solo; conciosia, che l'utilità mostra dilettare meno honestamente. Ma perche tale trattato più tosto s'appartiene dove si farà ricordo dell'Amore, overo di Cupido, verremo alle altre cose, che si richieggono à Venere. Dicono adunque ella haver partorito le Gratie, & ciò non è maraviglia, attento, che qual amor mai fu senza gratia; Le quali, perche siano dette tre, egli si dirà di sotto parlandosi di quelle, & appresso si dimostrerà molte altre cose a loro proprie. Appresso gli huomini Venerei quella cinta da loro chiamata Ceston dissero à lei non essere stata data dalla natura, nè i Poeti à quella l'havrebbono conceduta, se non le fosse stata apposta dalla santissima, & degna di riverenza autorità delle leggi, affine, che fossero raffrenati da qualche legame per la troppo soverchia lascivia. Ciò che sia esso Ceston Homero nella Iliade lo descrive, dicendo;

 

̉Ή καί ̉από στήθεσφισ ελύσατω κεστόν

Ποικίλον, ̉ένθα δέ οί θελκτήρια πάντα τέτυκτο

̉Ένθ΄ ̉ένι μέν φιλότης έν δ΄ίμερος έν δ΄όαριστυς

Παρφασις ̉ή τ΄έκλεψς νόον πίκα περ φρονεόντων

 

La cui intelligenza è tale.

Cestone slega dai petti il vano legame dove tutte le cose à se erano volontariamente ordinate, dove l'amicitia, et l'amore, la facondia, et le carezze a studio erano riposte. D'intorno alle quai parole considerandosi drittamente, conosceremo le cose appartenenti al matrimonio. Dice ivi essere l'amore, acciochè per quello si venga à comprendere il disio del sposo, & della sposa inanzi le nozze. Indi l'amicitia, la quale dal congiungimento, & convenevolezza dei costumi nasce, & si ritira in lungo. Se poi i costumi sono differenti, le inimicitie, le villanie, il disprezzo, & simili cose alle volte veggiamo nascere. La facondia anco, quanto faccia di mistieri, egli si conosce chiaramente; percioche per lei s'aprono l'affettioni del cuore, & l'orecchie de gli amanti stanno intenti. Si acquetano i litigi, che spesse fiate nascono tra marito, & moglie, & anco s'inanimiscono ad ogni sopportatione. Sono anco ivi le carezze, le quali hanno possa tirare a se gli animi, & legarci, acquetar l'ire, & ritornar anco l'amore, che si sia partito; & tanto veramente sono grandi le sue forze, che non solamente da quelle sono presi gli ignoranti, ma etiandio (come dice l'istesso Homero) queste spessissime fiate ai saggi hanno tolto l'intelletto. Vuole Lattantio questo legame, si come per inanzi habbiamo detto noi, non portarsi se non ad honeste nozze; & perciò ogn'altro congiungimento, conciosia, che non vi viene portato il Ceston, chiamarsi incesto. Che poi ella alloggiasse le furie nella casa di Marti, & se le facesse amiche, istimo per tal cagione ciò esser detto. Sono tra i segni celesti (come diceva l'honoratissimo Andalone) due, che dagli astrologhi sono in luogo d'habitatione à Marte attribuiti, cioè il Montone, & il Scorpione. In quale di queste due case Venere le menasse non sappiamo. Ma se ella le menò in quella del Montone, credo il principio di primavera essere designata per lo Montone; percioche la Primavera incomincia allhora quando il Sole entra in Ariete. Circa il qual tempo tutti gli animal vanno in amore, come dice Virgilio:

 

Entrano gli animali in furia, e in foco.

 

Nè solamente gli animali brutti, ma anco le donne; delle cui la complessione è per lo più fredda, & humida; (venuto il tempo di Primavera) in ardore, & libidine più fortemente si inchinano. Il qual movimento, se la vergogna non ci mettesse freno, si convertirebbe in furia. Lascio stare i fervori de' giovani, i quali, se non s'acquetassero per l'autorità delle leggi, ò più tosto da quelle non fossero constretti, certamente incorrerebbeno in mortali furie. In questo modo adunque le furie vengono ad essere state guidate da Venere nella casa di Marte, & à lei divennero famigliari; & ciò s'intende tanto quanto ella resta sfrenata, & senza moderatione. Se vogliamo poi, ch'ella le menasse in casa di Scorpione, il quale è animale mortale, & venenoso, & pieno di frode, intendo spesse volte l'amarezze degli amanti piene di pensieri esser congiunte con un poco di dolcezza; per le cui amaritudini molte fiate gl'infelici tanto ardentemente sono travagliati, che, come furiosi con laccio, con coltello, ò con veneno rivolgono le mani in se stessi. Overo, che eglino havendo ricevuto ingiurie, ò essendosi cangiati gli amori, ò per essere state le promesse false, ò per gl'inganni ritrovati, ò per le bugie, sono constretti dalla disperatione tormentarsi, & si come fuori di se incorrere in homicidi, & questioni. Et in tal modo da Venere nella casa di Scorpione vengono ad essere state albergate le furie. Che Venere anco habbia in odio la prole del Sole, credo ciò essere stato raccolto dalle cose, che derivano dall'amore dishonesto. Percioche, si come più di sotto si leggerà nel trattato del Sole figliuolo d'Hiperione, il Sole produce gli huomini, & le donne bellissime, la cui beltà veramente guida le menti dei riguardanti nel disio loro; onde quelli, che sono stati allacciati molte volte con varie arti guidano gli allaccianti. Il che viene istimato opra di Venere. Questi veramente sono sottoposti ad infiniti pericoli; attento che mentre giungono alla loro libidine, con pari voleri altri sono ammazzati, altri sono perseguitati con mortal odio, altri di ricchissimi giungono in estrema miseria, & molte hanno macchiato il chiarissimo honore di pudicitia con vergognosa, & perpetua infamia. Et per lasciar da parte molte altre cose con vergogna, & vituperio alla fine sono morti. Et cosi chiaramente si vede Venere con antico odio persequitare la progenie del Sole, & con suoi dolci veneni opprimerla. Oltre di ciò posero le colombe in sua guardia, il che si legge essere avenuto in tal modo; Stando in alcuni prati in lascivie Venere, & Cupido, amendue di loro entrarono in contrasto, chi più fiori potessere racorre. La onde pareva, che Cupido per l'aiuto dell'ali ne racogliesse più. Di che alzando gli occhi verso Venere, vide Perstiera ninfa, che porgeva aiuto à lei. Per laqual causa sdegnato, subito la trasformò in Colomba. Onde Venere veggendola cangiata d'aspetto, incontanente la pigliò in guardia. Et cosi da indi in quà è seguito, che le colombe sono state consecrate à Venere. Ma à questa favola parmi, che si debba dare tal senso. Dice Theodontio, Peristera appresso i Corinthi essere stata una donzella d'origine molto chiara, & molto più essere divenuta famosissima meretrice. Et perciò Venere si può dire essere stata agente, & Peristera patiente. La onde impressione dell'agente nel patiente, è l'Amore. Dai cui stimoli la donzella crucciata, s'accostò à Venere, cioè al coito: ilquale è quasi l'ultima intentione dell'agente; se forse per ciò il suo stimoloso disio potesse esser vinto. Ma nell'usarlo accendendosi più tosto, che estinguendosi tale appetito, ella giunse à tanto, che non rimase contenta del solazzo d'un solo amante; ma à guisa di colomba, il cui costume è di provar spessissime volte nuovi amori; avenne in abbraciamenti di molti. Per la qual cosa da esso Cupido, cioè dallo stimulo della lussuria, i Poeti vollero ch'ella fosse conversa in Colomba. Onde Peristera in Greco, Latinamente suona Colomba. Lequali Colombe sono date in custodia di Venere perche sono uccelli di gran coito, & quasi di continua gravidanza. Di che sotto ombra di queste, vogliono, che gli huomini, che spesso usano il coito s'intendano sottoposti à Venere percioche questi tali vengono in governo d'alcuno, perche non hanno conosciuto le cose à loro necessarie. Onde havuto un tutore, oprano secondo il voler di quello. Cosi i libidinosi sono posti sotto la guardia di Venere attento che sempre si tuffano nelle lascivie, essendo sottoposti à Venere. La carretta poi è consegnata à Venere; perche anch'ella, si come fanno gli altri pianeti, con movimento continuo gira per li suoi circoli. Che la carretta sia guidata dai Cigni, vi ponno essere due ragioni. O che la bianchezza di quelli si voglia intendere la politezza donnesca; Overo perche, cantando loro dolcemente, & massimamente essendo vicini alla morte, si voglia mostrare gli animi degli amanti essere constretti dal canto, & che gli amanti, per troppo disio sentendosi morire, & venir meno, col canto spieghino le sue passioni. Il Mirto poi è consacrato à Venere perche (come dice Rabano) ha havuto nome dal mare: percioche nasce ne i lidi; & Venere viene detta essere stata generata nel mare. Overo perche il Mirto è un arbore odorifero, & Venere si diletta d'odori. Overo perche da alcuni si giudica l'odore di quest'arbore eccitar la lussuria. Overo, si come vogliono Fisici, perche da quello nascono molti commodi delle donne; ò perche delle loro bacche si fa una certa compositione per la quale si sveglia la libidine, & anco si fortifica, il che dimostra affermare Futurio, Poeta, Comico, mentre finge, Digone meretrice dire:

 


A me porti del mirto; acciò ch'io possa

Con più vigor di Venere oprar l'armi.


 

La Rosa anco viene detta suo fiore, perche è di soave odore. De' suoi nomi si ponno anco allegar molte ragioni. Prima viene detta Venere, la quale dai Stoici è interpretata cosa vana; si come quelli c'hanno in odio i piaceri. Et è da intendere, che li stoici la chiamano cosa vana in quanto, che viene à declinare à quella dishonesta parte delle libidini, & lascivie. Gli Epicuri poi interpretano Venere cosa buona, si come professori ch'eglino delle vanità sono. Percioche istimano il sommo bene consistere nei piaceri. Ma Cicerone dice Venere cosi essere detta; perche viene à tutte le cose. Il che non è detto inconvenevolmente; conciosia, che viene detta a tutte le amicitie ad alcune dar cagione. Citherea poi è chiamata dall'Isola Citherea, overo dal monte Cithereo; dove essendo nomata molto era honorata. Acidalia è detta, ò dal fonte Acidalio, ch'è consecrato à Venere, & alle gratie in Orcomeno, città di Boetia; dove già gli sciocchi pensavano le gratie sorelle di Venere lavarsi, overo perche sia cagione di metter molti pensieri; attento, che conosciamo di quanti pensieri ella empi gli amanti, & i Greci chiamano i pensieri Acidas. Hespero poi è nome proprio appresso Greci di Pianeta, & massimamente quando doppo che il Sole declina, è anco detto Hespero si come dimostra Virg.

 

Anzi il dì (chiuso il Cielo) Hespero viene:

 

Ma Varrone trattando dell'Origine della Lingua Latina, vuole, che quella sia chiamata Vesperugine dall'hora nella quale si vede, percioche anco Plauto cosi la chiama, dicendo: Nè oscurità, nè Vesperugine, nè Vigilie la cacciano. Latinamente viene poi detta Lucifero, essendo appo Greci (come dimostra Tullio nelle Nature de' Dei) nomata Fosforos, che significa apportatrice della luce. Et questo aviene quand'ella inanzi il levar del Sole, & dell'aurora si vede nell'Oriente tanto lampeggiare, che meritamente viene chiamata Lucifer. Questa i nocchieri, & il vulgo chiamano molte fiate Diana, perche pare messaggiera del dì.

 

La seconda Venere settima figliuola del Cielo, & madre di Cupido.

Molti vogliono, che la seconda Venere fosse figliuola del Cielo, ma nondimeno dirittamente generata si come sono creati tutti. Della quale si dice, che Saturno usò crudeltà verso il suo padre Cielo, onde tolta la falce gli tagliò i membri virili, gittandoli in mare; dove poi andassero à cadere, non si sa. Ma dicono, che la falce non lontano da Lilibeo promontorio di Sicilia fu gittata, onde diede il nome di Drepani à quel luogo, perche la falce in greco si chiama Drepani. I testicoli poi gittati via, cadessero dove si voglia, generarono di quel sangue una spiuma nel mare, dalla quale nacque Venere, cosi nomata dalla detta spuma grecamente chiamata aphrodos, perche cosi costei è anco chiamata. Ma Macrobio nel libro dei Saturnali dice Venere essere nata dal sangue dei testicoli del Cielo, ma nodrita dalla spiuma del mare. Dicono appresso, Sereniss. Rè (sì come rifferrisce Pomponio Mella) gli habitatori di Pafo, tuo castello di Cipro, che Venere nata in tal modo prima si lasciò ivi in terra vedere, che altrove, onde spesse volte affermono ignuda essere stata veduta notare, il che i nostri Poeti alle volte anco hanno scritto. Dice Ovidio in persona di lei:

 


Aggiungimi a' tuoi Dei, ch'anch'io nel mare

Ho alcun valor, se nondimeno in mezzo

Generata di quel fui bianca spiuma,

Et da lei presi il grato nome, e il tengo.


 

Et Virgilio dimostra, che Nettuno à lei scriva, dicendo;

 


È giusto Citherea, che ne' miei regni

Tu ti confidi, essendo in quelli nata.


 

Oltre di ciò dicono à costei le rose essere dedicate, & che nelle mani porti una conca marina. Cosi anco vogliono, che di lei, & Mercurio nascesse l'Hermafrodito, & da lei sola Cupido. Molte veramente sono le fittioni, ma di quelle si può cavare tal construtto. Percioche per questa Venere io intendo la vita lasciva, che in tutto tenda alla libidine, & alla lussuria, essere una cosa istessa con la detta di sopra. Et cosi anco pare, che Fulgentio voglia. Che poi sia nata dal sangue dei testicoli tagliati da Saturno: penso ciò essere detto perche (sì come si può comprender da Macrobio), essendovi il Chaos, non v'erano tempi, perchioche il tempo è una certa prolungatione, che si raccoglie dal girar del Cielo; & cosi dal girar del Cielo nacque il Tempo, & poi da esso tempo vennero i Caroni, che è anco Cronos, da noi detto Saturno. Onde, dopo il Cielo, da lui furono seminati tutti semi da generare ch'uscirono dal Cielo; Et volsero, che tutti gli elementi c'havessero ad empire il mondo fossero fondati da quei semi. Di che il Mondo con tutte le sue parti, & membra fu compiuto; ma essendovi il fine di certo tempo di gittare i semi dal Cielo: pare, che i membri genitali di quello gli fossero tagliati da Saturno, & gittati in mare, accioche si dimostrasse la via di generare, & produrre, la quale si deve pigliare per Venere cangiata in humore per lo coito, col mezzo però del maschio, & della femina, che s'intendeno per la spiuma. Perche, si come la spuma dal movimento dell'acqua si genera, cosi dal moversi le membra humane viene lo sperma; & si come quella liggiermente si disface, cosi la libidine con breve diletto si finisce. Overo, si come piace à Fulgentio, essendo essa concitatione del seme spumosa, la chiamiamo però spuma marina, rispetto al sudor salso, che viene d'intorno il coito. Overo, ch'essa spuma sia salsa. Cosi da tale humidità essendo nata questa Venere, & nudrita dalla spuma del mare, cioè accresciuta dalla salsedine dell'humidità, viene guidata fino al fine dell'opra incominciata. Ma egli è da vedere, che humidità sia questa, accioche più chiaramente si snodi questa origine di Venere. Vuole Fulgentio adunque, là dove dagli altri si dice Saturno al Cielo, & Giove à Saturno haver tagliato i genitali, l'opinione sua esser tale. Dice egli, che Saturno in Greco si chiama Cronos, il che in Latino significa Tempo; al quale, essendo tolto le forze con la falce, cioè i frutti, che si gittano negli humori delle viscere, si come nel mare; è di necessità, che la libidine si generi. Et non è dubbio, che da quella humidità procede Venere, la quale dalla crapula si crea, attento, che rare fiate entrano in libidine quelli, che digiunano; & allhora massimamente si crea quando il calore del mangiare, & del bere suscita, & move i naturali. Onde veramente si dice nascere nel mare, cioe nel gorgo salso del sangue riscaldato, & si nodrisce della spuma di quello, che volle, cioè dallo sperma, percioche raffreddandosi quello, la libidine cessa. Alcuni vogliono la falce essere stata gittata via appresso Trapani, affine, che si dimostri, si come la falce s'adoprò d'intorno l'origine di Venere, cosi l'abondanza delle biade, delle quali poi si fanno i cibi, molto d'intorno ciò vagli; la cui abondanza veramente, con molte altre cose ch'incitano la libidine, è grandissima nell'isola di Sicilia, dove è Trapani. Nondimeno io istimo, che il nome del Castello, & la forma del lito, che è simile ad una falce, habbia dato materia alla particella di questa favola. Che poi gli cittadini di Pafo vogliano, che Venere uscita del mare habitasse prima appresso loro, dirò la ragione, con pace tua però, ò Serenissimo dei Re; attento, che s'io non ti conoscessi giusto, & buono, non ardirei. L'Isola di Cipro, per volgar fama ò per voler dei Cieli, ò per altro vitio degli habitatori, è un paese tanto inchinato à Venere, che viene tenuto l'albergo, la stanza, & il nido delle lascivie, & di tutti gli piaceri. La onde egli è da concedere à quelli di Pafo, che loro appresso, prima ch'altrove, Venere dell'onde uscisse. Ma, secondo Cornelio Tacito, ciò più tosto si può pigliare ch'appartenga ad historia, che ad altro senso. Percioche pare, che voglia Venere, ammaestrata nell'arte dell'indovinare, con una compagnia armata haver assalito quell'isola, & haver mosso guerra al Re Cinara; il quale s'accordò con lei d'edificarle un tempio nel quale à lei havessero à ministrare, & sacrificare tutti quelli, che fossero, & havessero à succedere della stirpe Reale. Fatto adunque il tempio, solamente animali maschi erano immolati, & gli altari erano machiati nel sacrificio col sangue attento, che honoravano quelli con preghi soli, & col fuoco. Dice appresso, che il simulacro della Dea non havea alcuna sembianza humana, anzi era posta in un certo adito nell'entrata largo, & nel giungere all'altare stretto, & oscuro; & perche ciò fosse fatto in questo modo, non allega alcuna ragione. È poi dipinta ignuda, accioche si veggia a che ella sia buona, ò perche rende per lo più ignudi quelli, che la imitano. Overo perche il peccato della lussuria, se bene lungamente sta occolto, alla fine (mentre meno i disonesti pensano) esce in publico senza veste alcuna. Overo perche non si può commetter senza essere ignudo. Dipingono Venere, che nuota, per dimostrare la vita degl'infelici amanti essere congiunta con amaritudini, & combattuta da diverse fortune con spessi naufragii. Onde anco Porfirio in uno Epigramma dice:

 

Di Venere nel mar povero, e ignudo.

 

Ma molto meglio nella Cestellaria dice Plauto, il quale cosi scrive: Credo io l'Amore essere stato il primo, che si sia imaginato di far macello degli huomini. Di me faccio coniettura in casa per non passar più oltre, il quale di tormenti d'animo avanzo, & trapasso tutti gli huomini. Tutto infelice sono tribolato, crucciato, & tormentato dalla forza dell'Amore. Sono privo d'animo stracciato, & in più parti lacero, di maniera, che in me non è alcuna memoria d'animo. Dove mi trovo, ivi non sono, & dove sono, ivi non è l'animo. Cosi in me sono tutti gl'ingegni. Quello, che mi piace, mi spiace. Già vado in ciò continuando. Già Amore si piglia giuoco di me lasso d'animo. Mi caccia, mi chiama, mi dimanda, mi rapisce, mi tiene, mi rifiuta, & mi promette. Quello, che mi dà, non me lo dà, hora m'inganna. Quello, che m'ha persuaduto mi dissuade; quello, che m'ha dissuaso mi fa bramare, con fortune marine meco si prova, & cosi rompe l'animo mio, che ama. Et va seguendo. Veramente bene navigava costui nel mare di Venere. Ma noi passiamo all'avanzo. Danno a lei in sua guardia le rose, percioche rosseggiano, & pungono. Il che pare essere cosa propria di libidine; conciosia, che per la bruttezza della scelerità vegniamo rossi, & per la conscienza del peccato siamo da un stimolo punti. Et così, si come per un certo spatio la Rosa ci diletta, & in breve si marcisce, la libidine anco è una breve gioia, & una cagione di lunga penitenza, attento, che in breve cade quello, che diletta, & quello, che dà noia si prolunga. Tiene anco nelle mani una Conca marina, affine, che per lo mezzo di quella vegniamo à conoscere le sue lascivie. Perche, si come rifferisce Giuba; con tutto il corpo aperto la Conca si congiunge nel coito.

 

Cupido figliuolo di Venere.

Cupido (secondo Simonide Poeta, & si come piace à Servio) nacque di Venere sola; del quale essendosi altrove da ragionar in lungo, basterà solo haverlo già ricordato.

 

Tosio nono figliuolo del Cielo.

Tosio, come dice Plinio nell'historia naturale, & Gellio afferma, fu figliuolo del Cielo. Et appresso affermano ch'egli fu il primo inventore di fare gli edifici col fango, togliendo l'essempio dalle Rondinelle nel far dei loro nidi; perche allhora non anco gli Architetti haveano trovato il modo d'edificare i superbi palaggi. Là onde viene ad esser cosa chiara quello essere stato un huomo industrioso, & antico, & meritamente chiamato figliuolo del Sole, cioè della chiarezza.

Restavano de' figliuoli del Cielo Titano, Giove secondo, Oceano, & Saturno; dei quali essendo grandissima la discendenza, ci è paruto dar fine à questo terzo libro, serbando Titano al principio del quarto volume, Giove al quinto, & sesto, Oceano al settimo, & Saturno all'ottavo, & agli altri.

 

Il fine del Terzo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO QUARTO

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Splendidissimo Prencipe, ondeggiava anco d'intorno Pafo tuo Castello, tuttavia descrivendo dishoneste attioni della lasciva Venere, quando eccoti che, quasi rotta la prigione d'Eolo, tutti i venti entrando in mare incominciarono dimostrarsi crudeli: onde l'onde di quello cacciate dal grand'impeto si levavano fino al Cielo, & all'incontro ributtandole parevano calare fino nel profondo Herebo. Le quali in tal modo inalzandosi & declinando, & di novo ritornando per lo forte spirar di quelli qua & là a rimbombare, io tutto stupido, & quasi mezzo vinto per l'horrore di tanta novità, mentre stavo pensando qual cosa fosse quella c'havesse dato materia a tal fortuna estrema, fui quasi nel mare affogato. Finalmente chiamando l'aiuto di colui continuamente, che con la mano sostenne Pietro, che in una barchetta da pescatore a lui veniva solcando il tempestoso mare, hor a man dritta & hor a sinistra governando la sponda con quelle maggiori forze ch'io poteva, scampato da tanto naufragio giunsi là dove, in alto, vidi non altramente, che uscita fuori dall'infernali caverne la fiera prole di Titano, che a me se ne veniva. Là onde venendomi a memoria li antichi suoi costumi, conobbi ch'ella havea suscitato in un tumulo cosi grande tutti gli suoi nemici Dei, accioche cosi ricercando la materia dell'opra incominciata io potessi continuare lo stile. O quali ire ella eccittò contra la sua superbia in mezzo del pericolo, ò quante fiate non solamente lodai i folgori di Giove, ma anco gli bramai. O quante fiate pregai, che le catene & tormenti le fossero raddoppiati? Ma che, finalmente? Poscia, che alquanto eglin, non altramente, che se fossero tornati vivi, fecero empito contra il Cielo; onde con grandisimo strepito rimbombarono tutte quelle fortune di mare, che i furiosi venti havevano commosso, (come istimo) per volontà di Dio, a cui ubbidisce il tutto; s'acquetarono l'onde, & se bene il mare non venne in tutto tranquillo, nondimeno si fece navigabile. Per la qual cosa dilungatomi da Cipro, & venendo verso l'Egeo, di lontano tutto maraviglioso incominciai riguardare certi grandissimi corpi dai folgori anco abbrugiati, & per l'infernal pallidezza & caligine sozzi; i quali erano di maniera incatenati, che non senza difficultà puoti cavare i nomi per descriverli. Tuttavia quelli c'ho potuto conoscere saranno posti in questo volume, con i suoi discendenti. Ma accioche io non manchi, mi sia in aiuto colui ch'aprì il fiume Giordano al popolo Israele nel passarlo.

 

Titano ottavo figliuolo del Cielo, che generò molti figliuoli: tra quali sono nomati quattordici, cioè Hiperione, Briareo, Ceo, Thifone, overo Tifeo, Enchelado, Egeone, Aurora, Iapeto, Astreo, Alous, Pallene, Ronaco, Purpureo & Licaone. Oltre di ciò generò anco altri giganti, de' quali non si fanno i nomi.

Assai nel precedente volume s'è detto del Cielo, figliuolo dell'Ethere & del Giorno. Ma nel descriversi la sua prole, dicono gli antichi Theologi, si come mostra Lattantio nel libro delle Divine Institutioni, Titano essere stato suo figliuolo, & di Vesta. Del cui Theodontio affermò la Terra figliuola di Demogorgone essere stata moglie; della quale vedrassi nelle seguenti scritture egli haver havuto molti figliuoli. I quali tutti mostra Virgilio, che siano nati nella quinta Luna, mentre dice;

 


Alhor la Terra ne la quinta Luna

Con scelerato parto il fiero Oeto

Et Iapeto, & Tifeo genera, e insieme

Gli altri fratelli congiurati in uno


Di rovinare il Cielo, & struggier Giove.

 

Di questo Titano si riferiscono molte cose favolose, tra le quali specialmente dicono ch'ebbe guerra con Giove & egli altri Dei. Onde, volendo eglino torli il Cielo, messero per forza di braccia monti sopra monti, con animo di fare col mezzo di quelli una strada per giungere al Cielo. Nondimeno furono finalmente da Giove fulminati, & incatenati nell'Inferno a perpetua morte, come assai convenevolmente nel sesto dell'Eneida mostra Virgilio. Le cose, che sono nascoste sotto questa fittione contengono in sé historia, & senso morale congiunto al naturale. Quello, che s'appartiene all'historia, di parola in parola lo citterò qui, si come è nella Sacra Historia scritto. Dice ella in questo modo; Indi Saturno menò Opi per moglie; Titano, ch'era maggior d'anni, dimanda il reame. Là onde la madre Vestale, ò la sorella Cerere, & Opi persuadeno a Saturno, che non ceda il reame al fratello. Di che Titano, ch'era di faccia piu sozzo di Saturno, veggendo la madre & le suore dar opra & favore al fratello contra di lui, consentì, che Saturno regnasse, con questo patto però, che tutti i figliuoli maschi, che nascessero di Saturno non fossero allevati. Et ciò fece egli accioche il regno tornasse ne' suoi figliuoli. Cosi il primo figliuolo, che nacque di Saturno fu morto. Indi ne nacquero due, Giove & Giunone; onde Giunone fu mostrata al padre, & Giove di nascosto fu dato a Vesta a nodrire. Oltre di ciò Opi partorì Nettuno, il quale medesimamente senza saputa di Saturno fu nascosto. Cosi anco fu fatto nel terzo parto di Plutone e Glauca, perche Plutone, latinamente detto Orco, fu tenuto di nascosto; ma indi a poco Glauca piccolina se ne morì. Nè molto da poi continuando, la Sacra Historia dice: Onde Titano, poscia, che seppe Saturno havere allevato i figliuoli, segretamente menò seco i suoi chiamati Titani, i quali presero Saturno & Opi, mettendoli con guardie in prigione. Dopo questo, non molto dopo segue dicendo; Ultimamente, intendendo Giove il padre & la madre essere tenuti in distretto, venne con un gran numero di genti Cretesi a combattere contra Titano & i figliuoli, onde liberò il padre & gli restituì il reame, tornandosene poi in Candia. Queste cose scrive Lattantio dall'Historia Sacra; le quali quanto siano vere lo dimostra la Sibilla Erittrea, che quasi l'istesso rifferisce. Veduto hora il senso dell'historia, d'intorno l'avanzo resta a dire alcune poche cose. Et prima quello, che vogliano intender que' tali, che dicono costui essere stato figliuolo del Cielo & di Vesta. Il che penso (oltre la verità dell'historia) potersi dire di ciascun mortale; conciosia, che habbiamo il corpo terreno & l'anima immortale, delle quai cose si sa essere composto l'huomo. Ma costui con piu alto invoglio di parole dall'universo numero de' mortali viene inalzato, & chiamato Titano, che significa (come piace a Lattantio) l'istesso, che fa vendetta, percioche s'è di sopra dimostrato Vesta essere la terra, & la Terra sdegnata per ira degli Dei in sua vendetta haver partorito i Titani. Et perche dove s'è trattato della Fama egli s'è mostrato quale sia l'ira degli Dei, & qual mente i figliuoli della Terra si levassero in difesa della madre, basta d'avantaggio qui narrare costui solo uscito dalla Terra essere stato uno di quelli famosi huomini, che con l'opre si sforzò inalzare la fama & vincere la sua morte. Che la Terra poi gli fosse moglie, egli è da intendere il grand'animo di costui, & d'ogn'altro a lui simile, col quale soggioga a sé la Terra, si come il marito la moglie, & lei signoreggia, con l'animo almeno, se il possesso gli manca. Vogliono, che di costei generasse molti figliuoli, il che anco la historia dimostra; & anco vogliono (se è possibile), che per la conformità dei costumi alcuni gli fossero attribuiti per figliuoli, si come di molti si fanno, & chiaramente si vede per lo nascosto sentimento; nè ad alcuno deve essere in dubbio, che molti per lo passato, & hoggidì anco, siano famosi huomini, i quali possano essere detti di lui figliuoli, conciosia, che egli viene descritto il primo. Appresso dicono questi essere stati chiarissimi huomini, & contra gli Dei haver havuto guerra, accioche consideriamo, per la grandezza d'animo, il passo della superbia esser facile. Et per ciò (sì come per lo piu) mentre i Prencipi con poca consideratione oprano, dalla gloriosissima virtù caggiono nel vituperoso vitio, & allhora divengono sterili, cioè senza frutto di virtù. Et affine, che intendiamo i figliuoli di Titano essere stati tali, dicono, che nacquero nella quinta Luna, percioche l'antica superstitione credette, che ciò, che nasceva nella quinta Luna fosse sterile & dannoso. Onde non è dubbio, che i dannosi s'inalzassero, percioche sono semi di guerre, per li quali si vuotano i campi agli habitatori, et le città, et si rovinano i reami. Oltre ciò dicono eglino haver havuto guerra con gli Dei; il che fanno i magnanimi & superbi. Percioche i magnanimi con le buone opre si sforzano agguagliare agli Dei, ma i superbi, istimandosi quello, che non sono, procacciano con le parole, & se potessero con gli effetti, calcare esso Iddio, onde nasce, che sono gittati a terra & ridotti in niente. Nondimeno egli è d'avertire doppia guerra da gli huomini con gli Dei essersi havuta, una de' quali fu questa, che Giove liberò il padre & la madre, morti i figliuoli di Titano. L'altra fu poi quando i Giganti, che anco sono detti figliuoli di Titano, volsero torre il Cielo a Giove, & allhora posero i monti sopra monti; il che poi si tratterà dove si farà ricordo de i Giganti.

 

Hiperione primo figliuolo di Titano, che generò il Sole & la Luna.

Paolo & Theodontio vollero, che Hiperione fosse figliuolo di Titano & della Terra, del quale non credo leggersi altro, eccetto, che generò il Sole & la Luna. Nondimeno penso, che fosse huomo di gran preminenza, & ciò tengo cosi per lo significato del nome, il quale vuol dire sopra il tutto; come anco per li nomi di cosi famosi figliuoli.

 

Sole figliuolo d'Hiperione, che generò l'Hore, lequali io metto invece d'una sola figliuola, & cosi generata la prima, produsse le Eone, lequali medesimamente tengo in luogo d'una figliuola; Cosi dietro questa seconda, che generò Fetusa terza, & Salempetij quarta, Dirce quinta, Mileto sesta, Pasife settima, Oeta ottava, Circe nona, & Angina decima.

Egli è chiarissima fama il Sole essere stato figliuolo d'Hiperione, ma di qual madre poi non si sa. Dicono, che costui non solamente non diede favore al padre nè a fratelli contra Giove, ma seguì la parte di Giove; là onde dopo la vittoria ottenne da Giove la corona, la carretta, l'habitatione, molte altre insegne; le quali diffusamente nelle cose seguenti si tratteranno. Credo io, che costui ne' suoi tempi fosse famosissimo & veramente magnanimo, & che per ciò si dicesse egli non haver favorito a fratelli ma a Giove, che non è superbo. Di che tanto favore gli prestò la fama, ch'a lui dai Poeti fu conceduto tutto quello splendore & ornamento che al solo Sole si concede. Nè altrimenti di lui, che del vero Sole spesse fiate hanno parlato. Ma perche qui non appare esservi posto alcuna cosa appartenente ad huomo, parlaremo del Sole Pianeta. Primieramente adunque lo finsero Re, & per aventura anco vi fu, & a lui designarono una Real Stanza; della quale Ovidio nel secondo libro del suo maggior volume dice;

 


La Real stanza del lucente Sole,

Era alta per altissime colonne.


 

Et cosi và, seguendo drieto per dicisette versi. Descritta poi l'habitatione, Ovidio narra la maestà reale & i suoi baroni, dicendo;

 

Cedea coperto di purpurea veste.

 

Indi, descritta in sette versi la maestà reale, mostra la sua carretta, cosi scrivendo:

 


Era d'oro il timone, & era d'oro

L'asse, & il ferro, che le ruote gira,

Et l'ordine dei raggi era d'argento.

Et per li gioghi grisoleti, & gemme

V'erano poste, che dal Sol percosse

Facevan chiaro lume, & gran splendore.


 

Nè molto da poi l'istesso scrive i cavalli.

 


In tanto Eoo, Piroo, & Ethetone

Del Sol cavalli alati, e il quarto Flego

Con annitrir ardente oltre le Stelle

Si fan sentire, percuotendo forte.


 

Et quello, che segue. Appresso attribuisce a questo Re (si come dimostra Alberigo) una corona notabile con dodici pietre pretiose. Indi dicono, che nello spuntar dell'alba dalle hore gli viene apparecchiata la carretta, & posto sotto i cavalli. Oltre di ciò vogliono, che sia padre di molti figliuoli, tra quai egli è cosa possibile alcuni essere stati veri, mentre vogliamo, che sia stato huomo; & alcuni anco (chiamandolo Pianeta) per ragione di conformità di costumi essersi attribuiti. Appresso, come dicono i Filosofi, nel generare delle cose è di tanta potenza, che viene tenuto padre di tutta la vita mortale. Et tra l'altre cose, s'egli aviene, che nella natività d'alcun huomo stia in ascendente agli altri sopra celesti corpi, per una certa singolar potenza produce quello bellissimo, di faccia amabile, veloce, splendido, di costumi riguardevole & di generosità notabile. Similmente lo chiamano con molti nomi, per li quali a bastanza si vede i Poeti haver voluto intendere del Sole Pianeta, & non dell'huomo. Hora egli è da dichiarare quello, che voglia significare le cose dette. Prima lo chiamano figliuolo d'Hiperione, il che si vede ammettere percioche di sopra habbiamo detto Hiperione significare l'istesso, che sarebbe a dire, sopra il tutto. Et cosi costui sarà tolto per lo vero Iddio; il quale, havendo di niente creato il tutto, solo può essere detto padre del Sole, essendo egli solo sopra ogni cosa. Oltre questo a costui è attribuita cosi reale stanza, accioche intendiamo, per le cose apposte in quella, il tutto fermarsi per opra della potenza a lui concessa, & egli aministrar la cura d'ogni cosa. Al qual tra l'altre piu vicine sono locati d'intorno i tempi & le qualità dei tempi, affine, che s'intenda lui col suo moto haver descritto il tutto; benche Mosè nel principio del Pentateuco scriva innanzi lui essere stati alcuni giorni i quali con l'arte sua fece colui, che creò il tutto, non essendo anco creato questo, nè datagli alcuna potenza. Ma poscia, che fu creato, cosi volendo il suo Creatore; col girar suo ordina i tempi & il tutto, descrive l'hore, il giorno, il mese, l'anno & i secoli, si come piu apertamente nelle seguenti cose si dimostrerà. Cosi col mover suo fa le qualità di tempi esser diverse, ad alcuna stagione dando le frondi e i fiori, all'altra le biade; alla terza concede i frutti & incomincia a torre le foglie, all'ultima dona il rigor del freddo & la bianchezza della neve. La Carretta poi a lui cosi lucente apparecchiata dinota la di lui volubilezza non mai lassa, & perpetua, col lume, che mai non manca nel girare di tutto il Mondo; la quale è di quattro ruote per dimostrare ch'i già quattro tempi descritti sono fatti per lo suo girare. Cosi anco i quattro cavalli sono per dinotare le qualità del camino del giorno, percioche Piroo, che il primo è nel tempo, si dipinge rosso, attento, che nel principio della mattina, ostando i vapori, che levano dalla terra, il Sole nel levarsi è rosso. Eoo, che è il secondo, essendo dipinto bianco, viene detto splendente, perche essendosi sparso già il Sole, & havendo cacciato i vapori, è splendente & chiaro; Etheone poi, che è il terzo, viene figurato rosso & infiammato, ma, che però trahe al giallo, conciosia, che essendo allhora nel mezzo del Cielo fermato il Sole la sua luce è splendente, & a tutti pare piu ardente. Ma Fegone, che il quarto, viene dipinto di color giallo, che tende al nero, dimostrando la declinatione di quello verso la terra, percioche calando verso quella mostra il tramontare. Nondimeno Fulgentio chiama questi cavalli con altri nomi, benche a loro dia le medesime espositioni, cioè Erittreo, Atteon, Lampo & Filegeo; per la corona poi con dodici gemme, Alberigo con lunga diceria dimostra doversi intendere i dodici segni celesti, per li quali gl'ingegni de' mortali trovarono lui ogni anno discorrere. Oltre queste predette cose, ci resta slegare il groppo di suoi nomi; di quali, perche egli ha alcune cose communi con alcuni altri Dei, riserbando quelle dove si tratterà di tali Dei, si esporrà solamente quelle, quanto piu brevemente si potrà, che a lui solo parrano convenirsi. Primieramente adunque egli si chiama Sole; Per che, in quanto a Pianeta, egli è solo, come pare, che dimostri Macrobio, dicendo; Perche anco Latino chiamò quello Sole il quale solo ottenne tal nome per tanta chiarezza. Et Platone nel Thimeo, dove tratta delle sfere, dice; Accioche per essi otto circoli di celerità & tardità vi sia, & sia conosciuta una certa misura, Iddio nell'andito sopra la Terra v'accende un lume di stelle, il quale hora chiamiamo Sole. Appresso, dove Tullio tratta della Republica, lo chiama prencipe & capo, dicendo. Poi il Sole penetra sotto mezzo il paese della Terra, & quella ottiene come capo, prencipe, moderatore degli altri lumi, Mente del Mondo, & temperamento, et con tanta grandezza la regge, che con la sua luce illustra & empie il tutto. Sopra le quai parole nel sogno di Scipione cosi dice Macrobio; Capo adunque, perche precede tutti con la maestà del lume. Prencipe, perche tanto sta eminente, che pare un velo, & viene chiamato Sole. Et non molto da poi segue; Viene detto Mente del Mondo, cosi come i Fisici lo chiamarono cuore del Cielo. Et non mi maraviglio, conciosia, che egli regge tutte quelle cose, che con ordinata ragione veggiamo essere portate per lo Cielo, cioe il dì, la notte, & le cose, che stanzano tra l'uno & l'altra, con i giri della lunghezza, & brevità, & la giusta misura dell'uno & l'altra, con certi tempi. Indi la benigna temperanza della primavera. Il torrido caldo del Cancro & del Leone. La mollitie dello spirar d'Auttunno. La forza del freddo tra l'una & l'altra temperanza. Tutto questo dispensa il corso del Sole, & la ragione. Ragionevolmente adunque viene detto cuore del Cielo, per lo quale vengono fatte tutte le cose, le quali noi veggiamo esser oprate per divina ragione. Questa è anco cagione per la cui meritamente è chiamato cuore del Cielo; che la natura del foco sempre in perpetuo movimento è mossa. Ma habbiamo detto il Sole essere il fonte del fuoco celeste. Onde il Sole nel Cielo è l'istesso, che è il cuore nell'animale, del quale è tale la natura, che mai non cessa dal moto; & ogni volta, che per qual caso si voglia cessa dal movimento, incontanente l'animal muore. Questo scrive Macrobio. Dalle cui parole a pieno si può conoscere lui haver istimato il Sole cagione di tutte le cose. Appresso, come dice Macrobio Cenopide, lo chiama Losia, percioche dal tramontare fino al levare stendendosi fa un cerchio tondo. È anco detto Febo, & specialmente dai Poeti; il che è detto dalla specie & dalla splendidezza. Altri lo chiamano Febo; perche è novo, conciosia, che ogni mattina pare ch'egli novo dall'orizonte si levi. È detto appresso Lico, & si come vogliono alcuni, cosi chiamato da Licio, tempio di Delo. Ma Macrobio mostra, che Cleante ne rende altra ragione, dicendo; Cleante scrive Apollo essere nomato Licio percioche, si come i lupi rapiscono le pecore, cosi medesimamente egli toglie l'humore ai raggi. È anco chiamato da' Soriani, come dice l'istesso Macrobio, Soconia; il che è tratto dallo splendore dei raggi, da loro detti chiome d'oro del Sole. Cosi anco Argitoroso, perche nascendo per lo sommo spatio del mondo, si come un certo arco, viene figurato per la spetie bianca & d'argentto; dal qual arco i raggi in guisa di saette risplendono. È anco detto Horo, si come grandissimo & sublime Gigante, come noi stessi possiamo vedere; & questo nome gli è stato imposto dagli Egittij. Appresso è chiamato con molti altri diversi nomi, si come è chiaro in Macrobio nel libro dei Saturnali.

 

Le Hore figliuole del Sole & di Croni.

Dice Theodontio le Hore essere state figliuole del Sole & di Croni, & da lui cosi chiamate, percioche dagli Egittij è nomato Horo. Homero dice, che queste tali apparecchiano il carro & i cavalli al suo tempo al Sole, & quando vuole comparire al giorno elle gli aprono le porte del Cielo. Ma io istimo, che siano dette figliuole del Sole & di Croni, che è il tempo, percioche per lo camino del Sole con certo spatio di tempo vengono a formarsi. Che poi apparechino i cavalli & il carro al Sole, credo ciò essere stato finto perche, succedendo l'una dopo l'altra per ordine, la notte passa & il dì giugne, nel quale il Sole, si come in carro a lui apparechiato dalla successione delle hore, entra; nel cui principio di successione pare, che le hore del giorno gli aprano le porte del Cielo, ci è il nascimento della luce.

 

Le Eone figliuole del Sole.

Vuole Theodontio le Eone essere molte sorelle figliuole del Sole & di Croni, & tutte essere grandissime di corpo, & poste sotto i piedi di Giove. Di queste giamai non mi ritrovo io haver letto altrove alcuna cosa, eccetto, che s'egli non vuole queste doversi intendere in luogo dei secoli, attento, che Eon in greco Latinamente viene interpretato secolo: vuole haver inteso de' secoli, certamente questi sono formati dal movimento del Sole, con certo & lungo spatio di tempo. Questi habbiamo mostrato di sopra essere stati descritti da Claudiano nel Tempio dell'Eternità. Della quantità poi d'un secolo, molto tra loro sono stati gli antichi discordi. Percioche dicevano alcuni, si come Censorino in quel libro ch'egli scrisse del Giorno di Natale a Cerello, i secoli, spetialmente da quei, che seguivano i costumi d'Ethrusci, essere descritti in questo modo, cioè, che havesse principio di qualche dimostratione degli Dei, & si stendesse fino a tanto, che sovragiungesse alcun altro portento, il quale fosse fine del passato & principio dell'avenire. Cosi non con certo & diterminato numero d'anni pareva il Secolo essere formato, anzi alle volte lungo & alle volte breve occorreva. Dopo questo dimostra altri diversamente imaginarsi, i quali dicevano un secolo essere un spatio di tempo, che trascorreva tra una celebratione de' giuochi secolari all'altra prossima, dal quale anco succederebbe una grandissima disaguaglianza di tempo. Ultimamente, citate molte openioni; dice; il civil secolo de' Romani essere terminato nello spatio di cento anni solari. Il che ricordomi anch'io, spessissime fiate, dall'honorato Andalone essere conchiuso nell'istesso intervallo. Erano appresso di quelli, che volevano l'età & il secolo essere un medesimo, la qual cosa non è vera, come, che alle volte gli antichi impropriamente tolgano l'una per l'altra. Percioche, se pigliaremo la età nel modo, che ci mostrano le sacre lettere & anco i Poeti, troveremo, che in sé contengono molti secoli. Che poi i secoli siano locati sotto a piedi di Giove, penso essere fatto affine, che intendiamo i tempi trapassare secondo il volere del solo vero Iddio, & a lui solo essere palese la lunghezza loro, & ciò, che nel loro intervallo ha a succedere. Nè da ciò discorda la descrittione di Claudiano, il quale disse quelli habitare nell'antro dell'eternità; attento, che in essa Trinità di persone, & sola Divinità, solamente consiste l'Eternità. Et cosi ciò, che si trova nell'Eternità, è necessario, che sia in Dio.

 

Fetusa et Salempetij terza & quarta figliuole del Sole.

Fetusa & Salempetij, ninfe Siciliane, furono figliuole del Sole & Nerea, si come nell'Odissea scrive Homero, dicendo queste in Sicilia essere guardiane del gregge del Sole; dal quale fu vietato per mezzo Circe Ulisse. D'intorno al qual commandamento Homero recita tal favola. Dice egli; che, ritornando Ulisse dall'Inferno per andar nella patria, fu avisato da Circe che, giungendo con i compagni oltre Scilla & Cariddi in Sicilia, & trovando i greggi del Sole essere guardati da Fetusa & Salempetij sue figliuole, da quelli al tutto con i compagni dovesse astenersi; percioche, s'alcuno ne gustasse, sarebbe morto. Dove, passati gli altri pericoli, essendo ivi giunto Ulisse lasso & afflitto con i compagni, avenne, che per consiglio d'Euriloco fu sforzato fermarvisi una notte. Ma la mattina, mutati i venti, non poterono partirsi. La onde dimorandovi piu lungamente, che non si credeva, i compagni d'Ulisse, cacciati dalla caristia dei cibi, dormendo Ulisse, per persuasione d'Euriloco messero le mani negli armenti del Sole, & di quelli quetarono la fame. Onde partendosi d'ivi furono assaliti da grandissima fortuna; & ultimamente folminati da Giove morirono tutti eccetto Ulisse, il quale non gustò di quelli. A questa favola può darsi tal senso. Il calore & l'humidità, cioè il Sole & Nerea, che è Ninfa, generano le selve & i paschi, i quali vengono ad essere due Ninfe, figliole del Sole & di Nerea. L'una di queste concede l'ombre, l'altra dà il vivere à i gregi; & cosi sono quelle, che serbano i benstiami del Sole, il quale è formato d'ogni vivente, cioè dall'anima vegetativa & sensitiva. Per opra sua i greggi nascono, et per coperta & nodrimento delle predette custodi sono serbati; nondimeno dice Homero questi essere in Sicilia, non perche non ve ne siano altrove, ma perche ivi per la grandissima abondanza delle cose & temperanza del Cielo pare, che le delitie habbiano maggior vigore; le quali, per li corrotti costumi del luogo, anco ivi, che altrove sono mortali. Da queste ogni anima rationale è prohibita, affine, che di quelle disordinatamente non usi & non giunga alla morte, overo à vita piu, che morte oscura. Il che tante fiate aviene quante, allargando il freno all'appetito, si lasciamo affogare nelle lascivie; la qual cosa già fecero appresso Siciliani molti: i quali divenuti effeminati dopo le gustate lascivie, non poterono resistere alle fatiche. Ma Euriloco, cioè la piacevole persuasione della sensualità, dormendo Ulisse, cioè la fortezza della ragione, lascia incorrere gl'ingordi sensi ne i greggi, cioè nelle delitie. Là onde, datisi alle libidini, non poterono sopportare le fatiche del mare turbato, cioè di questo mondo. Cosi dal folgore di Giove, cioè dal giusto giudicio d'Iddio, gittati in mare morirono, cioè che, travagliati nelle amartudini & miserie della vita mortale, & non conosciuti, mancarono. Overo, che forse puote avenire che, essendo giunto in Sicilia Ulisse, & ivi da tempi contrari ritenuto, non havendo cura de suoi compagni, di maniera quelli si diedero alle crapule & alle donne che, rientrando in mare, si scordassero delle cose necessarie, & cosi patissero naufragio. Il che non solamente habbiamo letto essere accaduto ad Ulisse, ma anco ad Annibale cartaginese, famosissimo capitano di guerra; i cui soldati, havendo animosamente sopportato gradissimi disagi & vinto lo strano viaggio d'Hispagna in Italia, furono poi abbattuti & conquassati dalle delitie Capuane.

 

Dirce quinta figliuola del Sole & moglie di Lico re di Thebe.

Fu Dirce figliuola del Sole & moglie di Lico Re di Thebe; contra la quale Fulgentio dice, che Venere fù crudele, si come fu verso tutte l'altre figlie del Sole. Onde si narra tale historia, cioè che, essendo stata per forza violata Antiopa figliuola di Nittemo Re da Epafo, come piace à Lattantio: overo da Giove, come la maggior parte istima, quella fu scacciata da Lico Re di Thebe, & in sua vece tolto Dirce; la quale, subito prendendo sospetto, che Lico di novo non ritogliesse Anthiopa & ella fosse rifiutata, impetrò dal marito di poter tenere in servitù Anthiopa: la quale essendo pregna di due figlioli generati da Giove, venuto che fu il tempo del parto da lui fu liberata di servitù, & segregatamente se ne fuggì nel monte Citheronte, dove partorì Anfione & Zeto, i quali esposti alle fiere furono raccolti & nodriti per suoi da un certo Pastore: onde, cresciuti in età & conosciuti dalla madre, fatti certi della sua progenie, leggiermente s'accesero d'ira contra Dirce, & per vendetta della madre movendosi ammazzarono il Re Lico & legarono Dirce al paro di un toro salvatico. Il quale strascinandola qua & là, ella si rivolse con preghi ai Dei, che mossi a compassione la cangiarono in un fonte del suo nome non lontano da Thebe; & cosi fece satolla l'ira di Venere. Quello adunque, che di favoloso si contenga in questa historia, liggiermente si dichiarerà. Dice Theodontio essere finto, che Anthiopa al tempo del parto fosse liberata di servitù da Giove: perche, parendo a Dirce il ventre gonfiato d'Anthiopa essere assai chiaro testimonio del suo adulterio, s'imaginò, che meritamente per ciò dovesse essere in odio al marito, onde la lasciò andare; l'essersi poi Dirce tramutata in fonte, questo assai si può capire, si per lo perduto Reame come per la pena del dato supplitio, quella essere rimasta in molte lagrime. Che fosse anco figliuola del Sole, credo ciò essere detto ò perche ella cosi veramente fosse figliuola di qualche notabile huomo cosi chiamato, ò perche fosse cosi bella, che meritasse essere chiamata figlia del Sole.

 

Mileto sesto figliuolo del Sole, che generò Cauno & Bibli.

Mileto (come testimonia Ovidio) fu figliuolo del Sole. Ma Theodontio dice costui essere stato figliuolo del Sole Rodiano & fratello di Pasife. Costui nondimeno fu smarrito da Giove, percioche volea mover guerra contra Minos già vecchio; per la qual cagione se ne fuggì in Lesbo, & ivi edificò quella città la quale dal suo nome chiamò Militene. Ma poi, cangiate le lettere, di Militene fu detta Mitilena. Dopo questo hebbe a fare con Ciane Ninfa del fiume Menandro, & di lei hebbe due figliuoli, cioè Cauno & Bibli.

 

Cauno & Bibli figliuoli di Mileto.

Cauno & Bibli furono figliuoli di Mileto & di Ciane Ninfa, come dimostra Ovidio, dicendo;


Qui, mentre la figliuola di Menandro

Ciane Ninfa di bellezza, e pregio

Segue le ripe del paterno nido

Et tante volte, hor su, hor giù ritorna


Partorì Cauno e Bibli, ambo gemelli.


Et perche di questo non ho letto altra cosa, che loro commune, m'è paruto d'amendue insieme trattare. Si legge adunque Cauno essere stato un bellissimo giovane, & sceleratamente amato dalla sorella Bibli, cosi oprando Venere contra la progenie del Sole. Ma havendo Bibli scoperte le dishoneste fiamme della sua libidine al fratello, egli sprezzando la vergognosa concupiscenza di lei si diede a fuggire, & in altro paese si fece habitatione. Onde l'infelice Bibli subito si mosse a seguirlo, & poscia, che hebbe cercato la Caria, la Licia, & l'Elaga, vinta dalla fatica & dal dolore si fermò, & sé stessa sprezzando si diè a piangere; di che avenne, che la infelice per compassione delle Naiade fu conversa in fonte, come dice Ovidio;

 


Cosi dal lagrimar venuta meno

Bibli prole del Sol si cangia in fonte,

 Qual'hora in quelle valli il nome tiene

De la sua donna, e a pié degli arbor corre.


 

La fintione è assai manifesta, percioche per lo continuo pianto fu tenuta un fonte, che scorresse.

 

Pasife ottava figliuola del Sole, & moglie di Minos.

Nacque del Sole Pasife, si come si può comprendere nella Tragedia di Seneca Poeta, per li versi di colui, che parla nella Tragedia d'Hippolito:

 


Che può colui, che presta il lume suo

Ad ogni cosa di tua madre padre?


 

Et quello, che segue. Queste parole sono d'una nutrice, che parla a Fedra, figliuola di Pasife & inamorata d'Hippolito. Ma Theodontio dice, che non fu figliuola del Sole d'Hiperione, ma del Rodiano. Costei fu moglie di Minos Cretese; la quale, essendo Minos alla guerra contra Megaresi & Atheniesi per vendicar la morte dell'amazzatogli figliuolo Androgeo, fu infiammata da scelerato & lascivo Amore da Venere, che perseguitava tutta la progenie del Sole. Onde amò un bellissimo toro, & si dice, che per arteficio di Dedalo venne negli abbracciamenti di quello, & di lui partorì un mostro mezzo huomo & mezzo toro. Altri poi descrivono altramente la cagione di questo amore, dicendo che, essendo Minos per andar alla guerra, pregò Giove, che gli apparechiasse vittima da sacrificare degna di lui; onde incontanente si vide inanzi un toro, dalla cui vaghezza vinto Minos, lo serbò per capo de' suoi armenti, & in sua vece ne sacrificò un altro. Di che Giove sdegnato oprò che, essendo egli assente, la moglie di quello s'inamorasse. Et di qui vogliono, che Minos non havesse ardire punir la moglie del commesso peccato, che adunque Pasife figliuola del Sole s'impregnasse d'un toro. Servio vuole questo toro essere stato un scriba di Minos, cosi chiamato per nome, il quale in casa di Dedalo si congiunse con Pasife & la impregnò d'un figliuolo, & finalmente ne partorì poi due, l'uno de' quali chiaramente pareva conceputo di Minos, & l'altro per segni chiarissimi di Toro; ma del secondo non si potendo chiarire, gli fu posto un nome, che serviva ad amendue i padri, & cosi fu nodrito col nome di Minotauro. Ma io istimo sotto questa favola essere nascosto un molto piu alto sentimento. Penso veramente gli antichi haver voluto dimostrare qualmente si cagionasse il vitio della bestialità in noi, con questa ragione. Pasife, bellissima donna & figliuola del Sole, cred'io essere l'anima nostra, qual è figlia del vero Sole, cioè d'Iddio Onnipotente, dal quale è creata chiarissima d'ogni bellezza d'innocenza. Costei diviene moglie del Re Minos dator delle leggi, cioè si congiunge alla ragione humana, la quale con le sue leggi ha a reggerla & a drizzarla a dritto camino. Di costei è inimica Venere, cioè l'appetito concupiscibile, il quale accostandosi alla sensualità sempre è nemico della ragione. Al quale, se s'accosterà l'anima; egli è necessario, che si separi dalla ragione, dalla cui allontanata, liggiermente dalle carezze & persuasioni lascia condursi: & cosi precipitosamente si trasporta nella concupiscenza del toro datole da Giove, accioche a sé di lui Minos faccia sacrificio; il qual toro giudico io essere le delitie di questo mondo, nel primo incontro belle & dilettevoli, da Iddio alla ragione concedute, affine, che di quella con certa moderatione della vita nostra ministri le cose necessarie. Percioche, mentre di queste debitamente usiamo, drittamente di quelle facciamo sacrificio a Dio. Ma mentre seguendo il giudicio di quella sensualità di loro usiamo, overo desideriamo fruire, incorriamo in bestiale concupiscenza, & allhora vituperosamente in una vacca di legno l'anima si congiunge al toro, mentre con l'arteficio dell'ingegno nostro oltre le leggi di natura alle cose naturali si congiungiamo; & cosi da dishonesto appetito & nodrimento di scelerata volontà si cagiona & nasce il Minotauro, cioè il vitio di bestialità. Finsero la forma di questo Minotauro essere di mezz'huomo & toro, conciosia, che gl'inchinati a tal vitio nella prima apparenza mostrano essere huomini, ma se riguardemmo le opre & i desideri di entro nascosti, conosceremo questi tali essere bestie. Di qui viene rinchiuso nel labirinto, prigione intricata da molti travagli; & questo perche è fortissimo, ferocissimo & furioso animale; Nel cui labirinto si dimostra quello intricato al petto humano con scelerati desideri, & per forza di lui vegniamo a prestargli un forte & fiero animo, mentre habbiamo ardire oprare alcuna cosa scelerata. Il che, se non succede secondo il disio, subito diventiamo furiosi. Costui appresso viene amazzato da Theseo ammaestrato da Arianna, cioè dall'huomo prudente al quale la virilità, ch'io intendo essere Arianna, percioche Andres in Greco suona l'istesso in Latino, che fa volgarmente Huomo, dimostra una cosa scelerata essere sottoposta a cosi vergognoso vitio, & ci insegna con quali armi anco sia da atterrarlo.

 

Oeta re di Colchi ottavo figliuolo del Sole, che generò Medea, Assirthio, & Calciope.

Oeta Re di Colche (come Homero nell'Odissea dimostra) fu figliuolo del Sole & di Persa figliuola dell'Oceano. Ma Tullio dove tratta delle nature degli Dei dice quello essere nato di Asterie sorella di Latona: la quale Asterie pare, che l'istesso Cicerone dica da lui essere stata morta. Cosi dice egli: Che risponderai a Medea, la quale è stata provocata da due avi, il Sole & l'Oceano, & il padre infettrice della madre? L'antichità fa fede costui a quel tempo essere stato famosissimo Re, attento, che il Tragico Seneca nella Tragedia di Medea descrive in suo potere haver havuto un grandissimo reame. Ne' Regno di costui capitò Frisso figliuolo d'Athamante col velo d'oro; il quale, sentendo Oeta dall'Oracolo essere a lui fatale, diligentemente lo serbava, accioche perdendo quello non fosse spogliato del Reame. Il quale nondimeno gli fu spogliato da Giasone, & gli fu tolto il regno. Ma già venuto vecchio, dall'istessa fu ritornato in seggio. Dice Theodontio questo Oeta non essere stato figliuolo del Sole d'Hipperione, ma di quello, che appresso Colchi fu grandissimo, & ivi regnò.

 

Medea figliuola del Re Oeta, & moglie di Giasone.

A bastanza si vede per li versi d'Ovidio Medea essere stata figliuola del Re Oeta & della moglie Ipsea; il quale cosi dice:

 


Ne v'era il padre Oeta, al qual potesse

Sprezzata gire; nè la madre Ipsea.


 

Di questa Medea si recita una grande historia, ch'alle volte si congiunge con favole. Dicono inanzi ogni altra cosa (il che s'è detto da Apollonio, che scrisse un libro degli Argonauti) Giasone mandato dal padre Pelia esser venuto a Colcho, & benignamente essere stato ricevuto da Oeta; del cui s'innamorò la figliuola Medea anco donzella. Contra la quale sdegnata Venere, si come havea fatto contra tutto l'avanzo della stirpe del Sole, fece, che il suo figliuolo aventò in lei tutte l'ardenti & amorose fiamme. Onde conoscendo ella i pericoli manifesti a' quali l'amato giovane da lei per acquistare il velo d'oro andava ad esporsi, di lui mossa a compassione, & fatta promissione insieme di pigliarsi per sposi, lo amaestrò a qual partito senza pericolo di quello potesse insignorirsi; onde tolto il vello insieme con Giasone si diede a fuggire, menando seco in compagnia Assithio, overo Agialeo suo picciolo fratello. Ma intendendo, che Oeta gli perseguitava, per haver piu agio di allontanarsi, & fuggire, giunta nell'Isola delle fauci di Fasi, chiamata Tomitania per la scelerità da lei commessa, la qual isola fu poi nobilitata per l'essiglio d'Ovidio Nasone, & imaginandosi che, volendola il padre seguire, era necessario, che d'ivi passasse, amazzò il fanciullo Assithio; & smembrandolo tutto qua & là lo sparse per li campi, accioche il padre si fermasse a raccorre le membra del figliuolo, & ella intanto havesse tempo di fuggire. Nè il pensiero ingannò la scelerata, percioche cosi avenne; conciosia che, mentre lo consolato padre piangendo stette a raccorre le membra del figlio & darli sepoltura, ella insieme col rubatore se ne fuggì. Et doppo lungo girar di camino, secondo alcuni; giunse in Thessaglia, dove a' preghi di Giasone ritornò in età giovanile il vecchio padre Esone. Et havendo partorito a Giasone due figliuoli, armò le figliuole di Pelia nella morte del padre. Finalmente, fosse per qual cagione si volesse, fu rifiutata da Giasone, & invece di lei sposata Creusa figliuola di Creonte Re di Corinthi. Il che sopportando Medea malamente si pensò una malitia, & mandò suoi figliuoli con alcuni doni rinchiusi in una cassetta a Cassandra, sotto fintione, che placassero l'ira della madrigna. La qual arca non prima fu aperta da Cassandra, che subito n'uscì una grandissima fiamma, che volò per tutto il palazzo reale, & insieme con Creusa tutto l'arse; ma i figliuoli, di ciò avisati, prima fuggirono salvi. Onde, per cosi scelerata opra contra lei sdegnato Giasone, & volendo di ciò farle patir le pene; la crudel femina nel suo conspetto gli amazzò i propri figliuoli innocenti; & volando con sue malie & incanti se n'andò in Athene, dove tolse per marito Egeo, già vecchio, et a lui partorì un figliuolo, il quale da sé chiamò Medo. Ma havendo ella apparecchiato a Theseo, che ritornava da una lontana & lunga espeditione, non conosciuto da Egeo, per l'istesse mani li diede una bevanda avenenata; & veggendo, che Egeo, tosto, che conobbe il figliuolo, gli la levò via, cacciata da Theseo, schifò quell'ira. Et finalmente (non so a qual partito) pacificata con Giasone, insieme con lui se ne ritornò in Colcho; & per forza ritornò in stato il padre di Giasone già vecchio & fuor'uscito. Benche il grave Celio voglia (sì come anco dice Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo) quella essere stata sepolta da Giasone, & Medo suo figliuolo haver signoreggiato ai Marsi popoli Italiani. Di questi titoli adunque ornata Medea, prima appresso Greci, che meglio degli altri devrebbono haverla conosciuta, poi appresso Romani, trovò ricetto, di maniera, che fu raccolta per Dea & con sacrifici honorata, si come chiaramente testimonia Macrobio. Quelle fittioni poi, che nell'historia di costei sono coperte, dove si scriverà di Esone, Pelia, & Giasone di mano in mano, secondo, che farà mistiere, si dichiareranno, perche paiono a loro appartenersi.

 

Assirthio, & Calciope, figliuoli d'Oeta.

Assirthio & Calciope, fratello & sorella, furono figliuoli d'Oeta Re di Colchi, percioche di Assirthio testimonia Tullio dove tratta delle nature de Dei, dicendo; Che di questa, cioè Medea, al fratello Assirthio; il quale Egilao è appresso Pacuvio, &c.

Di Calciope poi Ovidio nelle Pistole dice;

 


 Oeta non vi era: al cui sprezzata

Se ne fuggisse; Nè la madre Ipsea,


Nè Calciope sua sorella grata.

 

Di questa Calciope non ho altro ritrovato eccetto, che fu moglie di Frisso; & a lui partorì un figliuolo chiamato Cicoro. Di Assirthio poi, overo Egilao, già è stato detto di sopra come fu dalla sorella morto. Dal cui sono alcuni, che dicano quel fiume de' Colchi detto Assirthio cosi essere chiamato dal nome del fanciullo.

 

Circe figliuola del Sole.

Secondo Homero, nell'Odissea, Circe donna incantatrice fu figliuola del Sole & di Persa. A qual partito poi ella lasciasse Colcho & venisse in Italia, non mi ricordo giamai haver letto. Nondimeno egli si ritrova quella haver habitato non lontano da Caietta Città di Campagna in un certo Monte già Isola, il quale fino al dì d'hoggi dal suo nome è chiamato Circeo. D'intorno al cui gli habitatori dicono al presente sentirsi anco ruggire Leoni & altre fiere, con incanti di huomini in tali cangiate. Di questa adunque, cosi scrive Virgilio;

 


Dove del Sol la ricca figlia i boschi

Inaccessibil, col continuo canto

Fa risonare; & nei superbi tetti

Per far lume a la notte abbrugia il Cedro

Pieno d'odore; & con l'acuto insieme

Pettine tesse le sottili tele.

Non potevan tra lor tanti legami;

Ma ruggivano forte a mezzanotte.

Indi i Cinghiali setolosi, & gli Orsi

Entro i presepi arrabbiavan molto,

Et varie qualità di Lupi urlavano.

Huomin' questi eran;, che la Dea crudele

Quinci s'udiano i gemiti con l'ire

Dei feroci leoni, che patire

Circe con il poter d'herbe, & incanti

Havea cangiato in animali, & fiere.


 

Et quello, che segue. Ma Homero nell'Odissea dice, che Ulisse, vagando insieme con i compagni, giunse da costei; la quale havendogli tramutato tutti i compagni in animali, non puote mai cangiar lui, ch'era stato avisato da Mercurio; anzi da lui smarrita, gli ritornò tutti i suoi compagni nella primiera forma, & per spatio d'un anno intiero il tenne seco. Et di lui partorì un figliuolo chiamato Theologono; & alcuni v'aggiungano anco Latino, che poi fu Re de' Laurenti. Indi, havendolo ammaestrato di molte cose, il lasciò partire. Oltre di ciò narra di costei, che amò Glauco Dio Marino; & perche egli amava Scilla Ninfa, ella mossa da gelosia avelenò l'acque d'un fonte dove la Ninfa era avezza bagnarsi. Per la qual cosa Scilla in quello entrando fu inghiottita da i cani marini fino al mezzo, & in un mostro marino cangiata. Appresso dice ch'ella amando il Re Pico, & da lui essendo sprezzata, percioche egli era innamorato di Pomona, tramutò quello in uccello di suo nome. Hora veggiamo quello, che si contenga sotto le corteccie di queste fittioni. Theodontio, diligentissimo investigatore di queste cose, dice costei non essere stata figliuola del Sole d'Hiperione, ma di quello, che si crede haver regnato in Colcho, ma fu tenuta figlia di questo perche (come dice Servio) fu bellissima donna & famosa meretrice; il che fingono essere avenuto per l'odio di Venere contra la progenie del Sole, del qual odio di sotto si tratterà dove si narrerà di Venere. Che poi s'odano muggir fiere nel circuito del Monte egli è, perche mentre tra grandi & rovinosi sassi, rupi & caverne (de' quali il Monte è circondato) l'onde del mare per l'empito de' venti sono trasportate & poi rimosse, & sopravenendo l'altre, cacciate, di maniera sono dirotte, che di necessità nasce un strepito discordante, hora simile ad un muggire & hora al ruggire. Et di qui eglino fingono udir Leoni & Cinghiali. Che anco con herbe & incanti trasformasse gli huomini in bestie, questo a molti pare potersi concedere per arti Magiche & illusioni, mentre crediamo i Maghi di Faraone con sue arti haver fatto quelle cose, che Mosè per virtù divina oprava; & mentre anco crediamo gli huomini in Arcadia esser fatti Lupi, & Apuleio essere stato cangiato in Asino. Ma io piu tosto tengo costei con la sua bellezza haver guidato molti mortali ad amarla, i quali, per meritare la sua gratia, che senza pecunia, dalle meretrici non si può acquistare, si mescolarono con diverse lascivie per portarle doni, & cosi vestirono quelle forme ch'erano condecenti agli uffici; delle quali Ulisse, cioè il prudente, non si veste. Doppo questo, che costei amasse Glauco io credo ciò essere stato detto percioche, secondo alcuni, & spetialmente secondo Leontio, Glauco risuona l'istesso, che fa terrore, & perche egli è cosa terribile l'udire gli strepiti dell'acque d'intorno il monte Circeo; si come di sopra è stato detto, & fermandosi ivi esso terrore, grandemente pare, che sia amato da Circe, cioè da quel luogo di Circe. Che poi Glauco amasse Scilla, per l'istessa ragione egli è stato detto. Conciosia, che appresso Scilla, per lo muggiare del mare, il medesimo terrore vi giace di continuo. Et cosi dimorandovi frequentemente, pare ch'egli ami Scilla. Che Scilla anco, per essere avenenate l'acque marine, fosse rapita fino al mezzo dai cani, il figmento ha pigliato materia dell'effetto, percioche Scilla è uno scoglio appresso il mare Siciliano, che tanto sopravanza l'acque, che pare, che la metà stia sopra quelle, & l'avanzo sia nascosto; & essendo cavo & pieno di caverne, di maniera, che continuamente il mare v'entra & n'esce con grandissimo empito, mentre, che in quelle cave entra & poi ritorna fuori, a guisa di cani che abbaiano manda fuori un strepito; & cosi lo scoglio viene detto essere da cani rapito. Quelle cose poi, che s'appartengono a Pico si scriveranno nelle seguenti, dove si dirà di Pico. Ma io istimo questa Circe non essere stata sorella di Oeta, essendo stato molto prima, che non fu la guerra Troiana Medea di Colcho, & questa molto da poi; ma la similitudine dei nomi, & forse dell'essercitio di due, poterono farne una.

Angitia figliuola del Sole.

Dice Theodontio, che Angitia, overo Ageonia, fu sorella di Circe, & figliuola del Sole; & non molto lontano da lei nei campi di Campagna haver dimorato, ma haver dato opra a miglior essercitio. Della quale il grave Celio, non accordandosi in tutto con lui, afferma quella essere stata sorella di Circe & haver habitato vicino al lago Fucino, dove con salutifera scienza insegnò a quegli habitatori molti rimedi per l'infirmità; là onde, morendo, da loro fu tenuta & honorata per Dea. Ma Macrobio nel libro dei Saturnali chiama costei la Dea Angeriona, & dice, che appresso Romani alli XVIII di Dicembre si celebravano le sue feste, & dai Pontefici nella chiesa Volupia se le facea il sacrificio. Ma Valerio Flacco dice costei chiamarsi Angeronia percioche caccia le infirmità & i pensieri delle anime. Appresso, Masurio dipinge la sua imagine con la bocca legata & segnata posta sull'altare di Volupia, percioche ciascuno, che dissimula le sue doglie & affanni (sopportando il beneficio) ritorna in grandissima dilettatione. Nondimeno Giulio Modesto dice, che si sacrificava a costei perche il popolo Romano essendosi votato a lei era stato liberato dal male, che si chiama Angina. La cagione poi per la quale fosse tenuta & detta figliuola del Sole, l'arte del medicare puote dargliene materia.

Luna figliuola d'Hiperione.

Egli è chiarissimo la Luna (per ritornare alla prole d'Hiperione) essere stata figliuola dell'istesso Hiperione, & sorella del Sole. Di costei gli antichi hebbero diversa opinione, & inanzi l'altre cose dissero a quella essere conceduta una carretta da due ruote, percioche fu dalla parte di Giove contra i Zij. Onde Accio Poeta testimonia quella adoprar la carretta, dicendo;

 

O almo Febo, che di notte vai

Sopra la tua carretta per lo Cielo:

 

Et quello, che segue. Indi Virgilio dice; Al Cielo; & l'alma Luna sopra il carro

 


Già dato luogo il chiaro giorno havea

Di notte già scorrendo in mezo quello.


 

Et ciò, che va drieto. Dice Isidoro, dove tratta delle Ethimologie, questa carretta essere guidata da due cavalli, de' quali l'uno è bianco & l'altro nero. Oltre di ciò Nicandro Poeta dice quella essere stata amata da Pane Dio d'Arcadia, la quale per prezzo del dono d'un vello di bianca lana venne ne' suoi abbracciamenti. Il che anco Virgilio nella Georgica afferma, dicendo;

 


Cosi col bianco dono de la lana

(Se degna cosa egli è di creder questo)

Pan Dio d'Arcardia ingannò pur te presa,

Chiamandoti ad ogn'hor negli alti boschi,


Nè men sprezando tu chi ti chiamava.

 

Et quello, che segue. Appresso dicono, che fu amata da Endimione pastore, il quale vogliono, che prima fosse sprezzato da lei, & che poi poscia che alquanto lungamente hebbe pascolato i suoi bianchi gregi, fosse raccolto nella sua gratia. Nondimeno Tullio dice che dormendo quello sopra Lamio, overo Latinio, monte d'Ionia, fu in sonno dalla Luna baciato. Sono anco di quelli, che le attribuiscono figliuoli, percioche Alcina Poeta Lirico dice la Rugiada essere stata da lei & dall'Aere generata. Similmente la chiamano con diversi nomi, come sarebbe Luna, Hecate, Lucina, Diana, Proserpina, Trivia, Argentea, Febea, Cerere, Arteno, Mena, & molti altri. Ma quello ch'eglino di tante cose habbiano voluto intendere, è da avertire. Perche adunque sia detta figliuola d'Hiperione, si può allegare l'istesso, che è stato detto del Sole. Istimo io quella per chiarezza essere stata Donna famosa, & per la di lei singolar preminenza & per essere sorella del Sole essere stata nomata Luna; alla cui le cose seguenti non s'appartengono, anzi alla vera Luna; & perche prestasse favore a Giove contra i Titani, cioè i superbi; egli è stato detto per la sua complessione frigida & humida, per la cui molto le fumosità degli huomini sono cacciate. Viene detto ch'ella adopra una carretta da due ruote per disegnare il suo corso diurno, & molto piu chiaramente dimostrato per li colori de i cavalli. Oltre di ciò con l'humidità sua presta favore alle piante, che germinano sopra la terra, & alle radici di sotto dona aiuto. Che poi sia amata dal Dio d'Arcadia, qui forse se le potrà concedere tal sentimento, che per lo Dio d'Arcadia s'intendi ciascun Pastore. Percioche per lo piu gli Arcadi erano tutti Pastori. Onde i Pastori amano la Luna, cioè il suo lume, conciosia, che da quella ricevono commodità; & per ciò con voti erano avezzi nelle selve chiamarla, accioche piu facilmente schifassero nella notte i suoi greggi dalle insidie delle fiere. Et per ciò, mentre si dimostrava lucente, a lei nei sacrifici amazzavano una agnella bianca, & cosi dicevano quella esser vinta da un candido vello. Che anco fosse amata da Endimione, Fulgentio dice ciò poter essere stato, che Endimione fosse Pastore; il quale, si come fanno i Pastori, amò l'humor della notte causato dai vapori delle stelle, ch'escono da essa Luna per prestar vigore ai suchi dell'herbe; onde si cangia poi nel commodo de' Pastori, overo altrimenti. Dice l'istesso Fulgentio, che questo Endimione fu il primo, che ritrovasse la ragione del corso della Luna; & fu detto egli haver dormito trent'anni, perche, secondo il giudicio de' pazzi, quelli, che danno opra alla speculatione dormono, cioè perdono il tempo. Overo, che colui, che è inchinato alle considerationi, veramente non altrimenti, che se dormisse si congiunge all'operationi attive. Il che è stato detto di Endimione, perche in tutto il tempo di sua vitta non cessò di dar opra a niente altro eccetto a questa speculatione, si come testimonia Minasta in quello libro ch'egli scrisse della Europa. Il che io istimo vero; nè sia alcuno, che si maravigli del lungo spatio di tempo, attento, che d'intorno il corso della Luna vengono molte cose da considerare, come il degno di reverenza Andalone dimostra nella sua Theorica de' Pianeti. Ma, che prima pascesse i bianchi greggi, credo ciò esserli aggiunto per dimostrare la qualità del luogo della sua consideratione, il quale fu nella cima di quel Monte ch'egli si elesse per poter piu liberamente capire l'elevationi come luogo piu libero; & le cime dei monti, & spetialmente le alte, per lo piu sono solite essere piene di nevi, le cui nevi guardate lungamente dal pastore furono cagione di farlo chiamare guardiano di bianco armento. Che poi fosse baciato dalla Luna, penso esser finto perche, si come quelli ch'amano una donzella tengono dono del suo amore un bacio, cosi della lunga sua meditatione essere stato dono l'haver ritrovato il corso della Luna; onde pare ch'egli havesse un bacio del suo amore. Resta vedere de' nomi. Vogliono, che sia detta Luna dalla Luce, & massimamente mentre nella sera luce; percioche, lucendo la mattina, vogliono, che sia chiamata Diana. Hecate poi è detta perche s'interpreta cento, nel cui numero essendo posto quasi il finito per l'infinito, vogliono essere dinotata la grandezza della sua potenza. Alcuni vogliono, che per suo nome principale sia detta Trivia, benche Seneca nella Tragedia d'Hippolito la chiami Triforme. Chiamasi anco la Luna Diana, & Proserpina. Dicono medesimamente esser chiamata Lucina, come fa nell'Ode Horatio, dicendo;

 

Tu affermi d'esser detta anco Lucina.

 

La quale chiamano Dea delle Donne, che partoriscono: & perche cosi sia detta, poco di sotto egli si dichiarirà. Argentea poi la chiamano; percioche egli è suo proprio procrear l'argento: overo, perche, rispetto al Sole; ch'è d'oro, ella paia d'argento. Febea la dissero, perche spesse volte è nuova. Arthemia, overo Arthemi in lingua Atheniese significa l'istesso, che fa Luna; & perciò è cosi detta (come referisce Macrobio) perche Arthemi, quasi Arnothemi, cioè secante l'aere. La Luna da quelle, che partoriscono, è chiamata; per essere suo proprio scendere per le apriture del corpo & far la strada a meati; il che è prestar salute ad accelerare i parti, si come il Poeta Timotheo elegantemente espresse. È poi detta Mena perche alle volte patisce difetti, come è nelle Eclipsi, onde Mena latinamente suona l'istesso, che fa difetto; overo perche naturalmente manca di luce, & quella ch'ella possede la toglie in prestanza dal Sole, come fanno le altre stelle. Gli altri nomi poi, perche s'appartengono ad altre Dee; delle quali si farà particolar ricordo in quest'opra, voluntariamente gli ho lasciati fino a tanto, che di loro si tratterà.

 

Rugiada figliuola della Luna.

Rugiada, secondo Alcina Poeta Lirico fu figliuola della Luna & dell'Aere; & lo istesso testimonia Macrobio, il quale figmento è dalla natura tolto. Percioche, oprando la Luna nei vapori della terra humidi che essendo absente il Sole non ponno levarsi, quelli piu altamente percossi dalla frigidità dell'aere & della Luna si cangiano in minutissima acqua, la quale cadendo al tempo della state si chiama rugiada. Il verno poi per lo gelo dell'Aere torbidato si dice bruma, ò vogliamo dir nebbia.

 

Briareo figliuolo di Titano.

Briareo da tutti fu tenuto figliuolo di Titano & della Terra, il quale quasi tutti i Poeti Latini affermano essere stato contrarissimo inimico & sprezzatore di Giove, & perciò vogliono, che sia rinchiuso nell'Inferno. Et Virgilio scrive ch'egli è posto alla guardia dell'entrata dell'Inferno tra gli altri monstri, cosi dicendo;

 

Et Briareo con cento mani, & l'Hidra.

 

Ma Homero nella Iliade dimostra quello essere stato amico di Giove, dicendo;

 


Presto hai chiamato quel da cento mani

Dicon Briareo, & de la Terra figlio.


Entro il gran Cielo; il qual gli huomini, e i Dei.

 

Ne i quali versi Homero tocca la favola la quale Theodontio alquanto piu largamente riferisce, dicendo che, essendosi mossi i Dei contra Giove, cioè Giunone, Nettuno & Pallade insieme con alcuni altri, deliberarono in casa di Hereo padre di Theti fare una catena, & con quella dormendo Giove, legarlo, & l'uno dopo l'altro trahendola cacciarlo dal Cielo; il che Theti riferì a Giove, & perciò egli in suo favore chiamò Briareo in Cielo; il quale veduto dai congiurati, & istimandolo fortissimo, subito lasciarono l'impresa, & cosi fu difeso Giove. Là onde si dimostra Briareo essere stato amico di Giove. Della qual favola Leontio volendo aprire il sentimento, diceva, che inanzi la risolutione del Chaos gli elementi inferiori erano discordanti con i superiori, ma, che per opra dello humore si accordarono; & molte altre cose piu tosto da ridere, che da scrivere. Ma Theodontio dice, che sotto questa favola con sottil velo v'è coperta una historia. Et perciò dice, che Giove dopo la vittoria havuta dei Titani & dei giganti di maniera si levò in superbia ch'era divenuto agli amici insopportabile; di che Giunone sua moglie & Nettuno suo fratello, segretamente appresso l'Isola di Neritho chiamati alcuni suoi amici, si consigliarono cacciare dal Reame lui, che di ciò niente si dubitava. Il che essendoli rivelato da un nocchiero consapevole, chiamò a sé Briareo, ch'era uno dei Titani rimasto vivo, & allhora potentissimo huomo, overo piu tosto figliuolo di Briareo di Titano nomato con l'istesso nome; & con lui facendo lega, di maniera castigò i congiurati, che dopo non hebbero piu ardire tentare alcuna cosa contra quello. Briareo fu detto haver cento mani perche era capo di molti huomini, onde il finito si pone per l'infinito. Nell'Inferno è rinchiuso & non nella città di Dite come gli altri, perche anco era serbato per aiuto degli Dei; accioche intendiamo non v'essere alcuno, benche scelerato, non serbato a miglior vita, conciosia, che da lui è conosciuta la loro futura conversione.

 

Ceo terzo figliuolo di Titano, che generò Latona & Asterie.

Tra gli altri figliuoli di Titano Paolo vi annovera Ceo, & Virgilio dimostra, che la di lui madre fosse la Terra, quando dice:

 

Ultima a Ceo, e Encelado sorella.

 

Et quello, che và dietro. Leontio dice, che costui fu potentissimo Re dell'Isola Cea & huomo molto feroce & superbo; la onde, benche sia stato piu antico di Titano, viene tra suoi figliuoli annoverato. Fu padre di Latona & Asterie, donzelle di maravigliosa bellezza. Et Paolo diceva che, per haver Giove vitiato Latona, i Titani mossero a lui guerra; ma egli è falso, si come di sopra habbiamo dimostrato per quelle cose, che si leggono nella Sacra Historia.

 

Latona figliuola di Ceo, che partorì Apollo & Diana.

Latona fu figliuola di Ceo, si come si comprende per li versi d'Ovidio; il qual dice;

 


Non so per qual ragion havete ardire

Prepor a me Latona generata


Da Ceo, che nacque, & di Titan fu figlio.

 

Vogliono medesimamente gli antichi costei essere stata amata & impregnata da Giove, & di lui haver partorito due figliuoli, cioè Apollo & Diana. Il che dicono di sorte haver malamente sopportato Giunone, che non solamente a lei vietasse tutta la terra per deporre il peso del ventre, ma anco mandasse Fitone serpente di ismisurata grandezza per metterla in fuga & impedirla; la quale temendo & fuggendo, nè ritrovando luogo, che la ritenesse, avicinandosi all'Isola Ortigia da quella fu raccolta, & ivi partorì prima Diana. La quale subito fece l'ufficio della comare verso la madre nel nascimento d'Apollo, che dietro lei nacque, & il raccolse; il quale poi amazzò con le saette Fitone, & incominciò dar oracoli a chi la richiedeva. Oltre ciò dicono per questo parto essersi cangiato il nome all'Isola, la quale prima essendo detta Ortigia, fu poi chiamata Delo. Appresso vogliono che, portando Latona per la Licia questi figliuoli anco piccolini, & per lo caldo ardendo di sete, essersi accostata ad un certo lago per bere; onde, veduta da alcuni contadini, subito quelli con i piedi entrarono in quel lago & torbidarono tutta quella acqua. Di che Latona pregò, che fossero mandati in ruina; là onde incontanente quei villani tramutati in Rane sempre habitarono quel laco. D'intorno a questi figmenti Barlaam diceva che, cessando il Diluvio; qual fu al tempo del Re Ogigi, per la troppo humidità della terra, alla cui la calidità era congiunta, essere esshalato cosi spessi nuvoli, che appresso molti luoghi del mare Egeo & della Achaia in alcun modo nè di giorno nè di notte i raggi solari non erano veduti dagli habitanti. Finalmente facendosi quelli piu rari, & spetialmente appresso l'isole, dove per ragione del mare meno havea potuto l'esshalatione della terra, avenne ch'una notte circa un'hora inanzi il giorno seguente dai circonstanti nell'Isola d'Ortigia prima fossero veduti i raggi lunari, & conseguentemente la mattina i solari. Là onde con grandissima allegrezza di tutti, come se havessero racquistato quelli, che già istimavano perduti, fu detto appresso l'isola Ortigia Diana & Appollo esser nati; & perciò fu mutato il nome dell'isola & di Ortigia fu detta Delo, che suona l'istesso, che fa manifestatione, imperoche vi fu prima fatta la dimostratione del Sole & della Luna. Vollero anco quelli, che finsero essa isola esser Latona, nella cui fu fatta la dimostratione del Sole; & specialmente la pigliarono per femina affine di dar colore alla fittione, perche a lei era avenuto di haver partorito due figliuoli, de' quali il maschio chiamarono Apollo & la femina Diana. Volsero poi, che Fitone, che perseguitava Latona accioche non potesse portorire, fossero le nebbie oscure dei vapori, che si levavano, le quali veramente ostavano, che i raggi solari & lunari non potessero da mortali esser veduti. Nè senza ragione le chiamarono serpente, percioche, mentre liggiermente qua & là fossero cacciate da ogni spirito, a guisa di serpe parevano serpire. Ma dissero questo Fitone essere stato mandato da Giunone percioche spesse fiate Giunone s'intende per la terra & per lo mare, da' quali quei vapori erano mandati fuori. Dicono anco, che Diana nacque prima, perche di notte assotigliati già i vapori, prima apparvero i raggi della Luna. Che poi ella fece l'ufficio della comare nel nascimento del fratello, credo ciò esser detto percioche, si come le comari sono solite raccorre i figliuoli nascenti, cosi la Luna essendosi levata poco prima innanzi il Sole parve, che con le corna sparse raccogliesse il Sol nascente. È stato poi finto, che Apollo con le saette amazzasse Fitone, percioche, mostrando i solari raggi, tutti quei vapori della terra si dissolsero. Che anco Apollo incominciasse dar oracoli egli s'è pigliato da quello che successe poi, cioè, che in quell'isola (non so per illusione di cui) un Demonio sotto il titolo d'Apollo incominciò, & lungamente diede risposte delle cose ricercate. I villani poi cangiati in Rane è stato detto perche, come scrive Filocore, già i Rodiani fecero guerra contra i Licij, in aiuto de' quali Rodiani vennero quei di Delo, i quali essendo andati per acqua ad un certo lago de' Licij, i villani habitatori di quel luogo gli vietarono l'acqua, onde quelli di Delo facendo empito contra loro gli amazzarono tutti, & gittarono i loro corpi nell'acque. Finalmente in processo di tempo essendo venuti i montanari Licij al laco, nè ritrovando i corpi degli amazzati villani, sentendo le rane in quel circuito gridare, rozzi & inconsapevoli stimarono quelle rane essere l'alme degli amazzati; & cosi mentre riferirono ciò agli altri diedero materia alla favola.

 

Asterie figliuola di Ceo, & madre d'Ercole.

Come piace a Theodontio, Asterie fu figliuola di Ceo di Titano. Costei (secondo Fulgentio) doppo la vergognata Latona fu amata da Giove, dal quale cangiato in Aquila fu impregnata, & di lui partorì Hercole. La quale finalmente (sì come piace ad alcuni) congiurata contra Giove, & fuggendo l'ira di quello, per compassione degli Dei fu cangiata in una Coturnice, che in Greco si dice Ortigia, & diede nome all'isola nella cui s'era fuggita, dove da Giove fu tramutata in sasso & sommersa nell'onde, & da quelle quà & là cacciata; appresso il cui per la raccolta Latona fermossi. Di questa favola può esser tale la ragione. Dice Theodontio che, vinto & morto da Giove Ceo, il quale per la vergogna Latona contra lui s'era mosso, quello esser venuto dell'isola Cea, & ivi essersi congiunto con la donzella Asterie figliuola di Ceo. Finalmente essendosi ella contra lui congiurata, prima a guisa d'uccello se ne volò in Ortigia, indi passò in Colcho & si maritò nel Sole ch'ivi regnava, & di lui partorì Oeta, dal quale fu poi morta. Overo (come dice Barlaam) mancò nel parto d'Oeta. Per le quai cose s'è finto Giove in forma d'Aquila seco haver giacciuto, perche l'Aquila era l'insegna di Giove mentre guerreggiava; & perche per guerra prese Cea, fu finto, che in forma d'Aquila giacesse con Asterie. Che poi Asterie si cangiasse in Coturnice, dissero ciò ò per la sua veloce fuga, essendo loro proprio il volar con furia, ò per il loro lungo passaggio di mare, essendo a loro commune in certo tempo dell'anno passar il mare. Che anco si sia conversa in sasso, ciò a lei non s'appartiene, ma all'isola dove prima fuggì, la quale è detta Ortigia, & Latinamente Coturnice; la quale perciò si dice tramutata in sasso per disegnare la nuova sua fermezza. Dicono l'Ortigia esser avezza ondeggiare insieme con l'onde, il che è finto per esser solita per lo troppo & spesso tremare dei terremoti vacillare; la quale finalmente vogliono, che si sia ferma, cioè libera dal tremore, percioche fu risposto per oracolo d'Apollo in quella non deversi sepellire i corpi Dei morti, & appresso doversi ivi celebrare alcuni sacrifici; i quali dirittamente essequiti, cessò il disturbo dei terremoti, & cosi divenne pietra, cioè stabile. Istimo io che, empiute le caverne dove l'Aere rinchiuso cagionava i terremoti, ciò essere avenuto; & cosi loro per quella risposta di Demone essersi ingannati. Alcuni v'aggiungono, dicendo ch'all'istessa Ortigia si congiunsero & unirono Micone & Hiaro isole; il che non si deve intendere cosi semplicemente, anzi, che da quelle isole ivi vicine (essendosi stabilita Ortigia) vi vennero habitatori, & unitamente (havendola abbandonata) ritornarono ad habitare.

 

Tifone overo Tifeo quarto figliuolo di Titano, che generò Aeo & Chimera.

Per confermatione di Theodontio, Tifone overo Tifeo fu figliuolo di Titano et della Terra, benche Lattantio dica, che fosse generato da Tartaro & dalla Terra. Appresso, l'istesso Lattantio dice che costui sfidò a battaglia sopra del Reame di Giove, là onde Giove sdegnato con un folgore il percosse, & per abbassare la sua superbia messe sopra il suo corpo la Tinacria; il che anco dimostra Ovidio, dicendo;

 


Tinacria la grand'Isola fu posta

Sopra le fiere membra del Gigante.


 

Et cosi va continuando per spatio di dieci versi. Ma Virgilio dice, che non Etna, ma Inarine gli fu posto sopra, il qual monte è vicino all'Isola di Baie, che hoggidì si chiama Ischia, non lontano dall'Isola di Prochita; & cosi dice:

 


Alhor l'alta Prochita forte trema,

Et Inarime divenuta letto


Per lo voler di Giove al gran Tifeo.

 

Il che pare, che anco habbia voluto Lucano, mentre dice:

 


Freme la cima del gran monte, dove

N'escono sassi; & Inarime sotto


L'eterna mole tien Tifeo nascosto.

 

Oltre di ciò Pomponio Mela nel suo libro di Cosmografia, & dopo lui Solino nel libro delle cose maravigliose dicono, che costui hebbe una notabile spelonca in Sicilia non lontano da Corico Castello. Percioche dicono nel monte esservi un profondissimo antro ombroso, per ispatio di due mille & cinquecento miglia di boschi, & molto dilettevole per lo tintinire de' correnti ruscelli. Indi doppo cosi lunga discesa si scopre un'altra spelonca, la quale nell'incontro già oscura, ha un tempio consacrato a Giove. Poi nell'ultimo dell'andito gli habitatori affermarono esservi il letto di Tifone. Queste cose di Tifeo nascoste sotto corteccia hora sono da dichiarare. Dissero adunque questo Tifeo essere stato figliuolo di Titano rispetto al di lui spirito elevato, & della Terra per la potenza, dicendo Theodontio lui antichissimo Re di Sicilia, essere stato & haver in guerra vinto il fratello Osiri, & a brano a brano stracciatolo. Indi contra il primo Giove haver mosso guerra, ma da lui essere stato superato, & morto. Nondimeno alle fittioni a' quali questa historia assai dimostra haver dato materia, sarà questa dichiaratione. Si vede tra queste cose quelli c'hanno finto, assai convenevolmente, ma tuttavia di nascosto, dimostrare la cagione dei terremotti. Percioche Papia dice Tifone overo Tifeo significare gittante fiamme, accioche per questo assai possiamo vedere quelli haver voluto dimostrare lui eshalare, et mandar fuori nelle viscere della Terra il fuoco ristretto, in quanto, che dicono da Giove, cioè dalla natura delle cose, esserli stato posto monti di sopra. In quanto poi dicono, che Tifeo si sforza ridrizzare, dimostrano la cagione dei terremoti è la Terra per lo piu piena di caverne; nelle quali alle volte è necessario, che l'aere vi sia rinchiuso; & ivi tallhora aviene anco, che l'acqua per le sotterranee cave vi penetri, per ciascun movimento della cui bisogna che medemamente l'aere si muova: il quale per lo suo moto, et da i contrasti quà & là percosso, & in piu fiero movimento eccitato, si riscalda. Infiammato adunque, il movimento suo diviene di tanto potere, che percuote tutte le cose, che li sono d'intorno & le fa movere, onde se in tal luogo la terra vicina è sulfurea & cenerosa è necessario, che subito s'infiammi, nè mai s'ammorza fino attanto, che tal materia duri; & il fuoco non potendo esser tenuto rinchiuso & ardendo molto, cresca, nè di tanto aere sia capace il luogo, non solamente si fa un strepito grande della terra vicina, ma etiandio è sforzata aprirsi & dar l'uscita all'infiammato fuoco, il quale esshalando fa il luogo Tifeo, cioè gittante fiamme. Et essendo la Sicilia & Inarime di tal natura, però i saggi finsero essere sopraposte a Tifeo.

 

Aeo figliuolo di Tifone.

Isidoro dove tratta delle Ethimologie scrive Aeo essere stato figliuolo di Tifone, & il tuo Pafo, ò inclito Re, antichissima città di Cipro haver edificato; la quale di sopra dissi essere stata opra di Pafo figliuolo di Pigmaleone, & dal suo nome chiamata. Il che se sia vero ò nò non ne ho certezza.

 

Chimera figliuola di Tifone.

Dice Papia Chimera essere stata figliuola di Tifeo & Chedria: con qual ragione ciò sia detto nol so, eccetto perche anco costei gitta fuochi. Nondimeno alcuni descriveno costei per un mostro. Ovidio cosi dice di lei;

 


In mezzo de le parti sopra il collo

Ha la Chimera il foco, il petto, e il volto,


Di Leonza, & la coda ha di serpente.

 

Virgilio poi cosi dice di lei;

 


Horrido mostro, & d'altri stridi pieno;

Et armata di fiamme è la Chimera.


 

Altri dicono lei haver havuto il capo di foco, il petto di Leone, il ventre di Capra, i piedi di Serpente; & molto dannosa ai Licij, ma finalmente essere stata vinta & morta da Bellorofonte. Il cui nascosto sentimento Fulgentio cerca aprire con grandissima copia di parole, & al mio giudicio poco convenevoli, contenendo piu tosto in se un significato d'Historia, che altro, percioche Chimera è un monte di Licia, che nella cima arde, si come fa anco l'Etna, del cui già scendendo piu al basso si solevano nodrire Leoni; conseguentemente è fertile di Capre, & a' piedi era ripiena di Serpenti, il quale purgato da Bellorofonte, famosissimo huomo delle cose nocive, fu fatto habitabile.

 

Enchelado quinto figliuolo di Titano.

Vuole Paolo Enchelado essere stato figlio di Titano & della Terra, benche Virgilio voglia, che solamente sia della Terra, dove dice:

 


Quella, la Terra mossa ad ira, e sdegno

Partorì (come dicono) sorella


Ultima a Ceo, e Enchelado giganti.

Fu questo huomo di gran potere & crudele, come afferma Theodontio. Dice Virgilio in questo modo costui essere stato percosso da una saetta, & sotto il monte Etna sepolto.

 


Si dice, che d'Enchelado il gran corpo

Da folgore percosso, è tormentato

Da questa mole, & il grand'Etna sopra

Posto è di lui, che da caverne fesse

Gitta ogn'hor fiamme, & ogni volta, ch'elli

Vuol cangiar lato, per rumor si trema

Tutta Tinacria, indi si cuopre il Cielo

Per fumo, & per caligine profonda.


 

Il quale io direi, che fosse una cosa istessa con Tifeo, se Horatio nelle Ode non dimostrasse quelli essere differenti, mentre dice;

 


Ma, che Tifeo, con il Minia forte,

O, che Porfirion con il fiero stato

O che Retheo con i cavati tronchi,

O Enchelado l'ardito, & fiero arciere.


 

Che dirò adunque essendo diversi? si come con fisica ragione habbiamo detto Tifeo disegnare il sotterraneo foco, dal foco elemento per la saetta tirata da Giove & dal movimento dell'aere sotterraneo cagionato & uscito fuori fino all'esteriora, cosi con morale dimostratione diremo questo disegnare l'huomo superbo, di cui è proprio, a guisa del foco, con pazzo inalzarsi sempre tendere a cose grandi, mandar fuori parole infiammate, & col suo furore consumare il tutto; il quale tante volte è aggravato dall'Etna quante dalla potenza della giustitia divina è cacciato & vinto, & si sommette essere calcato dai piedi degli humili. Oltre di ciò, se questi tali non sono oppressi da altro peso, caricati solamente dalla sua rabbia, sono abbattuti, mentre meno (volendo Iddio) da loro sono ottenuti i suoi desideri.

 

Egeone sesto figliuolo di Titano.

Se prestiamo fede all'antichità, Egeone fu figliuolo della Terra & di Titano, con quella ragione, che sono stati gli altri. Servio vuole, che costui sia un istesso con Briareo, percioche è cognominato da cento mani; ma a questa opinione Paolo è contrario, dicendo Egeone essere stato un crudelissimo & fiero Corsaro, & cosi chiamato dall'isola Egea, da gli habitanti abbandonata: a quale è posta nel mare Egeo: dove egli à guisa di Corsari faceva ressidenza; à quali non lece per li loro ladronezzi habitare nelle Cittadi. Et Theodontio aggiunge, che da costui & non dall'isola Ege hebbe nome il mare Egeo, conciosia, che al tempo suo alcuno non haveva ardire entrare in quel mare, eccetto quanto a lui piaceva. Oltre ciò dicono le antiche favole costui essere rilegato da Giove con cento catene. Appresso di lui dice Ovidio;

 


Et con le braccia sua de le balene

Opprime nel Egeo gli homeri fieri.


 

Accioche per ciò si possa comprendere lui essere stato potentissimo, mentre con tante catene sono legate le sue forze; & continua essere stato il suo pensiero nel mare & ne navigli, dove era sovrastante. Costui è anco detto da cento mani, perche havea cento huomini in navi, che al remo il servivano, si come veggiamo essere bisogno nelle navi lunghe.

 

Aurora settima figliuola di Titano.

Fa fede Paolo l'Aurora essere stata figliuola di Titano & della Terra; la quale se vogliamo istimar donna, percioche Ovidio dice, che fu moglie di Titano fratello di Laumedonte, possiamo istimare, che fosse qualche femina di gran potere & maravigliosa bellezza. Ma io istimo i Poeti haver inteso di quella, che tutti chiamiamo Alba, cioè quel splendor mattutino per lo quale veggiamo inanzi, che si levi il Sole il Cielo biancheggiare; la quale però dicono figliuola di Titano non perche la tengano nata di Titano, ma del Sole, il quale spessissime volte dal nome del avo chiamano Titano; percioche dal Sole, si come è stato detto, procede quella chiarezza del Cielo, che noi diciamo Aurora. È poi detta figlia della Terra perche, avanzando l'orizonte d'Oriente, pare ai riguardanti ch'esca dalla terra.

 

Giapeto ottavo figliuolo di Titano, che generò Hespero, Atlante, Epimetheo & Prometheo.

Giapeto hebbe per padre Titano & madre la Terra, secondo, che afferma Theodontio, il quale dice lui al suo tempo in Thessaglia essere stato grand'huomo & potente, ma di scelerato ingegno; da noi piu tosto conosciuto per lo splendore dei figliuoli, che per virtù sua. Di costui dice Varrone, dove tratta dell'origine della Lingua Latina, essere stata moglie la Ninfa Asia, dalla cui hebbe nome l'Asia: il che della grandezza di costei è non picciolo argomento; dalla cui alcuni vogliono ch'egli havesse Hespero, Atlante, & Promotheo.

 

Hespero figliuolo di Giapeto, che generò le tre Hesperide.

Hespero, secondo Theodontio, fu figliuolo d'Asia & Giapeto, & nel principio da loro fu chiamato Filote. Ma il giovanetto essendo andato insieme col fratello Atlante nell'ultima Mauritania, & havendo sottoposto a lui i Saracini, che habitano il lito Oceano oltre il promontorio Ampelusia & le altre isole contigue a quel lito; da' Greci fu detto Hespero; conciosia, che dal nome dell'Hespero occidentale chiamano tutto il paese d'Oriente Hesperia; &  cosi da quel paese al quale era passato dai suoi perpetuamente hebbe il nome. Di costui nondimeno non si ha cosa piu oltre, eccetto c'hebbe tre figliuole, Rapina, Herculea, & Chiara.

 

Egle, Heretusa et Hesperetusa, figliuole d'Hespero.

Le Hesperide, si come suona il suo nome del padre, furono figlie d'Hespero, benche alcuno vi sia, che dica d'Atlante. Queste furono tre per numero, cioè Egle, Heretusa & Hesperetusa; delle quali si narra c'havevano un giardino in cui nascevano mele d'oro, & in loro guardia v'havevano posto un serpente, che sempre vegghiava. Del cui giardino pervenuta la fama all'orecchie d'Euristeo, egli mosso dal disio dei pomi vi mandò Hercole a torli; il quale, venendovi adormentato overo morto il Serpente, entrò in quello & tolse i pomi, portandoli ad Euristeo. Della qual fittione aprire il segreto non sarà cosa difficile. Furono veramente (sì come piace a Pomponio) alcune isole, nell'Oceano Occidentale, che dirimpetto haveano un lito deserto subito tra gli Hesperi Ethiopi & i popoli Atlanti, le quali isole furono possedute dalle donzelle Hesperide, & erano abondantissime di pecore; la cui lana a guisa dell'oro era pretiosissima, &t cosi l'Isolane Hesperie, ch'erano paschi di tali pecore, furono il giardino delle Hesperide, & le pecore i pomi d'oro. Percioche le pecore da Greci sono dette male, over mala, che significano mele ò vogliamo pomi, secondo, che testimonia Varrone nel libro dell'Agricoltura. Lo svegliato serpente erano gli Euripi, i quali tra l'isole per l'ondeggiar dell'Oceano giorno & notte senza intervallo circondavano l'isole con maravigliosa fortuna, nè lasciavano, che si potesse passare all'Isole; alle quali Hercole, aspettato il tempo, passando, tolti i pomi d'oro, cioè menate via le pecore, ritornò in Grecia. Ma Fulgentio, secondo il suo costume, dall'abisso si sforza alzar in Cielo l'intelligenza; la cui spositione, perche io tengo, che non sia stata secondo l'opinione de' fingenti, ho lasciato. Nondimeno sono di quelli, che vogliano questo Hercole essere stato Perseo, & le Hesperide le Gorgone; ma essi ricerchino meglio.

 

Atlante nono figliuolo di Titano, che generò Hia & le sette Hiadi; i cui nomi sono Endora, Ambrosia, Piridile, Croni, PHito, Polisso & Thiene. Et appresso generò le Pliadi, dei quali i nomi sono Elettra, Maia, Sterope, Celeno, Taigeta, Alcione, Merope; & generò Calipsone Ninfa.

Come dice Lattantio, Altante fu figliuolo di Giapeto & Climene. Ma Theodontio vuole, che fosse di Giapeto & d'Asia. Plinio poi dove tratta della Naturale Historia dice, che la madre di costui fu Libia. Tuttavia questi non paiono una cosa istessa, essendo detti essere tre. Il primo de' quali si tiene di Arcadia; l'altro prima fu Thessalo, poi Mauro; il terzo, quello, che col fratello Hespero passò in Mauritania. Oltre ciò vi è Atlante Italiano, il quale, si come si dice, anticamente fu signor di Fiesole; del quale non trovando l'origine non l'ho posto. Onde di quale di questi siano quelle cose, che si trovano scritte non v'è certezza, come, che alle volte per conietture egli si possa capire. Scriverò adunque d'un solo, come se d'un solo fossero tutti fatti. Fu adunque Atlante (come è stato detto) figliuolo di Giapeto & di Climene, overo di Asia ò di Libia; del quale si recita tal favola. Che essendo andato Perseo figliuolo di Giove per commandamento del Re Polidoro (piace a Lattantio) ad amazzare la Gorgone, & havendola vinta & tagliatole il capo, & tornando vittorioso, gli avenne d'allogiare con Atlante; il quale, dall'Oracolo essendo stato avisato, che si guardasse dai figliuoli di Giove, che da uno di loro sarebbe privo del Reame, intendendo costui essere figliuolo di Giove, nol volse albergare. La onde sdegnato Perseo, scoperto il capo di Gorgone, il trasmutò in un monte di suo nome, & il condannò, che in eterno con gli homeri sostenesse il Cielo. Il che fu fatto. Sotto questa fittione adunque gli stati innanzi à noi volsero esservi nascosta una historia, dicendo Fulgentio che, vinta Medusa ricchissima Reina; Perseo con le genti & thesori di Medusa assalì il Reame d'Atlante, & il constrinse fuggire nei monti, & cosi colui, che dal Palazzo reale se ne fuggì ne i monti diede materia alla favola, onde si dicesse, che fosse converso in monte per opra di colei dalle cui ricchezze in quei monti era stato cacciato. Percioche nei monti & nei luoghi selvaggi, vie più, che nelle Cittadi vi sono cose aspre & dure, & di qui si prende materia, che secondo la conversatione del paese siano anco gli huomini, che vi habitano, i quali di que' costumi apprendendone sono intieramente huomini ò fiere, ò come cose insensibili; perche la creatura rationale in altro non si può conoscere differente dalla irrationale, che per la cognitione del mondo. Che sostentasse con gli homeri il Cielo, fu per altra cagione; percioche Agostino nel libro de la Città di Dio afferma costui essere stato un grandissimo Astrologo; e Rabano dice, che fu il primo, che trovò l'arte d'Astrologia. Il che penso essere tolto da Plinio, perche egli nel libro dell'historia naturale dice costui essere stato inventore della Astrologia; & di qui per li sudori da lui patiti in tal arte è stato detto con gli homeri sostentare il Cielo, perche vedesse tanto inalzarsi la cima del monte, che sopra quello paia chinarsi il Cielo. Oltre di ciò dissero gli antichi, che costui hebbe molte figliuole, le quali istimo essere nate di diversi Atlanti & a questo solo attibuite, si come nella loro particolar descrittione piu chiaramente vedrassi.

 

Hia figliuolo d'Atlante.

Per dir di Etra, principiamo da un solo del miglior sesso; Hia fu figliuolo d'Atlante, & si come piace ad Ovidio;

 


Non anco Atlante il peso havea del Cielo;

Quando fu nato il bel da veder Hia;

Ethra costui de' l'Oceano stirpe

A tempo partorì con l'altre Ninfe;


Ma Hia fu il primo, che di tutte nacque.

 

Questo giovane fu cacciatore, & cacciando da una Leonza fu morto, come esso Ovidio dimostra dicendo;

 

Mentre, che giovanetto ei segue i Cervi,

 

Et cosi va continuando per otto versi nel libro de Fastis.

 

Le Hiadi, sette figliuole d'Atlante.

Sette sorelle furono le Hiadi, & figliuole di Atlante & di Ethna; delle quali questi furono i nomi, Endora, Ambrosia, Prodile, Croni, Fito, Polisso & Thiene; de quali tutte insieme è stato necessario scrivere, non si leggendo di loro in particolare alcuna cosa di queste. Adunque cosi scrive Ovidio;

 


Et l'oscuro imbrunir farà la notte,

Che parte alcuna de la schiera tutta

De l'Hiadi non starà nascosta punto;

Il cui volto con sette ardenti fiamme

Splende qual Toro; & queste il buon nocchiero

Da la città per nome Hiade le chiama;

Parte istima, che Baccho habbia nudrito,

Parte ha creduto queste esser nipoti

Di Theti, & altri del gran vecchio Oceano.


 

Per questi versi possiamo conoscere quelle (si come di sopra havea detto l'istesso Ovidio) per la pietà del morto fratello essere state raccolte in Cielo, & nel fronte del Tauro locate. Nondimeno nella fine dei versi pare, che Ovidio creda parte di queste essere state figliuole d'Hia; ma Theodontio conferma tutte essere state d'Atlante. Dice Anselmo nel libro dell'Imagine del Mondo queste esser dette Succule. Ma hora veggiamo quello, che vogliano significar queste cose. Et prima io istimo essere in questo modo accaduto la loro assuntione in Cielo, percioche di numero si convenivano con le Stelle poste nella fronte del Tauro, onde ciò è stato pigliato da quelli, che sapevano il numero delle figliuole d'Atlante; favolosamente quelle Stelle dai nomi delle donzelle essere nomati, & continuando, di maniera s'è congiunto con le stelle, che fino al dì d'hoggi dura. Overo, che è piu verissimile, le figliuole d'Atlante per la convenevolezza del numero col nome delle stelle essere dimandate, & a questa favola haver dato materia. Percioche credo io quelle stelle essere dimandate Hiadi dal loro effetto con lunga consideratione inteso, percioche Hias in greco significa pioggia, il che a loro per nome è stato dato: conciosia che, incominciando ad apparire, le pioggie dell'Autunno incominciano & tuttavia vanno continuando per lo più: di che da tale effetto egli s'è dato nome alle Hiadi. Questo a me è paruto annotare, percioche molti significati, proprietadi si ponno attribuire a tutte le fintioni, de' quali alcuna non v'è, che senza mistero non sia scritta; ma il giudicio del Lettore è quello, che poi alla più propria secondo il suo sentimento s'appiglia. D'intorno ciò potrei anco addurvi molte altre openioni, le quali taccio per non apportar meco piu noia, che utile & diletto. Sono poi dette Succule, quasi piene di succo, cioè di humidità & pioggie. Che nodrissero anco Bacco, istimo esser detto, che con l'humidità sua, overo del segno nel quale sono, stando il Sole in Virgo, nella Notte diano molto vigore alle vigne il giorno arse dal Sole.

 

Elettra figliuola d'Atlante & madre di Dardano.

Elettra fu figliuola d'Atlante & Pleione, & si come io tengo d'Atlante Thoscano; percioche alcuni vogliono ella essere stata moglie d'un Re di Corinto, che molti istimano essere stato Tosco; & se non fu Tosco, fu almeno Arcade, percioche al suo congiungimento Giove non sarebbe andato in Mauritania. Vogliono, che costei impregnata da Giove, di lui partorisse Dardano Autor di Troia, & dal marito Iasio. Oltre di ciò costei con sei sorelle dalla madre Pleione, furono dette Pleiadi; & perche nudrirono Giove, overo il padre Libero, meritarono il Cielo, & cangiate in stelle furono locate nel ginocchio del Tauro, & dai latini chiamate Virgilie. Delle quali tutte cosi scrive Ovidio;

 


Le Pleiadi incominciano ad aprire

Gli homeri paterni; le quai sette

Son dette, & nondimen soglion esser sei.

Overo, perche sei furon congiunte,

Et oppresse dai Dei; percioche a Marte

(Dicono), che Sterope si congiunse;

A Nettuno Alcione; & poi la bella

Celeno, Elethra, Thaigeta, & Maia

A Giove, ma la settima Merope

A te mortal Sisifo maritossi.

 Ciò le rincresce, & sola stà nascosta

Per vergogna del fallo; ò perche Elettra

Non sopportò veder inanzi gli occhi

Le ruine di Troia, e i pose mano., &c.


 

Ma gli Astrologi dicano una di queste essere nuvolosa, nè poter vedersi. Nondimeno per ispedire i figmenti con poche parole, di queste diremo quanto si può dire al nome & al salire in Cielo, l'istesso, che è stato detto delle Hiadi. Benche Anselmo voglia queste Pleiadi non dalla madre, ma dal numero più essere nomate, dicendo, che Plion in Greco, Latinamente significa pluralità, sono dette Vergilie, perche si mostrano insieme col Sole, cioè quando entra in Tauro, perche allhora i virgulti crescono. Sono dette poi haver nodrito Giove percioche alcuni si sono imaginati l'elemento del foco esser nodrito dall'humidità terreste, la qual humidità cagionano le pioggie. Del padre Libero, poi, è l'istesso come di sopra delle Hiadi.

 

Maia figliuola d'Atlante & madre di Mercurio.

Maia fu figliuola d'Atlante, come dice Virgilio;

 


Havete inteso, se crediamo punto;

Ch'Atlante; io dico quell'istesso Atlante,


Che il Ciel sostiene fu di Maia padre.

 

Io credo ch'ella fosse figliuola d'Atlante d'Arcadia; & Cingio dice, che fu maritata in Vulcano, usando l'argomento, come dice Macrobio ne i Saturnali, che il flame di Vulcano, celebrato nelle calende di Maggio, a questa Dea fa il sacrificio. Ma Pisone chiama la moglie di Vulcano Maiesta, & non Maia. Questo nondimeno affermano tutti, che giacque con Giove & di lui partorì Mercurio. Appresso dicono, che Giunone amò costei grandissimamente tra tutte le concubine di Giove, & Martiano afferma ch'ella le lattò il figliuolo Mercurio, & di questa benevolenza ne rendono la ragione percioche, levandosi ella, la Primavera, & la State vengono, per le quali l'aere divenuto piu bello pare, che rallegri ogn'uno. Ma perche non sia l'istesso di Celeno, Elethra & dell'altre, che egualmente si levano con Maia, si può render tal cagione; percioche per Maia gli antichi intesero la terra, nella quale sono le ricchezze & i reami à quali sovrasta essa Giunone. Questa Maia appresso Romani fu tenuta in grandissima riverenza. A lei veramente, come dice Macrobio, nel mese di Maggio, (percioche tenevano, che fosse da lei cosi nomato, si come scrive Ovidio nel libro de' Fastis,) i Mercanti insieme col figliuolo Mercurio sacrificavano. Et perche, si come pare ch'affermi Cornelio Labeone, istimavano la terra, che havesse tolto il nome di Maia dalla magnitudine, cioè grandezza, le amazzavano una porca pregna; la qual vittima dicevano essere favorevole alla terra, & ciò istimo per la fecondità. Oltre ciò dice l'istessà Labeone, che à questa Maia, cioè alla terra, à Calende di Maggio fu edificata una chiesa sotto il titolo di buona Dea, & dice, che si dimostra ne i libri de' Pontefici essere una cosa istessa Buona Dea, Terra, Buona, Fauna, Opi, & Fatua. Le ragioni poi sono poste di sopra, dove habbiamo scritto della Terra.

 

Sterope figliuola d'Atlante.

Fu ancho Sterope figliuola d'Atlante & Pleione; la quale Ovidio dice essere stata amata da Marte, & di lui haver partorito Parthaone, che fu Re di Calidonia, dirimpetto quasi all'Arcadia.

 

Cilleno figliuola d'Atlante.

Di Atlante & Pleione medesimamente fu figlia Cilleno. Costei vitiata da Giove partorì Mercurio, ma differente dal primiero; il quale fu cognominato Cillenio dalla madre, overo dal Monte d'Arcadia nel cui forse nacque.

 

Taigeta figliuola d'Atlante.

Vogliono, che il Padre di Taigeta fosse Atlante & la madre Plieone, & dicono ch'ella piacque à Giove & venne ne' suoi abbracciamenti, & di lui partorì Lacedemone; il quale altri dissero figliuolo di Taigeta figliuola di Agenore, & alcuni vollero, che nascesse di Semele.

 

Alcione figliuola d'Atlante.

Alcinoe nacque d'Atlante & Pleione, & a Nettuno piacque, del quale vogliono, che partorisse Alcinoe moglie di Ceo Re di Trachinna.

 

Merope figliuola d'Atlante.

Hebbe Pleione & Atlante per figliuola Merope, la quale si maritò in Sisifo Re di Corinthi, si come testimonia Ovidio; & si crede, che di lui partorisse Laerte padre d'Ulisse, & Glauco & Creonte.

 

Calipsone figliuola d'Atlante.

La Ninfa Calipso, come dice Prisciano nel maggior volume, fu figliuola d'Atlante, ma di qual madre nol dice. Il che anco prima di Prisciano dimostra Homero nell'Odissea, dicendo;

 

Dove d'Atlante la figlia Calipso.

 

Ma di qual Atlante, egli non si sa. Da costei giunse Ulisse rotto dal mare, si come testimonia Homero; & per ispatio di sette anni fu da lei ritardato. Questa signoreggiò una certa Isola chiamata Ogigia, overo da sé detta Calipso.

 

Epimetheo figliuolo di Giapeto, che generò Pirrha.

Epimetheo fu figliuolo di Giapeto & della moglie Asia, si come dice Leontio. Costui, d'acuto ingegno fu il primo, che finse una statoua di huomo di fango; là onde Theodontio dice, che Giove si sdegnò & il cangiò in Simia, confinandolo nelle Pitaguse. Del qual figmento la dichiaratione è tale. Sono le Simie animali, che tra le altre cose hanno havuto ciò dalla natura, che, veggendo alcuno, che faccia alcuna cosa, anco elle la vogliano fare, & alle volte la facciano. Cosi è paruto, che Epimetheo a guisa della Natura volesse fare un'huomo, & cosi imitando la natura della Bertuccia fu detto Simia. Dissero poi, che transformato in Bertuccia fu confinato nell'isole Pitaguse; perche già tempo quelle erano abondevoli di tali animali, overo forse d'huomini ingegnosi & nelle sue opre imitanti la Natura.

 

Pirrha figliuola d'Epimetheo & moglie di Deucalione.

Pirrha fu figliuola d'Epimetheo & moglie de' Deucalione, si come piace ad Ovidio, che di lei cosi scrive;

 


Deucalion con gli occhi lagrimosi

In questo modo parlò verso Pirrha;

O sorella, ò mogliere, ò donna sola

Sopra restata a tutti; che il commune,

Genere à me, e l'origine del zio,

Et indi il letto pur congiunse; & hora


Ci coniungono insieme anco gli affanni.

 

Costei, essendo tra tutte le donne pietosissima, insieme col marito Deucalione sopportò il Diluvio, & di lui partorì quattro figliuoli.

 

Prometheo figliuolo di Giapeto, che fece Pandora & generò Isis & Deucalione.

Secondo Varrone nell'Origine della lingua Latina, & molti altri, Prometheo fu figliuolo di Giapeto & di Asia Ninfa. Dice Ovidio, che costui fu tra tutti il primo, che formasse l'huomo di terra, cosi scrivendo;

 


O, che la fresca terra, che di poco

Era discesa già da l'alto Cielo

Del Ciel parente riteneva i semi;

La qual giungendo il figlio di Giapeto

Con onde fiuminali; fece in forma

Et in effigie humana qual Iddio.


 

Ma Horatio aggiungendoli un non so che, dice nelle Ode;

 


Si dice, che Prometheo fu cagione

Al prencipe col fango aggiunger parte

Di fierezza crudel di fier leone,

Et violenza locar nel petto nostro.


 

Ma Claudiano nel Panagerico Quarto del Consolato tra tutti descrive piu ampiamente questa fabrica, dicendo;


Puon mente, che nel tempo, che ciascuno.

Nel mondo a se faceva i propri membri;


Et cosi và seguendo per ispatio di ventisei versi. Nondimeno a queste cose Servio & Fulgentio v'aggiungono una favola. Dicono che, havendo Prometheo di fango formato un'huomo senza spirito, Minerva si diede maraviglia di cosi eccellente opra, onde a lui promesse ciò ch'egli volesse tra tutti i beni celesti per dar compimento alla sua opra: il quale rispondendo, che non sapeva, che dimandarle se non voleva quelle cose, che appresso gli Dei fossero utili, di che da lei fu inalzato in Cielo, dove veggendo tutte le cose celesti animate con fiamme (per infondere anco all'opra sua la fiamma), segretamente porse vicino alle ruote di Febo una verga, & havendola accesa & rubato il foco il riportò in Terra, aggiungendolo al petto del finto huomo; & cosi il fece animato, & chiamollo Pandora. La onde i Dei mossi ad ira fecero, che Mercurio il legò al Caucaso, & diedero all'avoltoio, overo all'Aquila, il suo core da essere in eterno divorato. Il cui lamento nella rupe con assai lunghi versi descrive Eschilo Pitagora Poeta, affermando il core a lui dal rostro dell'Aquila essere stracciato, & poi reintegrato & cosi di novo divorato, & riffatto senza mai interporvi tempo. A gli huomini poi (come dice Safo, & Esido) per ciò gli Dei mandarono l'infermità, la tristezza & le donne. Ma Oratio dice solamente la pallidezza & la febre, si come dimostra nell'Ode.

 


L'audace progenie di Giapeto

Con frode iniqua portò in Terra il foco,

Et doppo il foco, che dal Ciel discese,

Scese tra noi la schiera, & compagnia


Di pallidezza, & de la febre acuta.

 

Di queste fintioni, Serenissimo Re, non sarà leggier cosa levare la corteccia. Molte lunghe parole fanno bisogno a questo tal senso, le quale, s'io non le scrivo, ma voglio ridurre in poco, sarà bisogno essere molto aveduto. Le troncherò adunque meglio ch'io potrò, & come piacerà a Iddio. Onde inanzi il tutto penso essere da vedere chi fosse questo Prometheo, il quale è doppio, si come è doppio l'huomo, che viene prodotto. Primo adunque è il vero & onnipotente Iddio, il quale fu il primo, che produsse l'huomo dal fango della terra, si come fingono, che facesse Prometheo, ò per natura delle cose; la quale a similitudine del primo produce anco gli altri di terra, ma con altra arte, che non fece Iddio. Il secondo è esso Prometheo, del cui, prima che scriviamo altra allegoria, secondo il semplice senso è da vedere chi egli si fosse. Dice Theodontio haver letto di questo Prometheo che, devendosi allui la successione del padre Giapeto, per essere il figliuolo maggior d'anni, essendo giovane & tratto dalla dolcezza degli studi lasciò quella al fratello Epimetheo, abbandonando due picciolini figliuoli, Deucalione & Iside, & se n'andò in Assiria; & poscia, che alquanto tempo hebbe udito alcuni famosi Chaldei di quell'età, se n'andò sulla cima del Monte Caucaso, dove per la lunga speculatione & esperienza havendo capito il corso delle stelle, procurato le nature dei folgori & le cagioni di molte cose, ritornò dagli Assiri & a quelli insegnò l'Astrologia, le procurationi de i folgori & i costumi degli huomini civili; da quali erano in tutto lontani, & tanto oprò, che quelli i quali da lui erano stati trovati rozzi & in tutto selvaggi, & viventi a guisa di fiere, come composti di novo gli lasciò huomini civili. Le quai cose cosi lasciate, è da vedere chi sia l'huomo prodotto, che di sopra ho detto essere doppio. Vi è l'huomo naturale & l'huomo civile, amendue nondimeno viventi con l'anima rationale, ma l'huomo naturale è creato primo da Iddio del fango della terra; del cui & Ovidio & Claudiano intendeno, benche non cosi religiosamente come fanno i Christiani; onde di fango Prometheo, cioè questo primo havendolo formato; soffiò in lui l'anima vivente, la quale io intendo la rationale, & con questa la sensitiva & vegetativa potentie overo secondo alcuni anime. Ma queste hebbero corporale natura, & se l'huomo non havesse peccato sarebbe stata eternalmente, si come la rationale, nella cui è la natura divina. È da credere, che costui fosse huomo perfetto circa tutti gli atti terreni, nè alcuno deve pensare egli haver havuto bisogno di alcuno Prometheo mortale per regolare le cose temporali; ma quelli, che sono dalla Natura prodotti vengono rozi & ignoranti, anzi se non sono ammaestrati diventano di fango, agresti, & bestie. D'intorno a' quali si leva il secondo Prometheo, cioè l'huomo dotto, & togliendo quelli come di sasso, quasi di novo gli cria, ammaestra & instruisce, & con le sue dimostrationi di huomini naturali gli fa con costumi civili, & per scienza & virtù famosi, di maniera, che chiaramente si vegga altri haverli prodotto la Natura, & altri haverli riformato la dottrina. Appresso dicono, che Minerva guardò con maraviglia l'opra di costui, & lo condusse in Cielo per darli tutto quello, che a lui fosse bisogno (se a proposito ve ne fosse) a compimento di tal opra; il che io penso deversi intendere in questo modo, cioè per Minerva l'huomo saggio, che si maraviglia dell'opra di natura, cioè dell'huomo prodotto di fango, & veggendolo imperfetto in quanto alla dottrina & ai costumi, desiderando animarlo, cioè farlo perfetto; con la guida della sapienza per la speculatione ascende in Cielo, dove vede il tutto animato di fuoco; accioche intendiamo, che nel Cielo, cioè nel luogo di perfettione, tutte le cose sono animate di fuoco, di chiarezza di verità. Cosi anco l'huomo perfetto non è offuscato da alcuna nebbia d'ignoranza, & col continuo pensiero habita ne Cieli. Indi costui dalla ruota del Sole ruba il fuoco & il porta in Terra, attaccandolo al petto dell'huomo di fango, che diventa vivo. Veramente ciò non è detto inconvenevolmente, percioche non nei theatri, nelle piazze, nè in publico apprendiamo il lume della verità, ma separati nelle sollitudini; & ricercato il silentio entriamo in consideratione, & con la continua speculatione ricerchiamo le nature delle cose; & perche queste tai cose si fanno secretamente, pare, che le rubiamo: & accioche appaia onde venga la sapienza nei mortali, dice, che viene dalla ruota del Sole, cioè dal grembo d'Iddio: dal cui deriva ogni sapere; percioche esso vero Iddio è il Sole ch'allumina ogni huomo, che viene in questo mondo. La quale eternità volsero figurare per la ruota, che non ha principio ne fine; & ciò apposero affine, che di esso vero Dio & non del Sole creato intendessimo essere detto. Finalmente infonde questa fiamma, cioè chiarezza di dottrina, nel petto dell'huomo fangoso, cioè ignorante; percioche se quello Iddio donatore dei doni a tutti infonde una buona & perfetta anima, la corporal macchina tinta da caligine terrena di maniera assottiglia le forze dell'anima, che per lo piu, se non sono aiutati, & svegliati, di sorte s'aviliscono, che piu tosto paiono animali bruti, che rationali. Con la dottrina adunque della sapienza ricevuta da Iddio, l'huomo prudente dà spirto, cioè sveglia l'anima addormentata dell'huomo di fango, cioè ignorante; il quale allhora si dice vivere, mentre di bruto diventa rationale, overo è divenuto. Compiuto poi l'huomo, dicono che i Dei si mossero ad ira, & fecero alcune cose, come sarebbe, che confinarono Prometheo in una rupe, mandarono la febre, la pallidezza, & la femina agli huomini. Il che d'intorno, in quanto al primo, egli è da avertire, che i Poeti, a usanza del vulgo, hanno qui impropriamente parlato. Perche il volgo ignorante istima, che Iddio sia corucciato contra ciascuno, che vedeno essere amalato, benche d'intorno ad opra lodevole si affatichi, come se niente altro, che ocio non sia conceduto dal pacificato Iddio. Perciò tennero Iddio essere corucciato con Prometheo, attento, che s'affaticasse con studio continuo per haver cognitione delle cose. Overo dissero, che gli Dei fossero mossi ad ira perche imposero cose affatichevoli agli huomini. Di questa ira, quale ella si fosse, si è detto di sopra dove s'è trattato della fama. Che poi facessero menare & ligare Prometheo da Mercurio al Caucaso, l'ordine si rivolge.

Percioche prima fu Prometheo nel Caucaso, che egli animasse l'huomo col rapito fuoco. Per l'avenire adunque vi fu guidato, & già per esso disio l'huomo prudente da Mercurio interprete degli Dei, cioè dall'ammaestramento d'alcuno espositore de i segreti di natura, fu cacciato nel Caucaso, cioè in una solitudine, benche secondo l'historia egli andasse nel Caucaso & ivi fosse in una rupe rilegato, cioè dalla propria volontà ritenuto. Dicono ch'un'Aquila gli straccia l'interiora, cioè essere tormentato dalle alte considerationi; le quali interiora divenute vuote per la lunga fatica delle speculationi, allhora si ristaurano quando per diverse intricate vie si ritrova la cercata verità di alcuna cosa. Et questo basta in quanto alle cose finte di Prometheo; il quale veramente i nostri maggiori affermano essere stato eccellentissimo dottore di sapienza. Perciò, che Agostino nel libro della Città di Dio, & dopo lui Rabano & Luone Carnetese, equalmente confessano lui essere stato in scienza famosissimo huomo. Oltre ciò Eusebio nel libro dei Tempi dice che, regnando Argo alli Argivi, fu Prometheo, il quale loro affermano & ricordano, che fece degli huomini; & veramente essendo egli saggio transfigurava la loro ferocità & soverchia rozezza in humanità & scienza. Dopo costui rende anco di lui testimonio Servio, dicendo, che fu huomo prudentissimo & dalla providenza nominato; & che fu il primo, che insegnò l'Astrologia alli Assiri, la quale con grandissima diligenza egli havea apparato facendo ressidenza sull'altissima cima del Caucaso. Appresso Lattantio dice nel libro delle Divine Institutioni, che costui fu il primo, che trovò l'inventione di formar le imagini di fango; il che forse diede principio alla favola in formar gli huomini di tutto. Cosi anco Plinio nel libro della naturale Historia vuole ch'ei fosse il primo, che insegnasse il fuoco tratto dalla pietra in una ferula serbarsi. Vollero appresso, che gl'irati Dei mandassero agli huomini la pallidezza, la febre, & le donne. Per la pallidezza io intendo le fattioni corporali per le quali siamo afflitti, & alle quai siamo nati per peccato di colui da cui è stato detto; Col sudore del tuo volto mangierai il tuo pane. Di qui adunque si fece la strada la pallidezza. Per le febri poi istimo haver voluto intendere gli ardori della concupiscenza, de' quali siamo crucciati & continuamente tentati. Ma la donna è stata creata per piacere; nondimeno per la sua disubidienza è fatto stimolo, nè veramente picciolo, se dirittamente vorremmo riguardare; il che piu tosto per dimostrare con altrui, che mie parole, piacemi annotare quello, che di loro tenga il mio famosissimo Precettore Francesco Petrarca in quello libro ch'egli ha scritto della vita solitaria. Dice egli in questo modo: Nessun veneno è cosi mortale ai viventi in questa vita, che il consortio della donna. Percioche la vaghezza della donna è tanto piu funesta & formidabile quanto è piu dilettevole & accarezzevole; & questo dico per tacere i suoi costumi, de' quali in tutto non è cosa piu instabile nè piu noiosa alla quiete dello studio. Sia, che tu voglia, che cerchi riposo, fuggi la femina, perpetuo ricetto di vitij, & fatiche & danni. Di rado sotto un istesso tetto habita la quiete & la donna. Egli è parola Satirica:

 


Sempre ha contrasti, liti, & villanie

Il letto, ù giace maritata donna,


Et poco in quello si riposa, ò dorme.

 

Se per caso non fosse piu tranquillo il congiungersi con la concubina, di cui & la fede è minore, & l'infamia maggiore, & il contrasto eguale. Egli è chiaro & palese il detto di quel famoso oratore. Chi non litiga con la moglie è casto. Doppo queste parole l'istesso poco da poi segue: Sia chi tu voglia;, se fuggi la lite fuggi anco la femina, che a pena l'una senza l'altra fuggirai, se bene sono benignissimi alla sua presenza i costumi della donna (il che è rado) per modo di parlare, io dirò, che questo è un'ombra nociva, della quale (s'io merito punto di fede) il volto & le parole da tutti, che cercano la solitaria pace non altrimenti sono da fuggire di quello, che sia non dirò un serpe, ma quale i conspetti & i sibili de basilischi; percioche non meno di quello, che faccia il basilisco con gli occhi & col sguardo amazza l'huomo. Queste cose scrive egli. Onde benche io m'habbia (se volessi) molte altre cose di piu & vere da dire, le voglio lasciare, perche il presente tempo no'l ricerca; & questo basterà haver detto d'intorno lo stimolo del genere humano.

 

Pandora huomo da Prometheo formato.

Dice Fulgentio, che colui fu nomato Pandora il quale primo Prometheo fabricò di fango, il che istimo essere stato detto da Fulgentio perche il significato di Pandora in Latino vuol dire manco d'ogni cosa; conciosia, che non per notitia d'una sola cosa forma il sapiente, ma di molte, & piu veramente di tutte. Ma tale è solo Iddio, il quale in tutte le cose è perfetto & di nessuna non manca cosa, che non mai a pieno s'è veduta nè vedrà in alcuno, perche a lui solo s'appartiene la perfettione, & è l'istesso perfetto, di che chi di noi non manca in una cosa, patisce diffetto in un'altra. Oltre ciò Pandora si potrebbe dire da Pan, che significa tutto, & doris, che vuol dire amarezza. Il che verrebbe ad essere Pandoro, cioè pieno d'ogni amarezza, percioche l'huomo in questa vita non può posseder cosa senza amaritudine; la qual cosa, che sia vera ò non, ciascuno si svegli & il vedrà. Onde Giobbe, huomo santo & notabile specchio di patienza, volendo rimproverar questo al genere humano disse: L'huomo nato della donna, il qual vive breve tempo, di miserie è molto pieno.

 

Isis figliuola di Prometheo.

Iside, come dice Theodontio, fu figliuola di Prometheo, & piccolina dal padre fu lasciata ad Epimetheo suo zio; della cui l'istesso Theodontio riferisce la favola. Dice adunque che, essendo cresciuta la donzella & divenuta bellissima, & da marito, piacque a Giove, il quale tanto ò con la potenza ò con persuasioni s'adoprò, che la condusse ne' suoi abbracciamenti, onde dice, che di Giove Isis partorì Epafo. Finalmente, ò che la giovane tanto si confidasse nell'innamorato, ò che per natura ella fosse d'animo infiammato, le venne disio di regnare, & havuto aiuto da Giove, & da altra parte fatta forte, mettendo in effetto con le forze il real animo mosse guerra ad Argo Re d'Argivi, per anni attempato, ma per altro huomo molto aveduto, contra il quale venuta a giornata, avenne che, rotto l'essercito d'Isis, essa fu pigliata & da Argo posta in prigione. Ma Stilbone, che poi fu nomato Mercurio, huomo eloquentissimo & pieno d'ardire & d'industria, per commandamento di Giove suo padre oprò tanto con suoi inganni che, amazzato il vecchio Argo, liberò di prigionia Iside. Alla quale non succedendo prospere le cose nella patria, confidandosi nella sua diligenza montò sopra una nave, la cui insegna era una vacca, & passò in Egitto, & insieme con lei Stilbone cacciato di Grecia per lo commesso delitto, & essendo ivi Apis potentissimo, ella il tolse per marito; onde dati agli Egittij i caratteri delle lettere & mostratogli il coltivar della terra, venne in tanta riputatione appresso gli Egittij, che fu tenuta non femina mortale, ma piu tosto Dea, & vivendo anco le furono fatti honori & sacrifici divini. Ma Leontio diceva haver inteso da Barlaam questa Isis prima, che passasse in Egitto, essersi maritata nel ditto Apis, & poi essersi congiunta con Giove; onde essendosi di ciò accorto Apis, & sdegnatola (lasciato il regno d'Argivi) se n'andò in Egitto, & ella andandoli dietro essere poi stata raccolta di nuovo da lui. Nelle quai cose sono tante diversità d'opre & di tempi dall'una parte & l'altra, che non solo si leva la fede all'historia, ma nè anco alcuna assomiglianza di vero nelle cose vi si può appropriare; & spetialmente aggiungendovisi l'ostacolo di Giove, del cui i convenevoli tempi con Api togliono molta fede a questa historia. Nondimeno la cura si lascierà agl'industriosi della verità.

 

Deucalione figliuolo di Prometheo, che generò Ellano, Psitaco, Dionigi & Fenetrate.

Per testimonio di tutti gli antichi Deucalione fu figliuolo di Prometheo; il quale cresciuto in età, il Zio Epimetheo diede per sposa la figliuola Pirrha. Fu huomo di benigno ingegno, & Pirrha donna pietosissima; de' quali dice Ovidio;

 


Di lui huomo miglior non fu alcun mai

Ne piu giusto; ò di lei piu santa Dea.


 

Al tempo di costui in Thessaglia fu un diluvio grande, del quale quasi tutti gli antichi scrittori fanno ricordo, & fingono che, crescendo molto l'acque, solo Deucalione con la moglie Pirrha fuggirono in una barchetta, & pervennero sopra il monte di Parnaso. Onde, cessando già l'acque, andarono all'oracolo di Themi per consigliarsi sopra la rinovatione del genere humano, & per suo comandamento essendosi coperto il capo & discinte le vesti, pigliarono dei sassi & con le mani si gli gittavano dopo le spalle, si come ossa della gran madre antica; & quelli si convertirono in huomini & donne. Paolo riferiva questo figmento in tal modo essere da Barlaam spiegato. Diceva egli haver letto in antichissimi annali de' Greci per questo diluvio essersi smarriti gli huomini & essere fuggiti sopra gli piu alti monti, & nascosti negli antri & nelle caverne insieme con le sue mogli, per vedere il fine; & a questi Deucalione & Pirrha (cessando l'acque) essere andati in habito mesto & supplichevole, persuadendo non senza grandissima fatica Deucalione agli huomini & Pirrha alle donne il diluvio essere cessato, nè piu deversi haver tema. & cosi dalle cime dei monti & dai sassosi antri andando loro inanzi, gli ridussero alle sue stanze & habitationi. Ma Theodontio non dice cosi, anzi, che Deucalione con la moglie & molti altri in una nave pervenne al monte Parnaso; & essendo cessate l'acque ivi fermò la sedia del suo reame, percioche prima signoreggiava in Thessaglia; & di consentimento commune (come per publico bene) fu oprato, che si richiamassero gli huomini & le donne dalle caverne. Le quali trappassavano di numero la quantità degli huomini, percioche, venendo il diluvio, elleno molto piu paurose pria degli huomini fuggirono sopra i monti, onde alcuna non ne andò a male, & degli huomini molti dall'acque furono affogati. Et vi mettono la vergogna figurata per lo capo coperto, percioche non ci vergognamo, eccetto veggendo gli huomini con le donne senza alcuna distintione mescolati; il che dice deversi intendere per le vesti discinte. Attenti, che (sì come è stato detto dove si ha trattato di Venere) il cingolo di Venere è detto ceston, il quale da le [donne] è portato ai ligitimi congiungimenti; quando poi va agli illiciti, mette giù quello. Et cosi quelli dimostravano andare in dishonesti congiungementi, & questo per accrescere figliuoli, conciosia, che pochi huomini da gran quantità di donne ponno haver grandissima prole. Che poi gli chiami ossa della gran madre, non penso ciò essere detto per altro eccetto perche, si come i sassi contengono, che la mole della terra non cresca, cosi le ossa serbano i corpi degli huomini in vigore, & cosi anco le fatiche degli agricoltori oprano, che quelle cose siano dalla terra prodotte de' quali siamo nodriti & mantenuti; come quasi appaiano tolti dai campi quelli, che poscia habitarono le cittadi. Ma io istimo quelli essere detti ossa della gran madre perche furono tratti fuori dalle caverne & dagli antri di monti, si come facciamo noi i sassi; & per la sua durezza detti di sasso.

 

Ellano figliuolo di Deucalione.

Secondo Theodontio, Ellano fu figlio di Deucalione & Pirrha; il quale dice Barlaam che, morto suo padre, di maniera aggrandì il suo impero, che quasi tutta la Grecia, che è rivolta al mare Egeo dal suo nome fu detta Ellada, & i Greci Elladi.

 

Psitaco figliuolo di Deucalione.

Come dice Theodontio, Psitaco fu figliuolo di Deucalione & Pirrha; il quale ammaestrato & ripieno delle dottrine di Prometheo suo avo se n'andò in Ethiopia, dove fu molto istimato & riverito; & essendo divenuto molto vecchio pregò gli Dei, che gli donassero la morte, dai cui preghi mossi i Dei lo tramutarono in uno uccello di suo nome, da noi detto Papagallo. Credo io, che la cagione di questa fittione fosse la fama del suo nome & virtù, la quale morendo lui canuto, durò con una viridità perpetua, si come verdi sono quelli uccelli. Furono di quei, che credettero questo Psitaco essere stato quello, che fu detto uno dei sette sapienti, ma Theodontio dice quello essere stato molto piu antico.

 

Dionigi figliuolo di Deucalione.

Testimonia Eusebio nel libro dei tempi, che Dionisio fu figliuolo di Deucalione, & ch'i suoi fatti furono famosi circa il principio del Prencipato di Mosè; quali poi si fossero non mi ricordo mai haver letto, eccetto, che giunto in Attica & albergato da un certo Semacho, gli fu donata la pelle di Caprea sua figliuola.

 

Fenatrate figliuolo di Deucalione.

Istima Paolo & alcuni altri Fenetrate essere stato figliuolo di Deucalione, percioche di lui cosi riferisce Tullio nel libro delle questioni Tusculane. Ma Dicearco in quel parlamento ch'egli in Corintho in tre libri espone, molti huomini dotti, che disputano, nel primo ne mostra molti eloquenti, & ne i due un certo Fenetrate Fiota, molto vecchi; il quale dice esser nato da Deucalione, fa, che diffinisce. Et quello, che segue. Per le quai parole, oltre l'origine, si mostra, che fosse Filosofo.

 

Astreo figliuolo di Titano ottavo, che generò Astrea & i Venti.

Astreo fu figliuolo di Titano & della Terra, come afferma Paolo. Dice Servio & Lattantio, che costui giacque con l'Aurora, & di lei generò la vergine Astrea & appresso tutti i Venti; i quali (dice Paolo) che, essendo vecchio & havendo i fratelli mosso guerra a Giove, da lui furono armati & mandatigli contra in Cielo, benche Lattantio dica, che fossero armati da Atlante. Istimo io, che Astreo fosse alcun potente & superbo huomo, & però detto padre dei Venti perche fosse Signore di qualche paese ventoso. Che poi armasse quelli contra i Dei, ciò s'è tolto dal discorrere de' venti; i quali venendo dalle concavità della terra è necessario, che dirompano in alto.

 

Astrea figliuola d'Astreo.

Manifesta cosa è a bastanza Astrea essere stata figliuola d'Astreo di Titano; la quale, perche diede favore alli Dei contra il padre & li Dei, fu raccolta in Cielo, & locata appresso il Zodiaco in quella parte, che da lei è chiamata Virgo. Hora veggiamo quello; che si voglia la fittione. Qui io intendo Astreo padre d'Astrea non huomo, ma il Cielo stellato, il quale da sé genera la Giustitia, mentre con eterno ordine a sé conceduto per dono divino concede a ciascuno dei corpi inferiori secondo la sua qualità senza mancamento le cose necessarie; & per tale essempio i datori delle leggi, in quanto è possibile all'ingegno humano, ordinarono la nostra giustitia. Però si dice essere nata dall'aurora perche, si come la chiarezza dell'alba precede il Sole, cosi da certa notitia di cose oprate deve nascere overo nasce la giustitia, ò il giudicio. Si dice ch'ella favorì alli Dei, percioche la giustitia sempre favorisce a i buoni & caccia i scelerati. Quella è poi posta in tal parte del Cielo conciosia, che è propinqua all'Equinottio, affine di mostrare dalla giustitia conseguirsi l'equità delle cose; onde si come stando ivi il Sole dall'istesso Sole si concede ugual parte di tempo alla notte & al giorno, cosi dalla giustitia vien conceduto ragione egualmente agli huomini di bassa conditione & altra.

 

I venti figliuoli d'Astreo in generale.

Lattantio & Servio vogliono, che i Venti fossero figliuoli d'Astreo di Titano & dell'Aurora. Dice Lattantio, che questi furono incitati da Giunone contra Giove per lo nascimento d'Epafo. La onde da Giove furono richiusi nelle caverne & confinati sotto l'imperio d'Eolo. Ma Theodontio dice, che Pronapide nel Protocosmo dimostra altra cagione, la quale è questa. Dice adunque Pronapide, che il litigio s'hebbe molto a male d'essere stato da Giove di Cielo cacciato, & per ciò se n'andò all'Inferno; & trovate le furie quelle pregò che, se mai egli per l'avenire fosse buono di giovar loro, andassero a ritrovare i venti, quieti, & con suoi veneni gli infiammassero ad assalire il Reame di Giove & turbar la sua quiete. Le quali incontanente partendosi & ritrovando quelli, ch'in riposo se ne stavano nella casa del padre, non solamente vi congiunsero le furie ma anco gli odi, di maniera che, andando ne' suoi paesi, subito l'uno contra l'altro fecero impeto con far tremare tutto il Cielo & la terra. Per li quali al principio smarrito Giove, poi mosso ad ira, non senza fatica gli prese & gli rinchiuse nelle caverne d'Eolo, commandando, che restassero sotto l'impero di quello. De' quali scrive Virgilio nel primo dell'Eneida:

 


Venne in Eolia a la città dei venti,

Ove con gran furor stan gli Austri irati.


 

Et va dietro seguendo per ispatio di ventidue versi. Di queste fittioni adunque se vogliamo trarre il construtto, prima d'ogn'altra cosa è bisogno, che crediamo questo Astreo loro padre essere il Cielo stellato, in questo modo nondimeno, che tutto un Cielo sia ciò, che si contiene tra il concavo della Luna & il congiunto all'ottava sfera; percioche istimo esser causato dal movimento del Cielo & dai pianeti, si come alquanto solamente da piu rimota cagione. Se poi vorremo, che Astreo huomo fosse padre dei venti, già è stato detto di sopra lui essere stato signore di luoghi dove nascevano molti venti, & di quì esser detto padre dei Venti. Sono poi detti figliuoli dell'Aurora perche per lo piu nello spuntar dell'alba i Venti sono soliti nascere; il che approva l'auttorità & l'usanza dei nocchieri i quali dicono che in quell'hora si levano, & per ciò le piu volte a quel tempo incominciano i loro viaggi. Onde sono chiamati figliuoli dell'Aurora. È poi stato finto, che quelli fossero armati da Giunone contra Giove: perche sono tenuti uscire dalla terra, la quale è Giunone, & cosi essere mandati fuori da un certo respirar della terra; & non potendo levarsi altrove, che nell'aere, essendo Giove l'aere, è finto, che si siano armati contra Giove, cioè, che nell'aere siano impetuosi. Che anco il litigio col mezzo delle Furie gli facesse turbare il reame di Giove, & tra loro divenir inimici, ciò è pigliato dal loro movimento & effetto. Percioche, se si leverà un vento da Levante & un altro da Ponente, è necessario, che per l'aere incontrandosi concorrano insieme; là onde appaiono nemici, & mostrano turbare il Reame di Giove. È stato poi detto quelli essere stati rilegati nelle caverne sotto l'imperio di Eolo, conciosia, che le isole Eolide, alle quali già signoreggiò Eolo & da lui sono nomate, sono piene di spelonche, & le spelonche sono piene d'Aere & acqua, dal cui movimento deriva il calore, & per lo calore si levano i vapori dall'acqua; i cui esso calore risolve nel aere; il quale non potendo fermarsi in non capace luogo esce fuori, & se l'uscita è stretta, di necessità esce piu impetuoso, piu sonoro & piu lungo; & cosi uscendo i generati Venti fuori delle caverne dell'isole Eolide, è stato finto quelli essere stati rilegati negli antri d'Eolo, & sotto l'imperio suo posti. Ma Virgilio sotto questa fintione giudica altrimenti, il che per non far di mistiere non alleggo. Oltre le fittioni, è anco di questi molto grande la potenza. Sono distinti i paesi & i nomi. Sono anco secondo alcuni meno & secondo altri piu, nè con gl'istesi nomi da tutti sono chiamati; de i quali pria, che in particolare di ciascuno parliamo, non sarà inconvenevole dire alcuna cosa. Della loro potenza, nomi & regioni particolarmente descrive Ovidio nel suo maggior volume.

 


Et con le fiamme i venti, che fan freddi.

Diffusamente a questi non concesse

Del mondo il Gran Fattor l'Aere in potere;

Et hor a pena si resiste a quelli;

Reggendo ogn'un col suo spirar diverso

Le fiamme, affin di lacerare il mondo,

(Sì grande è la discordia dei fratelli)

Euro partissi verso de l'aurora,

E i Nabathei reami, & quei de Persi,

Et verso i gioghi i sottoposti ai raggi

De la mattina, a cui Hespero poi

V'è l'Occidente; per lo quale i liti

Vicini son dal Sol tepidi fatti.

Indi a Zefiro poi la Scithia giace;

Et i settentrioni sottoposti

Son da l'horrido Borea, che gli assale;

Et la terra contraria per frequenti

Nubi, dal fiume vien bagnata d'Austro.


 

Dice Isidoro nel libro delle Origini, che sono dodici, & quelli cosi partisce & noma. Quello, che dal principio del Verno tende verso Occidente è detto Subsolano, percioche nasce sotto l'origine del Sole. A questo congiunge due compagni a lato, cioè Euro dal lato sinistro, il quale cosi dice essere chiamato perche spira dall'Eoo, cioè dall'Occidente, di state. Dalla parte destra dice, che vi è Vulturno, cosi detto perche in alto tuona. Indi dice, che questo soffia da mezzogiorno, & cosi vien detto, attento, che gitta fuori l'acque; & Grecamente viene detto Notho. Dice, che dal suo lato destro vi è Euro Austro, cosi chiamato per essere tra Euro & Austro. Cosi anco quello, che è dal sinistro, Austro Afro, perche è tra Austro & Afro. Cosi medesimamente l'istesso è detto Libonotho, percioche indi Libio, & di qui a lui sia Notho. Consequentemente dice, che Zefiro soffia da Occidente, cosi chiamato perche i fiori & l'herbe dal suo spirare sono renduti vivi; & l'istesso Latinamente è detto Favonio, perche favorisce alle cose, che nascono. Dalla cui parte destra quello, che spira è nomato Africo, overo Libio, dal paese onde soffia. Dalla sinistra Choro, percioche chiude il circolo di Venti & fa quasi un choro; nondimeno prima dice esser detto Chauro, & da alcuni Agreston. Indi vuole Settentrione cosi esser chiamato perche si levi dal cerchio di sette stelle; dal cui lato dritto vi mette Circo, cosi chiamato dalla vicinità di Choro, & dal sinistro Aquilone, la cui cagione di nome dice egli essere perche estingue l'acque & dissolve le nubi; & vuole anco, che sia detto Borea, percioche pare, che esca dagli hiperborei monti. Oltre di ciò, disegnati questi dodici venti, Isidoro scrive esservi anco altri venti, i quali io istimo essere tutti medesimi ma con altri nomi chiamati, come sarebbe Ethesia; le quali dice, fornito il tempo dell'anno, soffiano da Borea in Egitto. Cosi Aura & Altano; Aura detta dall'Aere, percioche sia piacevole &, che l'Aere sia vessato dolcemente, & Altano farsi nel mare, & nomato da alto. Appresso dice Turbone essere detto dalla terra, percioche spessissime volte è una certa dannosa rivolutione de' venti. Fragor poi è chiamato dallo strepito delle rotte & percosse cose. Cosi poi v'è anco procella, percioche soffiando con la pioggia schianta ogni cosa. Ma Vitruvio nel libro dell'Architettura scrive, che i venti sono dodici. Dice, che Leuconoto & Altano stanno dal lato di Austro; Liboneto & Subvespero d'Africo; Ergaste, Ethesia, Cauricircio & Choro di Favonio; Thracia & Gallico di Settentrione; Superna & Cecia di Aquilone; Curba Olithia, Eurocircia & Vulturno di Solano. Altrove anco dice l'istesso Vitruvio, che sono otto solamente, scrivendo, che Andronico Cirreste (per dimostrar tal opinione) edificò in Athene una torre con otto cantoni, & in ciascuno di que' lati vi fece scolpire l'imagine di quel vento a cui detta faccia fosse sottoposta; & ultimamente fatto un capitello di marmo sopra detta torre vi mese sopra una statua di bronzo, che nella mano dritta teneva una bachetta, la quale dallo spirar de' venti essendo girata d'intorno designava con quella verga qual fosse quel vento, che soffiasse. Et cosi dice essersi ritrovato, che tra Solano & Austro v'era Euro, tra Austro & Favonio Africano, tra Favonio & Settentrione Chauro over Choro, tra Settentrione & Solano Aquilone. La cui descrittione come buona & vera tutti i nocchieri del mare Mediterraneo la serbano, & specialmente Genovesi, i quali veramente d' ingegno nell'arte Marinaresca passano tutti gli altri.

 

Subsolano vento, & Vulturno & Euro suoi congiunti, figliuoli d' Astreo.

Essendomi spedito in generale di ciascuno dei venti secondo la descrittione d'Isidoro, parmi dire alcuna cosa in particolare. Et prima del vento Subsolano. Questo (come dice Beda) è calido & secco, ma temperatamente; & però è calido perche lungamente dimora sotto il Sole. Secco poi perche, essendo molto distante l'Oceano Orientale da noi, dal quale si crede ch'ei pigli l'humidità, venendo la lascia tutta. Ma sia lontano da me ch'io creggia questa cosa da ridersene, cioè, che tutto il vento, che perviene a noi dalla regione d'Oriente nasca nell'ultimo Oriente, essendo cosa certissima, che molti ne nascano nelle Eolide, si come è stato detto; tra quali alcuni ne soffiano verso noi, onde meritamente gli chiamiamo Orientali. La onde, salva sempre la riverenza di Beda, penso esser detto invano, che essi per la lontananza della sua origine pervengano a noi mutata la complessione. A costui dell'istessa natura stà a man dritta Vulturno, che disecca il tutto, & da dritta Euro, che congiunge over genera le nubi.

 

Notho vento, & Euro Astro, & Austro, Afro suoi congiunti & figliuoli d'Astreo.

Notho australe è un vento naturalmente freddo & secco; nondimeno mentre venendo noi passa per la zona torrida piglia calore, & dalla quantità dell'acque, che consiste nel Mezzogiorno riceve l'humidità; & cosi cangiata natura perviene a noi calido & humido, & col suo calore apre la terra, & per lo piu è avezzo moltiplicar l'humore & indur nubi & pioggie. La costui forma in questo modo descrive Ovidio;

 


Et con l'ali bagnate il Notho vola

Portando il volto horribile coperto

Di caligine oscura; indi la barba

Ha tutta intorta; & esce l'acqua fuori

Dai canuti capelli, & ne la fronte

Porta i nuvoli, & tutto humido ha il petto.


 

Dell'istessa complessione vi sta dal lato dritto Euro Astro, il quale genera nel mare fortune percioche, si come dice Beda, soffia per terra; dal sinistro poi v'è Austro Afro, il quale alcuni dicono calido & temperato.

 

Settentrione vento, & Circio & Aquilone suoi congiunti & figliuoli d'Astreo.

Settentrione è un vento cosi chiamato dal paese onde nasce, percioche nasce in luoghi acquosi & gelati & in alti monti; dai quali fino a noi spira tutto puro, percioche nei luoghi dove passa alcun vapore per l'acuto freddo non si risolve. Questi fa l'aere sereno & caccia & purga quelle pesti c'havea eccitato Austro. Di complessione, insieme con i suoi congiunti, è freddo & secco. Quelli, che gli sta da mano dritta si chiama Circio & è produttore di nevi & tempeste. Da sinistra v'è Aquilone overo Borea, del quale seguirà piu ampio parlare.

 

Aquilone overo Borea, figliuolo d'Astreo & congiunto di Settentrione, che generò Cetho, Calai & Arfalice.

Borea overo Aquilone è vento congiunto di Settentrione, & per sua natura può dissolvere le nubi & far gelar l'acque. Le cui forze & opre in persona di sé stesso descrive Ovidio, dicendo;

 


Stà in mio poter cacciar le triste nubi

Turbare i mari, & l'alte quercie ancora

Voltar sossopra, & indurar le nevi,

Et sopra terra far venir tempeste;

Nacqui ancor io nel Ciel aperto quando

Nacquero gli altri miei fratelli, & tengo

Gli homeri miei ne le profonde cave

Un campo in mia balia, dove transcorro

Con tanto variar, che mezzo il Cielo

Trema per nostri corsi; & da le cave

Escono fuochi, & nuvolosa polve.

Et io quand'entro nei forami torti

De la terra, & feroce sottometto

Con tremor sveglio l'alme, & tutt'i mondo.


 

Di costui si dicono molte favole, percioche Servio vuole ch'egli amasse il fanciullo Giacinto, il quale anco era amato da Apollo; onde, perche vedeva il garzone piu inchinato ad Apollo, che a sé, mosso ad ira lo amazzò. Oltre ciò Ovidio dice ch'egli amò Orithia figliuola di Erittonio Re di Athene, & la dimandò per moglie; la quale non gli essendo data, per sdegno si dispose a rapirla, & la tolse; & di lei hebbe due figliuoli, Zeto & Calai. Appresso Homero nella Iliade, inducendo Enea, che parla ad Achille in battaglia, dice Borea haver amato le bellissime cavalle di Dardano, & di quelle haver havuto dodici velocissimi corsieri. Dalle quai cose, se leveremo la corteccia delle favole, vedremo prima Borea haver amato Hiacinto, qual è un fiore, & però è detto fanciullo perche alcun fiore lungamente non vive. L'amava poi in questa forma, attento, che forse spessissime fiate soffiava per prati pieni di Hiacinti, come per veder quelli da lui amati; si come anco noi spesso andiamo a veder quelli, che amiamo. Questo Hiacinto era anco amato da Apollo, cioè dal Sole, percioche anch'egli, produttore & riguardatore di tai cose, è detto amatore; & perche dà favore a quelli fu detto esser amato da Hiacinto: attento, che anco ogni cosa pare, che ami colui per lo quale è guidata all'essere & continua nell'essere; onde i fiori & l'altre cose oprando il Sole nascono & vivono quanto lungamente vivono. Viene poi detto essere stato morto da Borea perche Borea con la furia del suo soffiare priva tutte le cose d'humore, & le disecca. Che egli amasse poi Orithia, questa è una Historia, percioche Theodontio dice, che Borea fu un giovane di Thracia nobile & animoso, il quale mosso dalla fama del matrimonio contratto da Thereo, che tolse per moglie la figliuola di Pandione, intendendo Orithia figlia d'Erittonio Re degli Atheniesi essere bellissima donzella, tratto dal disio di lei la dimandò per moglie; il che essendogli negato per lo incesto commesso da Thereo contra Filomena, come se Borea fosse per commetter simile scelerità, egli mosso ad ira, aspettata l'occasione, la rapì nell'anno nono del reame di Eritteo, & di lei n'hebbe figliuoli; &t cosi la favola ritrovò luogho dal nome del giovane & dal Reame. Penso poi essere stato detto, che i cavalli di Dardano fossero generati da Borea percioche fu cosa possibile, che Dardano, mosso dalla fama della bontà di cavalli di quel Paese, ivi mandasse a pigliar de' stalloni, i quali congiunti con le sue cavalle egli poi n'hebbe velocissimi cavalli, i cui successori ne serbarono poi sempre razza; & di qui è detto quelli essere stati figliuoli di Borea.

 

Zeto, & Calai figliuoli di Borea.

Calai & Zeto furono figliuoli di Borea & Orithia; i quali Ovidio dimostra essere andati con Giasone & gli altri Argonauti in Colcho. Ma, si come dice Servio, essendo stati raccolti & alloggiati da Fineo Re d'Arcadia; il quale, percioche a persuasione della moglie havea privo di lume i suoi figliuoli, anch'egli era stato orbato dalli Dei, & per maggior supplicio gli haveano mandato le Arpie, uccelli molto iniqui & sozzi, che continuamente gl'impedivano & bruttavano le vivande, per rimunerar quello dell'hospitio. Zeto & Calai, perche havevano l'ali, furono mandati a cacciar via i famelici uccelli; i quali con le spade in mano perseguitando le Arpie & cacciandole di Arcadia, fino all'isole, che si chiamano Plote le condussero. Dove, per rivelatione d'Iris avisati, che restassero di piu oltre non seguitare i cani di Giove, se ne tornarono a i compagni. Il cui ritorno dei giovani mutò il nome all'isole, le quali, si come erano chiamate Plote, furono poi dette Strofade, percioche Strofe in Greco Latinamente significa ritorno. Questo mi ricordo io di loro haver letto. Quello, che poi sotto velame s'habbiano le fittioni, è da scoprire. Dice adunque Ovidio, che questi tali dopo la pueritia hebbero le piume, le quali io intendo per la barba, & la velocità, che vengono nella gioventù dell'huomo. Circa poi l'allegoria delle cacciate Arpie da questi, dico, che per dono divino tutti nasciamo buoni, & la prima moglie de' mortali è la bontà, overo innocenza; ma finalmente cresciuti in età, per lo piu gettata via l'innocenza diventiamo tristi, & allhora si mena la seconda mogliera, percioche ciascuna si lascia guidare dal giudicio del concupiscevole appetito; il quale in quanti pericolosi passi ci guidi n'è testimonio Finio, cha dal disio dell'oro occupato, mentre crede all'avaritia, che gli fu seconda moglie, priva de gli occhi i figliuoli. I nostri figliuoli poi sono le operationi lodevoli, che allhora sono prive di lume quando le bruttiamo con opre scelerate. Percioche qual cosa piu vergognosa possiamo oprare, che rifiutare l'animo buono per acquistar ricchezze? Il che (testimonio Seneca Filosofo) facetamente disse Demetrio ad un certo figliuolo d'un huomo servo, che il dimandava, cioè, essere a lui facile la via di ritrovar ricchezze quel giorno nel quale si pentiva della mente buona. Cosi anche noi diventiamo ciechi quando per soverchio disio di roba si lasciamo guidare a rapine & vergognosi guadagni. A questi tali son messe inanzi l'Arpie, bruttissimi uccelli & rapaci, i quali io tengo, che siano i mordaci pensieri & solecitudini degli avari; da' quali perciò è detto esser tolte dinanzi le vivande agli avari perche, mentre sono ritenuti da tali pensieri, caggiono in cosi grande oblio di sé stessi, che anco alle volte si scordano pigliare il cibo, overo mentre gli avari cercano aggrandire il cumulo minuiscono a sé medesimi i cibi, & con la sua miseria gli fanno sozzi. Gli Argonauti, che con costui alloggiano, perche tutti furono giovani illustri & per virtù famosi, sono da pigliar in vece dei buoni consigli; i quali, benche malamente siano compresi da questi tali, nondimeno alle volte, & ricevuti in luogo di premio, danno ricercamento del bene, che (secondo Fulgentio) s'intende per Zeto & Calai. Questo ricercamento adunque del bene, cioè della verità, opra, che i cani di Giove, cioè i mordaci pensieri, che continuamente s'accostano agli altrui beni, siano cacciati per sino alle Strofadi, cioè fino alla conversione dell'animo ricercante il bene; la cui conversione non può essere se non lasciati i vitij & cangiati gl'ingordi disij in virtù, che drizzino i suoi passi, & allhora la mensa di Fineo resta priva dai sozzi uccelli de vergognosi disij. Nondimeno Leontio fa molto piu breve questo senso. Dice egli, che questa historia fu tale, cioè Fineo essere stato un ricchissimo Re d'Arcadia & avaro, al quale morta la moglie Stenoboe, dalla cui havea havuto Palemone & Fineo figliuoli, tolse di novo per moglie Arpalice, figliuola di Borea & sorella di Zeto & Calai; per li cui preghi egli acceccò i figlioli. Il che inteso dai corsari, che habitavano l'isole Plote, quelli si mossero contra lui, abbandonato quasi da ogn'uno & da tutti odiato per lo commesso fallo contra i figliuoli. Et l'assediarono, & continuamente con machine & ingegni fino nel Palazzo gli gittavano mille sporcitie & cose vili. Finalmente venendo in suo aiuto con molte navi lunghe Zeto & Calai quello fu libero dall'assedio, & i corsari cacciati fino all'isole Strofade.

 

Arpalice figliuola di Borea & moglie di Fineo.

Arpalice (come dice Leontio) fu figliuola di Borea, ma di qual madre non lo dice. Questa fu moglie di Fineo Re d'Arcadia, si come di sopra s'è detto, & molto contraria ai figliastri.

 

Zefiro vento, & Africo & Choro suoi adherenti & figliuoli d'Astreo.

Il vento Zefiro occidentale, che da' Latini è chiamato Favonio, di complessione è freddo & humido, nondimeno temperatamente. Risolve i verni, & produce l'herbe & i fiori. È detto Zefiro da Zefs, che volgarmente suona vita. Favonio, poi, perche favorisce a tutte le piante. Egli spira soavemente & piacevolmente da mezzo giorno fino a notte, & dal principio di Primavera fino al fine dell'Estate. Dalla dritta di lui vi viene messo Africo, che tempestoso genera folgori & tuoni. Da sinistra Choro, il quale (come dice Beda) nell'Oriente fa l'aere nuvoloso, facendolo sereno in Occidente. Di Zefiro si recita tal favola, cioè una Ninfa nomata Clori essere stata amata da lui & tolta per moglie, alla cui diede in premio dell'amore & della verginità toltale ch'ella havesse ogni imperio & ragione sopra tutti i fiori, & di Clori la nominò Flora. Oltre ciò riferisce Homero nella Iliade costui essersi congiunto con Tiella Arpia, & di lei haver generato Xanto & Balio, cavalli d'Achille. Di queste favole può esser tale il senso. Dice Lattantio nel libro delle Divine Institutioni Flora essere stata una donna, che con l'arte meretricia acquistò grandissime ricchezze, delle quali, morendo, lasciò herede il popolo Romano, serbando di quelle una parte; la quale ogni anno forse spera in dare usura, del cui guadagno voleva, che ogni anno si celebrasse il giorno del suo natale con alcuni giuochi, i quali furono detti giuochi Florali & sacrifici Florali da Flora. Il che, percioche in processo di tempo parve al senato cosa vitiosa, & non potendo romper ciò per timor della plebe, gli venne in mente pigliar argomento da esso nome di meretrice accioche si aggiungesse dignità all'opra vergognosa, & indi finsero Flora essere Dea dei fiori, & far bisogno placarla con giuochi affine, che gli altri con le biade & con le viti fiorisseno bene. Il qual colore seguendo Ovidio, fece ch'ella non ignobile Ninfa se maritasse in Zefiro, & per premio di dote hebbe in dono dallo sposo di esser Dea sopra i fiori. I quali giuochi (come dice Lattantio) si richiedono alla memoria della meretrice, percioche erano celebrati con ogni lascivia & licenza di parole, per le cui ciascuna cosa vergognosa si opra; attento, che per voler del popolo dalle meretrici ignude erano essequiti, le quali in quei giuochi facevano l'ufficio dei Mimi. Non so già quello, che si voglia inferir Homero per li cavalli ch'egli vuole, che generasse di Arpia; & forse non vuole intender quello, che noi habbiamo letto in Plinio secondo essere state solite far le cavalle in Ulisbena, ultimo castello d'Hispagna in Occidente. Le quali Plinio dice, che vengono in tanta concupiscenza d'haver figliuoli, che con la gola aperta sono avezze inghiottire i venti Zefiri quando soffiano, & di loro s'impregnano & partoriscono velocissimi corsieri, ma, che picciolo tempo durano. Cosi forse l'istesso avenne d'una cavalla chiamata Tiella, che s'interpreta procella; overo, come habbiamo detto di sopra, dei cavalli di Dardano generati da Borea.

 

Aloo decimo figliuolo di Titano.

Vuole Theodontio, che Aloo fosse figliuolo di Titano & della Terra, di cui, si come testimonia anco Servio, fu moglie Hifimedia; la quale violata da Nettuno di lui partorì due figlioli, Otto & Efialte. I quali furono da Aloo nudriti per suoi, & crescendo quelli (secondo Servio) ogni mese con nove dita apparecchiano la guerra a' Giganti contra Giove; Aloo per la vecchiaia non vi potendo andare vi mandò questi due in aiuto, de' quali tratteremo quando si parlerà dei figliuoli di Nettuno.

 

Pallene undecimo figliuolo di Titano, che generò Minerva.

Pallene, secondo Paolo, fu uno dei figliuoli di Titano, & possedette una isola nel mare Egeo da lui nomata Pallene. Fu huomo fiero & crudele & molto contrario alli Dei; del quale Lucano fa ricordo dicendo;

 


Il Ciclope Pallene al sommo Giove

I folgori cangiò; dipoi si mosse.


 

Dice l'istesso Paolo, che costui fu amazzato da Minerva nella guerra contra Giove; & perciò ella fu poi detta Pallade. Et altrove il medesimo Paolo vuole ch'i fosse fulminato da Giove per la sua iniquità inanzi la guerra. Ma Theodontio dice ch'egli hebbe una figliuola chiamata Minerva, dalla cui fu morto perche si sforzava torle la verginità.

 

Minerva figliuola di Pallene.

Minerva (secondo, che di sopra s'è visto per Theodontio) fu figlia di Pallene, da lei per difender la virginità morto. Costei secondo Tullio nelle Nature de' Dei fu la quinta tra molte altre Minerve, & dice, che a lei vengono ascritte l'ale a' piedi, ò perche amazzato il padre se ne fuggisse veloce, ò per qualche altra cagione.

 

Ronco, & Purpureo duodecimo & decimoterzo figliuoli di Titano.

Ronco & Purpureo (come afferma Prisciano nel suo maggior volume) furono figliuoli di Titano & della Terra; de' quali dice haver fatto ricordo Nevio Poeta, cosi dicendo;

 


V'era in qual forma ne l'insegne espresso,

Che gli Atlanti figliuoli di Titano

Huomini da due corpi, et de la Terra.

Nati Purpureo, et Ronco iniquamente.


 

Et Horatio nelle Ode dice:

 


O quel Porfirion, ch'in stato fiero.


 

Di questi, altro non mi ricordo haver letto.

Licaone decimoquarto figliuolo di Titano, che generò Calisto.

Licaone, il quale Theodontio dice essere stato Re d'Arcadia, il che non mi ricordo haver letto altrove; & figliuolo di Titano & della Terra, ò per lo splendor reale ò per qualche altro notabil fatto; overo (il che piu tosto credo) perche fu huomo altiero & degli Dei sprezzatore, si come per lo piu habbiamo letto essere stati tutti i figliuoli di Titano. Di lui recita Ovidio tal favola. Che, essendo il grido de i mortali asceso in Cielo, percioche in Terra ogni cosa succedeva male, Giove volse con la presenza provar questo, & pigliata forma d'huomo se ne venne al palazzo di Licaone, & oprò di maniera che i popoli avertissero Iddio esser in Terra; i quali, per ciò dando opra ai sacrifici, tutti erano beffati da Licaone. Il qual nondimeno, per far prova se fosse vero, come si diceva, che Giove alloggiasse seco, & essendosi imaginato la notte amazzarlo, ma non gli essendo succeduta la cosa, subito rivolse l'animo ad altra sceleratezza. Onde amazzato uno degli ostaggi Molossi, parte a lesso & parte arrosto il fece porre inanzi Giove a mangiare; il quale conosciuta la scelerità sprezzò il cibo & gittò il foco nel palazzo di Licaone, & andossene. Ma Licaone smarrito se ne fuggì ne' boschi, & cangiato in lupo incominciò secondo il primiero costume andar dietro alla crudeltà per ingordigia di sangue, crudeleggiando i greggi. Sotto la corteccia di questa favola Leontio diceva esservi tale historia. Fu già tra gli Epiroti, de' quali alcuni poi da Molosso figlio di Pirro furono detti Molossi, & i Pelasghi chiamati poi Archadi, discordia & gara; la quale essendosi acquetata, Licaone, che allhora era prencipe dei Pelasghi, dimandò, che per fermezza della stabilita pace gli fosse dato almeno dagli Epiroti un ostaggio, attento, che da loro prima nacque la discordia. Al quale da i Molossi fino a certo tempo fu conceduto un giovane de' piu nobili; il quale nel termine dovuto non gli essendo rimandato, fu per suoi legati dimandato. Ma Licaone, ò perche gli paresse, che gli fosse dimandato per superbia ò per altra cagione turbato, percioche era huomo tristissimo & d'animo altiero, rispose agli ambasciadori, che il giorno sequente gli renderebbe il suo ostaggio, & comandò, che la mattina venissero a desinar seco; & segretamente fatto amazzare l'ostaggio, il fece cuocere & porre inanzi ai legati & gli altri convitati. Era per aventura tra loro a mangiare un giovane allhora chiamato Lisania, quello, che poi fu detto Giove, huomo a quel tempo appresso Arcadi di grandissima riputatione; il quale havendo conosciuto le membra humane, gittate le tavole a terra & turbato per l'inique scelerità se n'andò in publico, & col favore di tutti i popoli fece adunatione contra Licaone & i suoi seguaci; onde messosi all'ordine lo condusse a combattere, & vintolo il cacciò del Reame. Di che Licaone cacciato, essule & povero, con pochi se ne fuggì ne i boschi, et incominciò mettersi alla strada & vivere di rapina; il che diede luogo alla favola ch'egli si fosse convertito in Lupo. Percioche, se dirittamente vogliamo riguardare, alcuno non deve dubitare che, quanto tosto drizziamo la mente all'avaritia & alla rapina, spogliati d'humanità si vestiamo di lupo; & tanto duriamo Lupi quanto tale appetito continua in noi, serbando solamente la effigie d'huomo. Appresso diceva l'istesso Leontio altri affermare Licaone essersi cangiato in vero lupo, affermando questi tali in Arcadia esservi un lago il quale, chi lo trappassava, subito si trasformava in Lupo; ma s'egli s'asteneva da carni humane, & passato il nono anno ritornava a nuotare il detto lago, gli era restituita la primiera forma. Il che sapendo Licaone, & temendo molto l'ira di Giove & de' suoi, per la sua perfidia non sapendo dove viver securo, per poter aspettare senza tema della vita l'essito della cosa passò oltre quel lago; & divenuto vero Lupo tra gli altri animali di quella istessa qualità habitò nelle selve, abandonando Calisto sua unica figliuola & donzella. Oltre ciò scrive Plinio nel libro della naturale historia le tregue nelle guerre essere stata inventione di questo Licaone, & anco dei giuochi già fatti in Arcadia.

 

Calisto figliuola di Licaone & madre d'Arcade.

Calisto fu figliuola di Licaone, come a bastanza si vede in Ovidio. Costei, secondo, che scrive Paolo, cacciato già il padre tra il tumulto delle cose, anco donzella fuggì fuori del palazzo & entrò nelle selve, dove si fece compagnia alle ninfe di Diana. Appresso le quali fu da Giove in forma di Diana impregnata, & per lo crescere del ventre manifestandosi il peccato fu cacciata, & partorì Arcade. D'amendue le quali a pieno si dirà più a basso trattandosi di Arcade, & spetialmente dirassi quello, che riferisce Leontio di questa fittione. Nondimeno costei è chiamata con diversi nomi, percioche Arctos in greco significa volgarmente orsa. Oltre ciò vien detta Elice dal girar del giro, perche in greco i giri sono detti Elici. È anco chiamata Cinosura, del qual nome prima furono due, cioè Cinos, che volgarmente suona Cane, attento, che il segno celeste, che poi è detta Orsa si chiamava Cane, & anco hoggidì da alcuni è cosi nomato. Uras poi volgarmente suona Bue salvatico, conciosia, che con l'istesso nome è detta per l'inalzata coda in guisa d'un mezzo cerchio. Il che piu s'appartiene al bue selvaggio, che non fa all'orsa. Percioche (come si dice) il Bue selvaggio porta la coda alta tanto, che pare, che faccia un mezzo circolo. Si noma anco Fenice, cosi volendo l'inventor Thalete, che medesimamente fu Fenice, overo perche i Fenici, che furono eccellentissimi nocchieri nel navigare, furono i primi, che si reggessero per quella. Si chiama anco Settentrione; il che è nome di Arcade, overo dell'Orsa Maggiore, percioche vien dinotata da sette stelle, attento, che Trion, e Teron s'interpreta Stella.

 

I Giganti generati dal sangue de i Titani & della Terra.

Nacquero (come testimonia Paolo & Theodontio) i Giganti dal sangue dei Titani & dalla terra; la qual cosa par anco, che dimostri Ovidio, dove dice:

 


Quel, ch'i fieri, e i smisurati corpi

Stavan sepolti dal suo grave peso.


 

Et indi va continuando per sei versi. Dice Theodontio, che questi tali hebbero i piedi di serpenti &, che mossero guerra a Giove, si come haveano fatto i padri. Ma non hebbero mai ardire moversi per insino, che Egla, bellissima donna & moglie di Pane, fu tenuta nascosta dalla madre nel loro speco; la quale nascosta, subito fecero empito contra i Dei, & di maniera gli smarrirono, che gli cacciarono fino in Egitto, cangiati in altra forma. De' quali dice Ovidio;

 


E l'uscito Tifeo fuor de la terra

Ai Dei fece timor; onde, che tutti

Voltarono le spalle per salvarsi,

Fin, che lassi in Egitto, dove il Nilo

Per sette foci si partisce, & entra

Quelli raccolse; quivi venne ancora

Figliuolo della Terra il gran Tifeo;

E fe, che i Dei sotto altre effigie, e forme

Si nascoser da lui. Giove divenne

Capo di greggi con le spalle chine,

Indi coi corni fecessi montone.

Delio in un corvo; & in un capro poi

Di Semele la prole; & la sorella

Di Febo in Fele. Poi Giunone in una

Bianca giuvenca; & Venere divenne

Pesce; & Mercurio fecesi Cicogna.


 

Et quello, che segue. Ma in alcune cose Theodontio & Ovidio discordano insieme, dicendo Theodontio ciò essere stato fatto dai Giganti & Ovidio da Tifeo, che venne dal centro della Terra. Oltre ciò discordano anco nelle trasformationi degli Dei, percioche Theodontio dice, che Giove si cangiasse in Aquila, Cibele in Merla & Venere in Anguilla. Vuole poi, che Pane si gittasse quasi tutto in un fiume, & che quella parte qual restò sopra la riva si mutasse in un becco, & quella, che entrò nel fiume in pesce; della cui figura dice, che Giove fece poi il capricorno. Finalmente afferma, che Giove hebbe per Oracolo che, se voleva ottenere la vittoria, devesse coprire lo scudo di Egla moglie di Pane & il suo capo della Gorgone; il che fatto, in presenza di Palade furono rotti & dispersi i Giganti, & da Giove cacciati nell'Inferno. Molte cose ci restano a dire dopo queste, se vogliamo scoprire i sensi delle fittioni. Ma inanzi l'altre, in tutto non fu finto esservi stati i Giganti, cioè huomini, che oltre modo trappassavano la statura degli altri, anzi si trova essere verissimo; & chiaramente a questi giorni appresso Trapani castello di Sicilia ciò ha dimostrato un caso fortuito. Percioche, cavando alcuni huomini agresti i fondamenti d'una casa pastorale a' piedi del Monte, che sopra sta a Trapani, non lontano dal castello trovarono l'entrata d'una certa caverna; onde i lavoratori, desiderosi di vedere ciò, che vi fosse entro, accese alcune facelle passarono inanzi, & ritrovarono un antro di grandissima altezza & larghezza, per lo quale caminando inanzi videro all'incontro dell'entrata un huomo d'ismisurata grandezza ch'ivi sedeva. Là onde smarriti, subito rivolsero le piante & uscirono della spelonca, senza mai fermare il corso fino attanto, che non furono giunti nel castello, narrando a tutti quello, che haveano veduto. Maravigliati i cittadini adunque, per vedere, che male fosse questo, accese molte facelle & pigliate l'arme, come quasi havessero ad andare contra suoi nimici, tutti uniti insieme uscirono della città, & piu di trecento di loro entrarono in quella spelonca; onde tutti stupefatti videro quello, che haveano fatto i primi lavoratori. Finalmente fattisi piu vicini a quello, poscia, che conobbero quell'huomo non essere vivo, videro un certo huomo, che stava assettato sopra una sedia, & nella mano sinistra havea un bastone di tanta altezza & grossezza, che trappassava ogni antenna di grandissimo navilio. Cosi anco l'huomo era d'ismisurata & non piu veduta statura, in alcuna parte roduto nè sminuito. Et tosto, che uno di loro stese la mano & toccò quel bastone, subito se n'andò in cenere & polve; & caduta, che fu tutta quella corteccia vi restò un altro bastone di piombo, il quale era alto fino alla mano del Gigante. Onde, si come a pieno si conobbe, quel tal bastone era pieno di piombo accioche fosse piu grave; di che pesato poi da quelli, che il videro, eglino affermano, che pesò quindici cantari al peso di Trapani, ciascuno de' quali è al peso di cento libre communi. Toccata poi la statura dell'huomo, quello poi medesimamente si disfece, & quasi tutta andò in polve. Onde toccato da alcuni con le mani, vi furono trovati solamente tre denti ancora intieri, & d'una estrema grandezza. Il loro peso era di tre rodoli, cioè di cento oncie communi. I quali i Trapanesi per testimonio del trovato Gigante & in eterna memoria dei posteri ligarono con un filo di ferro, & gli appesero in una certa Chiesa della città fabricata ad honore dell'Annuntiata & dell'istesso titolo adornata. Oltre ciò trovarono una parte del ventre d'inanzi fermissima & capace di molti moggia di fromento; cosi anco l'osso dell'una delle gambe, del cui, benche per la grandissima quantità degli anni una buona parte ne fosse ita in polve, nondimeno si trovò, da quelli, che fecero il saggio secondo la proportione dell'altre membra communi, che quello era stato di grandezza di dugento cubiti & piu. Di che fu tenuto da alcuni de' piu saggi costui essere stato Erice, potentissimo Re del luogo, figliuolo di Bute & di Venere da Hercole amazzato, & in quel monte sepolto. Altri istimano, che fosse Erithello, il quale già nei giuochi funerali ordinati da Enea per lo padre Anchise con un pugno havea morto il toro. Altri poi uno dei Ciclopi, & spetialmente Polifemo, di cui riferisce molte cose Homero, & dopo lui Virgilio, si come si vede circa il fine del terzo libro dell'Eneida. Vi furono adunq. Giganti di grandissima statura, il che dimostra anco la Sacra Scrittura; tra quali, se bene non ve ne fu di cosi maravigliosa grandezza come costui, almeno se ne ricordano due, cioè Nembrotto, che s'imaginò edificar la torre contra Iddio, & Golia Filisteo, con la fronda & con sassi vinto da Davite. Questi tali scrive Gioseffo, huomo in altre cose saggio & dotto (sì come testimonia nel libro dell'antichità Giudaica) essere stati generati da gli Angeli, che si congiungevano con le donne de' mortali; il che veramente è da ridersi, essendo la cagione di generare i gran corpi, le stelle & la certa rivolutione del Cielo, per la quale anco all'età nostra è avenuto, che alcuni sono stati di statura cosi grande, che hanno sopravanzato la testa d'ogni grand'huomo. Ma io hora istimo i Poeti haver parlato di questi, se saranno huomini benigni &, che vivano humanamente; ma di questi, de' quali pare, che intenda Macrobio nel libro de i Saturnali, dove dice, che altro è da credere, che fossero i Giganti eccetto, che una certa scelerata progenie d'huomini, che negava Iddio, & per ciò è tenuta, che volesse cacciar quello dal Cielo. I piedi di questi tali erano a guisa di quelli de i dragoni, il che significa loro già mai non essersi imaginati cosa dritta né, che fosse buona in tutto il tempo del viver suo, anzi a cose infernali. Non deve adunque parer cosa strana all'huomo saggio, che tali si fossero gli huomini prodotti dal sangue de Titani & dalla terra, conciosia, che per lo piu un simile genera un altro tale; & però drittamente possiamo chiamare i superbi huomini figliuoli de i Titani, huomini superbi, se non per sangue, almeno per costumi & per vitio.,de' quali nessun'altra può meglio chiamarsi madre, che la terra; onde Macrobio già ve n'ha mostrata la ragione, cioè questi tali giamai non pensare a cosa divina, santa, nè giusta; anzi ogni intento della vita loro tende a cose terrene & infernali. Nondimeno, che questi tali habbiano havuto guerra con Giove Cretese, non è cosa in tutto favolosa. Si trova per l'historie antiche Giove haver fatto due famosissime guerre, la prima con i Titani per liberare i suoi parenti da loro imprigionati, la seconda con esso suo padre Saturno, il quale (secondo Lattantio) cercava darli la morte; & questa fu detta guerra de i giganti, & secondo alcuni appresso Flegra territorio di Thessaglia si venne a giornata, dove Saturno fu vinto & abbattuto. Che poi à lui per oracolo fosse comandato, che cuoprisse lo scudo con la pelle d'Egla & il suo capo con la Gorgone, onde Egle dalla terra fu nascosta in una spelonca, cred'io, che si debba intendere l'aiuto dei greggi & degli armenti ne' quali stavano le ricchezze degli antichi; i quali si debbano pigliare per Egle, che vuol dire l'istesso, che capra. Vi si debbono poi intender anco i frutti Dei terreni, i quali intendo per Gorgone; di che da questi tali aiuti le grandissime spese delle guerre sono sostentate, et cosi lo scudo di Giove fu coperto, cioè trovata la difensione, & il capo coperto, cioè fortificato di consigli. Cessando adunque questi, si dice, che Egle si è nascosta, & allhora gl'inimici pigliano ardire contra gl'inimici come quasi contra un disarmato; finalmente standovi questi, et Pallade, che qui vi si deve intendere per la disciplina militare, s'acquista la vittoria. Che poi siano cacciati nell'Inferno, quelli c'hanno finto hanno voluto mostrar l'ostinatione dei superbi alla fine essere humiliata & cacciata. Nondimeno a questa guerra dei Giganti vi s'aggiungono molte cose, che qui non sono messe, cioè, che quelli posero monti sopra monti per salire in Cielo, & haver anco oprato altre cose le quali sono da riferire alle attioni di guerrieri. Drizzano veramente fortezze, & sopra monti edificano torri per occupare il Cielo, cioè il regno del nemico; tutte le quai cose alla fine sono rovinate dal vincitore, si come fu fatto da Giove. Di questa guerra de Giganti & delli Dei teneva altra opinione Varrone; diceva egli, che tal guerra fu quando cessò il diluvio, percioche alcuni con tutte le masseritie s'erano fuggiti sopra i monti; i quali, poscia ingiuriati con guerra da altri, che erano discesi da altri monti, si come superiori agli altri facilmente gli cacciavano; onde fu finto gli Dei esser stati i superiori, & gl'inferiori gli habitatori della terra: & perche dalle valli cercavano salire in alto, & col petto per terra a guisa di serpenti parevano caminare, fu detto ch'eglino havevano i piedi di Serpi. Che poi per tema di Tifeo gli Dei, cangiate le loro forme, fuggissero in Egitto, intende altro, che la historia, overo la mortalità: percioche per Tifeo, che fu figliolo della Terra, è da intender essa terra, & spetialmente quella parte la quale da noi Settentrionali è habitata; dalla cui gli Dei, cioè il Sole, per lo cui (come piace a Macrobio nel libro dei Saturnali) l'avanzo della moltitudine de' Dei si deve intendere, allhora fuggirono quando il Sole incomincia declinare dall'Equinottio dell'Autunno verso il Polo Antartico: il qual Sole allhora si dilunga dalla terra cioè dalla regione nostra, che siamo Settentrionali, & tende all'Egitto, cioè in Auro, overo ai paesi Australi. Gli Dei haver poi cangiato le loro effigie, ciò piu tosto per aventura è stato posto per ornamento della fittione, che per altro, perche (come dice Agostino nel lib. della città d'Iddio) tutte quelle cose, che si narrano esser fatte non sono da istimare, che habbiano significato, ma alle volte sono ordite per quelle, che significano alcuna cosa, quelle che nulla contengono. La terra col solo Aratro si toglia; ma accioche questo si possa fare, anco gli altri membri dell'Aratro sono necessari. Et le corde sole nelle Citare & negli altri instrumenti musici sono atte al canto; ma affine, che vi si possano acconciare vi s'aggiungono altre cose. Alla congiuntione degli organi vi s'aggiungono quelle cose, che non son percosse dai risonanti, ma quelle, che non percosse fanno l'armonia. Ciò dice Agostino. Et però, benche vi siano delle cose, che non facciano mistiere, accioche non paia c'habbiamo fuggito la fatica v'agiungeremo quello, che loro sotto queste forme habbiano potuto intendere. Dice adunque Ovidio, che Giove si cangiò in un Montone per dimostrar in ciò la natura di Giove; e il Montone, piacevole & benigno animale, non nuoce a alcuno se vien lasciato in pace. Oltre ciò è di molto utile, percioche ad accrescere il gregge solo basta ad un gran numero; & appresso non solo è marito del gregge, ma anco guida & capo, perche se non v'è il pastore esso va inanzi & fa la strada al gregge, & per dritto calle il conduce alle stalle; le quali cose paiono tutte appropriate a Giove tra molte altre. Egli è pianeta benigno & piacevole, se per congiuntione d'un altro non è guasto. E medesimamente utile, perche provoca i maturi parti delle donne all'essito, & gli manda in luce. Giova a tutti, si come suona esso nome. Cosi è capo del gregge, cioè Re & signore de' Dei, secondo, che afferma tutto l'errore dei gentili. Il Sole, poi, in un corvo essersi cangiato istimo io per dimostrare dirittamente una delle proprietadi del Sole. Credettero gli antichi il Corvo haver in sé una proprietà di prevedere il futuro, & però, perche il Sole è detto Iddio dell'indovinare, si come si dirà dove si tratterà d'Apollo, a lui sacrarono il Corvo; il quale (secondo Fulgentio) tra gli uccelli solo ha cinquantaquattro mutationi di voce. Là onde agli auguri antichi nel pigliar degli auguri era gratissimo uccello. Baccho poi mutato in una capra si conviene al tempo del verno, percioche il vino, cioè Baccho, constretto dal freddo del verno tra se raccoglie le sue forze, & parendo di minor possanza, che non è per lo freddo, viene bevuto da i pazzi. Ma poscia, che è bevuto, crescendo per lo calore dello stomacho si estende, & a guisa di capra tende alle parti sublimi, & opra, che gli huomini riscaldatisi diventino piu animosi, & tendino piu in alto. Che anco la Luna si mutasse in Fele, cioè in una Dama, questo fu detto per dimostrare la sua velocità, essendo la Dama un animal velocissimo; nè a lei per difendersi è conceduto dalla natura alcuna altra arma eccetto la fuga. Cosi la Luna tra i Pianeti è velocissima. Giunone poi in una bianca vacca perche la giuvenca è utile animale, & cosi la terra; la quale alle volte s'intende per Giunone, e fertile; è poi detta bianca percioche il verno si cuopre di nevi. Venere divenne un pesce affine di mostrare la sua grande humidità, overo, che Venere si nudrisca con l'humidità. Mercurio poi fu detto essersi trasmutato in una cicogna percioche la cicogna è uccello di compagnia, là onde si mostra, che Mercurio si conface con tutti; & si come la Cicogna è inimica dei serpenti, cosi Mercurio è palesatore delle astutie. Secondo Theodontio, poi, Giove si converse in Aquila accioche per l'Aquila, la qual vola più alto degli altri uccelli, s'intendano i suoi sublimi effetti. Cibele penso essersi cangiata in Merla perche il merlo è un uccello, che continuamente vola presso terra, accioche per la Merla dinoti la terra. Per l'Anguilla poi, nella cui dice essersi mutata Venere, credo de versi intendere il variare & l'instabilità di Venere. Per Pane in un capro dal mezzo in su, & dal mezzo in giù in pesce cangiato, intendo tutto il mondo, il quale è governato dalla natura delle cose, cioè da Pan; il quale nella superior parte, cioè la terra, che è sopra l'acqua, pasce i capri & gli altri animali, nella parte piu bassa poi, cioè nell'acqua, è finto pesce perche produce i pesci & gli nodrisce. Ma essendo già fornita tutta la prole di Titano, faremmo anco fine a questo libro.

 

Il fine del Quarto Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO QVINTO

 

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Ma non ancho a pieno haveva finito condurre in mezo la superba prole di Titano, & ecco (di maniera circa il principio con impeto fino dal profondo Si erano adunati i mari) che quelli venti, come se si fossero partiti chiamati dall'imperio di Eolo, tutti riposarono, & uno oscuro velo, languido, & vuoto, mi s'accostò alla faccia. Il che riguardando io, subito conobbi esser poco da riposare. Nè mi maraviglio che, se Giove s'è affaticato in fulminare, di quello che di me potrà pensare l'huomo saggio scrivendo i scelerati costumi del genere iniquo. Entro adunque nel lito, & monto in alto per veder dove volentieri mi havesse lasciato lo spirito; & mentre d'intorno rivolgo gli occhi, conobbi che io sotto i piedi havea la terra Attica; & desideroso di vedere diffusamente il circuito del tutto, vedeva le cose passate non con ordine certo, ma sì come la memoria me le rappresentava. Cosi hor qua hor La drizzava gli occhi, & primieramente per alquanto spatio considerai le alte cime de i Monti d'Arcadia, & gli inacessibili boschi, meco dicendo: in questo habitò Mercurio fanciullo. Per quelli Diana guidava i chori, vi discorreva Atlante, & ancho il picciolo Parthenopeo soleva cacciare i Cervi. In quello si nascose la vergine Calisto. Indi rivolgendomi subito al lito, vidi non dirò Athene, ma a pena di quella un picciolo, & consumato signale; onde mi risi de' pazzi giudici della mortalità nostra, per li quali ingannata l'antichità, mentre pensava quella per l'avenire haver ad essere eterna, prima trasse i Dei in contentione nel darvi nome. Indi per loro sentenza la chiamò immortale; hora, mò finiti pochi secoli, testimoniano per le rovine esser giunto il suo fine. Veramente con veloce passo noi, & tutte le cose nostre vanno alla morte. Nondimeno, come che la Città fosse vacua, anzi più tosto vi fossero a pena le vestigia, meco stesso incominciai considerare quanto già fosse ornata di splendore di Filosofi, & Poeti, nobilitata di tutti gli studi; quanto generosa di Re, & Capitani, quanto famosa di potenza, & quanto chiara per lume di vittorie: di che mi spaventai tutto, veggendo ogni cosa esser posta sotto un monte di ruine, così di tempi come de Palazzi. Finalmente mi rimosse da questa consideratione il Monte di Parnaso posto quasi nel mio conspetto, & per molti versi celebrato, tutto pieno d'odori di Lauri de Poeti, & antichissimo, & soave albergo delle Muse. Il quale riguardando io con una certa riverenza di mente, & havendo compassione al deserto fonte Castalio, vidi l'antico inganno dell'antico inimico, cioè l'antro d'Apollo Delfico; dal cui li enigma ch'uscivano, & le dubbiose risposte, sì come in Chariddi che inghiottisce il tutto, così lungamente trassero le infelici anime de Gentili nel centro della dannatione eterna. Nondimeno allhora il vidi mutolo, & senza lingua, non ornato di statue d'oro, non lucente di pietre pretiose, ma quasi tutto coperto di diversa varietà di radici, & Serpenti, così volendo il Sacro Iddio; il quale [non] con parole intricate, ma de Santi Profeti che furono dal principio: con chiaro parlare manifestò a quelli che haveano a venire i sacri misteri dell'aspettata salute. Di qui fino in Thebe di Boemia, luogo molto lontano, portommi la fantasia; presso la cui, mentre ricerco, & veggio le habitationi, & i superbi edifici di Bacco, & di Hercole posti tra rovine, & polve per terra, il puzzolente odore oscuro, & tetro del percosso Learco ad un sasso, del troncato Pentheo, dello stracciato Atteone, & delle ferite de' fratelli, mi condusse in altra parte. Et passando fino in Lacedemonia, non pur vi vidi le rocche d'Agamennone, la dannosa bellezza d'Helena, le sacre leggi di Ligurgo, nè le insegne del molto grande Imperio, ma a pena vi puoti conoscere ove in Grecia io potessi fermare un occhio; & per ciò drizzai gli occhi fino alla Rocca Corinthia che toccava quasi le Stelle, attento che mi venni a ricordare di Lacedemone, & Sisifo. Ma che tante cose? Mentre in questo modo, clementissimo Re, vado variando, conobbi essermi alquanto rinovate le forze che per la fatica dianzi s'erano indebilite, & essere invitato da una dolce aura all'incominciato viaggio. La onde smontato da quel tumulo, & altezza, avisato quasi del viaggio ch'io era per fare, entrai in una picciola barchetta, & chiamato il nome di colui che già tanto in Chana fece le insipide acque soave vino, diedi la vela ai venti, per scrivere la notabil progenie del secondo Giove.

 

Giove secondo, & nono figliuolo del Cielo, il quale generò quindeci figliuoli, cioè Diana, Apollo, Titio, Bacco, Anfione, Cetho, Calatho, Pasithea, Egiale, Eufrosione, Lacedemone, Tantalo, Hercole, Minerva, & Arcade.

Di sopra nel terzo libro è stato detto del Cielo, del cui testimonia Tullio, nel libro delle nature degli Dei, Giove secondo essere stato figliuolo; & dice che nacque in Arcadia, ma non già di qual madre. Di costui, benché io mi creda che fossero grandi le attioni, senza le quali non havrebbe potuto meritare così gran nome, nondimeno la fama overo le antiche memorie de precessori n'hanno riportato pochi appresso noi; & se forse alcuni ne sono pervenuti, non si ha certezza se fossero suoi, ò più tosto del primo, ò del terzo Giove. Tuttavia narrerò quelli pochi che afferma Theodontio essere stati di costui. Vuole adunque Theodontio costui essere stato un famoso huomo, il quale prima appresso i suoi, per haver vinto, & privato Licaone re d'Arcadia del reame, che nel convitto gli havea posto inanzi le membra humane, fu incominciato chiamar Giove, rispetto alla giusta vendetta fatta dell'iniquo Re. Nondimeno Leontio, dove ha trattato di Licaone, chiama costui Lisania, il quale habbiamo detto che fu il primo Giove, & Re d' Atheniesi; & perciò non ho che mi dire di lui, eccetto che un più prudente di me, se può, accordi queste differenti openioni. Doppo questo Theodontio dice che costui si transferrì in Athene dove pervenne in molta grandezza, & che per la vergognata Latona hebbe grandissima guerra contra Ceo, & havendolo vinto con grandissima gloria ritornò ad Athene, & al primo Giove sacrificò un Bue: indi instituì appresso gli Atheniesi molte cose appartenenti alla lodevole Città. Per le quai cagioni di commune consentimento degli huomini fu chiamato Giove. Del tempo poi non si ha certezza. Nondimeno sono di quelli che credano lui essere stato il primo Re Cecrope d'Atheniesi; ma da ciò discorda la publica openione, perche Cecrope fu Egittio, & Giove, Arcade. Altri poi il dicono più antico; non per ciò alcuno vi dà certo tempo, La onde il lasciaremmo.

 

Diana prima figliuola del secondo Giove.

Col testimonio quasi di tutti i Poeti, Diana fu figliuola di Giove, & di Latona; & nacque nell'istesso parto quando Apollo, sì come è stato mostrato di sopra dove s'è trattato di Latona. Vollero gli antichi che costei fosse famosa di verginità perpetua; & perche, sprezzata la conversatione degli huomini, habitava nelle selve, si s'essercitava nelle caccie, la dipinsero con l'arco, & la faretra, chiamandola Dea dei monti, & boschi; indi vollero ch'il suo carro fosse guidato da bianchi Cervi, & continuamente si stesse in compagnia di ninfe, & da loro fosse servita. Il che dimostra Claudiano dove tratta delle Lodi di Stilicone, dicendo;

 


Disse; & incontanente fu portata

Da un'alpe assai fronzuta, & d'herbe piena.


 

Et indi continua per molti versi. Oltre ciò vollero ch'essa fosse dea delle strade, & insieme con la Luna la chiamarono con diversi nomi. Ma lasciate queste cose: è da avertire quello che sopra ciò si debba intendere. Fu costei veramente figliuola di Giove huomo, & di Latona, & è ancho cosa possibile che fosse una certa vergine, sì come alcune sono che abborriscono la compagnia degli huomini; & così essere stata illustre per verginità perpetua, & alle caccie haver'atteso. Et parendo che queste cose si convengano alla Luna, la quale col suo freddo ha possa di raffrenar le concupiscenze carnali, & col suo notturno lume allumare i boschi, & i monti, molti aggiunsero queste cose essere proprie della Luna, tanto quanto s'ella fosse la Luna; & come pazzi la giudicarono essa propria, sì come di sopra spesse fiate è stato detto d'alcuni altri. Et perche di queste cose dove s'è della Luna trattato non s'è quasi detto nulla, seguiremmo hora alquanto più ampiamente. Si adorna adunque Diana con l'arco, & la Faretra, affine, che per ciò s'intenda la Luna, che anch'essa è arciera di raggi, i quali sono da intendere in loco delle saette; & però sono detti saette perche alle volte sono nocivi, & mortali. È detta poi dea dei monti, & boschi perche pare essere proprio della Luna con le sue humidità dar vigore all'herbe, & alle piante, & quelle nudrire, & anco darle accrescimento. Se le aggiunge il carro non solamente affine che perciò s'intenda il girar del cielo, il cui camino da lei viene fornito più velocemente di tutti gli altri pianeti, anzi per designare il girare che fanno i cacciatori per li monti, & boschi; la qual carretta viene detta essere guidata da Cervi; perche pare che il desiderio de' cacciatori sia condotto da selvaggi animali. Gli fanno bianchi, percioché da i Fisici tra gli altri colori la bianchezza è attribuita. Ch'ella habbia le ninfe compagne si deve intendere per l'humidità continua, della quale abonda, non essendo altro ninfa che acqua, overo complessione humida, sì come si mostrerà più di sotto dove si dirà delle ninfe. Ch'ella sia servita da quelle, ciò è posto per ornamento della fittione; overo vogliamo dire che l'humiditadi servono all'influenze della Luna. Che poi sia sovrastante delle strade, vollero questo perche vincendo col suo lume le notturne tenebre rende quelle a viandanti spedite: overo perche le strade siano simili di sterilità alla vergine Diana. Volsero ch'ella fosse chiamata Diana, sì come dice Rabano nel libro dell'origini delle cose, quasi Diana, percioché appaia il dì, & la notte, & mostri servire ad amendue. Ma Theodontio istima altrimenti, come è stato detto altre volte. Questo pianeta si chiama Luna, quando la sera luce. Diana, poi, quando col suo lume viene verso il giorno, & allhora è più atta a cacciatori, & viandanti; onde si dice in quell'hora vergine, perche dopo haver girato mezzo il cerchio del cielo non concede a pieno il nodrimento alle piante, nè di novo alle piante presta utile accrescimento, come fa mentre viene girata in contrario partendosi dal Sole. È poi detta Cinthia dal monte Cinthio, dove spetialmente era riverita. Del resto, s'è altrove detto.

 

Apollo secondo, figliuolo del secondo Giove, che generò sedici tra figliuoli, & figliuole, cioè Lafita, Eurimone, Mapso, Lino, Filesthene, Garamante, Branco, Filemone, Orfeo, Aristheo, Nomio, Auttoo, Argeo, Esculapio, Psiche, & Arabe.

Apollo medesimamente fu figlio di Giove, & di Latona, & nacque nell'istesso parto con Diana, secondo che è stato detto dove si ha di Latona narrato. Di costui si dicono molte cose, le quali forse non meno furono sue che d'altrui, scrivendo Cicerone che oltre lui vi furono tre altri Apolli. Ma perche tutti i Poeti s'inchinano a costui, come s'egli solo fosse stato Apollo, & per ciò non si vede a pieno quelle che furono d'altri, è necessario attribuire il tutto a costui solo. Dissero adunque, dopo la favola del suo nascimento, costui essere stato Iddio della divinità, & sapienza, & inventore della Medicina. Oltre ciò vogliono ch'egli amazzasse i Ciclopi, & per tal causa essendo alquanto tempo della deità privo, haver pascolato gli armenti d'Admeto re di Thessaglia. Vollero appresso che, essendogli stato da Mercurio donato la Cithara, egli divenisse capo delle Muse d'Elicona, cioè che sonando la lira le Muse cantassero. Similmente il fecero senza barba, & gli sacrarono l'albero del Lauro, gli hiperborei Grifi, il Corvo, & i versi buccolici. Il chiamarono ancho con molti nomi, & gli attribuirono diversi figliuoli. Questa è una lunga continuatione di figmenti; de' quali, se vogliamo cavare il senso, prima è da avertire esser necessario alle volte intendere che fosse huomo, come fu, & alle volte pigliarlo per lo Sole. Fu adunque costui huomo, & figliuolo del secondo Giove, & di Latona, secondo che più volte è stato detto. Ma Tullio dove tratta delle nature de gli Dei dice che fu figliuolo di Giove Cretese, & dagli Hiperborei monti esser venuto in Delfo. Il che, se così fosse, molte cose dette di sopra sarebbero vane. Nondimeno (salva sempre la riverenza di Cicerone) io non credo questo, dicendo Eusebio nel libro dei Tempi che Apollo, & Diana nacquero di Latona regnando in Argo Steleno, & nell'anno quarto della sua signoria, che fu negli anni del mondo tremilasettecento, et undici; comprendendosi per li scritti dell'istesso Eusebio Giove Cretese essere stato molto da poi. Ma Theodontio dice questo essere stato figliuolo del secondo Giove, & haver regnato appresso gli Arcadi, ritrovando a loro nove leggi, & per nome essere stato detto Nomio; ma per la soverchia crudeltà delle leggi essere stato dai sudditi del reame cacciato, & haver ricorso da Admeto Re di Tessaglia, dalqual Admeto gli fu conceduto il governo sopra alcuni popoli appresso il fiume Amfriso. La onde nacque la favola che per gli amazzati Ciclopi fu privo della deità, & posto a pascere gli armenti d'Admeto. Nondimeno l'istesso Eusebio dice che Apollo nato da Latona non fu quello, dal quale gli antichi solevano andare a pigliar gli oracoli, ma quello che servì ad Admeto. Et con quello (come dice Tullio) che dai monti Hiperborei venne a Delfo, puote esser figliuolo di Giove Cretese. Della natività adunque di costui, nelle cose precedenti dove s'è parlato di Latona si sono dette molte cose, & più se ne potrebbono leggere che sono scritte in Macrobio nel libro dei Saturnali, quali veramente sono utili, & non molto discordanti dalle scritte di sopra; & però non le hò notate. Fu costui appresso (come afferma Theodontio), il primo, che conoscesse le forze dell'herbe, & accommodasse le loro virtù ai bisogni de gli huomini; & però non solamente fu tenuto inventor della Medicina, ma Iddio; conciosia che molti infermi dai suoi rimedi conseguivano la sanità. Et perche egli ritrovò le concordanze dei polsi degli huomini, dicono che da Mercurio, prencipe dei numeri; & delle misure, gli fu conceduta la Cithara, volendo per ciò intendere che, si come per diverse voci che si moveno dal diverso toccar delle corde, se sono toccate drittamente, & a misura si fa una melodia, così dai diversi moti dei polsi se dirittamente sono ordinati, il che s'appartiene al buon medico, si fa la sanità per la concordanza del ben disposto corpo. Et perche veduti i segni dell'infermitadi a molti prediceva la morte, & la sanità, a lui fu conceduta la deità dell'indovinare. Et così il Lauro, & il Corvo gli fu sacrato: imperoche, com'è stato altre volte detto, se le frondi del Lauro sono legate dietro il capo di colui che dorme, dicono ch'ei si sognerà cose vere; la qual cosa è spetie di divinità. Così ancho è stato detto il Corvo haver cinquantaquattro mutationi di voci: dalle quali gli Auguri affermavano che benissimo comprendevano le cose future; il che ancho s'aggiunge a mostrare l'indovinatione. Alberico poi diceva essere stato finto lui haver amazzato Fitone, perche Fitone s'interpreta levator di fede; il qual toglier di fede allhora si leva di mezo quando si nasconde la chiarezza della verità, il che si fa per lo lume del Sole. Ma allhora è Pianeta, & non huomo; per lo cui ancho (come affermano i Mathematici) si dimostrano molte cose future a mortali. E poi stato tenuto Iddio della sapienza per li consigli salutiferi dati da lui a gl'infermi, che gli dimandavano; & anche, perche (intendendosi del Sole) col suo lume mostra le cose da schifare, & quelle da imitare, la qual cosa è propria dell'huomo saggio. Dicono poi il Sole pianeta essere senza barba: perche è sempre giovane, levandosi ogni giorno come nuovo. Vollero già ch'egli cantasse in Lira, & fosse capo delle Muse, percioche tennero lui principe, & governatore dell'armonia celeste, il quale con la cognitione, & dimostratione tra i nuovi diversi circuiti delle sfere, sì come tra le nuove Muse, prestasse a quelli le loro concordanze. Hora si dirà dei nomi. Chiamasi Apollo, che (secondo Fulgentio) s'interpreta perdente, & però sono alcuni popoli d'Ethiopia che (quando egli si leva) il malediscono con tutto l'affetto, percioché col suo troppo calore appresso loro disperde il tutto. Et di qui nasce (come dice Servio) che Porfirio in quel libro chiamato Sole dice di tre qualità esser la potenza d'Apollo, cioè in Cielo esser Sole, in Terra padre libero, & nell'Inferno Apollo; & però da gli antichi al suo simulacro essere stato messo tre insegne, cioè la Lira; per la cui volsero intendere la imagine dell'armonia celeste; lo scudo, per lo quale volsero lui essere inteso la divinità della terra, & indi le saette, per le quali è giudicato Dio dell'Inferno, & punitore. Et perciò pare, che Homero dicesse lui essere auttore così della pestilenza come della salute; il che mostra ancho haver voluto intendere Horatio in que' versi secolari, mentre dice:

 


Con l'addolcito dardo Apollo ascolta

Benignamente i supplici fanciulli.


 

Et quello che segue. Si chiama ancho Nomio che Latinamente suona Pastore, & pigliato dall'essere stato detto che fu pastore d'Admeto: & però sì come a Pastore gli è stato dedicato il verso Buccolico, perche è verso Pastorale. È poi chiamato Cinthio dal monte Cinthio, dove era molto honorato.

 

Lafita prima figliuola d'Apollo.

Lafita (come piace ad Isidoro nel libro dell'Ethimologie) fu figliuola d'Apollo, benché Papia testimonia, ch'ella fosse huomo. Da costei adunque, come afferma Rabano, furono nomati i Lafiti popoli di Thessaglia; veramente questo è indicio di non picciolo momento, costei essere stata donna di grande affare, poscia che da lei presiero nome così famosi popoli. Che poi fosse figliuola d'Apollo, ciò puote esser vero, sì come huomo, se poi come del Sole, ciò può pensarsi essere stato finto per la bellezza, ò per la sapienza, overo per l'arte dell'indovinare.

 

Eurimone seconda figliuola d'Apollo.

Eurimone, secondo Paolo Perugino, fu figliuola d'Apollo, & moglie di Talone, & di lui partorì Adrasto re d'Argivi, & Euridice, che poi fu moglie d'Anfiaro.

 

Mopso terzo figliuolo d'Apollo.

Mopso, come dice Theodontio, fu figliuolo d'Apollo, & Himante, & fu grandissimo, & fedele amico di Giasone, sì come testimonia Statio:

 

Da Giason Mopso spesso in dubbi udito.

 

Costui, secondo che piace a Lattantio, fu dottissimo nell'indovinare, & fu sovrastante del boscho Crineo dov'era l'Oracolo di Apollo, sì come mostra Servio. Mentre visse fu huomo di tanta riverenza che dopo morte gli furono edificati Tempi, & dalle loro bocche, & anditi da i dimandanti ricevute risposte. Ma Paolo dice che non fu figliuolo d'Himante ma di Mantho, figliuola di Tiresia Thebano. Oltre ciò Pomponio Mela riferisce, ch'egli edificò la città Faseli nei confini di Pamfilia, nè molto da poi l'istesso Pomponio afferma che Manto fuggendo i vincitori Thebani instituì il sacrificio di clario appresso i lidi di Iona vicino al fiume Caistro; nè lontano da quello Mopso di lei figliuolo edificò Celofone. Ma Eusebio dice che Mopso regnò in Cicilia nel tempo che Agamennone signoreggiava in Micene, & che da lui furono chiamati i Mopsicroni, & Mopsici. A quelli che dicono poi che Manto fu di costui madre, altri sono contrari, dicendo che Manto dopo la guerra Thebana passò in Italia, & venne nella Lombardia.

 

Lino quarto figliuolo d'Apollo.

Come scrive Lattantio, Lino fu figliuolo d'Apollo, & Psamata, del cui recita tal favola. Che Apollo, havendo amazzato il serpente Fitone, & cercando purgare la occisione commessa, fu alloggiato in casa da Crotopo re degli Argivi, dove segretamente si congiunse con la donzella Psamata, di lui figliuola: la quale divenuta pregna, & al debito tempo havendo di nascosto appresso il fiume Nemeo partorito un figliuolo, quello chiamò Lino, & sì come piace ad alcuno l'espose alle fiere, onde da cani fu divorato. Altri dicono poi che, havendolo dato a nodrire ad un certo pastore, un giorno stando il fanciullino disteso nell'herba nel casale del pastore fu mangiato da cani. Il che pare che voglia Statio, dicendo;

 


Et Lino posto in mezo dell'acanto

Ha intorno cani venenosi, & fieri.


 

Et quello che segue. Onde Apollo maravigliandosi il figliuolo essersi stato da' cani divorato, mandò un monstro in quel paese, che rovinava il tutto: il quale fu poi morto da Corebo. Penso io a questa favola haver dato materia alcun mortal animale, che per caso apparve a quel tempo, che il fanciullo fu da' cani divorato: il che parendo cosa fiera, perciò fosse detto essere mandato un monstro. Vi fu ancho appresso un altro Lino, & medesimamente figliuolo d'Apollo, & nella musica tenuto molto eccellente: del cui Virgilio dice;

 


Non sarà mai, ch'io sia nei versi vinto

Dal Thracio Orfeo, nè dal fratello Lino.


Filistene quinto figliuolo d'Apollo.

Filistene (secondo Servio) fu figlio d'Apollo, & Cantilena: il quale dicono haver edificato il castello Oaxe nell'isola di Candia, & da se haverli dato nome. Onde Varrone;

 


Et Cantilena dal dolor del parto

Oaxe partorì con fiero duolo.


 

Se adunque egli chiamò quel castello dal suo nome Oaxe, di necessità egli hebbe due nomi. Io istimo ch'egli fosse molto eccellente nel canto; La onde da Poeti fu finto, che fosse figliuolo cosi d'Apollo come di Cantilena.

Garamante sesto figliuolo d'Apollo.

Garamante, come dice Rabano nel libro dell'origine delle cose, fu figliuolo d'Apollo, & da lui (secondo l'istesso) i Garamanti, popoli d'Ethiopia, hebbero nome, & il castello Garamante in Ethiopia edificato. Penso che costui fosse finto figlio d'Apollo perche signoreggiò ivi, dove veramente il Sole per la soverchia forza abbruscia quasi il tutto. La onde perche si elesse quelle sedi, come se si fosse dilettato della sterilità, & caldo, fu tenuto figliuolo d'Apollo.

 

Brancho settimo figliuolo d'Apollo.

Brancho (secondo Lattantio) fu figliuolo d'Apollo, & della figliuola di Iauco, & moglie di Sucrone; del quale appresso Varrone nel libro delle dose divine si recita tal favola. Cioè un certo Cyo, ch'era il decimo, che traheva origine d'Apollo, peregrinando per lo mondo mangiò in un lito, dove partendosi forse men sobrio, che non gli bisognava, lasciò ivi un suo figliuolino, Sucrone,il quale Sucrone, perduto il padre, errando pervenne all'alloggiamento di un certo Iauco, dal cui raccolto incominciò insieme con i suoi fanciulli menar le Capre à i paschi.

Avenne ch'eglino presero un Cigno, il quale da loro essendo coperto con una veste, caderono in contentione, chi di loro dovesse appresentarlo al padrone in dono. Finalmente vinti dal contrasto, & levando via la veste, invece del cigno ritrovarono una Donna, per la qual cosa smarriti si diedero a fuggire. Nondimeno richiamati indietro da lei furono avisati che dicessero al suo padrone Iauco ch'egli dovesse amare, & honorare il fanciullo Sucrone. Quelli adunque subito riferirono al padrone quello che haveano veduto, & inteso. Di che maravigliandosi Iauco, incominciò ad haver Sucrone in luogo di figliuolo, & gli diede per moglie una sua figliuola; la quale divenuta pregna, dormendo vidde il Sole intrarsi per le sue fauci, & uscirle per lo ventre. Dopo questo partorì un figliuolo, & il chiamarono Brancho, il quale havendo baciato le guancie di Apollo, da lui preso, ricevette la corona, & la verga, & incominciò indovinare, & subito mai più non comparse. Onde doppo questo a lui fu edificato un grandissimo tempio chiamato Branchiadon, & per questa cosa furono ancho sacrati tempi ad Apollo Filesio; i quali si chiamano dal nome del bacio di Brancho, overo dal contrasto de i garzoni Filesi. Altrove poi Lattantio scrive che Branco fu un giovane in Thessaglia amato da Apollo, il quale essendo stato amazzato, fu molto pianto da Apollo, che gli consacrò un sepolcro, & un Tempio; & ivi Apollo fu chiamato Branchiade. Nella prima favola si debbe intendere che i fanciulli, cioè ignoranti, pigliano un Cigno, cioè l'augurio delle cose a venire; percioche il Cigno è un uccello sacrato al Sole, conciosia che antivede la morte a lui vicina, & con dolcissimo canto la predice. Dallo augurio pigliato poi si và al cianciare; onde vien finto ch'egli si cangiò in femina; & da queste ciancie aviene, che Sucrone diventa più caro al padrone, & di lui diviene genero; di che la moglie fatta pregna vede in sogno il Sole che per gola le entra, cioè la influenza celeste a produrre il già non nato atto all'indovinare, il che s'intende per lo Sole; il quale poi esce per lo ventre, mentre nasce; & allhora bacia le guancie d'Apollo, quando per la dilettatione, senza la quale non si opra niente, s'accosta allo studio dell'indovinare; & allhora riceve la corona, & la verga da Apollo, quando ammaestrato piglia le insegne del dottorato. Percioche per la corona, che è ornamento del capo, si disegna la preminenza, la quale conseguisce ciascuno per l'acquistata scienza con gli studi. Per la verga, poi, la potenza d'essercitare quelle cose che con lo studio si sono acquistate. Che ancho mai più non si fosse ritrovato, ciò avenne perche con la morte fu tolto di mezzo.

 

Filemone ottavo figliuolo d'Apollo.

Fu Filemone figliuolo d'Apollo, & Lichione, come testimonia Ovidio; percioche Dedalione, figliolo di Lucifero, hebbe una bellissima figliuola, la quale amata in quel tempo da Apollo, & Mercurio, & con tutti due essendo giacciuta, d'amendue partorì, & di Apollo hebbe Filemone, il quale fu ne' versi famoso, & nella Cithara. Onde questo che s'è finto penso essere stato tolto dall'occasione. Perche Lichione in un parto produsse due figliuoli, l'uno de' quali fu eccellente ladro; di che dissero haverlo generato Mercurio, perche agli Astrologhi pare, che d'intorno ciò molto possa Mercurio. L'altro poi fu famosissimo citharedo, il che d'intorno pensano che molto vaglia il Sole, & però il chiamarono figlio d'Apollo.

 

Orfeo nono figliuolo d'apollo.

Orfeo fu figliuolo della Musa Caliope, & d'Apollo, sì come dice Lattantio. Vuole Rabano che Mercurio a lui desse la lira poco inanzi da se ritrovata; nella cui divenne tanto eccellente che col suono di lei poteva mover le selve, fermar i fiumi, & far benigne le fiere. Di costui Virgilio recita tal favola, cioè ch'egli amò Euridice ninfa; la quale, poscia che col suo canto hebbe acquistato la gratia di lei, tolse per moglie. Di costei s'inamorò Aristeo pastore, & un certo giorno, mentre lungo le rive del fiume Hebro con le Driadi s'andasse a diporto, volse rapirla; la quale fuggendo con un piede prese una biscia che nell'herbe stava nascosta, onde quella rivolgendosi a lei col venenoso morso la amazzò. La onde il doloroso Orfeo discese all'Inferno, & con la lira cosi dolcemente incominciò cantare, pregando che gli fosse restituita Euridice, che non solamente mosse a pietà di lui gli infernali ministri, ma anco condusse le ombre a scordarsi delle proprie pene, che pativano. Di che avenne che da Proserpina gli fu restituita Euridice, con questo patto però, che (s'egli non la voleva di novo perdere) non si rivolgesse indietro a riguardarla fino a tanto che non fosse salito sopra la terra. Il quale, essendo già vicino ad esser di sopra, tratto dal soverchio disio di rivedere la sua Euridice, rivolse gli occhi a dietro, onde avenne che subito di nuovo perdette la sua diletta sposa. Per la qual cosa lungamente pianse, & si dispose menar vita casta. Et perciò (come dice Ovidio) havendo rifiutato le nozze di molte donne, et persuadendo ad altri huomini, che facessero vita casta, cadde in odio delle donne, & dalle femine che celebravano i sacrifici di Bacco appresso l'Hebro fu con rastri, & zappe morto, & lacerato, & il suo capo, insieme con la Cithara gittato nel fiume. Indi pervennero fino in Lesbo; dove volendo un certo serpente divorarli il capo, quello da Apollo fu mutato in sasso. La lira poi (come dice Rabano) fu assunta in Cielo, & tra le imagini celesti locata. Belle veramente, & artificiose sono queste fittioni, & per incominciare dalla prima, veggiamo perche sia detto figliolo di Apollo, & Caliope. Si dice Orfeo, quasi Aurea Fogni, cioè buona voce di eloquenza; la quale veramente è figliuola d'Apollo, cioè della Sapienza, & di Caliope, che s'interpreta buon sono. A lui da Mercurio fu data la lira, percioche per la lira, che ha diverse differenze di voci, devemmo intendere la facultà oratoria; la quale si adempisce non con una voce, cioè con una dimostratione, ma con molte, & finita non si conface a tutti ma al saggio, & all'eloquente, a cui è conceduto buona voce. Il che ritrovandosi tutto in Orfeo, si dice che a lui tutte queste cose furono concesse da Mercurio, misuratore dei tempi. Con questa Orfeo muove le selve, c'hanno le radici fermissime, & fisse nella terra, cioè muove gli huomini d'ostinata openione; i quali non si ponno rimovere dalla sua ostinatione eccetto per le forze dell'eloquenza. Ferma i fiumi, cioè li scorretti, & lascivi huomini, i quali se non sono stabiliti in ferma fortezza con salde dimostrationi d'eloquenza scorrono fino nel mare, cioè nell'eterna amarezza. Fa benigne le fiere, cioè gli huomini ingordi di sangue; i quali spessissime volte dalla eloquenza del sapiente sono ridotti in mansuetudine, & humanità. Appresso, questi ha per moglie Euridice, cioè la concupiscenza naturale, della quale nessuno mortale non è senza. Costei andando a diporto per li prati, cioè per li temporali desideri, è amata da Aristeo, cioè dalla virtù, la quale disia condurla a lodevoli desideri, nondimeno essa fugge, perche la concupiscenza naturale contradice alla virtù, & mentre fugge la virtù vien morta dal serpente, cioé dalla frode che sta nascosta tra le cose temporali; percioche a quelli che riguardano men drittamente appare le cose temporali verdeggiare, cioè poter concedere la beatitudine, alla cui apparenza, se alcuno presterà fede, si troverà essere guidato à morte perpetua. Ma che, finalmente. Poscia che la natural concupiscenza in tutto è caduta all'Inferno, cioè d'intorno le cose terrene, l'huomo prudente con la eloquenza, cioè con le vere dimostrationi, si sforza riddurla di sopra, cioè alla virtù, la quale alla fine alle volte vi si lascia condurre, & questo quando l'appetito si drizza a cose più lodevoli. Ma è restituita con patto che il ricevitore non riguardi a dietro fino a tanto che non sia gionto di sopra, cioè, accioche di novo non caggia in concupiscenza di tai cose, mentre fattosi forte con la cognitione della verità, & con l'intelligenza dei celesti beni non possa drizzar gli occhi nella concupiscenza a biasimare il lezzo dell'opre scelerate. Che poi per ciò Orfeo discendesse all'Inferno, dobbiamo intendere gli huomini prudenti giamai con la ragione della contemplatione non chinar gli occhi della consideratione nelle cose mortali, & nelle ignoranze degli huomini, che mentre veggiano quelle cose ch'eglino debbiano condenare, desiderino con più caldo disio quelle che sono da ricercare. Fulgentio poi ha altra openione. Dice che l'amata perduta, & di nuovo acquistata, Euridice, è la figuratione della musica, interpretandosi Orfeo quasi Oreafogni, cioè ottima voce, & Euridice profonda giudicatione. Et però nella musica essendo altro l'armonia delle note, & altro l'effetto de' toni, & la virtù delle parole, & quello che segue, sì come continua dove tratta delle Ethimologie. Ma per venire a quelle cose che s'aspettano alla morte d'Orfeo, egli è da sapere, come dice Theodontio, che Orfeo fu il primo che trovò i sacrifici di Bacco, & commandò a' Thracesi che quelli fossero fatti dai Chori delle Menadi, cioè delle Donne che pativano il menstruo, accioche quelli in tal spatio di tempo venissero a disgiungerle dal consortio de gli huomini; essendo tal cosa non solamente abhominevole, ma etiandio dannosa agli huomini. Il che dopo alquanto tempo havendo considerato, & conosciuto le Donne ciò essere stata inventione per scoprire agli huomini le loro vergogne, & sporcitie, fecero congiura contra Orfeo, & con rastri, & zappe amazzarono lui, che di ciò niente s'imaginava, & il gittarono nel fiume Hebro. Ma Lattantio nel libro delle divine institutioni di lui cosi dice; Orfeo fu il primo che inducesse in Grecia i sacrifici del padre Libero, & fu il primo che gli celebrasse a Thebe nel monte di Boemia, dove poi nacque Libero; il quale continuamente sonando la Cithara fu chiamato Citheronte. Quelli sacrifici ancho hora sono detti Orfici; ne' quali poi esso fu stracciato, & malmenato. Che poi il suo capo, & la Cithara fossero trasportati in Lesbo, Leontio diceva questo non esser favola, perche era fama commune un certo Lesbo suo auditore per causa di reverenza haverli portato seco fino in Lesbo. Che un serpente poi che voleva divorare il capo d'Orfeo fosse converso in sasso, io intendo per lo serpente le rivolutioni degli anni, le quali si siano sforzate consumare il capo de Orfeo, cioè il nome, overo quelle cose, che sono composte dall'ingegno di Orfeo; perche nel capo vivono le forze dell'ingegno, si come fanno l'altre. Ma però s'è detto il capo del serpente convertito in sasso per dimostrar niente a lui poter dar danno. Il che fin'hora non hà potuto oprare, nè fare che fin hoggidì non sia con la sua Cithara molto famoso, essendo tra i poeti tenuto quasi il più antico. Oltre ciò sono di quelli, che vogliano, & tra questi Plinio nel libro dell'historia naturale, di costui esser stata inventione il pigliar auguri dagli altri animali, che solamente dagli uccelli si pigliavano prima. Medesimamente alcuni istimarono ch'egli fosse inventor della Cithara, tutto che gli altri diano l'honore ad Anfione, overo a Lino. Nacque in Thracia della famiglia Cicona, il che, secondo che afferma Solino delle cose maravigliose del mondo, fino al tempo suo si teneva di grandissimo honore. Del suo tempo a me non pare che si dubiti. Percioche molti testimoniano ch'egli tra gli Argonauti andò con Giasone in Colche, come vuol Statio. Di questo nondimeno scrive Lattantio nel libro delle divine institutioni. Et fu in que' tempi ne' quali fu Fauno; ma qual di loro nascesse prima, v'è dubbio. Medesimamente in quelli anni regnò Latino, & Priamo, & i loro padri Fauno, & Laumedonte; onde regnando Laumendonte Orfeo andò al lito di Troia. Queste cose scrive Lattantio. Eusebio poi nel libro de i Tempi dice ch'egli fu regnando in Athene Egeo, il che assai pare convenirsi. Ma Leontio diceva, costui non esser quello che ritrovò i sacrifici a Bacco, affermando quello essere molto più antico.

 

Aristeo decimo figliuolo d'Apollo, che generò Atteone, & Iolao.

Nacque d'Apollo, & di Cirene figliuola del fiume Peneo, Aristeo, sì come testimonia Virgilio in persona d'Aristeo nella Georgica, dicendo;

 


Madre Cirene, madre qual in questo

Profondo gorgo la tua stanza tieni.

Perche me nato de la chiara stirpe

Degli alti Dei (se vero è quel che dici,

Che il timbreo Apollo mi sia padre)

Mal voluto dai fati hai generato.


 

Il che conferma ancho Giustino nell'Epitoma di Pompeo Trogo recitando tal favola, cioè che Ciro Re dell'isola Corami hebbe un figliuolo chiamato Batto, rispetto che non havea la lingua libera, & espedita. Onde essendo venuto Ciro all'oracolo in Delfo per impetrare con preghi la loquela del giovanetto figliuolo, hebbe per risposta che Batto devesse andare in Africa, & edificare una Città chiamata Cirene, ch'ivi riceverebbe la ispeditione della lingua. La qual cosa non fu essequita perche l'isola Corami era troppo solitaria, onde non sapeva quali habitatori, andando in Africa, vi potesse condurre; finalmente in processo di tempo venuta la peste in Corami, restarono gli huomini cosi rari che a pena se ne caricò una nave. Questi venendo in Africa, & piacendoli l'amenità del loco, & l'abondanza delle fonti, si fermarono sul monte Ciro. Ivi Batto loro capo, sciolti i nodi della lingua, incominciò prima a parlare. La onde divenuti certi delle promesse dell'oracolo, edificarono la città Cirene. Ma in questo modo dai posteri è stato finto, che Cirene, fu una bellissima donzella rapita da Apollo sopra Pelio monte di Thessaglia, & portata sopra la cima di quel monte il cui colle haveano occupato quelli, c'haveano seguito il figliuolo; & di lui essendo divenuta pregna partorì quattro figliuoli, Aristeo, Nomio, Autteo, & Argeo. Fino qui non v'è quasi fittione nessuna, eccetto dove dice di Peneo fu figliuola di Speranza re di Thessaglia, da cui le fu mandato dietro per cercare, dov'ella fosse andata. Onde quelli che la cercavano, havendola ritrovata, & essendo ritenuti dalla dilettatione del loco, (dicono) che restarono in quei medesimi paesi con Cirene. Di questi fanciulli poi (vogliono) che solamente tre cresciuti in età ritornassero in Thessaglia, & ripigliassero il reame del zio. Tra quali dicono che Aristeo ampiamente regnò in Arcadia, & fu il primo che ritrovò l'uso delle Api, & del mele et l'utilità del latte, & ancho che dimostrò la via di premere l'ulive, & cavarne l'olio, & metterlo in uso, secondo che riferisce Plinio nell'historia naturale. Oltre ciò divenuto sapiente, fu il primo che trovò il nascimento della stella solstitiale. Le quai cose considerate non inconvenevolmente nel fine delle Georgiche Virgilio descrisse la favola d'Aristeo nella ricuperatione dell'Api. Vogliono appresso che costui togliesse per moglie Auttone figliuola di Cadmo, & di lei havesse Atteone. Nondimeno (sì come piace a Salustio), per consiglio della madre lasciata Thebe se n'andò nell'isola Chio, fin'hora dishabitata dagli huomini, & quella possedette, benche poi la lasciasse, & se n'andasse con Dedalo in Sardigna; dove, secondo Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo, edificò la città Caralia. Quello che poi avenisse di lui non mi ricordo haver letto.

Atteone figliuolo d'Aristeo.

Di Aristeo, & Auttonoe nacque Atteone, sì come testimonia Statio, & Ovidio; il quale scrive che ancho fu chiamato Ianthio, dove dice;

 

Chiamando Ianthio, con piacevol faccia.

 

Et sono di quelli, che dicano questo nome essergli stato da una fanciulla imposto, che fu sepolta in quel loco ov'egli nacque. Questi (secondo che dimostra l'istesso Ovidio) fu cacciatore: il quale un giorno lasso per la caccia essendo sceso nella valle di Gargafia, percioche ivi v'era una fonte frescha, & chiara, affine forse di trarsi la sete, avenne che in quella vide Diana che ignuda si lavava. Di che essendosi accorto Diana, & sopportando ciò malamente, prese dell'acqua con le mani, & la spruzzò nel volto di lui dicendo; Va, & dillo, se puoi. Questi allhora fu subito convertito in un Cervo, che veduto da suoi cani fu incontanente morto, & con denti tutto stracciato, & mangiato. D'intorno la cui fittione cosi scrive Fulgentio.  Anassimene, il quale trattò delle dipinture antiche, dice nel secondo libro, che Atteone amò la caccia in gioventù, & pervenuto alla matura età, considerando i pericoli delle caccie, cioè veggendo la ragione dell'arte sua quasi ignuda, divenne pauroso. Et poco da poi segue;  Ma fuggendo il pericolo delle caccie, nondimeno non lasciò l'affetto dei cani, ne' quali da lui invano pasciuti consumò quasi tutta la sua facultà. Per ciò fu da' suoi cani divorato.

Iolao figliuolo d'Aristeo

Iolao, secondo Solino delle cose maravigliose del Mondo, fu figlio d'Aristeo, & dopo lui signoreggiò in Sardigna. Ma di sopra nel suo volume disse che Iolao fu figliuolo d'Ificleo figliuolo d'Amfitrione, & che medesimamente dominò la Sardigna. Non so s'egli è il medesimo, ò pur altro.

 

Nomio undecimo figliuolo d'Apollo.

Scrive Giustino nell'Epitoma che Nomio fu figliuolo d'Apollo, & Cirene. Dice Leontio che costui fu chiamato Apollo (detto s'habbia di sopra ciò che si voglia Theodontio), & che signoreggiò a gli Arcadi, & a loro diede leggi; lequali, perche parevano offendere alcuni de' principali, nata contentione tra gli Arcadi, col favor di Aristeo fu cacciato, & in loco di lui regnò Aristeo. Questi ricorse da Admeto Re di Thessaglia, & sette anni pascolò i suoi armenti. Finalmente ripigliate le forze, cacciò Aristeo, & di nuovo ottenne il Principato de gli Arcadi, essendo andato Aristeo nell'isola Cea, & perche pascette gli armenti fu detto Nomio, che appresso Arcadi vuol dir Pastore. Et di qui dice che la fittione hebbe luogo, cioè che Apollo per haver morto i Ciclopi fosse privo della deità, & andasse a pascere gli armenti del Re Admeto. Ma io non so che più tosto mi credere, attento che, & per la dapocaggine de' Librai sono andati a male tanti volumi, che ci è tolto poter vedere il vero di molte cose, & di quì è conceduto alla bugia un spatioso loco di gire attorno, scrivendo delle cose antiche ciascuno quello che a lui pare.

 

Autoo, duodecimo figliuolo d'Apollo.

Autoo fu figliuolo d'Apollo, & Cirene, si come di sopra è stato mostrato. Sono di quelli che dicono che costui (partendosi i fratelli di Africa, & venendo in Grecia) rimase in Cirene, & signoreggiò a que' Cirenesi che seco ivi restarono.

 

Argeo, decimoterzo figliuolo d'Apollo.

Nel modo che di sopra è stato mostrato da Giustino, Argeo fu figlio d'Apollo, & Cirene. Questi di se, ch'io m'habbia ritrovato, non lasciò altro alla posterità che il solo nome.

 

Esculapio decimoquarto figliuolo di Apollo, che generò Machaone.

Esculapio, sì come testimoniano quasi tutti gli antichi, fu figliuolo d'Apollo, & Coronide ninfa. Dice Ovidio che costei fu figliuola di Larissa, & Flegia, & molto amata da Apollo, la quale essendo venuta ne' suoi abbracciamenti, di lui restò pregna. Nondimeno il Corvo, uccello d'Apollo, riferì a lui che la havea veduta congiungersi con un certo giovane Emonio, di che Apollo sdegnato con le saette la amazzò; ma subito pentendosi del fatto, non potendo con i suoi rimedi ritornarla in vita, aprendole il ventre fuori ne trasse un fanciullo, & chiamollo Esculapio, & (sì come si dice) il diede a nodrire a Chirone Centauro. Il quale veduto da Archiroe figliuola di Chirone, & amaestrata nell'indovinare, subito predisse ch'egli suscitarebbe un huomo da morte a vita, & sarebbe per ciò fulminato, & morto. Il che non mancò d'effetto, percioche dicono che, nell'arte sua essendo divenuto eccellente Medico, a' preghi di Diana, raccolti i membri d'Hippolito che qua, & La erano sparsi, il ritornò in vita. La onde Giove, turbato, con un folgore l'amazzò, sì come testimonia Virgilio, dicendo;

 


Il padre omnipotente allhor sdegnato,

Ch'alcun mortale ritornasse in vita

Esso figliuol di Febo, & inventore

Di medicina, & di tal arte, & sughi


Con un folgor cacciò ne l'onde Stigi.

 

Quelle cose che fin qui sono state dette (come a pieno si vede) è historia insieme con figmenti Poetici. Ma accioche si vegga la pura historia, sono da dichiarare le fittioni. Et però il Corvo haver accusato Coronide, credo deversi intendere che Apollo, per l'amaestramento dell' arte d'indovinare, s'accorgesse della fornicatione di Coronide, & che sdegnato, essendo pregna, l'amazzasse. Che ancho Hippolito, overo (come piace a Plinio) Castore figliuolo di Tindaro per le rapite spose a Linceo, fosse da esso Linceo overo Ida amazzato, & con herbe, & sughi da lui ritornato in vita, credo essere avenuto in questo modo; che questi, overo l'uno di questi non fosse morto, perche ritornare alcuno da morte in vita s'appartiene solo a Iddio, ma per la crudeltà delle ferite, & per lo perduto sangue fosse tenuto come morto; il quale con l'arte, & con la diligenza da lui usata essendo stato ridotto nella primiera sanità, fu detto ch'egli da morte in vita l'havea ritornato. Che poi fosse per ciò folminato da Giove, questo non è credibile, ma penso che sia finto perche è cosa possibile che per tal cura egli s'affaticasse molto in cercar herbe, et altre cose necessarie, & cosi essendosi affaticato oltre il dovere gli sopravenisse una febre, la qual veramente è un folgore mortale, & ardente, & da quella morisse; overo per caso fosse folminato, & perciò dagl'ignoranti fosse tenuto questo esserli accaduto per haver ritornato i morti in vita; e di qui fu dato principio alla favola. Ma Theodontio nega, che Apollo amasse Coronide, & che di lei generasse Esculapio; anzi afferma che nacque dal giovane Emonio, & di Coronide, ma fu detto figliuolo d'Apollo per l'una di queste due cagioni. O perche morta la madre inanzi il parto, & apertole il ventre fu tratto fuori, il che non si fa senza l'opra del medico, per lo quale si finge Apollo inventor della medicina, & cosi fu detto figlio d'Apollo per esser nato per opra di lui. Overo per che gli antichi vollero che quei che nascessero in tal modo fossero sacrati ad Apollo, percioche, sì come è stato detto, paiono venir in luce per opra d'Apollo. Et però (dicono) la famiglia dei Cesari haver osservato i sacrifici d'Apollo perche il primo di loro, che della famiglia Giulia fu detto Cesare, per tal causa acquestò il cognome, & fu sacrato ad Apollo, conciosia che aperto il ventre alla madre venne in luce. Oltre ciò puote essere tenuto figliuolo di Apollo perche divenne famoso medico. La openione poi di Theodontio alquanto si conferma con le parole di Lattantio, il quale nel libro delle divine institutioni cosi dice. Tarquitio trattando degli huomini illustri dice che costui, nato di padri incerti, fu esposto alla morte, & ritrovato da cacciatori, & nodrito da cagnino latte fu dato a Chirone, perche apparasse la medicina. Fu di Messina, ma dimorò ad Epidauro, &c... Doppo questo Lattantio dice che costui fu quello che curò Hippolito. Ma accioche per la varietà delle cose riferite dove poco fa bisogno, gli scrittori non siano tenuti bugiardi, è da avertire (come piace a Tullio delle nature dei Dei) che tre furono gli Esculapii; de' quali dice che il primo fu figliuolo d'Apollo, & ritrovò lo specchio, & fu il primo che curasse ferite, onde afferma che dagli Arcadi è molto riverito. Il secondo poi dice che fu fratello del secondo Mercurio, & fu suo padre Valente, & Coronide madre; indi morì percosso da un folgore. Il terzo fu figlio d'Asippo, & Carsinoe, & fu il primo che ritrovò la purgatione del ventre, & il cavar de' denti; & il suo sepolcro è in Arcadia non lunge dal fiume Lusio, d'intorno il quale si mostra ancho il suo bosco: & cosi verrà ad esser cosa possibile che alcuno di questi sia stato cavato dal ventre della madre morta, & alcuno nato di padre incerto, & esposto; nè ci nuoce che Tullio narri tutti i loro padri. Ho veduto io alle volte tra i Principi della patria un huomo che fanciullo fu esposto, & poi dal nutritore sì come da padre haver havuto cognome. Ma che tante cose? Fosse egli qual si volesse di questi, fu tenuto in tanta riverenza appresso gli Epidauri che ancho Romani, havendo già quasi tutta l'Italia occupata, assaliti da pestilenza d'infermitadi, come per singolare, & certo rimedio mandarano legati agli Epidauri che gli sovenissero a tanta necessità, & consentissero che Esculapio fosse portato a Roma: onde per opra del Diavolo gli fu conceduto che in forma di serpente fu condotto a Roma in Nave, & a lui edificato un famoso tempio sull'Isola del Thebro, & in loco di salutare Iddio lungamente adorato; benche Dionisio siracusano senza pena gli levò la barba d'oro. Esculapio poi viene interpretato duramente oprante, il qual nome fu forse conforme alla sua fatica d'intorno la cura d'Hippolito.

 

Machaone figliuolo d'Esculapio, che generò Asclepio.

Machaone, come dice Papia, fu figliuolo d'Esculapio, & al suo tempo Medico famoso. Il che s'io me lo debbo credere, non so, cioè che fosse medico; scrivendo Isidoro che doppo il fulminato Esculapio fu interdetta la medicina, sì come ancho nel libro dell'historia natural dice Plinio. Et essendo state chiare l'opre d'Esculapio nel tempo de' Troiani, quelle che seguirono poi stettero nascoste in oscura notte fino alla guerra della Morea, che allhora Hippocrate ritornò in luce la medicina. Il qual spatio di tempo, dice Isidoro che fu quasi di cinquecento anni. Di quì penso io essere stato finto che il Sole per lo fulminato Esculapio stette alquanto tempo che non volle guidar il carro dello splendore, affine di mostrare l'inventione del Sole, cioè la medicina, haver patito l'Eclipsi per molte secoli, & finalmente essere stato richiamato in luce. Io non havrei cittato questo Machaone con l'auttorità di Papia, havendo ritrovato, ch'egli, circa tali cose poco curioso, spessissime volte ha scritto molte cose discordanti dal vero; ma la diligenza di Paolo mi ci ha condotto, il quale non tanto scrive Machaone essere stato figliuolo di Paolo, ma etiandio afferma un certo Asclepio essere di lui stato figliuolo.

 

Asclepio figliuolo di Machaone.

Come dice Paolo, Asclepio fu figliuolo di Machaone, & credo ch'egli habbia detto ciò seguendo Agostino: il quale nel libro della Città d'Iddio pare che dica costui essere nipote d'Esculapio dove introduce Hermete Trimegisto, che in questo modo Asclepio parla; Il tuo avo Asclepio primo inventor della Medicina, al quale è sacrato un tempio nel Monte di Libia d'intorno il lito de' Cocodrilli, nel cui giace di lui il mondano huomo, cioè il corpo; ma l'avanzo, overo più tosto tutto il meglio nel senso della vita, se n'andò al Cielo, ancho hoggidì presta agli huomini infermi tutti i soccorsi con la sua deità: i quali suole con l'arte sua donare. Et poco dopo l'istesso Agostino seguita.  Ecco che gli huomini dicono essere stati due dei, Esculapio, & Mercurio. Nondimeno io ho veduto questo libro d'Hermete Trimegisto, il quale egli intitola dell'Idolo; et tuttavia non so ritrovare qualmente Esculapio fosse avo d'Asclepio per le precedenti parole d'Hermete, nè per le seguenti dette da Agostino. Nondimeno sono piu certo che più tosto il difetto manchi dal mio ingegno, che si possa dannare la consideratione d'Agostino.

 

Psiche, quintadecima figliuola d'Apollo.

Secondo che dice Martial Capella nel libro ch'egli scrisse delle Nozze di Mercurio, & Filologia, Psiche fu figlia d'Apollo, & Eudelichia; della cui Lucio Apuleio nel libro delle Metamorfosi, che con più volgare vocabolo si chiama l'Asino d'Oro, recita tal favola. Cioè essere stato un Re, & una Reina c'hebbero tre figliuole: delle quali, benche le due maggiori d'anni fossero bellissime, nondimeno la più giovane chiamata Psiche trappassava talmente di bellezza l'altre mortali che non solamente teneva in maraviglia gli spettatori, ma etiandio faceva credere agli animi ignoranti per miracolo ella essere Venere, che fosse discesa in terra; onde sparsa la fama d'ogn'intorno di tal non piu veduta bellezza, si venne attanto che non solamente i Cittadini, ma ancho gli stranieri, lasciati i Tempi della vera Venere, venivano a vedere questa Venere, & con sacrifici ad honorarla. Il che sopportando malamente Venere, & infiammata contra Psiche, ordinò a Cupido suo figliuolo che la accendesse di ferventissimo amore di alcun huomo di bassissimo grado. In questo mezzo il padre di lei andò a Milesio a consigliarsi con Apollo sopra le nozze della donzella, il quale gli rispose ch'egli la menasse sulla cima del monte: dove la donzella là havrebbe marito creato di stirpe divina, ma pessimo, & viperimo. Per la cui risposta il padre adolorato, con lagrime, & doglia di tutta la città menò la bella fanciulla sopra la predestinata cima del monte, & ivi la lasciò sola; la quale, benche fosse tribolata per la solitudine, & per l'incerto dubbio del futuro marito, nondimeno non stette guari che venne il benigno Zefiro, & con soave spirare elevandola la portò in una fiorita valle, dove essendosi alquanto adormentata, & col mezzo del sonno un poco havendo mitigato le sue rovine; destandosi si vide inanzi un boschetto molto grato agli occhi, & una fonte che stillava argentissime onde, con un Palazzo non solamente reale, ma divino, & ornato d'infinite ricchezze. Nel quale entrando, & ritrovando grandissimi thesori senza nessuna guardia, molto più si maravigliò che udiva voci di persone che la servivano, & non vedeva i corpi. Di che sentendosi spogliare entrò in un bagno, standole d' intorno persone che la lavavano, & servivano, da lei non vedute. Indi uscita dal bagno si assettò ad una mensa piena di vivande divine, & poscia che hebbe cenato, entrando in una camera si messe a posare nel letto nuttiale; & subito che fu adormentata lo sposo entrò nel letto, il quale poscia che di donzella se l'hebbe fatta donna, & sposa, venendo la mattina si partì senza essere da lei veduto: & cosi molte volte continuando, con grandissima consolatione di Psiche avenne che le loro sorelle, udito l'infortunio di Psiche, partendosi dalle case de mariti andarono a ritrovare gli afflitti padri, & insieme con loro piangevano l'infelici nozze della sorella. Ma Cupido, presentendo quello che per invidia delle sore s'apparecchiasse a Psiche, la avisò che in tutto non prestasse orecchie, nè facesse conto delle loro lagrime, & che in suo danno, & rovina non fosse pia, & cruda. Il che havendogli Psiche promesso di fare, incomincia piangere ch'era ritenuta cattiva, & che non poteva vedere nè parlar con le sorelle; & venendo Cupido da lei, che tuttavia di ciò la riprendeva, con preghi lo indusse a' suoi voleri, & le promise che potrebbe con elle parlare. Onde commandò a Zefiro che con soave spirare le conducesse a lei. Il quale havendo ciò fatto, egli le concesse ancho che elle potessero portar seco quella parte di thesori che le piaceva, ma che a patto alcuno non credesse alle loro persuasioni, nè per consiglio alcuno desiderasse vedere la di lui forma. Finalmente levate le sorelle di Psiche da Zefiro, & essendo portate da un scoglio per aere fino in quella dilettosa valle, elle tuttavia gridando furono udite da Psiche; la quale sentendole, uscita fuori dal palazzo, comandò a Zefiro che le posasse giù, & cosi fu fatto; onde insieme essendosi abbracciate furono condotte entro il suo ricco Palazzo, & le dimostrò tutti i suoi piaceri, & thesori; di che le sorelle divenute invidiose, le seppero tanto persuadere, & dar ad intendere che colui che giaceva seco era un serpente, ch'ella a loro credendo si dispose veder questo. Et havendole rimandate a dietro con molti doni, la notte seguente disposta di chiarirsi, & veder il marito, apparecchiò un coltello, & nascose sotto un moggio una lucerna, con animo, se vere fossero le parole delle sorelle, che colui con cui giacesse fosse serpe, di ammazzarlo. Viene adunque secondo usanza Cupido, entra in letto, & s'adormenta: onde Psiche scoperto il lume vide un giovanetto bellissimo, ornato d'ali bianchissime, & a' suoi piedi vede l'arco, & la faretra piena di saette; delle quali per riguardarle havendone tratto una fuori affine di provare se pungessero, & toccatale la punta con un dito, si punse quello, di maniera che per la ferita n'uscì alquanto sangue. Di che avenne ch'ella subito s'infiammò di grandissimo amore del fanciullo che dormiva. Cosi, mentre che tutta piena di maraviglia stava a contemplarlo, occorse che una favilla della lucerna scoppiò, & cade sopra l' homero destro di lui, La onde Cupido destato subito si diede a fuggire. Ma Psiche pigliandolo per un piede, & a suo maggior potere tenendolo, tanto fu da lui portata per aere che, lassa, et afflitta, lasciandolo caddè. Onde Cupido volando sopra un vicino Cipresso con lunga querela la riprese, biasimando se stesso che, essendo stato mandato dalla madre per ferita d'amore del piu vil huomo che fosse, per la sua bellezza se medesimo havesse infiammato. Psiche adolorata del perduto marito volle morire; finalmente con frode indusse in precipitio amendue le sorelle, per li cui consigli era caduta in rovina. Indi fortemente villaneggiata da Venere, & da lei battuta, per comandamento di Venere fu posta a fatiche impossibili ad un mortale, & per opra del marito le essequì tutte; di che avenne poi per preghi di Cupido fatti a Giove ch'ella ritornò nella gratia di Venere, & fu assunta in Cielo, dove in perpetuo puote fruir di Cupido, al quale partorì la volontà, o vogliamo dir piacere. Serenissimo Re, se minutamente vorremmo cavare il senso di cosi gran favola, veramente ci sarebbe bisogno fare un gran volume, & però assai ci basterà mostrar la ragione perche Psiche sia detta figliuola d'Apollo, & Endelichia, chi si fossero le sue sorelle, & perche sia detta moglie di Cupido; con la parte appresso delle cose necessarie. Psiche adunque s'interpreta anima. Costei viene detta figlia d'Apollo, cioè del Sole; io dico di quel Dio che è vera luce del mondo, non essendo in potere di nessun altro, eccetto Iddio, crear l'anima rationale. Endelichia poi, sì come dice Calcidio sopra il Timeo di Platone, s'interpreta età perfetta, della cui in tutto si dice l'anima rationale esser figliuola; perche, se bene nel ventre della madre riceviamo quella dal padre de' lumi, nondimeno non appaiono le di lei opre se non nell'età perfetta, essendo noi più tosto formati con un certo instinto naturale, fino all'età perfetta, che con giudicio di ragione. Compiuta poi l'età incominciamo oprare con la ragione. Adunque bene viene detta figlia d'Apollo, & Endelichia. Costei ha due sorelle maggiori di età, non perche siano nate prima di lei, ma perche pria usano della sua potenza; delle quali l'una si dice vegetativa, & l'altra sensitiva. Le cui non sono anime come vollero alcuni, ma sono potenze di quest'anima; delle quali però Psiche è detta più giovane perche molto prima inanzi lei, la potenza vegetativa è conceduta al parto; & indi in processo di tempo la sensitiva; ultimamente poi a questa Psiche si concede la ragione; & perche sono nel primo atto, sono però dette prime congiunte al coniugio: il quale si serba a questa rationale stirpe divina, cioè all'amore honesto, overo ad esso Iddio, tra le delitie del cui viene portato da Zefiro, cioè dallo spirito vitale, che è santo, & congiunto al matrimonio. Questi vieta alla moglie che non brami vederlo se nol vuol perdere; cioè che non voglia dell'eternità sua, dei principij delle cose, & della onnipotenza, per le cagioni che sono a lui solo palesi. Percioche, quante fiate noi mortali cerchiamo tai cose, togliendosi di strada, perdiamo lui, anzi noi stessi. Le sorelle poi talhora pervengono fino ai primi segni delle delitie di Psiche, & de i suoi thesori ne portano quello le piace; in quanto che la vegetatione appresso i viventi con la ragione finisce meglio l'opra sua, et le sensitive virtudi sono più chiare, & durano più in lungo. Nondimeno invidiano la sorella; il che non è cosa nuova la sensualità essere discordevole con la ragione, et mentre con parole piacevoli non la ponno indurre che vegga il marito, cioè che voglia vedere con ragion naturale quello che ama, & non conoscerlo per fede, con terror si sforzano condurvela, affermandole lui essere fierissimo serpente; et essere per divorarla. La qual cosa tante volte aviene quante la sensualità si sforza addormentar la ragione, & dimostrar la contemplatione dell'anima; & non solamente levarle le dilettationi sensitive delle conosciute cose per cagione, ma ancho seminar le grandissime fatiche, & tormenti poco necessari, senza trarle poi alcuna piacevole ricompensa. L'anima poi mentre meno prudente presta fede a tali dimostrationi, desidera vedere quello che l'è negato, con animo di amazzarlo se non corrisponde al suo intento; vede la effigie del marito bellissimo, cioè l'opre estrinseche d'Iddio. La forma, cioè la divinità, non la può vedere, perche nessuno non vide mai Iddio. Indi con una favilla l'offende, cioè col superbo desiderio il ferisce; per lo quale divenuta disubidiente, & credula alla sensualità, perde il bene della contemplatione, & cosi si disgiugne dal matrimonio divino. Finalmente pentita, con astutia desidera la rovina delle suore, & di maniera le opprime che più non hanno nessun potere contra la ragione; poi con rovine, & miserie purgata della prosontuosa superbia, & disubidienza di nuovo ripiglia il bene del divino amore, & contemplatione, & perpetuamente a lui si congiunge, mentre abbandonate le cose frali viene condotta a gloria eterna. Et ivi dall'amore partorisce il piacere, cioè la dilettatione, & letitia sempiterna.

Arabe figliuolo d'Apollo.

Nel libro dell'historia naturale piace a Plinio che Arabe fosse figliuolo d'Apollo, & di Babilonia, il quale chiama ancho inventore della medicina. Penso io che costui fosse ò huomo di Babilonia, & ch'ivi prima dimostrasse la Medicina, overo che apparasse quella in Babilonia, & fosse il primo che la portasse in Arabia; & di qui fu detto figliuolo d'Apollo perche fu Medico, & di Babilonia, attento che ivi nacque, ò vi fu ammaestrato.

Titio terzo figliuolo di Giove.

Hora che habbiamo spedito la lunga discendenza di Apollo, l'ordine vuole che ritorniamo ai figliuoli di Giove, tra quali inanzi gli altri ci si appresenta Titio. Il quale, dice Leontio, fu figliuolo di Giove, & Hellaro, figliuola d'Orcomeno; la quale essendo pregna fu nascosta in terra da Giove che temeva dello sdegno di Giunone, onde avenne che il fanciullo nascendo parve prodotto di terra, sì come affermava Servio. La qual terra poi il nodrì, & cosi gli fu non madre ma nutrice. Costui nondimeno venuto in età perfetta amò Latona madre d'Apollo, & cercò vergognarla; La onde Apollo sdegnato con le saette amazzollo, & confinollo nell'Inferno. Con tal patto però, che il suo cuore fosse dato agli avoltoi che gli lo stracciassero fuori del ventre, & consumato fosse di novo reintegrato; & cosi mai gli avoltoi non cessassero di stracciarlo, nè egli di non sopportare. Hora ci resta scuoprire il velo di questa fittione, per vedere quello ch'in se contenga. Dice prima che Giove nascose la madre di costui pregna sotterra, percioche nessuna cosa più occoltamente si cuopre che quello che si sotterra; & però dobbiamo intendere che costei fu tenuta in segreto sotto guardia per tema di Giunone, cioè di maggior potenza, essendo Giunone Dea de Regni. Che la terra poi nodrisse Titio non è cosa nova, perche tutti siamo nodriti dalla terra. Ch'egli amasse Latona madre d'Apollo mostra il suo grand'animo, perche ricerca la grandezza che è madre della luce; ma da Apollo,cioè dal real splendore, viene cacciato nell'Inferno, cioè appresso i plebei; appresso e' quali sempre dimora pieno di cure a qual partito possa ritornare nel grado dove era caduto. Recita Leontio di questo Titio una breve historia, & dice che costui appresso Boemi fu grande huomo, & con tutte le forze cercò cacciare Apollo di Delfo; dal quale egli fu cacciato, & quasi ridotto a vita privata. Del supplitio poi dato a lui, Macrobio nel Sogno di Scipione cosi ne dice. L'avoltoio, che mangia il core, & il fegato, hanno voluto non deversi intender altro che i tormenti della conscienza, pena molto nociva; che rode le viscere interiora, & straccia essi membri vitali, non mai stanchi per lo ricordo della commessa scelerità; & sempre tiene desti i pensieri, se forse l'animo ricercasse riposare, accostandosi come una febre a quelli, che rinascono senza perdonare con nessuna misericordia a se stessa, con tal legge con la quale nessuno colpevole, essendo giudice, se medesimo assolve, nè di se può schifare la sentenza. Questo dice Macrobio.

Bacco quarto figliuolo del secondo Giove, che generò Himeneo, Thioneo, & Thoante.

Bacco viene detto da Ovidio, & gli altri poeti figliuolo di Giove, & Semele, della cui origine si recita tal favola. Amando Giove Semele figliuola di Cadmo, & essendosi ella di lui impregnata, Giunone andò a ritrovarla in forma di Boroe, vecchia Epidaura, & parlando seco la dimandò se Giove le voleva bene; a cui ella rispose che si credeva, che si; soggiunse Giunone, Figliuola, tu no'l puoi conoscere eccetto che in sol modo, cioè, se giurando egli per Stige ti promette venirsi a congiunger teco in quel modo, che fa con Giunone. Semele desiderosa di farne la prova, venendo Giove da lei con giuramento gli dimandò tal dono. Onde Giove tutto doglioso non potendo mancare al giuramento la fulminò, & trasse fuori del ventre di quella morta un figliuolo, & lo congiunse al suo ventre fino attanto che venisse il tempo che si ricerca ad una creatura stare nel ventre materno. Costui fu prima nodrito da Ino segretamente, poscia lo diede alle ninfe le quali ancho gli porsero alimenti, sì come dice Ovidio; & accioche non fosse ritrovato da Giunone, che il ricercava, il nascossero sotto l'hedere. Dicono appresso, che fu allevo di lui Sileno, il quale pigliato da Villani fu da Mida restituito a Bacco. Oltre ciò l'honorano d'una carretta, & compagni; de' quali cosi riferisce Statio;

 


Da man destra, e sinistra i Linci stanno

Del carro, che guidato è da le Tigri.

C'hanno i freni lavati di vin puro.

Poscia quei lieti a lui portano dietro

Le armentali spoglie, e i Lupi fieri

Con l'orse inique; & quello in van non segue

L'ira il furore; la virtù il timore

Senz'ardor sobrio a quel va dietro anchora.

Vi s'aggiungono anchor gl'instabil gradi,

Et gli steccati simili ad un Regno.


 

Dicono appresso che lui fu il primo, che piantò la vigna, come dice Accio nei Bacchi;

 


O Dionigi di Semele figlio,

Buon padre, che la vite pur piantasti.


 

Et di qui affermano che fu Dio del vino. Appresso gli consacrano l'Hedera, & il crivello, et Marsia il mettono sotto sua tuttela: indi gli danno per moglie Arianna figliuola di Minos. Rabano conferma il bastone essere stato da lui trovato, & chiamato, accioche gli huomini gravi per lo vino con quello si sostenessero. Il chiamano ancho con molti nomi, de' quali Ovidio;

 


Davan gl'incensi, & il chiamano Bacco

Bromio, Lico, Ignigena, & di novo

Nato, Solo, Bimatre, & vi s'aggiunge

Niseo, Non raso, Thioneo, & insieme

Con Leneo, genial fator de' l'uva;

Nittilio, & padre Eleo, Iaco, & Euhan,

Et oltre ciò con tutti quelli nomi

Che infiniti ritieni, o padre Bacco

Tra greche genti. Tu consumat'hai

La gioventù; & fanciul sei veduto

Bello, & eterno; quando entro del cielo

Veduto sei, & senza corna resti.


 

Alberico v'aggiunge altri nomi, & dice che si chiama Euchio, Briseo, & Bassareo. Lattantio dice anco che si chiama Ditirambo. Appresso, Servio vuole che fosse chiamato Orfeo, & da i Giganti lacerato a brano a brano; il che afferma Alberico, dicendo che da loro fu ritrovato ebbro; indi soggiunge che fu sepolto, & poi ritornò vivo intiero. Gli antichi il dipingevano ancho in habito di donna, & ignudo, & fanciullo, & sacravano a lui i notturni balli, i cembali, & i gridi, che da quelli erano chiamati Orgia, cioè sacrifici di Bacco. Oltre ciò si dicono molte altre cose; ma perche tutte non si sono ritrovate quelle che si cercano, vederemo quelle, che tra le ricordate si ponno vedere. Principalmente adunque pare che gl'historici tengano per certo questo Dionisio essere nato di Giove, & Semele: di maniera che del tempo tra gli antichi fu grandissima diversità; alcuni de' quali il chiamano Dionigio, altri padre Libero: & perche non si trova di qual Giove fosse figliuolo, io l'ho attribuita al secondo Giove, percioche pare che il suo tempo meglio si convenga col secondo che con alcuno degli altri. Dice Eusebio nel libro dei Tempi che alcuno stimano, che regnando Danao in Argo, Dionisio in India edificò Nisa, & cosi la chiamasse dal suo nome; & che in quell'istesso tempo egli guerreggiasse in India, & nel suo essercito havesse donne, cognominate Bacche,più tosto per lo furore che per la virtù. Il che fu d'intorno gli anni del mondo tremilasettecento, & ventinove. Poco da poi l'istesso Eusebio dice che regnando Danao in Argo Cadmo regnò in Thebe, della cui figliuola Semele nacque Dionisio, cioè il padre Bacco; il qual tempo, secondo la descrittione de' suoi anni, fu circa gli anni del mondo tremilasettecentosettantasei. Né molto dopo dice l'anno trentesimoquinto di Linceo, re d'Argivi, Dionisio latinamente detto padre Libero nacque di Semele; il che pare essere stato nei tremilleottocento, & quattordici anni del mondo. Indi soggiunge, regnando Acrisio in Argo, Dionisio detto padre Libero combattendo contra gl'Indi edificò la città Nisa appresso il fiume Indo; il che si può giudicare essere avenuto negli anni del mondo tremilleottocento, & settanta. Quanta sia questa diversità de' tempi raccolta da Eusebio dai Commentari degli antichi, facilmente si può vedere. Nostra cura è per conietture imaginarsi qual tempo tra tutti i detti più vero si può attribuire all'età di Bacco. Ma io, lasciate le ragioni che mi moveno, istimo il giorno di Bacco essere stato circa il più antico tempo di tutti questi, overo almeno quello che segue dietro, & egli essere nato a quel tempo nel quale si narrano quelle cose essere state da lui oprate. Ma lasciate queste curiositadi, verremmo alle fittioni. Che Semele fosse fulminata, cred'io ciò essere stato compreso dal caso, cioè o che fosse fulminata, overo da febre ardente alla morte condotta; l'una, & l'altra delle quali non si maraviglierà il saggio essere stata mandata da Giove, cioè dall'elemento del foco. Che il parto fosse anco tratto dal ventre della morta, & congiunto all'utero di Giove, in ciò si viene a disegnare il chiarissimo ufficio delle ostetrici. Percioche necessaria cosa è che con i calori estrinsechi, i quali si debbeno intendere per Giove, si dia vigore a colui che inanzi tempo è tratto dagl'intrinsechi. Ma essendo questa espositione Fisica, Pomponio Mela nella Cosmografia recita la historica, dicendo;  Tra le città c'habitano gl'Indi (& sono infinite) Nisa è famossissima, & grandissima; de' monti Meros è sacrato àa Giove. Di qui egli hanno la principal fama, percioche dicono che in quella fu generato il padre Bacco, & nell'antro di questo nodrito. Onde, che gli Auttori Greci dicessero che fosse locato al ventre di Giove, o la materia, overo l'errore ha ciò cagionato. Questo dice egli. Ma Alberico v'aggiunge, dicendo da Remigio essere affermato che in Nisa vi sono i manili del padre Bacco, in testimonio che ivi sia stato nodrito. Il che, se cosi è, istimo più tosto deversi intender dell'altro che di quello, che nacque di Semele; onde potrebbe essere che per consequenza da diversi Dionigi fossero nate tante contrarietà di tempi. Di costui, se questi fu quello, cosi dice Orosio;  Il padre Libero soggiogata l'India la bagnò di sangue, la empì d'occisioni, la bruttò di libidine; & non fu nessuna persona che non fosse mal trattata, et havesse un'hora di riposo. Ma per ritornar di novo a i sensi fisici sotto favola coperti, dico, che alcuni vogliono per Bacco deversi intendere il vino, & cosi Semele si piglierà per la vite; la quale per Giove, cioè per lo calore congiunto nello sparso humor della terra, che trahe l'humidità per li rami della vite, rende quella pregna, cioè morbida, et gonfia, & ne i racemi i succhi, & humori, sì come in conceputo ventre: allhora viene fulminata quando, appropinquandosi il calore dell'Autunno, non in più ampia maturezza, ma più tosto in corruttione, et putredine dei frutti cotti guidata, è necessario che sia levata, et al ventre di Giove, cioè all'altro calore congiunta. Il che si fa quando il vino presso dall'uve da noi viene fatto di nuovo bollire, fino a tanto che purgato da tal bollire sia buono, & atto ad essere bevuto. Indi Ino, cioè il vaso, il tiene occulto, cioè rinchiuso, affine che non sia ritrovato da Giunone, cioè dall'aere corrotto. Overo allhora diciamo Semele esser pregna di Giove quando nella Primavera veggiamo la vite per opra del caldo gonfiarsi: & allhora è fulminata; per lo disusato calore della state viene arsa, onde con i pampani aperti manda fuori i frutti, & incomincia spumare, il che si congiunge al ventre di Giove, cioè al diurno calore affine, che dal padre riceva quella maturezza che dalla madre non havea potuto; & allhora Ino serba quello occultamente mentre dai pampani, & dalle foglie è coperto, accioche dal soverchio calore non sia offeso, è poi nodrito dalle ninfe, mentre dall'humido della notte viene ristaurato quello che dal calore del giorno era stato arso. Il vecchio Sileno viene chiamato suo allievo, percioche i vecchi più tosto per lo vino che per lo cibo si sostentano; il quale a lui Mida avarissimo huomo fu restituito, perche l'avaro non si diletta di bevande. È stato poi da poeti detto ch'egli adopra il carro con que' compagni per dimostrare alcuni de' suoi effetti, percioche per lo carro si deve intendere la volubilezza degli ebbri. I Linci, cioè i lupi cerveri, a quello sono attribuiti per dar ad intendere che il vino, pigliato moderatamente, cresce l'ardire, & la vista. Li Tigri traheno il carro per dinotare la crudeltà de gli ubbriachi, perche il carico del vino non perdona a nessuno. Indi lo segueno i pazzi, & temerari, di sorte che senza consideratione andrebbono in ogni pericolo; i quali intendo che siano que' fieri Lupi, & rabbiose Orse che nella preda di Bacco sono portate. Che poi facilmente s'adirino, & indi vengano in furore, chiaramente egli si vede; & cosi non sono accompagnati da sobrio ardore. Timidi ancho sono i vinolenti, perche perduto il dritto giudicio di ragione, spessissime volte temeno cose da non temere. La Virtù poi per qual ragione si aggiunga al carro di Bacco, è stato toccato dove havemo detto dei Linci. Gli instabile gradi sono annoverati tra i compagni di Bacco per designare il vacillar degli ebbri, i quali caminano con tanta instabilità che di continuo paiono cadere. Si aggiunge che Bacco ha gli steccati simili a quelli dei re, & non immeritamente, percioche, se veggiamo le historie, vedemo ivi tabernacoli di frondi, le tavole apparecchiate, i cibi da mangiare, & i vasi col vino; indi vi si veggono persone tumultuose, & piene di risse, le quai cose tutte simili sono ai campi degli esserciti dei re. È cosa ancho possibile che Bacco appresso Greci fosse il primo che piantasse la vigna, & ne cavasse il vino; conciosia che molto prima havemo per cosa chiara che Noé fece questo appresso gli Hebrei. Nondimeno alcuni dicono che Bacco non piantò la vite, ma che ritrovò l'uso del vino da Thebani non conosciuto, & che il congiunse con altri vari licori accioche fosse più dilettevole; il che, perche parve maraviglioso, appresso i rozi fu prima tenuto Iddio del vino. Oltre ciò dicono l'hedera essere sacrata a lui, cred'io perche, sì come le viti mandano fuori i loro pampani, & uve, cosi ancho l'hedera manda fuori i suoi racemi torti, & i frutti simili alla vite, & appresso ancho perche l'hedera è sempre verde, per la cui si viene a dinotare la perpetua gioventù del vino; il quale mai non s'invecchisse, anzi quanto è di più tempo, tanto ha maggior possa. Di questa ancho furono soliti già coronarsi i poeti, percioche per la facondia sono sacrati a Bacco, & affine di mostrare l'eternità dei versi. Il crivello poi è dedicato a lui [con] ragione misteriale, percioche dice Servio i sacrifici di Bacco appartenersi alla purgatione dell'anima, sì come per lo crivello si purgano i fromenti. Furono nondimeno di quelli che vollero queste purgationi farsi dagli huomini viventi per estrema ebrietà, la quale è il sacrificio di Bacco, affermando che se alcuno divenisse tanto ebbro che fosse sforzato vomitare, che dopo il passato stupore del cervello l'animo spogliato di noiosi pensieri resta tranquillo. Alla cui openione pare che Seneca in quel libro ch'egli scrisse della tranquillità dell'animo s'accosti. Vollero poi che Marsia fosse locato sotto sua difesa; perche fu audace, anzi temerario contra Apollo; per la qual temerità intendo la loquacità dei vinolenti che tende verso ciascuno, per la cui alla presenza degli ignoranti spesse volte i prudenti da i rozzi paiono restar confusi: i quali non avertiscono che l'oratione di questi tali non è fatta con ordine alcuno, ma a guisa di Satiro, come fu Marsia, qua, & la va saltando, & vacillando. Finalmente nel cospetto dei dotti, & saggi spogliato Marsia, cioè scoperta la prosuntione de i riscaldati, si rivolge in folgore, cioè cade, & il parlare di questi tali si risolve come se non havessero detto nulla. Quello poi che s'appartiene ad Arianna si narrerà nelle cose seguenti dove di lei si tratterà. Che costui fosse lacerato dai Giganti, & poi sepolto, credo essere stato detto perche da Eusebio nel libro de i Tempi si scrive che regnando Pandione in Atene, cioè negli anni del mondo tremilleottocento e novantasei (testimonio Marco Varrone Poeta), questo padre Libero guerreggiando contra Perseo fu morto in battaglia, & che la sua sepoltura si vede in Delfo appresso l'aureo Apollo. Et questo sia detto in quanto all'historia. Ma alle fittioni da alcuni s'aggiunge che egli, benche fosse sepolto tutto stracciato, nondimeno suscitò intiero; la qual cosa penso deversi intendere che, bevendosi più fiate, per lo calore del vino si move una ebbrietà per la cui assai si vede Bacco vivere, & oprare alcuna cosa. Nondimeno d'intorno ciò diceva Alberico Bacco deversi intendere l'anima del mondo, la quale, benche per li corpi del mondo a membro per membro sia divisa, tuttavia pare che si rientegri, attuffandosi, & riformandosi, et sempre perseverando una istessa, non patendo alcuno affanno della sua semplicità. Ma io istimo questo Bacco d'Alberico deversi intendere il Sole di Macrobio. Esso Macrobio transferisce tutte le deitadi. È depinto in habito di donna perche nell'impresa contra gl'Indi hebbe nel suo essercito molte donne, sì come è stato predetto, overo perche il continuo bere indebilisce le forze, & alla fine rende anco debile il bevitore. Ignudo poi viene dipinto perche l'ebbro manifesta il tutto, overo perche il bere ha già condotto molti a povertà, & a restar ignudi; o pure perche il bere genera calidezza. È figurato fanciullo: attento che non altrimenti gli ebbri sono lascivi, che i fanciulli; a' quali non è ancho l'intelletto intiero. Hora ci resta veder de i nomi. Primieramente si chiama Bacco, che suona l'istesso che furore; percioche il vino, & specialmente il novo, è di cosi focoso furore che non può essere tenuto rinchiuso da nessuna chiusura, & anco rende furiosi quelli che il pigliano senza misura, sì come è stato predetto. Chiamasi Bromio da Bromin, che significa consumare, percioche la modesta bevanda del buon vino consuma le superfluità dei cibi, & aiuta il padire, sì come à i Fisici piace; ma pigliato fuori di misura disecca l'humidità buona, & avilisce di sorte le forze dei nervi, che per lo più gl'ingordi diventano tremanti, & debili. Chiamasi appresso Lieo da Lien, che vuol dire tratto, perche a volta a volta si bee; overo da ligo, ligas, perche pigliato modestamente raccoglie le disperse forze, & le accresce, ma dishonestamente lega i sensi, & la ragione. Overo, secondo Fulgentio, è detto Lieo perche ci concede una certa lenità, & piacevolezza, che, poscia che alquanto habbiamo bevuto, diventiamo più essorabili. Si dice ancho Ignigena, o perche sia generato di fuoco overo perche genera il fuoco, cioè il calore: attento che veggiamo i capi deni bevitori fumosi, & che alle volte per la callidità metteno giù le vesti. Si noma ancho Nato di nuovo, & per ciò il dicono Ditirambo, che, secondo Lattantio, suona l'istesso: onde che un'altra fiata sia nato di sopra egli s'è dimostrato, & indi, meritevolmente, Bimadre. Niseo poi è chiamato dalla città Nisa dove è adorato overo da Nisa, una delle cime del monte Parnaso à lui consacrata. Thioneo, che suona l'istesso, che fà intonso, cioè non raso, è chiamato perche le viti da' quali nasce hanno i palmiti lunghi; overo, il che istimo meglio, per dimostrata sua pueritia: attento che i fanciulli sono senza peli. Riformator della uva è detto, perche fu il primo che piantò la vite. Nittilo poi perche fa venir la notte, cioè le tenebre à i sensi. Eleo da Elea, città dove grandemente era riverito. Hiaco, perche fa venire il singhiozzo à gli huomini. Ehua poi è una interiettione di lodar Bacco, & significa buon fanciullo. Briseo (secondo Alberico) perche fu il primo che cavò il vino dall'uva; overo Briseo; quasi hirsuto, cioè superbo. Onde di quì fù detto ch'egli in Grecia hebbe due statue, una hirsuta chiamata Brisei, & l'altra delicata nomata Lenea. Fu detto Bassareo dalla qualità delle vesti usate dalle ministre ne suoi sacrifici; di che tali ministre erano chiamate Bassaride. Si dice poi padre Libero perche pare che apporti libertà à gli huomini, percioche ancho i servi ubbriachi, mentre che quella ebrietà dura, istimano haver rotto i legami della servitù. Oltre ciò libera dai pensieri, & ci rende più securi nelle essecutioni; rende liberi i poveri da' bisogni; inalza anco gli abbattuti in alto. Et dice Alberico che nel principio delle edificationi delle città, facendosi per buon augurio sacrificio agli altri Dei, si facevano ancho al padre Libero, accioche conservasse la libertà alla futura patria. Oltre questo, tutte le città che ubbidivano a' Romani Imperatori del mondo erano o tributarie, o confederate, overo libere. Nelle città libere adunque in segno della libertà v'havevano il simulacro di Marsia, il quale habbiamo detto di sopra essere in protettione del padre Libero. Appresso fu in costume à Romani dare la toga libera ai giovanetti nelle feste liberali, per dinotare la vita più libera conceduta per l'avenire; i cui sacrifici (dice Servio) furono prima transferriti à Roma da Giulio Cesare, ne' quali s'immolava un Capro; & questo si faceva perche alle volte le caprette guastavano i racemi delle viti crescenti. Dice Marco Terentio Varrone, dove tratta dell'agricoltura, che i Capri a lui sono sacrificati come ad inventore della vite, accioche col supplitio del capo patiscano le pene. Ma io non istimo che questi sacrifici fossero prima trasferiti a Roma da Giulio Cesare, ma che si debba intendere di quel Padre Libero del quale pare c'habbia voluto Cicerone, mentre trattando delle Nature de' Dei scrisse;  Io dico questo Libero nato di Semele, & non quello che i nostri maggiori santamente, & altamente giudicano Libero. Et quello che segue. Il quale io istimo, secondo l'openione di Macrobio, essere il Sole, da loro tenuto per padre di tutte le cose, & di qui detto padre Libero. Et cosi penso ancho haver inteso Virgilio, quando dice;

 


Tu Libero, & tu insieme Cerere alma

Che l'anno per ciel guidate intiero.


 

Et quello che va dietro; percioche Bacco non è quello che conduce l'anno, che gira per lo Cielo, ma il Sole. Et queste veramente furono quelle due deità che grandemente adorarono gli Etrusci. Ma fosse chi si volesse questo Libero, Agostino nel libro della Città d'Iddio mostra dagl'antichi esserli stati celebrati vituperosi sacrifici; & tra l'altre cose dice che in suo honore publicamente s'honorarono le parti virili vergognose, di maniera che nei festivi giorni di Libero il membro virile si portava diritto nella città con parole sceleratissime, conceduta ogni licenza: indi condotto per tutta la città, & per le piazze, il mettevano al suo loco statuito; fatto questo, la più honesta donna madre di famiglia che fosse tenuta nella Città il coronava. Appresso, questo Bacco si chiama ancho Dionisio, del qual nome si tratterà dove si narrerà di Dionigi.

Himeneo figliuolo di Bacco.

Himeneo secondo Alberico fu figliuolo di Bacco, & Venere, & con l'auttorità di Remigio segue dicendo che per tale fu tenuto percioche per la soverchia lascivia suole eccittare la libidine. Himen in greco si chiama Membrana, la qual'è proprio il sesso feminile, nella quale diconsi fare le fanciullarie. Indi Himeneo fu detto Dio dalle nozze. Ma Lattantio dice essere cavato dall'historia, scrivendo che Himeneo fu un fanciullo Atheniese di mediocre conditione, il quale, passando gli anni dell'età puerile, & non essendo ancho giunto alla virile, fu di tanta singolar bellezza che da molti era tenuto per donna. Questi essendosi inamorato d'una donzella nobilissima, & delle prime della città, & all'incontro ella di lui, percioche non sperava poter haverla per moglie si contentava almeno di vagheggiarla. Onde avenne che, celebrando le prime donne della città insieme con le donzelle i sacrifici di Cerere Eulesina fuori della terra, scorsero certi corsari ivi d'intorno, che sopra aggiungendole le rapirono tutte; tra quali ancho fu preso Himeneo, che ivi era andato per veder la sua carissima donna. Havendo adunque i corsari per lontani mari condotto la preda, & essendo giunti in un certo paese, dove smontati s'adormentarono, furono tutti amazzati dai prigioni.]

Di che Himeneo, lasciate le vergini, volò ad Athene, & si convenne con i parenti della donzella da lui amata che, s'egli gli restituiva tute le donne rapite, eglino gli dessero pesposa la fanciulla; il che fatto, la hebbe per moglie. Il qual matrimonio, perche era stato felice, piacque agli Atheniesi aggiungere il nome d'Himeneo alle nozze. Nondimeno vi sono di quelli che dicano che il giorno delle nozze egli fu oppresso, & morto d'una certa ruina, onde per cagione di purgatione fu ritrovato che il nome suo s'havesse a celebrare nelle nozze; il che Servio in tutto danna. Ma io istimo che sia detto figlio di Bacco, & Venere perche col mezzo di due si fanno le nozze, overo perche due intervengono alle nozze, cioè la festa, & la copula carnale. Per la festa si deve intender Bacco, sì come si vede per Virgilio, quando dice;

 

Bacco vi sia dator dell'allegrezza.

 

Per Venere poi la copula carnale; parenDo che a lei s'appartenga congiungere il maschio, & la femina per generar figliuoli; cosi di questi due si fanno le nozze, overo Himeneo che si debbe intendere per le nozze.

 

Thioneo figliuolo di Bacco.

Ovidio chiama Thioneo figliuolo di Bacco, & di lui recita una breve favola. Dice che egli havendo rubato un Bue, & per ciò i Villani essendoli dietro, Thioneo, chiamato fortemente in suo aiuto il nome del padre, avenne che da Bacco fu cangiato in un Cacciatore, & il Bue in un Cervo. Penso io che costui fosse un ladro, ma che havendo molto bene i Contadini bevuto, egli facilmente desse ad intendere a quelli, che gli dimandavano il suo Bue, sE essere Cacciatore, & il Bue Cervo.

Thoante figliuolo di Bacco, che generò Issifile.

Thoante fu figliuolo di Bacco, sì come si dimostra nei versi d'Ovidio, che dice;

 


Allhor Thioneo ne la notte prima

Al figliuolo Thoante si scoperse


Tutto tremante a quel donando aiuto.

 

Ma Paolo testimonia ch'egli nacque d'Arianna figlia di Minos. Nondimeno mi maraviglio come habbia potuto far questo, attento che Thoante, sì come si mostrerà più di sotto, generò Issifile, la quale al tempo della guerra Thebana serviva a Ligurgo Nemeo per balia di Ofelte, & Arianna pria che si maritasse fu rapita da Theseo, doppo ch'hebbe partorito Hippolito, il quale poco innanzi il principio della guerra Thebana venne in Italia. Et cosi Thoante fu molto più antico che Arianna. Costui (come testimonia Statio) già vecchio signoreggiando in Lenno, & havendo tutte le donne, di consentimento commune, amazzato tutti gli huomini di Lenno, dalla figliuola Issifile, che facendo un rogo finse haverlo morto, fu salvato, & di notte mandato nell'isola di Chio.

Issifile figliuola di Thoante.

Issifile fu figliuola di Thoante, secondo che Statio dimostra, mentre dice;

 


A quale il regno, e il genitor Thoante,

Et il chiaro Euban de la stirpe zio.


 

Questa adunque, si come riferisce l'istesso Statio, havendo consentito al commune consiglio delle donne di Lenno di amazzar tutti i maschi, & vivere con le loro leggi, in quella notte che dall'altre donne fu commessa la iniquità messe il padre Thoante in una nave, raccomandandolo al padre Bacco, & il mandò nell'Isola Chio: indi nel palazzo reale fatto un sublime rogo, fece finta haver amazzato il padre, & in loco di quello signoreggiò alle donne homicide. La quale regnando (come dimostra Statio) avenne che, andando gli Argonauti con Giasone in Colcho, & essendosi accostati al lito di Lenno, ò perche non fossero ricevuti, ò perche volessero vendicare la scelerità, per forza presero l'Isola, & cosi essendo ivi allogiati, tra gli altri Giasone fu raccolto da Issifile, & seco hebbe a fare. Ma facendoli instanza i compagni, & avicinando il tempo del promesso ritorno, rimontando in nave d'ivi si partì, et la lasciò pregna; la quale poscia partorì due figliuoli, Thoante & Euneo. Ma non ritornando più Giasone, & per caso essendosi accorte le donne di Len- no ch'ella havea perdonato al padre Thoante, fu cacciata dal Reame: et essendo rimasta sopra il lito fu presa da Corsari, & menata al servigio del Re Nemeo, il quale le diede a nudrir Ofelte suo picciolo figliuolo: onde ella attendendo al suo ufficio, avenne che, venendo Argivi contra Thebani, & essendo giunti nella selva Lemea, dove si morivano di sete, per caso le spie che erano inanzi, overo esso Re Adrasto Re d'Argivi, la ritrovò, & la interrogò se sapeva insegnarli nessun fonte. La quale subito andò a mostrarli il fiume Langia, dove i Re, & quei che seguivano dietro si trassero la sete; ma mentre che Issifile andava seco quei la interrogarono, chi ella si fosse; di che havendoli veritevolmente raccontato la conditione sua, occorse, che Thoante, & Euneo suoi figliuoli ivi presenti col re la conobbero per madre, & facendola fermare, la consolavano de' suoi dolori. Ma intanto ch'ella racconta le sue sventure, essendosi scordata dell'allievo, che da lei era stato lasciato in un prato scherzando tra l'herbe, & fiori, quando andò a mostrargli il fiume, fu morto con la coda da un serpe. La onde tutto l'essercito si turbò. Ma Licurgo sopportando malamente la morte del figliuolo cercava contra lei vendicarsi; nondimeno fu dal Re Adrastro, dagli altri re, & da i figliuoli difesa. Quello che finalmente avenisse poi di lei, non mi ricordo haver mai letto.

 

Anfione Re di Thebe quinto figliuolo del secondo Giove, che generò sette figliuoli, & altrettante figlie.

Anfione fu figliuolo di Giove, & Antiope, si, come narra Homero nell'Odissea; del cui nascimento dove si tratta d'Antiopa si recita la favola. Nondimeno Ovidio dice, ch'ivi non si scrive, che Antiopa fosse impregnata da Giove converso in Toro.

Et altrove dice;

 


Giove cangiato sotto habito, e forma

Di Satiro, per far Antiopa pregna.


 

Et quello che segue. Oltre ciò Homero vuole che Giove havesse di Antiopa tre figliuoli, cioè Anfione, Zeto, & Calati. Vogliono appresso che questi fossero esposti dalla madre cacciata da Linceo Re di Thebe per lo stupro commesso con Epafo, overo Giove; i quai figliuoli cresciuti in età, & essendo stati nodriti da un certo pastore, si levarono contra Linceo, & l'amazzarono insieme con Dirce di lui moglie; & finalmente cacciato il vecchio Cadmo regnarono in Thebe. Di questi adunque, secondo Servio, Anfione fu tanto eccellente nella Musica che, appresso Lattantio, meritò da Mercurio la Cithara, con la quale edificò le mura di Thebe; sì come mostra Seneca poeta nella Tragedia d'Hercole Furioso, dicendo;

 


Le cui mura Amfion nato di Giove

Edificò; con il sonoro canto


Ivi trahendo, & conducendo pietre.

 

Scrive ancho Plinio i canti Lidii. Appresso, di costui fu moglie Niobe figliuola di Tan- talo, dalla cui secondo Homero nella Iliade hebbe dodici figliuoli. Ma secondo i Poeti Latini, & specialmente Ovidio, ne hebbe quatordici, i quai per la superbia di Niobe veggendo essere stati morti da Apollo, & Diana, se stesso con un coltello amazzò. Hora ci restano a dichiarare le fittioni. Dicono adunque che costui fu generato da Giove Toro, overo Satiro; il che penso essere finto per dimostrare il fervore della libidine che ci opprime, percioche altrove si scrive Antiopa per forza essere stata oppressa. Nondimeno Theodontio dice che Anfione, & i fratelli furono figliuoli non di Giove, ma di Epafo, & Antiopa, & che per questo Antiopa fu repulsata dal marito Linceo Re di Thebe di Egitto; contra il cui Linceo movendosi, i giovani, già cresciuti in età, l'amazzarono, & fuggirono in Grecia, dove ricevuti da Cadmo già vecchio il privarono del reame, & si chiamarono figliuoli di Giove. Questi fu in fiore (sì come dice Eusebio nel libro de' Tempi) nella Musica, regnando Linceo in Argo. Ch'egli poi in edificar Thebe col suono della lira movesse i sassi (secondo Alberico), non fu altro che con dolce armonia di parole persuase a gli ignoranti, rozzi, & duri huomini che quà, & La sparsi dimoravano, che insieme si convenissero, & civilmente vivessero, & per publica difesa circondassero una Città di mura. Il che fu fatto. Che poi egli havesse da Mercurio la Cithara, ciò fu, secondo ch'affermano i Mathematici, perche dall'influsso di Mercurio hebbe la eloquenza.

 

I quatordici figliuoli d'Anfione.

Di Niobe hebbe Anfione sette figliuoli, & altrettante figliuole, de' quai questi furono i nomi: Archemoro, Antegoro, Tantalo, Fadimo, Sipolo, Xemarco, & Epinito. Le figliuole poi furono Asticratia, Pelopia, Chelori, Cleodose, Ogune, Fitia, & Nerea. Ovidio dice che i maschi furono amazzati da Apollo per la superbia di Niobe, che contra Latona sparlava; & le femine furono morte da Diana al conspetto della madre. Nondimeno Ovidio discorda da Lattantio in alcuno dei nomi, percioche invece di Archemoro, Antegoro, Xemarco, & Epinito, Ovidio vi mette Ilmeneo, Alfenore, Damasicone, & Ilioneo. Tra questi non so quale Homero chiamasse Amalea; il qual Homero dice che questi tali figliuoli, amazzati, stettero nove anni senza sepolcro. Finalmente convertiti que' popoli in sassi, furono coperti, benche altrove dice che furono sepolti nel monte Sifilo. Che adunque questi tali figliuoli morissero cosi in un subito, credo che ciò avenisse per la peste, essendone Apollo il rovinatore; & di qui avenne che mancando gli huomini, mancarono ancho chi loro sepellissero, i quai huomini venuti meno, & convertiti in sasso, cioè in polve, coprirono quelli non sepolti, overo fu tenuto che gli coprissero. Overo (il che penso più tosto) che i popoli divenuti di sasso, cioè indurati per li mali, trovate dell'urne, come dice Homero, gli sepellirono appresso il monte Sifilo: percioche alle volte per la soverchia pietà non possiamo quello che debbiamo. Overo puote accadere altrimenti, che questi per la iminente peste fossero sepolti privatamente, & che cosi stessero nove anni, fino a tanto che, secondo l'usanza reale, furono posti in sepolture di pietra.

 

Zeto sesto figliuolo del secondo Giove, che generò Ithilo, & Thio.

Fu Zeto figlio di Giove, & Antiopa, sì come è stato detto dove s'è detto d'Anfione. Dice Lattantio sopra l'Achilleide, & Servio medesimamente, che costui fu rustico huomo: benche regnasse col fratello.

Ithilo et Thio figliuoli di Zeto.

Ithilo, & Thio (come testimonia Homero nell'Odissea) furono figliuoli del re Zeto, & Aidonna sua moglie. Ithilo in errore di notte fu morto dalla madre Aidonna, credendo ch'egli fosse Amalea figliuolo d'Anfione, percioche ella havea invidia alla moglie d'Anfione perche havea sei figliuoli maschi. La quale conoscendo poscia il suo fallo; desiderò morire; nondimeno per misericordia degli dei fu cangiata in Cardelino, che piange Ithilo. Di Thio ci resta il solo nome.

Calato settimo figliuolo del secondo Giove.

Calato fu figliuolo di Giove, & Enthiopa, sì come Homero scrive nell'Odissea; del quale non mi ricordo altro, che il nome solo.

 

Pasithe, & Egial, & Eufrosine, che sono le tre gratie, & furono figliuole del secondo Giove.

Pasithea, Egiale, & Eufrosine, le quali si chiamano le Gratie, overo Charite (sì come piace a Lattantio) furono figliuole di Giove, & Anthonoe. Dicono che queste sono serventi di Venere, & affermano ch'elle si lavano nell'Acidalio fonte che è in Orchomeno, città di Boemia; & indi caminano ignude, tenendo due di loro le faccie rivolte verso noi, & la terza il tergo. Quello adunque che sotto queste figure vollero intendere gli antichi, ci resta scoprire. Tendendo il nome di Gratia sempre a buon fine, meritamente sono dette figliuole di Giove, i cui effetti sempre tendeno in bene. Et essendo Venere cagionatrice di tutte le congiuntioni per la potenza a lei conceduta, sì come è stato detto di sopra, meritamente a quella compiacciono, veggendosi sempre che alcuno, per lo precedere di qualche gratia, s'unisce overo diventa amico d'un altro, come sarebbe à dire per lo mezzo d'alcuno beneficio fatto, overo per conformità di complessione, & costumi, o per agguaglianza di studi, & altre cose simili. Et però (sì come piace a Fulgentio) Pasithea, la quale è la prima delle Gratie, s'interpreta attrahente, percioche principalmente per ogni causa che si moviamo siamo condotti dal desiderio, che in noi d'alcuna cosa nasce. La seconda, che si chiama Egiale, s'interpreta lusingante, ò vogliamo dir dilettante; conciosia che se in processo di tempo non ci dilettasse quello c'habbiamo per inanzi desiderato; non si continuarebbe nell'amicitia, anzi subito si sciorebbe; & però è necessario che piaccia, & diletti quello che per innanzi ci havea mosso. La terza poi si chiama Eufrosine: il che suona retinente; affine che per ciò s'intenda ciascuno essere guidato invano alla dilettatione di qualunque cosa, & cosi condotto, vanamente dilettarsi, se ciascuno con l'opra sua non ritiene quello, che l'havea condotto, & gli diletta. Et di qui puoi conoscere due delle Gratie venire in te. Overo altrimenti. Se alcuna speme haverai posto in cosa grata; da quella il doppio, & più in te ritornare vedrai; & perciò Ilioneo appresso Virgilio dice a Didone;

 

Né d'esser stata prima a te non caglia.

 

Come s'egli voglia intendere, & dire; Se tu farai qualche bene a noi, & che Enea viva; tu riceverai da lui il merito doppio. Sono dette poi bagnarsi nell'Acidalio fonte, perche Acida in greco volgarmente vuol dire cura, overo pensiero: la onde questo è finto affine, che sentiamo che mentre siamo condotti, mentre prendiamo dilettatione, & mentre ci sforziamo fermarci, siamo travagliati da diversi pensieri. Non per altro vollero ch'elle caminassero ignude; eccetto accioche conoscessimo, nel pigliare le amicitie, nessuna cosa non finta, non vestita nè contrafatta dovervi intervenire; anzi a ciò dobbiamo condursi con la mente pura, & aperta, percioche quelli che cercano altrimenti più tosto si ponno chiamare mercanti d'amicitie che veri acquistatori di quelle.

 

Lacedemone undecimo figliuolo del secondo Giove, che generò Amiclate.

Lacedemone (come scrive Dite Candiano in quel libro ch'egli compose sopra l'espositione dei Greci contra Troiani) fu figlio di Giove, & Taigeta, figliuola d'Agenore re di Fenicia; benche Eusebio nel libro de i Tempi dica che fosse figlio di Semele, senza sapersi il padre, & che edificasse Crotopo città, regnando Lacedemone in Argo.

 

Amiclate figliuolo di Lacedemone, che generò Argalo.

Sì come afferma il predette Dite, Amiclate fu figliuolo di Lacedemone, benche vi siano libri ne' quali si legga Lacedemone essere stata femina, & di lei esser nato Amiclate. Nondimeno io istimo che fosse huomo.

Argolo figliuolo d'Amiclate, che generò Oebalo.

Vuole l'istesso Dite che Argolo fosse figliuolo di Amiclate; il quale secondo Theodontio fu il primo che in Achaia messe insieme la carretta; ma io temo ch'egli non si sia quasi ingannato dalla similitudine del nome, percioche il primo che in Grecia fece la Carretta fu chiamato Aregillo, & quella ritrovò regnando Argo Forbante, che fu molto prima di Argolo.

 

Oebalo figliuolo d'Argolo, che generò Tindaro, & Icaro.

Oebalo (secondo Dite, & Theodontio) fu figliuolo d'Argolo, il quale (dice Paolo) regnò appresso Laconi; a quai da se diede il nome di Oebali. Ritroviamo che costui hebbe due figliuoli, Tindaro, & Icaro.

Tindaro figliuolo d'Oebalo.

Tindaro (come scrive Dite, & Theodontio) fu figlio d'Oebalo, & a lui successe nel reame; del quale, se bene altro non si legge, almeno habbiamo che di quello fu moglie Leda. La quale, se non di lui, nondimeno di Giove nel suo palazzo reale partorì Castore, Polluce, Helena, & Clitennestra, benche vi siano di quelli che dicano Castore, & Clitennestra non di Giove, ma di Tindaro essere stati figliuoli. Tuttavia io tengo che tutti quattro fossero di Tindaro; ma sia da me lontano ch'io toglia a cosi pudicissimo Iddio que' figliuoli che la liberale antichità a lui ha dedicato.

 

Icaro figliuolo d'Oebalo, che generò Erigone, Iptima, & Penelope.

Icaro, secondo Leontio, fu figliuolo d'Oebalo. Dice Lattantio che costui fu compagno del padre Bacco, & che da lui hebbe in dono concedere il vino a mortali. Il quale havendolo dato a pastori, overo secondo altri, a suoi lavoratori, & quelli, ò perche n'havessero preso oltre il dritto, overo a tal licore non fossero avezzi, divenuti ebbri, & indi istimando che Icaro gli havesse avenenati, amazzarono lui, che appresso Marathone era alla caccia. Onde Servio dice che lungamente il suo cane fece la guardia al corpo. Finalmente (sì come afferma Theodontio) il cane cacciato dalla fame ritornò a casa, & subito che Erigone figliuola d'Icaro gli hebbe dato del pane, egli incontanente ritornò al corpo del padrone; di che Erigone seguendolo ritrovò il padre morto, per li cui preghi Icaro finalmente fu assunto in cielo, & cangiato in Boete, & insieme con lui il cane, che si chiama Assirio. Egli è cosa possibile che, essendo nell'ottava sfera molte imagini figurate con un certo disegno di stelle dagli antichi Astrologi, che alcune di queste per consolatione dei posteri, doppo Icaro fossero nomate dal nome d'Icaro, & dal suo cane. Ma io non credo che questo Icaro fosse quello che fu figliuolo d'Oebalo, & padre di Penelope.

 

ERIGONE FIGLIuola d'Icaro.

Erigone fu figliuola d'Icaro, come afferma Lattantio, & Servio; della quale essendosi inamorato Bacco (secondo che dice Ovidio), da lui cangiato in uva, fu impregnata. Costei nondimeno, sì come vuol Servio, essendo stata guidata dal cane nella Marathonia selva, et havendo ritrovato il padre morto, & piantolo lungamente, finalmente non potendo più sopportare il dolore se stessa con un laccio appese; ma o per lo soverchio peso del corpo, o per la debilità della fune o del ramo, avenne ch'ella caddè in terra, a compassione della quale mossi gli dei la trasferirono tra le stelle, & nel Zodiaco la fecero quel segno che hora chiamamo Vergine. Nondimeno in processo di tempo turbando (secondo Lattantio) l'ombra di lei tutto quel paese, per mitigare la sua ira, fu ritrovato, che si formasse una imagine di cera, & si sospendesse su quell'istesso albero, & dai pastori, & da' cani facevano celebrare quel solenne giorno. Onde Virgilio disse.

 


Et l'imagine tua su l'alto pino

Sospendon, per sacrar festivo il giorno.


 

Ma Servio dice altrimenti, percioche vuole che dopo alquanto tempo essendo mandata una infermità à gli Atheniesi, tale che ancho le vergini guidate da certo istrano furore s'appiccavano, & dall'oracolo essendogli risposto che quella peste non si poteva acquetare se non ritrovassero i corpi d'Erigone, & Icaro; i quali lungamente furono ricercati; ma non si potendo ritrovare, gli Atheniesi per mostrare la loro divotione, quasi che volessero mostrare ricercarli ancho in altro elemento, legavano delle funi agli alberi: alle quali tenendosi gli huomini con le mani in aere qua, & La si movevano, & aggiravano, come quasi se volessero cercare i loro corpi per l'aria. Ma perche molti cadevano, trovarono delle imagini a sua simiglianza, & in vece loro movevano quelle sospese. Onde furono chiamate Oscille, percioche movevano le faccie; & in quel modo fu purgata la peste. Ch'ella poi fosse ingannata, & impregnata da Bacco in forma d'uva; credo fosse detto perche fu cosa possibile ch'ella mangiando dell'uva divenisse ebbra.

 

Hiptima figliuola d'Icaro.

Hiptima fu figliuola d'Icaro, come testimonia Homero nell'Odissea, dicendo;

 


A Hiptima figliuola del magnanimo Icaro,

moglie d'Eumilo, c'habita in casa del fratello.


 

Penelope figliuola d'Icaro, & moglie d'Ulisse.

Penelope fu figliuola d'Icaro, come mostra Homero nell'Odissea, mentre dice la molto saggia Penelope figliuola d'Icaro. Costei, sì come è palese, fu moglie d'Ulisse, & di lui partorì il figliuolo Thelemaco. Poscia essendo andato Ulisse a Troia, & indi dopo l'esser rovinata Troia, havendo molto errato, ella sopportò molte cose, sì per difender la sua pudicitia, la quale molti dei Proci cercavano corrompere, come ancho per la tema delle insidie poste da quelli contra Thelemaco, & per lo dolore del non ritornante Ulisse. Finalmente conservando il tutto rihebbe il marito; ma qual fine fosse il suo, non se ne ha certezza. Nondimeno Leontio dice, Licofrone Poeta greco, scrivere che Penelope si congiunse con tutti i Proci, & di uno di loro partorì un figliuolo chiamato Pana, che nel suo ritorno essendosi accorto Ulisse, subito se n'andò nell'Isola Gortina, & ivi se ne morì. Ma da me sia lontano, ch'io creggia, che la pudicitia di Penelope, celebrata da tanti, & cosi famosi auttori, fosse da nessuno machiata; ciò che Licofrone ha scritto, egli l'hà detto come mala lingua.

 

Tantalo duodecimo figliuolo del secondo Giove.

Spedita la progenie dei Lacedemoni, egli è da ritornare agli altri figliuoli del secondo Giove, tra i quali Theodontio dice, che Tantalo ne fu figliuolo. Fu questi antichissimo Re de Corinthi, & pio, & spesso sedette alle mense de gli Dei; il che penso essere stato finto perche la Roccha di Corintho è cosi eccelsa che s'alcuno sopra vi sale, pare, ch'ascenda in cielo, & sia co' gli Dei.

 

Hercole decimoterzo figliuolo del secondo Giove, che generò Carthagine.

Questo Hercole da Cicerone nel libro delle nature dei Dei viene chiamato quarto, & dall'istesso viene detto figliuolo di Giove, & nato di Asterie, sorella di Latona. Oltre ciò dice che costui è tenuto in molta riverenza da quei di Tiro, & vuole che da lui fosse generata una figliuola chiamata Carthagine.

 

Carthagine figliuola del quarto Hercole.

Carthagine, sì come è stato mostrato di sopra, fu figliuola del quarto Hercole, & è quella città che noi chiamiamo Carthagine: laquale fu detta figliuola d'Hercole perche da i Fenici fu edificata con l'augurio d'Hercole suo Iddio, & da loro in molta riverenza tenuto.

 

Minerva quartadecima figliuola del secondo Giove.

Minerva, non quella c'hebbe il cognome di Tritonia, fu figlia del secondo Giove, come scrive Tullio nelle nature dei Dei; la quale l'istesso Tullio afferma, che fu inventrice, & prencipe delle guerre, & però da alcuni è chiamata Bellona, sorella di Marte, & guidatrice di carrette; come pare, che dimostri Statio, dicendo;

 


Regge Bellona con la man sanguigna

I cavalli, & aggira i lunghi dardi.


 

Né questa fu quella che gli antichi affermarono esser vergine, & sterile; anzi, come vuole il medesimo Tullio, di Vulcano antichissimo figliuolo del Cielo ella partorì il primo Apollo. Oltre ciò (come dice Leontio) questa è quella che fu finta in armi famosa, con gli occhi oscuri, con l'hasta in mano lunghissima, & con lo scudo di christallo; & questo piu per dimostrare la guerra ritrovata da lei che per altro significato. Il che io non credo, anzi tengo che tutte quelle insegne a lei siano attribuite per dinotare qualche misterio. Percioche, essendo tutti noi travagliati da continue guerre, istimo che la fingano armata affine che siamo ammaestrati gli huomini aveduti star sempre apparecchiati in armi, cioè in consigli, con i quali si possa ostare alle cose che ponno nuocere. Ch'ella habbia gli occhi oscuri, & biechi, dinota il saggio cosi liggiermente non poter essere allacciato, dimostrando per lo più in apparenza il contrario di quello, ch'egli nell'animo tiene, sì come fa quello c'ha gli occhi biechi; il quale tiene il guardo altrove, che non istimano quelli, che il guardano in faccia. Si dedica a lei l'hasta lunga, accioche conosciamo l'huomo prudente conoscer ancho le cose lontane, & ancho di lontano tirar colpi, & da se cacciare gl'insidianti. Lo scudo cristallino poi a lei è attribuito affine che appaia, nel trasparente cristallo, & fermo corpo, l'huomo saggio dirittamente veder insieme, & l'opre dell'inimico, & il saper difender se stesso con necessari rimedi. Appresso (dice Lattantio) che costei hebbe contentione con Nettuno in dar nome alla città d'Athene, & che in presenza dei Dei contrastarono insieme; onde per loro sentenza fu diterminato che ciascuno di loro percuotesse la terra, & che da quella percossa che producesse più lodevole effetto, colui imponesse il nome alla Cittade. La onde Nettuno percossa la terra con il tridente fece uscire un cavallo, & Minerva con l'hasta l'uliva; la quale essendo parsa più utile del cavallo, Minerva per sentenza degli Dei chiamò la città dal suo nome Athene, perche Minerva da Greci è detta Athena. Il figmento che in ciò si contiene, cosi l'espone Alberico. Dice, che stette alquanto in dubbio Cecrope edificator di Athene, che medesimamente fu ne' tempi di questa Minerva (sì come è chiarissimo ancho appresso Theodontio), se doveva darle nome o dalla commodità del mare, che le dava molta utilità, & le era molto vicino, o dalla commodità della terra, della quale ancho era molto abondante, et a lei non poco necessaria, la qual commodità del mare volsero figurare per lo cavallo, conciosia che il mare si muove, & gira come un cavallo; & il cavallo è come il mar veloce, & alle volte impetuoso, & pieno di soverchio furor, sì come il mare, & la terra figurarono per l'oliva, o perche il loco sia fertile d'olive, o perche il terreno sia grasso, & abondante. Finalmente veggendo l'aveduto huomo le commodità del mare per diverse cagioni poter esserle tolte, & le terrestri per ogni caso ch'occorra restar continue, giudiciò dar nome alla Città delle cose terrestri perpetue, & però la chiamo Athene, il che latinamente suona immortale. Ma io istimo che, essendo la città d'Athene maritima, nascesse divisione tra i Nocchieri, & gli huomini Mecanici, cioè che i marinari mostrassero che per lo navigar del mare, & per li navili delle Mercatantie molto s'accrescesse la Città; le quai cose si debbono intendere per lo cavallo, & che i Mecanici all'incontro mostrassero che con le arti, & con l'agricoltura si sostentano, & aumentano le Cittadi; le quali arti si figurano per l'oliva, essendo il suo licore necessario, & buono, & che amplia. Di che dagli Dei, cioè dai giudici fatti sopra ciò, fu publicata la sentenza in favor dei Mecanici; onde qui non senza ragione viene indutto Nettuno per l'arte marinaresca: et Minerva per l'arti mecaniche, la quale fu quasi inventrice di tutte l'arti. Potrebbe quivi opporsi alcuno, & dire che il primo Giove detto Re d'Athene fu molto prima che Cecrope; & nondimeno habbiamo detto che Cecrope fu edificator d'Athene. Questa oppositione con poche parole risolve Leontio. Dice che non di nuovo fu edificata Athene da Cecrope, ma fu ritirata più vicino al mare, & che quel tempo nella rocca vi nacque l'oliva senza esservi piantata.

 

Arcade quinto decimo figliuolo del secondo Giove, che generò Ionio.

Arcade fu figliuolo di Giove, & Calisto ninfa, sì come chiaramente dimostra Ovidio. La madre di costui, dopo che Licaone suo padre fu da Giove cacciato del reame (secondo che riferisce Paolo) si fece delle compagne di Diana; & menando la sua vita in caccie, & essendo venuta bellissima, fu amata da Giove, il quale (come dice Ovidio) in forma di Diana tra le ombre de i boschi la ingannò, & di se la fece pregna: onde crescendole il ventre, & dalle donzelle compagne essendo invitata a lavarsi in una fonte dove ancho si bagnava Diana, ella temendo di non far palese il suo peccato se mettesse giù le vesti, faceva resistenza di lavarsi. Finalmente spogliata dalle donzelle, & veggendole Diana il ventre gonfio, subito cacciolla dalla sua compagnia; onde poi quella partorì Arcade. Di che essendosi accorto Giunone, & contra lei mossa ad ira, la pigliò per li capelli, & poscia che molto s'hebbe sfogato lo sdegno la cangiò in un'Orsa. Arcade poi essendo già grandicello volse amazzar quella da lui non conosciuta, & che veniva a ritrovarlo; ma ella piena di paura (come dice Theodontio) se ne fuggì nel tempio di Giove, le porte del quale stavano sempre aperte; nè per ciò fiera nè uccello alcuno v'entrava; nondimeno ancho Arcade la seguì; per la qual cosa gli habitatori volendoli amazzar tutti due, fu vietato da Giove, che medesimamente tramutò Arcade in Orso, & amendue gli tolse in cielo, & gli pose d'intorno il Polo Artico. Et Calisto viene detta l'Orsa Minore, & Arcade la Maggiore. Ma Giunone, turbata che la concubina con il figliuolo fosse raccolta in cielo, andò da Theti sua gran nutrice, & la pregò che non lasciasse levar quest'Orsa secondo l'usanza dell'altre stelle nell'onde sue. Il che le promisse Theti di fare, & fino al dì d'oggi l'osserva. Sotto questa fittione v'è per lo più nascosta l'historia. Percioche, vinto Licaone da Giove, la figliuola Calisto fuggì dalle vergine sacre a Pan Liceo, & con queste havendo fatto voto di verginità perpetua, avenne che Giove intendendo della sua bellezza s'inamorò di lei, & gli venne disio di haverla, & essendosi vestito in habito di quelle vergini; di notte segretamente andò a lei, & con diverse persuasioni havendola condotta al suo volere, le tolse la verginità, & la impregnò. Finalmente nel tempo del partorire scoprendosi il peccato di Calisto, incontanente con grandissima sua vergogna (non havendo ardire l'altre vergini sacre per tema di Giove proceder più oltre contra lei) insieme col figliuolo fu cacciata dal Monastero; la quale per la vergogna segretamente se n'andò ne boschi, & ivi lungamente stette nascosta. Ma essendo cresciuto il figliuolo, & divenuto animoso, nè potendo sopportare lo star sotto la madre, la volle amazzare; di che percossa dalla tema, lasciando le selve andò a ritrovar Giove, che la ritornò in gratia del figliuolo, & le concesse che potesse ritornare nel Reame paterno; & cosi v'andò. La onde havendo il ferocissimo giovane Arcade sotto l'ubbidienza sua ridotto i Pelasghi, quelli dal suo nome chiamò Arcadi. Ma gli Arcadi, che istimavano Calisto per essere stata tanto nascosta esser morta, la chiamarono Orsa, percioche l'Orso (come dicono i Fisiologi) stà dormendo una certa parte dell'anno nelle caverne; indi dal nome della madre chiamarono ancho il figliuolo Orso. I quali amendue in gratia d'Arcade i Poeti dissero che furono trasportati in cielo; & di cani, in quelli lochi dove posero questi, molto per inanzi dagli Egittij figurati, gli fecero Orsi. Che poi da Theti nudrice di Giunone non sia lasciata lavare nell'Oceano, ciò è stato tratto dalla elevatione del Polo; il quale nel nostro paese di maniera è elevato, & queste Stelle di maniera a lui sono propinque, che per lo girar del cielo, sì come l'altre che nel tramontar paiono bagnarsi nell'Oceano, in quello non ponno attuffarsi, anzi le veggiamo d'intorno l'intiero Polo col loro girare. Scrive Eusebio che questo Arcade soggiogò i Pelasghi negli anni del mondo 3708°.

 

Ionio figliuolo d'Arcade, che generò Nicostrata.

Ionio (come dice Theodontio, & dopo lui Paolo) fu figliuolo d'Arcade, & di Selenne ninfa; & fu huomo al tempo suo nell'arte della guerra, & spetialmente navale di maniera instrutto, che sotto di se ridusse quasi tutti i liti della Morea fino al mare Siciliano, & dal suo nome gli chiamò Ionij, & il mare Ionio: i quali Ionij vennero in cosi gran preminenza, che dicono ch'a loro fu sottoposta quasi la quarta parte di tutta la Gretia, & quella constrinsero porre in uso le lettere Ionice, & la grammatica. Ma Leontio nega questo cognome essere stato alla gente, & al mare imposto dal Re Ionio: affermando che molto prima a loro fu dato questo nome da Ione figliuola d'Inaco, la quale hebbe in suo potere grandissima parte di quello imperio: il che altrove ancho testimonia esso Theodontio. Hebbe adunque (secondo Theodontio, & Leontio) Ionio una sola figliuola, chiamata Nicostrata.

 

Nicostrata figliuola d'Ionio, & madre d'Evandro.

Nicostrata, per confermatione di Theodontio, & Leontio, fu figliuola d'Ionio re d'Arcadia; la quale (secondo i predetti) essendosi maritata in un certo nobile huomo Arcade chiamato Pallante, overo altri, essendo di lui nora; di Mercurio poi partorì Evandro, che fu Re d'Arcadia: & essendo dottissima in lettere Greche, fu di cosi eccellente ingegno, che con perfetto studio penetrò fino all'arte dell'indovinare, & divenne famosissima indovinatrice; & alle volte in verso dichiarando a quelli che la dimandavano le cose future, lasciato il nome di Nicostrata fu detta Carmenta. La quale (havendo amazzato Evandro il putativo padre) overo come vogliono alcuni suo vero padre) o pure (come piace ad altri) per seditione de' suoi essendo stato cacciato del reame, promettendo al figliuolo che se ne fuggiva grandissime cose da lei antivedute, seco se ne venne in Italia; & entrando le foci del Thebro si fermò sul monte Palatino. Et havendo ritrovato gli habitatori selvaggi, ritrovò novi caratteri di lettere, & a loro insegnò le congiuntioni, & il proferirgli: le quali lettere, se bene da principio non furono più che sedici; nondimeno essendovene aggiunte dai posteri alcun'altre, fino al dì d'hoggi appresso noi durano. Della qual cosa maravigliati i rozzi huomini tennero quella non donna, ma più tosto Dea; & havendo eglino celebrato, & adorato quella, che ancho vivea, con divini honori, come fu morta sotto la più infima parte del monte Capitolino, dove ella havea menato la sua vita, le edificarono una Capella overo chiesetta; & per far eterna la sua memoria i lochi ivi d'intorno contigui dal nome suo furono detti Carmentali. Il che nè ancho Roma essendo in fiore si volle scordare; anzi una porta della città ch'ivi i cittadini per necessità haveano fatto fare, dal suo nome per molti secoli fu nomata Carmentale. Ci restava, per fornir tutta la progenie del secondo Giove, Dardano, il quale fu uno de' suoi figliuoli. Ma perche questo quinto volume ricercava il fine, et la discendenza di lui sarebbe andata troppo in lungo, ci è parso fare un poco di pausa, & serbar Dardano, & la sua prole al seguente libro.

 

Il fine del Quinto Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

LIBRO SESTO

 

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Ma nelle foci del Thebro era già mancato l'impeto della liggiera barchetta; dove stando alquanto ocioso, & aspettando nuove forze, & nuovi venti per navigar altrove, tratto da una certa riverenza del loco incominciai riguardare tutte le cose ivi circonvicine.

V'erano ivi da riguardare le antiche ruine di Laurento, & Lavinio, & gli alberghi degli antichi Latini. Indi Alba Lunga, cosi chiamata dalla porca pregna, tutta circondata da sterpi, & spini; senza ritenere in sé nessun'altra memoria, che il nome a pena. Ma alquanto più oltra splendeva la già aurea Roma, più tosto per vecchio splendore, che per lume novo; la quale riguardando io con tutto l'animo mi vennero inmente gli antichi Re, & i baroni, & i sublimi capitani famosi per l'infinita virtù, & militar disciplina, & molto riguardevoli per la santissima povertà. Vennero i famosi trionfi, le soggiogate nationi da ogni parte, & la gloria singolar dell'impero; per la qual sola superò gli altri mortali, & per la quale meritò reggere i freni, & essere chiamata capo di tutto 'l mondo. Cosi, mentre meco tutto pieno di maraviglia stava considerando chi si potesse meritamente dir padre, & primo genitore di tanta grandezza, o la Terra, o Titano, o Nettuno, avezzi di produrre ismisurati corpi, m'entrò nella memoria il tosco Dardano, & mi ricordai essere stato antichissimo avo del vittorioso popolo. Nè da lontano si vedeva il lito dove havea slegata la nave per andar verso Asia, & congiungersi con i semi di cosi inclita discendenza. La onde, accioche non paia tralasciata la famosa progenie per tanto splendore, lasciati i ricetti del Thoscano fiume, seguendo il vecchio solco dell'acqua (per conoscere le memorie nascoste dalla fede dei maggiori) col favor di Zefiro drizzai la prora fino al Meonio lito, accioche col mezzo suo, sì com'egli per le sue successioni si congiunse con l'acque di cosi grande, & maraviglioso Imperio, riconoscessi gli antichissimi progenitori, & fino alla fine di cosi inclita posterità conducessi i successori.

 

Dardano decimosesto figliuolo del secondo Giove, che generò Erittonio.

Egli s'è dimostrato nelle cose precedenti, che il secondo Giove fu figliuolo del Cielo; della cui discendenza, perche nel precedente volume quasi tutto l'ordine s'è trattato, riserbando solamente Dardano, in questo libro descriveremmo la sua progenie ripigliando lui, il quale gli antichi testimoniano, che fu figliuolo di Giove, & Elettra, figliuola d'Atlante, & moglie di Coritho Re. Del cui nel libro de' Fastis dice Ovidio;

 


D'Atlante chi non sa, ch'Elettra figlia

Dardano partorì? Voglio dir io,


Ch'Elettra giacque, & hebbe a far con Giove.

 

Dicono gli antichi, che Giove tra tutti gli altri figliuoli spetialmente amò costui. Ma quello, che si voglia la fittione, con poche parole consideramo. Secondo la sentenza di Paolo si trova, che Dardano fu figliuolo del Re Coritho, & della moglie Elettra, ma per nobilitare la posterità attribuito a Giove; al quale ancho di costumi era conforme, percioche di natura fu huomo piacevole, & religioso, come dice l'istesso Paolo. Di costui fu fratello Iasio; benche ci siano di quelli, che v'aggiungano Italo, & Sicano, & Candavia sorella. Et essendo il Re Coritho signor della città sola di Coritho, cosi chiamata dal suo nome; & era quella la qual hoggidì (secondo l'openione di Paolo) aggiungendovi alcune lettere dal volgo si dice Cornetto, i fratelli maggiori d'anni, morto lui, vennero in discordia della successione, cioè Dardano, & Iasio Là onde mosso ad ira Dardano, che di età era minore, amazzò Iasio. Di, che veggendo per ciò i cittadini turbati, con una parte del popolo montò in nave, & cacciato da lungo viaggio prima si fermò in Samothracia, che allhora era Samo; sì come testimonia Virg. dicendo;

 


Dardano nato in questi campi venne

Fino di Frigia a le cittadi Idee,

Fino a Samo di Thracia; la qual'hora

Si chiama Samothracia; di quì lui


Partito da la sedia di Coritho.

 

Et quello, che segue. Da Samo poi se n'andò in quella parte dell'Asia, che è vicina al mare Helesponto, & quella regione ch'egli occupò dal suo nome la chiamò Dardania; dove vi tenne la sua sedia, & dal suo nome v'edificò un castello detto Dardanio. Il che, secondo Eusebio, fu circa il trentesimoquinto anno di Mosè, regnando Steleno in Argo; che fu negli anni del mondo tremilasettecentotrentasei. Ivi adunque havendo regnato cinquanta anni, come dice l'istesso Eusebio nel libro dei Tempi, lasciato il figliuolo Erittonio, che sopravisse a lui, finì l'ultimo giorno.

 

Erittonio figliuolo di Dardano, che generò Troio.

Fu Eritonio figliuolo di Dardano. Paolo pensò, che costui nascesse di Candavia sua moglie. Questi adunque successe al padre Dardano; & havendo regnato quarantasette anni, lasciato un figliuolo chiamato Troio, se ne morì.

 

Troio figliuolo d'Erittonio, che generò Ganimede, Ilione, & Assarico.

Troio fu figliuolo d'Erittonio, sì come è cosa chiara per li versi di Ovidio. Costui succedendo al padre, & essendo huomo di guerra ampliò il suo Regno, & chiamò dal suo nome quel paese Troia, che per innanzi si diceva Dardania. Questi hebbe guerra contra Tantalo Re di Frigia perch'egli gli rapì il figliuolo Ganimede, il quale fu da lui generato oltre Ilione, & Assarico; i quali sopravivendo a lui, egli finì l'ultimo giorno.

 

Ganimede figliuolo di Troio.

Ganimede figliuolo di Troio fu bellissimo garzone, del quale cosi scrive Virg.

 


Mentre il fanciullo sopra il monte d'Ida

Cinto di frondi il crin coi dardi, e 'l corso

I Cervi turba; fu rapito in alto

Da l'armigero uccel del sommo Giove,

Onde i vecchi custodi del fanciullo

Alzano invan le mani fino al Cielo,


Et abbaiano indarno in aria i cani.

 

Dice Ovidio, che costui fu rapito in cielo, & fatto coppier di Giove, & essere il segno di Acquario. L'intento della qual fittione con poche parole secondo il suo giudicio dichiara Fulgentio, dicendo, che Ganimede fu preda di guerra di Giove, che guerreggiava in una battaglia di mare, & si ritrovava in una nave la cui insegna era l'Aquila. Ma Eusebio nel libro dei Tempi dice, che non fu rapito da Giove, ma da Tantalo Re di Frigia; il che afferma essere stato scritto da Fandro poeta, &, che perciò nacque guerra tra Troio, & Tantalo. Et di qui pare, che rendi vano il detto d'Ovidio; nondimeno secondo Leontio non è vano. Dice egli, Tantalo per acquistar la gratia di Giove Cretese, da lui conosciuto per impudicissimo, sotto i segni dell'Aquila haver rapito Ganimede, che cacciava, & haverlo donato a Giove; che poi fosse fatto Pincerna degli dei ciò fu detto perche, figurato tra l'imagini del cielo, forse per contento de' suoi dicono, che è quella da noi chiamata Acquario. Nel quale fermandosi il Sole, la Terra viene bagnata da grandissime pioggie, da gli humidi vapori delle quali alcuni hanno voluto le stelle nodrirsi; & cosi è fatto coppiere degli dei. Questi fu nel tempo, che Prito regnò in Argo.

Ilione figliuolo di Troio, che generò Laumedonte.

Homero nella Iliade, dove spiega tutta la geneologia de' Troiani fino ad Hettore, & Enea, dice, che Ilione fu figliuolo di Troio Re di Troiani. Questi (secondo Eusebio nel libro de i Tempi) edificò quella famosa cittade per li versi d'Homero, Ilione, & dal suo nome cosi chiamolla. Questa è quella, che per ispatio di diece anni patì l'assedio dei Greci, & da loro fu destrutta. Fu edificata circa gli anni del mondo tremilaottocentonovantacinque. Leggiamo poi, che Ilione hebbe un solo figliuolo, Laumedonte: il quale (morendo) lasciò di se herede.

 

Laumedonte figliuolo d'Ilione, che tra maschi, & femine hebbe otto figliuoli, cioè Antigona, Hesiona, Lampo, Clitione, Ioetaone, Titone, Bucolione, & Priamo.

Laumedonte Re di Troia fu figliuolo d'Ilione, sì come nella Iliade è scritto da Homero. Dicono gli antichi, che costui volse circondare Ilione, ò vogliamo dir Troia, di mura, &, che con Apollo, & Nettuno fece accordo ch'eglino gli fabricassero le muraglia per tanto prezzo da lui con giuramento a loro promesso. I quali havendo esseguita l'opra, & veggendo, che la promessa non gli era serbata, tutta Troia da Nettuno fu empiuta d'acque, & da Apollo le fu mandata la peste. Là onde Laumedonte travagliato andò all'oracolo per consultarsi del rimedio, al quale fu risposto ogni anno far di mistiere esporre ad un monstro marino una donzella Troiana: il che da Troiani si faceva per sorte. Finalmente toccò la sorte ad Hesiona figliuola di Laumedonte; la quale stando sopra lo scoglio ad aspettare il monstro marino vi sovragiunse Hercole, il quale fece conventione con Laumedonte, che s'egli liberava dal mostro la figliuola voleva, che fosse tenuto donarli i cavalli generati da divin seme, la cui razza si sapeva essere in poter di Laumedonte. Nondimeno havendo Hercole liberata Hesiona, Laumedonte non volle mantener la promessa. Di che, overo (come ad altri piace) perche cercando egli il fanciullo Ila da lui perduto, da Laumedonte gli fu vietato entrare nel porto di Troia, con maggior numero di gente venendo ivi prese Ilione, amazzò Laumedonte, & rivolse il tutto sossopra. Ma lasciate queste cose, veggiamo quello, che la fittione significhi. Vogliono, che appresso Troiani fosse una certa somma di denari, che si serbavano per li sacrifici di Nettuno, & Apollo, la quale tolta da Laumedonte con giuramento di non solamente restituirla, ma etiandio di aggiungervi ancho del proprio suo nei sacrifici, la spese in edificare le mura della città, nè mai volle restituirla ai dimandanti quella. Onde venendo poi una inondatione d'acque, & poscia (sì come accader suole) non essendo bene l'acqua purgata, dal Sole l'aere per la putrefattione dell'acque restò infettato, & generò la peste; i quali due mali perche paiono appartenersi a Nettuno, & Apollo fu detto, che erano venuti per lo giuramento falso di Laumedonte contra li Dei. Che le vergini poi per risposta dell'oracolo fossero esposte a quella fiera, istimo, che puote essere cosa possibile, attento, che il Diavolo era avezzo ingannar spesso loro; & di qui tengo la historia haver l'altre circonstanze. Costui hebbe molti figliuoli, & figlie, benche Priamo solo succedesse al reame.

 

Antigona figliuola di Laumedonte.

Antigona (secondo Servio) fu figliuola di Laumedonte. La quale dice egli, perche fu bellissima, hebbe ardire preporre la sua alla bellezza di Giunone, di, che Giunone sdegnata la converse in Cicogna. Del qual figmento si può render tal ragione. Dice Leontio che, pigliata Ilione da Hercole, & amazzato Laumedonte, tutti i figliuoli di Laumedonte, eccetto Hesiona, & Priamo, che furono pigliati segretamente, fuggirono chi qua chi là, secondo, che la fortuna gli condusse. Ma Antigona tra le canelle di camandro stette nascosta molti giorni, & di qui io penso, che la favola havesse loco, percioche colei la quale per la sua superbia (regnando il padre) di bellezza si preponeva alle altre, dalla fortuna prencipessa dei Reami, che le rese il cambio, fu condotta a tale c'hebbe di gratia starsene dove le Cicogne cercano il vivere; & cosi ella mentre ivi stette parve quasi essere cangiata in Cicogna.

Hesiona figliuola di Laumedonte, & madre di Teucro.

Fu Hesiona figliuola di Laumedonte; la quale (sì come è stato detto di sopra) essendo stata liberata da Hercole dal mostro marino, poscia fu dall'istesso Hercole, rovinato, che fu Ilione, & morto Laumedonte, pigliata, & data per parte della preda a Thelamone, ch'era stato il primo a salire sopra i muri della Città, il quale la condusse in Salamina, & essendo indarno più volte da Priamo richiesta, partorì a Thelamone Teucro.

 

Lampo, Clitione, & Ioetaone, figliuoli di Laumedonte.

Lampo, Clitione, & Ioetaone furono figliuoli di Laumedonte, sì come dimostra Homero nella Iliade, cosi dicendo;

 


Laumedonte generò Titone

Priamo, Lampo, e appresso Clitiones.


Indi Ioetaon, ramo di Marte.

 

Di questi tre non havemmo altro, che il solo nome.

 

Titone figliuolo di Laumedonte, che generò Mennone.

Titone, come di sopra s'è mostrato per li versi d'Homero, fu figliuolo di Laumedonte; il quale essendo bellissimo giovane, secondo che dice Servio fu amato dall'Aurora, & da lei rapito, dalla cui (dicono) c'hebbe un figliuolo chiamato Mennone. Indi havendo egli desiderato viver lungamente, & havendo ciò ottenuto, finalmente fu convertito in una Cicada. che costui fosse rapito dall'Aurora non istimo voler significar altro eccetto ch'egli, tratto dal disio di regnare, intesa forse qualche nuova per la quale poteva sperare acquistar un impero, lasciata la patria se n'andasse in Oriente, dai quai popoli orientali a noi si leva l'aurora; & di quelli havendone soggiogati molti, a loro signoreggiò. Perche poi fosse convertito in Cicada, si ponno mostrare alcune ragioni. La prima delle quali è che si come le Cicade si nodriscono della rugiada matutina, che nell'aurora cade, cosi costui delle ricchezze orientali, che sono sotto l'aurora, si nodriva. Oltre ciò, perche le Cicade sono nere, & nascono verdi, cosi costui, che nacque bianco, toccato dall'ardore del Sole di quel paese dove era passato, secondo il costume degli altri habitatori divenne nero. Finalmente, perche essendo vecchio intese la morte del figliuolo Mennone, & la rovina de' suoi, cadè in lamentevole vecchiaia, & indi se ne morì, sì come fanno le Cicade; le quali paiono più tosto lamentarsi, che cantare, & finalmente dopo lunga querela crepando si moiono.

 

Mennone figliuolo di Titone.

Mennone, per testimonio d'Ovidio, fu figliuolo di Titone, & dell'Aurora. Dicono, che costui venne con grandissimo numero di genti orientali in aiuto di Priamo, &, che combattendo fu morto da Achille. Del quale favolosamonte Ovidio dice che, mentre egli posto nel rogo s'abbruggiava, per preghi della madre Aurora fu da Giove cangiato in uccello, & insieme con quello dalle faville della fiamma uscirono molti uccelli. I quali tre volte con gran gridi havendo circondato il foco si partirono, & divisi, che furono combatterono tanto fra loro, che restarono morti; i quali uccelli dice Ovidio esser detti Mennoni. Questa fittione hebbe origine da un certo costume serbato dai suoi d'intorno il rogo di Mennone, & da un certo maraviglioso caso, che occorse. Fu antichissimo costume degli orientali, che i più cari amici del Re (morto ch'egli era) volevano col corpo di quello abbruggiarsi; & per ciò andando intorno a quel rogo, & circondandolo più volte, per lo calore ò per la stanchezza ò per altro si moiono, & sono gettati nel foco reale. Onde penso, che l'istesso fosse fatto al rogo di Mennone. Solino nel libro delle cose maravigliose del Mondo cosi dice;  Sta appresso Ilion il sepolchro di Mennone, d'intorno il quale per sempre certi uccelli dell'Ethiopia congregati insieme in schiera ivi volano, i quali dagli Iliesi sono chiamati Mennoni. Cremutio è l'auttore il qual dice, che ogni cinque anni si adunano insieme in questo modo nell'Ethiopia, & s'aggirano d'ogn'intorno il palazzo reale di Mennone fino attanto ch'entrano in quello. Queste cose dice egli. Possiamo adunque per tai parole presumere per sorte essere accaduto, che allhora venissero ivi quegli uccelli dove si facevano le reali essequie di Mennone, & haver col loro volo circondato quel loco; & indi dai semplici essersi creduto, che quelli i quali si donavano alla morte per honore delle essequie reali andassero in faville, & di faville divenissero uccelli. Ma l'essersi cangiato Mennone in uccello non è altro, al giudicio mio, che la celebrata fama dell'huomo, la quale dopo la sua morte volò d'ogn'intorno per l'oratione et lodi de suoi popoli. Alcuni dicono, che da lui fu edificato un famosissimo castello in Persia chiamato Susi, vicino al fiume Surra.

 

Bucolione figliuolo di Laumedonte, che generò Esipio, & Pidaso.

Bucolione fu figliuolo di Laumedonte, sì come nella Iliade testimonia Homero, mentre dice;

 

Bucolion figliuol di Laumedonte.

 

Di costui non habbiamo altro eccetto, che generò due figliuoli, Esipio, & Pidaso.

 

Esipio et Pidaso figliuoli di Bucolione.

Esipio, & Pidaso furono figliuoli di Bucolione, come nella Iliade scrive Homero, dicendo;

 


Fu da Esipio, & da Pidaso; i quali

Furono da la ninfa Varvarea


Già partoriti al buon Bucolione.

 

Questi valorosi giovani furono nella guerra contra Greci, ma combattendosi amendue furono morti da Eurialo greco, come testimonia l'istesso Homero.

 

Priamo figliuolo di Laumedonte, che dalla moglie Hecuba hebbe tra figliuoli, & figliuole diecenove, & da altre donne trent'uno, che in tutto sono, cinquanta, de quali solamente i nomi di trent'otto sono pervenuti a noi, & sono questi, cioè Creusa, Cassandra, Iliona, Laodicea, Licaste, Medisicasti, Polisena, Paris, Hettore, Heleno, Caone, Troilo, Deifebo, Polidoro primo, Polidoro secondo, Licaone, Esaco, Anthiso, Iso, Teucro, Dimocoonte, Echemone, Cromenone, Gorgitone, Cebrione, Forbante, Doriclone, Pammone, Antifone, Agatone, Hippotoo, Agannone, Laocoonte, Mistore, Ifate, Testorio, Timoote, & Polite.

Priamo fu figliuolo di Laumedonte tra mortali, cosi noto, che a pena ve ne è altro cosi conosciuto. Essendo egli ancho fanciullo, da Hercole fu rovinata la città d'Ilione, morto Laumedonte, & esso con molti altri preso; il quale poi fu riscattato da suoi vicini, che per lui ad Hercole pagarono certa quantità di denari, & dal riscatto fu chiamato Priamo, sì come a Servio piace. Nondimeno si trova, che costui rifece la mezza ruinata patria sua, & vogliono gli scrittori ch'egli la fortificasse molto bene, accioche potesse opporsi contra l'empito de' nemici. Percioche dice Servio ch'egli oprò talmente, che (secondo Plauto) durando tre cose ella non poteva esser presa, cioè la vita di Troilo, la conservatione del Palladio, & il sepolcro intiero di Laumedonte, il quale fu nella porta Scea. Secondo che dicono altri poi vi bisognavano a' Greci molte altre cose per prenderla, come è, che alcuno della stirpe d'Eaco vi fosse; onde Pirro ancho giovanetto vi fu condotto, che i cavalli di Reso fossero tolti pria, che gittassero l'acqua del Xanto, &, che vi fossero le saette d'Hercole, le quali vi mandò Filotete; percio che egli sovragiunto dalla morte non vi puote essere. Priamo adunque, morto Laumedonte, regnò; al quale succedendo tutte le cose prospere, tolta Hecuba figliuola di Ciseo Re di Thracia per moglie, & di lei, & di molte altre donne havendo havuto infiniti figliuoli, in cosi gran splendore accrebbe il suo reame, che non solamente era tenuto Re di Troia, ma ancho di tutta l'Asia. Ma havendo il figliuolo Paris invece d'Hesiona sorella di Priamo pigliata da Hercole rapito Helena moglie di Menelao, & menatala in Troia, nè potendo da nessun prego essere indotto a restituirla a' Greci, che la richiedevano, vide Priamo quelli, che con mille navi smontarono nel lito Troiano, & assediarono Ilione, mandando il tutto a ferro, & foco, & molte volte amazzando i suoi figliuoli legitimi, & naturali, & i Re venuti in aiuto di quello. Et finalmente vide Hettore morto, & strascinato dalla carretta d'Achille d'intorno la cittade; onde per rihaver il corpo di lui, dice Homero circa il fine della Iliade ch'egli con la guida di Mercurio se n'andò di notte inginocchioni a pregar Achille, che gli lo restituisse. Benche Servio dica molto diversamente, percioche narra, che di notte Priamo andò al padiglione d'Achille, & il trovò adormentato, di sorte, che l'havrebbe potuto amazzare; nondimeno più tosto il volle svegliare, & pregare; di che hebbe il suo intento, & da Achille fu accompagnato fino a Troia. Ma questo è stato tacciuto da Homero accioche egli, ch'era tromba delle lodi d'Achille, non fosse tenuto recitatore delle sue vergogne. Oltre ciò vide Priamo il Palladio levato, i cavalli di Rheso menati via, Troilo, & Paris amazzati; ultimamente esser presa Troia, menate via le figliuole prigione, arder tutti gli edifici, & nel proprio suo grembo essere passato con un coltello l'infelice figliuolo, & egli insieme. Nondimeno Servio dice esser varie le openioni della morte di Priamo, perche altri dicono, che nel palazzo fu preso da Pirro, & condotto alla sepoltura d'Achille, & ivi scannato; indi levatogli il capo dal busto essere stato posto in cima d'una lancia, & portato d'intorno la Città. Altri vogliono che fosse morto d'inanzi l'Altare di Giove Herceo, sì come habbiamo detto; il che pare, che ancho Virgilio voglia. Hebbe costui, si come egli istesso narra ad Achille nell'ultimo libro della Iliade, tra maschi, & femine cinquanta figliuoli, de quai dice, che 19. n'hebbe dalla moglie, & gli altri da altre donne sue concubine.

 

Creusa prima figliuola di Priamo, & moglie d'Enea.

Creusa fu figliuola di Priamo, & Hecuba, come dimostra Servio, et fu moglie d'Enea, sì come per Virgilio è palese; & di lui partorì un figliuolo, Ascanio. Dice Virgilio, che costei fu perduta da Enea nel fuggir, ch'egli fece col padre, & col figliuolo della ruina di Troia; ma alcuni vogliono ch'egli, per lo patto fatto con Greci di non lasciar viva persona, che fosse del ceppo di Priamo, l'amazzasse; il, che pare che assai cautamente habbia toccato Virgilio dove descrive Enea, che la ricerca, & induce l'ombra di lei à cosi parlare, & dire;

 


Di Dardano non io, et de la dea

Venere nora vedrò mai le stanze

De' Mirmidoni, & Dolopi superbi;

Nè sarò mai di Greche donne serva.

Ma la gran madre degli Dei mi tiene

Rinchiusa in queste stanze, e in questi lochi.


 

Et cosi viene ad essere manifesto, poschia ch'ella dice non essere stata presa da nessuno ma essere ritenuta dalla madre de' Dei, che è la Terra, ivi esser rimasta morta, & sotterrata.

 

Cassandra seconda figliuola di Priamo.

Fù Cassandra figliuola di Priamo, & Hecuba, & bellissima donzella; della quale essendosi Apollo inamorato, & ricercando congiungersi seco, Cassandra gli dimandò un donno, il quale Apollo le promise con giuramento osservare. Ella adunque dimandò, che diventasse indovinatrice, & ciò le fu concesso, ma volendo Apollo quello ch'egli all'incontro le havea richiesto, Cassandra gli negò. Di che Apollo sdegnato, non potendo torle quello che le havea dato, fece sì, che mai non venisse prestato fede a nessuna cosa, ch'ella pronosticasse, & cosi fù fatto. Percioche per la rapita d'Helena havendo profetizato à Troiani quello, c'havea à venire, non solamente non le fù creduto, ma dal padre, & da' fratelli per ciò spessissime volte fu battuta. Costei per auttorità di Virgilio fu data per moglie à Corebo, giovane Migdonio; ma non havendo mai celebrato le nozze, presa, che fu Troia anch'ella medesimamente fu pigliata. Onde rovinata Ilione, & partito il bottino tra i Prencipi, la infelice toccò per sorte ad Agamennone, & à lui predisse tutto quello, che dalla moglie gli era preparato, sì come dimostra Seneca Poeta nella Tragedia d'Agamennone; ma secondo l'usanza solita egli non le credette; di che (secondo, che Homero nell'Odissea testimonia) avenne, che nel convito Agamennone fù morto da Egisto, & Clitennestra, & ella medesimamente per comandamento di Clitennestra fu amazzata. Quello, che di Apollo è stato finto, à me pare, che sia stato tolto dal caso occorso. Percioche la donzella diede opra allo studio, & all'arte dell'indovinare, & perche vi faceva buona professione, parve ch'ella fosse amata da Apollo, Iddio dell'indovinare; & fu detto, che da lui à lei fù conceduto quello ch'ella con grandissima fatica s'havea acquistato; & perche non si prestava fede alle sue parole, vi fù aggiunto l'avanzo della fittione.

 

Iliona terza figliuola di priamo, & moglie di Polinnestore Re di Thracia.

Iliona secondo Servio fu figliuola di Priamo, & Hecuba, sì come afferma Paolo. Costei, per ragione dell'antico hospitio, & della notabile amicitia (come dice Servio) fu data per moglie à Polinnestore Rè di Thracia.

 

Laodicea quarta figliuola di Priamo, & moglie di Helicaonio.

Laodicea fù figliola di Priamo, & maritata in Helicaonio, figliuolo d'Antenore Rè di Thracia; laquale da' Troiani era chiamata Laodicea Galoo. Di costei fa ricordo Homero nella Iliade, dicendo;

 


Quella Laodicea, la qual fu moglie

Del Rè Helicaonio figliuolo

D'Atenor, fù tra tutte l'altre figlie

Di Priamo la miglior, & più discreta.


 

Istimo io, che costei fosse figliuola d'Hecuba.

 

Licaste quinta figliuola di Priamo, & moglie di Polidamante.

Si come afferma Paolo, Licaste fù figliuola di Priamo; & di maniera bella, che essendosi di lei innamorato Polidamante figliuolo d'Antenore, & Theano, sorella d'Hecuba, egli la tolse per moglie, non riguardando punto, che fosse nata d'una concubina.

 

Medisicasti sesta figliuola di Priamo, & moglie di Polippo.

Medisicasti fù figliuola naturale di Priamo, Nè si sa di qual madre. Costei fu moglie di Polippo figliuolo di Mentore, sì come Homero nella Iliade dimostra, il qual dice, che Priamo havea una figliuola chiamata Medisicasti pria che gli Achivi venissero à Ipideo. Di costei in battaglia fu amazzato il marito da Teucro figlio di Thelamone.

 

Polisena settima figliuola di Priamo.

Polisena Donzella fù figliuola di Priamo, & Hecuba, si come spesse volte fà fede Euripide nella Tragedia intitolata Polidoro. Costei viene ricordata per la più bella tra tutte l'altre donne Troiane, per la cui bellezza per disgratia sua fu da Achille amata. Col mezzo del quale amore Hecuba à tradimento fece morire il fortissimo giovane, non istimando, che per le ferite d'Achille ella veniva à spargere il sangue dell'inocente donzella. Costei dopo la ruina di Troia, si come Seneca Poeta Tragico nella Troade dimostra, fu dimandata da Pirro figliuolo d'Achille per placar lo spirito del morto padre; onde alla fine dopo lungo contrasto (cosi persuadendo l'indovino Calcante) gli fu conceduta. Cosi il crudele, & fiero giovane havendola fatta ornare à guisa di vergine, & di novella sposa la menò alla sepoltura d'Achille, & perche dicevano, che lo spirito d'Achille la dimandava (si come dice Euripide nella predetta Tragedia) ivi la scannò.

 

 

Paris ottavo figliuolo di Priamo, che generò Dafni, & Ideo.

D'Hecuba, & di Priamo fù figliuolo Paris, che per altro nome fu detto Alessandro. Del quale tra l'altre si narra tale historia. Dice Tullio, dove scrive della Divinatione, che essendo Hecuba pregna di Paris a lei apparve in sogno di partorire una facella, che abbrugiava, & rovinava tutta Troia. Per loqual sogno Priamo pieno di affanno andò à consultarsi con l'oracolo di Apollo, ilquale gli rispose, che per opra di quel figliuolo che havea a nascere, Troia andarebbe in ruina. Là onde Priamo comandò ad Hecuba, che facesse morire quella creatura, che di lei nasceva. Ma Hecuba partorito c'hebbe quel figliuolo, & veggendolo bellissimo, di lui mossa a compassione il diede ad alcuni, che il portassero à Pastori Reali che lo allevassero. Cosi sul monte Ida da pastori fù nodrito; & essendo in età cresciuto hebbe a fare con Oenone ninfa Idea, & di lei creò due figliuoli. Oltre ciò essendo tra tutti litiganti giustissimo, crebbe di maniera in grandissima fama di giustitia che, litigando Pallade, Giunone, & Venere sopra la loro bellezza per lo pregio del pomo d'oro, che nel convito le fu gittato dalla Discordia, nel quale era scritto; DIASI ALLA PIÙ BELLA , da Giove furono mandate per la sentenza da Paris. Le quali (come dicono) se n'andarono à lui, & all'ombre dei dilettosi boschi d'un loco, che si chiamava Mesaulo spogliatesi le vesti, à Paris si mostrarono ignude. Indi a lui disse Pallade; Se giudichi me più bella dell'altre due, io ti darò la cognitione di tutte le cose. Cosi Giunone soggiunse; Et io ti darò il dominio dei reami, & delle ricchezze. Seguì poi Venere;

Et io ti prometto la più bella donna del Mondo; dalla cui concupiscenza commosso il selvaggio giudice giudicò il pomo essere di Venere. Finalmente (come dice Servio) questo Paris, secondo i fatti di Troia scritti da Homero, fu di maniera fortissimo, che nel contrasto dello steccato, che si faceva in Troia vinceva tutti, & ancho esso Hettore; il quale mosso ad ira perche era vinto, & stringendo la spada per amazzar quello (da lui tenuto per Pastore) egli subito gli disse ch'era suo fratello; il che confermò con mostrargli i manili c'havea alle braccia, da lui tenuti nascosti sotto la veste di Pastore. Là onde alcuni vogliono, ch'essendo in questo modo conosciuto fosse raccolto nel palazzo Reale. Indi, apparecchiate venti nave, da Priamo sotto spetie di legatione fu mandato in Grecia per domandar Hesiona; dove alcuni vogliono, & tra questi Ovidio, si come si vede nelle sue Epistole, ch'egli fosse ricevuto, & honorato da Menelao. Altri poi tengono ch'egli venisse in Grecia non vi essendo Menelao, &, che mosso dalla fama della bellezza d'Helena se n'andasse a Sparta, &, che desse l'assalto a quella nell'anno primo dell'imperio d'Agamennone, non v'essendo nè Castore nè Polluce; i quali erano andati da Agamennone, & seco haveano menato Hermiona figliuola d'Helena, & Menelao. Cosi prese la Città, per forza rapì Helena, & portò via tutti i tesori Reali; il che assai gentilmente tocca Virgilio, mentre dice;

 


Con mia guida l'adultero Troiano

Espugnò Sparta, & l'hebbe in suo potere.


 

Et per questo quelli, che tengono tal openione, vogliono, che Helena doppo la presa di Troia meritasse esser ricevuta dal marito. Per la cui rapina fu pigliata la guerra da Greci contra Troiani, che durò dieci anni. Nella quale riferisce Homero, che Paris, rimorduto dal fratello Hettore di tal cosa, una volta uscì dalla Città, & venne a singolar battaglia contra Menelao: nella cui chiaramente veggendosi, che Menelao restava superiore, dice, che Paris in quello abbattimento fu salvato, et difeso da Venere, aggiungendo, che Pandaro per instigatione di Minerva trasse una saetta contra Menelao, et il ferì; di, che nacque, che quel contrasto, ch'era particolare, si fece generale. Finalmente amazzati già Hettore, & Troilo da Achille, egli con l'arco, & le saette, nel cui essercitio era molto instrutto, per tradimento d'Hecuba, che di notte fece venir solo in Troia Achille sotto colore di dargli per sposa Polisena, nel tempio del Timbreo Apollo amazzò quello; & egli poi da Pirro figliuolo d'Achille medesimamente fu morto. Questa historia veramente è adornata di poche fittioni; le quali se pure vogliamo dischiarare, prima veggiamo il giudicio di Paris, nel quale al giudicio mio è da seguire la openione di Fulgentio. Dice, che la vita de' mortali è divisa in tre parti, la prima de' quali si chiama Theorica, la seconda Prattica, la terza Filargica; le quali noi con più volgari vocaboli chiamiamo contemplativa, attiva, & voluttuosa. Et di queste Aristotele (si come fa ancho delle altre) benissimo tratta nel primo dell'Ethica. Questo Giove, cioè Iddio, accioche non paia, che riprovandone alcuna tolga il libero arbitrio ad alcuno, rimette al giudicio di Paris, cioè di ciascun'huomo, affine, che stia in suo volere approvare, & pigliar per sé quella, che più vorrà. Quello, che poi segua a colui, che s'appiglia alla voluttuosa, col fine di Paris egli si dimostra. Che ancho ei si lasciasse convincere da Venere, ciò è stato detto per manifestar la sua ignoranza; affine; che appaia il da poco dare opra solamente a Venere, & alla lussuria. Pandaro poi instigato da Minerva fu detto per dimostrar l'astutia de Troiani: i quali veggendo Paris venir meno, per levarlo alla morte, senza mantener i patti fecero insulto contra Menelao.

Dafni, & Ideo figliuoli di Paris.

Dafni, & Ideo (come afferma Paolo) furono figliuoli di Paris, & di Enone, ninfa del colle Ideo overo Pegaseo; i quali furono da lui generati nel tempo ch'era Pastore. Di questi non mi ricordo mai haver trovato cosa degna di memoria.

 

Hettore figliuolo di Priamo, che generò Astianatte.

Hettore tra tutti gli altri per lo valor del corpo famosissimo, celebrato da tutti i versi dei Poeti eccellenti, giovane, che per honorata fama viverà forse fino al giorno novissimo, fu figliuolo del Re Priamo, & d'Hecuba. Testimonia Homero, che costui havesse per moglie Andromaca figliuola di Iettione signor di Thebe di Cilicia; dalla cui, nata già la guerra de' Greci, hebbe un figliuolo per nome Astianatte, bench'egli il chiamasse Camandro. Costui adunque, come, che fosse molto bene ammaestrato nell'arte della guerra, havea cosi grande ardir d'animo, & era cosi forte del corpo, che dopo l'haver amazzato Protesilao, che fu il primo, che dalle greche navi mettesse il piede nel lito Troiano, non solamente fece, che molte volte le squadre Troiane fecero testa a sostentar l'empito de' Greci, ma ancho le rese ardire a perseguitarli, & cacciarli fino negli alloggiamenti. Et quello ch'era più maraviglioso, egli solo spessissime fiate hebbe ardire assalire le schiere de' Greci, & per forza rompere le loro squadre, & di maniera metter in rotta tutto l'essercito, che solo era terrore a tutti Greci. Questi contra Aiace figliuolo di Telamone (come dice Homero) hebbe singolar battaglia; nondimeno la notte, che sopravenne non meno grata ad Aiace, che a lui partì il duello, dal quale secondo l'usanza antica partendosi Aiace hebbe in dono una spada, con la quale poscia egli si amazzò; & Aiace donò a lui una cinta, della quale essendosi ornato fu poi amazzato da Achille, & strascinato dietro la carretta, come dice Servio. Finalmente havendo morto molti prencipi de' Greci amazzò ancho Patroclo amico d'Achille, che s'era vestito dell' armi sue lucenti; di che istimando haver privo di vita Achille, fece spogliar quello delle rilucenti arme, & con gran pompa se ne entrò in Troia, gloriandosi di cosi altiera impresa. Ma non molto da poi venendo alle mani con Achille, overo, che Hettore fosse lasso, o, che molto più fosse forte Achille, morì per le mani d'Achille, & indi fu strascinato dietro la carretta d'Achille con la cinta gli donò Aiace d'intorno tutta la cittade fino alle navi de' Greci, in presenza del Padre Priamo ch'era sopra le mura. Ilche appresso, non si potendo il fiero giovane scordar il dolore dell'amazzatogli amico Patroclo, per dodici giorni tenne il corpo ignudo d'Hettore insepolto, fino attanto, che l'infelice padre Priamo (come scrive Homero) venne a riscattarlo. Nondimeno col testimonio dell'istesso Homero pecomandamento di Giove il famoso corpo, accioche non si corrompesse, da Apollo inanzi l'essequie fu onto con sacri licori. Poscia essendo stato a Priamo restituito, con lagrime di tutte le donne Troiane, con publico dolore, & con solenne pompa dell'antiche cerimonie fu sepolto, & le sue ceneri furono serbate entro un'urna d'oro. In questa historia non v'è cosa finta, eccetto, che il suo corpo fusse da Apollo curato; il, che fù fatto da un medico per comandamento d'Achille, accioche non puzzasse. Ma Leontio diceva, che ciò non fù fatto da lui per magnificenza, ma perche aspettava denari, con quali sperava, che il padre riscattasse il corpo se restava intiero, si come fu ancho fatto, percioche ricevuti prima molti doni da Priamo a lui il restituì; & vogliono ancho ch'egli all'incontro havesse tanto oro quanto il corpo pesava. Non mi ricordo haver letto ch'egli havesse altri figliuoli, che uno, qual fu Astianatte. Ma per openione d'altri ne furono più: attento, che Eusebio, & Beda, ciascuno di loro in que' libri, che scrissero de i Tempi, dicono, che i figliuoli d'Hettore doppo alquanto tempo ricuperarono Troia con l'aiuto di Heleno, che gli diede favore; &, che i posteri di Antenore furono cacciati d'Ilione regnando in Italia Ascanio figliuolo d'Enea. Appresso, pare, che Vincenzo historico Francese voglia i Re di Francia d'hoggidì haver havuto antichissima origine dai figliuoli d'Hettore, dicendo, che da Francone già figliuolo d'Hettore fuggito nell'ultima Germania fu edificata la città di Sicambria, &, che in processo di tempo i successori di questo Francone, che stavano appresso le ripe del Danubio passarono in Occidente, & insieme con Marcomano figliuolo di Priamo, & Samione degli ultimi capitani d'Antenore, nel tempo di Gratiano Cesare Augusto, passato il Reno vennero in quelle parti da loro da indi in poi sempre possedute, & di tali capitani ordinarono tra loro i Re; i quali poi sono cresciuti in lunga descendenza, & splendore. Il che, se bene da me non molto sia approvato, nondimeno non è anco negato, essendo appresso Iddio tutte le cose possibili.

 

Astianatte figliuolo d'Hettore.

Si come Astianatte spesso nella Iliade Homero, & nella Tragedia Troade Seneca, dimostrano, fu unico figliuolo d'Hettore, & Andromaca; il quale a lui nacque dopo il principio della guerra de' Greci contra Troiani, come a pieno si può veder in Virgilio, dove descrive Andromaca, che parla ad Ascanio; il che ancho nella predetta Tragedia di Seneca si vede, quando, essendo egli cercato da Ulisse per amazzarlo, si come è il costume dei fanciulli se ne fuggì in grembo alla madre; ma alla fine per forza volendolo i Greci nelle mani, gli fu dato; & pria, che le navi si sciogliessero da Sigeo (secondo alcuni) fu da un'alta torre precipitato, overo (secondo altri) fu percosso ad un sasso, & cosi morì, accioche nessuna discendenza della progenie di Priamo non andasse assolta. Questi (per testimonio d'Homero) fu da Hettore per lo più chiamato Camandro.

 

Heleno decimo figliuolo del Re Priamo.

Heleno fu figliuolo di Priamo, & Hecuba, & molto famoso indovino, si come Virgilio di lui parlando dimostra;

 


O Troia nato interprete de i Dei,

Che di Febo conosci il divin nome,

Et i tripodi Lauri, con le stelle,

Et intendi le lingue degli uccelli,

E interpreti gli auguri di lor penne;

Dinne ti prego, & la tua lingua snoda. &c


 

Sono di quelli, che dicano, che costui fu da Greci ritenuto percioche, essendo stato da loro preso, a quelli manifestò ciò che fosse di mistieri per pigliar Troia. Nondimeno egli, essendo rovinata Troia, vietò a Pirro figliuolo d'Achille, che non navigasse, & a' naviganti predisse la futura peste. Là onde non solamente fu da Pirro serbato, ma ancho menato seco in Albania, & concedutali parte del suo reame. Indi havendo rapito Hermiona ad Horeste, a lui diede per moglie Andromaca, già moglie del fratello Hettore; la quale Pirro fin'hora havea tenuto in loco di sposa. Finalmente (secondo Servio) essendo stato amazzato Pirro da Horeste nel tempio d'Apollo, egli hebbe in custodia, & conservò Mocosso figliuolo di Pirro partorito da Andromaca, & il reame, il qual Heleno chiamando il suo reame dal nome del fratello Chaonia, ivi edificò una città a guisa di Troia, nella cui egli raccolse il fuggitivo Enea, & l'honorò; & donatigli molti doni, il lasciò andar libero. Qual fine fosse poi il suo, non mi ricordo haver letto.

 

Chaone undecimo figliuolo di Priamo.

Chaone come dice Servio fu figliuolo di Priamo; ma di qual madre non lo dice. Appresso narra ch'egli inavertentemente fu a caccia da Heleno amazzato et perciò quasi in consolatione del perduto fratello, quella parte di Reame, che da Pirro fu conceduta ad Heleno, dall'istesso Heleno fu detta Chaonia.

 

Troilo duodecimo figliuolo di Priamo.

Troilo fu figliuolo del Re Priamo, & di Hecuba, come senz'altro testimonio è assai palese. Questi anco giovanetto hebbe ardire pigliar battaglia contra Achille, & da lui fu morto, come chiaramente si vede in Virgilio dove dice;

 


Da l'altra parte Troilo fuggendo

L'infelice garzon perduto ha l'arme.


 

Deifebo terzodecimo figliuolo di Priamo.

Deifebo fu figliuolo di Priamo, & Hecuba; il quale essendosi molto bene adoprato contra gl'inimici, quando istimava esser securo allhora morì. Percioche tra il tumulto del preso Ilione dormendo con Helena, la quale dopo la morte di Paris havea tolto per moglie, per inganni di quella fu morto, & crudelmente stracciato, si come in Virgilio riferisce Enea, il quale descrive lui nell'Inferno c'havea i segnali delle ferite, dicendo;

 


Indi di Priamo, & d'Hecuba il figliuolo

Deifebo tutto lacerato il corpo.


 

Et cosi va dietro per molti versi.

 

Polidoro quartodecimo figliuolo di Priamo.

Ritrovo, che Priamo hebbe due figliuoli chiamati col nome di Polidoro, percioche Euripide nella Tragedia intitolata Polidoro chiaramente afferma ch'uno ne nacque d'Hecuba, & Homero nella Iliade dice, che l'altro fu partorito da Laothoa figliuola d'Altao, & amazzato in guerra da Achille. Noi adunque diremmo del primo. Fu questi adunque figliuolo di Priamo, & Hecuba, il quale (secondo Euripide) fu mandato da Priamo, per rispetto d'ogni cosa, che potesse occorrere a i figliuoli, con grandissima quantità d'oro a Polinnestore Re di Thracia, antichissimo suo amico, & genero, accioche da lui fosse conservato, insieme col thesoro. Ma veggendo Polinestore, che la fortuna incominciava cangiar la faccia verso Greci, & dimostrarsi a loro più benigna, anch'egli si mutò d'animo; & divenuto ingordo dell'oro assalì Polidoro, che su per lo lito se n'andava a diporto, & amazzò quello, che indarno si raccomandava a lui, & dandogli sepoltura nell'arena di quel lito; sopra il cui corpo nacquero dei virgulti, che sogliono nascere vicino al mare. Questo si descrive da Virgilio dove dice;

 


Questo è quel Polidor, che fu mandato

In Thracia già con gran numero d'oro.


 

Et indi continua per molti versi: ne' quali ancho narra qualmente alcuni di questi virgulti per caso furono tagliati da Enea, & da quelli n'uscì il sangue, & poi parole, che l'avisarono, che d'ivi si partisse, & fuggisse altrove. Di quest'ultima parte non v'è altro figmento eccetto che i mirteti, a quali i liti sono amici, mandano fuori i virgulti a guisa di dardi; & il sangue, che n'esce dinota la violenta specie di morte, cosi ancho le parole sono le relationi degli huomini consapevoli, per le quali si comprende l'iniquità del delinquente, onde ciascuno è avisato, che appresso lui non dimori.

 

Polidoro decimoquinto et Licaone decimosesto figliuoli di Priamo.

Quest'altro Polidoro differente dal primo, & Licaone furono figliuoli di Priamo, & Laothoe, si come a pieno si vede in Homero dove Licaone il dimostra ad Achille, dicendo;

 


Ti prego Achille, che di me ti mova

Compassion, ch'io son per gir tuo servo

Dove mi manderai; ti fui pur presso

Nel convito allhor quando me pigliasti

Entro il giardino, & mi mandasti in Lamno.

Dodici giorni trapassaro, & poi

Tornai ad Ilione, & me di nuovo

Ne le tue mani ha ricondotto Iddio.

Fanciul mi vedi anchor, che generato

Da Laothoe fui figlio del vecchio

Altai, ch'in Belletesso era signore.

Priamo haveva di costui la figlia,

E anchor molt'altre? & di costei siam nati

Due frati, & amendue vuoi tu amazzarli.

Certo, che il primo tra guerreri a piedi,

Vincesti Polidor simile a un Dio,

Et con un dardo, a lui passati il petto;

Et hor la morte a me tu ancho apparecchi

Io non posso fuggir da le tue mani.

Ma ne l'animo t'entri, ch'io ti prego,

Che non m'amazzi, ma mi lasci vivo.

Con Hettore non son d'un ventre uscito,

Che t'amazzò il compagno; ma diversa

Madre prodotto ha noi, come t'ho detto.


Nondimeno Achille non gli giovando i preghi, anzi dicendogli villania, il gittò nel fiume Camando, dove infelicemente si affogò. Si conosce adunque chiaramente per le parole di costui, che questo Polidoro fu differente dal primo; il quale (come dimostra Homero) era molto amato da Priamo percioche era il più giovane degli altri figliuoli; di che non lo lasciava andare alla battaglia. Questo Polidoro vinceva con la velocità de' piedi tutti gli altri giovani dal suo tempo, & di lui mostrava grandissima speranza. Nondimeno un giorno senza saputa di Priamo essendosi armato, & andato contra gl'inimici, s'abbattè in Achille, che con una Lancia il percosse, & passandogli l'arme gli fece uscir l'interiora; ma con tutto ciò egli raccogliendole con le mani si diede a fuggire, nondimeno indebilito se ne morì; Nè puotè Hettore, che veniva in suo aiuto levarlo dalle mani della morte.

 

Esaco decimosettimo figliuolo di Priamo.

Esaco fu figliuolo di Priamo, & Alsirca figliuola di Dimante, si come dimostra Ovidio quando dice;

 


Benche si dica, che la figlia Alsirca

Di Dimante in segreto partorisse


Quel Esaco vicino all'ombros'Ida.

 

Costui nacque molto prima, che la guerra Troiana, & morì poco inanzi il principio di quella. Del quale Ovidio recita tal favola. Costui havea in odio la città, & volentieri habitava ne' boschi, & campi. Avenne un giorno ch'egli vide la donzella Hesperie, che si pettinava i capelli, & si gli asciugava, di, che s'innamorò fortemente; ma veggendo Hesperie ch'egli s'accostava a lei, si diede a fuggire. Ma questi tuttavia seguendola, occorse, che la donzella fuggendo per un prato fu ferita da un serpe, che tra l'herbe stava nascosto, & peciò se ne morì. Là onde il giovane fu da cosi fiero dolore assalito, che gli venne disio di non più vivere, & da un scoglio ivi vicino si gittò in mare. Del quale havendo compassione Theti il cangiò in un Mergo, che allhora non havea tal nome. Nondimeno egli tuttavia sprezzando la vita, mentre spesso s'attuffava nell'onde per morir, da tal smergare si acquistò il nome di Mergo. Costui fu lungamente da Priamo, & dai figliuoli pianto, & drizzatogli un sepolcro, percioche s'egli lungamente fosse vissuto non sarebbe di forza stato tenuto inferiore ad Hettore. Theodontio dice, che fu converso in Mergo perche vivo si attuffò sotto, & dall'acque fu ritornato in alto morto. Ma io tengo essersi creduto, & detto che si cangiasse in Mergo perche quelli, che non sanno nuotare, se caggiono in acqua, prima, che moiano s'attuffano, & spesse volte ritornano di sopra, a guisa del Mergo. Overo, che forse avenne in tal modo che, essendo Esaco caduto nell'acqua, & rimasto al fondo, il Mergo il quale prima di lui era nell'acque entrato, allhora uscendo d'ivi volò via. Et di qui fu detto Esaco essere cangiato in Mergo.

 

Antifo decim'ottavo & Iso decimonono figliuoli di Priamo.

Antifo, & Iso furono figliuoli di Priamo, ma Antifo nacque d'Hecuba, & Iso naturale, si come si vede per autorità d'Homero; il quale nella Iliade cosi dice di tuttidue;

 


Quelli andò dunque, per donar la morte

Ad Iso, e Antifo, ch'erano figliuoli

Di Priamo Re; ma l'un bastardo, & l'altro

Ligitimo di lor; & erano ambi

S'una carretta; ma il bastardo i freni

Reggeva, e Antipo si sedeva in quella.


 

Onde si vede che Iso era bastardo, il qual reggeva le briglie. Nondimeno tutti due questi, si come erano insieme, da Agamennone nella battaglia in un tempo medesimo furono amazzati; & per ciò gli ho messi insieme.

 

Teucro ventesimo figliuolo di Priamo.

Come Teucro afferma Barlaam fu figliuolo di Priamo, & di Antidona ninfa. Nè costui è quello dal quale i Troiani si chiamano Teucri; percioche quegli fu molto più antico, & figliuolo di Scamandro Cretese; il quale per la carestia delle biade lasciata Candia, venne in Frigia, & regnò con Dardano, & Erittonio. Tuttavia Barlaam dice, che costui non fu alla guerra Troiana; percioche poco inanzi cacciando nelle selve Brebitie fu lacerato da un'Orso.

 

Dicomoonte ventesimo primo figliuolo di Priamo.

Dicomoonte fu figliuolo di Priamo, ma di qual madre non si sa. Ma per Homero si può veder, che fu naturale, il quale di lui cosi scrive;

 


Ma percosse, & ferì Dimocoonte

Figliuol bastardo del gran Re Priamo.


 

Costui fu amazzato da Achille, si come segue nel testo d'Homero; & questo in vendetta di Leuco, compagno d'Ulisse, morto da Antifone figliuolo di Priamo.

 

Echemone ventesimo secondo, & Cromenone ventesimoterzo figliuoli di Priamo.

Furono Echemone, & Cromenone naturali figliuoli di Priamo, de' quali nella Iliade cosi dice Homero;

 


Dove prese due figli di Priamo

Di Dardano figliuol, ch'erano insieme

Sopra d'una carretta; uno de i quali

Era Echemone, & l'altro Cromenone.


 

Questi due, si come a bastanza è manifesto per le parole seguenti d'Homero, furono amazzati in battaglia da Diomede.

 

Gorgitione ventesimo quarto figliuolo di Priamo.

Gorgitione fu figliuolo di Priamo, & Castiamira, si come dinota Homero con queste parole;

 


Ma questi con un dardo colse in petto

Gorgition figliuol di Priamo altiero.


 

Costui (secondo, che poi segue nel testo) fù generato da Priamo di Castiamira nella città Eusina vicina a Troia, il quale poi nella battaglia appresso Troia fu amazzato da Teucro figliuolo di Thelamone.

 

Cebrione ventesimo quinto figliuolo di Priamo.

Cebrione fù figliuolo di Priamo, si come appare per Homero, che di lui nella Iliade cosi dice;

 


Il natural figliuolo Cebrione

Del glorioso, e altiero Re Priamo.


 

Questo Cebrione, come nella Iliade dice l'istesso Homero, nella battaglia vicino a Troia percosso da un colpo di sasso da Patroclo se ne morì.

 

Forbante ventesimo sesto figliuolo di Priamo, che generò Ilioneo.

Forbante fu figliuolo di Priamo, & Efitesia, figliuola di Staseppo Migdonio, si come dice Paolo, il quale scrive, che nel tempo della guerra di Troia ei fù tanto vecchio, che più tosto fratello che figliuolo di Priamo pareva; & nondimeno per la degna virtù dell'armi locata in lui, non ostante gli anni, contra il voler anco di Priamo più volte andò a combattere, ma finalmente da Menelao gli fu levato il capo; benche Servio dica, & chiami per testimonio Homero, che questo Forbante mai non combattesse, che gli favorregiasse Mercurio: il, che maravigliomi non haver ritrovato nell'Iliade, come, che sia cosa credibile: che Homero non habbia nomato tutti quelli, che in quelle battaglie combatterono. Ma qual fosse il suo fine non mi ricordo haver letto.

 

Ilioneo figliuolo di Forbante.

Ilioneo fù figliuolo di Forbante, come afferma Paolo; il che ancho dimostra Servio. Quanto ch'egli in armi fosse valoroso sotto Troia, non mi ricordo haver letto. Nondimeno, si come per Virgilio è palese, fù molto eloquente, percioche egli fù quello, che seguendo Enea doppo la ruina di Troia andò ad impetrar salvocondotto da Didone per se, & i compagni, & con la sua eloquenza la placò. Et essendo ancho venuto in Italia Enea, andò legato al Re Latino.

 

Doridone ventesimo settimo figliuolo di Priamo.

Doridone, per testimonio d'Homero, fu figliuolo di Priamo naturale, mentre egli cosi dice nella Iliade;

 


Contra Troiani impetuoso Aiace

Tolse di vita, & amazzò il bastardo


Doridone figliuol del Re Priamo.

 

Pammone ventesimo ottavo, Antifone ventesimo nono, Agathone trentesimo, Hippotoo trentesimo primo, & Aganone trentesimo secondo figliuoli di Priamo.

Et Pammone, Antifone, Agathone, Hippotoo, & Agannone furono figliuoli di Priamo, si come in questi versi della Iliade dimostra Homero, dicendo;


Il vecchio irato con la voce oltraggia;

Et à se chiama i propri suoi figliuoli,

Paris, Heleno, & Agaton glorioso,

Pammone, Antifone, e il buon Polito,

Deifebo, Hippotoo, e appresso il divo

Agannone, ch'a lui vengano inanzi.


In questa parte dice Homero, che Priamo tutto pieno d'ira, & di rabbia chiamava tutti questi suoi figliuoli, che gli apparecchiassero le carrette, & l'altre cose necessarie, perche egli voleva andare a ritrovare Achille per riscattare il corpo del figliuol Hettore. Ma di qual madre questi tali nascessero, Homero non ne fa mentione, & io non mi ricordo haverlo mai letto, Nè ch'altri ne habbiano fatto memoria.

 

Lacoonte trentesimo terzo figliuolo di Priamo.

Afferma Papia, & habbialo trovato dove si voglia, che Lacoonte fu figliuolo di Priamo, & Sacerdote d'Apollo; del cui fa mentione Virgilio dicendo;


Ivi tra tutti gli altri, accompagnato

Da molte schiera il buon Laocoonte

Tutto infiammato vien da l'alta roccha,

Et grida di lontano; o Cittadini.


Et quello, che segue. Dice Virgilio, che costui fu quello, che con un'hasta percosse il cavallo di legno fabricato da Greci, &, che per ciò due suoi piccioli figliuoli furono divorati da due serpi, & egli anco da quelli ritrovato fu preso, & avinto; ma, che da quelli fosse morto, non se ne ha certezza, nè altro si ritrova.

 

Mistore trentesimo quarto figliuolo di Priamo.

Questo fù figliuolo di Priamo, si come Homero nella Iliade dimostra, dove introduce Priamo, che si lamenta, che tutti i suoi figliuoli ch'erano valorosi in armi gli erano stati morti, & tra gli altri noma questo Mistore.

 

Ifate trentesimo quinto, & Testorio trentesimosesto figliuoli di Priamo.

Ifate, & Testorio, come dice Paolo, furono figliuoli di Priamo, & partoriti in un parto da Perivia ninfa Idea; la quale da lui à caccia segretamente era stata impregnata; per testimonio della qualcosa si serve di Homero, benche non habbia scritto in qual libro. Indi aggiunge, ch'essi furono amazzati da Anthiloco figliuolo di Nestore sotto Troia.

 

Thimoete trentesimosettimo figliuolo di Priamo.

Thimoete secondo Servio fu figliuolo di Priamo, & Arisba; dov'egli è di avertire (si come testimonia Eforione), che Thimoete fù indovino. Il quale havendo predetto, che un certo giorno dovea nascere un fanciullo per lo quale leggiermente Troia potrebbe andar in ruina, avenne, che il giorno statuito la moglie di Thimoete, & Hecuba partorirono; là onde Priamo per schifare il presagio comandò, che il nato figliuolo di Thimoete, & la moglie fossero morti. Et di qui in processo di tempo, avenne, che Thimoete ricordevole della ingiuria s'acordò contra il padre in tradimento della Città, il, che assai si può conietturare per le parole di Virgilio quando dice;

 


Muove una parte a maraviglia il dono

Per nostro estremo mal fatto a Minerva

Miran l'alto edificio del cavallo;

Thimoete il primo è, che loda quello

Condursi entro le mura, e in roccho porlo;

O per inganno fusse, ò perche i fati


Cosi volean de l'infelice Troia.

 

Altri vogliono, che Thimoete non fosse figliuolo di Priamo ma marito di Arisba, dalla cui Priamo hebbe un figliuolo, che poi fu da lui insieme con la madre fatto amazzare, come è stato detto di sopra; & Thimoete poi, si per la morte della moglie come per l'adulterio commesso con lei, s'accordò con Greci a danno della patria.

 

Polite trentesimo ottavo figliuolo di Priamo, che generò Priamo.

Polite fu figliuolo di Priamo, si come si può capire per li versi di Virgilio, dove dice;

 


Ecco del Priamo un de' figli

Polite da la man di Pirro ucciso.


 

Nè molto da poi leggendo quello, che segue, se alcuno vi porrà mente, facilmente vedrà che fu ancho figliuolo di Hecuba. Questo Polite essendosi molto bene diportato in guerra per difender la patria, finalmente presa la città, l'infelice fu amazzato da Pirro figliuolo d'Achille in grembo di Priamo, & in presenza d'Hecuba.

Priamo figliuolo di Polite.

Secondo Virgilio Priamo fu figliuolo di Polite, il quale nella Eneida dice;

 


Guida una schiera il picciolo Priamo,

Che il nome serba del gran zio Priamo;

Progenie famosa di Polite,

Ch'anchor accrescerà il sangue Latino.


 

Questo picciolino fu menato via nella ruina di Troia da Enea in compagnia d'Ascanio.

Assaraco figliuolo di Troiolo Re di Troia, che generò Capi.

Havendo condotto a fine la infelice prole di Laumedonte figliuolo del Re Troiolo, è necessario ch'io volga la penna ad Assaraco figliuolo dell'Istesso Re Troio, accioche veniamo a designare gli antichissimi progenitori del nome romano, & la progenie di Dardano intiera. Assaraco adunque fu figliuolo di Troio Re di Troia, come mostra Ovidio nel libro de Fastis, dove dice;

 


Erittonio fu figliuolo di costui,

Da lui fu generato Troio;

Et questo Troio Assaraco produsse;

Et Assaraco Capo, & Capi Anchise.


 

Non v'è ricordo nessuno dei fatti di questo Assaraco, di maniera l'antichità ha consumato il tutto. Nondimeno lo splendor della generata progenie non meno l'ha fatto illustre che il grand'infortunio della ruinata Troia. Percioche, si come dal soverchio ardire dei figliuoli di Priamo nacque l'incendio, & ruina di Troia, cosi dalla humanità della progenie d'Assaraco fu edificata Roma padrona del mondo, & la famiglia dei Cesari generata, ch'appresso mortali sarà sempre testimonio di sempiterna, & eccelsa gloria.

 

Capi figliuolo d'Assaraco, che generò Anchise.

Capi fu figliuolo d'Assaraco, si come di sopra ha dimostrato Ovidio. Ma l'antichità medesimamente ha spento i fatti di questo Capi, si come ancho ha fatto d'Assaraco. Nondimeno ha tenuto in luce ch'egli fu padre d'Anchise, che generò il famosissimo progenitore della generosa successione della gente Giulia, & sempiterno testimonio dell'inclita pietà d'un figliuolo.

 

Anchise figliuolo di Capi, che generò Hippodomia, & Enea.

Anchise, si come s'è dimostrato parlando d'Assaraco per li versi d'Ovidio, fu figliuolo di Capi. Sono di quelli, che dicono, che costui inanzi la guerra Troiana abbandonò la città, & andò ad habitar ne' boschi, & luoghi selvaggi, dove attese agli armenti, & a i greggi, ne' quali per lo più si fermavano le ricchezze degli antichi. Onde essendo egli andato con i suoi greggi vicino al fiume Simeonte, avenne, che Venere di lui s'inamorò, & egli con quella hebbe a fare, di maniera, che di lei il figliuolo Enea. Nondimeno si ritrova ancho, ch'hebbe moglie: & Homero dice, che di lei n'hebbe figliuoli. Servio vuole ch'ei fosse cieco, &, che per ciò non si ritrovasse ai consigli de' Troiani. Alcuni dicono, che la cagione della sua cecità fu perche si diede vanto d' essersi congiunto con Venere, & ch'ella per ciò il privasse della luce. Testimonia Virgilio che, essendo presa, & ardendo Troia, Enea il voleva condur via, & ch'ei più tosto s'era disposto voler morire, che partirsi. Nondimeno si legge ch'egli, veggendo poi una fiamma di foco, che stava d'intorno il capo d'Ascanio senza punto offenderlo, da ciò prendendo buon augurio compiacque al figliuolo. Tuttavia male si convengono insieme l'openioni di Virgilio, & Servio, l'uno de' quali dice, che fu cieco, l'altro ch'ei vide una fiamma. Se n'andò adunque col figliuolo, che il portò sopra gli homeri per mezzo i fochi, & tra mille volanti dardi fuori dei pericoli; & montato in nave insieme con Enea giunse a Trapani castello di Sicilia, dove per vecchiaia se ne morì, & sul monte d'Erice fu sepolto. Et questo secondo Virgilio. Altri nondimeno vogliono altrimenti, percioche Catone conferma, che venne fino in Italia, ma Servio dice, che Varrone narra, che l'ossa d'Anchise per comandamento dell'oracolo furono levate, & portate via da Diomede; ma sopportando egli poi molte disgratie, dall'istesso Diomede insieme col Palladio furono restituite. Il, che ancho esso Virgilio tocca mentre descrive Didone irata contra Enea, che cosi gli dice;

 


Et lo spirito, & le ceneri d'Anchise,

Nè l'ombre, trassi mai fuor del sepolcro.


 

Volendo quasi inferire io non ho mai fatto questo, si come Diomede. Oltre ciò pare, che Servio voglia per questa cagione da Virgilio in persona d'Enea esser detto;

 


Di nuovo io vi saluto, ò ricevuti

Ceneri, ombre, & spiriti del padre.


 

Come se una volta fossero tolti da Troia, & di nuovo da Diomede. Nondimeno dove egli si morisse, per ciò non si può comprendere, ma le parole di Servio mostrano accostarsi ch'ei morisse inanzi la ruina di Troia. Qualmente poi, ch'io tenga, che Anchise havesse questo figliuolo da Venere, mi serbo a dirlo dove scriverò d'Enea. Ma, che per essersi dato vanto fosse da Venere accecato, tengo, che si debba intendere in questo modo; Alcuni giovani sono soliti tra le principali sue felicitadi tener conto dei loro coiti, & delle frequenti amicitie di più donne, come se per ciò volessero, che la loro bellezza fosse istimata essendo da molte desiderata, & eglino raccolti da gran numero di donne; di che a loro pareva inalzarsi veggendosi, che nel coito erano molto valorosi: dal qual continuar del coito molte fiate nascono delle infermitadi, & per lo più s'indebiliscono le virtù corporali, & specialmente la vista; percioche è cosa certissima molti essere venuti per lo coito non solamente con la vista corta, ma ancho haverla perduta. Onde conosciuto il mancamento del loro vantarsi, meritamente sono detti essere da Venere acceccati. Cosi puotè intervenire ad Anchise, perche mancandogli la vista per haver di soverchio atteso ai coiti fu trovata questa inventione. Ma accioche non paia, che Servio discordi da Virg., puotè in Anchise di sorte essere indebilita la virtù visiva ch'egli non discernesse le cose c'havea inanzi overo non potesse vedere di lontano; i quali huomini tali per una certa usanza antica di parlare chiamiamo ciechi, benche anch'eglino vedessero i raggi del Sole, & le fiamme del foco. Di, che in tal modo Anchise (secondo Servio) puote esser cieco, nondimeno (si come dice Virgilio) veder la fiamma del nipote. Costui oltre Enea hebbe ancho delle figliuole, tra quali si sa il nome solo d'Hippodamia.

 

Hippodamia figliuola d'Anchise.

Hippodamia, si come nella Iliade piace ad Homero, fu figliuola d'Anchise, & più vecchia di tutte l'altre, accioche appaia ch'egli n'havesse dell'altre. Costei fu molto bella, & molto amata dal padre, ma non si sa chi di lei fosse madre. Nondimeno fu data per moglie ad Alcataone Troiano, il quale poi da Idomeneo Cretese nella guerra Troiana fu morto. Delle altre figliuole, Nè esso Homero Nè altro ch'io m'habbia letto ne riferisce alcuna cosa.

 

Enea figliuolo d'Anchise, che generò Ascanio, & Silvio Posthumo.

Gli antichi, & moderni Poeti predicano, che Enea fu figliuolo d'Anchise, & Venere. Questi, benche molto sia inalzato per li versi d'Homero, nondimeno per la riverenza di quelli di Virgilio è celebrato cosi famoso in armi, & di pietate, che non solamente da' Greci è preposto ai barbari, ma agli altri Latini. Cosi vuole la fortuna del mondo, Achille hebbe Homero, & Enea Virgilio, pieni di tanta eloquenza ch'a tal comparatione l'avanzo de' mortali paiono non lodati, benche al tempo nostro si leva, & inalza Scipione Africano con non minor gloria, ma si bene con maggior giustitia condotto fino sopra le stelle per li versi del celebratissimo Francesco Petrarca, poco inanzi coronato in Roma delle insegna d'Alloro. Con tanta facondia, & eleganza di parlare egli è guidato inanzi che, come quasi guidato fuori delle tenebre d'un lungo silentio, paia portato in grandissima luce: di che punto ei non invidierà nè ad Achille nè al figliuol d'Anchise. Enea adunque, si come poco inanzi è stato detto, nacque di Anchise, & Venere appresso il fiume Simoenta, & già essendo d'età provetto hebbe per moglie Creusa figliuola di Priamo, & Hecuba, la quale gli partorì Ascanio. Scriveno alcuni che, andando Paris in Grecia per rapir Helena, ch'Enea gli fu compagno. Finalmente havendo i Greci assediato Troia, & sforzandosi con molti assalti pigliarla, egli più volte uscì fuori a combattere, & tra l'altre una s'affrontò con Achille; dove essendo in grandissimo pericolo, si come nella Iliade dice Homero, Nettuno parlò verso i dei, & gli pregò, che togliessero dalle mani della morte Enea, accioche tutta la stirpe di Dardano non perisse. Il, che da Giunone, ch'era molto contraria a' Troiani, gli fu conceduto ch'egli potesse fare; & cosi allhora per opra di Nettuno Enea fu tolto dalle mani d'Achille, & (si come nel medesmo loco tocca Homero) serbato all'Italia. Tuttavia, se bene Enea oprò molti degni fatti per Troia, secondo alcuni fu notato d'infamia, che tradisse la patria, et tra l'altre cose si piglia argomento che, salvo, con il figliuolo, & con i navili, & una parte di genti fu lasciato partire, essendosi usato crudeltà quasi contra tutti gli altri. Nondimeno altri dicono, che ciò gli fu conceduto in dono perche continuamente il suo Palazzo fu l'alloggiamento di tutti gli ambasciadori greci, che vennero a Priamo, & perche ancho sempre nei consigli dei Troiani disse ch'era cosa dannosa ritener Helena, & gli persuase a restituirla: Ma fosse come si volesse, Virgilio dice, che presa Troia, essendosi egli indarno molto affaticato per difender la patria, tolti i Dei pennati, ch'Hettore in sogno apparsogli gli havea raccomandati, & il vecchio padre, & il picciolo figliuolo, mostrandogli la madre Dea la strada se ne venne al litto, & ivi tolte venti navi con le quali già molto prima Paris era andato in Grecia, entrò nel mare, & passò in Thracia. Dove avisato da Polidoro, ritrovato sepolto nel lito, ch'egli fuggisse l'avaro lito, edificò una Città chiamata dal suo nome Enea; della quale Tito Livio nel quarantesimo libro ab Urbe Condita fa memoria dicendo, ch'Enea Troiano edificò già Enea Città vicina a Thessalonica, & in questo modo di lei scrive; Si partono da Thessalonica, & vanno ad Enea per essequire lo statuito sacrificio, ch'ogni anno fanno con gran cerimonia in memoria d'Enea, di quella edificatione. Et quel, che segue. Indi con le navi essendo di nuovo rientrato in mare per vedere, secondo l'Oracolo, l'antichissime sedie degli avi suoi, andò in Creta; & d'ivi essendo già da' Candiani stato cacciato il Re Idomeneo, come s'egli quasi fosse giunto alle sedie de' suoi progenitori, percioche di quel paese fu Teucro figliuolo di Scamandro, che insieme con Dardano havea signoreggiato ai Dardanij, si fermò in Candia. Ma cacciato ancho di là per la peste, & essendo fatto certo, che Dardano era stato Italiano, si dispose passar in Italia, & indi venne in Chaonia; & da Heleno indovino avisato di ciò, che gli havea ad occorrere passò in Sicilia, & appresso Trapani (si come piace a Virgilio) gli morì il padre, dove poscia, che hebbe racconciate le navi, che per la fortuna erano tutte conquassate, da un vento crudele fu condotto in Africa secondo, che narra l'istesso Virgilio, benche altri neghino; & ivi dalla Reina Didone fu ricevuto, essendo già sette anni stato errabondo, con la quale essendo alquanto dimorato, & congiunto con lei (se ciò si deve credere al Mantovano), per aviso de gli Dei partendosi d'Africa di nuovo ritornò in Sicilia ad Aceste, & con grandissima magnificenza celebrò i giuochi in memoria del padre, & edificata ivi la città Acesta, lasciandovi parte delle sue genti, mentre passava in Italia perdette Palinuro, capo della sua armata. Indi giunse al porto di Bibie, & con la guida della Sibilla scese all'Inferno, & passò fino ai Campi Elisi; dove ritrovato il padre Anchise, col mezzo suo vide tutta la sua discendenza. Fatto questo ritornò sopra la terra, & fornite l'essequie funerali a Miseno suo Trombetta navigò in Caieta; dove morendo Caieta sua nudrisce v'edificò una città col nome di quella. Finalmente si condusse in Italia alle foci del Thebro, fin dove, dice Servio, che non gli venne meno la visione della madre Venere; la quale non essendo più da lui veduta, egli s'imaginò esser giunto al predestinato loco, & ivi deversi fermare. Et cosi fece. Onde hebbe prima l'amicitia d'Evandro, & indi di Latino Re di Laureti, che gli diede per moglie la figliuola Lavinia, che prima era stata promessa a Turno Re di Rutuli; percioche cosi gli haveano mostrato gli oracoli. La onde Turno mosse gran guerra contra lui; nondimeno aiutato da Evandro Re degli Arcadi, & da' Thoscani, al dispetto di Mezentio Re d'Agellia ottenne il reame, & la sposa. Della sua morte gli antichi hanno diverse openioni, percioche Servio dice, che Catone vuole che, facendosi un fatto d'armi appresso Lauro Lavinio, & stando i compagni d'Enea a partir la preda, Latino fu amazzato da Enea; il quale Enea in quella battaglia più non comparse. Ascanio poi amazzò Mezentio. Altri dicono poi che, essendo Enea vincitore, & sacrificando sopra il fiume Numico, in quello cadde, Nè il suo corpo fu più ritrovato. La qual cosa gentilmente tocca Virgilio mentre induce Didone, vicina alla morte, far questi preghi contra lui, dicendo;

 


Travagliato almen sia da guerre, & armi

De la più fiera, & orgogliosa gente;

Vada in essiglio, fuor de' suoi confini,

Et da le braccia sia tolto d'Iulo;

D'aiuto preghi altrui; l'indegne morti

Veggia de' suoi, nè quando a l'aspre leggi

Ubidito haverà d'iniqua pace;

Il regno goda, o il desiato lume.

Ma cagia egli anzi tempo, & sopra il lito

Resti insepolto de l'arena in mezzo.


 

Oltre ciò sono di quelli, che dicano ch'egli fu morto da Turno, & vogliono, che Virgilio scriva questo sotto artificiosa fittione, dove in mezzo l'ardor della battaglia mostra, che  Giunone tema la morte di Turno; di, che per levarlo fuori della battaglia finge ch'ella si trasmutasse nell'effigie d'Enea, contra cui dice, che subito si rivolse Turno, & Enea fuggì alle navi ch'erano nel fiume Numico, &, che per insino in quelle fu perseguitato da Turno. Onde secondo la verità dell'historia vogliono non, che Giunone si mutasse in Enea, ma esso Enea; il quale fuggendo l'armi di Turno fu da lui appresso il Numico amazzato. Il, che in parte per li sopradetti versi si può conoscere; Nè puote altrove haver tacciuto Virgilio, mentre nell'istesso libro induce Venere, che prega Giove, & dice;

 


Almen lecito sia, che sopraviva

Il mio nipote Ascanio senza offesa,

Et ch'ei possa drizzarsi a quel camino

Che la fortuna a lui vorrà mostrare;

Et ti deve bastar, ch'Enea gittato

Da onde ignote sia per strani liti.


 

Dove se mettiamo mente, non v'essendo più Enea, Venere, che fino allhora era stata sollecita del figliuolo, al presente prega per lo nipote Ascanio; & Ovidio nel suo maggior volume par, che tenga l'istesso, mentre dice;


Di Laurento indi pervenne al lito

Dove coperto di cannelle, serpe

Il bel Numico ne i vicini mari

Con l'onde istesse, & a costui commanda,

Che lavi ciò, c'ha di mortal Enea

Et con quieto corso il tutto porti

Fino nel mare; di, che il buon Numico

Adempisce di Venere i mandati,

Et quanto di mortale era in Enea

Con l'onde proprie egli lo caccia, & purga.

 


Questo istesso ancho pare, che voglia Giuvenale, mentre dice;


 

L'uno per l'acque fu mandato al cielo

L'altro per fiamme andò fin'a alle stelle.


 

Dove intende di Enea, & Romolo, perche Enea morì nell'acque, come è stato predetto, & Romolo appresso la Palude Caprea da folgori, & tempeste fu tolto dal mondo; amendue ugualmente appresso Romani furono honorati con solenne riverenza, percioche esso Enea, morisse come si volesse, dagl'indigeni fu tenuto per Iddio, & chiamato Giove Indigite. Tale historia è adornata d'alcune fittioni, la ragion delle quali l'ordine ricerca, che veggiamo. Che Enea fosse figliuolo di Venere, ciò non è dirittamente da tutti inteso. Alcuni vogliono, che nella natività d'Enea Venere signoreggiasse il cielo, & a lei appartenersi la dimostratione dei futuri successi; & per opra di questo dominio esser'avenuto molte cose ad Enea, le quali per industria da Virgilio sotto figmenti poetici sono nascoste. Onde il dichiararle al presente, & voler renderle chiare non è di mia intentione, nè s'appartiene all'impresa incominciata. Altri poi vogliono ch'egli nascesse in quell'hora, che Venere, venendo il tempo matutino, si leva; & però vogliono, che sia detto suo figliuolo quasi, che appaia egli essere stato prodotto in luce, quando ella si levava. Altri istimano poi, che la madre di lui fosse si bella che, perduto il proprio nome, s'acquistasse quello di Venere; per la qual cosa pensano, che Virgilio dicesse;

 


Per lo superbo maritaggio Anchise

Di Venere divenne assai più degno.


 

Altri tenendo diversa openione pensano, che sia stato detto figliuolo di Venere perche non di matrimonio, ma di concupiscevole congiuntione nacque, facendo tal prosuposto che sarebbe quasi cosa impossibile, che la madre di tanto huomo non fosse stata conosciuta, se di Anchise fosse stata moglie; ma per coprire la nota d'infamia del famoso huomo, gli antichi finsero, che fosse la Dea Venere. Io certamente istimo esser vero, che la madre di lui per qualche merito fosse cognominata Venere, si come ho detto ch'altri pensarono, nè per ciò ci lo vieta, che il suo vero nome non si sia saputo, percioche non si sa nè ancho quello della madre di Priamo, che fu si gran Re, nè d'Agamennone, nè di molt'altri famosissimi Re, & huomini. Et sia da me lontano ch'io creggia, che Priamo havesse dato per moglie ad un bastardo d'un Pastore Creusa sua figliuola. Che per preghi di Nettuno poi egli fosse levato dall'abbattimento con Achille, non credo che sia vero quello che diceva Leontio, cioè, che ciò avenisse per la forza della constellatione; anzi penso più tosto che d'intorno alle cose navali, le quali paiono appartenersi a Nettuno per esser detto Iddio del mare, potesse occorrere alcuna cosa, che per rimediarvi Achille lasciasse la battaglia con Enea. che ciò da Giunone fosse conceduto a Nettuno, tengo, che il Poeta habbia havuto riguardo alle cose future, attento, che Enea era serbato al Reame d'Italia; & per ciò la Dea dei Reami gli concesse c'havesse cura della salute del futuro Reame. Viene detto poi ch'egli fu nel lito avisato da Polidoro, perche, venutogli a mente la disgratia di lui, conobbe che se si fermava ivi, che i Thracesi li sarebbono inimici, & però previde essere da fuggire. che ancho Venere a lui si dimostrasse col lume suo, & gli fosse guida fino nel territorio Laurento, &, che come fu giunto ivi sparisse, ciò si può attribuire all'opra della constellatione verso il concupiscevole appetito, attentoche tanto andò inanzi navigando quanto stette a ritrovare quello, che gli piacque; il che ritrovato cessò la voglia, che il cacciava. Che passasse all'Inferno, istimo deversi intendere ch'egli oprasse quello, che già fu famigliare ai maggiori Re de' gentili volere, cioè per via di quella scelerata arte di nigromantia essere certificato da spiriti maligni delle cose future; onde per far ciò andò nel seno di Baie appresso il lago Averino, il qual era loco attissimo a tai cose, & amazzato Meseno col suo sangue sacrificò agl'Inferi, & con altre inique cerimonie oprò, che alcuno de' scelerati spiriti astretto dalla forza degl'incanti venendo di sopra, & pigliando la forma di qualche fantastico corpo, comparve, & diede risposta alle sue interrogationi, & forse gli predisse alcuna delle cose ch'a lui erano per avenire. La sua edificatione poi non è altro, che la pazzia da farsi beffe dei pazzi. Credo ch'egli fosse gittato nel fiume Numico, & portato in mare, &, che fosse esca a i pesci Toscani, & Laurenti.

Ascanio figliuolo d'Enea, che generò Giulio Silvio, & Rhoma.

Ascanio, come piace a Virgilio, non solamente fu figliuolo d'Enea, & Creusa, ma etiandio compagno della fuga, & delle fatiche in cercare il Reame, si come egli per tutta l'Eneida dimostra ampiamente. Ma Tito Livio, ch'hebbe più diligente cura della verità dell'historia, non afferma a pieno, se fosse figliuolo di Creusa, ò di Lavinia, dicendo;  Non ancho Ascanio figliuolo d'Enea era in età da regnare; nondimeno quell'imperio a lui restò nell'età di prima barba intiero, & salvo solamente sotto tutela della donna, tanta buona indole era in Lavinia: onde l'Imperio Latino, & il Regno del zio et del padre fu del fanciullo. Dubiterò io, chi affermerà per certo una cosa tanto antica, se questo fu quello Ascanio nato di Lavinia ò di Creusa, che uscì salvo dalla ruina di Troia, & fu compagno della paterna fuga; il quale istesso Iulo la famiglia Giulia dice, che fu autore del suo nome. Questo Ascanio nascesse dove, & di chi si volesse, certamente si ritrova, che fu figliuolo d'Enea. Et quel che segue. Questo dice Tito Livio. Ma Eusebio nel libro de i Tempi tiene, che Ascanio fusse figliuolo di Creusa: & un'altro, che nacque di Lavinia il chiama Silvio Posthumo. Ascanio adunque (secondo Vergilio) sotto Troia perdette la madre, & col padre si diportò molto valorosamente contra gli inimici; & si come Servio afferma, fu chiamato con diversi nomi. Percioche, oltre Iulo, & Ilo con i quai è nomato, si come si vede in Vergilio, quando dice;

 


Ma il bel garzone Ascanio, a cui s'aggiunge

Hor il nome d'Ulo; mentre in piedi


Stette la roccha Ilia fu detto Ilo.

 

Questi appresso fu detto Dardano, & Leodamante per consolatione de' morti fratelli: onde viene ad esser chiaro, ch'Enea di Creusa hebbe ancho altri figliuoli. Nondimeno dei nomi di costui dice Servio essere da sapere, che fu chiamato Ascanio da Ascanio fiume di Frigia, si come risonante d'oltre Ascanio. Indi fu detto Ilo da quel Re onde venne ancho Ilio. Poi Iulo per l'amazzato Mezentio da lui nel primo spuntar della barba, la quale gli nasceva quando ottenne la vittoria. Questo Ascanio nondimeno (accioche seguitiamo Vergilio alquanto) ancho picciolino hebbe augurio del futuro Imperio, percioche contrastando il padre, & l'avo della futura fuga, una certa fiamma di foco si fermò d'intorno il capo del fanciullo senza punto offenderlo, Nè poteva essere estinta dai padri. Finalmente sostenne poi insieme col padre nell'essiglio molte fatiche. Et essendo morto Enea, & libero delle cose mortali, & egli succeduto nel Reame, finì la guerra incominciata dal padre con la vittoria, conciosia, che altri dicono, che amazzò Turno, altri Mezentio. Ma dice Servio, che secondo Catone il vero dell'historia è questo. Che Enea col padre venne in Italia, et perche havea assalito i territori hebbe guerra contra Latino, & Turno, nella quale morì Latino; & Turno poi si ritirò da Mezentio, & nell'aiuto di lui confidandosi rinovò la guerra, nella cui Enea, & Turno medesimamente mancarono. Continuò poi la battaglia tra Ascanio, & Mezentio; ma per finirla vennero a singolar battaglia, & morto Mezentio Ascanio incominciò esser chiamato Giulio, si come poco inanzi è stato detto. Questi adunque (secondo Eusebio) havendo regnato trent'anni, appresso Lavino edificò Alba, & con grandissimo amore, & pietà allevò Silvio Posthumo suo fratello. Altri più oltre dicono che, essendo da gli amici ripreso percioche pareva ch'egli tenesse la madrigna Lavinia in essiglio: la quale per tema di lui era nelle selve fuggita; la fece ritrovare, & le restituì il Reame paterno, essendosi già deliberato passare fino in Alba. Nondimeno egli generò un figliuolo, il quale, percioche per caso nacque nelle selve, il chiamò Giulio Silvio; da cui alcuni vogliono esser derivata la famiglia Giulia. Finalmente havendo tra Lavino, & Alba da lui edificata regnato trent'otto anni, havendo a morte, perche il figliuolo non gli parea atto per la picciola età di poter reggere i Cittadini, lasciò Silvio Posthumo suo fratello herede del Regno.

 

Giulio Silvio figliuolo d'Ascanio.

Giulio Silvio secondo Tito Livio fu figliuolo d'Ascanio, & perche per caso nacque nelle selve fu cognominato Silvio; & da lui derivò la famiglia Giulia; poscia, che successe al padre Ascanio nel reame. Nondimeno Eusebio nel libro de' Tempi dice, ch'è ben vero che fu figliuolo d'Ascanio, ma perche morendo il padre era picciolo, & non pareva sofficiente al governo, egli lasciò la successione dello Stato a Silvio Posthumo suo fratello.

Rhoma fu figliuola d'Ascanio, come scrive Solino tra le cose maravigliose del Mondo, dicendo, che Agatocle scrive il nome della Città di Roma haver havuto origine da questa Rhoma figlia d'Ascanio, & nezza di Enea attento, che Eraclide scrive che, essendo presa Troia alcuni Greci capitarono dove hora è Roma, & ivi per consiglio d'una loro prigionera nomata Rhoma, si fermaro, & da quella diedero nome al luogo.

 

Silvio Posthumo figliuolo d'Enea, che generò Silvio.

Silvio Posthumo secondo Vergilio fu figliuolo d'Enea, & Lavinia. Questi nacque dopo la morte d'Enea, & però fu detto Posthumo, ilche è general nome di tutti quelli, che nascono dopo il padre sepolto. Fu detto Silvio, come piace a molti, percioche Lavinia, morto il padre Latino, & il marito Enea, & essendo occupato il Reame da Ascanio, temendo l'imperio di quello, gravida se ne fuggì nelle selve, dove stette nascosta, & partorì; di, che il figliuolo nato nelle selve da lei Silvio fu detto. Ma si come è stato detto di sopra, Ascanio, fatta venire la madrigna nel paterno Reame, fece allevare il fratello Silvio con fraterno amore; & venendo a morte, percioche Giulio Silvio era allhora fanciullo, lasciò herede del regno l'istesso Silvio suo fratello, che fu padre d'Enea Silvio. Ma i Brittoni (istimo io per desiderio di nobilitare la sua nation barbara) aggiungono a costui un altro figliuolo, dicendo ch'egli generò ancho un certo Bruto di una nezza di Lavinia sua madre, nella cui natività dicono, che un Matematico disse ch'egli amazzarebbe il padre, et la madre; onde avenne, che nel partorirlo morì la madre, & cresciuto in età per inavertenza a caccia amazzò il padre. Per la qual cosa cacciato d'Italia andò in Leogrecia isola di Grecia, & hebbe per Oracolo, che possederebbe l'isola dell'estremo Occidente; il quale, tolta per moglie una figliuola di Pandrasio Re greco, con una compagnia insieme con Corniveo Troiano navigando superò Geoferico Re degli Aquitani, & ottenne l'isola Alboina, ch'era habitata da' Gianti, & dal suo nome la chiamò Brettagna, & da Corniveo Cornubia. Oltre ciò dicono ch'egli generò un altro Bruto per cognome chiamato Verde Scudo; & di qui essere stato generato un altro re, indi un altro, et cosi di mano in mano procedendo in infinita discendenza; le quai cose, perche a me non sono parse nè vere nè verisimile, ho giudicato esser buono lasciarle. Posthumo adunque havendo regnato trent'otto anni, lasciato Enea Silvio suo figliuolo ch'a lui sopravisse, finì l'ultimo giorno.

 

Enea Silvio figliolo di Silvio Posthumo, che generò Latino Silvio.

Enea Silvio figliuolo di Silvio Posthumo terzo Re de' Latini successe al padre, del quale Vergilio fa mentione quando dice;

 


Et Silvio Enea, che come a te nel nome.

Egual, cosi sarà d'armi, & pietade.


 

Questi generò Latino Silvio, & havendo regnato anni trent'uno, espirò.

 

Latino Silvio figliuolo d'Enea Silvio, che generò Alba Silvio.

Latino Silvio, come dice Tito Livio, fu figliuolo d'Enea Silvio, & morto il padre signoreggiò ad Albani, & da lui furono condotte le colonie di quelli, che Prischi Latini furono detti. Questi, havendo regnato cinquant'anni, & generato Alba Silvio, che a lui sopravisse, finì l'ultimo giorno. Eusebio nel libro de Tempi dice ch'egli in altra historia ritrova, che Latino Silvio quinto regnò in Alba, & fu figliuolo di Lavinia, & Melampo, & fratello d'un medesimo ventre di Silvio Posthumo; il qual Latino in ordine dei re, qui è posto il quarto.

 

Alba Silvio figliuolo di Latino Silvio, che generò Athi Silvio.

Alba Silvio fu figliuolo di Latino Silvio, & al padre nel reame successe; & havendo regnato trentanove anni, lasciato Athi suo figliuolo fu tolto dalle cose mortali.

 

Athi Silvio figliuolo d'Alba, che generò Calpi Silvio.

Fu Athi Silvio figliuolo di Alba, il quale alle volte da Eusebio è chiamato Egittio Silvio. Questi, havendo regnato ventinove anni, lasciato il figliuolo Capi finì l'ultimo giorno.

 

Capi Silvio figliuolo d'Athi, che generò Carpento Silvio.

Capi Silvio fu figlio d'Athi. Sono alcuni, che vogliono, che Capua già famosissima città di Campania fosse da costui edificata, il quale regnato c'hebbe ventiotto anni, morendo lasciò il reame a Carpento.

 

Carpento Silvio figliuolo di Capi, che generò Tiberino Silvio.

Di Capi fu figliuolo Carpento; & havendo regnato diciotto anni, venendo a morte, a lui successe il figliuol Tiberino.

Tiberino Silvio figliuolo di Carpento.

Tiberino Silvio figliuolo di Carpento generò Agrippa Silvio; & havendo signoreggiato Alba ott'anni cadde nel fiume Albula, che cosi era chiamato a quel tempo, & partiva i confini tra Latini, & Thoscani, & in quello se ne morì. Per la qual cosa da indi in poi lasciato il vecchio nome di Albula fu detto Thebro dal nome di Tiberino, & fino al dì d'hoggi vi dura.

 

Agrippa Silvio figliuolo di Tiberino, che generò Romolo Silvio.

Agrippa Silvio generato da Tiberino, sommerso, che fu il padre successe nel regno, & poscia c'hebbe signoreggiato quarant'anni, venendo a morte lasciò il figliuol Romolo herede.

Romolo Silvio figliuolo d'Agrippa, che generò Giulio Silvio, & Aventino Silvio.

Romolo, overo Aremolo Silvio fu figlio d'Agrippa. Questi tra i monti pose le difese d'Albani, dove poi fu edificata Roma; il che a quel tempo fu tenuta cosa fatta molto impiamente, & per ciò gli huomini di quel tempo istimarono, che giustamente egli fosse fulminato, & privo di vita. Costui havendo regnato diecinove anni morì, & lasciò suoi heredi Giulio, & Aventino, ch'a lui sopravissero.

Giulio Silvio figliuolo di Romolo.

Silvio Giulio (come scrive Eusebio) fu figliolo minore di Romolo, & bisavolo di Giulio Procolo, che con Romolo andò a Roma, & ivi diede principio alla famiglia Giulia dalla cui derivano i Cesari.

 

Aventino Silvio figliuolo di Romolo Silvio, che generò Proca Silvio.

Aventino Silvio fu figliuolo di Romolo Silvio, al quale essendo fulminato successe nel reame; dove poscia, che hebbe regnato trentasette anni venendo a morte, lasciò un figliuolo chiamato Proca, & fu sepolto in quel monte, che da indi in poi fu dal suo nome sempre chiamato Aventino.

 

Proca Silvio figliuolo d'Aventino, che generò Amulio, & Numitore.

Proca secondo Tito Livio fu figliuolo d'Aventino, & in loco del padre regnò anni ventitre; indi morendo lasciò il regno al figliuolo Numitore.

 

Amulio figliuolo di Proca.

Fu Amulio (testimonio Tito Livio) il minor d'anni tra tutti i figliuoli di Proca. Questi per forza, & a tradimento levò il reame a Numitore, che d'età era maggiore. Dice Plinio parlando degli Huomini Illustri, che Proca loro padre lasciò ch'amendue regnassero un anno per uno; onde essendo toccato ad Amulio il regno, poscia, che l'anno fu passato non volle più restituirlo al fratello, anzi havendo perdonato la vita a Numitore amazzò Lauso figliuolo di lui, & indi per levare ogni speranza di successione, Rhea medesimamente di lui figliuola sotto spetie di honore dedicò perpetua vergine Vestale. Ma havendo egli regnato sette anni, Rhea partorì due figliuoli, i quali ei fece gettare nel Thebro, & Rhea sepellir viva. Nondimeno non potendo gli essecutori del maleficio de' fanciulli far l'effetto compiuto, percioche il Thebro per le pioggie continue era cresciuto, & uscito fuori del suo alveo, posero quelli sopra la riva; di, che trovati da Faustulo pastore furono allevati, & indi cresciuti in età amazzarono Amulio, & restituirono al zio Numitore il Reame.

Numitore figliuolo di Proca, che generò Lauso, & Ilia Rhea.

Numitore fu figliuolo di Proca, & dal fratello cacciato dal regno; il quale privatamente standosene in villa invecchiato, fu dai nepoti Romolo, & Remo rimesso in stato. Quello, che poi di lui avenisse non sappiamo.

 

Lauso figliuolo di Numitore.

Lauso, si come è stato detto, fu figliuolo di Numitore, & dal zio crudelmente fu fatto morire.

 

Ilia figliuola di Numitore, che partorì Romolo, & Remo.

Ilia Rhea fu figliuola di Numitore, & da Amulio tra le vergini Vestali collocata; la quale (secondo Ovidio) andando un giorno a pigliar dell'acqua per gli sacrifici si adormentò, dove in sogno le parve vedere, che Marte giacesse seco; di che essendosi impregnata, n'ebbe due figliuoli, & per comandamento del Re fu fatta sepellire viva. La fittione di Marte, che giacesse seco si dichiarerà dove si parlerà di Romolo, & Remo. Et perche non habbiamo per ordine quelli, che sono nati di Giulio Silvio, è di necessità far fine alla Geneologia dei posteri di Dardano; aggiungendovi questo, che da questi sia disceso lo splendore del mondo, & di Roma, Caio Giulio Cesare Dittatore.

 

Il fine del Sesto Libro.

 


 

 

 

DELLA GENEALOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO SETTIMO.

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

Ma io che poco dianzi, altissimo Re, dal fiume Elsa di Certaldo, & dall'Arno di Toscana havea spiegato le vele in mare, & sono girato a forza per le oscure foci delle Sirti fremendo il fiero Aquilone; & indi per li larghi, aperti, & rozzi promontori dell'Asia, & per gli duri scogli del mare Egeo, cosi cacciandomi il vento Libico, & appresso spesse volte con non minor timore che maraviglia, per lo torto mare Siciliano, et tra i risonanti liti sì del mare Illirico, come del Tirrheno, per lo soffiar del vento Notho, coperto solamente dall'oscure nube de' Poeti; & stando di quì a riguardare il chiaro lume di Febo, & l'immobile Stella d'Artoo, lasciati a dietro i liti de Genovesi, Francesi, & Spagnuoli, & Calpe, & Abila Promontori, alla fine sono stato portato fin all'entrata dell'Oceano. Cosi circa l'entrare di quello fermandosi il mio legnetto, come quasi per deliberare se gli sarebbe conceduto lo spatio di girare, io drizzai gli occhi verso i termini del mare, dove veggendo cosi gran corpo, & incomprensibil mostro, & con l'animo misurando i dirotti monti d'acque fino al Cielo, & l'horribil spelonche di quello per l'oscure entrate; & indi imaginandomi le indomite forze, con quali percuote la terra, & i non conosciuti popoli, & le fiere bestie di quello; & indi considerando, che è accettatore di tutti i fiumi, confesso veramente, che mi spaventai, & mi si drizzarono i capelli, & da un certo insolito timore soprapreso a pena puoti fermare le tremanti membra. Et poco vi mancò, che piu tosto volontariamente non patissi naufragio nel lito, che passar piu oltre, istimando essere stato un giuoco, & piacere a rispetto di quello, l'ire del mare Mediterraneo. Ma colui, che veramente è certa speme, & infallibile aiuto di chi dirittamente crede in lui, da me subito invocato, mi s'appresentò, & col fuoco della sua charità cacciando il contrario freddo porse vigore all'animo prostrato, & il ritornò in maggiori forze del solito: di maniera, che col picciolo legnetto, ma nondimeno con animo grande, pigliai ardire entrare nel terribile gorgo, & solcare i non soliti mari. Di che spedita nel passato quasi tutta la prole di Cielo, pigliai la penna per scrivere la lunga discendenza dell'Oceano, lasciando il governo della debile barchetta a colui, che conservò salva l'Arca di Noe dall'acque del Diluvio universale.

 

Oceano figliuolo di Cielo, & di Vesta, che generò tra figliuoli, & figliuole ventiquattro: de quali questi sono per ordine i nomi. Eurinomi, Persa, Aetra, Pleione, Climente, Tritone, Dori, Protho, Corufice, Nereo, Acheloo, Inaco, Peneo, Nilo, Alfeo, Crinisio, Thebro, Axio, Asopo, Cefiso, Meandro, Pillira, Sperchio, & Sole.

Volsero i Theologhi, che hanno havuto opinione dal Cielo, ò dalla terra, overo da amendue, tutte le cose da principio essere state prodotte, che Oceano fosse figliuolo di Cielo, & di Vesta; il che non credette, nè tacque il Principe, de gli Ionici Filosofi Milesio Thalete, appresso gli antichi di non picciola autorità, anzi non meno insipidamente di quello, che facessero gli altri istimo, che l'istesso Oceano havesse la mente divina, & che da lui fossero prodotte tutte le cose, overo ch'egli fosse quello, che ne concedesse la cagione. Non sò qual ragione movesse lui, eccetto se forse, veggendo, che in tutte le cose mancando l'humidità, è di necessità, che anco la vita cessi, & che anco medesimamente alcuna cosa senza humore non può generarsi, nè nascere. Di che affermava l'Oceano non esser generato, ma esser padre de gli Dei, & di tutte le cose. Al quale alle volte pare, che si sia accostato Homero: & specialmente dove nella Iliade induce Giunone, che dice l'Oceano essere la natione di tutti i Dei, & la madre Theti. Et cosi talhora ha seguito questa opinione Virgilio dove dice;

L'Oceano gran padre de le cose.

Plinio poi nel libro dell'historia naturale inalzando questo elemento dell'acqua dice; Certamente questo elemento signoreggia a tutti gli altri, le acque divorano le terre, amazzano le fiamme, ascendono in alto, si vendicano il Cielo, & col toccare affogano il vital spirito delle nubi, la qual cagione partorisce i folgori, seco stesso discordandosi il Mondo. Qual cosa puote esser piu maravigliosa dell'acque, che stanno in Cielo? Quelle, benche sia poco, pervengono in tanta altezza, che rapiscono i fiumi con le schiere de pesci, & spesso anco cavano i sassi, & portano gli altrui pesi. Per loro si presta origine a tutte le cose, che in terra nascono: elle generano le biade, vivificano gli alberi, & frutti, & tutte le forze della terra sono per beneficio dell'acqua. Questo dice Plinio. Dal quale Vitruvio nel libro dell'Architettura non discorda, dicendo;  Da quello anco, quelli, che amministrano i Sacerdotij a i costumi de gli Egittij, dimostrano tutte le cose essere formate dalla potentia de i licori. Certamente egli è cosa da ridere l'havere creduto le acque essere state principio di tutte le cose. Ma che crederò io a questi tali d'intorno i principij delle cose non vedute, se d'intorno a quelle, che ci stanno dinanzi gli occhi hanno creduto il falso? Gli Egittij viddero Iside morire; et ne gli animi loro si sono sforzati fingere quella essere stata non onnipotente, ma potentissima Dea, & immortale. I Cretesi non si vergognarono chiamare Iddio del Cielo, & della terra esso Giove huomo libidinosissimo, & da loro sepolto. Cosi adunque acecati da trascuraggine di mente, credettero essere maggiori questi, che alle volte furono fatti, che quello, che una volta gli havea fatti loro. Ma di questo un'altra fiata. Quelli che istimarono l'Oceano padre delle cose, incominciarono da lui la Geneologia de gli Dei; il quale (secondo gli altri) ritrovandosi haver havuto padre, secondo l'ordine dell'opra gli habbiamo dato il suo luogo. Onde accioche egli non andasse tra gli altri gran Dei con poco honore, gli attribuirono (come dice Theodontio) una carretta guidata dalla Balena, che condussero lui per gli gran mari. Cosi anco gli aggiunsero i Tritoni per trombetti, & ufficiali, che gli andassero innanzi. Indi il fecero ricco di molti Buoi marini dati sotto il governo di Protheo, & gli aggiunsero per serventi, & compagnia molte schiere di ninfe, attribuendoli una gran discendenza di figliuoli. Oltre ciò il chiamarono con molti nomi. Ma hoggimai sono da dichiarare le fittioni. Oceano esser guidato con una carretta, dinota il girar suo d'intorno la rotondità della terra, alla quale vi s'aggiungono le Balene, perche è trascorso tutto dalle Balene. I Tritoni poi sono suoi Trombetti, & antecessori, perche il significato del suo nome opra incessabilmente. Attento che Tritone, secondo alcuni, suona l'istesso che fa smarritor della terra; il che spesso fa il mare, mentre continuamente percuotendo i liti, smarrisce la terra col continuo suo moto; & perche questo non si fa senza suono, si come Trombetta è chiamato, & poi è chiamato precursore, percioche il suono percuotendo nel lito con più terribile strepito del solito, è certissimo messaggio di futura fortuna. E poi detto havere i greggi de' Buoi marini: perche questi tali Buoi dal mezzo innanzi hanno forma di Vitelli, & a guisa d'armenti tutti insieme pascono in terra. Chiamarono Protheo suo Pastore, attento che il mare Carpatico è abondantissimo di Buoi marini il quale già fu sotto l'Imperio di Protheo. Il Choro di ninfe a lui aggiunto per compagnia, & ubidienza, come penso, non è altro, che le molte proprietà dell'acque, overo gli accidenti di continuo congiunti all'acque, per opra de quali pare, che imitino i voleri di quelle. Oltre ciò appresso il nome d'Oceano, chiamasi anco Nereo, Nettuno, & Mare; i quali nomi perche si convengono a i nomi d'altri Dei, al luogo suo più convenevolmente si esporranno. Ma Oceano, che è il suo proprio (secondo Rabano) da Greci, & Latini è cosi detto, percioche in modo di circolo aggira il Mondo; & anco perche ha il ceruleo colore, si come ha il Cielo. Nondimeno io tengo, che cosi sia detto da Cianes, che Latinamente significa nero, attento che è di tanta profondità, che in lui non si può vedere alcuna cosa trasparente.

 

Eurinome figliuola dell'Oceano.

Eurinome fu figliuola dell'Oceano, si come nella Iliade afferma Hom. dicendo;

 

Eurinome dell'Oceano figlia.

 

Ella s'interpreta anco Pastore de venti, overo della Fortuna marina, percioche l'acqua del mare sempre fa flusso; onde dall'essercito dell'acque ha havuto nome, & è stata chiamata figliuola dell'Oceano; overo secondo altri, che vogliono i venti nascere dall'acque, l'acqua pasce i venti, cioè gli dà la materia d'acqua, & sono creati, & prendono vigore; di che dirittamente viene chiamata figliuola dell'Oceano. Oltre ciò dove Homero di costui parla, induce Vulcano, che parla a Theti, che gli dimandava l'armi per Achille; onde per mostrarsele pronto, dice, che essendo dalla madre gittato di Cielo in terra; perche era zoppo, fu raccolto, & nudrito da essa Eurinome, & Theti, dove vuole, che intendiamo il fuoco per l'humido, & per lo spirito essere nudrito; i quai se mancano, è di necessità, che il fuoco si spenga.

 

Persa figliuola dell'Oceano.

Si come piace ad Homero nell'Odissea, Persa fu figliuola del Oceano, dove dice, che fu amata dal Sole, & che per tale congiungimento partorì Oeta Re di Colchi, & Circe; di che in tal modo scrive.

 


Et la sorella del sagace Oeta,

Et da la madre nominata Persa,

Et nacquero amendue del Sol lucente.

La quale fu dell'Oceano figlia.


 

Dice Leontio, che questa Persa da Hesiodo è chiamata Eclate, la quale appresso noi essendo l'istesso, che Luna, assai possiamo imaginarsi, che Oeta appresso i suoi famosissimo Re, facesse l'istesso, che havea fatto Saturno, il quale commandò, che il padre Urano fosse chiamato Cielo, & la madre Vesta, Terra; accioche con tali nomi illustri ampliasse la sua origine. Cosi anco Oeta ordinò, che il padre suo fosse detto Sole, & la madre Luna, la quale però è detta figliuola dell'Oceano, perche a i litorali pare, ch'ella nasca da i reflussi del mare, overo fu anco cosi chiamata per haver havuto il suo dominio appresso l'Oceano.

 

Ethra figliuola dell'Oceano, & moglie d'Atlante.

Ethra fu figliuola dell'Oceano, si come si conferma per li versi d'Ovidio, dove dice, ch'ella di Atlante partorì Hiade, & le sorelle, mentre nel libro de Fastis cosi si legge;

 


Costui da Ethra de l'Oceano prole

Fu partorito & a le ninfe dato.


 

Pleione quarta figliuola dell'Oceano moglie d'Atlante.

Pleione fu figliuola dell'Oceano, & secondo Paolo, moglie d'Atlante; il che anco pare confermi Ovidio nel libro de Fastis, dove dice;

 


Di qui nacque Pleione, che congiunta

Fu con Atlante, che sostien le stelle;

Et si come la fama già risuona,

Partorì poi le Pleiadi sorelle.


 

Pleia è l'istesso, che è pioggia, la quale, percioche è causata da gli humidi vapori che dall'Oceano in alto si levano, è chiamata figliuola dell'Oceano. Moglie poi è chiamata d'Atlante, percioche questi tali vapori, che si levano dall'acque per lo più si rivolgono verso la cima dell'Atlante, & da gli altri monti, & a gli habitatori danno segno di futura pioggia.

 

Climene quinta figliuola dell'oceano, & madre di Fetonte.


Climene, si come piace a Theodontio, fu figliuola dell'Oceano, & Theti, la quale essendo bellissima, vogliono, che piacesse al Sole, con cui giacendo, di lei n'hebbe Fetonte, & le sorelle. Ma Paolo dice, che fu moglie di Merope Egittio, & che insieme col marito signoreggiò appresso gli ultimi Ethiopi d'Egitto, & che di lui partorì Eridano, che fu anco chiamato Fetonte, & le sorelle. Leontio poi dice ch'ella fu figliuola di Minio, & Eurinassa, & che dal marito Merope partorì Ifido, Filace, Fetonte, & le sorelle. D'intorno alle qual diversità egli è d'avertire, che in quanto ella sia chiamata figliuola dell'Oceano, & amata dal Sole; egli si può intendere la humidità, perche Climene s'interpreta humidità; onde meritamente sarà detta figliuola dell'Oceano, si come di tutte l'humidità, la quale viene amata dal Sole, attento che, come narra Tullio tra le nature de gli Dei, il Sole, & le Stelle si pascono d'humidità; overo, & meglio, perche il calore del Sole oprando nell'humidità, suscita i nuvoli, che generano Fetonte, si come si ha narrato, dove si è parlato di Latona, & anco certi alberi fa uscir fuori da luoghi paludosi, de quali si tratterà apertamente parlandosi di Fetonte, & le sorelle. Ma se vogliamo, ch'ella fosse femina, & moglie di Merope, allhora diremo, che fu qualche nobile donna, che signoreggiò nel lito dell'Oceano, & che indi conseguì tale successione. Nè perciò si leva, ch'ella non potesse essere figliuola di Minio & Eurinassa, ivi Signori, ma si come da parte piu illustre, fu chiamata figliuola dell'Oceano.

 

 Tritone sesto figliuolo dell'Oceano.

Theodontio dice, che Tritone fu figliuolo dell'Oceano, & Theti. Servio poi li chiama di Nettuno, & Salatia di lui moglie. Paolo poi il dice Tritona, & il fa femina. Nondimeno ò maschio, ò femina che si sia, tutti in ciò si convengono, ch'ei fosse Trombetta di Nettuno, ò dell'Oceano: ma parendo, che tutti piu s'inchinino verso Nettuno, credo, che Nettuno, & Oceano sia un'istesso: onde questi tali, che anco hanno la medesima opinione, traheno in testimonio Ovidio, dove dice;

 


Nè però punto del mar cessa l'ira

Onde giù posta l'hasta da tre punte.


 

Et poco da poi segue.

 


Chiama Tritone, c'ha il color del Cielo,

Et commanda, che ei dia fiato a la tuba,

Et con tal segno dato a i fiumi, e a l'onde,

Ritornar faccia tutti al luogo suo.


 

Onde in tal modo si vede l'officio di Tritone, & ch'egli è maschio, si come dice Theodontio. Che poi sia figliuolo dell'Oceano; ò di Nettuno, a bastanza in ciò egli si dimostra, essendo causato dal sonoro movimento loro. Intesero i Theologi in luogo di Tritone, esso grido di fortuneggiante mare, che percuote ne i liti; essendo secondo alcuni, Tritone interpretato suono. Altri poi volsero bene Tritone essere il suono del mare, ma non quello, che fa mentre tra se si rompe; ma solamente quello, che fa percuotendo i liti; & però chiamarono Tritone, quasi, che smarrisca la terra; onde in tal modo tanto secondo l'opinione de primi, quanto de' secondi, volsero, che da quel suono si comprendesse la marina haver piu a crescere in fortuna del solito, attento che Tritone per quello strepito, che viene con maggior furia, mostra il suo potere; si come fanno i Trombetti che col segno delle lor tube dinotano il suo Imperatore venire. Ma Plinio nel libro dell'historia naturale, pare che tenga, che i Tritoni non pure servano con la fittione del nome a i Poeti, ma che anco siano veri pesci dell'Oceano; cosi di loro dicendo;  La legatione de gli Olisiponenti riferì a Tiberio Imperatore, che perciò gli havea mandato haver visto, & udito in un certo antro un Tritono sonare con una conca. Et quello che segue.

 


Dori settima figliuola dell'Oceano, & moglie di Nereo.

Dori secondo Paolo, & Theodontio fu figliuola dell'Oceano, & Theti, & moglie di Nereo suo fratello, & madre delle ninfe, si come dice Servio. Di costei fa ricordo Virgilio nella Bucolica, dove dice;


 


Se mentre sotto l'acque vai scorrendo

L'amara Dori, l'onda sua non mesci.


 

Vogliono alcuni, che questa sia interpretata dono; percioche l'acqua necessarijssima da Iddio sia data a mortali in luogo di dono. Altri dicono esser'intesa per amarezza; & però esser maritata in Nereo Dio marino, attento che il mare è amaro; di che per dimostrare ch'ella sia congiunta a perpetuo marito, di lui la fanno moglie. E poi chiamata figliuola dell'Oceano, percioche dell'acqua dell'Oceano scaldata dal Sole, nasce l'amarezza, la quale poscia s'unisce col mare Mediterraneo, dove è detto Nereo.

 

Il vecchio Protheo ottavo figliuolo dell'Oceano, che generò Melanthode, & Idothea.

Protheo Marino Iddio, & come dicono, famoso indovino (secondo Theodontio) fu figliuolo dell'Oceano, & di Theti. Che poi fosse indovino, Virgilio doppo Homero nella Georgica il dimostra, dicendo;

 


Stà nel Carpatio gorgo di Nettuno

Il ceruleo Protheo, che nel mare

Và discorrendo sopra una carretta,

Guidata da cavalli, c'han due piedi.


 

Et poco da poi continuando dice;

 


Tutte le cose l'indovin conosce,

Che furono, che sono, & che saranno;

Cosi ha voluto il gran Nettuno, a cui

Pasce gli armenti, e sozzi Buoi marini.


Dice Homero, che costui fu ricercato da Menelao, che ritornava dalla ruina di Troia, & rendergli ragione di quello, che fosse avenuto de i suoi compagni rotti in mare; onde a forza gli lo disse. Cosi anco Virgilio narra, che medesimamente fu interrogato da Aristeo della ristauratione delle Api. Nondimeno Menelao fu instrutto da Idothea figliuola di Protheo, dove Aristeo fu ammaestrato di quello, che havesse a fare dalla madre Climene. Indi Homero dice, ch'essendo sforzato a rispondere alle interrogationi, si cangia in varie forme per vedere se puote esser lasciato; il che dimostra anco Virgilio, dove dice;

 


Subito fassi un'horrido Cinghiale

Pieno di squame, & hor fulvo Leone:

Et talhor viene in cosi liquide acque

Una tigre crudele, & un Dragone,

Hor fuoco, che fuor manda ardenti fiamme,

Che par, ch'uscito sia fuor de legami.


 

Dice Theodontio, che costui hebbe origine dall'Isola, over Monte Pallene, & signoreggiò appresso gli Egittij, al quale fu raccomandata, & lasciata in custodia Helena, che allhora essendo donzella fu rapita da Theseo; onde doppo la ruina di Troia, dal vento cacciata di nuovo Helena, vi ritornò con Menelao. Questo fu un vecchio molto aveduto, & ammaestratissimo per sperienza di tutte le cose; & perche col suo avenimento, non che con la presenza, conosceva, & haveva grandissima cognitione delle cose passate, & per conietture buone, & spesso sapeva predire le cose future, si come molte volte fanno i saggi, si diede luogo alla favola, che Protheo fosse indovino. Le forme poi, nelle quali dicevano, che egli si cangiava, istimo essere le passioni, delle quali sono crucciati gli huomini, che sono simili a tal cosa le quali passioni, accioche sieno rimosse da colui, a cui dimandiamo consiglio se drittamente ci lo vuole concedere, è di necessità, che l'animo resti tranquillo alle interrogationi. Oltre ciò questa fittione si può aprire in altro modo, cioè pigliar Protheo in luogo della indovinatione hidromantica, & allhora non inconvenevolmente si potrà esporre, che egli sia figliuolo dell'Oceano, & di Theti, attento che questo tale indovinare si fa nell'acqua, si come suona l'istesso nome; percioche hidromantia è detta da hidros, che è acqua, & mantia, indovinatione; onde tutte le acque sono dell'Oceano, & di Theti. Che poi si cangi in varie forme, questo si può dire; percioche questo sacrilegio si fa appresso i fiumi, i quali col mormorio del suo corso, imitano varie forme; overo perche forse in questa operatione per haver quello, che si cerca, è di necessità mover le acque, nel qual modo si ode qualche mormorare, & ivi si vedono varie forme, le quali acquetate, si piglia poi il vaticinio. Perche poi lo dicano Pastore dell'Oceano, overo di Nettuno, vi è la ragione esposta, dove si ha parlato dell'Oceano. Gli attribuiscono la carretta per dinotare le circonvolutioni dell'acque di quel mare. Che anco i cavalli siano da due piedi, egli è detto; perche quel mare abonda di Buoi marini, i quali hanno i piedi, il capo, & quasi tutto il corpo dell'ombelico in su a guisa di vitello: da indi in giù, sono poi pesci; & però havendo solamente due piedi, sono detti Bipiedi.

 

Melanthone figliuola di Protheo.


Melanthone, come afferma Theodontio, fu figliuola del vecchio Protheo, la cui usanza era di spogliarsi ignuda, & cavalcare i Delfini nel mare del padre, onde essendo bellissima, piacque a Nettuno, il quale cangiatosi in Delfino, le usò tanti vezzi, ch'ella assicurata, gli salì sopra; onde egli tanto fece, che seco si giacque. Barlaam afferma, che la verità di questa cosa fu tale, cioè che questa donzella accostumò un Delfino di maniera ad amarla, ch'ella gli saliva sopra, & per lo mare la portava soavemente, & indi la ritornava al proprio luogo, onde l'havea levata: nondimeno fosse come la cosa si volesse, ella in mare restò morta: Forse Serenissimo Re, ti maraviglierai che una donna senza offesa, da un Delfino per lo mare fosse portata; il che acciò non istimi favoloso, piacemi narrarti alcuni essempi; Si legge in Plinio huomo degno di fede, che nel lito d'Africa appresso Hippone Diarito, fu un Delfino, che si lasciava pascere da huomini, & maneggiar tutto, e giuocava con quei, che nuotavano, e portava, chi gli saliva sopra: & da Flaviano Vice consule fu con profumi & cose odorose unto: onde per la novità di quelli, cade in ambascia come quasi morto, & stette in tal modo per alquanto spatio di hore; ma essendo in se ritornato, come quasi gli fosse stato fatta ingiuria, stette per alquanti mesi, che non volle lasciarsi piu nè maneggiare, nè haver dimestichezza con gli huomini, alla fine essendosi pacificato con quelli, fu poi amazzato da gli Hipponesi; percioche erano troppo aggravati da gli amici, che ivi si trasferivano per veder questo miracolo. Oltre ciò al tempo d'Alessandro Macedonico fu nel lito d'Asia un fanciullo di maniera amato da un Delfino, che partendosi quello, il Delfino il seguì fino nel lito, dove nella arena se ne morì. Similmente, si come scrive Giasone Egesidemo, un garzone chiamato Hermete cavalcava un Delfino nel mare; onde avenne, ch'una fiata il fanciullo dall'onde del mare restò morto; di che dal Delfino fu ricondotto nel lito, il quale chiaramente conoscendosi esser stato cagione della morte del giovanetto, non volle più ritornare nel mare, ma nel lito volse morirgli appresso. Che più dirò? Non è cosa nuova, nè inusitata, che i Delfini habbiano havuto domestichezza con gli huomini. Ma ritornando onde ci siamo partiti. Sono di quei, che dicono Melanthone essere interpretata bianchezza, la quale si nasce dalla schiuma del mare, & porta di sopra i Delfini, & gli altri pesci; onde da Nettuno, cioè dal mare è violata, il qual l'inghiottisce, & di nuovo la ristaura. Ma io non so onde eglino habbiano ciò cavato, perche so bene, che Melan in Greco, Latinamente significa negro.

 

Idothea figliuola di Protheo.

Idothea fu figliuola del vecchio Protheo, si come nell'Odissea testimonia Homero, dicendo;

 


Idothea di Protheo figliuola

Vecchio marino Iddio, a la cui mossi,


Et grandemente l'animo inchinai.

 

Et poco dapoi segue, introducendo ella, che parla al re Menelao di Protheo suo padre in questa forma.

 


Et l'immortale Protheo d'Egitto

A cui del mar son tutti i fondi rotti,

Et di Nettuno è servo, ogn'uno parla

Questo esser padre mio; io di lui figlia.


 

Dice Homero, che colui andò incontra a Menelao nell'Isola di Faro, la quale è dirimpetto d'Alessandria d'Egitto, dove dalla contrarietà de venti a forza era ritenuto; onde ella il consigliò, che andasse a ritrovar' il padre suo, insegnolli il modo, che havea a tenere; & alla fine il nascose insieme con tre altri compagni nell'antro di Protheo sotto le pelle di tanti Buoi Marini. Secondo l'opinione d'alcuni, Idothea s'interpreta formosa Dea, per la cui vogliono, che s'intenda la tranquillità del mare, attento che per quella tranquillità, avenne, che Menelao si condusse a Protheo.

 

Corufice figliuola dell'Oceano.

Corufice secondo Cicerone, fu figliuola dell'Oceano, la quale egli afferma, che da gli Arcadi è chiamata Corion, aggiungendovi, ch'ella piacque a Giove, la quale essendo seco giacciuta, partorì Minerva, cioè quella, che delle carette di quattro ruote fu inventrice. Perche poi ella sia chiamata figliuola dell'Oceano, il che mai non è stato detto da altri, egli si può rispondere quello, che alle volte è stato dell'altre, cioè, che fu donna nobile, & nata d'intorno i liti dell'Oceano. Overo vogliamo dire cosa, ch'è anco possibile, Oceano esser stato qualche huomo notabile cosi chiamato per alcuna conformità con l'Oceano.

 

Nereo decimo figliuolo dell'Oceano, che generò le ninfe, le quai sono molte, nondimeno perche solamente di quattro si fa singolar ricordo, io noterò i loro nomi. Generò adunque Cimodoce, Theti minore, Galatea, & Aretusa.

Gli antichi Theologi de' Gentili vollero, che Nereo Iddio marino fosse figliuolo dell'Oceano, & di Theti maggiore; indi gli attribuirono per moglie Dori sua sorella, di cui vogliono, che generasse una gran schiera di Ninfe. Questi s'intende l'acqua, percioche Neros in Greco significa acqua. E poi figliuolo dell'Oceano, & di Theti, percioche da lui esce ogni acqua. Che anco sia chiamato con altro nome, ciò puote nascere, perche sia un seno di mare; ma s'egli cosi, non fu fatto a quel tempo, che fu l'Oceano. Attento che Pomponio Mela narra, che fu opra di Hercole il partire già Abila Promontorio di Mauritania da Calpe Monte d'Hispagna, essendo amendue insieme congiunti; onde da indi in poi l'Oceano entrò fra terra, di che l'Oceano divenuto Mediteraneo, puote acquistare nuovi nomi. Nereo poi cangiato in maritaggio con Dori suo, cioè con l'amarezza dell'acque appresso noi generò molte ninfe, cioè humiditadi, le quai forse non v'erano prima.

 

Le Ninfe in generale.

Ninfe è general nome di tutti le humidità; il che dico; percioche le humidità secondo le diversità delle cose, alle quali servano, pigliano anco diversi nomi, si come si dirà poi. Queste si come è stato detto, sono state chiamate figliuole di Nereo, & Dori, attento che dal mare ogni humidità deriva. Di queste veramente altre sono marine; onde si nomano Nereidi dal padre Nereo. Di queste Homero nella Iliade ne ricorda trentatre, le quali dice, che vennero a condolersi con Theti afflitta per la morte d'Achille suo figliuolo, delle quali questi sono i nomi, Glauci, Thalia, Cimodoce, Nisea, Spio, Thoi, Cimothoi, Atthei, Liminoria, Melite, Giera, Anfitoi, Agave, Doto, Proto, Ferusa, Dinameni, Doxa, Meni, Anfinome, Gallianira, Dori, Panopi, Galathea, Nimerte, Apsedi, Calianassa, Climene, Ianira, Dianassa, Mera, Orithia, & Amathia. Oltre ciò dice esservene dell'altre. Se alcuno havesse le significationi de nomi di queste, credo, che facilmente avertirebbe quelle esser proprietadi d'acque del mare, ò accidenti d'intorno a quelle. Ve ne sono delle altre, che si chiamano ninfe de fiumi, & si dicono Naiadi; percioche Nais s'interpreta flusso, overo commotione; & però dette Naiadi, perche fanno ondeggiare i fiumi, & stanno in continuo moto. Di queste Virgilio nella Georgica ne noma diciotto, cioè Clime, Drimo, Xanto, Logea, Filedoce, Nisea, Espio, Thalia, Cimodoce, Cidippe, Licora, Clio, Berce, Efire, Opi, Deiopea, Aretusa, & Achao, le quai istimo dinotare diverse proprietà di fiumi. Nè perciò ci nuoce, che tra queste ve ne sia nomata alcuna delle Nereidi, dovendo noi credere, che il mare e i fiumi in alcune proprietadi si convengano. Ve ne sono anco delle altre, che si chiamano Napee, e sono di fonti, e cosi sono dette quasi Naptee, cioè cataratte e origini d'acque, attento che Napta appresso Persi è l'istesso che è fomite, di che i fonti sono continuo nodrimento di fiumi. Di queste se ne ricordano nove, a quali è dedicato il fonte Castalio, i cui nomi non narrerò qui, perche si chiamano Muse, e di queste altrove se ne scriverà a lungo. Ve ne sono anco delle altre che si chiamano di boschi, e si dicano Driadi percioche Drias si chiama albergo, overo quercia. Di queste Claudiano dove tratta delle lodi di Stillicone, ne ricorda sette, cioè Leontadome, Neuopene, Tero, Britomarti, Licaste, Agaperte, e Opi, le quai non dubiterò io che siano proprietà di alberi interpretati generale. Ve ne sono anco delle altre che si chiamano de gli alberi, e sono dette Amadriadi. Altre poi di monti chiamate Oreadi, percioche Oron in Greco significa latinamente Monte. Cosi anco altre si dicono Himnidi, si come piace a Theodontio, le quali sono ninfe di prati e di fiori. Tutte queste, dice Aristotile che alle volte muoiono, e mancano si come fanno i Pani e Fauni. Ma Plinio nel libro dell'historia naturale non consente semplicemente che le Nereidi siano acque, overo proprietà d'acque, dove in tal forma dice; Et la opinione delle Nereidi non è falsa, percioche hanno il corpo peloso, e coperto di squame, e il loro volto ha effigie humana attento che nel medesimo lito, cioè degli Olsipolenti, questa è stata veduta, della cui morendo, gli habitatori di lontano sentirono il tristo canto. Et il Legato della Gallia scrisse al divo Augusto, che nel lito apparirono molte Nereidi mezze morte. Questo dice Plinio. Onde per confermar meglio questa opinione, segue poi dicendo.  Ho autori chiarissimi dell'ordine Equestre, che da loro fu veduto nel Gaditano Oceano un'huomo marino di notte con tutto il corpo montare sopra una nave, e di sorte aggravarla da quella parte che era salito; che se molto vi fosse dimorato, ella si sarebbe affondata. E al tempo di Tiberio Imperadore, dirimpetto al lito dell'Isole della provincia di Lione, l'Oceano gittò a riva piu di trecento bestie di diverse sorti, e grandi a maraviglia, nè pochissime furono quelle gittate nel lito de Stantoni, e tra l'altre vi furono Elefanti, e montoni per la bianchezza delle corna a loro simili, ma vi furono molte Nereidi. Questo narra Plinio. Ve ne sono anco, accioche molto non si dilungiamo dal significato del vocabolo, delle altre ninfe, si come spesse fiate i Poeti ne hanno nomate, come sarebbe Circe, Calisto, Climene, e molte altre simili, le quai furono vere donne, nè di loro si deve intendere fittione alcuna, anzi per tali sono da intendere le donzelle vergini, nobili, che sempre stanno rinchiuse nelle camere, onde sono dette ninfe, perche da flemmatica complessione che sono nudrite, come humidi, e molli, sono delicate, e tenerelle, e in loro, si come in cose acquose, leggiermente ha potere ogni impressione. Le femine rozze per lo piu, rispetto alla fatica, & al caldo del Sole, sono di dura pelle, & molto pelose, onde meritamente hanno perduto il nome di ninfe. Et questo in generale si ha detto delle ninfe.

 

Cimodoce figliuola di Nereo.


Cimodoce ninfa è una delle figliuole di Nereo, la quale (secondo Servio) è interpretata corso dei flussi marini.

 

Theti minore figliuola di Nereo, & madre d'Achille.

Theti minore fu una delle ninfe, della cui dice Ovidio ch'ella essendo andata a consultarsi con Protheo di quello che havesse a venir, in tal modo le fu risposto.

 


Tu sarai madre d'un figliuolo, il quale

Con l'arme forti vincerà del padre


I fatti, & detto fia di lui maggiore.

 

Finalmente essendo bellissima donzella fu amata da Giove, il quale nondimeno per tal oracolo smarrito, accioche forse di lui non venisse a partorire un figliuolo che lo havesse poi a cacciare del Reame, si astenne dal congiungersi seco. Ella poi fu maritata in Peleo figliuolo del Re Eaco, e di lui si impregnò, e partorì Achille, il quale fu dato a nudrire à Chirone Centauro; onde nella guerra Troiana havendo Achille perdute le sue armi, le quai havea prestato a Patroclo, che fu amazzato da Hettore, Theti ne dimandò per lui a Vulcano di nuovo. Alla cui favola, et massime d'intorno alla risposta di Protheo, diede occasione la manifesta forza di Achille. Dice Leontio, che costei fu figliuola di Chirone, & che habitò nell'Isola di Theti, ma non solamente per haver habitato in quell'Isola del mare fu tenuta figliuola del mare, & chiamata Theti, quanto per li costumi del figliuolo, percioche fu furioso, & crudele a guisa del mare; & però fu detto figliuolo di Theti, cioè di furore: onde a lei ne restò poi tal nome per la furia del figliuolo, attentoche prima era chiamata altrimenti.

 

Galatea figliuola di Nereo.


Galatea, si come mostra Ovidio, fu figliuola di Nereo, & di Dori. Della cui si narra favola tale, Aci bellissimo giovanetto Siciliano fu amato da Galatea, della quale Polifemo Ciclope era molto innamorato, il quale veggendo che ella punto di lui non curava, & trovando un giorno Aci congiunto con Galatea sdegnato si pigliò quello, & il percosse ad un sasso, & amazzollo; onde Galatea il trasformò in un fiume Siciliano. Della qual favola la allegoria può essere tale. Galatea è dea della bianchezza, la quale piglio per quella schiuma che fanno l'onde irate che si percuoteno insieme; ella ama Aci, cioè raccoglie un fiume, perche tutti i fiumi vanno in mare. Ma Theodontio dice che sotto questa favola vi giace una historia, affermando che Polifemo fu crudelissimo tiranno di Sicilia, il quale amando Galatea bellissima donzella, & havendola per forza violata, avenne che si accorse che si congiungeva con Aci giovanetto di Sicilia, onde sdegnato lo amazzò & il fece gittar in un fiume, al cui da indi in poi fu dato il nome del giovane, ma contra Galatea, vinto dallo amore, non fece altro.

 

Aretusa figliuola di Nereo.

Ho ritrovato due essere state le Aretuse, l'una delle quali fu figliuola di Nereo & di Dori, & di lei si recita tal favola. Dicono che costei fu ninfa di Elide, & compagna di Diana, la quale lassa, & ignuda lavandosi nell'onde Alfee, essendo veduta da Alfeo fiume d'Elide, incontanente egli innamoratosi di lei, volse ritenerla, di che ella smarrita si diede a fuggire; ma seguendola il fiume, & essa veggendo, che non poteva salvarsi, si rivolse con preghi a Diana sua signora, che le donasse soccorso; la onde quella la nascose in una nuvola, d'intorno la cui andando il fiume, Aretusa per tema venuta in sudore, si cangiò in fonte, alle cui onde sforzandosi Alfeo congiungere le sue, ella dalla terra fu inghiottita, & fino nell'Isola Ortigia portata, & indi per insino in Sicilia; la dove anco (dicono) Alfeo haverla seguita, nella cui favola si comprende un manifesto mostro. Percioche egli è cosa certa Alfeo essere fiume d'Elide, & haver l'esito vicino a Siracusa di Sicilia, il che pare, che Seneca Filosofo confermi, dove nelle questioni naturali cosi dice;  Alcuni fonti in una certa stagione gittano fuori le purgationi, si come nella Sicilia Aretusa ogni quinta estate per li giuochi Olimpi. Indi egli è opinione Alfeo fino di Achaia scender ivi, & sotto il mare fare il suo corso, nè altrove pria che nel lito di Siracusa attufarsi; percioche in quelli giorni ne' quali sono i giuochi Olimpi, lo sterco delle vittime rientrino ivi per le bocche del fiume. Questo dice Seneca. Da tale occasione adunque la favola ha ritrovato il suo luogo. Tuttavia Ovidio ne suoi versi per dimostrare il miracolo maggiore, la fa cosi parlare;

 


Parte fui pur di quelle Ninfe anch'io,

Disse Aretusa, ch'in Achaia sono.


 

Nondimeno, bench'egli dimostra costei esser stata dalla terra inghiottita, tuttavia dice non essere venuta in Sicilia, ma nell'isola Ortigia haver dirotto. Qualmente poi venne in Sicilia, egli non si sa, ma fosse, ò venisse come si voglia, questa dimostra essere quella istessa, la quale afferma in Elide essere stata da Alfeo amata, & in tal modo per sotteranee cave essere pervenuta in Sicilia, si come anco pare che testimoni Virgilio a lei dicendo;

 


Cosi mentre trascorri sotto l'onde

Del mare Sicilian, l'amata Dori


Nel mezzo non vi meschi l'onda sua.

 

Et in questo modo il fonte, & indi il fiume da Elide viene in Sicilia, & per lo seguito del fiume si ha imaginato l'amore di lui verso il fonte. Ma l'altra Aretusa è un fonte nell'isola Ithacia, di cui cosi parla Homero.  Appresso la pietra di Coraco, & la fonte Aretusa. Leontio poi, di questa Aretusa riferisce in Ithacia essere stato un certo cacciatore, il quale hebbe nome Coraco, che divenuto furioso, precipitosamente da una pietra si gittò nel mare, & perciò quel tal sasso da lui fu detto Coraco: onde la madre di quello chiamata Aretusa, veggendo questo fu assalita da tanto dolore, che lasciandosi cadere nel fonte vicino a quella pietra, ivi si affogò, & in tal modo da se diede il nome al fonte, per la qual cosa due vengono ad esser i fiumi chiamati Aretusa. Ma Solino dove tratta delle cose maravigliose del mondo, ve ne aggiunge il terzo, affermando appresso Thebe esservi un fonte detto Aretusa, tuttavia non manifesta vicino a qual Thebe.

 

Acheloo fiume undecimo figliuolo dell'Oceano, qual generò le Sirene.

Il fiume Acheloo, si come dice Paolo fu figliuolo dell'Oceano, & della terra. Servio fa Theti essere la di lui madre. Theodontio chiama lui figliuolo del Sole, & della terra. Ma Homero nella Iliade vuole non solamente Acheloo, ma tutti i fiumi esser figliuoli dell'Oceano, cosi dicendo;  Nella gran potenza del profondissimo Oceano, dal quale tutti i fiumi, tutto il mare, & tutti i rivi discendono di lontano. Ma per li versi di Virgilio nella Georgica si puote comprendere la terra essere madre de fiumi, mentre dice;

 


De la madre mirando iva la casa,

De l'acque rimirava tutti i fiumi,

Et pieno di stupor per lo gran moto

Ne le spelonche, e i risonanti boschi

Gli humidi regni, & i rinchiusi laghi

Correnti, esser locati entro la terra.


 

Stando adunque anzi il suo nascimento i fiumi rinchiusi nel ventre della terra, & uscendo fuori di questo, benissimo la terra viene detta loro madre. Tuttavia quello che diceva Theodontio non è senza ragione. Percioche i Fisici vogliono dalla forza del Sole alcune acque essere condotte nelle caverne della terra per l'humidità de' vapori del Sole, che seguono il calore; i quali mandando fuori i vapori nelle fredde viscere della terra, si cangiano in acqua, la quale per gli occulti aditi venendo di sopra, diviene fonte, & alle volte partorisce un fiume. Quello poi che dell'origine di costui s'è detto, è necessario che s'intenda de gli altri, affine che non bisogni replicare ogni fiata che si parlerà di qualche fiume. Ma questo fiume (come dice Ovidio) già perche si partiva in due corni, era famoso. Finalmente per haver richiesto Deianira figliuola di Ceneo Re di Calidonia per moglie, che pria era stata promessa ad Hercole, venne seco a battaglia, & essendosi trasformato in diverse forme, alla fine restò vinto & privo della sposa, è d'un corno. Oltre ciò Lattantio & Servio dicono, che costui fu il primo, il quale pose il vino nelle tazze: il che dimostra anco Virgilio;

Et d'Acheloo mischiò l'uve in le tazze.

Indi vollero che fosse padre delle Sirene. A quelli che cercano sapere ciò che per questo si debba intendere, egli è da sapere, che il fiume Acheloo nasce dal monte Pindo, si come scrive Plinio, & afferma Vibio Sequestro de' fiumi, ch'egli fu il primo, che cavasse la terra, e (si come dice l'istesso Plinio) divide l'Arcanania dall'Etolia, & scorrendo per li confini de' Perebi, si diffonde nel porto di Malega, tenendo dirimpetto alla bocca l'Isole Thinide, delle quali per lo continuo gittar della terra, ne congiunse alcune alle vicine, il contrasto poi tra lui, & Hercole, dove scriveremo le fatiche di quello secondo il poter nostro le esporremo. Ch'egli poi fosse il primo che ponesse il vino nelle tazze, istimo gli antichi non haver voluto intender altro, eccetto ch'egli fosse il primo ch'in Grecia piantasse le vigne, le quali pria non erano in uso, & cosi da quel primo luogo essersi tratto il vino. Delle Sirene poi si dirà di sotto.

 

Le Sirene figliuole d'Acheloo.

Afferma Fulgentio, e Servio, che le Sirene furono tre e figliuole di Acheloo, e della Musa Calliope, l'una delle quali dicono che canta a voce, l'altra con la Cetra, l'altra col Flauto. Ma Leontio vuole che fossero quattro cosi chiamate Aglaosi, Telciope, Pisno, e Ilige, facendole figliuole d'Acheloo, e della Musa Tersicore, aggiungendo che la quarta canta nel timpano. Dice Ovidio, che queste furono compagne di Proserpina, e che essendo rapita, la cercarono molto, la quale non potendo da loro essere ritrovata, furono alla fine converse in marini mostri, che hanno la faccia di donzelle, e il corpo fino all'ombelico di femina; da indi in poi sono pesci, i quali dice Alberigo essere alati, e haver i piedi di gallina, e che essendole rimasta l'arte della melodia, della quale erano ammaestrate prima che si cangiassero, cantano dolcemente. Oltre ciò (secondo Servio) prima appresso Peloro Promontorio di Sicilia, indi appresso la Isola Caprai, se ne andarono. Ma Plinio dice, che Napoli di Calcidia anco, et essa Partenope dalla tomba delle Sirene essere detta Sirene. Et cosi vegniamo ad haver cinque Sirene. Indi poco dapoi dice, l'istesso Plinio Sorento con il Promontorio di Minerva essere una certa Sirene. Aristotele poi dove tratta delle maravigliose cose da udire, dice:  Nello ultimo della Italia, dove il Peloro fassi da Apennino conceder l'adito al mare Tirreno nello Adriatico, esservi le isole Sireniche, e ivi a quelle essere un Tempio sacro edificato, nel quale molto con sacrifici sono honorate, le quali essendo tre, non è fuori di proposto ricordare i loro nomi. la una di quelle adunque si chiama Partenope, la seconda Leucosia, la terza Ligia. Questo egli narra. Appresso dicono, che queste con la dolcezza del suo canto fanno addormentare i nocchieri, e addormentati gli annegano, & alla fine affogati gli divorano, la onde gli antichi dipingevano ne i prati nel mezzo delle ossa de morti, e alcuni vogliono che elle si morissero per doglia, non havendo potuto tirare a se Ulisse che d'ivi passava, si come nella Odissea descrive Homero. questo di loro mi ricordo haver letto, onde quello che sotto sopra ciò si comprenda è d'avertire. Prima de gli altri Palefato nel libro delle cose incredibili scrive queste esser state meretrici avezze ingannare i naviganti, e Leontio afferma antichissima fama essere appresso gli Etoli i primi atti meretricij de i Greci essersi usati da quelle, & tanto benissimo haver adoprato il ruffianesimo, che quasi tutta la Grecia da loro fu ridotta a sue voglie; onde perciò istima da tali operationi la favola delle Sirene haver havuto principio, & cosi quel fiume d'Etolia le viene dato per padre, attento che vicino lui incominciarono i primi suoi scelerati essercitij: e affine che per lo corrente fiume suo padre intendiamo le abondanti lascivie, e la concupiscenza delle meretrici, alle quali per la piacevole facondia di quasi tutte, Calliope, cioè la buona sonora armonia viene ascritta per madre. Indi la prima viene detta Partenopea da Paterno, che significa vergine; percioche le astute meretrici, volendo allacciare gli stranieri, sono solite fingere atti, e costumi di donzelle, overo di pudiche femine, cioè abbassar gli occhi, parlar poco, non si lasciar toccare, con atti lascivi e fanciuleschi, & simili altre cose, affine che per questo gli ignoranti istimino lo amico della honestà esservi guardia, e ricerchino quello che non conoscono, e che conoscendolo fuggirebbono. La seconda per narrar ogni cosa minutamente, si chiama Leucosia da Leucos, che vuol dire bianco; onde istimo ciò esser detto per la formosità della faccia, e l' ornamento del corpo, e de gli habiti, e per l'apparenza delle splendide vesti, de quali le dishoneste vanno ornate. Percioche, se lasciassero questi tali ornamenti, da gli ignoranti per gli esteriori essendo giudicati gl'interiori, cosi leggiermente non havrebbono il suo intento, essendo per generale natura i poveri e i brutti sprezzati. La terza si dice Iligea, da Iligi, che significa circolo overo giro; la onde s'intende la prigionia dal male aveduto, la quale di maniera tiene legato i presi, che se bene anco conoscerano essere celebratissime quelle che dalle dolci parole, i gemiti, le carezze, i risi lascivi, e gli altri atti con che gl'imprigionati nocchieri, cioè smarriti, sono guidati dal sonno da queste tali, cioè allo oblio di se medesimi, se stessi con pazza speme ingannando, fino a tanto che a queste ingorde non hanno dato tutte le merci, le facultadi, e i navili, e cosi affogati non nel mare, ma nello sterco della vergognosa libidine; sono divorati da questi marini, anzi infernali mostri; le quali doppo havergli spogliati, e cacciati via ne i prati, cioè nelle dilicie, tra l'ossa de gli infelici, cioè prive delle memorie de i privati, si fermano, overo gli istessi aggravano d'infame servitù. Dissero poi, che dall'Ombelico in giù sono pesci, accioche conosciamo all'honore delle donne fino ivi, il corpo verginale, cioè il bello, & honesto a quelle essere concesso, ma scendendo poi piu a basso, gli huomini tengono dall'Ombelico in giu essere tutta la concupiscenza carnale delle donne; la onde non senza ragione sono assimigliate a i pesci, che sono animali instabili, e leggiermente quà, e là per l'acque guazzano, cosi veggiamo le meretrici discorrere nel coito di diversi, il che anco si descrive per le ale. Volsero poi che havessero i piedi di gallina, percioche spargono le ricchezze quei che prodiga, e inconsideratamente le credono. Che fossero compagne di Proserpina, istimo essere stato finto, perche Proserpina s'intende la Siciliana abondanza delle cose, dalla cui per lo piu l'atto libidinoso segue, e le delitie de i cibi e de gli otij si ministrano. Ma questa essendo levata, si come si fa, e restandovi per la consuetudine l'appetito, mentre la si cerca, nè si trova, e per lo disaggio l'appetito cresce aviene che da molti fino ne i luoghi infami si ricerca. Dicono appresso che habitano l'Isole, e i luoghi del lito; il che si è detto, perche cosi è. Percioche simili femine dove sono conosciute, non ponno far presa; la onde avedutamente habitano luoghi, dove spesso vengono forestieri, affine che non essendo conosciute, possano allacciarli. Di queste Sirene veramente il pieno di spirito divino Isaia dice;  Le Sirene, e i Dimonij saltaranno in Babilonia. Sono poi le Sirene dette da Sciron, che significa tratto, percioche tirano a se.

 

Inaco fiume; & duodecimo figliuolo dell'Oceano, che generò Ione, Foroneo, & Flegeo.

Come dice Pompo, Inaco è grandissimo fiume d'Acaia, che irriga gli Argoli campi. Questi si come gli altri, viene detto figliuolo dell'Oceano, & della terra, per lo quale gl'antichi vogliono che s'intenda di Inaco Re di Sicioni, dal cui hebbe nome, il quale (secondo Eusebio) regnò nel tempo che Balameo, overo Xerse signoreggiò appresso gli Assiri, circa gli anni del mondo tremila trecento quarantasette, nel qual tempo nacque Giacob.

 

Ione figliuola d'Inaco, & madre d'Epapho.

Fu Ione (secondo Ovidio) figliuola d'Inaco, della cui recita favola tale. Che essendo bellissima donzella, fu amata da Giove, il quale veggendola ritornare dall'onde del padre, tuttavia seguendo, & pregando quella che fuggiva, con una nube la ricoperse, & la impregnò; onde Giunone riguardando dal Cielo in terra quelle tenebre, mossa da gelosia, sospettò alcun male, è fece serenar l'aria; il che veggendo Giove, per coprire il peccato, trasformò la donzella in vacca, & donolla mal volontieri a Giunone, che lodando la bellezza di quella, gliela dimandò, la quale incontanente la pose in guardia d'Argo figliuolo d'Aristeo, che haveva cento occhi; de quali solamente due alla volta per dormire si serravano; onde Giove di lei havendo compassione, mandò Mercurio che la liberasse, il quale pigliando forma di Pastore, con Argo si congiunse, al quale, insegnando sonare la fistola, tanto fece, che lo toccò con il Caduceo, & costrinse tutti gli occhi di quello ad un tratto chiudersi in sonno: indi fattollo addormentare, con un coltello lo amazzò; il che veduto da Giunone, ella tolse gli occhi d'Argo, & li pose alla coda del Pavone suo uccello, alla giuvenca poi tal furia fece venire ch'ella si diede di sorte a fuggire, che passati molti paesi, non prima si fermò, che giunse in Egitto, dove riposò, & a preghi di Giove, da Giunone le fu ritornata la primiera forma, & (si come la maggior parte vuole) a Giove partorì Epapho, & il mandò ad Api suo nepote, & di Io, da Egittij fu detta Isis. Della cui favola doppio essere il sentimento istimo, cioè il naturale, & l'historico, de quali il naturale, tengo tale, cioè, che in questo luogo (secondo l'opinione di Macrobio) Giove si debba pigliare in vece del Sole, il quale Sole ama la figliuola del fiume Inaco, cioè l'humidità vitale del senso humano, per operare in quella, & fare quello che dice Aristotele; l'Huomo, & il Sole, genera l'huomo: la quale humidità, secondo la fittione, figliuola d'Inaco, allhora con tenebre circonda quando nel ventre della madre, per opra sua accresce il conceputo parto, & il conserva, le quali tenebre poi Giunone, cioè la Luna, alla quale si appartiene ampliare i meati de i corpi, allhora risolve, che è chiamata secondo l'antico costume; percioche era tenuta Dea dei parti, conduce quello a termine in luce, il quale già al Sole havea trasformato in vacca, cioè con l'humidità dell'human seme havea fatto animale; & però l'huomo si dice trasformato in vacca, perche si come la giuvenca è animale fruttuoso, & faticoso, cosi l'huomo, il quale, si come l'uccello al volo, & esso nasce alla fatica, la quale se è fruttuosa, esso Iddio il sa. Finalmente questi già nato, è dato in guardia ad Argo, cioè alla ragione, la quale veramente sempre ha molti occhi, che per salute nostra vegghiano. Ma Mercurio, cioè l'astutia della piacevol carne, col Caduceo, cioè con le acutissime persuasioni, fa addormentare la ragione, & la amazza, e havendo vinto, & gittata quella a terra, Giunone, cioè la concupiscenza de Regni, delle preminenze, e ricchezze, manda alla vacca, che è all'humano appetito, la rabbia, cioè lo stimolo della sollecitudine d'acquistare. La onde noi infelici pigliamo, il corso, andiamo vagando quà, & là, siamo travagliati cercando riposo in quelle cose, nelle quali non che vi sia questo, ma vi è una tale continova fatica, che all'ultimo guida noi affaticati in Egitto, cioè nelle tenebre esteriori, dove è il pianto, e lo stridor de denti. Et se noi per gratia divina non è concesso aiuto, diventiamo Isis, cioè terra; perche Isis cosi s'interpreta; è da tutti si come cosa vile & abietta, siamo calcati; & questo si è detto in quanto al senso mistico, & naturale. All'historiale poi parmi che basti quanto di sopra s'è detto d'Isis figliuola di Prometheo, se questa piu tosto vogliano essere, che quella Isis Egittia. Ma Theodontio, e Leontio chiaramente negano questa Io esser passata in Egitto, nè mai havere havuto nome Isis, anzi l'uno di loro dice, quella havere regnato appresso gli Ioni, e da se con tal nome haverli chiamati. A quali come che molto l'autorità d'Ovidio vi sia contraria, tuttavia le toglie molta fede la inconvenevolezza de' tempi. Percioche per testimonio d'Eusebio nel libro de tempi, Inaco appresso Argivi regnò circa gli anni del mondo tremila trecento quarantasette, & vuole che regnasse anni cinquanta, nel qual tempo è di necessità che Io nascesse. Puote in tal tempo esservi Giove figliuolo dell'Ethere, dal quale, & da Niobe figliuola di Foroneo nacque Api, & non Epafo. Gli altri Giovi furono molto tempo doppo questo, tra quali il secondo fu al tempo d'Isis figliuola di Prometheo. Percioche signoreggiando in Grecia Forbante, essa Isis figliuola di Prometheo fu in fiore, & nell'istessa età fu Argo che vedeva il tutto. Poscia l'istesso Eusebio nel medesimo libro dice che ne gl'anni del mondo tremila seicento quarantasette, regnando in Athene Cecrope, Io essere stata figliuola d'Inaco, & con lei essersi congiunto Giove, et quella nell'anno 43. di Cecrope essere passata in Egitto. Poco dapoi il detto Eusebio nell'istesso libro dice ne gli anni del mondo 3629. essere stato Danao Re d'Argivi, & la di lui figliuola Hipermestra essere la medesima Isis, overo Io. Ultimamente nel detto volume afferma ne gli anni del mondo 3783. regnando Linceo in Argo, e Pandione in Athene; essere stata Hipermestra chiamata Isis, il quale tempo assai bene si conface con Giove Cretese, che fu il terzo Giove. Di che per tante diverse opinioni d'historici non so che mi credere di questa Isis. Questo nondimeno io so, che la conformità del tempo d'Isis figliuola di Prometheo con Giove, & l'historia, la quale so bene non è vera, tuttavia è verisimile, piu d'ogni altra cosa mi muove. Ma affine di ritornare ad alcuna delle cose per altri dette d'intorno l'allegoria di questa Io lasciate l'altre, dicono costei essere stata da Giove cangiata in Vacca, percioche ella navigò in Egitto sopra una nave che portava per insegna una Vacca, la quale poscia (secondo Fulgentio) lungamente da gli Egitij fu serbata con molta riverenza, & honorata, & ivi mostrò le lettere a quelli che prima in vece di lettere usavano i segni, & insegnolli il coltivar la terra, & (si come piace a Marciano) l'uso del lino, e fu la prima ch'ivi ritrovasse le sementi, e molte altre cose necessarie, & utili all'uso humano. Benche Agostino nel libro della Città di Dio dice alcuni scrivere quella di Ethiopia essere venuta in Egitto Reina, e oltre ciò essersi maritata in Api suo nepote, che doppo lei, & alcuni dicono innanzi passò medesimamente in Egitto. Ma Eusebio scrive, ch'ella si maritò ad un certo Telegono, & vogliono (fosse di chi si volesse) di Giove, ò di Api, ò di Telegono, ch'ella partorisse il figliuolo Epafo. Costei appresso per le concedute commodità con il saper suo a gli Egittij, da tutti fu tenuta per Dea, & mentre visse adorata: e doppo morte (come dice Agostino nell'istesso) fu di maniera a loro grata, che v'era pena la testa, s'alcuno diceva, ella essere stata femina.

 

Foroneo figliuolo d'Inaco, che generò Egialeo, & Niobe.

Foroneo (come scrive Eusebio nel libro de' tempi) fu figliuolo d'Inaco, & il secondo che signoreggiasse appresso Argivi, regnando appresso gli Assiri Beloco, & Sicioni Leucippo. Fu veramente per industria huomo famoso, & per sapienza notabile, nel cui tempo Argo fu la prima, che per le leggi, & giudicij divenisse famosa. La onde per tal causa gli ammaestrati in ragion civile, dicono quel luogo da noi chiamato Foro, cioè dove si rende la ragione, cosi nomarsi da Foroneo. Oltre ciò dice Eusebio che di costui fu figliuolo Egialeo, & Niobe. Appresso Lattantio afferma che costui fu il primo che sacrificasse a Giunone.

 

Egialeo figliuolo di Foroneo.

Egialeo (secondo Eusebio) fu figliuolo di Foroneo. Costui fu Api, il quale alcuni dicono che fu figliuolo di Foroneo, il che pare che anco Eusebio voglia, benche dica lui essere stato il primo figliuolo che havesse Giove di Niobe figliuola di Foroneo, e che ei generasse di femina mortale: poscia che hebbe regnato in Argo, volendo passare in Egitto, lasciò il reame d'Acaia, ma non dice a quale regione signoreggiasse. Ma che Eusebio parlando di Api tra se discordi, chiamandolo & figliuolo di Giove, & di Foroneo, non è maraviglia; percioche può essere, che egli habbia scritto il vero, attento che facilmente è possibile che fossero due, che havessero l'istesso nome, l'uno de quali da Giove, e l'altro da Foroneo fosse generato: e cosi la conformità de nomi, ha intricato la verità dell'historia. Che anco fossero due, il detto Eusebio lo dichiara, l'uno de quali dice, che fu Re de Sicioni circa gl'anni del mondo tremila dugento e ventinove: l'altro poi appresso gli Egittii fu edificato ne gli anni del mondo tremila quattrocento cinquantasette, & questo istesso dice Eusebio essere stato quello che ne gli anni del mondo tremila quattrocento cinquantasette fu Re d'Argivi: & havendo sostituito Egialeo suo fratello Re d'Acaia, navigò in Egitto. Oltre ciò l'istesso Eusebio scrive, che ne gli anni del mondo tremila quattrocento tredici, Giove si congiunse con Niobe figliuola di Foroneo, & di lui partorì Api, il quale poi da gli Egittii fu detto Serape. Iddio di ciò vegga la verità. Io non intendo questi intrichi, non che mi dia l'animo sciorgli.

 

Niobe figliuola di Foroneo, che partorì Api.

Niobe, come piace ad Eusebio, fu figliuola di Foroneo, benche Gervaso Tileberese nel libro de gli otii Imperiali affermi costei essere stata madre, non figliuola di Foroneo; il che non è possibile che la madre, e la figlia havesse un nome istesso, dicendo prima Eusebio, e doppo lui Lattantio, che con lei si congiunse Giove, che prima con alcun'altro mortale non s'era congiunto: onde di lui partorì Api, che dopo Foroneo regnò in Argo, & dagli Egittii fu poi detto Serapi.

 

Fegeo figliuolo del fiume Inaco.

Dando fede ad Agostino, Fegeo fu figliuolo del fiume Inaco, il quale morendo giovanetto, alla di lui sepoltura fu edificato un Tempio, & ordinati sacrifici a fine che come Dio fosse honorato. Egli era stato il primo ch'a gli Dei havea instituito luoghi sacri, essequito i culti divini, & insegnato a suoi popoli partire le stagioni in mesi & anni, per li quai meriti da suoi fu tenuto per Dio.

 

Peneo fiume decimoterzo figliuolo d'Oceano, che generò Cirene, & Dane.

Peneo è fiume di Thessaglia, & medesimamente si come gli altri famoso figliuolo dell'Oceano, non poco da i versi de' Poeti, & dalle scritture de gli historici inalzato. Costui hebbe due figliuole, cioè Cirene, & Dane.

 

Cirene figliuola di Peneo, che partorì Aristeo, & fratelli.

Secondo Virgilio, Cirene fu figliuola del fiume Peneo. Dice Giustino, che costei fu rapita da Apollo, del quale partorì Aristeo, & i fratelli. Di costei, la quale secondo la verità, fu figliuola del Re Peneo, che appresso il Peneo signoreggiava, la favola, & la historia a pieno si è dichiarata di sopra, dove s'è detto di Aristeo.

 

Dane figliuola di Peneo.

E chiarissima fama, che Dane, ò vogliamo dire Dafni, fu figliuola del fiume Peneo, è da Apollo, fuori di misura essendo bellissima giovane, è donzella, amata, il quale seguendo lei che fuggiva, ella con preghi a gli Dei rivolta per loro misericordia fu in Lauro conversa; e indi da Febo per ornare le sue cetre, e le faretre pigliata: per la qual favola (s'io non m'inganno) si tocca la ragione naturale: per Dane si deve intendere l'humidità, la quale procede da esso Peneo d'intorno la riva d'esso fiume; onde fu detto Apollo essersi innamorato di lei, percioche con il calore de suoi raggi la leva in alto, è alle volte la risolve in aere: è però l'humidità, si come naturalmente aviene, che ciascuna cosa fugge, e rifiuta quello per lo quale dall'essere al non essere è condotta, conduce se all'intrinseco della terra. Ivi adunque non potendo Apollo guidarla molto, opra in lei il suo potere, & abbondando quel paese di semente di Lauri fa nascere Allori: & cosi Dane, cioè l'humidità figliuola di Peneo, è pure conversa in Lauro. Ma egli è da veder la ragione, perche le loro frondi fossero da Apollo dedicate alle sue faretre, la quale può essere tale. Fu antichissimo costume de Greci secondo le qualità de gli abbattimenti che nelle loro solennitadi erano diversi, tra gli altri doni con corone di frondi honorare i vincitori; & tra gli altri, come piu degno, celebrandosi l'agone di Fitone in memoria del vinto Fitone da Apollo con maggiore cura & diligenza, al vincitore si donava la girlanda d'alloro. Medesimamente si concedeva a Poeti, e spetialmente a quei che in versi heroici sacravano a perpetua memoria i fatti degni de' passati maggiori; percioche pareva che questi tali senza la facondia d'Apollo non potessero comporre cosi sublimi versi; onde si come per la faretra d'Apollo volevano disegnare l'arco, & gli strali, cosi per la cetra i Poeti; e di qui fu detto le cetre, e le faretre di Apollo ornate di Lauro, il quale costume poscia pervenne con universale gloria delle cose fino a Romani, e da loro tanto fu istimato, che solamente a quelli a' quali era conceduto il trionfo, era anche data la corona d'alloro, eccetto i Poeti, i quali vinta la lodevole fatica, ne fossero giudicati degni; il che il famoso huomo Francesco Petrarca, al quale non è molto che fu conceduto tanto honore, nelle Epistole dimostra, dicendo;

 


Le corone di fiori a le donzelle,

Quelle d'alloro dannosi a Poeti,

Et tali anchora a i Cesari si danno,

Onde a l'uno, & a l'altro è gloria pare.


 

Nè stava in potere d'alcuno di bassa conditione tale autorità, ma solamente di ciò il Senato solo poteva disporre, la quale potenza poi gli è stata, si come l'altre cose, da i Prencipi levata. Qual ragione poi movesse gl'inventori a ricercare tal costume, ciò non è nascoso. Dice Isidoro, & Rabano, che Lauro è detto da laude; percioche anticamente l'alloro si chiamava Laude: onde perche i vincitori, per li quali era conservata, & accresciuta la Republica: & i Poeti, per li quali meriti de gli huomini con maravigliose lodi erano inalzati, erano ornati di frondi, che dinotavano laude. Oltre ciò questo arbore sempre verdeggia, accioche per lo suo verdeggiare si dimostra la fama de' buoni meriti perpetuamente essere verde, e perche è solo tra tutti securo dal folgore: cosi il verde dalla gloria di questi tali non può essere offeso dal folgore dell'invidia. Appresso, questo arbore è consecrato ad Apollo, perche dimostra havere in se una certa virtù nascosta da  indovinare. Percioche dicono, che se alcuno pone sotto il capo d'uno che dorma delle frondi di Lauro, egli si sogna cose vere; & però ad Apollo Iddio dell'indovinare è consecrato.

 

Il Nilo fiume quartodecimo figliuolo dell'Oceano, che generò Minerva, Hercole, Dionigi, & Mercurio, & Vulcano.

Il Nilo è un fiume Meridionale, che divide l'Egitto dalla Ethiopia, figliuolo dell'Oceano, & della terra. Costui, secondo alcuni latinamente è detto Melo, e i nostri Theologi nelle scritture sacre dicono che si chiama Geon. Di questo molte maravigliose cose si narrano. Di lui compose Aristotele un trattato, & Seneca Filosofo dove tratta delle questioni naturali, ne dice molte cose, & doppo lui Lucano: cosi anco io dove tratto de i monti, & fiumi, del quale, perche qui non metto altro che il semplice nome, s'alcuno disia leggerne piu ampiamente, cerchi i notati volumi. Noi de i discendenti da lui per ordine trattaremo.

 

Minerva figliuola del Nilo.

Minerva differente dall'altre di sopra (come dice Tullio nelle nature de' Dei) fu figliuola del Nilo, & adorata dagli Egittij. Credo io che costei per prudenza, & arteficio fosse notabile donna, & però fu chiamata figliuola del Nilo attento che vicino a quello hebbe il suo dominio.

 

Hercole figliuolo del Nilo.

Hercole diferente da i detti di sopra (secondo Tullio) fu del Nilo figliuolo. Dice Theodontio, che costui fu quello che a i Frigii diede il carattere delle lettere, e che con Anteo giuocò alla lotta; onde io istimo, che egli fosse qualche huomo famoso, & habitatore del Nilo, & però il Nilo esserli dato per padre.

 

Dionisio figliuolo del Nilo.

Dionisio (come dice Cicerone) fu figliuolo del Nilo, ma non però nessuno di quei tali che si è detto; percioche vuole che costui amazzasse Nisa, quale poi si fosse questa Nisa io non ho ritrovato. Nondimeno sono di quelli che vogliono questo esser quel Dionigi, che hebbe guerra contra gl'Indi, & da Perseo fu vinto, & morto. Oltre ciò alcuni istimano essere stato quello che con Antheo hebbe contrasto; onde poi per la vittoria acquistata, meritò il cognome d'Hercole.

 

Mercurio quarto figliuolo del Nilo, che generò il quinto Mercurio, & Dafni.

Mercurio differente dai superiori, fu quarto figliuolo del Nilo, si come si legge in Tullio. Dice Theodontio, che costui fu quello Hermete Trimegisto, huomo pio, & molto dotto, il quale, si come huomo gentile, maravigliosamente hebbe buona opinione del vero Iddio in quel libro da lui scritto ad Asclepio. Questi da gli Egittij fu tenuto talmente in riverenza, che appresso loro era grandissima scelerità chiamarlo per proprio nome. Credo che ciò facessero per la riverenza della deità, accioche forse nel nomarlo non si venisse a parlare della di lui humanità, & mortalità & cosi si venisse ad abbassare in qualche grado la divinità sua. Fu detto figliuolo del Nilo, per inalzare la gloria & di lui, e del fiume, volendo oltre questo alcuni che egli havesse figliuoli.

 

Dafni figliuolo del quarto Mercurio.

Secondo Servio, Dafni fu figliuolo di Mercurio, ma di qual Mercurio, ò di questo, ò d'altro, io nol so. Ma io per haverlo veduto attribuito a questo, cosi l'ho messo. Fu giovane di bellissimo aspetto, e (si come dicono) il primo pastore nelle selve.

 

Mercurio quinto figliuolo del quarto Mercurio che generò Norace.

Vuole Theodontio, che questo Mercurio, il quale per numero viene ad essere il quinto, fosse figliuolo di Mercurio del Nilo figliuolo, e dal padre essendo stato nomato Chat, per la famosa, & arteficiosa scienza di lui meritò essere chiamato Mercurio, & adorato. A costui sono attribuite le insegne che si danno a gli altri, e appresso da Theodontio alla di lui cinta descrive il gallo, il quale dice, ch'egli veggendo dalla fama del zio, e del padre esserli tolto il suo luogo, se n'andò nello estremo Occidente, dove da gli Occidentali fu molto istimato, a quali havendo insegnato molte cose appartenenti al guadagno delle Mercatantie, & le misure, e i pesi de mercatanti, da loro fu chiamato Dio, del cui nome la interpretation fatta dal chiarissimo huomo Francesco Petrarca benissimo s'appartiene al titolo della sua deità. Dice egli nel libro delle invettive contra un medico in questa forma.  Onde vogliano poi che Mercurio, da loro chiamato Iddio dell'eloquenza sia detto, percioche pare che sia Kirius, cioè signore delle mercantie. Questo egli dice. Vi è stato aggiunto il gallo (per lasciar l'avanzo) per dinotare la notturna sollecitudine de mercanti, della quale specialmente in tal tempo usano in comporre le merci, in rivedere i conti, in fare i viaggi & altre cose simili. Chiamano questo istesso Trifono cioè conversibile, il che è proprio de mercanti che si accostano a costumi di qualunque natione, dove vanno, e tutti i suoi affari con una certa circonvolutione, e astutia di parlare esseguiscono, e con sagacità, & ingegno gli maneggiano. Et perche andò in Occidente da gli Egittij, & Greci, fu finto, che se n'andasse sotterra. Di costui Giulio Celso nel libro della guerra Francese da Cesare fatta, cosi dice.  Questi da Francesi è tenuto in molta riverenza, e vogliono che sia inventore di molte arti, & dicono che è guida delle strade, & viaggi, istimano c'habbia grandissimo potere ne i mercati, e conventioni. Cicerone nelle nature de i Dei dice, che questo tale Mercurio, chiamato Trifono, fu figliuolo di Valente & Coronide. Leontio poi v'aggiunge che fu fratello uterino d'Esculapio fulminato, & che per dolore della morte del fratello se n'andò in Occidente. Ma Eusebio nel libro de tempi si accorda dicendo, che fu figliuolo di Trimegisto nel tempo che in Argo regnò Steleno.

 

Norace figliuolo del quinto Mercurio.

Norace, come dice Theodontio, fu figliuolo del quinto Mercurio, e della ninfa Oschira figliuola del Pireneo, il che anco pare che voglia Solino nel libro delle cose maravigliose del mondo, il quale medesimamente con Theodontio dice, che questo Norace da Tharsalo, Castello d'Hispagna venne in Sardigna, dove havendo Sardo figliuolo d'Hercole dal nome suo chiamato tutta la Sardigna, egli edificato ivi un castello, a quello pose il suo nome.

 

Vulcano figliuolo del Nilo, che generò Ethiope, & il Sole.

Vulcano non quello che signoreggiò in Lenno, ma un'altro (secondo Cicerone nelle nature de' Dei) fu figliuolo del Nilo. Questi dagli Egittij è detto Opi, & loro custode il chiamano, onde non havendo altro letto di lui, credo che fosse qualche famoso huomo circa le cose fabrili, & l'architettura, e vicino al Nilo haver dominato, & però esser chiamato di lui figliuolo.

 

Ethiope figliuolo di Vulcano.

Ethiopa (come piace a Plinio nell'historia naturale) fu figliuolo di Vulcano, onde (secondo lui) tutta la gente di quel paese, che poi fu detto Ethiopia, e prima era nomato Etheria, & indi Athalatia, ultimamente da questo Ethiope fu chiamato Ethiopia; il che non è picciolo argomento ch'egli fosse grand'huomo.

 

Sole figliuolo di Vulcano, che generò Fetonte, Fetusa, Lampetusa di Iapetia.

Sole, come scrive Tullio, fu figliuolo di Vulcano Egittio, & gli Egittij vogliono che la di lui Città fosse Heliopoli, percioche in Greco Helios significa Sole. Ma Theodontio dice, ch'ei regnò in quella Città, & fu splendidissimo Re, ma per vero nome chiamato Merope, & c'hebbe per moglie Climene, la quale di lui partorì Heridano chiamato Fetonte, & altri figliuoli. Leontio istimava costui, & Ethiope un'istesso, & per lo splendore dell'occupata Ethiopia da gli amici, e sudditi esser detto Sole.

 

 

Fetonte figliuolo del Sole che generò Ligo.

Fetonte fu figlio del Sole Egittio, & di Climene, si come per li versi d'Ovidio si manifesta, quando in persona di Climene, cosi dice;

 


Per questo disse, splendido, & lucente

Splendor de raggi, figliuol mio ti giuro,

Che tu figliuolo sei di quel gran Sole,

Il qual tu vedi, e che governa il mondo.


 

Di questo Ovi. recita favola tale. Cioè essere avenuto, che non volendo Fetonte credere ad Epafo figliuolo di Giove, & d'Isis, da quello gli fu detto ch'egli non era figliuolo del Sole; la onde Fetonte di ciò con la madre dolendosi, da lei fino nella stanza del Sole fu condotto, dove dal padre benignamente raccolto, da quello sotto giuramento impetrò in gratia per un giorno poter reggere il carro del Sole, onde indarno persuadendoli molto il Sole, che non volesse mettersi a tanta impresa, alla fine quello supplicante il concesse, di che essendo le sue forze debili a reggere que' cavalli, smarrito nel vedere il segno di Scorpione, abbandonò le redini; la onde i cavalli lasciando il solito viaggio, hora verso il Cielo montando, hora in verso la Terra declinando, tutto quel paese del Cielo arsero, et quasi tutta la terra, seccando molti fonti, & fiumi. Per lo cui incendio la terra commossa, pregò Giove che l'aiutasse, il quale mosso, da tali prieghi fulminò Fetonte, che cade nel Pò dove dalle sorelle fu pianto, & sepolto con tale epitafio.

 


Qui sepolto è Fetonte, che fu guida

De' paterni destrieri, i quai se bene

Regger non puote, tutta via morio,

Et cade per sublime, & grande ardire.


Questa fittione, secondo il mio giudicio, sotto corteccia contiene in se historia, & natural cagione. Fu creduto da gli antichi, si come nel libro de tempi afferma Eusebio, & doppo lui Orosio prete nelle sue Croniche, nelle parti della Grecia, e dell'Oriente essere stato un grandissimo incendio nel tempo che Cecrope primo d'Atheniesi signoreggiava, & ciò essere avenuto non per opra humana, ma come mandato per infusione de sopra celesti corpi, & questo di tutti fu chiamato l'incendio di Fetonte. Per opra di tale incendio che quà, & là si sparse, occorse che i fonti & molti fiumi si seccarono, tutte le cose seminate si conversero in cenere, le selve e tutti gli alberi, le città da gli habitatori, & i paesi da i popoli s'abbandonassero, e quasi tutto il Reame paresse scaldarsi, & bollire, & essendo ciò durato per molti mesi, avvenne che circa il mezzo dello autunno, cadendo grandissime pioggie, egli si estinse, le quai cose sotto fittione con ragion tale sono poste. Fetonte prima (si come dice Leontio Thessalonio) latinamente vuol dire incendio. Questi però è detto figliuolo del Sole, perche il Sole è fonte, & origine del calore, e cosi parendo che tutto il Sole sia causato dal Sole, non inconvenevolmente fu finto padre dello incendio. Climene poi in Greco, Latinamente suona humidità, la quale perciò è chiamata madre di Fetonte, perche il calore non può continuare, se la convenevole humidità non se gli afferma sotto, & cosi dalla humidità si come dalla madre il figliuolo pare essere nodrito, e nello essere perseverato. Che Fetonte poi dimandi al padre in gratia di reggere il carro della luce, non debbiamo intender altro che un certo innato disio fino anco nelle pensibili vegetative creature di restare, et aumentare, accioche io parli nelle cose sensibili, si come delle rationali, il che anco della terra orante possiamo dire. Quello poi che vi s'aggiunge che egli veggendo lo Scorpione, havesse tema, & abbandonasse le briglie de cavalli, oltre il solito salendo in alto, e abbrusciando una parte del Cielo, & medesimamente scendendo à basso, e abbrusciando la terra, ciò è stato tolto dall'ordine continuo di natura. Nel Zodiaco vi è lo spatio di venti gradi, cioè dal ventesimo grado di Libra al decimo di Scorpione, il quale i filosofi chiamarono via abbrusciata, percioche ogni anno facendo i suoi gradi il Sole per quello spatio, pare che in terra abbrusci il tutto, attento che si faceano l'herbe, le foglie si diventano bianche, e caggiano, l'acque calano basse verso la terra, nè alcuna cosa a quel tempo si genera, e cosi dall'effetto quella parte del Cielo viene nomata. Oltre ciò fingono Fetonte circa il mezzo dello  autunno fulminato, perche a quel tempo per l'opposto Sole in Occidente a Scorpione, nell'Oriente si mostrano co'l segno del Tauro le Pleiadi, l'Orione, e lo Eridano, che sono Stelle, c'hanno possa di generar pioggie, inondationi di acque, da quai s'ammorzano gli incendi, le pioggie per lo più veggiamo che caggiono circa il mezzo dell'autunno, overo prima, & durano molto; onde per loro opra tutto il superficiale calor della terra si estingue. Ch'egli anco cadesse nell'Eridano, crede ciò deversi intendere in questa forma. Dice Iginio nel libro dell'Astrologia de' Poeti, l'Eridano da alcuni essere nomato Nilo, & da altri Oceano, in vece de quali dobbiamo intendere una grandissima copia d'acque, & in questa forma considerare gli incendij per la grandissima copia d'acque cadere, cioè esser pinti non semplicemente nel Pò solo come alcuni con poca avertenza istimano. Che poi fosse fulminato da Giove, parmi che cosi si debba esporre. Alle volte i Poeti pigliano il foco per Giove, & alle volte l'aere, il quale in questo luogo si deve intendere per l'aere, nel cui ascendendo i vapori humidi diventano nuvoli, i quali se per la furia di alcun vento sono inalzati fino alla fredda regione dell'aere, subito si cangiano in acque, che cadendo chiamiamo pioggie, & cosi è fulminato, cioè estinto da Giove: cioè dall'aere cagionante le pioggie. Possiamo appresso dire, lasciata l'antica historia, il calor della state dalla temperanza dell'autunno che sopragiugne essere estinto, & risolto in nubi. Nondimeno Paolo Perugino afferma, secondo un certo Eustachio, che regnando appresso gli Assiri Spareto, Eridano, quale è anco Fetonte figliuolo del Sole Egittio con un numero delle sue genti con la guida del Nilo, con certi navilli venne in mare, e da venti aiutato giunse nel seno da noi chiamato Ligustico, dove affaticato dal lungo navigare, con i suoi smontò in terra, & da quelli persuaduto a caminar più fra terra, lasciò uno de suoi compagni chiamato Genuino debilitato dalla fortuna del mare a guardia delle navi nel lido con una parte delle genti il quale congiungendosi con gli habitatori di que' luoghi, ch'erano huomini rozi, & selvaggi, edificò un castello, & dal suo nome il chiamò Genova. Ma Eridano passati i monti, essendo giunto in un'ampia, & fertile pianura dove ritrovò huomini rozi, & agresti, nondimeno feroci, s'imaginò con l'ingegno domare la loro fierezza, e si fermò appresso il Pò, dove (si come riferisce l'istesso Paolo) pare che Eustachio voglia che Turino fosse da lui edificato, ma chiamato Eridano. Ivi adunque havendo alquanto regnato, lasciato il figliuolo Ligure, morì nel Pò dal cui nome il Pò fu Eridano; onde gli antichi Egittij in memoria del suo compatriota, il locarono tra i segni celesti: & cosi pare che alcuni istimino tal cosa haver dato materia alla favola, & spetialmente, che Fetonte fosse fulminato, e gittato in Pò. Leontio aggiungeva a costui due fratelli Ifido, & Filace, & di anni maggiore di Fetonte, de' quai, perche altro non ho ritrovato, altrimenti non mi sono curato notarli.

 

Ligo figliuolo di Fetonte.

Ligo (si come per le predette cose è chiaro) fu figliuolo di Fetonte, & morto quello, a lui successe, il quale dal nome suo chiamò Liguri i popoli da lui signoreggiati.

 

Fetusa, Lampetusa, & Iapetie figliuole del Sole.

Queste tre sorelle (secondo Ovidio) furono figliuole del Sole, le quali lungo il Po piangendo la morte di Fetonte, furono cangiate in alberi che stillano gomma, del qual figmento ricercando la materia, istimo queste non essere state femine altrimenti, ma essersi ciò detto, perche lungo i paludi del Pò nascono diverse spetie di alberi per la forza del Sole senza esser piantati; onde circa il fine della state, mentre il Sole incomincia declinare sudando un certo humore giallo in modo di lagrime, il qual s'è raccolto con artificio si compone in ambra; e perche, si come è stato detto: per virtù del Sole nascono i luoghi humidi, furono dette figliuole del Sole, & di Climene, cioè dell'humidità, & dal Sole chiamate Eliadi.

 

Alfeo fiume decimoquinto figliuolo dell'Oceano, che generò Orsiloco.

Alfeo fu figliuolo dell'Oceano, & della terra il quale da Servio chiamato fiume d'Elide, & che nasce appresso Pisa Città d'Elide. A bastanza di sopra, dove s'è parlato di Aretusa, è stato detto ch'egli amò la Ninfa Aretusa cangiata in fonte, & che la seguì fino in Sicilia. Ma Servio apre con tali parole le fiamme amorose di costui. Elide, & Pisa sono cittadi d'Arcadia dove è un gran fonte, il quale di se genera due alvei, Alfeo, & Aretusa. Onde nasce la fittione che nell'esito si congiungano quei che l'origine non congiunse.

 

Orsiloco figliuolo del fiume Alfeo, che generò Diocleo.

Orsiloco figliuolo del fiume Alfeo, come chiaramente nella Iliade dimostra Homero, dicendo;  Ricco nella vita, overo nel potere, perche la generatione sua era dal fiume Alfeo, il quale ampiamente scorre per la terra Pilon, & generò Orsiloco Re di molti huomini. Orsiloco poi generò il magnanimo Diocleo, & di Diocleo, nacquero due figluoli gemelli, cioè Crito, & Orsiloco esperti in armi. Dice Homero, che questo Orsiloco habitò nella città di Firo, che è appresso l'Alfeo, di che è nato, ch'egli s'è detto suo figliolo.

 

Diocleo figliuolo d'Orsiloco, che generò Critone, & Orsiloco.

Diocleo, come per Homero s'è mostrato fu figliuolo d'Orsiloco, del cui oltre il nome, & che generasse Crittone & Orsiloco, altro non mi ricordo haver letto.

 

Crittone, & Orsiloco figliuol di Diocleo.

Furono Crittone, & Orsiloco, come è stato mostrato figliuoli di Diocleo. Questi movendosi i Greci contra Troiani, insieme con gli altri Prencipi di Grecia, vennero dalla città di Firo alla destruttione di Troia. Ivi adunque essendo eglino valorosi & confidandosi molto nelle loro forze, hebbero ardire un giorno in una battaglia assalire Enea, dal quale amendue furono morti & con grandissima fatica di Menelao, & Antiloco figliuolo di Nestore i corpi di quai furono tolti dalle mani de nemici, & sepolti.

 

Crinisio fiume sestodecimo figliuolo dell'Oceano, che generò Aceste.

Nacque Crinisio dell'Oceano, e della terra. Questi scorre per la Sicilia, e di lui riferisce Servio favola tale. Che non pagando Laumedonte la promessa mercede a Nettuno, & Apollo per la edificatione delle mura di Troia, Nettuno mosso ad ira, mandò un mostro in Troia, che quella rovinasse, la onde Laumedonte andato all'Oracolo di Apollo, dicono che anco egli mosso a sdegno, gli fece la risposta in contrario, cioè, che a quella bestia si dovessero dar a mangiare le più nobili donzelle; il che facendosi, avenne che Hippote nobile Troiano, veggendo Hesiona figliuola di Laumedonte esposta a quel mostro, e temendo che l'istesso non occorresse ad Egea sua figliuola, segretamente la pose sopra una nave, & la raccomandò alla fortuna, volendo piu tosto che fuori da gli occhi suoi fosse dall'onde inghiottita, che in sua presenza dalla fiera divorata. Costei adunque dalla furia de' venti fu portata in Sicilia, dove il fiume Crinisio di lei innamoratosi, e cangiatosi in cane, overo in Orso, la prese, & impregnò, & di lei ne hebbe un figliuolo nomato Aceste. Il mezzo della qual favola, è historia; quello poi che si legge nel principio è finto, dove si espone di Laumedonte: quello che poi è nel fine (dice Theodontio) bisogna intenderlo per coniettura, non si ritrovando alcuna memoria antica, & però dice essere cosa possibile, che questa donzella per minaccia di alcuno si conducesse condotta appresso il fiume Crinisio dove venisse ne suoi abbracciamenti, percioche le furie de minaccianti sono simili al latrare de' cani, overo può esser ch'ella venisse alle mani di qualche furioso, che faccendole forzo si come un'Orso la pigliasse.

 

Aceste figliuolo del fiume Crinisio.

Si trova che Aceste fu figliuolo del fiume Crinisio, & di Egesta Troiana, si come nell'Eneida testimonia Virgilio, dicendo;

 


Appresentossi Aceste in lanciar dardi

Essercitato molto, e spaventoso,

Vestito d'una pelle d'Orso fiero;

Da Crinisio costui fu generato,

Et da Egesta Troiana partorito;

Onde de gli avi antichi non scordato.


 

Questo tale Aceste già vecchio, prima Anchise, & Enea che venivano in Italia alloggiò in casa sua, e poi sepellì il morto Anchise insieme con Enea sopra l'Erice monte di Sicilia. Indi raccolse benignamente, & alloggiò Enea, che partendosi da Cartagine, ivi da venti era stato cacciato, dove Enea edificata una Città dal nome della madre d'Aceste la chiamò Egesta, la quale poi fu detta Segesta, & lasciolla sotto il dominio d'Aceste, il quale cosi da i lasciati da Enea, come da gli altri stranieri che vennero ivi ad habitare, fu loro Re chiamato.

 

Tebro fiume decimo settimo figliuolo dell'Oceano, che generò Citheone.

Tebro, overo Tevere fu figliuolo dell'Oceano, & della terra. Questo essendo dal destro lato dell'Apennino, partendo i Toscani da gli Umbri, & Campani, anco la Città di Roma divide, il quale, per esserli toccato il dominio di tutto 'l mondo, di maniera da i versi de Poeti è stato celebrato, ch'egli di gloria ha trappassato il Xanto, & Simeonta per la memoria de Greci illustri. Hebbe diversi nomi, i quali, se alcuno disia vedere, riguardi dove ho scritto de' monti, & fiumi. Oltre ciò, a gli antichi piacque ch'ei generasse il figliuolo Tiberino.

 

Citheone figliuolo del Tebro.

Citheone fu figliuolo del fiume Tebro, & di Manto già figliuola di Tiresia indovino Thebano, si come nell'Eneida testimonia Virgilio, dicendo;

 


Anco quel Citheon guida una schiera,

Da la paterna region condotta.

Questo fù figlio del Toscano fiume,

Et di Manto fatidica indovina,

Ch'edificò le mura, & la Cittade

Di Mantova, & da se le diede nome.


 

Servio nella Buccolica dice costui da Virgilio essere detto Bianore. Ma Pomponio nella Cosmografia di questa Manto tiene altra opinione, percioche descrivendo l'Asiatico lito dice;  Ivi i Libedi sono, e il tempio del Clario Apollo, il quale Manto figliola di Tiresia fuggendo i vincitori de Thebani Figeno, & Colofon edificò, la quale Mopso dell'istessa Manto figliuolo, e quello che segue. Onde si vede, che costei fuggendo non in Occidente, ma in Oriente tenne il suo viaggio. Tuttavia è cosa possibile, che in processo di tempo venisse in Italia; il che benche poco si provi, nondimeno chi denegherà a tanto Poeta nell'origine della sua patria.

 

Axio fiume decim'ottavo figliuolo del Oceano, che generò Pelagonio.

Axio fu figliuolo dell'Oceano, e della terra, del quale Homero nella Iliade dice, & vuole che amasse Perhibia la piu vecchia delle figliuole d'Achesomonio, & che la impregnasse, & di lei ne havesse un figliuol detto Pelagonio.

 

Pelagonio figliuolo d'Axio, che generò Asteropio.

Pelagonio fu figliuolo del fiume Axio, & Perhibia, come Homero nella Iliade dimostra, del cui non mi ricordo haver letto altro, eccetto che generò Asteropio.

 

Asteropio figliuolo di Pelagonio.

Vuole Homero, che Asteropio fosse figliuolo di Pelagonio, il quale essendo ardito, & robusto giovane insieme con i Peonij venne in aiuto de Troiani, & confidandosi di soverchio nelle sue forze corporali, nello undecimo giorno dapoi che fu venuto a Troia, hebbe ardire andar' ad affrontare Achille furioso per la morte di Patroclo, & corse prima con villane parole, & poi con l'armi a contrastare; dal quale infelicemente fu morto.

 

Asopo fiume, & decimonono figliuolo dell'Oceano, che generò Ipseo, & Egina.

Il fiume Asopo (si come dicono) fu figliuolo dell'Oceano, e della terra: questo scorre per Boetia, secondo Lattantio, & passa in Epadagmon, si come afferma Vibia, dove tratta de fiumi. Oltre ciò vogliono che fosse padre d'Ipseo, & Egina, & havendo saputo che Egina era stata vitiata da Giove, sopportò questo tanto malamente, che da furore assalito, con le onde mosse guerra fino alle stelle, si come dice Statio;

 


Perche dicono Giove haver rapito

La figlia Egina da le paterne onde,

Et haverla condotta a suoi voleri;

Onde l'offeso fiume, & d'ira pieno

Apparecchia per fino a l'alte Stelle

Di mover guerra, & non s'avede poi,

Che non lice; ma da l'ira mosso,

Contra il Cielo le mani in vano stese.


 

Dicono che Giove mosso ad ira, il fulminò; lo che dimostra il medesimo Statio. La fittione di questa favola tiene in se tal verità. Dice Leontio, che Asopo fu un Re di Boemia, e da lui detto fiume cosi chiamato; al quale havendo Giove d'Arcadia menato via la figliuola Egina, egli con tutte le sue forze gli mosse guerra, & nondimeno da lui fu vinto, & rotto. Che poi fosse fulminato ciò non s'appartiene al Re, ma al fiume che discorrendo per i sulfurei campi, e con le onde sue da quelli suscitando fumo, appresso gli antichi diede materia all'ira del folgore.

 

Ipseo figliuolo del fiume Asopo.

Ipseo fu figliuolo del fiume Asopo, si come dimostra Statio, il quale dice che costui venne in aiuto di Etheocle contra Pollinice.

 

Egina fu figliuola d'Asopo, che partorì Eaco.

Egina fu figliuola del fiume Asopo, la quale fu amata da Giove, & da lui si come scrive Ovidio, cangiato in fuoco, ingannata, e impregnata, la quale poi partorì Eaco, il quale poscia dal nome della madre chiamò l'Isola Enopia, dove ei signoreggiò Egina, & cosi fino al dì d'hoggi si chiama. Che Giove si cangiasse in fuoco per congiungersi con Egina, credo ciò essere stato detto più tosto dalla virtù della seguita discendenza, che da altro, percioche gli huomini d'Eaco furono d'infiammato vigore, come a bastanza possiamo vedere in Achille, Pirro, et gli altri discendenti.

 

Cefiso fiume ventesimo figliuolo dell'Oceano, che generò Narciso.

Cefiso fu figliuolo dell'Oceano, & della terra, il quale trascorre per Boetia, si come si legge in Lucano.

 


Sforzaro di Boetia i Capitani,

Appresso quali di Cefiso il fiume

Corre veloce per fatidica acqua,

Et per Dirce che fu figlia di Cadmo,


 

Dicono che di costui Narciso fu figliuolo, & che essendo morto da Zefiro infermato per compassione d'Apollo fu sanato. Questo narra Lattantio. La onde per dichiarare tai cose, credo io che l'acque di Cefiso siano chiamate fatidiche, perche vicino a quello fu già il tempio di Themi, al quale, non v'essendo anco gli Oracoli di Febo, Deucalione, & Pirra, andarono a consultarsi con la Dea; la onde, perche ivi si davano le risposte, & si dimostrava quello havea a venire, l'acqua prese il cognome di fatidica, & cosi quello che della Dea del Tempio era proprio, all'acqua anco fu conceduto. Et forse che le precedenti sacre risposte per instituto antico non si poteano fare senza l'acqua del fiume, e cosi l'acqua mostrava havere alcuna virtù in quella falsa indovinatione. Che poi per la morte di Zefiro fosse infermato, l'intentione potrebbe esser questa. Dice Agost. nel libro della Città d'Iddio, Mesapo Re di Sicioni essere stato nuovo, il quale fu chiamato Cefiso; nella parte del cui palazzo vi era un luogo, dove nella state soffiando il vento Zefiro, l'aere era molto sano; ma cercando quello si come aviene, & venendo altri venti, l'aere si corrompeva: onde avenne, che per la morte di Zefiro, cioe mancando quel vento, Cefiso cadde infermo, & per beneficio d'Apollo, cioè della medicina, essendo Apollo chiamato Dio di quella, Cefiso fu liberato. Cosi non volendo queste cose attribuire al Re, le possiamo concedere al paese, dove corre il fiume Cefiso.

 

Narciso figliuolo di Cefiso.

Narciso fu figliuolo di Cefiso, & di Liriope ninfa, come dimostra Ovidio, di cui recita la favola assai palese. Dice egli che nato Narciso, subito fu portato da Tiresia indovino, affine di intendere quale havesse ad essere il corso della sua vita. Il quale a dimandanti rispose che il fanciullo tanto viverebbe, quanto prolungasse a veder se stesso, del qual pronostico allhora si risero tutti quei che l'udirono, ma alla fine non mancò d'effetto; percioche essendo cresciuto in bellissima giovanezza, & divenuto cacciatore, da molte ninfe fu amato, & specialmente da Echo; ma essendo duro di cuore, nè si volendo a preghi di alcuna piegare, anzi sprezzando tutte quelle che lo amavano, per preghiere delle ninfe fu impetrato quello che poco dapoi gli avenne. Percioche un giorno si per la fatica della caccia come per lo gran caldo della stagione essendo lasso si ritirò in una valletta fresca, & amena, & havendo sete si chinò per bere ad un chiaro, & limpido fonte, nel chiaro fondo del quale veggendo la idea, e l'imagine di se stesso, che pria non havea mai più veduto, & istimando quella essere una ninfa di quel fonte, tanto di lei fieramente s'accese, che di se medesimo scordatosi, doppo lunghi lamenti, ivi morì di disagio, & per compassione delle ninfe fu cangiato in fiore, che tiene il suo nome. Da questa fittione si cava il senso morale. Percioche per Echo, la quale alcuna parola non esprime, eccetto l'ultime voci delle dette prima, intendo la fama, la quale ama ciascun mortale si come cosa, per la cui si ferma, & dura. Questa tale è fuggita da molti che ne fanno poco conto, e nell'acque, cioè nelle delitie mondane non altrimenti transitorie di quello che sia l'acqua, se stessi, cioè la gloria loro contemplano, e di maniera da suoi piaceri sono allacciati, che sprezzata la fama, poco da poi, si come mai non fossero stati, se ne muoiono, & se pure del loro nome vi resta, si cangia, in fiore, il quale la mattina è purpureo, & fresco, e la sera divenuto languido marcisce, e si risolve in nulla; cosi anco questi tali fin' alla sepoltura pare che habbiano qualche splendore, ma chiusa la tomba, và in fumo, insieme col nome.

 

Meandro fiume ventesimo primo, figliuolo dell'Oceano che generò Ciane.

Meandro fiume fu figliuolo dell'Oceano, & della terra, & generò la ninfa Ciane. Dice Livio che questo tale nasce nell'alta Rocca di Cilene, & passa per mezzo la Città, & indi per Caria, & Ionia è portato nel seno del mare, quale tra Pirene, & Mileto.

 

Ciane figliuola di Meandro.

Ciane figliuola di Meandro fu amata, & impregnata da Mileto figliuolo del Sole, & di lui partorì Cauno, & Bibli si come dimostra Ovidio, quando dice;

Et Cauno, & Bibli partorì ad un parto.

 

Filira ventesimaseconda figliuola dell'Oceano.

Dice Paolo, che Filira fu figliuola dell'Oceano, & da Saturno amata, di cui partorì Chirone Centauro.

 

Sperchio ventesimoterzo figliuolo dell'Oceano, che generò Mnesteo.

Sperchio fu figliuolo dell'Oceano, & della terra. Questi, come dice Homero di Pelidori figliuola di Peleo, & moglie di Durione generò Mnesteo, & secondo Pomponio scende nel seno Pegaso, & a lui Achille havea donato in voto i suoi capelli, si come narra Lattantio, fu vittorioso dalla guerra Troiana ritornato nella patria.

 

Mnesteo figliuolo di Sperchio.

Mnesteo, (secondo Homero nella Iliade) fu figliuolo di Sperchio, & di Polidori figliuola di Peleo, il quale essendo famoso giovane, accompagnò Achille allo assedio.

 

Sole ventesimoquarto figliuolo dell'Oceano.

Fu il Sole (differente da gli altri detti di sopra, secondo Plinio nel libro dell'historia naturale per l'autorità di Gellio) figliuolo dell'Oceano, senza certezza però della madre, & dice che costui fu l'inventore della medicina, & del mele, il che fin' hora a molti è stato attribuito: ne però è da maravigliarsi, percioche è cosa possibile, che di tai cose molti in diversi paesi siano stati inventori, attentoche in ogni loco vagliono gl'ingegni, & le considerationi, & cosi quello che appresso Greci crediamo essere stato opra d'Apollo, overo d'Aristeo, non ci toglie però che non possa essere nato appresso gli Oceani, overo essere accaduto che alcuno havesse tanto acuto ingegno, che trovasse tale esperienza, onde gli habitatori del luogo per inalzare il suo nome, il chiamassero poi Sole, & il facessero figliuolo dell'Oceano, per lo cui forse era ivi navigato. Ma noi, poscia che habbiamo dichiarata tutta la discendenza dell'Oceano, faremo fine al settimo volume.

Il fine del Settimo Libro.


 

 

 

 

DELLA GENEALOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO OTTAVO.

 

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Per li nuvoli il Cielo oscurarsi, & il chiaro splendore del Sole mancare, turbarsi l'aria per li venti, moversi spessi Lampi, udir far strepito alle selve, gemer la terra, & levarsi in alto le balene del mare, e gli altri mostri, e menar l'onde con la terra, & a i garruli uccelli esser posto silentio, essere cacciate l'ombre de' boschi, nelle selvaggie cave partirsi le fiere, e il tutto in un subito attristarsi s'incominciò. Io prima mi maravigliai, poi per cosi grande mutatione di cose smarrito, riguardando in mezzo le foci dello Specchio le attioni fino hora oprate dal Sole, quello che nell'Oceano punto non havea temuto, incominciai a temere, cioè, che il tutto non ritornasse nell'antico Chaos. Nè sapeva che mi fare. Finalmente stando cosi dubbioso, mi parve vedere una lenta, & nuvolosa Stella, coperta di caligine stigia, che dall'Orientale Oceano, come dall'inferno in alto si levava, la quale stando io a contemplare nelle nebbie involta, ricordandomi de' precetti dell'honorato Andalone, conobbi ch'era l'odiosa, e la nociva Stella di Saturno, della cui ritornandomi a mente gli scelerati costumi, subito cessò la tema, e la maraviglia del subito mutamento. Onde veggendo quello, come se da lei mi fosse stato ricordato la nuova mutatione delle sue miserie, essendo secondo l'incominciato ordine dell'opra tra i figliuoli del Cielo da dichiarare la di lui famosa progenie, conobbi, che non in uno volume, ma nel prossimo di questi seguenti (per volere dirne a pieno) non mi bisognava di loro scrivere. Ma testimoniando le antiche historie, quattro essere stati i labirinti, cioè l'Etrusco, l'Egittio, quello di Creta, e di Lenno, non dubito punto, che tra questi, quello che d'errori, & intrichi era piu pieno, piu facilmente a chi v'entrava, & usciva non concedesse l'adito, che non faranno le confusioni infelici del vecchio di cosi grande età, del quale siamo per parlare. Percioche inchinandosi in lui quasi tutta la pazzia dell'antico errore de Gentili, non sarà leggier cosa per uscirne, ridurre a buon termine le contrarietà dell'opinioni, le discordanze degli errori, & le dubbiose relationi de gli antichi, & in proposito ritornar Re un cacciato in essilio, e agricoltore. Adunque non senza alquanto horrore lascio tra gli aspri scogli, & profondi fino quasi alle bocche dell'inferno, i liti dell'Oceano, & la sua prole con molte acque, affine di rizzare la prora del frale navilio, ma non so già a qual partito uscir fuori per drizzar gli occhi nell'aere cosi fosco. Nondimeno spero che colui che aperse le oscure stanze di Dite, e che vincitore levando le nebbie, per quella fece ampie strade, ch'alla disiata uscita m'aprirà il profondo mare.

 

Saturno undecimo figliuolo del Cielo, che generò dieci figliuoli Croni, Vesta, Cerere, Glauca, Plutone, Chirone, Pico, Giunone, Nettuno, & il terzo Giove; ma di Giove, Nettuno, & Giunone non in questo libro, ma ne i cinque seguenti si scriverà.

Saturno fu figliuolo di Cielo, & di Vesta, si come nel libro delle divine institutioni Lattantio scrive, al quale gli antichi diedero per moglie Opi sua sorella, & gli attribuirono molti figliuoli di lei havuti, i quali tutti (dicono alcuni) da lui essere stati divorati, e subito vomitati. Altri vogliono poi, che per frode di Opi fosse serbato Giove, & che in luogo di quello havesse appresentato a Saturno un sasso, come da lei partorito. Oltre ciò vogliono ch'egli con la falce tagliasse al padre Cielo i membri virili; il che altri dicono essere a lui da Giove stato fatto. Indi alcuni scrivono che fu da Giove del Reame cacciato, altri poi nell'inferno confinato. Appresso, sono di quelli che lo descriveno vecchio, mesto, stracciato, col capo involto, pigro, da poco, & con la falce in mano. Perche egli sia rivolto, & detto figliuolo del Cielo, e della terra, Lattantio ne mostra la ragione dove nel libro delle divine institutioni per testimonio adduce Minutio Felice, che disse, che essendo Saturno dal figliuolo cacciato, & venendo in Italia, fu detto figliuolo del Cielo, percioche siamo soliti chiamare quelli, de' quali con maraviglia riguardiamo la virtù, overo che in un subito compariscono, essere venuti dal Cielo; della terra poi, perche chiamiamo figliuoli della terra quelli che nascono d'incerti padri. Queste cose veramente sono simili al vero, ma non vere; percioche si ritrova, che regnando egli ancora per tale fu tenuto. Si puote tuttavia fare argomento, che Saturno essendo potentissimo Re per tenere la memoria de i suoi progenitori, a quelli donasse il nome di Cielo, & di terra, essendo questi ancora con degli altri vocaboli nomati, con la quale ragione, & a i monti, & a i fiumi sappiamo medesimamente essere stato dato i nomi. Questo vuole Lattantio, il quale altrove dice; Ennio nell'Evomero dice Saturno non essere stato il primo che regnasse, ma il padre Urano; & altrove il medesimo. Si vede adunque egli non dal Cielo essere nato il che non può essere, ma di quell'huomo chiamato Urano, & che ciò sia vero Trimegistro ne è l'auttore. Il quale mostrando, essere stati pochissimi perfetti dotti, tra questi nomò Urano, Saturno, & Mercurio suoi parenti, & quello che segue. Il quale Urano, il medesimo Lattantio dimostra da Saturno essere stato detto Cielo, dicendo; Ho letto nell'historia sacra, Urano huomo potente havere havuto per moglie Vesta, & di lei Saturno, Opi, & altri figliuoli haver generato; il quale Saturno venendo nel Regno potente, chiamò il padre Urano Cielo, e la madre terra, accioche con tale mutatione di nomi, ampliasse lo splendore della sua origine, & cetera. Della moglie Opi, di sopra a bastanza si è parlato. Che anchora divorasse i figliuoli, & poi gli vomitasse, il senso è doppio, cioè historico, & naturale. Percioche si legge nelle sacre scritture si come altre volte è stato detto, che Saturno per possedere il Reame, con il fratello Titano si accordò di amazzare tutti i figliuoli maschi da lui generati; nondimeno quelli che maschi nascevano, dalla moglie erano da lui segretamente nascosti, & solamente gli erano appresentate le femine, & cosi i figliuoli paiono essere cresciuti, & allhora comparsero, quando si mossero contra Titano in vendetta del padre. D'intorno poi la ragione naturale, dice Cirone; Saturno è cosi detto, perche de gli anni si satolla, & si finge che mangi i figliuoli, perche la età consuma il tempo, & di quello, come di figliuolo si pasce. Et questo s'è detto in quanto alla divoratione de figliuoli. Della emissione poi si dirà de i frutti dalla terra raccolti ogni anno. Percioche essendo al suo tempo prodotte le biade dalla terra, benche siano divorate, tutte col tempo nello istesso tempo nell'anno seguente sono restituite. Per tale fittione poco intesa, d'alcuni è stato creduto quel scelerato costume de sacrifici appresso alcuni barbari haver havuto origine, cioè, che alcuni a Saturno immolavano i propri figliuoli: come se volessero oprare, si come egli. Macrobio dice, che Hercole vinto il Gerione, fece in Italia cangiar questo. Dicono appresso, che in luogo di Giove, dalla moglie a Saturno fu mostrato un sasso; ma Theodontio dice, che quel sasso fu Giove, ma non quel Giove da lui generato, anzi un'altro figliuolo d'altro huomo, & chiamato sasso, il che forse cosi è. Percioche Eusebio dice, che regnando Danao in Argo, un certo Sasso signoreggiò in Creta, nel qual tempo (secondo alcuni) Giove Cretese poteva già havere incominciato regnare. Del tagliare de i genitali, che alcuni vogliono da Giove a Saturno essere stato fatto, assai se n'è detto di sopra, dove della seconda Venere si è parlato. Gli historici hanno per cosa certa, che Saturno da Giove del Reame fosse cacciato. La cagione di questo la historia sacra la dimostra, dove si legge che havendo Giove liberato Saturno, & Opi presa da i Titani; per sorte Saturno previde, che da Giove sarebbe cacciato del Reame; la onde per schivare tale influsso, tese aguati a Giove per assediarlo; di che avedutosi Giove, prese l'armi contra quello, il quale non potendo far resistenza, restato (secondo alcuni) in Flegra vinto, se ne fuggì. Che poi nell'inferno fosse confinato, la historia sacra mostra ciò esser falso, nella quale cosi è scritto. Poscia intendendo Titano da Saturno esser stati generati, & allevati figliuoli, segretamente menò seco i suoi figliuoli chiamati Titani, & prese il fratello Saturno, & la moglie Opi, mettendogli in prigione, & facendogli guardare. Et doppo questo, poco da poi soggiunge; Giove alla fine intendendo il padre, e la madre essere in prigione legati, e guardati, venne con grandissima moltitudine di Cretesi, & vinse Titano con suoi figliuoli, & al padre restituendo il Regno, ritornò in Creta. Questo ivi si legge, di che in vece, Lattantio dice che Giove fu liberato dal peccato della scelerità grande d'haver ritenuto il padre per li piedi legato. Ma se vogliamo seguire l'opinione di Lattantio, il quale sopra la Thebaide di Statio dice che Saturno fu confinato dal figliuolo nell'Inferno, allhora diremo, che quando Saturno da Giove cacciato (come si dice) andò in Italia, la quale è inferiore alla Grecia, cioè piu propinqua all'Occidente, pare che scendesse agl'inferi, & ivi però fu confinato, perche non poteva nel reame ritornare; cosi anco alle volte diciamo gli essuli confinati. Che poi egli sia mesto, vecchio, col capo involto, tardo, pigro, & con la falce in mano, il tutto si conviene al Pianeta, & all'huomo. Albumasaro nel suo introduttorio maggiore, dice; Saturno di complessione esser freddo secco, melanconico, & di bocca fetido, il che s'appartiene ad huomo mesto. Oltre ciò il fa mangiatore grandissimo, avaro, povero all'estremo, malitioso, invidioso, d'acuto ingegno sedutore, ne i pericoli ardito, di poca conversatione, superbo, simulatore, vantatore, pensoso, di grandissimo consiglio, tardo all'ira, ma quasi irrevocabile, ad alcuno buono, desideroso, & rubator de luoghi. Oltre ciò è inditio d'opra che s'appartiene all'agricoltura, di misure di terre, di divisioni, di peregrinationi, di lunghe, & faticose prigioni, di tristitie, d'affanni, di travagli d'animi, d'inganni, d'afflittioni, destruttioni, perdite di morti, & loro reliquie, da vituperi ladronezzi, di cavar sepolcri, di vili huomini & spadaccini, le quai tutte cose per essere conformi all'huomo Saturnino, leggiermente ogni aveduto le potrà conoscere, & anco piu a pieno nelle seguenti scritture le narreremo. Ma ci resta vedere quanto siano conformi a Saturno. Ei si finge mesto, per dimostrare la melanconica complessione, & le doglie dell'essilio. Vecchio perche quando fu cacciato, era tale, & perche i vecchi sono di brutto volto, & per lo piu di fetido fiato, & perche egli si valse del consiglio, & dell'astutia, delle quali grandemente i vecchi sono potenti. Vollero che havesse il capo involto per dissegnare il fosco aspetto della Stella di Saturno, l'habito d'uno che fugge, l'accolta sagacità de i Saturni, i pensieri, & le simulationi. Il chiamarono tardo, perche per la gravezza de i membri, i vecchi sono lenti al caminare, tardi all'ira, e il corpo di esso Pianeta tardo, attentoche dimora quasi 30. anni col suo corso a fornire il cerchio del Zodiaco; il che fanno gli altri in molto minor spatio. Sporco poi lo fingono, secondo il mio giudicio, perche è proprio di Saturno il concedere costumi dishonesti, overo perche secondo il vecchio costume cacciato del Regno, & posto in miseria andò da Iano che il raccolse tutto stracciato, & colmo di miseria, overo per dimostrare, che quelli ch'essercitano l'agricoltura delicatamente non ponno vivere. E ornato della falce, accioche intendiamo che per lui a gli Italiani venne in cognitione il coltivar la terra, che prima ci era nascosto. Dichiarate adunque queste cose, piacemi scrivere quello che a lui in essiglio, avenisse, quello che vivendo oprasse, quello che anco a lui morto fosse attribuito. Essendo egli vinto, scacciato, e in luogo del figliuolo perseguitato, ultimamente venne in Italia, come mostra Virgilio dicendo;

 


Il primo fu Saturno, il qual fuggendo

L'armi di Giove, ne l'Italia venne,


Et essule acquistò nuovi Reami.

 

Nell'Italia poi (secondo Macrobio) fu da Iano ricevuto;

 


Et un genere indocile, e disperso

Ne gli alti monti poi compose insieme,

Gli diede leggi, e piacqueli chiamare

L'Italia Latio, percioche securo

Stette in quelle contrade, nel qual tempo

(Dicono) quella età stata esser d'oro

Sotto tal' Re, cosi benignamente

Et in pace quei popoli reggeva.


 

Ricevuto da gli Italiani, a quelli mostrò molte cose da loro prima non conosciute, e tra l'altre fin'hora facendosi la moneta di pelli di pecore indurate dal fuoco, egli fu il primo che fece stampare moneta di metallo col nome dell'inventore, facendovi da una parte scolpire la testa di Iano che lo raccolse con due faccie, e dall'altra una nave, percioche fuggendo, venne in nave, e questo fece affine, che tra i posteri durasse la memoria della sua venuta. Nondimeno pare che Ovidio voglia ciò essere stato fatto da i posteri, dove nel libro de Fastis scrive.

 


La causa de la nave vè di sopra

Come venne con lei nel tosco fiume.


 

Et indi segue. Dicono appresso, che regnando in concordia, e amore insieme con Iano, e havendo communemente edificato terre, e castelli vicini, cioè Saturnia, e Ianiculo, allhora essere stato il secolo aureo, percioche allhora era la vita a tutti libera, niuno era servo, nè contrario all'altro, alcun furto ne i loro confini non era fatto, nè sotto lui alcuno non hebbe alcuna cosa particolare. Ne era lecito partir la terra, nè dividere alcun campo. La onde per rispetto de i seguiti cattivi secoli, quelli furono detti aurei. Et i Romani appresso le case di Saturno vi fecero l'erario publico, accioche appresso quello si ponesse il dinaro commune, sotto cui a tutti fosse ogni cosa commune. Appresso insegnò a quelli rozi lavorare i campi, seminare e raccorre il frutto, e al suo tempo ingrassare con i letami i terreni. La onde non havendo per questi altri uffici conseguito alcun cognome, per questo ultimo fu chiamato Stercurio, nome veramente a tanto, & tale Iddio splendido, & notabile. Finalmente havendo in molte cose riformato meglio la vita dell'huomo, avenne che in un subito non comparse piu in luogo veruno. Di che (secondo Macrobio) Iano pensò lui essere stato l'accrescimento di tutti gli honori suoi, e prima chiamò tutta la regione da lui posseduta Saturnia, indi drizzò, si come à Iddio, un'altare con i sacrificij divini, i quali chiamò Saturnali, e commandò che fosse riverito per riverenza di religione tanto quanto autore di miglior vita, della qual cosa ne fa fede la sua imagine, alla cui è apposta la falce instrumento del raccolto. Oltre ciò attribuirono a questo Iddio tutti i nutrimenti de' pomi, e simili altre cose fertili. Et si come l'istesso Macro. dice, alcuni s'hanno persuaduto costui insieme con la moglie essere il Cielo, & la terra, & Saturno essere detto dal nascere; la cui materia è del Cielo, e la terra Opi, per opra della cui si cercano i nudrimenti della vita humana, overo dell'opra, per la cui i frutti, & le biade nascono. Fanno i voti a questa Dea sedendo, & per industria toccano la terra, dimostrando essa terra essere da tenere per madre de mortali. Et cosi vogliono Saturno, non solamente essere Dio, ma anco il Cielo, che insieme con la moglie opra in noi. Filocoro appresso per dimostrare non solo questa esser stata pazzia d'Italiani, dice, che Cecrope in Athene fu il primo che a Saturno, et Opi edificasse altari, e quelli in vece di Giove, & la terra adorasse, & che ordinò che i padri di famiglia di mano in mano insieme con i servi usassero delle biade, & i frutti incominciati a maturare. Cosi Apollofane Comico chiama nel verso Epico, Saturno quasi sacro. I Romani poi, i quali hebbero grandissima avertenza di non nomare senza propio significato alcuna cosa, edificarono à questo Iddio un Tempio, & nella sommità di quello vi scolpirono i Tritoni, & sotterra sepellirono le code di quelli, volendo eglino perciò dinotare, che dal ricordo di quello fino all'età nostra l'historia sia chiara, & vocale, la quale prima di lui è muta, oscura, & non conosciuta, il che per lo nascondere delle code s'intende.

 

Croni figliuola di Saturno.

Croni, secondo Barlaam, fu figliuola di Saturno, ma Lattantio vuole che fosse maschio, & non femina, & Latinamente chiamarsi Serpentario, & da gli Egittij tra le Stelle locato. Ma Latinamente significando Croni tempo, accioche non paia che il tempo nasca dal tempo, istimo essere da intendere per una certa dimensione di tempo; & perche i Greci da Croni chiamano Croniche i libri che noi diciamo annali, questa tale dimensione, & distanza chiamata Croni, cred'io gli antichi haver inteso l'anno; il che anco pare che a bastanza l'antica dimostratione de gli Egittij dello anno, cioè Serpentario dimostri; percioche il Serpentario è un'huomo, che nelle mani tiene un Serpe, di maniera in circolo annodato, che dimostra con la bocca divorarsi la coda, la quale figura in se dinota molto diverse opinioni; & perche altrove in buona parte a miglior proposito le ho dichiarate, hora lasciandole da parte, seguirò quello che piu d'intorno ciò mi parrà far di mistiero, brevemente toccando il piu proprio. Dico adunque, che questo segno usavano gli Egittij in vece dell'anno, pria che Isis, overo Mercurio gli mostrassero i caratteri delle lettere: & cosi Croni sarà quel progresso di tempo che chiamiamo anno. Per disegnare questo anno, Censorino nel libro ch'egli scrisse a Cerello del giorno Natale, ne fa una lunga historia tra le distanze de gli anni, mesi, e giorni, mettendovi appresso diverse opinioni di filosofi, le quali io lascierò cercare a i curiosi; & seguirò la brevità, togliendo solamente le necessarie. L'anno adunque è doppio, cioè gigante, & magno; quello che si volge già gli Egittij l'hebbero di due mesi, di tre gli Arcadi, & di dieci mesi ineguali gli antichi Romani al tempo di Romolo loro primo Re, al quale Numa Pompilio aggiunse due altri mesi, accioche fosse di dodici, & di trecento & cinquanta quattro giorni, il quale fu l'antichissimo anno de gli Hebrei, & da gli Israeliti fin al dì d'hoggi si serva, ma convenendosi a tale anno molte intercalationi, accioche le ferie de raccolti non venissero ad essere di verno, overo i sacrifici hiemali a farsi estivi. Caio Giulio Cesare nel terzo suo Consolato il ritirò giusto, secondo il corso del Sole, e col quadrante il fermò di trecento e settantacinque giorni, percioche ritrovò che in tanto spatio il Sole gira quasi per tutto il Zodiaco, e perche pareva cosa difficile mettere quello quadrante ad ogni anno, ordinò che ogni quattro anni, l'anno sempre fosse di giorni trecento settantasei, aggiungendo quel giorno al mese di Febraro; & accioche non paresse ampliato fece in questa forma che due volte si dicesse Sexto Cal. Martii cioè per due giorni continui, ne quali occorresse venire: e questo è il bisesto. Questo tale anno i Romani l'incominciarono dal mese di Marzo per la riverenza di Marte, dal quale cosi fu detto, altri poi altrimenti. L'anno grande poi secondo Aristotele è quello il quale il Sole, la Luna, e gli altri Pianeti, mentre tutti congiunti insieme in un medesimo punto l'uno doppo l'altro si partono, e ritornando il finiscono, come sarebbe a dire, che tutti sono nel principio d'Ariete, & allhora pigliano il suo corso. Quando aviene poi, che nel principio d'Ariete si ritrovino di nuovo insieme doppo il corso fatto, allhora l'anno grande sarà compiuto. Questo farsi diversamente istimarono gli antichi, si come l'istesso Censorino dimostra; percioche dice Aristarco haver pensato questo tale anno farsi di 2484. anni giranti. Arete Dracino poi di cinque mila cinquecento cinquanta due. Heraclito, e Lino di diecimilia, e ottocento. Clione di diecimila novecento ottantaquattro. Orfeo di cento venti mila. Cassandro di cento, & trentasei milla. Questo dice egli. Ma Tullio mostra volere che si facci 15. mila anni, & Servio di dodici mila novecento cinquantaquattro. Ma l'honorato vecchio Andalone, & Paolo Geometra Fiorentino, amendue famosi Astrologi, dicevano che fornivano in trentasei mila. Di tai cose appresso alcuni è nato errore, i quali affermano che se avenisse a i corpi sopracelesti ritornare nell'istesso luogo, dove altre volte hanno preso il corso, e di nuovo convenirsi partire, che di necessità produrrebbono i medesimi effetti che altre volte hanno oprato: e cosi noi un'altra volta, e un'altra, e infinito converressimo ritornare in vita, la qual cosa è ridicola a credere.

 

Vesta seconda figliuola di Saturno.

Dice Ovi. che Vesta fu figliuola di Saturno & Opi; la dove in tal modo scrive;

 


Dicono che del seme di Saturno

Opi, Giunone, e Cerere produsse,


Et la terza di lor fu ancora Vesta

 

Cosi queste tali Veste vengono ad esser due, l'una madre di Saturno, l'altra figliuola. Di queste confusamente parlano gli autori, alle volte mettendo una per l'altra, e però dicendo Vesta essere la terra perche di fiori, & herbe è vestita, egli è da intendere che si dica della madre di Saturno. Quando poi la chiamano vergine, si descrive la figliuola di Saturno la quale volsero essere il fuoco, si come dice Ovi.

 


Che vesta sia altro che viva fiamma

Non intender giamai, ma unqua non vedi

Alcun corpo che sia nato di fiamma;

Di ragion dunque è vergine colei


Che non manda fuor seme, & nol riceve.

 

Dice Alberigo, che costei fu nutrice di Giove, esponendo che del fuoco inferiore si nudrisce il superiore; ma io tengo il contrario, cioè, l'elementato dall'elemento che è piu sublime, esser nudrito. Ma Giove nudrito da Vesta, credo appartenersi all'historia, essendo si come di sopra è stato detto, subito che fu nato Giove, levato dal conspetto di Saturno suo padre, e raccommandato a Vesta sua zia, e da lei segretamente nudrito. Dicono anco costei da Priapo Dio de gli horti essere stata amata; il che è credibile, dicendo Ovidio,

 


Si sforziamo d'haver quel ch'è vietato,

Et disiamo ogn'hor quel ch'è negato.


 

Vogliono che Vesta sia vergine, e i Romani deputarono a suoi piaceri donzelle, le quali sempre perche sono serbate con piu aveduta guardia i libidinosi ricercano, overo perche senza fuoco, cioè calore, giaccia Priapo. Oltre ciò dicono, che la faccia di costei non fu mai veduta il che dicono accioche sia incognita, percioche se vedemmo la fiamma, quale effigie diremmo che habbia. Dice appresso Agostino, che alle volte gli antichi hanno chiamata Vesta Venere; il che, benche paia cosa dishonesta col nome d'una meretrice macchiare una donzella, questa fittione ha potuto havere qualche ragione. Diciamo, che quelli che scendono all'atto venereo, incorrono nel fuoco, come dice Virgilio.

 

Incorrono in furore, & fuoco ardente.

 

Cioè in lussuria, adunque questo calore dalla simiglianza potrà esser detto Vesta. Nè ciò in tutto sarà dal senso di questa fittione contrario, dicendo noi Vesta essere figliuola di Saturno, cioè della satietà, dalla quale satietà non meno nasce il fuoco venereo, che il pudor verginale. Costei fu molto riverita da Romani, e nel suo Tempio, amministrandovi donzelle, vi serbavano il fuoco perpetuo, il quale con grandissima cerimonia ogni primo giorno di Marzo rinovavano: e tra l'altre cose questo tale sacrificio hebbero da Troiani.

 

Cerere terza figliuola di Saturno, & madre di Proserpina.

Cerere differente dalla detta di sopra, fu notissima Dea delle biade, e figliuola di Saturno, & Opi, si come è stato per li versi d'Ovidio mostrato. Dicono che costei piacque a Giove suo fratello, e di lui hebbe Proserpina, la quale essendole stata rapita da Plutone, non ritrovandola Cerere, dicono ch'ella accese due facelle, & con grandissimi gridi la cercò per tutto il mondo. Finalmente giunta alla palude di Ciane, e per ira havendo rotto i rastri, gli aratri, & gli altri rusticali instrumenti che s'appartengono al coltivar la terra ivi da lei ritrovati, a caso ritrovò la cinta della figliuola, e dalla ninfa Aretusa che l'haveva veduta, fu certificata ch'era nell'Inferno. Onde innanzi a Giove essendosi lamentata dall'ardire di Plutone, da Giove le fu ordinato che dovesse mangiar del papavero: il che havendo ella fatto, & essendosi adormentata, poscia che si svegliò, hebbe in gratia da Giove che potesse rihavere la figliuola pur che quella nell'Inferno non havesse gustato alcuna cosa, ma per l'accusa d'Ascalafo, fu ritrovato che Proserpina havea gustato tre granelle di mele grane del giardino di Plutone; la onde Giove per mitigare il dolore di Cerere, sententiò che sei mesi dell'anno Proserpina dovesse stare col marito, & altretanti in terra con la madre. Narrano appresso, & tra gli altri Lattantio, che Cerere cercando la figliuola, & essendo giunta al Re Eleusio, di cui era moglie Hyona, che havea partorito un picciolo figliuolo nomato Trittolemo, & cercandoli una baila, Cerere si offerse nudrice al fanciullino, et essendo ricevuta, volendo fare lo allievo immortale, alle volte col latte divino il nudriva, & di notte col fuoco lo abbrusciava: la onde altrimenti che non erano soliti i mortali, il fanciullo cresceva. Della qual cosa maravigliandosi il padre, segretamente si dispose vedere nel tempo di notte quello che la Baila facesse al figliuolo: onde veggendo che ella col fuoco lo abbrusciava, si diede a gridare; di che Cerere sdegnata, subito fece morire Eleusio, & a Trittolemo fece un dono eterno, percioche gli diede possa di distribuire & fare abondanza delle sue biade, dandogli appresso la sua carretta guidata da i dragoni; per le quai cose vittoriose empì tutta la terra di biade. Ma poscia che ritornò a casa, Cefeo Re si ingegnò di amazzarlo, accioche non gli fosse concorrente del Reame; ma scopertasi la cosa, quello per comandamento di Cerere diede il Regno a Trittolemo, il quale ivi, edificò un castello, & dal nome del padre il chiamò Eleusio, e fu il primo che ordinasse sacrifici a Cerere, che da i Greci furono chiamati Thesmofori. Ma Ovidio dice, che Trittolemo fu un fanciullo infermo, & figliuolo di una povera donna, che alloggiò Cerere in casa sua, alla quale in ricompensa del beneficio sanò il figliuolo, & poi gli diede la sua carretta, mandandolo con frumento per li paesi. Onde in Scithia dal Re Linceo fu quasi morto: di che Cerere il trasformò in animale dal suo nome, chiamato Linceo, & da noi Lupo Cerviero. Appresso sono di quei che dicano, & spetialmente Homero nell'Odissea, che Cerere amò un certo Iasione, & seco in amicitia, & in letto si congiunse. Leontio vi aggiungeva, che Cerere di Iasione partorì Plutone, & che finalmente Iasione da Giove fu fulminato. Oltre ciò, si recitano anco altre cose, le quai lascieremo per dichiarare il senso delle dette. Cerere adunque è alle volte la Luna, alle volte la terra, & talhora i frutti della terra, & spesse volte femina; però quando si dice figliuola di Saturno, & Opi, è femina, & moglie di Sicano Re di Sicilia, come afferma Theodontio. Quando poi di Giove partorisce Proserpina, allhora è la terra, della cui la prima Proserpina, cioè la Luna nasce, secondo l'opinione di quei che hanno tenuto il tutto essere di terra creato, overo che piu tosto la Luna è stimata figliuola della terra, perche mentre dall'hemispero inferiore al superiore ascende, a gli antichi è paruto che esca dalla terra; & cosi la chiamarono figliuola della terra. Costei è rapita da Plutone, il quale è anco la terra, ma dall'inferiore hemispero, quando doppo il quintodecimo giorno tramontando il Sole incomincia non si lasciar vedere: & di quì nasce che paia quello essere cosi all'hemispero superiore quanto all'inferiore; onde si è dato materia a quella favola, Giove haver sententiato; che la metà dell'anno restasse col marito nell'inferno, & tanto di sopra con la madre, overo altrimenti Proserpina è da esser tenuta in luogo delle biade, le quali per li gittati semi ne i solchi, se la temperanza del Cielo non opra in quelle, non ponno crescere, & se dal calor di quello non ricevono aiuto, non ponno maturare. Giove poi è la temperanza del Cielo, & il calore, per opra del quale a suoi tempi crescono le biade, & maturano, cosi di Giove, et Cerere nasce Proserpina, la quale allhora da Plutone, cioè dalla terra, è rapita, quando il seme gittato ne solchi, non nasce; il che alle volte aviene per soverchia continuata seminatione, dalla cui di maniera il buon terreno per l'humore è mollificato, che evacuata non può porgere nodrimento a i sparsi semi. Di quì Cerere si turba, cioè gli agricoltori, quai si ponno chiamare gli huomini terrei, & rompe gli instrumenti rusticani, cioè conosce che in vano gli ha adoprati, & però gli sprezza, & con feminei stridi, cioè con i lamenti de gli agricoltori, accresce le faci, cioè abbrusciando gli sterpi, & le stoppie di campi: onde i contrari humori, che sono d'intorno la superficie della terra, eshalano, et dalla terra inferiore in alto sono con utilità ridotti. Viene da Giove persuaduto a Cerere, che mangi de' papaveri, cioè che vada a riposare, percioche i papaveri hanno virtù di far' addormentare, per la cui quiete si deve intendere l'intermedio della coltura, accioche per tale intermedio & distanza, la terra possa ripigliar gli humori asciugati. Proserpina, cioè l'abondanza delle biade rapita non può incontanente ritornar di sopra, perche havea gustato tre grane di mele grani, per le quai si debbono intendere i principij della vita vegetativa, i quai allhora si cominciano quando per l'humor della terra divien humido, e calido il seme seminato; & indi putrefatto fa le radici, per la cui opra le biade spuntano fuori, i cui principij sono sdegnati, per li grani della mela grana, percioche son simili al sangue, e si come il sangue è di nudrimento all'animale sensitivo, cosi quei principij al vegetativo. Dice Empedo, nel sangue consiste la vita de gli animali sensitivi, cosi nell'humore terrestre delle biade. Ma per sentenza di Giove, cioè per dispositione del Cielo si opra, che doppo il sesto mese, il qual disegna la metà dell'anno, Proserpina ritorni di sopra, cioè l'abondanza delle biade, percioche dal giorno del seminare, overo dal mese, nel settimo mese le spiche delle biade incominciano mostrarsi, & far i grani, & anco maturirsi; quai grani fino al tempo del seminare, stanno di sopra. Theodontio riferisce di Cerere questa antichissima historia, dalla cui par che sia concesso molta materia alla fittione detta di sopra: onde dice, che Cerere fu figliuola di Saturno, & moglie del Re Sicano, & Reina di Sicilia dotata di molto ingegno, la qual veggendo che gli huomini per quella Isola andavano vagabondi mangiando ghiande, & pomi selvaggi, senza reggersi con alcuna legge, fu la prima che in Sicilia ritrovò l'agricoltura; & trovati gli instrumenti rusticani, congiunse i buoi, & seminò la terra; la onde gli huomini incominciarono tra lor partire i terreni, habitare insieme, & humanamente vivere, di che Virgilio dice;

 


Cerere fu la prima, che la terra

Solcasse con l'aratro, & fu la prima

Che nel terren le biade, e gli altri semi

Ponesse mai, & fu la prima ancora,

Che gli ordini, & le leggi a noi donasse,

Onde il tutto è di Cerere suo dono.


 

Dice poi che Proserpina fu bellissima donzella, e figliuola di Cerere Reina, la quale per la singolare di lei bellezza, da Orco Re de Molossi fu rapita, & tolta per moglie: il che anco nel libro de' tempi mostra Eusebio; ma di questo più sotto si farà maggior parlare. Di Trittolemo poi, Filocoro scrive, che fu antichissimo Re nel paese d'Athene, il quale nel tempo d'una grande caristia essendogli amazzato dal concorso del popolo, il padre Eleusi, perche abondantemente, morendo la plebe di fame, nodriva il figliuolo, se ne fuggì, & con una gran nave, la cui insegna era un Serpe, se n'andò in stranieri paesi, dove trovata una gran copia di frumenti, ritornò nella patria, & da quella cacciato Celeo, overo (secondo altri) Linceo, di Thracia, che havea occupato il Reame, fu ritornato nello stato paterno, dove non solamente sovenne i suoi sudditi di biade, ma etiandio gli insegnò con l'aratro coltivare la terra; la onde fu detto allievo di Cerere. Nondimeno sono di quelli che vogliano non Trittolemo, ma un certo Buziem Atheniese essere stato quello ch'a gli Atheniesi ritrovasse l'aratro, & i buoi. Tuttavia Filocoro dice che Trittolemo fu molti Secoli prima di Cerere Reina di Sicilia. Che Cerere poi amasse Iasione, Leontio recita questa historia. Vuole egli che al tempo del diluvio d'Ogigi, un certo Iasione Cretese congregasse molto grano, & quello, secondo il voler suo, vendesse a quelli che pativano fame per lo diluvio; onde di tale frumento ne cavò molti danari; & di quì fu dato luogo alla favola, che di Cerere, cioè dal frumento ne trahesse Plutone Dio delle ricchezze, cioè denari. Iasione poi per invidia fulminato da Giove cosi viene detto, perche parve che innanzi tempo da gli amici, a quali era stato benigno, fosse morto.

 

Glauca quarta figliuola di Saturno.

Glauca fu figliuola di Saturno, & Opi, e si come narra l'historia sacra, nacque ad un parto con Plutone, & sola fu appresentata al padre, segretamente essendo stato nascosto, & nodrito Plutone, la quale anco picciolina, se ne morì.

 

Plutone quinto figliuolo di Saturno, che generò la Veneratione.

Plutone, che latinamente è detto dispadre, nacque ad un'istesso parto insieme con Glauca, come è stato detto di sopra, & segretamente da Saturno serbato. Gli antichi finsero che costui fosse Dio dell'Inferno, e gli ascrissero la Città di Dite, della cui Virgilio scrive;

 


Guarda al Parlar de la Sibilla, Enea,

Et da sinistra rupe vede cinta


Di tre cerchi di muro, alta forteza.

 

Et cosi và seguendo per molti versi, ne quali descrive quella. La stanza, e la maestà di quella in tal modo Statio descrive, dicendo.

 


Sedendo a caso in mezzo de la rocca

De l'infelice regno, il gran Signore

Interrogava a i popoli i peccati

De la lor vita senza haver di quelli

Compassione alcuna, e a tutte l'ombre

Stan le furie d'intorno, e varie morti.

La crudel pena essercita i supplici

Con diverse sonanti & ree catene.

Portano i fatti l'alme, e dannan quelle

Al loro limitare, & l'opra vince

Minos con la ragion giusta, e tenace

Insieme col fratello, a cui ricorda

Le sententie migliori, e ogn'hor avisa,

Et tempra il sanguinoso, & crudel Rege.

A la presenza sua piangendo stanno

L'alme nocenti, che del foco han tema,

Cocito, Flegetonte, & la palude

Stigia, che è giuramento de gli dei.


 

Et quel, che segue. Oltre ciò gli descrissero un carro da tre ruote detto Triga, e volsero, che fosse guidato da tre cavalli, cioè da Amatheo, Abastro, & Navio, il quale per non vivere cosi celibe, dice Ovidio ch'egli si acquistò la moglie, in tal modo; Che un giorno havendo Tifeo con tutte le sue forze tentato levarsi di sopra la Trinacria, parve a Plutone, che se ciò avenisse, saria stato cosa possibile ch'egli a lui anco fosse penetrata la luce del giorno; la onde salendo sopra il suo carro per vedere quali fossero i fondamenti della Trinacria uscì dell'Inferno, cosi andando d'intorno all'Isola non lontano da Siracusse, vide Proserpina, che con alcune altre sue compagne andava cogliendo fiori, della quale, perche sprezzava i fuochi di Venere, avenne che subito s'innamorò Plutone, & però scendendo a terra, rapì la donzella, che di ciò nulla temeva, & portandola all'Inferno, se la fece moglie. Dicono appresso, che di costui la veneratione, overo riverenza fu figliuola. Indi attribuiscono il Cane Cerbero con tre fauci guardiano del Regno, il quale vogliono che fosse d'incredibile fierezza divoratore del tutto; di cui Seneca Tragico nella Tragedia di Hercole furioso cosi dice;

 


Oltre di questo appare

Del reo Dite la casa,

Dove il gran stigio Cane

Con crudeltà smarrisce l'ombre, e l'alme

Sta questi dibattendo

Tre smisurati capi,

Con spaventevol suono,

La porta difendendo col gran regno.

Vi giran Serpi al collo,

Horridi da vedere,

Et a la lunga coda.

Vi giace sibillando un fiero drago.


 

Et quello che và dietro. Queste tali cose istimo io che siano da intendere in tal modo: Latinamente (secondo Fulgentio) significando Plutone l'istesso che la ricchezza, però tengo che da i Latini sia detto Dispadre, quasi come divitie, cioè ricchezze padre, & che sia cosa chiara le ricchezze essere in terra caduche, et in terra cavarsi; onde essendo la terra chiamata Opi, si come piu volte è stato detto di sopra, meritamente Plutone è detto figliuolo di Opi. Ma perche le prime ricchezze, in parte dalla coltura della terra si manifestarono, non essendosi anco ritrovato l'oro Saturno insegnò la coltura della terra, ragionevolmente è stato detto padre di Plutone. Si concede la Città di ferro, e Tesifone per guardia delle ricchezze, affine che conosciamo le ferrigine menti de gli avari, & la crudeltà, & iniquità loro d'intorno la guardia, & il conservar di quelle. Vuole Virgilio, che alcun giusto non possa entrar in questa Città, quando dice.

 


Punto non lece ad alcun casto entrare

La scelerata porta.


 

Affine che si conosca che senza ingiustitia non si può cercare, nè serbare le ricchezze. In questa Città dell'ostinato Inferno, il nostro Dante descrive i tormenti di quei, quali non hanno havuto alcuna carità verso il prossimo, nè amore verso Dio. Per la stanza poi, per le circostanti ansietadi di molti pensieri, si debbono intendere le insopportabili fatiche in acquistar le ricchezze, e le paure di perderle, con le quai sono crucciati quelli che stanno con la gola aperta. La carretta poi non è altro che i giri di quei che desiderano arricchire, la quale è guidata da tre ruote, per dinotar la fatica, & il pericolo di chi và d'intorno, & la incertezza delle cose future. Cosi dice anco tre essere i cavalli, il primo de quali si chiama Ametheo, che viene interpretato oscuro, affine che per quello si comprenda la pazza deliberatione d'acquistare quello che poco fa mestiero, con la quale è guidato overo cacciato l'ingordo. Il secondo è detto Abastro, che suona l'istesso che fa nero, accioche si conosca il merore di quello che discorre, & la tristezza, & le paure circa i pericoli che quasi sempre vi stanno intorno. Il terzo si noma Novio, il qual vogliono che significhi tepido, accioche per lui consideriamo, che per lo timor de' pericoli, alle volte il ferventissimo ardore d'acquistar s'intepidisce. Il matrimonio poi di Proserpina, la quale di sopra habbiamo detto abondanza, non è dubbio alcuno che non si faccia con i ricchi, & spetialmente secondo il giudicio del volgo, del quale la opinione spesse volte è falsa. Veramente per lo piu eglino istimano quando veggiono i granari de' ricchi pieni, ivi esser l'abondanza, & dove è la fame, & la caristia, ivi la povertà cosi procurando l'avaritia. Di questo tale matrimonio non si genera alcuna cosa lodevole, ne degna di ricordo. Cerbero si come alcuni istimano fu vero cane, et detto da tre fauci, percioche nel latrare era ferocissimo, mordente, & molto tenace. Nondimeno gl'antichi (secondo il mio giudicio) tennero che altri sensi fossero riposti sotto questa verità, attento che è finto guardiano di Dite, & dovendosi in luogo di Dite intender le ricchezze (si come è stato mostrato) dirittamente non diremo, che alcuno di quelle sia custode, eccetto l'avaro; & cosi per Cerbero si deve intender l'avaro, al quale però descrissero tre fauci, overo capi, per dinotar le triplice spetie de gli avari. Sono di quelli che desiano l'oro & si ritirano ad ogni guadagno, benche dishonesto, & illicito, per haver da consumar, & spendere l'acquistato, i quali non ponno esser chiamati custodi di ricchezze, ma sono dannosi, & nocivi huomini. Sono di quelli che con sua grandissima fatica, & pericolo da ogni parte adunano ricchezze; & sia come si voglia, acquistate che le hanno, pur che le tengano, serbino, & guardino, non vogliono spenderle per se, nè per altri, & questi tali sono una sorte d'huomini disutili. Sono poi di quelli, i quali non per opra sua, ma de suoi maggiori, hanno havuto, & conseguito delle ricchezze, & talmente le serbano, & custodiscono, che non hanno ardire toccar quelle, non altrimenti, che se in deposito le fossero state lasciate; & questi da poco, & tristissimi huomini sono, & verissimi custodi di Dite. I serpenti poi aggiunti a Cerbero, sono i taciti, & mordaci pensieri dell'avaritia. Oltre ciò chiamarono questo Plutone Orco, si come fa Cicerone nelle Verrine, mentre dice, com'un'altro Orco esser venuto ad Etna, & non Proserpina, ma essa Cerere (pareva) haver rapito. Il quale (dice Rabano) cosi chiamarsi, si come ricevitore delle morti, che ricevono quelli, che muoiono da ogni morte. Vogliono appresso, che sia detto Februo non dalla febre, come molti vanamente pensano, ma d'un certo sacro lustro a lui da gl'antichi ordinato, per lo quale credevano le mani esser purgate, et questo si faceva nel mese di Febraio; & di qui quel mese hebbe tal nome, il che da Macrobio nel libro de' Saturnali cosi è detto. Il secondo dedicò al Dio Februo, il quale è tenuto Iddio de' lustri, percioche in quel mese era di necessità lustrare, & racconciare la Città, nel quale ordinò, ch'a gli Dei con le mani si sacrificasse. Spedite queste cose, è necessario notare quello, che tenga coperta questa fittione d'historia. Di Plutone, nel libro delle divine institutioni cosi riferisce Lattantio. Adunque veramente quello è vero, che partirono il Regno del mondo, & li toccò per sorte in questo modo, che l'Imperio dell'Oriente obedisse a Giove, & a Plutone cognominato Agesilao, toccasse la parte d'Occidente; percioche la regione d'Oriente, della cui i mortali prendono la luce, mostra esser superiore; & quella d'Occidente inferiore. Theodontio poi alquanto piu ampiamente di ciò scrive, dicendo; Di Saturno furono figliuoli Giove, Nettuno, & Plutone, i quali, morto lui, volendo partire l'Imperio, a Plutone piu giovane toccò il governo della parte d'Occidente appresso quei luoghi, dove poi habitarono i Molossi, vicino al mare infero, et costui dai vicini popoli al suo regno fu chiamato Orco; percioche era crudele, et dava recapito ad huomini scelerati & havea un cane chiamato Cerbero, al quale dava gl'huomini vivi a mangiare. Di quì havendo preso Proserpina donzella Siciliana, la portò nel suo Reame, & se la fece moglie. Questo dice Theodontio. Ma Eusebio nel libro de tempi, dice, che costui fu nomato Aidoneo, & che regnò al tempo di Linceo Re d'Argivi, & Eritheo di Atheniesi.

 

Veneratione figliuola di Plutone, & moglie dell'Honore.

Afferma Servio, che la Veneratione fu figliuola di Plutone. Theodontio, poi la chiama riverenza, dicendo essere bisogno venerare i Dei, & riverir gli huomini maggiori, & perche quella, ch'a gli huomini è attribuita, & non a gli Dei fu figliuola di Plutone, perciò Riverenza, & non Veneratione essere nomata. Di qual madre poi ella fia concetta, non si sa, affermando tutti, che Proserpina fu sterile. Paolo, & Theodontio dicono, che fu maritata nell'honore, & che di lui partorì la Maestà, si come di sopra è stato mostrato. Io di questo figmento giudico quello che veggio. Di sopra habbiamo detto Plutone essere Dio delle ricchezze dalle quai ricchezze a bastanza veggiamo nascere la riverenza, dandosi la riverenza solamente a i ricchi benche siano disutili, ignoranti, privati, & vili huomini, in tanta stima appresso mortali sono le ricchezze.

 

Chirone sesto figliuolo di Saturno che generò Ochiroe.

Vogliono, che Chirone Centauro fosse figliuolo di Saturno, & Fillara, nondimeno Lattantio dice, che fu conceputo da Pelopea, della cui origine si legge favola tale, cioè, che Saturno innamorato di Fillara la prese, & mentre (secondo Servio) usava de suoi congiungimenti, fu sovragiunto dalla moglie Opi; onde per non essere trovato in peccato, subito, si tramutò in cavallo; ma Fillara per tale congiungimento s'impregnò, & partorì Chirone animale dall'ombelico in sù huomo, & da indi in giù cavallo, il quale cresciuto in età, andò ad habitare nelle selve. A costui da Theti fu raccomandato Achille fanciullo, il quale egli nodrì, & ammaestrò, & similmente Esculapio. Alla fine essendo stato visitato da Hercole avvenne per sorte, che maneggiando le saette di quello, una gli cadde s'un piede; onde perche elle erano tinte del sangue del Leone Lerneo, il colpo veniva ad essere mortale, tuttavia da i parenti essendo stato generato immortale non poteva morire, di che affine, che s'adempisse il pronostico di Ochiroe, il quale gli havea predetto, ch'egli bramarebbe essere mortale travagliato da grave infermità, desiderando morire, pregò gli Dei, che gli concedessero la morte; il che fatto, da quelli fu tolto in Cielo, & nel zodiaco locato, & chiamato Sagittario, & perche valse nell'indovinare, dinanzi a lui fu drizzato uno altare. Da tali fittioni Theodontio, & Barlaam, cavavano questo sentimento, che Chirone fosse detto figliuolo di Saturno, perche valse non poco d'intorno l'arte dell'Agricoltura; & perche ritrovò l'adacquar gli horti, fu detto figliuolo di Phillara, perche Philladros significa custode, overo amatore di acque, attentoche egli s'adoprò assai in irrigar gli horti. Che poi Saturno nella sua concettione ritrovato dalla moglie si cangiasse in cavallo, fu detto, percioche egli giustificò la ragion sua appresso l'irata moglie, dicendo, ch'egli si congiungeva con l'altre donne, per veder se potesse havere figliuoli maschi, conciosiache per la promessa fatta a Titano non poteva serbare alcun figliuolo maschio da lei partorito, & cosi parve, che giustamente egli s'escusasse; onde quella voce, che latinamente ha due significati, cioè Equus, che significa anco giusto, à ciò fù attribuita. Altri poi vogliono, che la favola prendesse materia dalle cose precedenti. Percioche (secondo Isidoro) havendo i mortali veduto lui haver trovato medesimamente la medicina de gli huomini, & de i giumenti fu detto figliuolo, di huomo, & di cavallo, & nomato Chirone, accioche s'intendesse lui haver ritrovato la Chirugia, & non la Phisica, la qual Chirugia con lieve, & dotta mano s'opra, perche Chyros in Greco significa mano. Che dalla saeta d'Hercole fosse ferito, il chiamano historiografo, & che per alquanto tempo con l'arte sua havendo curato un morbo quasi mortale, a gli amici parve dire, ch'egli fosse nato immortale, il quale la forza del veneno non poteva amazzare. Finalmente essendo giunto alla morte, per merito della sua virtù, essendo stato giustissimo huomo (come nella Iliade dice Homero) per perpetuo ricordo del suo nome fu tra le Stelle locato.

 

Ochiro figliuola di Chirone.

Ochiroe (secondo Ovidio) fu figliuola di Chirone, & d'una certa ninfa de Caico fiume, & questo mostrò dicendo.

 


Ecco venir co i fiammeggianti crini,

Che le cuopron le spalle, la figliuola

Del Centauro, la qual fu da una ninfa

Del gran fiume Caico partorita

Ne le rapide ripe d'esso fiume,

Et chiamata Ochiroe, che non contenta

Di solo haver l'arti paterne apprese,

Che di fati cantava anco i segreti.


 

Predisse costei, che Esculapio giovarebbe a tutto il mondo, & il padre essere per disiar la morte, & ella essere per divenir cavalla, tutte le quai cose avennero. Il significato di tal cosa può essere (dicendo Theodontio, che ella fu Theti madre di Achille) che fosse conversa in cavalla, perche partorì un cavallo, cioè un huomo bellicoso come fu Achille, & per furore del quale anco essa Theti; (come dice Leontio) fu chiamata Dea delle acque. I cavalli poi in ogni luogo appresso gli antichi erano presagio di guerra; come dice Virgilio.

 


Quì per Augurio primo, i vidi quattro

Cavalli candidissimi qual neve,

Ch'à diporto pascevano ne i campi;

Onde subito disse il padre Anchise,

Guerra m'apporti, o albergatrice terra;

Ne le battaglie s'armano i cavalli,


Et questi armenti ci minaccian guerra.

 

Pico settimo figliuolo di Saturno, che generò Fauno, Senta, & Fauna.

Pico Re d'Ausonia fu figliuolo di Saturno, come pare, che affermi Ovidio, dove dice.

 


Pico (progenie di Saturno), capo

Ne le terre d'Ausonia, & ne i confini.


 

Et Virgilio.

 


Inteso habbiamo, che di Fauno Pico

Fu padre; di costui fu genitore


Saturno, a quel che riferisce ogn'uno.

 

Dice Servio, che costui fu amato da Pomona Dea de pomi, & l'hebbe per moglie. Finalmente (secondo Ovidio) essendo egli un giorno a caccia, avenne, che da Circe veduto, ella fieramente se n'accese, della cui non si curando egli, fu trasmutato da quella per ciò sdegnata in uccello del proprio nome. Ma Ovidio da Servio discorda, dicendo, che Pico fu marito di Circe, & che si innamorò di Pomona; la onde Circe mossa da gelosia, il toccò con la verga d'oro, & il cangiò nell'uccello Pico. L'effetto di questa fittione a Servio pare tale, cioè, che il Re Pico sia detto essersi mutato in Pico uccello, perche fu indovino, & nella casa teneva un Pico, per lo cui conosceva le cose avenire, & cosi nelle cose ponteficali si legge. Alcuni dicono che essendo questo Pico per lo singolar studio, & diligenza di domare cavalli, nelle altre cose huomo rozzo, da Circe fu ammaestrato, & fatto eloquentissimo, per la cui eloquenza trasse ne i suoi voleri molti huomini selvaggi, & se gli fece obedienti, & perciò fu finto, ch'egli fosse converso in uccello del suo nome. L'uccello Pico tra l'altre proprietadi ha questa, che havendo lunghissima lingua; nel tempo della state cerca i luoghi pieni di formiche, et posta tra loro la lingua; sopporta, ch'elle gli la furino, & mordino, finalmente sentendola piena di loro: trahe a se la lingua con tutte le formiche; de quali in tal modo si ciba. Cosi il Re Pico con l'eloquenza, cioè con la lingua traheva a se gli huomini agresti, i quali sono simili alle formiche, & gli adoprava (si come è stato detto) secondo i suoi voleri. Agostino dove scrive della Città di Dio; benche si faccia beffe di quello, che s'appartiene all'historia, come si fosse fittione poetica; cosi incomincia; Fu edificato il real Laurento, dove Pico figliuolo di Saturno fu il primo, che prendesse il scettro. Et poco da poi segue; Ma questi si tengono figmenti poetici, & piu tosto si tiene che Sterco fosse padre di Pico; dal quale ottimo agricoltore (dicono) esser stato ritrovato si come col letame de gli animali s'ingrassassero i terreni, il che dal nome suo fu detto Sterco. Vogliono, che costui fosse nomato Stercutio: per la qual cagione il chiamarono poi Saturno. Nondimeno si ha per certo, che questo Sterco, ò Stercutio per merito dell'agricoltura fu fatto Dio, & cosi anco Pico di lui figliuolo. Cosi per Agostino si vede Pico non esser stato figliuolo di Saturno. Ma potendo essere stati molti Pichi, crederemo ad Agostino, che vi fosse un Pico figliuolo di Sterco, & un'altro di Saturno. Plinio appresso nel libro dell'historia naturale afferma, che da costui fu trovato la palla da giuocare.

 

Fauno figliuolo di Pico, che generò i Fauni, i Satiri, i Pani, i Silvani, Aco, Eurimedonte, Latino, & secondo alcuni Senta Fauna, la quale altri vogliono, che li fosse sorella, & moglie.

Fauno fu figliuolo di Pico, si come di sopra, s'è per Virgilio mostrato. Questi anco successe nel Reame al padre, del quale nel primo libro delle divine institutioni Lattantio scrive, che cosi come Pompilio appresso Romani fu institutore delle vane Religioni, cosi innanzi Pompilio Fauno in Italia, il quale ordinò all'avo Saturno scelerati sacrifici, & consacrò Senta Fauna di lui sorella, & sposa, la quale, si come Crispo Clodio in quel libro, che Grecamente scrisse, dice percioche contra il costume, & lo splendor Reale segretamente havea bevuto un'olla di vino, & era divenuta ebbra; con verghe di mirto fino quasi alla morte fu flagellata, da poi pentendosi del fatto, & non potendo sopportare il desiderio di quella levò a quella gli honori sacri. Di questo Fauno poi, & di questa Fauna, che fossero fatti Dei, pare, che Servio in questo modo il dimostri. Un certo fu detto Fatuelo, & la moglie di costui Fatua; onde il medesimo Fauno, & l'istessa Fauna derivati sono dall'indovinare, cioè a fando che significa parlare; la onde chiamiamo Fatui quelli, che senza consideratione parlano. Adunque Faune, & Fatue nome quasi aspro, & cetera. Et quello, che segue.

 

Senta Fauna figliuola di Pico, & moglie di Fauno, overo figliuola.

Senta Fauna, come di sopra è stato detto, fu figliuola del Re Pico, & moglie di Fauno suo fratello, si come testimonia Lattantio, & tutto quello, che di lui scrive Crispo Clodio, è meno, che honesto. Gabio Basso dice, che fu nomata Fatua, percioche era solita predir' i fatti alle donne, si come Fauno a gl'huomini. Scrive Varrone, che fu di tanta pudicitia, che alcuno, eccetto il suo marito, mentre visse, non la vide in faccia, nè udì il suo nome; & però le donne erano solite in segreto sacrificarle, & chiamarla buona Dea. Ma Macrobio nel libro de i Saturnali con l'autorità di Cornelio Labeone, dice costei essere detta Maia, & a lei sotto il titolo di buona Dea in Calende di Maggio essere drizzato un Tempio, & la istessa essere la terra. Poi quella ne i libri de Pontefici essere nomata Opi, Buona, Fauna, & Fatua. Buona, percioche è cagione di tutti i beni necessari al vivere. Fauna, perche favorisce a tutti gli animali. Opi, perche con suo aiuto la vita dura. Fatua a Fando, percioche non prima i fanciulli partoriti mandano fuori alcuna voce, che non tocchino la terra. Et perche si dipinge con real scettro, sono di quelli, che dicano lei haver la potenza di Giunone; & altri, quella dover esser Proserpina; percioche con una porca a lei per le pasciute biade le sacrificano. Oltre ciò non sorella, nè moglie di Fauno, come dicano alcuni, ma figliuola, & che egli s'innamorò di lei, & perche essendo anco aggravata dal vino non volse consentire al desiderio suo, fu battuta con le verghe di mirto. Finalmente fu creduto, che cangiatosi in Serpente, usasse con lei, & perciò sarebbe stato cosa scelerata nel Tempio haver portato verghe di mirto. Dicono, che si vede stesa sopra il capo di lei una vite, perche il padre col vino tentò d'ingannarla. Che poi non si costumasse nel suo tempio sotto suo nome essere portata la di lei imagine, ma un vaso, nel quale fosse del vino, & chiamavasi mellario, & il vino latte; & che nel suo Tempio apparissero Serpi, che non nocevano, nè haveano paura, & molte altre cose, come quasi vogliono questa Fauna essere la terra, io lascierò il tutto, come poco, & niente necessario.

 

Fauni, Satiri, Pani, & Silvani figliuoli di Fauno.

Dice Theodontio, che i Fauni, Satiri, Pani, & Silvani furono figliuoli di Fauno, ma Leontio di Saturno. De quali, percioche di alcuno non si sa il proprio nome, è necessario trattar di tutti insieme. Dicevano adunque i Fauni, & i Satiri esser li Dei de i boschi, & come vuole Rabano, con la voce, & non con segno mostravano le cose avenire a Gentili. Ma i Pani sono detti i Dei de i campi, & i Silvani delle Selve; ma impropriamente spesse volte da i Poeti uno s'è tolto per l'altro, come fa Virgilio.

Et voi presenti agresti Dei di Fauno.

Volsero anco gl'antichi questi tali esser chiamati Sermoni, overo Semidei, si come scrive Ovidio.

 


Ho i Semidei, ho i rusticani numi,

Ho i Fauni, ho le Ninfe, & anco i Satiri,

Et ho i Silvani, che ne i monti stanno:

I quai, perche non li istimiamo degni

De gli honori del Cielo gli lasciamo

Star ne le terre, che gli habbiamo date.


 

Non terrò io, che questi tali siano figliuoli di Fauno, nè di Saturno, essendo quelli stati huomini, & questi quasi animali bruti. Ma forse egli è cosa possibile, che al tempo di Saturno, overo di Fauno sia di loro nato errore, & che le loro favole da principio siano da donnicciuole state recitate, de quali nondimeno per autorità famose sono narrate alcune cose maravigliose. Percioche Pomponio Mela dice, che oltre l'Atlante monte di Mauritania spesse volte si sono veduti di notte lumi, & uditi strepiti di cembali, & fistole, nè di giorno ritrovatosi cosa alcuna, & per cosa ferma haversi questi essere i Fauni, i Satiri, & altri simili animali. Oltre ciò Rabano dice i Fauni essere huomicelli, che hanno le nari torte, le corna in fronte, & i piedi di capra, & uno di questi essere stato veduto dal beato Antonio nelle solitudini della Thebaide andando per visitare Paolo primo heremita; & havendo interrogato chi egli si fosse, quello gli rispose, che era mortale, & un huomo di quello heremo, la cui qualità da gli antichi ingannati gentili era adorata, & erano detti Fauni, & Satiri. Di questi tali scrive Martiano dove tratta delle nozze di Mercurio, & Philogia, dicendo; Et habitano quella terra, che a gli huomini è inacessibile, & i compagni di questi sono detti di lunga età, et stanno nelle selve, ne i boschi, ne i laghi, ne i fiumi, et ne i fonti, et sono chiamati Fauni, Pani, Fatue, & Fane, onde è nato quel vocabolo di Fana, percioche sogliono indovinare. Tutti questi doppo una lunga età, si come gl'huomini muoiono; nondimeno d'indovinar, di assalire, & di nuocer hanno grandisima potenza. Questo dice Martiano. Dice poi Aristotele, questi doppo mille anni, & le ninfe, & i Satiri morire. Alcuni poi de Gentili tra l'altre sue pazzie, caderono in questa, che piu tosto volevano esser chiamati figliuoli di questi, che de gl'huomini istimando, che mentre accusassero le dishonestadi delle madri, venissero ad aggiungere splendore alla sua nobiltà.

 

Aci figliuolo di Fauno.

Aci fu figliuolo di Fauno, & della ninfa Simetride, come chiaramente scrive Ovidio, dicendo;

 


De la ninfa Simetride era nato

Aci, che fu da Fauno generato.


 

Di costui Ovidio recita favola tale, cioè, che amo Galatea ninfa di Sicilia, & da lei fu amato, si come a pieno si è di sopra (parlando di Galatea) mostrato. Ma perche in questo luogo si comprende sentimento diverso da quello, che s'è fatto di sopra, m'è paruto descriverlo. Dice Theodontio, Cicrope esser stato un tiranno di Sicilia, ch'era molto abondante di pecore; del cui latte accresceva molto le sue facultadi; & però dice, che amò Galatea, cioè la Dea di Latte, perche dalla humidità si genera latte, ma havendo le acque del fiume Aci questa proprietà, che seccano le mammelle delle pecore, che lattano, non solamente il Ciclope perciò comandava, ch'in certa stagione dell'anno le pecore fossero d'ivi levate, ma molte volte tentò per via di ruscelli votarlo, & seccarlo, benche invano. Ma io non credo che costui fosse figliuolo del Re Fauno, ma forse di qualche altro nobile huomo cosi chiamato, overo essere stato uno di quelli, che piu tosto volsero esser chiamati figliuoli de Fauni che de gli huomini.

 

Eurimedonte figliuolo di Fauno, che generò Perivia.

Eurimedonte fu figliuolo di Fauno, si come nella Thebaide piace a Statio, dove dice.

 


Eurimedonte poi vi stà propinquo,

Che tien del padre Fauno l'armi in mano.


 

Istimo io, si come ho detto di Aci, che costui non fosse figliuolo di Fauno Re de Laurenti; ma perche habitava nelle selve, per inalzare la di lui progenie, si finse figliuolo di Fauno. Fu costui (come mostra l'istesso Statio) nella guerra Thebana, della fattione di Etheoclo.

 

Perivia figliuola d'Eurimedonte, & madre di Nausiteo.

Fu Perivia figliuola di Eurimedonte, come nell'Odissea scrive Homero, dove dice.

 


Et movendo la terra il gran Nettuno

Generò Nausiteo di cui fu madre

Perivia tra l'altre belle donne bella,

Del generoso Eurimedonte figlia.


 

Dice Leontio, che Eurimedonte fu Signore de i Giganti, & con loro morì. Costei di Nettuno partorì Nausiteo, si come per Homero s'è mostrato.

 

Latino Rè de Laurenti figliuolo di Fauno, che generò Lavinia, & Preneste.

Latino Re de Laurenti fu figliuolo di Fauno & di Marica ninfa di Laurento, si come si vede per li versi di Virgilio, dove dice.

 


Il Re Latino i campi, e le cittadi

Allhora vecchio in lunga, & dolce pace

Governava, costui fu generato

Di Fauno (inquanto a quel, ch'inteso habbiamo)


Et di Marica ninfa di Laurento.

 

Ma Giustino dice, che non fu figliuolo, ma nepote di Fauno per via d'una figliuola. Percioche scrive, che ritornando Hercole di Hispagna (morto c'hebbe Gerione) vitiò una figliuola di Fauno, & per tale congiungimento nacque Latino. Servio poi, secondo Esiodo in quel libro chiamato Aspidopia, riferisce Latino essere stato figliuolo d'Ulisse & Circe, la quale alcuni chiamano Marica; & però dice Virgilio haverlo chiamato Gloria dell'avo Sole; attento che Circe fu figliuola del Sole. Ma Servio dice, perche la ragione de tempi non segue, essere da seguitare quello, che dice Iginio, il quale vuol essere stato molti Latini, accioche vegniamo a considerare il Poeta (secondo il loro solito) confusamente essersi servito della similitudine di nomi. Ma dicano gli altri quello, che si vogliano; favoreggiando la fama universale a Virgilio, cioè che Latino fosse figliuolo di Fauno, a suoi versi si deve credere. Oltre ciò diversa è l'opinione della ninfa Marica. Servio parlando di lei cosi dice. Marica è Dea del lito de Minturnesi appresso il fiume Liso. Onde se vorremo pigliar Marica per moglie di Fauno, la cosa non segue, percioche i Dei Topici, cioè Locali, non passano in altri paesi, ma per poetica licenza, ciò puote concedersi, che sia detta Marica di Laurento, essendo di Minturno. Altri dicano per Marica deversi intendere Venere; di cui appresso Marica fu una capella, dove era scritto. Questo dice Servio. Tale dubbio nondimeno con poche parole si può risolvere. Molte Mariche ponno essere state, si come ancora di sopra è stato detto di Latino. Questo Latino fu allhora quando Troia fu ruinata, & hebbe per moglie Amata sorella di Dauno Re d'Ardea come mostra Virgilio. Ma Varrone in quel libro ch'ei scrisse dell'Origine della lingua Latina, dice Pallantia figliuola di Evandro esser stata di lui moglie, & vogliono che accettasse Enea fuggitivo da Troia, & si come per oracolo era stato avisato, gli desse Lavinia per sposa, la qual prima era stata promessa a Turno figliuolo di Dauno. La onde nacque grandissima guerra tra Turno, & Enea, nella quale (secondo Servio) vi morì Latino.

 

Lavinia figliuola di Latino, & moglie d'Enea.

Lavinia (secondo Virgilio) fu figliuola di Latino & Amata, la quale dal padre Latino essendo data per moglie ad Enea, tutto che prima l'havesse promessa a Turno, tra loro nacque una gran guerra; & si come dice Servio, quasi nel primo assalto Latino fu morto: onde dotata del sangue paterno fu moglie di un straniero. Indi appresso il fiume Numico nella istessa guerra havendo perduto il marito temendo la insolenza del vincitor figliastro, essendo pregna d'Enea, fuggì nelle Selve; & come dice Servio, si ridusse in casa di Tiro Pastore, dove partorì un figliuolo da lei chiamato Giulio Silvio Posthumo; percioche doppo l'essequie del Padre nelle selve era nato. Costei fu da Ascanio poi ritornata nel Regno paterno, essendo egli andato ad habitare in Alba da lui edificata, il quale da lei in maniera fu governato, (percioche nel generoso petto della donna, come che le aversità fossero grandi, punto mai non declinò l'animo generoso, & reale;) che cresciuto il figliuolo; a quello consegnò il Reame piu tosto ampliato, che sminuito. Eusebio nel libro di tempi dice, che costei dopo la morte d'Enea, si maritò in un certo Melampo, & di lui hebbe un figliuolo nomato Latino Silvio, il qual Latino anco (morto Giulio Silvio) signoreggiò.

 

Preneste figliuolo del Re Latino.

Preneste fu figliuolo del Re Latino, si come pare, che affermi Solino, dove scrive delle cose maravigliose del Mondo; & dice, che costui edificò la Città chiamata Preneste, a cui impose il suo nome. In questo modo scrive egli; Preneste, secondo Zenodotto, fu chiamata da Preneste nepote d'Ulisse, & figliuolo di Latino; & quello, che segue. Di lui non ho poi letto altro. Di Giunone, Nettuno, & Giove figliuoli di Saturno, & loro discendenti si scriverà ne gli altri libri, & cosi daremo il fine a questo Ottavo.

 

Il fine del Ottavo Libro.


 

 

 

DELLA GENEALOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO NONO.

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Con piu benigno Cielo di quello, ch'io incominciai; havea guidato il Padre della posterità di Saturno nel lito de Laurenti, quando ecco, ò per fortuna del mare, ò per forza del vento Occidentale, in un subito fui portato nel mare Egeo, & d'inanzi a Samo Isola già famosissima, come se le anchore ivi fossero state fermate, Serenissimo Re mi vidi essere locato. Ivi mentre io stava riguardando le vestigia di quel antichissimo Tempio fino quasi al Cielo in parte andate in polve & parte gittate a terra le maravigliose colonne in pezzi, i capitelli cavati dal muro, i travi lunghissimi spezzati, & marciti, & tutta quasi la machina del grandissimo, anzi monstruosissimo edificio rovinata, & quasi alla terra agguagliata, & sepolta ne i cumuli delle ruine; indi tra me stesso veggendo, & considerando il tutto coperto tra sterpi, & arbori selvaggi, che da se nascono, tutto pieno di meraviglia stava ricercando, nè sapeva imaginarmi per riverenza & nome di cui al suo Tempo potesse essere stata drizzata cosi gran machina.

Cosi lodando le magnifiche opre de gli antichi, mi venne in mente, che Giunone fu di Samo, & da Samij tra tutte l'altre deitadi honorata; onde subito compresi quel Tempio tra l'altre cose della Città maraviglioso, & per antichissima fama celebrato, da gli habitatori a Giunone essere stato edificato. O quante grandi, & lunghe fatiche sono andate in fumo. Quanti acuti ingegni d'architetti, Quanti ordinati sacrifici de Pontefici, Quanti ornamenti di soblimi huomini, & donne ivi apposti, affine, che al Diavolo si facesse cosa grata, sono andati a male. Onde fermandomi con piu lungo pensiero mandato fuori dal profondissimo petto un sospiro, meco dissi. Vergogninsi i miseri Christiani; a' quali a nostri tempi è cosa leggierissima, per ampliare i suoi domestici poteri, forare le viscere de i monti, radere con gli uncini da pescatore gli alvei del mare, & de fiumi; passare le nevi Arthoe, far prova de i Soli de gli Ethiopi, ingannare gli hiperborei grifi, addormentare i serpenti Libici, cacciare i Leoni Marmarici, con navi solcare il mare Oceano, & se fosse concesso, passare fino in Cielo. Ahi misero me, che piango; Forse con qualche honestà si ponno pigliare questi sudori; ma che dirò veggendo turbare il mare da Corsali, assediare i viaggi, romper le porte, far scritture false, porger veneni, mover guerra ingiusta, sparger il sangue giusto, romper la fede contra tutti, pur che le forze bastino, usar tirannide, & essercitar violenza per aggrandire un poco piu una frale sostanza. Veramente egli è da sospirare la cecità nostra. Che sarebbe poi, se bene si havesse, ciò che si desia, cioè edificar palagi, ornar stanze, haver cavalli, & servi, passar tutti i giorni in conviti, & feste, mostrarsi illustri con oro, porpora, & gemme, giuocar a piaceri, far grandissime possessioni, haver laghi, & giardini, se il nostro honore, la nostra gloria, & il nostro splendore da genti vili è occupata. Il famoso Gierusalemme è in servitù, i luoghi sacri del Salvatore, & degnissimi di memoria da barbarica feccia sono macchiati, & in disprezzo del nome Christiano rovinati. Gli inimici bestemmiano, si fanno beffe, & ridono delle reliquie, dove Christo nacque, & fu nodrito, dove egli si mostrò huomo & Dio, & predicando si manifestò la gloria della salute; onde per liberarci dal laccio della servitù, innocente patì morte; & fu sepolto, nè si curiamo di detti luoghi, dove suscitando da morte, con propria virtù volò in Cielo. O sceleraggine grande, & eterna vergogna. Poterono gli habitatori d'una picciola Isola levare colonne da i monti, cavar grandissime pietre, & ridurle in opra eccelsa, accioche per forza d'oro riducessero il tutto in una gran machina, & facessero un maraviglioso tempio a una scelerata donna; & tutta l'Europa non si cura metter una armata in mare, pigliar l'armi montar in nave, over mover guerra a gli inimici & con tutte le forze mondificare, & purgare questo santissimo paese da cosi vili inimici, & levar dalle nostre fronti cosi grave vergogna, accioche con queste pietre edifichiamo non in terra un Tempio frale, ma in Cielo una Città eterna. Ma che stò io con parole forse superflue a percuoter l'orecchie altrui; i pigri saranno punti da Iddio, & gli avari ricchi lasciati vacui. Noi adunque ritorneremo al proposito. Stando adunque a riguardare le ruine, nè potendo levar gli occhi dall'antica maestà del luogo, assai bene m'avidi dall'instabile fortuna essere avisato, che il parlare di Giove, & di Nettuno, alquanto era da differire, accioche prima io parlasse della favolosa stirpe di Giunone, nella cui si contiene anco tutta la progenie del guerriero Marte, tra gli strepiti & furori del quale, pregò il benigno Iddio, che ammaestrò le mani di David alla guerra, che conduca per sua bontade in pace.

 

Giunone ottava figliuola di Saturno, che senza marito partorì Nebo, & Marte.

Giunone, secondo l'errore de Gentili, Reina degli Dei, fu figliuola di Saturno, & Opi; nacque innanzi Giove, ma però in un parto istesso. Oltre ciò fu moglie di Giove come dice Ovidio, & Virgilio. Servio vuole, ch'ella fosse nudrita da Theti. Et alberico afferma ella haver allevato Nettuno. Cosi Martiano dice, che quella nudrì Mercurio figliuolo di Maia. Oltre ciò la fanno Dea di Regni, & delle ricchezze, cosi anco del matrimonio, si come Virgilio scrive.

 


Rende prima de gli altri a Giuno honori,

Nel cui potere i matrimoni stanno.


 

Vogliono Appresso ch'ella habbia potere sopra quelle, che partoriscono, si come nella Aulularia di Plauto si vede, il qual dice; O mia nutrice, io mi sento morire. Ti priego, che m'aiti. O Giunone Lucina io ti dimando aita; & quello, che segue. Le attribuiscono anco una carretta, & alcune armi, si come nella Iliade Homero dimostra. Et accioche la Reina de gli Dei non vadi sola, le aggiungono per serventi quattordici ninfe, si come in persona di lei Virgilio mostra, dicendo.

 


Due volte sette ninfe a miei servigi

Bellissime di corpo stanno pronte.


 

Fra le quali spetialmente si annovera Iris. Dissero anco, che il Pavone stà in sua guardia, alla cui coda, Ovidio dice, ch'ella cui pose gli occhi d'Argo amazzato da Mercurio. La chiamano anco, oltre il nome di Giunone, & Regina, con molti altri nomi, come sarebbe Lucina, Matrona, Curiti, Madre de gli Dei, Fluonia, Februa, Interduca, Dominduca, Unxia, Cynthia, Socigena, Populonia, & Proserpina. Dicono anco, ch'ella havendo mangiato alcune lattuche silvestri, partorì Heben sua figliuola: cosi percosso un fiore, Marte; ma di Giove suo marito, Vulcano. Oltre ciò di lei molte altre cose si riferiscono. Cerca le cose predette, che sono molte, molti diversamente hanno esposto varie dichiarationi. Dice Barlaam, che Giunone è stata tenuta figliuola di Saturno, & Opi da quelli, i quali hanno creduto Saturno essere stato il creatore delle cose, & Opi la materia, & Giunone la terra over l'acqua. Cosi Macrobio, dove parla del sogno di Scipione, dice, che è sorella di Giove, per essere stata prodotta da quelli istessi semi, che fu Giove, affermando Giove essere il Cielo, & Giunone l'aere la quale, dicono essere nata innanzi Giove, perche essendo Giove il fuoco, & costei l'aere, a noi non pare, che senza spirito, che è l'aere, il fuoco si possa ridurre in fiamma, nè ridotto, poter vivere: & però essere bisogno, che l'aere vi sia se tu vuoi che il fuoco vi segua; overo ciò puote esser detto, perche il fuoco per lo movimento dell'aere s'accenda, si come spesse volte veggiamo essere avenuto nelle selve, & ne i luoghi palustri, & cosi l'aere è nato pria del fuoco. Fu poi finto, ch'ella fosse nodrita da Theti, perche si ristaura con l'humidità dell'acqua ogni parte di aere che assottigliato si cangia in fuoco. Che quella allevasse Mercurio, & Nettuno, il tutto si narrerà, dove di quelli si ragionerà. E detta moglie di Giove perche l'aere è posto sotto il Cielo, overo il fuoco. Servio dice poi, che alle volte Giove si toglie per lo fuoco, & l'aere, & talhora per lo fuoco solo; cosi Giunone si piglia per la terra & l'acqua; & talvolta per l'aere solo; & però quando per lo fuoco, & per l'aere si piglia Giove, & Giunone per la terra, & l'acqua, meritamente sono detti marito, & moglie, havendo il fuoco, & l'aere possa di oprare, & la terra, & l'acqua, di patire; & cosi oprando i superiori con gli inferiori (prestandoli aiuto a i corpi sopracelesti) appresso noi si genera il tutto. Quando poi, come lo istesso Servio dice, Giove solamente si mette per lo fuoco, & Giuno per l'aere, si per la ragione della conformità della vicinanza, come della sottiglianza, & leggierezza, si dicono esser fratelli. Theopompo ne i versi Cipriaci, & Hellano nella Diospolitichia, vogliono Giunone da Giove esser legata con catene di oro, & posta appresso gl'incudi di ferro; i quali penso, non habbiano voluto intender altro, eccetto lo aere esser astenuato dalla durezza, & frigidezza della terra; & con catene d'oro, cioè per continuatione successiva della luce, congiunto al fuoco. D'intorno a tal materia in questo modo Tullio parla.  Disputano gli Stoici, che l'aere traposto fra il mare & il Cielo, è sacrato al nome di Giunone, la quale è sorella, & moglie di Giove, il che è simiglianza di aere, & somma congiuntione con lei. Effeminarono adunque lui, & il diedero à Giunone. Nessuna cosa veramente è piu molle dell'aere; & quello, che segue. Oltre ciò, chiamarono Giunone Reina, Dea di Regni, & delle ricchezze, la quale da Fulgentio è descritta col capo velato, e col scettro in mano; non volendo (come credo) esprimer'altro, che quella parte, dove consistono i Regni, & le ricchezze, perche habbiamo già detto Giunone essere la terra, dove è assai palese, che stanno i Regni del mondo; adunque in se tenendo i supremi Regni, è dea de i Reami; il che per lo scettro si dinota; cosi con questa medesima ragione è dea delle ricchezze. Percioche si come nelle viscere tiene tutti i metalli, & le cose pregiate; il che si comprende per lo capo velato, & nella superficie le biade, tutti i frutti, & gli armenti, ne quai veramente consistono le ricchezze terrene, da se il dimostra. Vogliono, che fosse Dea di matrimoni, percioche per lo piu col mezzo della dote si fanno i maritagi, la qual dote è parte di ragione di Giunone. Oltre ciò in alcune cose credettero Giunone essere la Luna, & ch'ella potesse molto d'intorno gli atti humani, & spetialmente circa i movimenti di luogo à luogo, & di qui hanno tenuto Giunone per la strada guidare le spose, che partono dalla casa di padri, & vanno à quelle di mariti, onde l'hanno chiamata Iterduca, overo per altra ragione, percioche furono soliti gli antichi mandar di notte le spose a marito, attento che elleno si vergognavano di giorno andar à perdere l'honestà; & perche mentre la Luna luceva, pareva ch'ella le mostrasse il camino fu chiamata Iterduca; onde percioche anco con tal guida pareva ch'ella fosse la prima, che le conducesse nelle case de mariti, fu anco detta Domiduca. Indi perche le vergini venendo sotto la guida di Giunone alle porte di sposi, secondo l'antico costume, con varie uncioni ungevano le porte, da tali untioni fu nomata Unxia, & le spose Unxores; & poi come dice Alberigo, s'è venuto a tanto, che sono dette Uxores, et volgarmente mogli. Dice Fulgentio, che è chiamata Dea di quelle, che partoriscono perche le ricchezze, ne quali ella è Regina sempre ne partoriscono dell'altre; il che semplicemente non è vero di tutte, anzi è detta Dea delle donne, che partoriscono; perche la Luna, tenuta una cosa medesima insieme con Giunone, fu solita da quelle che partorivano, essere sotto il nome di Lucina invocata, & secondo Macrobio dicevano, che in potere di Giunone era il far tosto allargare i meati, & le vene de i corpi delle donne nel tempo del parto; il che alle donne è di molta salute; & allhora in Greco viene detta Artemia latinamente come sarebbe seccante l'aere. Le fu attribuita la Carretta, per dinotar' il continuo giro dell'aere d'intorno la terra. Le furono aggiunte l'armi, percioche a guerreggianti, & massimamente per cagione di ricchezze, & stati, pare che ella gli lo conceda, prepari, & dimostre. Dicono, che le ninfe sue serventi sono quattordeci, accioche conosciamo, altretanti accidenti per cagioni diverse nell'aere essere generati, si come la serenità, lo impeto de venti, le nubi, la pioggia, la tempesta, la neve, la rugiada, i folgori, i tuoni, le comete, l'arco celeste, i vapori infiammati, baleni, & nuvoli. Nondimeno alcuni ne descrivono alcune altre, aggiungendovi altre cose appartenenti alla terra, come è il terremoto, che manda fuori in terra gl'incendij, & simili cose. Ma la piu famigliare di tutte queste serventi, che sia attribuita a Giunone da i Poeti, è Iris, la quale volsero, che fosse figliuola di Thaumante, cioè dell'ammiratione; percioche essendo Iris l'arco celeste, egli si vede di colori diversi, et d'apparenza maraviglioso. Attribuiscono costei a Giunone Dea delle ricchezze, accioche per la sua piegatura di vari colori dipinta, vengano a disegnare gli ornamenti delle ricchezze, le quai per lo suo splendore sono maravigliose; & si come questa Iris cosi bella, in un subito si dissolve, cosi gli splendori di ricchi in un momento spariscono. Volse, ch'ella fosse detta Iris, quasi Erim, il che significa contrasto; attento che per le ricchezze nascono molte discordie: et di quì alcuni dicano Iris sempre esser mandata ad eccitar discordie. Le danno poi il Pavone in tutela, per dimostrar le qualità di ricchi; percioche il Pavone è un uccello, che grida, per lo qual atto s'intendeno i gridi, le inalzate voci di vantatori, & l'altezza di ricchi. Habita il Pavone sopra i tetti, & sempre sale sopra i luoghi piu alti de gli edifici; affine, che si conosca i ricchi ricercar tutte le preminenze, & se non gli sono date, se le usurpano. Oltre ciò è ornato di belle piume, di lodi si diletta, & di maniera si trahe a vagheggiar se stesso, che rivolta in giro l'occhiuta coda, lascia ignude le parti di dietro piene di lezzo, per le quai attioni si comprende la porpora di ricchi, la veste d'oro, la gloria vana, la famosa pompa, & le orecchie alle adulationi drizzate: nelle quai cose quante volte occorre, che meno avertentemente vi cagiona, nasce che la lordura loro, che forse sarebbe stata nascosta, si scuopra, & sotto quel splendor' appaia un cuor misero, da ansiosi pensieri stracciato, la dapoccagine, la pazzia, la inettia di costumi, le sporcitie di vitij; & spesse volte i corpi, che marciscono da fetente lezzo. Ci resta dichiarare i nomi, de quai punto non è stato detto. Tullio vuole, ch'ella sia detta Giunone, si come giovatrice di tutti; il che è proprio di Giove. Ma Rabano chiama Giunone quasi Gianone, cioè Ianua, che è la porta, rispetto alle proprietà delle donne, percioche ella venga ad aprire le porte delle madri a i figliuoli, che nascano, & delle spose a i mariti. Tuttavia Leontio dice, che Giunone in Greco si chiama Iri. Il quale viene da Era che è la terra, & si fa la mutatione di e in i, & fa Ira, alla quale cangiando l'a, in I, si fa Iri. Onde Giunone propriamente è la terra. Si chiama Socigena, percioche associa, & congiunge i maschi con le femine. Populonia, percioche per le congiuntioni de gli huomini, & donne da lei fatte si creano i popoli. Cinthia poi, che è nome della Luna, fu chiamata perche ella veniva a slegare la cinta della castità alle donzelle ne i loro congiungimenti con gli huomini; il che tengo essere stato ufficio di Venere, la quale (testimonia Alberigo) dicevano, che seguiva Giunone Domiduca nelle nozze; percioche il primo ufficio in oprare le cose, che s'appartengono al matrimonio, era di Giunone; & a Venere era conceduto congiungere all'atto carnale l'huomo, & la donzella: & a quella sciorre la cinta della castità, la quale attribuiscono ad essa Venere; & la dicono Ceston; E poi detta Matrona, perche è soprastante solamente di quelle donne, che sono buone da marito, & atte a partorire, le quai benche non si maritino, sono matrone, overo cosi possono chiamarsi, attentoche per l'età ponno essere madri. Dice poi Alberigo, che si chiama Curiti, si come regale, overo forte, ò vogliamo dir potente, ò piu tosto secondo Servio a Curru, che è la carretta, attentoche i combattenti adopravano le carrette, per le quai vogliono, ch'ella fosse Dea sopra le guerre. La chiamano anco madre de gli Dei, perche intendono la terra madre di tutti. Favonia poi, secondo Alberigo, da i fiori de semi, overo perche nel parto liberi le femine; ma io tengo, che sia detta Fluonia, & non Favonia dal flusso menstruale delle donne, il quale si dice essere causato (secondo alcuni) dalla Luna. Cosi anco dalle purgationi Februa, attento che doppo il parto quelle purghi, percioche Februo significa l'istesso che Purgo. Si sono dette quelle cose, che ci sono parse sotto qualche figmento poetico contenere in se natural senso. Ci resta dichiarare quello, che sotto parte delle fittioni secondo l'historia è stato finto. Nella sacra historia si legge, Giunone essere stata generata da Giove Re, & huomo, & di Opi moglie di Saturno in un parto istesso con Giove, ma pria di lui esser nata, & secondo Varrone moglie fu nodrita nell'Isola di Samo chiamata pria Parthenia, dove essendo cresciuta, fu maritata in Giove, & per ciò a Samo vi fu edificato un nobilissimo & antichissimo Tempio, dov'era l'imagine di Giunone figurata in habito d'una donzella, che si mariti, alla quale ogni anno si celebravano i sacrifici nuttiali.

 

Hebe figliuola di Giunone, & Dea della gioventù, che fu moglie d'Hercole.

Hebe, secondo Theodontio, fu figliuola di Giunone, della cui recita favola tale. Dice egli, che Apollo apparecchiò un convito a Giunone sua madrigna in casa di Giove suo padre, & che tra l'altre cose, vi fece porre innanzi delle lattuche agresti, le quai con desiderio mangiate da Giunone, avenne, che ella fino allhora stata sterile, si impregnò, & di tal parto partorì Hebe, la quale, per essere bellissima, da Giove fu tolta per suo pincerna, & fatta Dea della gioventù. Finalmente essendo egli con tutti gli altri Dei andato a mangiare con gli Ethiopi, occorse, che Hebe poco avertitamente maneggiando le tazze, con quelle si intricò, & cadde sozzopra, dove levandosele i vestimenti, mostrò tutte le parti vergognose a i Dei, di che Giove la privò di tale ufficio, & in suo luogo sostituì Ganimede fratello di Laumedonte Re di Troia. Ultimamente, morto già Oete, & locato nel numero di Dei, la diedero per moglie ad Hercole. Ma Homero nell'Odissea dice, che ella fu conceputa da Giove. Tuttavia perche io solamente la ho ritrovata attribuita a Giunone senza padre per figliuola a Giove altrimenti non la ho ascritta. Quello, che da tai figmenti si debba comprendere credo esser questo. Diceva l'honorato Andalone, che à Giove detto padre di Apollo tra i segni Zodiaco, ne sono attribuiti due, i quai chiamarono gli Astrologhi suoi domicili, cioè Sagittario, & Pesce. Ma essendo il Sole, cioè Apollo in Sagittario casa di Giove instando già il verno, a Giunone alla terra si appongono le lattuche silvestri, cioè lo intenso freddo; percioche secondo i Fisici, le latuche silvestri sono frigidissime; & il freddo d'intorno la superficie della terra opra talmente, che ristretti gli humori di quella, il calore congiunto con la terra si adora circa l'interiore di quella, & riscaldata dalla humidità della terra fa pullulare, & empie di humore le radici dell'herbe, & delle piante; la onde crescono, & si fanno pregne, & cosi entrando il Sole in Sagittario per l'intenso freddo si impregna la terra, la quale nell'Autunno pareva sterile. Finalmente venendo il tempo del parto, cioè la Primavera nuova partorisce Hebe, che è la gioventù, & la rinovatione di tutte le cose, le fronde, i fiori, & tutte le piante in tal stagione spuntano. Cosi venendo la Primavera, che è calida, & humida, viene detta porgere le bevande, cioè la humidità a gli Dei, cioè a i corpi sopra celesti, i quai si come altre volte è stato detto, secondo l'opinione di alcuni, si pascono dell'humidità de vapori, che sorgono dalla terra. Ultimamente sovragiungendo l'Autunno, nel qual tempo il Sole comincia declinare verso il solstitio hiemale, che è agli Ethiopi, che sono verso il Polo Antartico, tutte le verdure incominciano cessare, & le foglie de gli alberi cadere; & cosi Hebe mentre si scuopre quello, che dalle frondi era stato nascosto, viene detta esser spogliata, & mostrare le parti vergognose, & anco esser rimossa dal servire alla tavola di Giove, dove vien sostituito Ganimede chiamato il segno d'Acquario; percioche a quel tempo il verno è pioggioso, & con abondanza manda dalle stelle humidi vapori. Che poi ella sia data per moglie ad Hercole, credo ciò esser finto, perche la giovanezza, cioè la perpetua verdura è sempre congiunta con le opre de gli huomini famosi, nè sopporta, che quelle non pur moiano ma caggiano in vecchiaia.

 

Marte figliuolo di Giunone, che hebbe quindeci figliuoli, i nomi de’ quali sono Cupido, Enomao, Thereo, Ascalapho, Ialmeno, Parthaone, Zesio, Flegia, Brittona, Evane, Hermiona, Hiperio, Etholo, Remo, & Romolo.

Sono di quei, che vogliano Marte essere stato figliuolo di Giove, & Giunone; ma Ovidio nel libro de Fastis mostra, ch'egli fosse solamente figliuolo di Giunone senza padre, dicendo, che Giunone turbatasi che Giove da se stesso senza alcuno aiuto, nè opra di Giunone havesse creato Minerva, cercava l'Oceano per consigliarsi seco a qual partito anco ella senza aiuto di huomo potesse partorire un figliuolo; onde essendo lassa, postasi a passare sulla porta della Dea Flora moglie di Zefiro, interrogata da Flora dove andasse, glielo disse, alla quale Flora, pur che fosse tenuto nascosto da Giove, le promise un salutifero rimedio, di che Giunone havendo per le onde stigie giurato di non lo dire ad alcuno, Flora le insegnò ne i campi Olenei essere un fiore, il quale toccato, havea in se virtù d'impregnare, & far partorire senza huomo. Il che provato da Giunone, subito senz'altro s'impregnò, & partorì un figliuolo da lei chiamato Marte. Altri poi dicono, che Giunone toccatosi il membro genitale partorì Marte. Tutti vogliono, che costui fosse un ferocissimo, & armigero Dio, & però il fanno capo & Dio sopra le guerre, & l'armi. Nella Thebaide Statio descrive il suo paese, cosi dicendo.

 


Sotto la region del Polo Artoo

Cilenio entrò a cui comanda Marte.

Ivi sempre stà verno, e iscuri nembi

Dimostra il Cielo, & Aquilone horrendo

Con meraviglia le deserte selve,

Et gli sterili boschi, ù teme, & trema.

Nè schermo contra le percosse acerbe

Di quelle palle. Quì Mercurio guarda

Crudelmente vi soffia, & con furore

Ivi prima che altro empito mostra

Grandine, e pioggia, ogn'hor scende dal Cielo,

A cui non val rimedio di capelli,


Et quello, che seguita.

 

Cosi non senza gran misterio descritto il suo paese, descrive anco la sua habitatione, & famiglia, dicendo:

 


Cinta è la fiera casa di ogn'intorno

Di gran lastre di ferro, & son di ferro

Le porte strepitose, i travi, e i tetti

Di ferro incatenati, ove s'offende

Di Febo il gran splendor contrario a quello

U la luce ha timor di quella stanza,

Et il fiero splendor le Stelle attrista.

Primo da stanza tal, l'impeto sale,

Cui la scelerità subito segue,

Et amendue son di color ardente,

I pallidi timor vengono dietro,

Con le insidie, che stan ne i ferri occolti,

La discordia, ch'in man tien doppio il ferro

Si vede, & quell'albergo d'infinite

Minaccie suona: la virtù stà in mezzo

Tristissima, & afflitta, e' l furor lieto.

Ivi dimora ancor la morte armata

Con sanguinoso volto, & solo in terra

Si vede il sangue nelle guerre sparso

E il foco, ch'abbrusciato ha le Cittadi.

D'intorno al tempio suo stavano appese

Le spoglie de le terre, & molte genti,

Ch'erano state prese, & i fragmenti

De le porte da l'armi a terra poste.

V'erano ancor i pezzi de le navi,

Che combattuto havean nel mar irato,

I carri rotti, e i lor spezzati arnesi

I gemiti, i dolori, & ogni forza

Con tutte le ferite, e i danni havuti.

L'armi stavano in schiera ivi attacate

De' miseri abbattuti, e a terra posti,

Il che non si potea senza cordoglio


Guardando rimirare, ivi stà Marte.

 

Oltre ciò dicono, che Bellona fu di lui sorella, la quale attribuiscono per guida della sua carretta, si come il medesimo Statio, descrivendo l'andare d'esso Marte, dimostra.

 


Orna l'ira e 'l furor le piume, & l'elmo,

Et il timore suo scudier prepara

A i cavalli le briglie, e innanzi a quelli

La vigilante fama ogn'hor ripiena

Di varie cose, non men vere, ò false

Precede sempre come sua ministra,

Volando tuttavia le piume scuote

Con vario mormorar, talhor timore,

Et talhor grand'ardire a molti dando.

Guida della carretta è poi Bellona

Di lui sorella, che con l'hasta, & sproni

Discinta i crini, i suoi cavalli punge.


Et quello, che va dietro.

 

Vogliono appresso, che questo cosi crudele, & sanguignoso Dio fosse innamorato, & tra l'altre amasse Venere moglie di Vulcano, & che con lei si congiungesse del cui Homero nell'ottavo dell'Odissea recita favola tale. Dice egli, che Marte amò grandissimamente Venere, con la quale congiungendosi, avenne talhora, che fu veduto dal Sole, & accusato a Vulcano marito di lei; il quale segretamente d'intorno il suo letto pose alcune catene invisibili da lui fabricate, & fingendo andare in Lenno, Marte credendolo, se n'andò a ritrovare Venere, dove essendo ignudi entrati in letto, amendue da gl'inganni di Vulcano restarono presi, & insieme legati, onde subito comparendo ivi Vulcano si diede a gridare, & a rammaricarsi della ricevuta ingiuria, per la qual cosa tutti gli Dei vennero a vederli, & tra gli altri Mercurio, Nettuno, & Apollo; ma le Dee per la vergogna non vi vennero, di che tutti gli Dei ridendosi nel vederli insieme aviticchiati, & ignudi solo Nettuno per loro intercesse, & tanto pregò Vulcano, che humiliò quello, & fece, che disciolse i legati. Oltre ciò attribuiscono in guardia di questo fiero Dio il Lupo, & de gli uccelli il Pico, & dell'herbe la gramigna. Appresso si narrano molte altre cose: le quali hora lasciando, serbo al suo luogo, affine di esporre quello, che in se contengano le dette. Gli antichi non volsero, che Giove fosse padre di Marte, accioche non paresse, che il figliuolo tralignasse tanto dal padre. Spesse volte habbiamo detto, che Giove è Pianeta piacevole, & benigno, dove Marte è crudele, & fiero. Che Giunone poi, andasse per ritrovare l'Oceano, & che s'appigliasse al consiglio di Flora, credo essere stato detto piu tosto per colorare la ragione della origine, che per altro; & perciò istimo il fiore Olenio, over nato ne i campi Olenei essere il menstruo: il qual solamente è patito dalle donne: onde elle con la bellezza del vocabolo, cercano cuoprire il lezzo di quello, chiamandolo il suo fiore, il quale dice Ovidio, essere detto nascere nei campi Olenei, ò perche olisse, cioè puzza, ò perche scende dal luogo fetido: di lui cosi scrive Isodoro.  La donna è solo animal menstruoso, per lo toccare del qual sangue le biade non fruttano, i vini diventano aceti l'herbe muoiono, cadono i frutti da gli alberi, il ferro si rugginisce, i rami divengono neri, & se un cane ne gusta, si fa rabbioso, et quello, che segue. I cui effetti, se drittamente sono considerati, vedremo, che Marte cosi fiero, & crudel animale non poteva essere generato da altra materia piu conforme a lui, che da questa. Nel tempo di Marte, cioè di guerra, non fruttano non solamente le biade, ma nè anco si semina, dove suona il bellico furore, le vigne s'abbandonano, & cosi paiono divenir aceto, l'herbe calcate dalle correrie muoiono, tutti i frutti de terreni vanno a male, mentre durano le violentie, & ruberie, il ferro assottigliato ad uso iniquo, & scelerato consuma i metalli, si coloriscono i campi col sangue di morti, i Castelli se sono desiderati da essere occupati per ingordigia di regnare, ò per fiera battaglia, ò per lungo assedio sono rovinati, & cosi le mura delle ampie Cittadi, et le Rocche, et le fortezze vanno in polve, & rovina. Adunque, egli si conviene benissimo col seme di tal frutto. Overo con altra ragione è detto figliuolo di Giunone, la quale spesso habbiamo chiamato terra, & Regina de Regni, & delle ricchezze, conciosia che per l'ambitione ingorda de gl'huomini d'intorno tali litigi, contrasti, & differenze & guerre nascano. Se vogliamo poi haver riguardo al percuoter che si dice, ch'ella fece con la mano a le parti sue genitali, diremo che allhora ella è incitata, & percossa, quando l'appetito è eccitato alle cose superflue, dal quale spessissime volte nasce contrasto, per lo cui talhora si procede in guerra, & cosi Marte nasce. Che costui poi nato in questo modo habiti appresso i Bistoni, et Thracesi, si come narra Statio, chiaramente questo si conosce, percioche sotto il Polo Artoo, per esser regione freddissima quei, che ivi nascono, sono huomini sanguigni, nè questo dalla discreta Natura in darno è stato oprato, perche se fossero essangui, non potrebbono resistere. Questi tali sono abondanti, di sangue, grandi mangiatori, & bevitori ismisurati, di consiglio tardi, di frodi abondanti, nelle rovine facili, pieni di gridi, furiosi, che non desiderano alcuna cosa, eccetto per contrasto, & che ridono delle ferite, il che tutto a Marte, si aspetta; la onde propriamente ivi è descritta la sua stanza reale circondata da schiera di nembi, & grandini, & strepitosi Aquiloni, affine, che sentiamo gli empiti, i furori, la rabbie, i rumori, et i tumulti di quei, che seguono la guerra. Oltre ciò la casa si descrive di ferro, accioche conosciamo le munitioni de i luoghi, dove si guerreggia che sono di ferro, cioè pieni d'huomini armati di spade, lancie, & dardi, i quali, perche per lo piu sono adoprati in cattiva parte, attristano lo splendore del Sole; attentoche la luce è creata per bene. Oltre ciò lo splendor del Sole per rispetti dell'armi alle volte diviene livido, dalla qual lividezza l'aurea luce del Sole pare, che alquanto s'offuschi, & attristi: onde per questo possiamo creder le menti di quegl'huomini, ne' quali arde cosi crudo amor, esser ferree, cioè inessorabili inchinate ad ogni male, & sempre con iniqui pensieri intente contra lo splendor della carità celeste. Poi tra i ministri di Marte il primo, che comparisca è l'impeto, col quale i miseri impatienti poscia che con parole hanno gittato i semi della guerra, correno all'armi, dietro il quale segue la sceleraggine, attentoche mentre dal furioso impeto siamo cacciati, ci viene levata ogni consideratione di ragioni, la cui toltoci, leggiermente s'incore nell'homicidio, incendio, ruina de beni, & delle facultadi; & si come l'attizzato fuoco sale in maggior fiamma, cosi l'incominciata scelerità, assottiglia, & infiamma gl'animi de i male opranti, i quali però sono descritti cosi rubicondi, & infiammati, perche la faccia dell'huomo sdegnato pare di fuoco, ò perche nascano d'infiammato sangue. Oltre ciò in questa casa di Marte, la qual si debbe intender esser' in ogni luogo, dove si faccia guerra, gli essangui timori, i quali ha detto essangui, percioche i timidi sono soliti impallidire, attentoche tutto il sangue corso d'intorno il cuor del timido, lascia l'altre parti esteriori di quello prive; il qual timore essendo dubbioso il successo della guerra, non solamente assale i da poco, ma talhora i valorosi guerrieri, & Capitani per molte ragioni. Ivi anco sono le insidie, che portano l'armi nascoste, affine di dinotare la fraude dell'insidiante; d'intorno a queste bisogna, che i Capitani habbiano molto avertimento, non facendo gli insidiatori alcuna cosa in presenza, eccetto con sua commodità grandissima. Dice anco, che tra i ministri di Marte v'è la Discordia armata di due coltelli, accioche consideriamo, che quando gli huomini vengono a questo, non hanno una istessa opinione, ma diverse contrarie. Onde da questa diversità d'animi nasce, che l'una, & l'altra parte move la guerra. Sono ivi anco innumerabili minaccie, le quali sono l'armi de i gonfiati huomini, di maniera, che non pur questi tali moveno gare, ma anco questi tali, che minacciano, tanto fanno. Cosi medesimamente vi è la virtù tristissima, il che da lui è detto, percioche, benche l'huomo da guerra sia molto occhiuto, robusto, valoroso, & d'intorno gli eminenti pericoli forte, & costante, tuttavia perche queste tali virtudi sono inchinate a spargimento di sangue, a ruine di Città, & a rubamenti, paiono esser tristi, conciosia che sono oprate in tristezza d'altri. Insieme con gl'altri v'è il furor lieto, & ciò, perche spessissime volte interviene nelle guerre, il quale chiama lieto, attentoche tra i pieni di crapula, & vino è solito nascer; percioche di rado veggiamo con lo stomaco digiuno esser i furiosi. Tra questi anco v'è la morte armata con sanguinoso volto, volendo perciò dimostrar le spesse uccisioni delle guerre, & l'ampie effusioni di sangue; overo la chiama armata, per dinotar la morte di quei, che muoiono per le mani de gl'armati. Resta dichiarar gl'ornamenti del Tempio, i quali tutti sono per dimostrar la miseria de' venti, & la gloria de trionfanti; onde perche questo da se a bastanza è chiaro, il lasciaremo, & cosi anco faremo di Bellona; della cui a sofficienza s'è parlato trattando di Minerva Armigera. Ci resta parlar alquanto del caminare, & dell'andare di Marte, il cui principio pare, che venga dal furore, & ira, che adornano le sue piume, & elmo; il che oprando questi non può esser senza impeto, & questo di sopra è stato detto. Dice adunque, che questi tali adornano le piume, & l'armi di Marte, affine, che intendiamo, che essendo fatte l'armi per mover, & finir le guerre, allhora paiono ornate & splendenti, quando con impeto sono oprate, percioche in un pigro e benigno soldato sono dette piangere. Dice poi che il timor prepara i cavalli a Marte, & esser suo valletto, percioche ò per tema di non esser sovragiunti, o per timor di strepiti pigliamo i cavalli, & le armi. La fama poi va innanzi i cavalli di Marte, cioè della guerra futura quasi sempre narrando i fatti cosi veri, come falsi, i quali da timidi, che gli aspettano leggiermente sono uditi, & accresciuti. Che Marte anco amasse Venere, alcuni vogliono scoprir la historia dicendo, che Venere sprezzò le deformità di Vulcano, & a Marte guerriero si accostò, di che un huomo prudente, & amico di Vulcano essendosi accorto, scuoprì a Vulcano il mancamento della moglie, il quale di ciò lungamente dolendosi, & salito in furor à pena s'astenne di non porre le mani contra la moglie; ma da quello istesso modesto, & benigno huomo fu acquetato. Altri dicono poi, che quelli, che hanno finto tal materia, hanno voluto mostrar molti huomini bellicosissimi, & famosi Capitani già esser stati notati di tal atto venereo. Alcuni altri poi più adentro penetrando, istimano in vece di Venere potersi intender il concupiscevole appetito congiunto con Vulcano Dio del fuoco, cioè al calor naturale con matrimonio, cioè con indissolubil nodo. Di quì a guisa di fuoco, mentre cresce in maggior fiamma, viene detto amar Marte come piu caldo, & da lui, si come a se piu simile, esser' amata onde nell'istesso desiderio con lascivia si congiungono; il che dal Sole, cioè dall'huomo savio viene ripreso, & partendosi, vien'accusato al giusto calore, cioè da Vulcano. Ma mentre il fervor della disordinata concupiscenza in contrario s'estende, aviene, che più strettamente è legato da occulti legami, ciò da pensieri & dilettationi lascive, da quali effeminato non può sciorsi, di che fatti palesi i suoi dishonesti congiungimenti, dai saggi viene beffato. Nettuno poi che solo si tramette per li prigioneri, è l'effetto contrario al fervor lascivo, col quale si come il fuoco dall'acqua, cosi l'amor vergognoso è estinto, & mentre vuole, colui che patisce le catene, dalla ragione viene disciolto. Gli è poi attribuito il carro, perche anticamente i combattenti usavano le carrette. Il lupo poi gli fu dedicato per esser animale rapace, & ingordo, affine di mostrar la insatiable ingordigia di quelli, che seguono gli esserciti. Il Pico poi è attribuito, attentoche per lo più gli huomini da guerra sono intenti a gli auguri, & portenti, & perche d'ogni cosa, che occorra subito pigliano augurio, overo, si come il Pico col percuoter continuo del rostro penetra fino nelle quercie, cosi i combattenti con i continui assalti, & abbattimenti di guerre penetrano le mura delle Cittadi. La gramigna poi a lui sacrata (secondo Alberigo) è percioche, si come Plinio dice, questa herba si genera di sangue humano; onde i Romani facendo guerra, & volendo sacrificar a Marte, li drizzavano un'Altare ornato di gramigna; il che io istimo da farsi beffe, cioè, che la gramigna nasca di sangue humano; ma tengo, che ciò altrove habbia havuto origine. Conciosia che essendo avezzi gli huomini da guerra più volentieri accamparsi ne i luoghi aperti, & liberi, & perciò per lo più in luoghi, ove nasce la gramigna, la quale a studio non viene seminata, nè coltivata da gli habitatori, attentoche la gramigna trahe a se ogni humor della terra, & a bastanza niente, overo poco ne lascia, da Romani, & forse da gli antichi fu ritrovato (per dimostrar la virtù del buon guerriero) coronar quelli di herba gramigna, che per forza d'armi erano entrati primi ne i ripari de gl'inimici.

 

Cupido primo figliuolo di Marte, che generò la Voluttà, ò vogliamo, dir Piacere.

Cupido, secondo Tullio nelle nature de i Dei, di Marte & Venere fu figliuolo, il quale i pazzi antichi, & moderni vogliono, che sia Iddio di gran potere; il che a bastanza si vede per li versi di Seneca Tragico, che di lui nella Tragedia d'Hippolito dice.

 


Indi col suo potere

Può far, ch'i Dei celesti

Abbandonino il Cielo,

Et sotto altre sembianze

Venghino a stare, & habitar in terra.

Febo, che fu del lume

Celeste gran rettore

D'Admeto di Thessaglia

Guidò lieto l'armento

Con la fistola invece de la Lira.

Ma quante volte poi

Quel, ch'i nuvoli, e 'l Cielo

Guida, e governa ogn'hora

Mirando al basso in terra

Prese sembianza in piu minori forme?

Tallhor movendo l'ale

Candide come neve,

Et talhora cantando

Assai piu dolcemente

Che non fa il bianco Cigno quando ei more.

Talvolta anco si vide

Con l'ampia fronte oscura

Farsi benigno toro,

Et sopra le sue spalle

A diporto portar vaghe donzelle

Indi cacciarsi in mare

Sul dorso havendo Europa,

Et con piedi notare.


Et quello, che và dietro.

 

Ne quali versi si dimostra, quanto grande sia la di lui potenza. Nè meno si dimostra in quella favola, che di lui recita Ovidio, dove dice, ch'egli ferì Apollo vincitore di Fitone dell'amore di Dafne con una saetta d'oro, & Dafne con una di piombo, affine ch'egli amasse lei, & ella odiasse lui; la sua forma in tal modo descrive Seneca Tragico in Ottavia.

 


Finge l'error mortal, ch'amor sia uccello,

Che è cosi fiero, & dispietato Dio,

Indi le mani di saette gli orna

Con l'arco sacro, & con la cruda face,

Credendo che di lui Vulcan sia padre,

Et che Venere l'habbia partorito.


 

Ma Servio il fa d'età fanciullo. Indi Francesco Barberino huomo da non esser lasciato a dietro, in alcuni suoi poemi volgari il descrive con gl'occhi velati con una benda, con i piedi di grifo, & circondato con una fascia piena di cuori. Apuleio poi nell'Asino d'oro descrive quello bellissimo, che dorme con la chioma della testa d'oro, con le tempie lattee, con le gote purpuree, con gli occhi cerulei, con i capelli tutti intricati in un globo, & crespi, che quà & là pendevano, & ventillavano per lo cui soverchio splendore esso lume della lucerna di Pasife vacillava, per gli homeri d'esso Iddio volatile le piume biancheggiavano di una luce divina onde benche l'ale fossero queste, & abbassate le piume tenerine, & delicate, che tremolando spuntavano inquietamente, mostravano una estrema lascivia, il resto del corpo era candido, molle, & delicato di tal sorte, che Venere non si poteva pentir haverlo partorito. Oltre ciò Ausonio con assai lunghi versi di costui recita una favola dicendo, che Cupido per caso volò tra i mirti dell'Herebo, il quale conosciuto dalle Heroide donne, che per sua cagione haveano patito supplici crudeli, dishonesti desideri, et morti, fatta di loro una squadra, subito contra lui si mossero, & indarno adoprando egli le sue forze, fu preso, & posto in croce sopra un'alto mirto, indi cosi pendendo egli, gli stavano d'intorno rimproverandogli le sue ignominie, tra le quali (dice) che vi venne Venere per rimorderlo delle catene di Vulcano, & minacciarli crudeli penne, la onde perciò commosse le Heroidi, & rimettendo le loro ingiurie, pregarono Venere, che li perdonasse, & cosi il levarono di croce, & egli se ne volò al Cielo: oltre ciò riferiscono molte altre cose, le quai lasciate da parte, dichiareremo il senso di queste. Assai istimo essere stata cosa possibile, che Cupido fosse figliuolo di Marte & di Venere & notabile per bellezza, & lascivi costumi. Ma di costui punto non intesero quelli che finsero, & però quale fosse quello, che hanno voluto questi, tali, che sia nato, tra l'opinione di maggiori è da ricercare. E adunque costui il quale diciamo Cupido, una certa passione di mente apportata dalle cose esteriori, & introdotte per li sensi corporei, & approvatrice dell'intrinsiche virtudi, prestando à ciò l'attitudine i sopra celesti corpi. Percioche gli astrologhi vogliono; come affermava il mio honoratissimo Andalone, che quando aviene nella natività di alcuno, che Marte sia in casa di Venere, cioè in Tauro, overo ritrovarsi in Libra & esser significatore della natività, che colui, che allhora nasce, habbia ad esser lussurioso, fornicatore, essecutore di tutti gli atti venerei, & huomo scelerato d'intorno tali attioni, & però da un certo Filosofo chiamato Ali nel commento quadripartito, è stato detto, che ogni volta che nella natività d'alcuno Venere insieme con Marte partecipa, eglino hanno potere, & concedeno a quel tale, che nasce, la dispositione atta alle lussurie, & fornicationi, la quale attitudine opra, che tantosto, che costui vede alcuna donna, la quale piaccia a suoi sensi esteriori, subito alle virtù sensitive interiori viene riportato quello, ch'ha piacciuto, & questo prima perviene alla fantasia, & da questa è transportato alla consideratione: da questi poi sensitivi viene condotto a quella spetie di virtù, la quale tra le apprensive virtudi è la piu nobile, cioè all'intelletto possibile, il quale è il ricetto delle spetie, si come nel libro della anima mostra Aristotele. Ivi adunque conosciuta, & intesa se viene per volontà del patiente, dove è la libertà di cacciare, & ritenere, che si come approvata, sia ritenuta nella allhora fermata memoria; questa passione della cosa lodata, la quale già si dice Amore, overo Cupido, si ferma nell'appetito sensitivo, & ivi per diverse cagioni alle volte tanto grande, & potente diviene, che costringe Giove lasciar il Cielo, & pigliar forma di toro. Alle volte poi essendo se non fermata, & approvata di maniera passa, & annulla, che da Venere, & Marte non si genera passione alcuna. Ma secondo, che di sopra è stato detto, gli huomini atti a ricever la passione secondo la corporal dispositione sono generati, il che non essendo, non si produrebbe la passione; & cosi largamente pigliando, da Marte, & Venere si come da cagione un poco alquanto piu remota Cupido si genera. Ma Seneca Tragico nella Ottavia con alquanto piu ampia licenza, benche con poche parole descrive la origine di costui, dicendo.

 


De la mente l'Amor è una gran forza,

Et è un calor de l'animo benigno.

Di lussuria si genera costui,

Che da la gioventù deriva, e poi

Da l'otio dolcemente vien nodrito,

Tra i lieti, & ampi beni di fortuna.


 

Ma per iscusa della sua fragilità, i miseri mortali aggravati da questa passione finsero tal peste potentissimo Dio, i quali Seneca Tragico in Hippolito biasma, dicendo.

 


A l'atto dishonesto fautrice

La libidine finse Amor Iddio,

Et accioche piu libera ella fosse.

Questo titolo aggiunge il gran furore


Di cosi falso, & scelerato nume.

 

Ma hora è da passar piu oltre; & narrate le fittioni; vedere quello, che sotto le loro corteccie si nasconda. Fingono costui garzone, accioche disegnino l'età di chi riceve questa passione, & i costumi; per lo piu gli inamorati sono giovani, & a guisa de fanciulli divengono lascivi, nè essendo eglino a bastanza signori di se stessi, lasciano piu tosto guidar dove l'empito della passione gli caccia, che dove la ragion gli comanda. Oltre ciò è dipinto alato per dimostrar la instabilità del passionato; percioche facilmente credendo, & disiando volano di passione in passione. Viene finto portar l'arco, & le saette, per dimostrar la subita prigionia de gli sciocchi attento che in uno solo volger d'occhi sono quasi presi. Dicono che queste sono d'oro, & di piombo, accioche per quelle d'oro vegniamo a pigliarli il diletto, che si come l'oro è lucente, & pretioso, cosi anch'egli è. Per quelle di piombo vogliono, che s'intenda l'odio; il quale si come è grave, vile, & da poco metallo, cosi dinota l'odio, & il mal voler de gl'animi contrari. Si li aggiunge la face dimostra gli incendi de gl'animi, che con fiamma continua dà noia a i prigioneri. Gli cuoprono gli occhi con una benda, accioche consideriamo gli amanti non sapere, dove si vadano, non haver in loro alcuno iuditio, alcune distintioni di cose, ma dalla sola passione esser guidati. I piedi di grifo gli sono aggiunti, per dinotare, che la passione è tenacissima, nè facilmente, essendo improntata da lascivo ocio, si scioglie. Che poi fosse crocifisso, se bene riguardiamo questo è un'ammaestramento da noi seguito ogni volta, che ritornato l'animo nelle primiere forze; con lodevole essercitio vinciamo la nostra delicatezza, & con occhi aperti riguardiamo a qual partito dalla dapocaggine eravamo condotti.

 

Voluttà figliuola di Cupido.

Voluttà (secondo Apuleio) fu figliuola di Cupido & Psiche, della cui generatione a pieno s'è parlato dove di Psiche s'è scritto, del cui figmento leggiermente si aprirà la ragione percioche occorendo, che noi desideriamo alcuna cosa, & la vegniamo ad havere senza dubbio in quella si dilettiamo; & questa dilettatione da gli antichi fu chiamata Voluttà.

 

Enomao secondo figliuolo di Marte, che generò Hippodamia.

Enomao (secondo Servio, & Lattantio) fu Rè d'Elide, & di Pisa, & di Marte figliuolo. Ma io tengo, che fosse un huomo bellicoso, & però finto di Marte figliuolo. Si trova, ch'egli hebbe guerra contra Pelope, & che da Pelope fu vinto, & havendo seco fatto pace gli diede per moglie Hippodamia sua figliuola.

 

Hippodamia figliuola d'Enomao, & moglie di Pelope.

Dice Servio, che Hippodamia fu figliuola d'Enomao, & essendo bellissima donzella, gli fu dimandata per sposa da molti: onde egli, havea alcuni velocissimi cavalli, ch'erano stati creati dal fiato de venti fece tal conventione con i dimandatori, che dovessero seco giuocare a correre con le carrette, & questo tal giuoco si diceva il certame currule, & se vincevano, voleva darli la figliuola: & se perdevano, che lasciassero il capo: di che essendone morti molti, avenne, che Pelope figliuolo di Tantalo giovane bellissimo la dimandò per moglie, deliberato al tutto di far prova di se. La onde Hippodamia havendo veduto Pelope, si accese di lui, & corruppe Mirtilo, che guidava la carretta d'Enomao suo padre, dandoli per premio le primitie della sua verginità. Altri poi dicano, che da Pelope fu corrotto con questa medesima promissione. Onde Mirtilo fece l'asse della carretta di cera; & cosi essendo entrati in corso, rompendosi l'asse di Enomao, Pelope restò vincitore, & hebbe Hippodamia per moglie. Dice Barlaam haver letto ne gli Annali de Greci, che Pelope per esserli stato da Enomao negata Hippodamia, contra lui mosse guerra, & per tradimento di Mirtilo suo capitano restò vincitore: il qual Mirtilo dimandando il prezzo del tradimento da Pelope, da lui gittato in mare fu morto. Costei partorì a Pelope suo marito Thieste, Atride, Phistene, & altri figliuoli.

 

Thereo terzo figliuolo di Marte, che generò Ithi.

Thereo fu Re di Thracia, & secondo Theodontio, figliuolo di Marte, partorito dalla ninfa Bisconide per forza da lui oppressa; il che in parte Ovidio scrive nella favola di Progne, & Filomena. Di costui si recita historia tale, il cui fine è favoloso. Che Thereo havendo con guerra travagliato Pandione Re d'Athene, alla fine fecero insieme pace, & accioche ella fosse piu stabile, Thereo tolse per moglie la maggior figliuola di Pandione: la quale havendo di lui partorito già un figliuolo chiamato Itis, s'accese di grandissimo desio di rivedere sua sorella Filomena, onde pregò il marito, ò che la lasciasse andare ad Athene, ò che per Filomena mandasse. Di che Tereo per compiacerle, andò a Athene & impetrò da Pandione, che lasciasse venir seco dalla sorella Filomena. Cosi posti in viaggio, & veggendo Thereo Filomena essere bellissima donzella, di lei fieramente si accese, & in una casa pastorale per forza volse godere de suoi abbracciamenti; nè contento di ciò, perche quella minacciava voler dirlo alla sorella, egli le tagliò la lingua, & in quella casa sotto buona guardia lasciolla, & giungendo tutto travagliato dalla moglie, diede ad intendere quello, che Filomena per fortuna di mare era morta. Ma Filomena non potendo piu sopportare lo star rinchiusa, in una tela disegnò tutto il suo vero caso, & quella per una serva mandò alla sorella, la quale subito comprendendo il tutto, & sotto habito di allegrezza nascondendo l'affanno finse voler andare à celebrare i sacrifici di Baccho, i quali in quel tempo di notte si celebravano dalle donne: cosi ornata di pelli, & di pampani di vite se n'andò dove era la sorella & vedendola, in quel medesimo modo la condusse seco alla Città nel palagio; onde piena di sdegno & furore, non sapendo a qual miglior partito di ciò per vendicarsi contra il marito, rivolse l'ira contra il picciolo figliuolo Ithi, che le stava d'intorno facendo li vezzi, & carezze, percioche prendendo quello, con un coltello gli segò la gola, & cotto in piu sorte di manicaretti il pose alla mensa del padre innanzi a lui, il quale non sapendo il fatto piu volte addimandò quello, che fosse del figliuolo, & Progne sempre gli rispose, egli è qui; ma Thereo non intese mai il motto fino a tanto, che non si levò da mensa, percioche Filomena uscendo fuori d'una camera gli appresentò il capo del figliuolo da loro serbato; onde egli subito gittate le tavole per terra, col ferro ignudo si pose a seguitarle, di che per compassione de gli Dei avenne, che Progne fu conversa in una rondinella, & rimase sopra il proprio tetto della sua casa, & Filomena si cangiò in un'uccello dell'istesso nome, & se ne volò in quelle selve, che da lei la notte erano state lasciate. Thereo fu poi mutato in Upupa, & cosi tutto il palazzo fu trasmutato. Il senso di queste fittioni secondo Barlaam è tale, Thereo fu huomo empio & feroce, il quale non possedeva, nè toglieva alcuna cosa, eccetto per guerra, & per forza, & perciò meritò essere chiamato figliuolo di Marte, come che lui fosse padre d'Astogiro prencipe di Biscondi, il quale per la sua commessa scelerità contra la cognata non hebbe mai ardire mostrarsi alla moglie, & ella per vergogna dell'usata crudeltà coperta di nera veste, si diede a piangere la sua disgratia, & la sventura della sorella, & cosi alla favola si trovò inventione, che l'una in rondinella, & l'altra in lusignuolo fosse cangiata. Thereo poi fu detto mutato in Upupa, perche l'Upupa è uccello, ha la cresta, & il suo canto è l'urlare, & di sterco si pasce; & però per la cresta si figura la corona reale, per gli urli, i lamenti del perduto figliuolo, & per lo fetido cibo, la noiosa, & fiera memoria del mangiato figliuolo.

 

Ithi figliuolo di Thereo.

Ithi fu figliuolo di Progne & Thereo, la cui età, & disgratia a bastanza di sopra s'è scritta. Dicono, ch'egli fu cangiato in un uccellino chiamato gardelino, & questo tengo io piu tosto essere stato compreso dalla sua fanciullezza, che da altro, percioche il cardelino è un'uccellino vago, & di vari colori, onde veggiamo i nobili fanciulli andar vestiti con habiti diversamente trappunti, & lavorati.

 

Ascalapho quarto, & Ialmeno quinto figliuoli di Marte.

Ascalapho, & Ialmeno fratelli furono figliuoli di Marte, & d'Astochia, si come nella Iliade piace ad Homero, il quale d'essi in tal modo scrive.

 


Ascalapho, e Ialmen figli di Marte

Da Astochia partoriti eran signori.


Et quello, che segue.

 

Dice Homero ne i medesimi versi, che questi tali erano signori di Aspilidone, d'Orcomeno, & Menione cittadi, & che vennero insieme con i Greci con trenta navi alla ruina di Troia. Ma io, si come è stato detto de gli altri, credo, che questi due fratelli fossero huomini bellicosissimi, & però chiamati figliuoli di Marte.

 

Parthaone sesto figliuolo di Marte, che generò Agrio, Mela, Thestio, & Oeneo.

Parthaone secondo Theodontio fu figliuolo di Marte, & di Meroe, & suo padre con altro nome fu detto Meleagro Re di Calidonia. Ma Paolo dice, che costui fu figliuolo di Marte, & Sterope figliuola d'Atlante. Tuttavia Lattantio vuole, ch'egli fosse figliuolo non di Marte, ma di Meleagro figliuolo di Marte. Finalmente Theodontio afferma esser vero egli essere stato figliuolo di Meleagro, & Merope vergine di Etholia, ma perche Meleagro fu il primo, che con armi acquistasse, & possedesse Calidonia, essendo stato figliuolo di Giove d'Arcadia, da i rozzi habitatori fu tenuto, & nomato Marte, & per consequenza Parthaone fu istimato figliuolo di Marte. Homero nella Iliade introduce Diomede, che parla della genelogia di costui, il quale dimostra, che Parthaone hebbe tre figliuoli, Agrio, Mela, & Oeneo; ma Theodontio v'aggiunge Thestio da Homero non ricordato.

 

Agrio, & Mela figliuola di Parthaone.

Agrio, & Mela, si come per testimonio d'Homero di sopra è stato mostrato, furono figliuoli di Parthaone; de quali appresso noi non è altra memoria, eccetto che il nome solo.

 

Thestio figliuolo di Parthaone, che generò Thosio, Plesippo, & Althea.

Thestio (secondo Theodontio) fu figliuolo di Parthaone & Calidonia ninfa, ma Paolo dice d'Althea; & una figliuola di lei medesimamente essere stata chiamata Althea, percioche nel parto di lei morì la madre. Nè di lui si ha altro, eccetto che generò (oltre Althea) Thosio, & Plesippo.

 

Thosio, & Plesippo figliuoli di Thestio.

Si come è stato detto Thosio, & Plesippo furono figliuoli di Thestio, i quali essendo giovani valorosi, & forti per l'etade, & d'animo generosi, con gli altri nobili giovani della Grecia vennero alla caccia del porco Dalidonio, che secondo Ovidio rovinava il tutto, dove doppo lunga fatica morta la bestia, veggendo eglino che Meleagro figliuolo del Re Oeneo loro nepote, & capo della cacciaggione, donò il capo del Cignale alla donzella Athlanta; percioche era stata la prima, che con una saetta l'havea ferito in segno dell'honore, & pregio vittorioso; sopportarono con tanto sdegno, ch'una donna tra tanti nobilissimi giovani ne riportasse il vanto, che a forza le levarono il dono: la onde Meleagro sdegnato, & facendo empito contra loro, gli ritolse il capo, & gli amazzò, di nuovo ritornando alla donzella l'honore levatole.

 

Althea figliuolo di Thestio, & madre di Meleagro.

Althea fu figliuolo di Thestio, a cui fu posto nome tale; perche nascendo ella nel parto morì la madre Althea, si come è stato detto di sopra. Costei fu maritata in Oeneo Re di Calidonia; al quale tra gli altri figliuoli, partorì Meleagro, che subito nato fu tolto sotto destino da i fati, attentoche vide & udì le Parche, che d'intorno il fuoco dicevano, la vita del fanciullo haver da durar tanto, quanto un di quei tizzoni, che allhora nel foco ardeva, durasse a consumarsi; la onde Althea subito levandosi di letto, levò dal fuoco quel tizzone, & amorzandolo il pose a serbare sotto buona guardia. Ma sacrificando Meleagro a gli Dei per la conseguita vittoria del cigniale Calidonio; intendendo ella, ch'egli per amore di Athlanta havea morto i suoi fratelli, da furia assalita, si lasciò guidare alla vendetta, & togliendo il fatal tizzone da lei fino allhora cautamente guardato, il gittò nel fuoco, di che il figliuolo Meleagro a poco a poco, si come quel legno, consumandosi, fornito quello d'ardere se ne morì, il che la infelice intendendo, & tardi pentita del suo errore, con un coltello si passò il petto, & infelicemente finì i giorni suoi. Tengo io, che questo tizzone sia lo humido radicale fatto per legge della natura, che durando quello, la vita de' nascenti perseveri, il quale dalla madre, cioè dalla natura, delle cose imposto sopra il fuoco, cioè al secco, è necessario che il figliuolo muoia.

Oeneo figliuolo di Parthaone, che generò Deianira, Gorge, Meleagro, Thideo, & Menalippo.

Oeneo Re di Calidonia, come di sopra è stato detto, fu figliuolo di Parthaone, & molto piu da noi conosciuto per l'opra de' figliuoli che per sua propria. Di costui Althea fu moglie, & hebbe molti figliuoli: ma che fossero tutti di Althea, io nol so, non mi ricordando haver letto d'altri, che di Meleagro.

 

Deianira figliuola d'Oeneo, & moglie d'Hercole.

Deianira fu figliuola del Re Oeneo, si come nella morte di Meleagro mostra Ovidio. Costei fu bellissima donzella di sorte, che molti la dimandarono per moglie. Finalmente essendo stata promessa prima ad Acheloo fiume, & poi data in matrimonio ad Hercole, che la dimandò, tra loro perciò nacque grandissima gara: onde vinto Acheloo, restò ad Hercole. Oltre ciò costei fu non poco amata da Nesso Centauro, & nel passar d'un fiume rapita, si come si vedrà piu a pieno, dove si tratta di Nesso, il quale veggendosi ferito a morte con una saetta da Hercole, che il seguiva; per premio dell'amore che portava a Deianira, le diede in dono la sua camicia macchiata del venenoso sangue, affermandole, che quella tale spoglia havea in se virtù di levare ad Hercole ogni altra affettione, ch'ad altra donna portasse, se una volta se la mettesse in dosso; il che la donna credendo, volentieri la pigliò, & molto l'hebbe cara, & serbolla fino attanto, che Hercole s'innamorò d'Iole, a cui, pensando levare tale amore, mandò quella veste, che se ne ornasse. Onde Hercole vestitosene, & risolvendosi col sudore quel sangue secco venne in tanta rabbia, & furore per la potenza del fiero veneno, che fatto un grandissimo fuoco, vi si abbrusciò dentro, & se ne morì, & cosi per lo dono di Deianira sua moglie, finì i giorni suoi. Theodontio dice, che la guerra, ch'egli hebbe con Acheloo fu tale, che desiderando Hercole Deianira, et Acheloo fiume con due gorghi alle volte irrigando quasi tutta Calidonia, & trahendo seco tutte le biade seminate, da Oeneo ad Hercole quella fu promessa con patto tale, che dovesse prima ridurre in un alveo solo il fiume Acheloo, che non potesse piu dar noia ai terreni: il che non senza grandissima fatica da Hercole fatto, attenne Deianira per sposa.

 

Gorge figliuola d'Oeneo.

Per testimonio di Ovidio, è stato mostrato Gorge essere stata figliuola di Oeneo; Theodontio dice poi, che Gorge fu huomo, & non donna, & che morì nella guerra di Thebe.

 

Meleagro figliuolo d'Oeneo, che generò Parthenopeo.

Meleagro fu figliuolo di Oeneo Re di Calidonia, & d'Althea nella cui natività, dice Ovidio, che le tre Parche furono vedute inanzi il fuoco torcere lo Stame vitale & gittando un tizzone nel fuoco tra loro dire.

 


O figliuol hora nato, la tua vita

Durerà tanto quanto quel tizzone.


 

La qual cosa sentendo Althea, partendosi quelle subito si levò di letto, & pigliando quel tizzone, l'ammorzò, & il ripose con grandissima diligenza. Questo Meleagro fu illustre giovane, & al suo tempo per fama chiarissimo, onde secondo il medesimo Ovidio, avenne, che il padre Oeneo havendo fatto buonissimo raccolto di biade, fece sacrificio a tutti gli Dei, lasciando solamente ò per sdegno, ò per oblio adietro: Diana la quale contra lui sdegnata, mandò un ferocissimo Cigniale, che rovinava tutto il paese di Calidonia. Di che per ammazzarlo Meleagro mandò ad invitare a questa caccia tutti i famosi, & valorosi giovani d'ivi intorno: la onde occorse, che tra gli altri vi venne Athlanta donzella figliuola d'Oeneo, overo (secondo altri) del Re Iasio, di presenza, & d'età bellissima: la quale per essere nelle caccie molto valorosa, essendovi invitata, comparse. Per la qual cosa subito di lei essendosi innamorato Meleagro, avenne, che facendosi la cacciagione, & essendo tutti con empito d'intorno al Cigniale, ella fu la prima, che tra tutti con un dardo l'impiagò: dal quale poscia che fu preso, & morto, Meleagro capo della caccia, ò condotto da l'amore, ò perche pure l'usanza era tale, mandò a donare ad Athlanta la testa della fiera, ma Lattantio v'aggiunge anco la pelle, il quale era il principale honore appresso i Cacciatori. Il che sopportando con isdegno Plesippo, & Thoseo, overo, come dice Lattantio, Agenore, fratelli d'Althea, con violenza tolsero il detto capo ad Athlanta, overo, che si sforzarono d'haverlo; la onde Meleagro sdegnato si mosse con furia contra loro, & amazzolli. Poscia celebrando i Calidoni una grandissima festa per la morte del Cigniale, & offerendo doni a i tempi, Althea tra loro lieta se n'andava, si per la morte della fiera, come per la gloria del figliuolo, ma intesa la morte de i fratelli, subito fu da dolore assalita, & lasciandosi piu tosto dal furore trapportare a vendicarli, che a piangerli, tolto il fattato tizzone, il gittò nel fuoco, il quale consumandosi a poco a poco, cosi anco Meleagro pian piano mancando, se ne morì. Homero nella Iliade in quella oratione, nella quale Fenice s'ingegna persuadere ad Achille che pigli l'armi contra Troiani, fa un gran parlamento sopra Meleagro figliuolo d'Oeneo, & dice, che essendo molto oltraggiato dalla madre Althea per l'homicidio de suoi zij, egli perciò sdegnata, venendo i nemici fino nel forte della Città di Calidonia, non volse prender l'armi, ma si stava in piacere in camera con Cleopatra figliuola di Marcipe Tolomeo, la qual anco si chiama Alciona, percioche spesse volte piangeva la morte d'Alcione sua zia; il che, se fosse stato morto, non potrebbe haver fatto. Nondimeno tra questi che vogliono lui esser morto per la morte de i zij, sono di quei, che credono non dal tizzone essere stato consumato, ma essere uscito di vita per tradimento della madre. Barlaam dice, che egli fu morto dalla madre dormendo con una fuste. Ma Paolo tiene, che a caso egli morisse doppo la gloria del morto Cigniale, & che poi s'habbia indi trovato la inventione alla favola nel fatal tizzone, il quale dice istimar essere l'humido radicale, il quale mancando, manca la vita. Nondimeno morisse da qual morte, & quando si vogli, tutti istimano, che egli usasse con Athlanta, & che di lei havesse un figliuolo chiamato Parthenopeo. Meleagro, & questa caccia tanto famosi, secondo Eusebio nel libro de' tempi fu al tempo, che signoreggiava in Micene Atreo, & Thieste, ne gli anni del mondo quattro mila, & cento.

 

Parthenopeo figliuolo di Meleagro.

Fu Parthenopeo figliuolo di Meleagro, & di Athlanta, la quale secondo Theodontio fu figliuola di Iasio Re d'Arcadia, la quale essendo donzella di fermo proposito di non voler marito si diede nelle caccie a servire a Diana. Finalmente vinta dal valore di Meleagro, seco si congiunse, & gli partorì Parthenopeo, che con tal nome fu chiamato dalla pensata verginità della madre, percioche lungamente nascose il parto, attento che Parthenias in greco, latinamente suona verginità overo vergine. Della bellezza di costui, & del successo della madre a pieno, & elegantemente ne scrive Statio. Questi essendo maggior d'animo, che di forze giovanetto, & ancora senza barba, infiammato dal disio della guerra, intendendo i capitani Greci essere per andar contra Thebe, senza alcuna saputa della madre venne all'assedio di Thebe; dove in battaglia ferito, se ne morì. Ma di costui altrimenti sente Servio. Vuole egli, che fusse figliuolo di Menalippa, & Marte, overo Melamone, il quale essendo Re d'Arcadia, & fanciullo, venne (si come è stato detto) a Thebe.

 

Thideo figliuolo d'Oeneo, che generò Diomede.

Secondo Statio, Thideo fu figliuolo del Re Oeneo, il che conferma anco gli altri; & della madre discordano alcuni. Percioche Lattantio disse che fu figliuolo d'Althea, & Servio di Euriboea. Oltre ciò di costui si recita una bella historia. Dice prima Lattantio, ch'egli si partì di Caldonia, perche à caso non sapendo, nella caccia ammazzò Menalippo suo fratello, & di quì segue Statio dicendo, che egli tutta la notte travagliato da pioggie, & venti arrivò nella Città di Argo dove non conoscendo alcuno, & cercando luogo, ove quella notte potesse al coperto alloggiare, pervenne sotto i portici del palagio Reale, dove medesimamente poco innanzi Polinice Thebano per la conventione fatta col fratello Etheocle di regger l'imperio a vicenda un'anno per uno, tutto bagnato era giunto, & vi havea posto il suo cavallo, di che non essendo in luogo capace per due, et non volendo Polinice che Thideo vi si fermasse, vennero insieme a quistione. Il cui rumore sentendo Adrasto scese basso & facendoli fare insieme pace; gli raccolse nel palazzo. Onde veggendo poi, che Polinice havea lo scudo coperto di pelle di Leone, & Thideo di Cigniale, subito si chiarì del dubbioso oracolo, c'havea havuto per le nozze delle figliuole. Percioche gli era stato detto, che dovea maritar quelle, una in un Leone, & l'altra in un Cigniale; là onde considerando che i generi quasi gli erano stati mandati, a Thideo diede Deifile, & à Polinice Argia. Di che amendue questi giovani di inimici, ch'erano pria, non pure si pacificarono, ma si congiunsero di parentado, & vera fratellanza talmente, che venuto il tempo, nel quale, secondo i patti, Polinice dovea pigliar il governo del Reame dal fratello, non sopportò ch'alcun'altro andasse legato ad Etheocle per dimandare il governo per Polinice. Ma negando Etheocle di volere osservare i patti, si come scrive Homero, & doppo lui minutamente Statio, ritornando adietro Thideo, gli fece armare cinquanta huomini, & ordinando, che facessero un'imboscata contra Thideo, commandò, che l'amazzassero; ma Thideo punto non smarrito, si difese valorosamente, & doppo lungo combattere, in molte parti del corpo ferito (eccetto uno) gli amazzò tutti. Finalmente insieme con Adrasto, & Polinice fatto un'essercito; havendo già di Deifile havuto un figliuolo, chiamato Diomede, venne allo assedio di Thebe. Dove combattendo per acquistare il suo Reame, avenne tra gli altri un giorno, ch'egli fu ferito con una saetta a morte da un certo Menalippo; il che non potendo sopportare in pace, & sentendosi per la mortalità della ferita aggiungere alla morte, divenuto come rabbioso, pregò i suoi compagni, che gli portassero il capo di colui, che lo havea ferito, i quali andando a combattere, con molto spargimento di sangue fecero tanto, che amazzarono Menalippo, & gli portarono il capo; il quale non altrimente, che un cane sentendosi già morire, con i denti incominciò roderlo, & rodendolo se ne morì. Oltre ciò (secondo Lattantio) furono di quelli, che dissero costui esser stato da Marte generato, il quale pigliò la effigie di Oneo, non volendo eglino per ciò intendere altro, eccetto, ch'egli nella sua natività hebbe per ascendente Marte, & però, essendo a lui simile, di lui il dissero figliuolo.

 

Diomede figliuolo di Thideo.

Diomede, come a bastanza s'è detto fu figliuolo di Thideo, & Deifile. Costui capo de gli Etholi, insieme con gli altri Greci, venne allo assedio di Troia, dove di maniera si diportò valorosamente, ch'eccetto Achille, & Aiace, fu tenuto il piu forte di tutti gli altri. Percioche, oltre i Re da lui amazzati, le battaglie da corpo a corpo havute contra Hettore, & Enea, & altri famosissimi Prencipi di Troiani; & oltre i presi cavalli di Rheso, & il Palladio a Troiani levato, in quella guerra ferì Marte, si come nella Iliade testimonia Homero, & cosi anco Venere, che difendeva Enea, si come prima Homero, & poi Vergilio dicono. Finalmente ritornando verso la patria vittorioso, dice Leontio, che dalla moglie Egiale, la quale per conforti di Napulo padre di Palamede s'era accostata ad altro huomo, non fu ricevuto. Ma Servio dice, ch'egli essendosi accorto Egiale essersi congiunta con Cillabaro figliuolo di Steleno, perciò vergognatosi, non volse ritornare nella casa. Oltre ciò Leontio vuole questo esserli stato pregato da Dione, quando li ferì la figliuola. Nondimeno andato in Essilio, si condusse nelle parti di Puglia, & occupato il monte Gargano (come vogliono alcuni) a piedi di quello edificò la Città di Siponto, altri dicono Arpo, dove havendo molto patito (secondo Virgilio) perdette i compagni mutati in uccelli, & percioche per oracolo (secondo Servio) portò seco le ossa di Anchise, ciò gli avenne; onde per questo le ritornò. Aristotele poi dove scrive delle cose maravigliose da udire, dice, che Diomede a tradimento fu amazzato da Enea, & occupato i luoghi ch'egli signoreggiava. Nondimeno (morto, che fu) afferma Agostino che egli da gli habitatori fu deificato, & egli fu edificato un tempio in quell'Isola dal nome suo chiamato Diomedia, & doppo la morte di quello i compagni suoi addolorati furono convertiti in uccelli, che volano d'intorno quel tempio, & l'honorano. Il che afferma anco Servio, dicendo questi uccelli da Latini esser dette Diomede, & da Greci Erodij; affermando anco, che venendo i Greci in Italia, quelli gli fanno vezzi, & carezze, & allegri gli vanno contra, naturalmente fuggendo Italiani; percioche si ricordano della sua origine, & che da Italiani gli fu amazzato il loro capo. Theodontio poi dice, che questi tali uccelli ammano i Greci, & sono contrarij à tutte l'altre nationi, & che ogni anno portando delle acque ne i rostri adacquano il tempio di Diomede. Ma hora è da vedere quello che si nasconda sotto le fittioni. Istimo essere stato detto, che Diomede ferisse Marte, perche combattendo forse con Hettore, che per la famosa virtù sua nella militia meritamente si poteva chiamar Marte, ferì quello. Cosi anco Venere, perche ferì Enea figliuolo di Venere. Dice Theodontio, che si narra i compagni essere stati cangiati in uccelli percioche divennero Corsari, che tanto velocemente per lo mare con l'aiuto de' remi corseggiavano, che parevano volare; & (eccetto a Greci) a tutte le altre nationi furono contrari.

 

Menalippo figliuolo d'Oeneo.

Menalippo (come piace a Lattantio) fu figliuolo del Re Oeneo. Questi insieme col fratello Thideo in una selva cacciando, dall'istesso non volendo fu morto.

 

Zesio settimo figliuolo di Marte.

Secondo Theodontio, Zesio fu figliuolo di Marte, & di Hebe, della giovanezza del quale io non mi ricordo haver letto altro.

 

Flegia ottavo figliuolo di Marte, che generò Coronide, & Isione.

Flegia (secondo Lattantio) fu figliuolo di Marte, & scelerato, & superbo contra gli Dei. Di costui, come vuol Servio fu figliuolo Isione, & Coronide ninfa, la quale intendendo essere stata vergognata da Apollo, subito mosso dall'ira, arse il suo Tempio in Delfo, di che Apollo sdegnato, con le saette lo amazzò, & confinò la di lui anima nell'Inferno sotto pena tale, cioè, ch'ei dimori sotto un gran sasso, che minaccia rovina, onde sempre sospette, che caggia. Del quale cosi dice Virgilio.

 


Et l'infelice Flegia a ogn'un ricerca,

Et con gran voce grida, & dice a tutti;

Imparate in veder la mia fortuna;

A far giusto, & non far'onta a Dio.


 

Dice Eusebio nel libro de' tempi, che Flegia arse il Tempio d'Apollo regnando Dauno in Argo, & ne gli anni del mondo tre mila settecento cinquanta due. Hora veggiamo quello, che gli antichi habbiano voluto significare sopra la pena attribuita a Flegia. Flegia è derivata a Flegon , che fignifica fiamma; & però drittamente è detto figliuolo di Marte, essendo calido, & secco, onde ricerca ardori, & incendi. Che poi nell'Inferno ei sia condannato con quel supplicio, che è stato detto, Lucretio istima, che gli antichi habbiano tenuto l'anime pria, che giungano a i corpi, essere in Cielo; onde venendo ne i corpi, che rispetto a i sopracelesti sono infernali, quelle scendere nell'Inferno, & ivi patire diversi tormenti secondo le varie affettioni, overo essercitij, & cosi Flegia in questa vita tra mortali vivendo, a tal pena è sententiato, la quale Macrobio nel sogno di Scipione intende, che sia tale, cioè la gran rupe, che pare cadere, & starli eminente sopra il capo, essere i pericoli, i quali stanno sopra quelli, che regono le tirannidi, & le difficili imprese; percioche mai non vivono senza tema; onde constringendo il vulgo soggetto a temerli, si fanno sempre odiare, & ogn'hora pare, che sopra loro caggia la meritata pena.

 

Coronide ninfa, figliuola di Flegia, & madre d'Esculapio.

Coronide ninfa (secondo Servio) fu figliuola di Flegia, la quale essendo bellissima, fu vitiata da Apollo, & di lui partorì un figliuolo, che poi fu detto Esculapio.

 

Isione figliuolo di Flegia, che generò i Centauri, i cui nomi sono questi. Euritio, Nesso, Astilo, Ofionide, Grineo, Rheto, Orneo, Licida, Mede, Piseriore, Taumante, Mermerote, Pholo, Menelante, Abante, Eurinomo, Hireo, Himbro, Ceneo, Alphidante, Elope, Pacreo, Lico, Cromide, Dite, Farco, Bianore, Ediano, Liceto, Hipasone, Thereo, Ripheo, Demoleone, Plageone, Hilone, Efinoo, Damo, Dorillo, Cillaro, Hillonome femina, Feo, Tormo, Theobante, Pireto, Ethodo, Efidupo, Nesseo, Odite, Stifelo, Bromo, Antimaco, Elimo, Piramo, Latreo, Monico, & molti altri; & oltre a questi generò anco Perithoo.

Isione da tutti viene tenuto figliuolo di Flegia. Vogliono alcuni, che costui per compassione di Giove fosse raccolto in Cielo; & fatto suo secretario; dove levatosi in superbia per tal dignità, hebbe ardire di tentar Giunone di stupro: la quale essendosi lamentata con Giove di ciò, egli fece, che una nube prese la forma di lei, & giacque con Isione, della cui generò i Centauri; & essendo da Giove cacciato di Cielo in terra, hebbe ardire appresso mortali vantarsi, c'havea giacciuto con Giunone; la onde percosso da un folgore, fu sententiato nell'Inferno ad essere legato, & girato da una volubile ruota piena di Serpenti. Onde Ovidio dice.

 


Si rivolge Ision con una ruota

Et seguendo si fugge, e ogn'hor raggira.


 

Di questo figmento la ragione può esser tale. Isione fu di Thessaglia, & Signore de' Lapithi, & di tal maniera fuori di ragione ingordo di regnare, che per tirannide si sforzò d'occupare il tutto. Giunone poi hora habbiamo detto, ch'ella è tolta per l'aere, hora per la terra, & Regina de' Regni & delle ricchezze la quale in quanto terra pare, che ci porga i Regni in terra, & qualche stabilità; in quanto aere, che è lucido, pare, che aggiunge qualche splendore a i Regni; il quale è cosi fuggitivo, che leggiermente si converte in tenebre. La nube poi per opra del Sole di vapori acquatici, overo d'humiditadi, che si levano dalla terra, & nell'aere si uniscono, per natura sua diviene caliginosa, alla vista sensibile, ma alla mano incomprensibile, & senza essere fermata da alcune radici, quà et là da venti è cacciata; & finalmente dal calore è risolta in aere, ò dal freddo è cangiata in pioggia. Che adunque per ciò? Per la nube noi intenderemo il regno; ma perche vi s'aggiunge l'effigie di Giunone, ciò diremo essere quello, che per violenza possediamo in terra: il quale non ha simiglianza alcuna di Regno, in quanto si come un Re signoreggia a i suoi sudditi; cosi quello, che per forza commanda a suoi popoli non signoreggia veramente, ma ha forma di dominare, & tuttavia tiranneggia. Cosi anco si come tra l'aere chiaro & una oscura nube è gran differenza; cosi è tra il Re, & il Tiranno. L'aere è chiaro, cosi il nome Reale. La nube oscura, tale la Tirannide. Il nome di Re amabile, del Tiranno odioso. Il Re sale sopra la sua sedia ornato di scettro reale; il Tiranno occupa il dominio circondato da spaventevoli arme. Il Re dura per la quiete, & allegrezza de i popoli, il Tiranno per lo sangue, & miseria de suditti. Il Re cerca la pace, & l'accrescimento de i suoi fedeli con tutte le forze; il Tiranno ha cura del suo ben proprio con la ruina dell'altrui. Il Re nel seno de gli amici riposa; il Tiranno (cacciati gl'amici & fratelli) confida l'anima sua nella securtà de satelliti, & scelerati huomini. La onde in se (come si vede) essendo queste cose diverse: il Re meritevolmente si può fingere per l'aere puro, & chiaro; & con lui è qualche stabilità congiunta, se dire si puote, che alcuna stabilità sia nelle cose caduche: dove poi è il Tiranno, per lo contrario egli è una nube oscura senza essere congiunta ad alcuna fermezza: la quale leggermente si risolve, o dal furore delle cose, a cui soggiace, o per la dapocaggine de gli amici. Lasciate queste cose, istimo, che senza difficultà vedremo quello, che significhi la favola. Allhora Isione viene assunto in Cielo, quando con l'animo contempliamo le cose alte, come sarebbe il Regno, le porpore, gli egregi splendori, la eccelsa gloria, l'alta potenza, & quelle cose, che al giudicio de i pazzi sono infinite commodità de i Re. Ne immeritamente ci veggiamo esser fatti secretari di Giove, & Giunone; mentre quello, che a loro s'appartiene, si come d'uno specchio di divinità, riguardiamo con animo prosontuoso. Et allhora vegniamo in disio di Giunone; mentre con un pazzo giudicio riputiamo queste pompe Reali altro, che non sono. Allhora Isione richiede di stupro Giunone, quando senza che punto si lascia guidare alla ragione, l'huomo privato si lascia traportare di signoreggiare con violenza. Ma che aviene, s'alcuno piu oltre ricerca? A lui si mette innanzi una nube, che tiene l'effigie di Giunone: dal cui congiungimento dell'occupante, cioè dell'occupato Imperio, nascono i Centauri. Furono i Centauri huomini bellicosi, di animo altiero, & scorretto, & ad ogni scelerità inchinati, si come veggiamo essere i Satelliti stipendiarij, & i ministri della scelerità, alle cui forze, & fede subito ricorre il Tiranno; i quali però vengono detti nascere di nuvoli, percioche sono nodriti di ombratili sostanze del Regno, cioè de i sudditi, a quali sono tolte le facultadi per pagare questi scelerati. Isione poi da Giove viene di Cielo cacciato in terra, cioè dalla natura delle cose; percioche l'ingordo poscia che ha pigliato il dominio, lasciati i pensieri splendidi, de i quali con piacevole speme, & falsa stima si dilettava, viene condotto in travagliati, & certi pensieri, cioè allhora quando incominciava conoscere di quali fatiche continove, & amare sia pieno l'imperio. Oltre ciò essendosi costui vantato di havere havuto congiungimento con Giunone, cioè, havuto ardire chiamarsi Re, viene fulminato da Giove: con quel folgore vengono abbrusciati i vanagloriosi, che sognandosi pensano volare, in Cielo, & poi svegliatisi si trovano distesi in terra. Percioche mentre i gonfiati di superbia come che per violenza de popoli tengono l'Imperio in se ritornando cacciano il sonno della vana ambitione considerano quelli affanni in che sono entrati, quelli intrichi, quelle teme, & quelli pericoli a quali sono sottoposti; dalla qual consideratione non altrimenti che da acceso fulmine sono tormentati; il quale tormento, se per qualche peccato, tenendo egli la tirannia, finisse, non al supplicio della volubil ruota nell'inferno sarebbe confinato, ma perche senza alcun riposo da un continuo moto, che il circonda nel petto si sente travagliato, & tutti i pensieri vecchi si rinuovano & i nuovi vi s'aggiungono, mentre tutto timido qui teme gli aguati di costui, le forze di colui, & dall'altra parte il giudicio d'Iddio, vien detto essere tormentato dalla ruota volubile, la quale viene finta piena di serpenti, perche non solamente da continui pensieri, ma da mordaci viene travagliata. Overo a ciò daremo un'altra spositione, & piu breve. Diremo la nube essere la speme di regnare: la quale alcuni misurando malamente le sue forze si rendono certissima; onde si fa simile a Giunone; perche a colui, che spera, già li pare posseder la cosa sperata, nè altrimenti della cosa sperata seco dispone, che s'egli la possedesse; & di quì nasce, che da questa cosi certa speranza, affine che l'effetto segua, colui, che spera, prepara le sue forze; di che oprando la speranza, cioè la nube, i Centauri nascono, cioè s'apparecchiano: la onde il pazzo per conseguir quello, che con la speranza possiede, entra in tanti travagli, che di necessità è che egli lasci i generosi pensieri, & venga ne gli oscuri; & cosi da Giove, cioè dalla luce, & splendore de i pensieri cade, overo viene cacciato in terra; & essendo fulminato, viene gittato nella ruota, si come è stato detto. Di questa ruota poi, pare, che Macrobio intenda altrimenti; cioè, che quelli pendano legati d'intorno la ruota, i quali con consiglio non prevedendo alcuna cosa nè con ragione niente moderando, dando in preda se stessi, & tutte le sue attioni alla fortuna, & a i casi fortuiti, sempre si ruotano, & aggirano. Altri poi dove si dice, che Isione fu secretario di Giove & Giunone, tennero, che Isione fosse augure; percioche nell'aere si pigliavano gli auguri, per li quali i secreti, cioè quelle, cose, c'hanno a venire solamente da questi tali erano istimati essere conosciute. Che poi d'una nube generasse i Centauri, vogliono non doversi intender altro, eccetto, che col premio de' satelliti piglino la fede, al quale cosi leggiermente, venendo un'altro dono, si dissolve, che diventa nube. Oltre ciò Fulgentio dice, che Dromocride nella Theogonia scrive Isione essere stato il primo, che in Grecia cercasse regnare: & però fu il primo, ch'alla guardia sua trovò cento huomini armati a cavallo; onde nacque, che furono detti Centauri, cioè cento armati. Ma io mi maraviglio Isione essere stato il primo, che appresso Greci desiderasse regnare, ritrovandosi, che molto prima innanzi Isione furono infiniti Re appresso Sicionij, & Argivi, i quali pur sono Greci, Isione fu al tempo, che in Argo signoreggiava Danao. Nondimeno egli quì potrebbe rispondere, gli altri Re, che furono innanzi a lui, di consenso de i suoi populi haver regnato; ma Isione essere stato il primo, che per forza occupasse.

 

I Centauri figliuoli d'Isione in generale.

I Centauri furono figliuoli di Isione, & d'una nube, si come è stato mostrato. Alcuni vogliono questi esser stati i primi, che in Thessaglia domassero cavalli, & essere divenuti famosi Cavalcatori; & perche furono insieme cento, furono detti Centauri, quasi cento armati, overo, cento Marti; percioche Arios in Greco significa Marte, overo piu tosto cento aure, attentoche si come il vento velocemente vola, cosi questi parevano velocemente correre. Nondimeno questa Ethimologia è latina; la quale punto non si conface con le dittioni Greche. Servio di loro narra favola tale. Che havendo un Re di Thessaglia mandato i suoi ministri a far ritornare a dietro alcuni suoi buoi, che da rabbia cacciati erano fuggiti dell'armento, & quelli a piedi non li potendo arrivare, montarono a cavallo, & correndo velocemente gli aggiunsero. Onde questi tali veduti su la ripa del fiume Peneo, da quegli huomini rozzi, che davano bere a cavalli, furono tenuti essere d'un'istesso pezzo insieme con gli animali, & da questo la favola prese materia, di che da indi in poi i Centauri si sono dipinti dal mezzo in su huomini, dal mezzo in giù cavalli. Finalmente questi huomini tali insuperbiti, & ebbri nelle nozze di Perithoo, volsero rapirli la sposa, ma da Theseo furono vinti, & superati. Ma Virgilio dice, che quelli furono i Lapithi. Marte sopportò, che quelli fussero abbattuti, & estinti, percioche eglino non sacrificarono a lui, havendo pria a tutti gli altri Dei fatto sacrificio: il che si comprende in questo modo, cioè che loco lasciato l'essercitio dell'armi, & datisi al mangiare, & bere, di maniera s'effeminarono, che furono vinti. Se altra fittione, poi sopra questi tali si può dire, a pieno dove s'è parlato di Isione, l'habbiamo dichiarata.

 

Eurito figliuolo d'Isione.

Eurito uno de Centauri (secondo Lattantio) venendo in casa di Oeneo Re di Calidonia, gli dimandò per moglie Deianira; la quale poco innanzi dimandatali da Hercole, gli era stata promessa. Ma Oeneo, temendo la forza del Centauro gli la promise. Onde nell'ordinato giorno, che si celebravano le nozze, a caso Hercole sopravenne, dove combattendo con quelli Centauri, ch'erano ivi, gli amazzò tutti, & hebbe per moglie Deianira. Ma Ovidio non dice in questo modo, anzi vuole, che havendo Perithoo menato per sposa Hippodamia, & celebrandosi le nozze, egli pose i Centauri nella entrata della casa a mangiare, i quai per la crapula divenuti ebbri, & lascivi di lussuria, con soverchio ardire incominciarono mettere le mani nelle donne; & havendo Eurito preso Hippodamia, per volerla menar via, Perithoo & Theseo si mossero contra loro, & venendo alle mani, Theseo gli tolse Hippodamia, & lo amazzò.

 

Astilo Centauro, indovino figliuolo di Isione, & Nube.

Astilo fu uno de Centauri, & perche era indovino, ricordò a i fratelli, che non andassero contra i Lapithi. Finalmente ritrovandosi anch'egli insieme con loro alle nozze, & veggendo, che Driante di quelli, che gli andavano per le mani facea stratio, temendo del valor di quello, si diede a fuggire, & si come mostra Ovidio, a Nesso centauro disse queste parole.

 


Allhor Astilo a Nesso, che temeva

Di esser ferito, disse, non fuggire,

Che salvo tu anderai da i fieri colpi,

Che fa d'Hercole l'arco horrendo, e crudo.


 

Nesso figliuolo di Isione, & Nube.

Nesso tra i Centauri fu famosissimo. Questi essendo huomo astuto, & fuggito dalle mani de i Lapithi, se n'andò in Calidonia, dove dimorando appresso Hebeno fiume di quel paese, s'innamorò di Deianira figliuola del Re Oeneo; in processo di tempo avenne, che Hercole andando con la moglie Deianira di Calidonia verso la sua patria, fu tardato dal fiume Hebeno, che per le pioggie era cresciuto; al quale Nesso, come quasi per fargli servigio, si offerse a lui, che se voleva nuotare il fiume, egli portarebbe Deianira all'altra ripa. Il che Hercole accettò. Ma velocemente Nesso con Deianira in groppa havendo passato il fiume, nuotando Hercole tuttavia, s'imaginò allhora essere il tempo di sfogar l'ardor suo, e si diede a fuggire. Ma Hercole pigliato l'arco, con una saetta l'aggiunse, il quale veggendosi ferito, & conoscendo haver a morire, accioche non morisse senza vendetta, s'imaginò un nuovo inganno, & subito cavandosi la camicia tinta di sangue, si come dono dell'amor suo, la diede a Deianira, dandole ad intendere in quella essere tal virtù che s'ella facesse ch'Hercole se ne vestisse sarebbe secura che egli giamai non s'inamorasse d'altra donna: il qual dono la credula Deianira accettò volentieri, & doppo alquanto tempo, essendo Hercole innamorato d'Iole, credendo ella ritornarlo nell'amor suo, con quella lo amazzò, si come si dirà piu a pieno nell'avenire. Nesso poi spogliatasi la veste, espirò, accioche s'adempisse il vaticinio d'Astilo. Statio dimanda questo fiume, Hebeno Centauro, in memoria della morte di Nesso.

 

Gli altri Centauri figliuoli d'Isione.

Ophionide, Grineo, & tutti gli altri Centauri nomati di sopra, furono figliuoli d'Isione & Nube, & nelle nozze di Perithoo furono ò morti, ò posti in fuga da i Lapithi; si come nel suo maggior volume Ovidio dimostra.

 

Perithoo figliuolo d'Isione, che generò Polipite.

Perithoo fu figliuolo d'Isione, ma non di Nube, anzi della moglie, si come dice Ovidio.

 


Perithoo figlio d'Isione ardito

Menato havea Hippodamia per moglie.


 

Et quello, che segue. Questi si come si dice fu intrinseco amico di Theseo Atheniese, & havendo secondo Lattantio, Hippocratica, ma secondo Ovidio, Hippodamia menato per moglie, si come dice Servio, invitò alle sue nozze tutti i popoli circonvicini. Onde avenne, ch'in tal feste essendosi sacrificato a tutti gli altri Dei, Marte solo fu lasciato adietro: la onde sdegnatosi, fece entrare il furore addosso i Centauri: i quali levatisi dalle mense contra i Lapithi (si come di sopra è stato detto) vennero alle mani, & molti di loro ne restarono morti. Ma Lattantio dice, che in questo contrasto i Lapithi furono estinti; il che si deve intendere di que' Lapithi, ch'erano Centauri. Oltre ciò vogliono, che Perithoo (morta Hippodamia, overo vivendo & forse repudiata) patteggiasse con Theseo suo amico, ch'allhora era celibe, ch'eglino mai non prenderebbono moglie, eccetto figliuole di Giove. Onde havendo già Theseo rapito Helena, ch'era reputata figliuola di Giove & di Leda, nè conoscendosi a quel tempo in terra altra, che fosse tenuta figliuola di Giove, eccetto Proserpina moglie di Plutone, non potendo quelli salire in Cielo, deliberarono, & si posero in via per rapir quella nell'Inferno. Ma Cerbero levandosi contra Perithoo, lo amazzò nel primo impeto; & Theseo cercando aiutarlo, fu in grandissimo pericolo; & in ultimo fu ritenuto da Plutone. Finalmente ritornando Hercole d'Hispagna vittorioso da Gerione, & di grandissima preda ricco, intesa la disgratia di Perithoo, & la prigionia di Theseo, dall'antro Trenaro passò nell'Inferno, si come di ciò fa fede Seneca Tragico nella Tragedia d'Hercole furioso. Contra il quale facendosi Cerbero, come nell'istessa Tragedia a pieno si narra da Hercole fu vinto, & con una catena a tre doppi legato, & dato nelle mani di Theseo. Alcuni vogliono ch'Hercole stracciasse la barba a Cerbero. Ma liberato Theseo (dicono) che per lo Trenaro trasse di sopra Cerbero con l'istessa catena per forza legato. Pomponio nella Cosmografia scrive appresso il seno del mare Eusino non lontano dalla Città, Heraclea Acherusia essere un'antro, che và (come si dice) fino nell'Inferno, onde gli habitatori dicono, che per quello Cerbero fu condotto di sopra. Oltre ciò sono alcuni, che per dar maggior fede alla favola (essendo abondantemente quel luogo pieno di venenosi serpi) dicono quelli essere nati della schiuma di Cerbero, nè col tempo da alcuno potere essere stati estirpati. Quello, ch'a questa historia è finto, drittamente ad historia s'appartiene. Percioche secretamente a guisa di ladroni, & non come valorosi giovani, essendo andati per rapire Proserpina Perithoo, & Theseo, di notte dal cane Cerbero, Perithoo (come si legge) fu morto, & dalle guardie Theseo preso, per la cui liberatione Hercole andando all'Inferno, cioè ne i Regni de Molossi, con la clava domò il Cane, & il legò; indi sotto pretesto di guerra, dimandò Theseo a Plutone, il quale li fu concesso, & cosi col Cane ritornarono in Athene, overo in Boemia. Per la barba a Cerbero cavata, dobbiamo intender l'ardire & la forza, della quale le fu privo. Percioche provando la clava d'Hercole, & veduta la costanza dell'huomo, divenuto timido, & mutolo, si confessò esser vinto. Attento che la barba è conceduta a gl'huomini per segno di virilità, si come ne i morali piace a Gregorio, conciosia che ogni volta che la tocchiamo, over veggiamo, debbiamo ricordarci, che siamo huomini, & schifare di non far cose, ch'ad huomo non si convengano. Del resto s'è detto altrove.

 

Polipite figliuolo di Perithoo.

Polipite fu figliuolo di Perithoo & Hippodamia, si come nella Iliade mostra Homero, mentre dice.

 


Quelli il forte Polipite guidava

figliuolo di Pirithoo, generato

Da l'immortale, & glorioso Giove.

Polipite, ch'io dico, a Perithoo


La gloriosa Hippodamia produsse.

 

Questi, si come si vede per l'istesso Homero nel Catalogo de' Greci, venne con quelli alla guerra di Troia.

 

Britona nona figliuola di Marte.

Britona fu ninfa di Candia, & si come afferma Lattantio, di Marte figliuola, la quale essendo donzella, & havendo fatto voto di perpetua virginità, si dedicò a Diana, & continuamente dava opra alle caccie, ma per esser bellissima, piacque a Minos Re di Cretesi: il quale volendole far forza, nè potendo ella altrimenti difendersi, si gittò in mare, & cosi dall'onde fu annegata. Avenne poi, che il suo corpo fu preso da alcuni pescatori: onde ò per sdegno di Marte, ò di Diana, fu mandato una gran pestilenza a quell'Isola, la quale gli habitatori dell'Isola credevano non poter cessare, se non edificavano un Tempio a Diana, & chiamar quello Dittina; percioche quelle reti de Pescatori, con quali fu a terra tratto il corpo di Britona, si chiamano Dittime.

 

Evanne decima figliuola di Marte, & moglie di Capaneo.

Evanne (si come piace a Theodontio) fu figliuola di Marte, & di Thebe, moglie del fiume Asopo: la quale Evanne fu sposa di Capaneo huomo insolentissimo, & di lui partorì un figliuolo chiamato Steleno. Credo io, che costei fosse fierissima donna, & perciò chiamata figliuola di Marte. Ma dicono, ch'ella amò tanto il marito, che essendo quello stato fulminato, & facendosi appresso Thebe le sue essequie funerali: mettendosi il corpo di Capaneo mezzo abbrusciato sopra un rogo; per lo gran dolore dell'animo si gittò nelle fiamme, ch'abbrusciavano quello, & cosi ardendo insieme con lui; le ceneri d'amendue furono poste in una medesima urna.

 

Hermiona undecima figliuola di Marte, & moglie di Cadmo.

Dicono i Poeti, che Hermiona fu figliuola di Marte, & di Venere, & moglie di Cadmo Re di Thebe, il quale lasciò Sphinge per pigliar quella per sposa. Dicono, che Vulcano fece a costei un monile di singolar bellezza, ma di tristo augurio a chi lo portava: & questo fu fatto da lui per l'odio portatole, che fosse nata per adulterio dalla sua moglie. Di costei Cadmo hebbe quattro figliuole, le quali ultimamente (si come dicono) si cangiarono in Serpenti, & vi restarono fino alla morte. Sotto la cui fittione si può contener questo. Primieramente Hermiona fu figliuola di Venere in quanto a Cadmo, perche ò con la sua bellezza, ò con gli atti lascivi hebbe potere d'incitare le veneree fiamme, cioè il libidinoso appetito in Cadmo: il che è proprio di Venere: onde per desiderio di lei rifiutò Sfinge primiera moglie. Puote esser figliuola di Marte, attentoche a Marte fu cagione di guerra, percioche (si come dice Eusebio citando per testimonio Palefatto) Sfinge per gelosia d'Hermiona si partì da Cadmo, del quale era moglie, & subito gli mosse guerra; onde in questo modo Cadmo venne a pigliar una figliuola di Marte per moglie, cioè una cagione di guerra. L'infausto monile poi fabricato da Vulcano, si puo comprendere per l'infausto fine di questo matrimonio, attentoche da Amphione, & Ceto privi del Reame, furono cacciati in essiglio. Ch'ella anco si cangiasse in Serpente, ciò si puo intendere, perche gli essuli si come le biscie vanno per luoghi infimi, così ella insieme col marito s'essercitò in cose basse; là dove, mentre che regnò, dimorava in eccelse grandezze; overo, perche doppo l'essilio hor quà, hor là, come i Serpenti, andarono errando, overo, perche invecchiati col petto chino, & per terra a guisa di biscie, che vanno col petto, caminarono.

 

Hipervio duodecimo figliuolo di Marte.

Afferma Plinio nel libro dell'historia naturale Hipervio essere stato figliuolo di Marte, del quale non mi ricordo haver letto altro, eccetto quello, che l'istesso Plinio dice cioè, ch'egli fu il primo, che ammazzasse animal alcuno; & però perche ciò parve opra crudele fu detto figliuolo di Marte.

 

Etholo decimoterzo figliuolo di Marte.

Secondo l'istesso Plinio, Etholo fu figliuolo di Marte; & il dardo fu sua inventione. Credo io, che questo Etholo fosse Re d'Etholia, & che da lui si nomasse quella regione, nella quale essendo gli huomini molto armigeri, & egli Etholo bellicosissimo, da essi Etholi fu detto figliuolo di Marte.

 

Remo decimoquarto, & Romolo decimoquinto figliuoli di Marte.

Remo, & Romolo, overo Romo; si come affermano gli antichi Romani, furono figliuoli di Marte, & di Ilia vergine Vestale. Onde nel libro de' Fastis, narra Ovidio, che Ilia essendo andata con una urna a pigliar dell'acqua per li sacrifici, & lassa sotto un salice essendosi fermata, si addormentò; di che veduta da Marte fu impregnata: ma a quella dormendo parve vedere, che stando innanzi i fuochi vestali, le erano caduti nel fuoco le bende di lana, con le quali teneva il capo velato; onde di quelle nascevano due palme, delle quali l'una maggiore con i suoi rami s'inalzava fino al Cielo, & occupava tutto il mondo, le quali tentando il zio estirpare, dal Pico uccello di Marte, & da un Lupo erano difese. La onde per quel congiungimento da lei patito dormendo, havendo partorito due figliuoli, per commandamento d'Amulio Re d'Albani suo zio furono portati al Tebro per annegare, ma essendo cresciuto il fiume, & per le pioggie dianzi uscito del suo letto, non potendo gli essecutori giungere alla ripa, gli posero vicino a quella. Ivi essendo eglino alquanto nodriti da un Pico, sovragiunse una Lupa, che havea perduto i suoi figliuoli: la quale ritrovando questi fanciulli, in vece de i suoi, incominciò porgerli le mammelle, & allevarli. La ragione di questo figmento a bastanza si comprende ne gli annali de Romani. Egli si ha per cosa certa, che Ilia d'incerto padre in un parto istesso partorisse Remo, & Romolo: onde in questo modo le bende, che dinotavano il testimonio della verginità caderono nel foco. I due figliuoli furono le due palme, perche restarono vittoriosi, ma l'uno piu dell'altro, cioè Romolo, che fondò l'imperio Romano, al cui, per le sue, & de i suoi, vittorie fu soggetto tutto il mondo. Contra questi volse far forza crudele il zio, mentre comandò che fossero annegati. Dissero poi, che furono nodriti da un Pico, perche il Pico vive di formiche, per le quali s'intendono gli agricoltori, cosi eglino raccolti da Faustulo pastore, ch'era anco agricoltore, furono serbati, & da una Lupa anco allevati, attentoche da Accha Laurentia moglie di Faustulo furono lattati, & con materna cura governati, la quale chiamarono Lupa, percioche fu nobile meretrice, & queste tali si dicono lupe per l'avaritia, per cui hanno gittato da parte la pudicitia; onde fino al dì d'hoggi le habitationi di queste tali si nomano Lupanari. Che poi siano stati da Marte generati, questo n'è stato aggiunto per coprire la infame origine de i Prencipi di cosi inclito legnaggio; il che si conviene anco a i costumi di questi giovani, percioche furono rapaci, rubatori, animosi, & molto bellicosi, de quali Tito Livio dice, Che Amulio havendo spogliato del Reame il fratello Numitore, ammazzò Lauso figliuolo, & (per levare ogni speranza di prole) tra le vergini vestali pose Ilia, la quale havendo partorito due figliuoli, & per comandamento d'Amulio essendo esposti, da Faustulo consapevole delle cose furono allevati & fino all'età giovanile nodriti, i quali dando opra a rapine, & ladronezzi furono fatti consapevoli della loro progenie, & dello inganno d'Amulio; onde per vendicarsi, ordirono tra loro una trama, & fecero, ch'uno di quelli come prigionero, & malfattore da suoi compagni fu condotto innanzi ad Amulio, & l'altro come accusatore vi comparse medesimamente. Di che come furono ivi, amenduo si mossero contra Amulio, & l'amazzarono, indi facendo palese ad ogn'uno di chi erano figliuoli, al vecchio Numitore suo avo restituirono il reame. Ma eglino dove hora è Roma edificarono una Città: & mentre l'uno, & l'altro di loro voleva dar nome a quella; fecero tra loro una tal conventione, che ciascuno andasse sopra un monte diverso, & quello, che pigliasse migliore augurio, imponesse il nome alla Città. Onde avenne, che Remo vide sei avoltoi, & Romolo dodici, per la qual cosa perche ne vide piu da se chiamò la Città Roma. Remo poi, perche andò sopra un argine designato in loco di muraglia contra il volere, & edito di Romolo, overo per altra cagione, da Fabio Capitano di Romolo fu morto. Et sono di quelli, che istimano, ch'egli fosse sepolto nel loco, dove passò il termine della muraglia, che si haveva a fare, & al dì d'hoggi mostrano una Piramide nel muro con sassi in alto fabricata sopra il suo corpo edificata.

 

Romolo decimoquinto figliuolo di Marte.

Romolo fu figliuolo di Marte & d'Ilia, si come di sopra è stato detto; benche Servio dica, che costui fu chiamato Romo, ma che poi per vezzi fu detto Romolo, attentoche le carezze suonano molto meglio ne i nomi diminutivi. Questi fu il primo Re de i Romani, huomo di maniera bellicosissimo, che meritevolmente fu tenuto figliuolo di Marte, percioche unqua non riposò. Costui per forza soggiogò a sua ubbidienza molti circonvicini popoli. Et perche fu huomo di guerra, havea instituito pochi sacrifici appresso quel popolo novo, che egli haveva adunato d'huomini fuggitivi, & ladroni, a quali concesse le donne Sabine per inganno prese. Ma tra gli altri sacrifici havea ordinato i Laurentali per questa cagione (si come dice Macrobio) perche (secondo, che riferisce Macrobio nel libro dell'historia) la moglie di Faustulo Acca Laurentia nutrice di Romolo & Remo (regnando Romolo) si maritò in un certo Carutio Toscano molto ricco: onde morendo quello, & essendo ella per la facultà di Carutio restata molto ricca, lasciò suo herede Romolo da lei nodrito. Di che egli in segno di tal amore instituì la festa Laurentale. Altri pensano diversamente, dicendo, che non da Romolo, ma da essa Acca Laurentia questo fu introdotto, & da Romolo mantenuto; la qual opinione pare, che si confermi con l'auttorità di Fulgentio, che nel libro de gli antichi Sermoni, cosi dice.  Acca Laurentia nutrice di Romolo fu solita per li terreni una volta l'anno sacrificare con dodici suoi figliuoli, che andavano innanzi il sacrificio: onde essendone morto uno, per bontà della nutrice Romolo permise succedere in vece del defunto. Onde la usanza continuò con dodici, & questi dodici, che sacrificavano da indi in poi furono detti fratelli agrarij, si come Rutilio Gemino ne i libri Ponteficali ricorda. Oltre ciò Romolo fu il primo, che a Romani ordinò lo anno di diece mesi: il primo de quali dal padre Marte chiamò Marzo. Appresso instituì cento padri, i quali nominò senatori, & quelli, che nascevano di questi tali erano detti gentil huomini. Indi acquetata la guerra con Sabini per lo rapire delle donne, divise il popolo in curie, & descrisse tre centurie di Cavalieri, & ordinò molte altre cose piu tosto appartenenti a tempo di guerra, che di pace. Ultimamente essendo divenuto illustre per molte vittorie; mentre appresso le paludi Capree faceva una oratione al suo essercito; nata una subita tempesta, & pioggia con horrendi tuoni, & folgori dal Cielo; da un nembo oscuro fu coperto di maniera, che fu tolto d'innanzi al popolo, nè poscia mai piu fu veduto in terra. Di che fu creduto, che egli fosse stato da i Senatori amazzato; percioche pareva, che favorisse piu alla plebe; & che il corpo suo fosse gittato nelle paludi. Ma poscia che la plebe per tema della nobiltà alquanto tacque (da alcuni essendosi dato principio) incominciarono salutarlo, & chiamarlo Dio, nato di Dio, Re, & padre della Città di Roma, & farli voti. La qual stolta opinione dicono, che fu confermata per consiglio d'un nobile huomo. Percioche Giulio Procolo, il quale fu tenuto della stirpe d'Enea; con Remo, & Romolo, lasciata Alba; era venuto a Roma: onde nella Città sollecita di sapere con desiderio nuova del perduto Re, montò in renga, cosi dicendo; Romolo, o Quiriti; padre di questa Città, questa mattina nell'alba venuto di Cielo in terra m'apparve, & standomi innanzi con quel venerabile aspetto in questo modo parlommi; Levati, & annuncia a i Romani, a i Dei essere piacciuto, che la mia Roma sia capo delle terre del Mondo: onde ch'essercitino la militia, & che faccino sapere a i posteri, che alcune ricchezze humane non potranno resistere all'armi Romani. Cosi havendomi detto questo, ritornò in Cielo. Di che avenne, che sotto nome di Quirino; percioche egli vivendo con un'hasta, che in lingua Sabina si chiama Quiris, caminava, fu chiamato, & tenuto Iddio. Nondimeno Plinio dove tratta de gli huomini illustri, dice, che Romolo da Curi castello de i Sabini chiamò i Romani Quiriti. Morì egli doppo, c'hebbe regnato anni trentasette, & incominciò regnare ne gli anni del mondo quattro mila, quattrocento, quarantacinque, si come scrive Eusebio nel libro de i tempi. Et perche egli è stato l'ultimo de i ritrovati nella prole di Marte, piacemi insieme con lui dar fine al Nono Libro.

 

Il fine del Nono Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO DECIMO.

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Credettero gli antichissimi huomini, ò famosissimo dei Re, il mare Mediterraneo terminato dal lito d'Africa, di Asia, & Europa, chiarissimo per mille isole, per opra di Hercole tra Abila, & Calpe promontorij Occidentali, i quali Pomponio chiama Colonne d'Hercole, dall'Oceano essere stato mandato alle nostre terre, & a noi fatto navigabile. La onde (cosi provedendo Iddio per sua liberalità a nostri bisogni) gran beneficio a mortali è seguito. Percioche maravigliosa cosa è riguardare (concedendo ciò la gratia divina) le navi imaginate da ingegno humano, & per arteficio fabricate hora a remi solcando l'onde, & hora con le vele gonfiate dal prospero soffiar de venti portare ogni gran peso. Che maraviglia poi è pensare all'ardir di coloro, che si diedero in preda ad onde non conosciute, & a non provati venti? Veramente ch'io mi spavento.

Nondimeno è tanta la securtà di questi tali, ò della fortuna, che gli aita, che se bene non sempre, almeno per lo piu con lontani viaggi passando i mari, non dirò correndo, ma quasi velocemente volando sono venuti carichi d'oro, & d'altri metalli, di vesti di porpore, di speciarie, di pietre pretiose, d'avorio occidentale, d'uccelli peregrini, di balsami, di legni, che non nascano nelle nostre selve, di gomme, & d'altri sudori d'alberi, di radici, che non germogliano in ogni paese; dalle quali cosi ai sani come agli infermi corpi seguono infinite medicine, & rimedi. Ma quello, che è molto utile, & che è stato piu grato a tutti il genere humano, è stato, che per mezzo di tali navigationi: è nato che si è passato fino all'altro circolo del Mondo, & cosi si è venuto in cognitione quali siano gli Arabi, quale il mar rosso; quello, che sudino le selve Sabee; passar il Tanai, & l'Hircano; conoscer l'Hesperide Atlantici, & gustare i loro aurei pomi; veder gli aridi Ethiopi, il Nilo, i Libici termini, il freddo Hiperboreo, & i Sarmati. Cosi l'Hispano e il Moro è visitato, & visita altri; & si passa in Persia, in India, nel Caucaso, nell'ultima Tile et nei liti Taprobani; onde l'un con l'altro facendo delle loro merci contrati, aviene, che non solamente riguardino i costumi, le leggi, & gli habiti degli altri, ma se bene sanno, si puo dire, che l'uno sia d'un mondo, & l'altro d'un altro, & tenga, che un istesso Oceano non circondi l'uno, & l'altro, la consuetudine, & la conversatione opra che habbiamo fede l'uno in l'altro nelle conventioni, & mercatantie. Onde fanno insieme amicitie, & mentre insegnano ad altri i suoi linguaggi, medesimamente anco eglino apprendono gli altrui; di che nasce, che quelli, che la distanza dei luoghi havea fatto stranieri, la navigatione gli renda concordi, & vicini. Oltre ciò vi sono molte altre cose, le quali se bene per maraviglia non sono tanto notabili, sono forse per l'utilità continua molto piu care. Questo mare con i suoi lembi concede infinite commoditadi de' pesci, onde aviene, che le laute mense de' ricchi s'ornano di pesci delicati, & i poveri si nudriscono dei piu vili. Appresso, se si mostra tranquillo, dalle isole abondanti sono portate da un luogo all'altro pecore, giumenti, biade, & altre cose necessarie al vivere humano. Egli è buono per far lavande agli infermi, & sani, & col suo sale acconcia le cose insipide; rende humide le circonvicine, & col suo girar sotterra per tutti gli additi, & luoghi empie d'acque ogni cattaratta, onde nascono poi i fiumi, & i fonti; de' quali, se anco poi non fosse ricettatore, si converrebbono marcire, & putrefare nelle valli, & generar a noi morbo mortale. Che starò io a raccontar tante cose? Questo cosi singolar bene a tutti (come finsero gli antichi Poeti) nella divisione del Reame tra tre figliuoli di Saturno toccò a Nettuno, & di quello fu chiamato Dio; del quale, perche sono per narrare la discendenza, m'è piacciuto aggirarmi alquanto d'intorno i benefici suoi. Ho veduto, che mentre sono andato navigando a ricercare le posterità d'altrui, ch'egli senza pericolo della mia barchetta mi ha lasciato solcare; hora che io cerco la sua, mi si devrebbe mostrar tranquillo. il che prego faccia colui, che in un lembo della veste sul lito lo raccolse.

 

Nettuno nono figliuolo di Saturno, il quale leggiamo c'hebbe trentacinque figliuoli, dei quali questi sono i nomi: Dori, Amici, Phorco, Albione, Borgione, Tara, Polifemo, Tilemo, Bronte, Sterope, Pirrammone, Nasicheo, Melione, Atterione, Aone, Mesappo, Busiri, Pegaso, Nitteo, Irceo, Pelio, Neleo, Cigno, Chrisaore, Otto, Ephialte, Egeo, Onchesto, Pelasgo, Nauflio, Celleno, Aello, Occipite, Sicano, & Siculo.

Nettuno fu figliuolo di Saturno, & Opi; il quale subito che fu nato dalla madre fu nascosto affine, che da Saturno non fosse morto, si come nella historia sacra si legge. Gli antichi chiamarono costui Dio del mare; il che per li versi di Marone è manifesto, mentre dice.

 


Partitevi con fretta, & riportate

Al vostro Re; ch'a me toccato a sorte


Ha l'imperio del mare, e il fier Tridente.

 

Ilche forse s'è tolto da Homero, mentre in persona di Nettuno cosi nella Iliade parla

 


Tre fratelli figliuoli di Saturno

Noi siamo; i quali ha partorito Rhea.

Il primo è Giove, & il secondo io sono,

Il terzo è Dite, ch'in Inferno regna.

In tre parti ogni cosa habbiam diviso;

Ha toccato l'honore a chi è piacciuto.

Ma certamente a me toccato ha sempre

Habitar ne l'antico, & alto mare


Senza potermi mai d'indi partire.

 

Oltre ciò, Alberigo dice, che di costui fu moglie Anfitrite, & che hebbe una bellissima successione di figliuoli, ma di piu mogli. Et essendo stato attribuito una carretta, & compagni, a qual partito egli se ne vada elegantemente Virgilio il descrive, dicendo.

 


Ai superbi destrieri il carro aggiunge,

E i fren schiumosi pone; & da le mani

Lascia tutta cader la briglia, & vola

Col nero caro sovra il mar liggiero.

Stan salde l'onde, & sotto il grave peso

L'acque sue il mare parimente estende.

Fuggon da l'ampio ciel gli oscuri nembi.

Vengono in compagnia varie sembianze,

Smisurate Balene, e i Cori antichi

Di Glauco, Inoo, e Palemone, e i presti

Tritoni; indi l'essercito di Phorco

Sostenta poi da man sinistra Theti,

Et Melite, & la vergin' Panopeia,

Nisee, Spico, Thalia, & Cimodoce.


 

Ma Statio altrimenti descrive il suo incesso, & caminare, mentre dice.

 


Si come fa Nettuno allhora quando

Da la spelonca d'Eolo uscir fa fuori

I fieri venti, & sopra il mare Egeo

Accompagnato vien da rei ministri.

Stanno d'intorno lui i nembi, e i verni,

I nuvoli profondi, atri, & oscuri.


 

Oltre ciò, questi hebbe lite con Minerva sopra l'imporre il nome ad Athene; il che a pieno essendo da noi stato dichiarato dove s'è parlato di Minerva, hora come superfluo il lasciaremo. Cosi anco delle mura di Troia da lui, & da Apollo edificate nel capitolo di Laumedonte se ne è parlato. Vogliono appresso ch'egli sia stato allievo di Giunone, & che in luogo di scettro porti il Tridente, & i fondamenti delle cose esser sacrati a quello. Ma hora parmi esser da vedere ciò, che la stolta antichità sotto questo habbia compreso. Nettuno è stato finto Dio del mar, perche questo si legge nella sacra Historia. Giove dà l'imperio del mare a Nettuno accioche regnasse in tutte l'Isole, & tutti i luoghi, che sono appresso il mare. Di qui i Poeti, poscia per haverlo l'historico chiamato Re, l'hanno finto Iddio; la qual fittione di maniera crebbe, che anco quelli ch'erano tenuti prudenti da si sciocca credenza furono presi. Dissero poi Anfitrice esser di lui moglie, percioche sempre col mare è congiunto un suono, che in ogni luoghi dei liti s'ode ove l'onde battono la terra; & però Anfitrice è detta da Anfi, che significa circa, & Criton, che vuol dir suono del mare, onde viene ad essere consonante. Gli è attribuito il carro per designare il suo movimento nella superficie, il quale si fa con una rivolutione, & rumore, come proprio fanno le ruote d'un carro. Del suo caminare, & della sua compagnia (il che da Virgilio è scritto) si può far coniettura dall'uso, & natura del mare quando ritorna tranquillo. Da Statio poi è descritto il contrario, cioè quando il mare diviene pieno di procelle. E poi stato detto il mare esser stato allievo di Giunone perche l'aere dall'acque riceve accrescimento, si come è stato narrato dove s'è parlato di Giunone. Il Tridente invece di scettro a lui conceduto dinota la triplice proprietà dell'acqua, cioche è corrente, navigabile, & buona da bere. I fondamenti poi sono sacrati a lui perche per opra sua la terra si move, là onde da Homero spesissime volte è chiamato Ennosigeos , che significa l'istesso, che movente la terra; di, che per ciò gli insipidi volsero quello che a lui era sacrato da lui dover essere serbato. O quanto poco haveano letto quel detto di Davite; Se il Signore non havrà edificata la casa, in vano s'affaticheranno quelli, che la edificano, & spetialmente quelli, che commetteno i fondamenti a Nettuno, non essendo nessuna cosa stabile se non si fonda sopra la pietra, & questa pietra è Christo. Il chiamano Nettuno, come dice Rabano, & Isidoro, perche il mare cuopre la terra. Overo come vuole Alberigo è detto Nettuno a Nando , perche le cose, che sono in lui nuotino; il che tengo da farsi beffe, volendo a un non pensato nome di Re attribuire tali espositioni.

 

Doro primo figliuolo di Nettuno.

Doro (secondo Servio) fu figliolo di Nettuno; il quale altri vogliono, che regnasse nelle parti di Grecia, & in ogni cosa essere stato di tanta autorità, che tutti appresso quali signoregiasse dal suo nome fossero chiamati Dori. Ma Isidoro nelle Ethimologie, & Rabano nell'origine delle cose dicono, che Doro fu figlio di Nettuno, & Elope, & ch'il nome dei Dori, & l'origine loro è venuta da una parte della Grecia dalla quale anco s'è cognominata la terza lingua greca, che si chiama Dorica. Perche costui sia detto figliuolo di Nettuno, ci pare questa ragione. Primieramente, può essere cosa possibile che egli sia stato figliuolo di Nettuno Re, & che si per sua virtù come per auttorità del padre venisse in gran credito, come suole avenire. Et di questo sia detto assai. Oltre ciò gli antichi furono soliti, & spetialmente quelli ch'erano d'animo generoso, partirsi dai propri paesi, & andar altrove ad habitare, alle volte volontariamente per disio di gloria et alle volte cacciati da seditioni, ò da altra necessità constretti. I quai, perche alle volte i monti non erano per tutto facili a passare, & i boschi si trovavano per l'antichità pieni di sterpi, & i liti volentieri erano habitati, si mettevano in mare sopra qualche Navilio a ricercare alcuna isola ò lito, & dove arrivavano occupando il lito ò essendo benignamente dagli habitatori raccolti, se per openione dei popoli mostravano segno di divenire illustri, & famosi, se bene della sua origine non si sapeva altra notitia, pur che fossero venuti per mare non solo gli facevano suoi Re, ma anco per piu agrandire la gloria della sua origine subito gli chiamavano figliuoli di Nettuno. Se forse simili huomini fossero venuti per terra, dicevano ch'era figliuolo della terra; il che a molti essere avenuto testimonia la roza antichità. Et accioche tante volte non si replichi simile parlamento, cosi s'intenderà degli altri figliuoli di Nettuno, non se ne mostrando però altra ragione.

 

Amico figliuolo di Nettuno, che generò Buthe.

Amico fu figliuolo di Nettuno, & Melite ninfa (secondo Servio), il qual vuole, che combattendo con Polluce restasse vinto. Il che Lattantio piu apertamente narrando dice che, essendo arrivato Polluce con gli Argonauti al boscho Brebitio; Amico Re dei Brebitij provocò al contrasto di Cesti Polluce, attento, che sotto specie di tale invito, & provocatione egli soleva amazzare tutti quelli, che capitavano al Bosco Brebitio. Avenne che, havendo Amico in tal contrasto condotto Polluce, restò vinto; onde volendo si come era solito fare agli altri usar la violenza, Polluce chiamò i suoi compagni, & lo amazzò. Theodontio dice, che costui fu figlio di Nettuno, & Melantone, figliuola del vecchio Proteo. Ma io crederò piu tosto a Servio, dicendo Leontio ch'egli venne dall'Isola di Malega non lontana da Sicila ivi, & occupò per forza il regno di Brebitia. Il paese di Brebitia è quello, che poscia è stato detto Bithinia, vicina a Troade.

 

Buthe figliuolo d'Amico, che generò Erice.

Buthe secondo Theodontio fu figliuolo di Amico Re di Brebitij; il quale, dice Leontio, amazzato il padre da gl'Argonauti fu cacciato dal Reame: onde volendo ritornare a Malega per ricuperare il Reame toltogli, dopo alquanto haver errato per strani viaggi sopra un picciolo legnetto giunse a Trapani, dove fu benignamente raccolto da Licaste, nobile, & bellissima meretrice a quel tempo, il quale essendo bello di modi, & di presenza, & di costumi, & di giovanezza, leggiermente da lei fu amato. Di, che usando con lei n'hebbe un figliuolo chiamato Erice. Et perche Licaste per la singolar bellezza, & essercitio meretricio dagli habitatori era chiamata Venere, la favola hebbe luogo, cioè, che Buthe havesse di Venere Erice.

 

Erice figliuolo di Buthe.

Erice (come piace a Theodontio) fu figlio di Buthe, & Venere. Ma Servio dice di Nettuno, & Venere, & essere stato nel numero degli Argonauti; onde dice, che Venere andando a diporto per lo lito di Sicilia da Nettuno fu impregnata, & partorì Erice: il che alle cose predette male si conface, benche si potrebbe dire Buthe essere stato un huomo straniero, & dal mare travagliato, & per ciò detto Nettuno. Questo Erice regnando in Sicilia, & essendo di forze molto potente havea fatto una legge, che tutti quelli ch'ivi capitavano dovessero con i cesti combatter seco; il quale alla fine vinto da Hercole, che ritornava di Spagna se ne morì. Ma Theodontio continuando la historia della generatione di costui dice, che costui, si per heredità degli avi suoi come per acquisto di molte ampie ricchezze di Licaste meretrice, ampliate anco dalle forze di Buthe, in quella parte della Sicilia possedeva un ampio Stato. Onde morendo Licaste, si per lo thesoro come per lo notabile titolo della madre, benche falso, levatosi in superbia si fece Re di quel luogo; & sulla cima di quel monte vicino a Trapani fece edificare un gran tempio, & alla madre sacrarlo, chiamandolo il tempio di Venere Ericina. Finalmente divenuto tropp'insolente da Hercole fu morto, & sepolto nel monte dove alla madre havea edificato il tempio.

 

Forco terzo figliuolo di Nettuno, che generò Batillo, Thoosa, Scilla, Medusa, Stennione, & Euriale.

Forco (secondo Servio) fu figliuolo di Nettuno, & Thoosa. Dice Varrone, che costui fu Re di Corsica, & Sardigna, & che da Atlante Re in una battaglia maritima fu vinto, & gran parte della sua gente distrutta. Là onde i compagni, che restarono per sua consolatione dissero quello essersi converso in un Dio marino; & cosi fu detto Dio del mare col favore delle poetice fittioni, che per tale l'approvarono. Onde in tal modo pare, che Forco con simil rotta s'acquistasse il nome d'Iddio.

 

Batillo figliuolo di Forco.

Batillo (secondo Theodontio) fu figlio di Forco monstro marino; del quale, benche dica alcune altre cose, nondimeno per le lettere rose dal tempo non ho visto altro, né altrove altro letto.

 

Thoosa figliuola di Forco, & madre di Polifemo.

Dice Servio, che Thoosa fu madre di Forco; ma Homero nell'Odissea vuole, che fosse figliuola, cosi dicendo;

 


Antiteo Polifemo, che di forza

Tutti gli altri Ciclope a pieno eccede

Fu partorito da Thoosa ninfa.

Generata da Forco Dio marino.


 

Onde si vede, che costei fu figliuola di Forco, & partorì Polifemo Ciclope di Nettuno. Né per ciò ci nuoce quello, che dice Servio, perche può essere, che due donne in un medesimo tempo fossero d'un istesso nome, l'una delle quali figliuola, & l'altra madre di Polifemo.                                                                                                                                                                                                              

 

Scilla figliuola di Forco.

Scilla secondo Servio fu figliuola di Forco, & Croteide ninfa, laquale, come dice Ovidio, fu amata da Glauco, della città d'Antidone Dio marino; & perche egli faceva piu stima di lei, che di Circe figliuola del Sole, che di lui era innamorata, Circe infettò con veneni di maniera la fonte dove Scilla era solita lavarsi, che entrando Scilla in quella secondo la sua usanza per bagnarsi, subito sentì cangiarsi in varie forme; di, che havendo a schifo, & noia la sua propria deformità, si gittò nel mare ivi vicino, & per opra di Glauco suo amante fu conversa in una Dea marina. Altri dicono che fu fatta monstro marino, la cui forma cosi descrive Virgilio.

 


V'è una spelonca, che nasconde Scilla

Che trahe le navi in sassi, & duri scogli.

È donna nell'aspetto, & il suo petto

Par di bella donzella; ma l'avanzo,

Del corpo è fier delfin, & ha la coda

Di lupo, e appresso del Pachin dimora.


 

Ma Homero con un lungo ordine di versi altrimenti nell'Odissea la descrive in questa forma, dicendo, che ella abbaia, & ha la voce di Cagnolino poco fa nato; è d'aspetto horribile, ha dodici piedi con sei capi, & in ogni capo una gran boccha con tre ordini di denti pieni d'oscura morte, & che dimora in una spelonca; dove in quella stando stende fuori il capo nel profondissimo mare, & pesca per prendere Delfini overo Balene. Ma Leontio recita un'altra favola di Scilla differente dalla superiore. Dice egli che, congiungendosi Scilla con Nettuno, Anfititre sua moglie mossa da gelosia infettò l'acque dove Scilla era solita lavarsi, & cosi fece ch'ella si cangiò in fiera Cagnina, la quale fu poi amazzata da Hercole, che ritornava d'Hispagna carico di preda, estinto il Gerione, percioche ella gli havea rubato i buoi; ma il padre di lei la ritornò in vita. Hora lasciate queste cose, egli è da dichiarar quello, che sotto queste favole si nasconda. Sono di quelli, che istimano già nel lito di Calavria, con un stretto canale dal mare Siciliano partito, esservi stato una bellissima donna straniera, & molto vaga, la quale se bene si dava in preda alle lascivie, & libidini, nondimeno usava ciò con maestria tale, che pareva nei gesti, & atti una donzella overo castissima donna; di che con simile arte allacciava i malaccorti viandanti, & delle sostanze gli spogliava, onde di qui la favola hebbe principio. Fulgentio poi espone questa fittione in senso piu morale dicendo, che Scilla in greco è quasi detta Exquina , che appresso noi si dice confusione; onde, che altro è confusione eccetto libidine? La quale libidine ama Glauco. Glauco poi in greco si dice Lustitio, di, che noi chiamiamo Glafeomata cecità; adunque ogni uno che ama la lussuria è Cieco. Percioche fu anco detto figliuolo d'Anthedone, & Anthedon in greco è quasi l'istesso, che Anthudon ; il che noi chiamiamo veggente il contrario. Adunque la cecità nasce dal veder torto, cioè da cosa contraria al vedere. Scilla poi è posta in modo di meretrice, perche è necessario ch'ella meschi i suoi libidinosi membri con cani, lupi, & sporchi huomini. Giustamente adunque è congiunta con lupi, & cani. Si dice, che Circe la odiò, perciò che Circe quasi detta Cyrenere s'espone operatione, & fatica di mano; onde viene a nascere, che la libidinosa donna non ama le operationi né le fatiche. Questo dice Fulgentio. Glauco poi dove s'è detto di Circe è tolto per la schiuma del mare, della cui è abondante il monte Circeo nelle sue radici, per rispetto degli scogli d'intorno a' quali il mare battuto si frange; & cosi anco è lo scoglio di Scilla. Nondimeno dove di Circe si tratta, se n'è detto assai. Ma Salustio dice quel sasso esser simile ad una forma perforata a chi il vede di lontano. Si è poi finto cani, & lupi esser nati di lei perche sono luoghi pieni di marini monstri, & l'asprezza di sassi ivi imita il latrar de' cani. Ma noi pian piano vegniamo ad accostarci alla spositione del figmento. Egli è certissimo da una parte d'Italia d'inanzi il lito Tauromentano esservi grandissimi sassi cavernosi, acuti, & che a guisa di rasoi tagliano, che s'estendeno fino nel mare di Sicilia; dove con quel movimento, che l'Oceano continuamente è vessato dal flusso, & reflusso, di maniera col corso veloce, & impetuoso soffiando dall'Arthoo verso Austro i venti, & cosi dall'Austro verso l'Arthoo, con tanto impeto l'onde tra sé si percuoteno, che con le sue percosse pare, che ascendano al Cielo; onde da tanto impetuoso movimento nasce, che entrando l'onde nelle grotte di Scilla si cagioni un rumore, horrendo, il quale di qua, et di là partito, & rotto s'assimiglia al latrar de cani, & all'urlar de lupi; & perche l'acque sempre declinano nel vacuo, aviene, che discendendo quelle nelle caverne di Scilla, impeto è cosi possente, che se trova navilli seco gli trahe. Et cosi per la verità degli effetti si vede la fittione di Virgilio. Ch'ella poi (secondo Homero) habbia molti capi, ciò non è altro, che i molti scogli che sono ivi, i quali stando eminenti è di necessità, che anco habbiano buon fondamento; il che s'intende invece de' piedi. Le molte bocche, & gli ordini dei denti non s'intendono pealtro, che per le spesse schiume, che ivi con l'onde percuoteno, i quali sono piedi d'oscura morte, cioè di pericolo d'affogarsi a chi ivi entra. Che anco ella peschi a Delfini, & balene, ciò è stato detto perche quel luogo è sempre pieno di grandi, & monstruosi pesci. Quello, che poi diceva Leontio, Scilla congiungersi con Nettuno, è cosa manifesta, percioche come si vede il sasso s'estende nel mare, & perche ivi sempre è fortuna, & continuo strepito, è stato finto, che da Anfitrite l'acqua fosse infettata. Che poi Hercole la amazzasse, dice Theodontio ciò essere stato finto perche il figliuolo di Ciclope tra i sassi di Scilla morì; là onde per sua vendetta il Ciclope gittando ivi grandissime machine di sassi chiuse le bocche di Scilla, & fece il mare navigabile, & per ciò Scilla fu detta esser morta. Nondimeno in processo di tempo trahendo in sé il mare tutte quelle machine ivi gittate, ritornò il luogo nella primiera forma, & cosi da Forco la figliuola suscitata. Dice Theodontio, che Filocoro afferma Scilla stata figlia di Forco, & che partendosi di Sardigna per andar a marito in Corintho (percioche era stata data per sposa a Steleno nobilissimo giovane Corintho) ivi se ne morì, & a quel luogo lasciò il suo nome.

 

Medusa, Stennione, & Euriale, Gorgoni & figliuole di Forco.

Medusa, Stennione, & Euriale furono figliuole di Forco, & d'un monstro marino, si come dice Theodontio. Queste furono dette Gorgoni, & secondo l'antica fama tra tutte non havevano piu, che un'occhio, il quale adopravano mo' l'una mo' l'altra. Et si come scrive Pomponio Mela nella Cosmografia possedettero l'isole Dorcadi, le quali si trovano esser nell'Oceano d'Ethiopia dirimpetto degli Ethiopi hesperidi; ilche pare, che Lucano dimostri dove dice.

 


Negli ultimi confini, ove la Libia

Ardente region riceve in grembo

L'Oceano, che dal Sol percosso è caldo,

Gli ampi terreni di Medusa figlia


Di Forco ivi son sparsi, & dominati.

 

Oltre ciò dicono queste tali haver havuto tal proprietà, che chi le riguardavano si cangiavano in sassi. Vuole Ovidio, che queste fossero solamente due, ove dice;

 


Ove habitaron già le due sorelle

Figlie di Forco, c'hebbero per sorte,


Tra tutte una sol luce, e un occhio solo.

 

Et questo basti in quanto a tutte tre. Hora ci piace dichiarar il senso delle fittioni. Et prima non tengo io, che queste fossero figlie di Forco Re di Sardigna del qual di sopra s'è parlato, ma di qualche altro Forco ch'a quel tempo nell'isole Dorcadi regnava. Istimo, che fossero chiamate figliuole d'un monstro marino dalla simiglianza, perche la balena è monstro marino tra le cui proprietadi, dicono quelli c'hanno ricercato le nature degli animali, ella haver questa, che aprendo la bocca empie di tanto odore il tutto, che tutti i pesci se le avicinano, onde ella ne piglia quelli, che vuole fino attanto, che si satolla; di, che medesimamente le figliuole di Forco con la maravigliosa sua bellezza trahevano a vederle tutti gli huomini, & però furono dette figliuole d'un monstro. Che poi havesse un'occhio solo, Soreno, & Dionigdo scrittori delle antichità dicono ch'eglino credeno ciò esser stato finto perche erano d'una istessa egual belleza. Ma io tengo, che ciò fosse detto perche una istessa openione, & giudicio fosse di tutti quelli, che le vedevano. Che poi cangiassero in sassi chi le mirava, istimo questo esser stato trovato percioche cosi grande fosse la loro bellezza che, veduta quella, ogn'un restasse stupido, mutolo, & immobile, non altrimenti, che insensibil sasso. Furono dette Gorgoni perche, secondo Theodontio, morendo il padre, & restando ricchissime, di maniera hebbero cura delle loro facultadi che, accresciute molto in ricchezze; da i suoi furono chiamate con tal cognome; il che risona ministre della terra, percioche in greco Georgi significa agricoltori. Ma Fulgentio ha diversa opinione. Dice egli esservi tre sorti di terrore, le quali per questi nomi si dimostranno. Stennio s'interpreta debilità, cioè principio di timor, che solamente debilita la mente; Euriale poi è l'istesso, che ampia profondità, cioè stupore overo uscir di se; la quale con un certo profondo terrore occupa la mente debilitata. Medusa poi significa oblio, laquale non tanto turba l'apparenza della mente, ma etiandio impone una nebbia al vedere; questo terrore opra in tutti. Ma serbando sempre riverenza a Fulgentio, queste cose non ci paiono conformi all'intentione dei fingenti, perche queste non apportano terrore ma maraviglia.

 

Medusa figliuola di Forco in particolare.

Medusa si come è stato detto fu figlia di Forco, & essendo tra tutte l'altre donne bellissima, (secondo Theodontio) tra l'altre sue qualitadi, & bellezze hebbe i capelli non pur biondi, ma d'oro; del cui splendor innamorato Nettuno, giacque seco nel Tempio di Minerva, dal qual congiungimento nacque il cavallo Pegaseo. La onde Minerva sdegnata, accioche la ignominia fatta al Tempio non restasse invendicata, cangiò i capelli di Medusa in serpenti, & cosi di bella divenne monstruosa. Della qual mutatione volando la fama in ogni parte, avenne, che Perseo armato con lo scudo di Pallade venne per vincer questo monstro, & cosi gli tagliò il capo; onde volando verso la patria, & portando seco il capo di Gorgone, occorse, che cadendo le gocciuole del sangue per li diserti di Libia di quelli nascessero serpenti, de' quali n'è piena la Libia. Istimo esser stato finto, che Medusa havesse i crini d'oro affine, che comprendiamo quella esser stata ricchissima, intendendosi per li crini le sostanze temporali. Per queste sostanze adunque Nettuno, cioè un huomo straniero come fu Perseo, si condusse in concupiscenza di lei, & usò seco nel tempio di Minerva, cioè supera lei fra i termini del prudente consiglio; il che anco si dimostra per lo scudo di Pallade ch'era cristallino, affine, che per quello si comprenda il riguardo, & avertenza del prudente. Percioche ha questo cristallo per dimostrar a gl'occhi di chi il mira quello, che dopo di sé si opra; cosi anco il Capitano discreto col consiglio avertisce quello, che gli inimici ponno essequire, & cosi s'assecura, mentre rende vani i loro pensati consigli. Dal congiungimento del prudente, & straniero duce nasce il caval Pegaso, cioè la fama, si come apertamente si vedrà dove si tratterà di lui. I crini si cangiano poi in Serpi ogni volta, che ciascuno per la ragione delle sue sostanze viene opresso, percioche quelle cose, che solevano esser cagione del suo splendor si cangiano in mordenti sollecitudini, & pensieri. Allhora si leva il capo a Medusa, quando viene spogliato delle sostanze per le quai pareva poter vivere, & haver molta forza. Che poi i Serpenti nella Libia fossero generati dalle gocciuole del sangue ch'uscì del capo di Medusa, piu tosto per fermar meglio la specie della favola, che per altro istimo essersi detto. Testimonia Eusebio nel libro di Tempi questa Medusa da Perseo tratto per ingordigia delle sue ricchezze esser stata vinta, & spogliata delle facultadi, & Reame; & quel nel tempo, che Cecrope regnava in Athene, producendo per testimonio Didimo nell'historia peregrina.

 

Albione quarto & Borgione quinto figliuoli di Nettuno.

Albione, & Borgione, si come riferisce Pomponio Mela nel libro della Cosmografia, furono figliuoli di Nettuno; de quali recita questa favola. Dice, che passando Hercole per le foci del Rhodano, & per quei luoghi, che poi sono stati detti fossi Mariani: contra lui vennero Albione, & Borgione per impedirli il passo. Là onde Hercole seco combattendo, et mancandoli i dardi, chiamò in suo aiuto il padre Giove, che non li mancasse. Il quale dicono, che li diede aiuto in questa forma, facendo venire una pioggia di sassi; de' quali di maniera quel luogo n'è abondante, che leggiermente pensaresti esservi piovuto. Tengo io che questi tali fossero huomini valorosi, & stranieri, i quali ivi havendo fatto le sue habitationi, & temendo non n'essere scacciati, si fecero contra Hercole overo altro ch'ivi veniva, dal quale furono vinti; onde i sassi, che diffusamente sono sparsi diedero materia alla favola.

 

Tara sesto figliuolo di Nettuno.

Servio afferma, che Tara fu figlio di Nettuno, & dice ch'egli già vicino ai confini da Salentini edificò Taranto, famosissima città, attribuendole il nome suo; benche Giustino voglia ch'ella fosse fabricata da i bastardi de Spartani. Ma l'istesso Servio conferma, che da loro (capo Pallante) fu non edificata, ma restaurata.

 

Polifemo Ciclope settimo figliuolo di Nettuno.

Polifemo Ciclope, si come anco tutti gli altri Ciclopi, fu figliuolo di Nettuno, & Thoosa figlia di Forco, secondo, che s'è visto di sopra per Homero dove s'è parlato di Thoosa. Si trova tra tutti gli altri Ciclopi costui esser stato famosissimo, & potentissimo, & haver amato Galatea ninfa di Sicilia, si come si vede dove s'è detto di Galatea. Oltre ciò, vogliono ch'egli havesse un occhio solo, & che fosse huomo di grande statura, il quale nelle selve Siciliane havesse molti gregi; &, che ultimamente da Ulisse fosse privo dell'occhio. Di costui Homero nell'Odissea recita favola tale. Dice, che Ulisse vagabondo dopo la ruina di Troia, lasciati i Lotofagi, essendo venuto in Sicilia vide ivi un huomo rustico, & selvaggio, che mungeva i gregi, & della entrata della sua spelonca levava un sasso solo, che venti paia di Buoi non havrebbe potuto movere. Finalmente, essendo Ulisse insieme con dodici suoi compagni di nave entrato nell'antro di Polifemo, & narratogli chi eglino fossero, & onde venissero, dimandandogli appresso favore, & aiuto nelle sue necessitadi, dal Ciclope superbamente gli fu risposto, & detto, che non temeva Giove, & che di Giove era migliore. Indi interrogandoli dove havessero lasciato la nave, da Ulisse, che s'accorse della perfidia di Polifemo gli fu risposto, che la nave s'era rotta in mare, & che a caso ivi erano capitati. Di, che Polifemo in presenza di tutti gli altri prese due dei compagni, & vivi se gli trangugiò ingordamente. Là onde Ulisse impaurito havea pensato amazzarlo, ma considerando ch'egli non havrebbe potuto levare quella gran machina dall'entrata della spelonca, si restò. Ma venuta la mattina il Ciclope mangiò due altri de' compagni, & lasciando Ulisse con gli altri nell'antro, se n'uscì col grege fuori alla pastura. Onde Ulisse restato ivi rinchiuso assottigliò nella cima un gran bastone, & il coperse sotto il letame; & ritornando la sera il Ciclope, medesimamente mangiò due altri dei compagni. Et Ulisse, il quale insieme con i compagni quando entrarono nella spelonca havevano alcuni fiaschi di vino, appresentò uno di quelli a Polifemo, pregandolo, che gli havesse misericordia. Il Ciclope bevuto il vino promise di farlo se di nuovo gli ne portasse; il che un'altra fiata facendo Ulisse, quello gli dimandò il suo nome, & egli gli rispose ch'era chiamato Nessuno; al quale il Ciclope soggiunse: et tu Nessuno sarai l'ultimo, per premio della bevanda, che m'hai appresentato, ad essere divorato. Cosi havendo traccannato il buon vino, tutto ebbro s'adormentò; di, che Ulisse pigliato il palo nel letame nascosto, & affuccandoli la punta, diede animo ai compagni, che li aiutassero a cacciarlo nell'occhio al Ciclope. il che fatto, Polifemo per lo dolore svegliato incominciò fortemente gridare et chiamare in suo aiuto i compagni vicini alla spelonca, i quali stando fuori dell'antro et dimandandogli chi li desse noia, il Ciclope rispose Nessuno. I quali partendosi, istimando, che da naturale infirmità ciò facesse, gli dissero, che pregasse Nettuno, che il facesse adormentare. Ma il Ciclope adolorato, levata la machina dalla boccha dell'antro, & stendendo le braccia, accioche nessuno degli inimici non uscisse, toccava ciascuna delle pecore sulla schiena, ad una ad una lasciandole uscire; onde Ulisse insieme con i compagni vestitisi di pelli di morti montoni, quadrupedi uscirono della spelonca tra l'altro grege, senza essere da Polifemo conosciuti, & cosi tutti lieti con delle pecore del Ciclope se n'andarono alle sue navi, onde quello accortosi dell'inganno trasse quel gran sasso verso la nave d'Ulisse, & quasi la aggiunse. Ma Ulisse come fu in luogo securo gli scuoprì il suo nome; il che intendendo il Ciclope, Ahimè disse, ch'io pure sono giunto al pronostico di Tileno Eurimede Ciclope. Cosi Ulisse si partì. Ma Virgilio con piu brevi parole in persona d'Archimenide, uno dei compagni d'Ulisse, narra la sua statura, & habitatione, dicendo;

 


Di me scordati essendo i miei compagni

Mi lasciaro ne l'alta, e gran spelonca

Del Ciclope crudele, & scelerato;

Ov'entro oscura è la gran tomba, & piena,

Di brutto sangue, & sanguinosi cibi,

Et è si grande, che le stelle tocca.

O dei togliete dalla terra lunge

Tal peste, da veder non già benigna,

Et nel parlar affabile, o cortese.

Si pasce questi de l'interne membra

Del miser huomo, & de l'oscuro sangue

Nodrisce la sua vita empia, e rubella.


 

Lasciate queste cose di Polifemo, egli è da scendere all'interno senso. Onde prima è da vedere perche sia detto figliuolo di Nettuno, & Thoosa. Il che d'intorno penso io che, prestandole materia la madre figliuola del Re di Sardigna, egli incognito venisse in Sicilia; della quale havendone occupato parte overo tutta, non essendo conosciuto fu detto figlio di Nettuno, & fatto Tiranno dell'Isola. Ma vi è un'altra ragione per la cui meritasse haver per padre Nettuno. Percioche si come Nettuno quando fortuneggia è inessorabile, cosi i tiranni mossi da ira ò da cupidigia sono implacabili. Onde costui di cosi gran statura, cioè gran potenza, fu capo de' gregi, cioè Tiranno de' gran popoli. Che poi havesse un solo occhio viene a dinotare, che i Tiranni non curano altro, che il proprio utile; non guardano né a Dio, né al popolo, né al prossimo, né alla suggetta plebe. Cavano le viscere, & stracciano gli huomini vivi, mentre delle sostanze spogliano i sudditi, gli condannano in essigli, & innocenti gli tormentano. Questi nondimeno dal vino, cioè dalle lusinghe de gl'huomini astuti sono adormentati, & gli è cavato l'occhio mentre sono privi del dominio, & delle sostanze. Ma Alberigo di questo Polifemo giudica altrimenti, dicendo Polifemo chiamarsi quasi huomo di molta luce, affine d'accordarsi con Servio, il quale dice molti haver detto Polifemo haver havuto un occhio, altri due, altri tre; ma il tutto essere favoloso, come quasi ch'esso voglia, che ne havesse un solo. Et però afferma costui essere stato prudentissimo huomo, & haver havuto questo occhio nella fronte, cioè appresso il cervello, ma da Ulisse con la prudenza essere stato vinto; il che si può concedere in particolare lode d'Ulisse, che humiliato con doni il senso del Tiranno, & per Polifemo l'eloquio, & i falsi inganni dell'occhiuto huomo, & la violenza preparatali, fuggisse le sue mani. Io poi della grandezza di costui non dubito i Poeti per hiperbole haverne ragionato, poscia, che a questi giorni appresso Trapani si è trovato una statua d'huomo altissima, & ismisurata, si come altrove habbiamo dimostrato.

 

Tilemo ottavo figliuolo di Nettuno.

Tilemo Eurimede, uno de i Ciclopi, si come nell'Odissea dice Homero, & anco degli altri è stato detto, di Nettuno fu figliuolo, ma di qual madre non si sa, se forse non fu figliuolo di quella onde è cognominato. Questi fu quello, che predisse a Polifemo, che da Ulisse gli sarebbe cavato l'occhio.

 

Bronte nono, Sterope decimo, & Pirammone undecimo figliuoli di Nettuno.

Bronte, Sterope, & Pirammone furono famosissimi Ciclopi, & (secondo Theodontio) figliuoli di Nettuno, & della moglie Anfitrite. Si trova, che questi furono artificiosi huomini, & molto atti a durare fatica, onde sono attribuiti a Vulcano Dio del fuoco, che sotto lui appresso l'isola di Lipari facciano le saette a Giove, si come Virgilio nella Eneide in molti versi descrive. De' quali se dirittamente vogliamo la cagione della loro origine, & ufficio mostrare, di necessità poche cose sono da premettere. Essendo adunque almeno due le specie di Ciclopi, accioche di una non s'intenda l'istesto, che dell'altra si è esposto, sono da essere distinte. La prima è quella che di sopra si è parlato di Polifemo, onde assai cattiva appare. La seconda poi è d'huomini artificiosi, come si vedrà nelle seguenti. Et perche tra loro discordano, anco si discordi la interpretatione del nome gentile, che tra loro hanno commune è necessario. Questi Ciclopi adunque, che sono huomini artificiosi, sono cosi chiamati da Ciclops, che significa circolo, & Copis, che vuol dir occhio; il che significa circondato di occhio, overo piu brevemente seguendo la sentenza dei vocaboli circonspetto, overo aveduto. Il che bisogna, che sia l'huomo artificioso. Percioche se cosi non è, non ponno a misura l'ultime parti essere corrispondenti alle prime; & però i saggi artefici furono soliti prima che mettessero mano ad alcun'opra considerare nella mente il principio, il mezzo e 'l fine, accioche potessero fare il fine al principio corrispondente. Et cosi bisogna incominciare. Ma Papia dice le arti dai Greci essere chiamate Ciclidi, imperoche la loro origine, si come il principio d'un cerchio, ci è nascosta; dal qual vocabolo possiamo dire appropriatamente essere chiamati i Ciclopi, si come dall'arte l'artefice. Lasciate queste, veggiamo perche siano detti figliuoli di Nettuno. Onde istimo ciò essere detto perche dal mare, overo dall'acque quasi tutti gli essempi delle arteficiate cose paiono essere presi, & haver havuto origine. Vogliono, che dai pesci sia tolto l'ordine per guidare le squadre in battaglia. Da quelli anco veggendo le loro squami, a qual partito gli huomini, & i cavalli si cuoprino col ferro. Dalla spina del pesce spogliato della carne s'è apparato a mettere insieme sul lito le navi lunghe. Dalle testuggini s'è trovata la compositione della cettra. Oltre ciò, nelle acque le contestioni dell'herbe, & le produttioni de fili sono nate, & ci è stato mostrato l'intramettere i fili, & tessere le tele. Le acque furono le prime, che ci mostrarono col sangue dei pesci far le tele in diversi colori. Appresso ciò, il movimento dell'acque è stato il primo, che ci ha dato la inventione della Musica, & dei suoi tempi. Ma, che starò io a cercar tante cose? Innumerabili sono quelle cose le quali il mare produce, che sono atte ad ammaestrare gli ingegni degli artefici, onde avienne, che meritamente chiamiamo gli arteficiosi huomini figliuoli di Nettuno, & Ciclopi. Dice Plinio, che da i Ciclopi, & Calibi fu ritrovato il ferro. Perche poi siano detti figliuoli di Anfitrite, istimo dalla circondatione degli strepiti, attento, che da ogni parte il rumore degli artefici fa strepito. Sono attribuiti all'aiuto di Vulcano perche col foco le cose dure ad uso dell'artefice sono intenerite, & le molli indurate; come meglio si mostrerà dove si tratterà di Vulcano. Che poi appresso Lipari l'essercitio fabrile si eserciti, è stato detto per dimostrare, che dagli artefici sono da eleggere i luoghi convenevoli all'arti. Perche, che farà un fabro in una palude? che un pescatore sopra un monte? che un agricoltore tra sassi? che un Medico in una solitudine; niente veramente. Et perciò sull'isola di Lipari Virgilio descrisse la fabraria, conciosia, che è luogo affocato, col quale i fabri fanno molli i ferri. Ma ci resta rendere la ragione dei nomi. Bronte (come dice Alberigo) è detto dal toneggiare, che si fa, sì per lo soffiar de' mantici come per li martelli, che percuoteno sopra gli incudi; cosi Sterope viene chiamato dal fulgore, che nasce dall'incendio. Pirammone poi ha pigliato nome dall'incude caldo, percioche pur significa fuoco, & Agmon s'interpreta incude. Et però questi nomi gli sono attribuiti attento, che circa l'arteficio dell'armi, s'essercitano; onde simili cose non sarebbono attribuite ad uno ch'edificasse una Nave, un Tempio, né un Palazzo. Ultimamente vogliono, che questi tali, perche fecero la saetta con la quale Giove percosse Esculapio, che fossero amazzati da Apollo. Il che io intendo, che Apollo essendo interpretato esterminante, sia anco cacciatore dell'humore. La qual cosa fa anco il fuoco; che continuando gli artefici dietro tale essercitio, presto vengono meno; attento, che si per la continua fatica, come per lo continuo fuoco, anzi tempo l'humore si disecca, & mancano.

 

Nausitoo duodecimo figliuolo di Nettuno, che generò Risinore, & Alcinoo.

Nausitoo Re di Feaci (come piace ad Homero nell'Odissea) fu figliuolo di Nettuno, & di Perivia ninfa; del quale, & della sua prole egli in questo modo parla;

 


Nausitoo figliuolo di Nettuno,

Et da Perivia ninfa partorito,

Che movendo la terra quel produsse;

Che fu figlia minor d'Eurimedonte.


 

Di costui non si ritrova altro, eccetto, che generò Risinore, & Alcinoo.

 

Risinore figliuolo di Nausitoo, che generò Ariti.

Risinore fu figliuolo di Nausitoo si come nell'Odissea in tal modo scrive, Homero.

 


Nausitoo generò di poi

Risinore, e Alcinoo ambo fratelli.


 

Questo Risinore secondo l'istesso Homero tolse moglie, & di lei hebbe una sola figliuola chiamata Ariti, ma percosso da Apollo se ne morì. Il che credo fosse da febre.

 

Ariti figliuola di Risinore, & moglie d'Alcinoo.

Ariti, si come nell'Odissea scrive Homero, fu unica figliuola di Risinore; la quale fu tolta per moglie da Alcinoo fratello di Risinore, & Re dei Feaci, & di lei hebbe una figliuola chiamata Nausitea, & tre figliuoli. Da costei Ulisse per consiglio di Pallade trasformata nella effigie di Calpe donzella, venendo da Calisto ninfa rotto in mare pervenne; dove da lei essendo interrogato di molte cose gliele espose, & finalmente da quella honoratamente fu raccolto.

 

Alcinoo figliuolo di Nausitoo, che generò Nausitea, Laodamante, Alioo, & Clitonio.

Alcinoo Re de Feaci, secondo Homero nell'Odissea, fu figliuolo del Re Nausitoo, & Virarithe. Da lui essendo a mensa giunse Ulisse rotto in mare, & honoratamente fu ricevuto, & offertale per sposa Nausitea. Et finalmente donatili gran doni, & apparecchiatali una nave, che lo riportasse nella patria, gli furono appresso conceduti molti compagni.

 

Nausitea figliuola del Re Alcinoo.

Nausitea fu figliuola d'Alcinoo, & Arite, si come mostra Homero; la quale con alcune sue serventi uscita della città, & essendo andata al fiume per lavar drappi, avenne, che vide Ulisse rotto in mare star ignudo sopra il lito, & coprirsi con frondi d'alberi; onde quello pregandola, che gli porgesse un poco da mangiare, & da coprirsi, ella il tutto fece volentieri, & il pregò, che venisse seco alla Città nel suo Palazzo, & al padre suo; il che egli fece, si come Homero a pieno nell'Odissea dimostra.

 

Laodamante, Alioo, & Clitonio, figliuoli del Re Alcinoo.

Laodamante, Alioo, & Clitonio furono figliuoli (secondo Homero) del Re Alcinoo, & di Ariste: de quali non si ha altro eccetto generali lodi della loro famosa gioventù, & che insieme col padre Alcinoo, & la madre loro honorarono molto Ulisse, & gli fecero ampi doni.

 

Melione decimoterzo, Attorione decimoquarto figliuoli di Nettuno.

Melione, & Attorione furono figliuoli di Nettuno, si come nella Iliade scrive Homero, dove introduce il vecchio Nestore, che dice a Patroclo egli essendo giovane haver havuto guerra contra gli Arcadi, & haverne morto molti, & che se Nettuno in una nube non havesse nascosto Melione, & Attorione suoi figliuoli, che medesimamente insieme con gli altri gli havrebbe morti.

 

Aone decimoquinto figliuolo di Nettuno.

Aone, secondo Lattantio, fu figliuolo di Nettuno, & affermano che da lui hebbe nome la Aonia, la quale è una parte della Boemia. Theodontio anco afferma l'istesso, & dice, che Aone per trattato dei suoi fu cacciato di Puglia, & venne con un navilio ad Euboia, & indi passò in Boemia, dove signoreggiò a que' popoli rozzi, & quelli insieme con i circonvicini popoli dal nome suo chiamò Aoni, onde perciò fu tenuto figliuolo di Nettuno, come, che fosse figliuolo di un certo Onchesto, richissimo huomo di Puglia, & di Parichia sua moglie.

 

Mesappo sestodecimo figliuolo di Nettuno, dal quale venne Ennio Poeta.

Mesappo fu figliuolo di Nettuno, si come dice Virgilio.

 


Di cavalli Mesappo domatore

Segue dopo i figliuoli di Nettuno,


Cui far morir non può foco, né ferro.

 

Costui, si come testimonia l'istesso Virgilio, venne in aiuto di Turno contra Enea, & condusse seco i Fescennini, i giusti Falisci c'habitavano i monti di Sorrento, i Cimini che habitavano le selve, e i laghi, & appresso i Capeni. Nondimeno Servio dice, che costui per mare venne in Italia, & perciò fu detto figliuolo di Nettuno. Fu anco detto, che ferro non gli poteva nuocere, perche in battaglia non fu mai ferito. Dal fuoco poi fu securo perche fu figliuolo di Nettuno, Iddio dell'acque. Da costui dicono, che Ennio Poeta dice scendere la sua origine. Fu detto domatore de' cavalli, perche sono animali prodotti da Nettuno.

 

Busiri decimosettimo figliuolo di Nettuno.

Busiri fu figliuolo di Nettuno, & di Libia figlia di Epafo, si come nel libro di Tempi dice Eusebio. Questi, si come dice Agostino nel libro della Città d'Iddio, regnando Danao in Argo ò Re ò Tiranno che piu tosto fosse, immolava i peregrini ch'ivi capitavano ai suoi dei; il quale fu poi amazzato da Hercole, percioche essendo capitato nel suo paese voleva far di lui come degli altri. Et l'istesso Servio afferma le laudi di questo Busiri essere state scritte da Isocrate.

 

Il cavallo Pegaso decimottavo figliuolo di Nettuno.

Il cavallo Pegaso, come dimostra Servio, & Lattantio, fu figliuolo di Nettuno, & Medusa, conceputo nel tempio di Pallade, come s'è detto di sopra. Ma Ovidio dice ch'egli nacque dal sangue, che cade dal capo di Medusa, si come nel libro de Fastis si legge.

 


Si crede questi nato esser del sangue

Ch'uscendo cadè dal pregnante capo


De la morta Medusa da Perseo.

 

La qual opinione d'Ovidio è seguita da Fulgentio, & Alberigo. Oltre ciò, dicono costui non solamente essere stato velocissimo, ma uccello, si come l'istesso Ovidio dice;

 


Questi sopra le nubi, & sotto ancora

Le stelle andando, invece hebbe di terra


Il Cielo, & per li piedi hebbe le piume.

 

Indi dicono ch'egli con un piede cavò il fonte Castalio alle Muse, si come l'istesso Ovidio riferisce;

 


Giunt'è la fama a noi del nuovo fonte;

Mentre il cavallo di Medusa ruppe


Con l'ugna de l'un piede il dur terreno.

 

Et poco da poi segue;

 


Nondimeno la fama è pura, & chiara,

Che di tal fonte origin fu Pegaso,


Et Pallade condusse alle sacre acque.

 

Oltre ciò, dicono ch'egli portò Bellorofonte, che andava contra la Chimera monstro. Cosi anco Perseo, quando andò alle Gorgoni. Anselmo poi dove parla dell'imagine del mondo aggiunse a questo Cavallo alcune cose, le quali non ho trovato esser dette da nessun altro. Dice ch'egli ha le corna, l'anhelito affogato, & i piedi di ferro, accioche sia tutto simile ad un monstro. Oltre ciò, il locarono tra le stelle (testimonio Ovidio);

 


Sdegnoso già i nuovi freni havea

In bocca tolto; quando l'ugna lieve

Fece, stendendo il pié, l'Aonie acque;

Hor gode in Cielo quel, che pria con piume

L'aere trattava; & hor lucer si vede

Tra cinque, & diece risplendenti stelle.


 

Hora sopra queste cose parmi essere da ricercare quello, che gli antichi habbiano voluto comprendere. Io tengo, che questo Cavallo sia la fama delle cose oprate, la cui velocità per lo corso, & volo di questo cavallo si disegna. Il quale viene chiamato figliuolo di Nettuno, & Gorgone perche nasce dai fatti di terra, & di mare. Che fosse poi conceputo nel Tempio di Pallade, istimo ciò essere stato finto percioche dirittamente la fama nasca dalle operationi essequite discretamente, & con consiglio. Delle cose, che succedono a caso, di ragione nessuno non merita fama; delle fatte con temerità, piu tosto si gli conviene infamia. Che i piedi di questo cavallo siano di ferro, ho per fermo ciò essere stato detto perche nel gire d'intorno mai si stancano le forze della fortuna. Le corna vi si aggiungono per comprendere la sublimità dei famosi, cosi l'anhelito di fuoco; accioche si conosca il fervente disio di manifestare. Assai chiaramente si dichiara ch'egli fece il fonte Castalio, perche per disio di fama, & gloria temporale da molti è posto ogni affettione; onde ogni volta, che si consegue il suo intento, tante fiate anco il fonte Castalio, cioè l'abondante materia di parlare nasce, la quale, perche è propria dei poeti, perciò questo fonte viene detto essere consecrato alle Muse. Che poi egli portasse ad essequire imprese Bellorofonte, & Perseo, ciò puote essere stato detto percioche per disio di gloria furono condotti a quello, che oprarono. Overo, come alcuni vogliono, v'andarono sopra una nave la cui insegna era un Cavallo alato. Alberigo scrive di questo Cavallo una peregrina openione tolta dal fonte di Fulgentio. Dice, che è chiamato Pegaso da Pege , dittione greca che volgarmente suona fonte, & quello essere di tutti i fonti nome comune. Et di qui vuole il fiume cioè Pege essere il cavallo di Nettuno, cioè generato da Nettuno, nascendo dal mare tutti i fiumi; & per l'ale disegna le velocitadi de Fiumi, & da Pege vuole che siano detti Pagi, i quali gli antichi furono sempre avezzi ponere appresso i fiumi, & indi Pagani quasi di uno Pege , cioè fonte beventi. Cosi il fonte il quale dicano con un piede essere stato fatto da Pegaso, vedremo essere proceduto da Nettuno. Ma quello, che di tal fonte, & d'intorno questo Cavallo tenga Fulgentio, che ampiamente ne ha scritto, parmi brevemente dichiarare. Dice adunque il caval Pegaso essere nato del sangue di Medusa percioche è posto in figura della terra, attentoche scacciando la virtù il terrore, si genera la fama; onde poi viene figurato con l'ale perche la fama è uccello. Che poi con una ugna apprisse il fonte alle Muse, questo si finge perche seguono le Muse ò dar vena in scrivere la fama degli Heroi, & i fatti degli antichi et moderni. Oltre ciò, l'istesso Fulgentio dice Pegaso essere interpretato eterno fonte, il che istimo esser detto perche la fama dei famosi huomini non manca mai.

 

Nitteo decimottavo figliuolo di Nettuno, che generò Anthiopa, & Nittimene.

Nitteo secondo Lattantio fu figliuolo di Nettuno, & (come vuole Theodontio) di Celleno figliuola d'Atlante. Dice Lattantio, che costui fu Re d'Ethiopia, & hebbe due figliuole, cioè Anthiopia, & Nittimene; onde alcuni vogliono, che lussuriosamente Nittimene s'inamorasse di lui, & che per inganno d'una nutrice di lei giacesse seco, ma, che avedendosi del commesso errore volse amazzarla, di che ella se ne fuggì. Altri poi dicono il contrario, cioè ch'egli s'inamorò della figliuola, & che volendola sforzare ella però se ne fuggì. Che costui fosse figliuolo di Nettuno egli è cosa possibile, ritrovandosi, che egli fu quasi al medesimo tempo, che fu Nettuno huomo. Se poi non è per questa ragione, si dirà, che sia per quella che s'è detto de gli altri.

 

Anthiopa figliuola di Nitteo, & madre d'Anfione, & Zeto.

Dice Lattantio, che Anthiopa fu figliuola del Re Nitteo. Alla quale Theodontio aggiunge per madre Amalthea ninfa Cretese, & dice, che Nitteo la diede per moglie a Lice Re di Thebe d'Egitto. Lattantio poi vuole ch'ella per forza fosse vitiata da Epafo figliuolo di Giove; altri da Giove. Il che intendendo Liceo la ripudiò, & tolse per sposa Dirce, la quale impetrò da lui, che ella fosse impregionata. Ma venuto il termine del parto, per misericordia de i Dei rotti i legami, fuggì in Citherone, dove partorì Anfione, & Zeto, & gli espose alla morte, di che ne avenne quello, che di sopra s'è detto parlando d'Anfione.

 

Nittimene figliuola di Nitteo.

Nittimene fu figliuola di Nitteo, & d'Amalthea. Costei, o, che amasse il padre ò pure, che il padre di lei s'inamorasse, fuggendo da lui per compassione di Minerva fu cangiata in uccello del nome suo, & tolta in sua protettione. Del qual figmento la ragione può essere tale. Che Nittimene usò consiglio di prudente, percioche ò per vergogna del suo fallo ò del padre, mai piu dopo tal fatto non si lasciò vedere, & indi fu detta Nottola. Che poi venisse in protettione di Minerva, dove di lei s'è trattato se ne ha detto.

 

Hirceo ventesimo figliuolo di Nettuno.

Secondo Theodontio, & Paolo, Hirceo fu figliuolo di Nettuno, & Alcinoe figliuola d'Atlante; del quale altro non mi ricordo haver letto.

 

Pelia ventesimo primo figliuolo di Nettuno, che generò le figliuole, & Acasto.

Pelia fu figliuolo di Nettuno, & di Tiro, ninfa, & figliuola di Salmoneo Re di Salamina, si come nell'Odissea assai ampiamente scrive Homero. Dice, che costei era solita molto spesso per suo diporto andar lungo le rive del fiume Enifeo. La onde Nettuno cangiatosi nel Fiume Enifeo pigliò la donzella, & usò seco di che per tale congiungimento partorì Pelia, & Neleo; poscia Tiro si maritò in Erubio. Regnando Pelia appresso Thessaglia (secondo Lattantio), dall'Oracolo gli fu risposto, che all'hora la sua morte sarebbe vicina, quando a lui sacrificando al padre Nettuno sopragiungesse alcuno con i piedi scalzi; onde avenne ch'egli facendo i soliti sacrifici annuali al padre, a caso vi sopravenne Giasone suo nepote con un piede ignudo, percioche per fretta correndo al sacrificio nel fango del fiume gli era rimasta una scarpa. Il che veggendo Pelia, & ricordandosi dell'Oracolo, non tanto di se quanto dei figliuoli temendo per la singolare prodezza di Giasone, subito a quello persuase sotto coperta di gloriosa fama la impresa di Colcho, istimando (si come si diceva) essere troppo difficile, & periglioso potere acquistare il velo d'oro, di che leggiermente potrebbe morire. Il quale havendo oltre la speranza di Pelia essequita la impresa, tornando col velo d'oro, & con Medea sua moglie, avenne, che per opra di Medea dalle proprie figliuole Pelia fu morto, restando dopo lui il figliuolo Acasto. D'intorno questa fittione Leontio diceva, che Pelia fu figliuolo di Nettuno huomo, & ch'egli si congiunse con Tiro sotto spetie d'un giovane da lei amato lungo il fiume Enifeo; cosi dalla simiglianza ingannata fu impregnata, & n'hebbe due figliuole.

 

Le figliuole di Pelia.

Che il Re Pelia havesse figliuole, tra gli altri egli si vede apertamente in Ovidio; ma quali fossero i suoi nomi, non ritrovo, che nessuno l'habbia scritto. Queste, si come è general costume de figliuoli, havendo compassione della vecchiaia del padre Pelia sempre gli stavano intorno. Onde (dicono), Medea sotto spetie di pietà haver indotto quelle a commettere grandissima scelerità contra lui. Percioche veggendo ella (secondo l'openione di Leontio), che la vita di Pelia ostava all'imperio di Giasone, fingendo essere venuta in discordia con Giasone se n'andò a ritrovar quelle, dolendosi molto dell'iniquità del marito. Di, che per danno suo disse di voler con herbe ringiovenire Pelia si come poco innanzi havea fatto Esone, & cosi alle credule figliuole di Pelia persuase, che con un coltello tagliassero tutte le vene del tremante corpo del padre accioche tutto quel sangue vecchio, & freddo se ne uscisse; & ella poi nelle vene ve ne porrebbe di novo, & gagliardo. il che elle facendo Pelia se ne morì, & Medea ritornò da Giasone. Dice Theodontio, che tra Pelia, & le figliuole Medea seminò discordia, & che perciò le figliuole amazzarono il padre.

 

Acasto figliuolo di Pelia.

Acasto (testimonio Seneca nella Tragedia di Medea) fu figliuolo di Pelia, dove cosi parla;

 


Incolpa te Acasto, ch'ottenendo

Il regno di Thessaglia, il padre vecchio

Debile, & per l'età d'anni aggravato

Gli facesti amazzare; & si lamenta,

Che le sorelle pie contra del padre

Incitasti ad oprar l'indegno fatto.


 

Et quello, che segue. Et queste sono parole di Creonte verso Medea.

 

Neleo ventesimo secondo figliuolo di Nettuno, che generò Nestore, Periclimeneone, Cromio, & Piro fanciulla.

Fu Neleo figliuolo di Nettuno, & di Tiro, si come nel capitolo di Pelia s'è mostrato. Il quale (secondo Homero) essendo cacciato di Thessaglia dal fratello Pelia edificò Pilon, & ivi honorando i Dei habitò di costui fu moglie Clori figliuola d'Anfione Re d'Orcomeno, di cui si come dice l'istesso Homero hebbe Nestore, Periclimenone, Cromio, & Piro femina, & anco hebbe de gli figliuoli fino al numero di dodici, de' quali non si sanno i nomi.

 

Nestore figliuolo di Neleo, che generò Antiloco, Pisistrato, Trasimede, Echeforone, Strato, Perseo, Arito, & Policaste femina.

Clori, & Neleo generorono Nestore il quale hebbe dodici fratelli, si come testimonia Ovidio dicendo;

 


Due volte sei di Neleo fummo figli

Tutti giovani belli, & valorosi.


 

Costui visse molto, si come egli medesimo nel tempo della guerra Troiana confessa appresso Ovidio, dicendo.

 


Son stato spettator d'opere molte,

Et vissi anni dugento, & hor mi trovo


Esser entrato nella terza etate.

 

Oltre ciò fu bellicoso, percioche tra l'altre sue prodezze, vivendo anco il padre, & essendo egli giovanetto, fece guerra contra gli Epii, & nella guerra ne estinse molti, si come Homero nella Iliade dimostra. Poscia, con Theseo nelle nozze di Pirithoo fu contra i Centauri. Et per tacere l'avanzo, insieme con Greci vecchio venne alla guerra di Troia, & spesse volte combattete contra Troiani.

Oltre ciò, fu tanto facondo, che spesse volte mitigò l'ire dei Prencipi, & ridusse in concordia i discordi. Di costui secondo Homero fu moglie Euridice figliuola di Climenio, di cui hebbe sette figliuoli, & una figliuola. Quale poi fosse il suo fine, non mi ricordo haver letto.

 

Antiloco figliuolo di Nestore.

Antiloco fu figliuolo di Nestore, & Euridice, si come Homero nell'Odissea dimostra; il quale induce Pisistrato figliuolo di Nestore, che in casa di Menelao appresso Lacedemonia piange la sua morte. Percioche havendo seguito il padre alla guerra Troiana, ivi valorosamente combattendo da Mennone figliuolo dell'Aurora fu morto.

 

Pisistrato figliuolo di Nestore.

Pisistrato fu figliuolo di Nestore, & Euridice. Costui da Nestore fu dato per compagno a Thelemaco figlio d'Ulisse, ch'andava in Lacedemonia per intender da Menelao qualche cosa d'Ulisse.

 

Trasimede figliuolo di Nestore.

Trasimede di Nestore, & Euridice fu figlio, & dal padre (secondo Homero) fu menato alla guerra Troiana.

 

Echefrone, Strato, Perseo, & Arito figliuoli di Nestore.

Questi tali furono figliuoli di Nestore, & Euridice, i quali ho posto tutti insieme perche di loro non ho trovato cosa particulare.

 

Policaste figliuola di Nestore.

Policaste fu figliuola di Nestore, & Euridice, & secondo Homero fu la piu giovane dell'altre; onde viene a dinotarsi ch'egli ne havesse dell'altre, de' quali non so né i nomi né altro.

 

Periclimeneone figliuolo di Neleo.

Periclimeneone fu figliuolo di Neleo, & Clori, si come dice Ovidio, affermando, che da Nettuno suo avo gli fu conceduto potersi transformare in quali sembianze egli volesse. Onde avenne, che per vendetta degli Epiroi combattendo Hercole stranamente contra i Messani, i Pilii, & gli Elipii, egli mutatosi in uccello contra Hercole con i piedi, & l'ugne acute gli dava molta noia, di, che con una saetta nell'aere da Hercole fu morto. Costui, che si cangiava in ogni forma, non intendo essere altro, che l'agilità de' suoi membri, per la cui come cervo si moveva, & correva come uccello. Onde può essere, che correndo da Hercole fosse morto.

 

Cromio figliuolo di Neleo.

Cromio fu figliuolo di Neleo, & Clori, come anco afferma Homero. Costui insieme con dieci suoi fratelli da Hercole fu morto in quella guerra ch'egli hebbe contra i Pilij, & Messani, si come anco il tutto Ovidio nel suo maggior volume dimostra.

Piro figliuola di Neleo, & moglie di Biante.

Piro fu figliuola di Neleo, et Clori, si come nell'Odissea scrive Homero. Costei fu tanto bella, che quasi tutti i nobili della Grecia la desiderarono per moglie, & la dimandarono al padre Neleo; il quale a nessuno non la volse dare se non gli prometteva prima torre i buoi che gli riteneva Ificlo zio della madre di Neleo, né gli li voleva rendere. Onde alcuno non havendo ardire mantenerli questo, Melampo a quel tempo famoso indovino mostrò la via a Biante suo fratello, per lo mezzo della quale alquanto da poi potrebbe torre i buoi di Neleo, che gli erano tenuti da Ificlo. Di, che gli persuase, che facesse la promessa a Neleo, per haver si bella donzella per sposa. Biante adunque dando fede al fratello promise a Neleo la richiesta; per la qual cosa ingegnandosi di ricuperare i Buoi, da Ificlo fu preso, & posto in prigione. Poscia indi ad uno tempo lasciato menò i buoi a Neleo, & hebbe Piro per moglie. Tutte queste cose quasi si contengono nel testo d'Homero, alle quali aggiunge Leontio che, essendo stato Biante un anno in prigione, sentì le travi della casa haver fatto vermi, da noi chiamati tarli, onde comprese per le guaste travi dover seguire la ruina; la quale havendo annuntiata ad Ificlo, meritò la libertà. Finalmente Ificlo non potendo generare figliuoli dimandò a Biante quello, che potesse fare per haverne, al quale persuase, che portasse del veneno di serpente; il che fatto, la moglie s'impregnò, & a tempo partorì un figliuolo. Per lo qual beneficio da Ificlo gli furono restituiti i buoi di Neleo, & egli hebbe Piro, che a lui partorì Antifati, & Mantione.

 

Cigno ventesimo terzo figliuola di Nettuno.

Cigno fu figliuolo di Nettuno, si come afferma Ovidio dicendo.

 


Già Cigno prole di Nettuno havea

A la morte donato huomini mille.


 

Questi, come dice l'istesso, havea havuto in dono dal padre, che ferro no'l poteva ferire; per la cui commodità divenuto ardito, & dando aiuto a' Troiani amazzò molti Greci, et contra Achille venne a battaglia. Il quale, veggendo ch'egli si gloriava, che ferro non li poteva nuocere, pigliando un gran sasso il trasse contra quello, già lasso, & per molti colpi attonito. Onde Cigno dal gran colpo percosso cadè, & Achille subito gli fu adosso, con un ginocchio calcandoli il petto, & con le mani stringendoli la gola, di maniera, che constrinse lo spirito affogarlo; ma incontanente dal padre fu mutato in uccello di suo nome, & l'armi sole restarono ad Achille. La spositione di questi figmenti può esser tale. Cigno forse fu detto figliuolo di Nettuno per la candidezza del corpo, & agilità dei membri, attento, che quelli, che di complessione sono humidi, la qual'humidità procede da Nettuno padre di quella, sono di colore candidi, & come una piuma molli, & delicati. Alla quale humidità, se con debita proportione è congiunto il calore, questi tali sono dotati d'ottima agilità di membra. Onde aviene che, ammaestrati in schifare i colpi, si come alcuni ne habbiamo visti, con armi non possano essere feriti; di, che se alcuno vuol vincere questi tali, è di necessità, che gli vinca a stracchezza. Che divenisse poi uccello di suo nome, ciò si deve intendere che, morto lui, appresso mortali non vi restò altro, che il volatile nome.

 

Grissaore ventesimo quarto figliuolo di Nettuno.

Grissaore, si come nel libro degli originali afferma Rabano, fu figliuolo di Nettuno, né altro di lui si legge.

 

Otho ventesimo quinto, & Efialte ventesimosesto figliuoli di Nettuno.

Otho, & Efialte (secondo Servio) furono figliuoli di Nettuno et Ifimedia moglie d'Aloo Titano, che fu ingravidata da Nettuno, si come nell'Odissea Homero dimostra. Questa Ifimedia Paolo la chiama Elettrione, ma Theodontio Efimeida. Questi adunque, perche nacquero della moglie d'Aloo, per le piu sono chiamati Aloidi, si come anco spesse volte Hercole Amfitrionide. Questi tali ogni mese parevano crescere nove dita. La onde in picciolo spatio di tempo furono finti d'una estrema grandezza di corpo. Dice Homero, che questi hebbero cosi grande accrescimento perche erano nudriti dalla terra, & che non vissero piu, che nove anni; di, che disegnando la sua statura, dice, che la loro grossezza era di nove braccia, & la lunghezza di nove passi. Oltre ciò dice, che hebbero guerra contra Marte, & che il presero, & incatenarono, dove fu ritenuto prigione tredici mesi; &, che se Giunone non havesse pregato Mercurio, che il liberasse, sarebbe morto in prigione. Il qual Mercurio segretamente il rubò, & cosi fu liberato. Il che Claudiano tocca dove parla delle Laudi di Stilicone, cosi dicendo;

 


Quando, che i due fratelli, che figliuoli

Furo de l'aspro Aloo, presero Marte


Mettendolo in prigion legato, & stretto.

 

Oltre ciò, questi furono mandati in Gigomantia da Aloo, non potendo egli per la vecchiaia andarvi; i quali ivi, si come piace ad alcuni, con gli altri fulminati da Giove morirono, & ad Efiale fu posto sopra il monte Etna, & ad Otho un certo monte Cretese. Altri dicono poi, tra quali è Homero, ch'eglino per la grandezza del corpo hebbero ardire porre i monti sopra i monti, & voler andare in Cielo; ma si come nell'Odissea dice Homero, da Apollo con le saette furono morti. I quali secondo Virgilio sono confinati nell'Inferno, dove dice,

 


Qui dei figli d'Aloo gli immensi corpi

Simili a l'impietà nel loro ardire

Vidi, che con le mani oltraggio al Cielo

Far pensaro, e spogliar Giove del regno.


 

Hora ci resta aprire il senso di queste cose. Barlaam diceva questi essere stati due fratelli molto potenti, & figliuoli d'Aloo, ma chiamati poi di Nettuno perche oltre ogni misura di corpi humani erano cresciuti; il che vogliono appartenersi a Nettuno in generare corpi cosi smisurati. Che poi vivessero solamente nove anni, & che fossero nodriti dalla terra, è perche di quei luoghi, che possedevano cavavano grandissime rendite, & per nove anni hebbero guerra contra Giove, che secondo l'historie habitava sul monte Olimpo; dove in quella guerra amendue de pestilentiosa infermità assaliti morirono, & di quì fu detto, che da Apollo con le saette fu morto. Altri dicono poi, che questi tali insieme con Saturno vennero contra Giove, & edificarono alcune fortezze, ma, che ultimamente dalle forze di Giove restarano abbattuti, & morti, in quel conflitto, che si fece in Flegra. Del preso Marte non ho trovato altro. Tuttavia tengo potersi esporre in questo modo, Marte essere stato qualche huomo famoso in guerra, & molto forte di costoro inimico; il quale se bene fu molto potente, nondimeno come spesso aviene, che i maggiori vengono nelle mani de minori, da loro fu preso, & imprigionato. Onde alla sua liberatione non si trovando via, Mercurio, cioè la frode, il quale è Dio di ladri, pregato da Giunone, cioè corrotto con danari, overo corrompendo guardiani, liberò quello.

 

Egeo ventesimo settimo figliuolo di Nettuno, che generò Theseo, & Medo.

Egeo Re d'Athene fu figliuolo di Nettuno, & Dio Marino, si come Theodontio afferma. Dice Paolo, che costui hebbe due mogli, la prima delle quali fu detta Etra, figliuola di Pitteo Re di Throezen, della quale hebbe Theseo. La seconda fu (secondo Ovidio) Medea fuggitiva, la quale essendo ripudiata da Giasone, & da lui fuggendo, non solamente da quello fu alloggiata, ma tolta per sposa; onde di lei (come piace a Giustino) hebbe un figliuolo chiamato Medo. Successe nel Reame del Re Pandione, che (secondo Theodontio, il quale dice ciò esser vero) di lui fu padre; di, che regnando lui occorsero molte disgratie agli Atheniesi, percioche tra l'altre sopportarono lungamente la guerra di Minos Re de' Cretesi, da lui mossa per vendetta del suo figliuolo Androgeo indegnamente da loro ammazzato. Finalmente essendo vinti patteggiarono con Minos in tal modo, cioè, che ogni anno si obligavano mandar sette giovani di piu nobili Atheniesi in Creta al Minotauro; i quali per sorte tre anni gli furono mandati. Ma il terzo essendo tra gli altri toccato a Theseo, egli, con grandissimo dolore del padre Egeo, per andarsene montò sopra una nave. Onde essendo tutti gli altri ornamenti del navilio, & remi, & corde, & antenne, & vele, & ogni altro guarnimento nero, hebbe in commandamento dal padre che, se per caso occorresse ch'egli havesse felice essito, che ritornando dovesse mutare tutte le insegne nere in bianche, accioche di lontano potesse conoscere quale fosse lo stato suo. Theseo poi per consiglio d'Arianna restato vittorioso, scordandosi dei mandati del padre se ne tornava adietro senza haver mosso le vele; di, che il padre Egeo da un'alta torre riguardando, & veggendo le insegne nere, dubitò non il figliuolo fosse morto, & per dolore si gittò in mare. Onde essendo morto, dagli Atheniesi liberati per consolatione di Theseo fu chiamato figliuolo di Nettuno, & Dio marino, & a lui consacrati altari.

 

Theseo figliuolo d'Egeo, che generò Hippolito, Demofonte, & Antigono.

Theseo inclito Re d'Athene fu figliuolo d'Egeo, & di Ethra. Questi fu giovane di eccelso, & generoso animo, & oprò molte cose degne di memoria; di maniera, che tra i molti Hercoli è uno de i nominati. Costui prima con Hercole mandato da Aristeo contra le Amazone andò seco in compagnia, & si come dice Giustino havendone amazzate, & prese molte, tra l'altre pigliarono Menalippe, & Hippolita, sorelle d'Antiope regina. Ma Hercole per le armi della reina restituì Menalippe alla sorella. Theseo poi tolse per moglie Hippolita, che in sorte partendo la preda gli era toccata, della cui hebbe Hippolito. Oltre ciò (come riferisce Statio) con gran virtù raffrenò il superbo imperio di Creonte, che vietava non si poter fare l'essequie funerali a i Re morti in guerra. Cosi amazzò appresso Maratone il toro mandato da Euristeo nel paese Atheniese per rovinare il tutto. Indi fece l'istesso di Scirone assassino, il quale stando sopra un scoglio constringeva tutti quelli ch'ivi capitavano lavargli i piedi overo adorarlo, & poi la notte gli gittava in mare. Appresso questo vinse, & amazzò Procuste, ch'era un altro ladrone, che habitava vicino al fiume Cefiso, & amazzava quanti passavano d'ivi. Oltre ciò rapì Helena, sorella di Castore e Polluce, la quale donzella d'estrema bellezza giuocava nella palestra. Amazzò il Minotauro. Liberò Athene dalla vergognosa servitù. Menò via dal padre Minos Arianna, & Fedra. Indi lasciata Arianna tolse per moglie Fedra, della cui hebbe alcuni figliuoli. Poscia fece ritornare nella patria molti Atheniesi, che per diverse cagioni qua, & là andavano errando, & quelli sparsi, & agresti ridusse in forma di cittadini. Et si come piace a Plinio nel libro dell'historia naturale, fu il primo, che trovasse gli accordi. Contra i Centauri nelle nozze di Piritoo suo amico si diportò valorosamente, & gli vinse. Indi fu suo compagno nell'andare all'Inferno per rapir Proserpina, ma men felicemente questo li successe, percioche Piritoo da Tricerbero cane dell'Orco fu divorato, & egli restò in pericolo di morte prigione, se a caso non fosse sovragiunto Hercole, che il liberò dal pericolo, & il condusse di sopra. Dove ritornando ad Athene trovò la mogliera piena di querele, che li accusò falsamente il figliuolo Hippolito d'haverla voluta sforzare, il quale da lui perseguitato fu tra vepri, & spini stracciato; il che oscurò in gran parte il suo splendore. Finalmente già vecchio, & da suoi Cittadini dalla patria scacciato, appresso l'Isola minore di Schiro finì l'ultimo giorno, dopo l'haver dicinove anni signoreggiato in Athene. Le lodi di costui con alti versi dichiara Ovidio, dove dice.

 


Cantano le tue lodi, ò Theseo eccelso.

 


Et quello, che segue per undici versi continui.

Hippolito figliuolo di Theseo, che generò Virbio.

Hippolito fu figliuolo di Theseo, & Hippolita Amazona. Costui, facendo vita casta, & tutto datosi alle caccie, con fermo proposito di sprezzare tutte le donne, dalla madrigna Fedra non v'essendo Theseo fu molto amato; alla quale non havendo voluto compiacere, ritornando Theseo da lei fu accusato di stupro. Il quale divenuto furioso volse amazzare il figliuolo, ma Hippolito temendo l'ira del padre montò sopra la carretta, & si diede a fuggire. Onde avenne che per caso passando vicino al lito del mare i Buoi marini ch'erano venuti sul lito, udito lo strepito delle ruote del carro, con furia si mossero per ritornar nel mare; di che i cavalli d'Hippolito messi in fuga, & smarriti cominciarono uscire del camino, & per scogli, bronchi, & spini strascinare la carretta, non giovando il poter d'Hippolito con mani a reggere i freni. La onde come quasi morto dai circonvicini fu raccolto; benche tutti i Poeti, & spetialmente Seneca Tragico nella Tragedia d'Hippolito, dicano, che fu stracciato, & morto, il quale finalmente, per opra, & aiuto d'Esculapio, quasi da morte fu non senza grandissima fatica ritornato in vita, & nel primiero stato. Dal qual successo pare, che sia dato luogo alla favola nella quale si legge Theseo haver havuto in dono dal padre di poter tre volte havere ciò, che disiasse; onde perche hora disiò che il figliuolo fosse morto, dal padre i buoi marini furono mandati sul lito. Ma Hippolito per non provar la terza fiata l'ira del padre, la quale prima havea morto la madre Hippolita, hora intendendo, che cercava punirlo del non suo fallo, lasciò la terra Atheniese, & venne in Italia, non lontano dal luogo dove poi fu edificata Roma; & ivi mutatosi il nome comandò, che fusse chiamato Virbio, perche due volte fu huomo: l'una inanzi il suo caso, l'altra poscia, che per beneficio d'Esculapio li pareva essere stato in vita tornato. Ivi dice Theodontio ch'egli edificò un Castello, & dal nome della pigliata moglie il chiamò Ariccia. Oltre ciò, Theodontio dice essere falso, che Hippolito menasse vita celibe, anzi, che con segreto amore amò Ariccia, nobile donna del paese d'Athene; la quale perche era cacciatrice chiamata Diana, onde diceva, che serviva a Diana; onde per opra di questa Ariccia avenne, che fu sanato da Eusculapio, istimando Theseo ch'egli fosse morto.

Virbio figliuolo d'Hippolito.

Virbio fu figliuolo d'Hippolito, & d'Ariccia, il quale fu partendo dopo la fuga del padre da Athene. Costui, cresciuto in età, fu mandato dal padre in aiuto di Turno contra Enea, che doppo la ruina di Troia venne in Italia, si come esso Virgilio descrive dicendo.

 


D'Hippolito segua la bella prole

Virbio; di cui la madre Ariccia ha cura.


 

Et quello, che segue. Di lui non habbiamo altro.

 

Demofonte figliuolo di Theseo.

Demofonte (secondo Theodontio) fu figliuolo di Theseo, & Fedra. Costui con gli altri Greci venne alla guerra di Troia. Rovinata poi Troia, ritornando verso la patria per fortuna di mare fu portato in Thracia, dove da Filli figliuola del Re Ligurgo fu raccolto, & nel proprio letto alloggiato. Dove essendo alquanto seco dimorato, intendendo, che Mnesteo Re d'Athene da fortuna, & travagli del mare conturbato era arrivato all'Isola Melos, et ivi morto, tratto dal disio di regnare impetrò per qualche giorno licenza da Fili. Cosi racconciate le navi ritornò ad Athene, dove doppo il ventesimoterzo anno del paterno essiglio (come dice Giustino) ripigliò il Re il Reame d'Athene, né piu si curò ritornare da Filli. Di, che essendo regnato ventitre anni, morì. A cui successe Osinte; il quale dubito se fosse suo figliuolo, ò no.

 

Antigono figliuolo di Theseo.

Secondo Theodontio Antigono fu figliuolo di Theseo, & Fedra, et come dice Barlaam maggior d'anni di Demofonte. Onde, doppo lo scacciato padre dagli Atheniesi, quasi anco senza barba da quelli fu assunto al Reame, & fatto Re fu detto Mnesteo. Di, che andando a Troia, & non si fidando molto dell'ingegno di Demofonte, seco menò quello. Costui ritornando adietro, & combattuto molto dal travaglio del mare, morì nell'Isola Melos.

 

Medo figliuolo d'Egeo.

Medo secondo Giustino fu figliuolo d'Egeo Re d'Athene, & di Medea; la quale, come dice l'istesso Giustino, veggendo il filiastro essere allevato da Egeo, facendo da lui divortio con il figliuolo Medo se n'andò in Colcho. Ma Ovidio dice ch'ella fuggì per l'apparecchiato veneno a Theseo. Oltre ciò, alcuni vogliono ch'ella ritornasse nella gratia di Giasone, & questo Medo essere poi andato in Asia, & haver soggiogato molti paesi, ma haver posseduto quella parte da noi chiamata Media; la quale da lui, ò dal suo, ò dal nome della madre cosi fu chiamata.

 

Onchesto ventesimo figliuolo di Nettuno, che generò Megareo.

Onchesto (secondo Lattantio) fu figliuolo di Nettuno, il quale, come dice Servio, & Lattantio, edificò Oncheste città vicina al promontorio Micalesso, & da sé la chiamò con tal nome; ma di lui non ho letto altro eccetto, che generò un figliuolo nomato Megareo.

Megareo figliuolo di Onchesto, che generò Hippomene.

Megareo fu figliuolo d'Onchesto, si come chiaramente testimonia Ovidio dove introduce Hippomene, che cosi parla;

 


Di me fu padre Megareo; di lui

Onchesto genitor; avo Nettuno.

Adunque (se ben miri) pronepote

Ad essere vengh'io del Re de l'acque.


 

Hippomene figliuolo di Megareo.

A bastanza s'è mostrato Hippomene essere stato figliuolo di Megareo. Di costui Ovidio recita favola tale. Era nella città di Sciro Atalanta figliuola d'Oeneo, overo di Iasio, donzella di maravigliosa bellezza, & velocissimo corso; la quale per lo piu per commandamento dei dei habitava nelle selve. Costei da molti essendo dimandata per moglie fece un patto tale, che chi la voleva giuocasse seco a correre, & se fossero da lei vinti havessero a morire; ma se alcuno lei vincesse, ella di lui fosse sposa. il che essendo tentato da molti piu tosto arditi, che aventurosi, invece di haverla per sposa vi haveano lasciato la vita. Onde Hippomene, che anco non l'havea veduta, si rideva della sciocchezza di questi tali. Finalmente avenne ch'egli un giorno a caso la vedesse. Di che maravigliandosi della vermiglia faccia, degli occhi lucenti, della bocca di corallo, della chioma d'oro, del petto rilevato, del corpo disposto, & dei piacevoli gesti, subito si sentì ardere per lei. Per la qual cosa colui, che poco dianzi s'havea fatto beffe degli altri, non dubitò punto il dimandarla per sposa, & mettersi a pericolo della severa legge. Hippomene adunque si rivolse a Venere impetrando da lei aiuto; la quale a lui diede tre pomi d'oro tolti dal giardino delle Hesperide, & gli insegnò come havea da adoprarli. Onde essendo entrati nel corso, & andandoli innanzi la donzella, egli ammaestrato subito pigliò l'uno de' tre pomi, & il trasse per terra; di, che la fanciulla invaghita dal lucente splendore si chinò a prenderlo. Indi con la velocità sua di nuovo non pure aggiungendolo, ma trappassandolo, Hippomene medesimamente gittò il secondo, per la cui vaghezza troppo piu splendente della prima la giovane mossa si diede a volerlo raccorre; onde lo innamorato accelerando i passi pigliò un poco de avantagio, ma tosto da quella gli fu tolto. Di che veggendo egli hoggimai essere vicino il segno dove haveano ad arrivare, gittò il terzo del quale la vergine, piu ingorda, che degli altri due primi, con animo di tosto trappassarlo si chinò a prenderlo, ma egli intanto con velocità aggiunse alla disiata meta; la onde la donzella restata vinta divenne sua moglie. Con la quale ritornando lieto verso la patria, & essendo impatiente dell'amore, posta da canto la rimembranza del ricevuto dono da Venere nel bosco di Cibele condusse quella, & ivi seco si congiunse. Di che, ò per sdegno di Venere ò della madre dei Dei, avenne che gli infelici amanti si cangiarono in Leoni, & furono aggiunti al carro di Cibele. Sotto la cui fittione può nascondersi senso tale. Primieramente, se nelle donne è alcuna ostinata durezza, quella si può con l'oro, & con doni rompere, attento, che naturalmente tutte sono avare, & ingorde dell'oro. Sono poi detti amendue essersi conversi in Leoni perche nel bosco di Cibele si congiunsero insieme, cioè abondarono in delitie humane; onde perciò s'inalzarono, & cosi furono cangiati in Leoni, essendo i Leoni superbi animali, & poi all'incontro furono aggiunti al carro di Cibele, cioè in processo di tempo ammaestrati dalla natura delle cose; perche tutti siamo inchinati alle terrene leggi, conciosia, che terrenamente viviamo; onde benche diventiamo superbi, & altieri, alla fine siamo ridotti in terra.

 

Pelasgo ventesimonono figliuolo di Nettuno.

Pelasgo, secondo Theodontio, fu figliuolo di Nettuno, ma Isidoro dove tratta delle Ethimologie dice ch'egli fu figliuolo di Giove, & Larissa. Nondimeno, perche si vede, che Theodontio è stato molto sottile ricercatore di simili cose, ho giudicato essere da credere a lui. Questi adunque regnò in quella parte della Grecia, che poi da Arcade figliuolo di Calisto fu detta Arcadia, & secondo Theodontio dal nome suo fu chiamata Pelasgia, & nell'Asia esservi i Pelasgi; i quali contra Greci favorirono i Troiani, si come nella Iliade mostra Homero. Ma questi Pelasgi hebbero il nome da Pelasga, donna greca, la quale dicono con molta gente in Asia esser passata, & haver edificato una città chiamandola dal nome suo Pelasgia; & indi essere stati chiamati Pelasgi quelli, che sono appresso Licia. Altri poi tengono il contrario, cioè Pelasgo essere stato un Re in Asia, & da lui essersi dimandati i Pelasgi; & indi quella donna Pelasga, dove poscia furono i Pelasgi, d'Asia in Grecia essere poi passata, dove occupato il paese impose il nome ai Pelasgi.

 

Nauplio trentesimo figliuolo di Nettuno, che generò Palamede.

Nauplio fu figliuolo di Nettuno, & Ammimone figliuola del Re Danao, si come testimonia Lattantio; il quale della di lui origine recita favola tale. Mentre Ammimone figliuola di Danao si essercitava nelle selve a lanciare il dardo, a caso percosse un Satiro, alla quale perciò il Satiro volendo far forza quella dimandò aiuto da Nettuno; onde Nettuno cacciato via il Satiro giacque con lei, dal quale congiungimento hebbe Nauplio. Si trova, che Nauplio regnò in Euboia, & dicono, che di lui fu figliuolo Palamede morto appresso Troia. il che non potendo sopportare Nauplio, né trovandosi forze bastanti a vendicarlo, si rivolse ad adoprar lo ingegno; onde dimorando i Greci intorno Troia, egli incominciò circondare tutta la Grecia, & entrare nelle case Reali di tutti i Principi, dove con quelle migliori persuasioni, che poteva usava adulterio con tutte le loro mogli, & le persuadeva a congiungersi con quanti elle potevano; istimando perciò, che ritornando i Greci verso la patria nascerebbono tra loro molte seditioni, & venirebbono all'armi, di, che amazzandosi l'uno con l'altro egli verrebbe a vendicar la morte del suo Palamede. Et è stato creduto, si come affermava Leontio, Clitennestra per opra sua essere venuta negli abbracciamenti d'Egisto; onde poscia ne fu morto Agamennone, & indi Egisto, & Clitennestra. Cosi Egiale moglie di Diomede essersi congiunta con Cillibaro figlio di Steleno. Et per tacer dell'altre, Licofrone si sforza macchiare l'inclita fama di Penelope, volendo, che per consigli di Nauplio alcune notte giacesse con un de' suoi Proci. Oltre ciò, dicono, che l'implacabil vecchio con animo si fervente desiderò la vendetta che, ritornando i Greci dopo la ruina di Troia nella patria, & essendo cacciati da dura, & rea fortuna, egli montò sopra il monte Cafareo, dove la notte accendendo una facella, come s'egli volesse a loro mostrare un porto securo, fu cagione, che molti desiderosi di salvarsi vennero ad urtare negli scogli pericolosi, onde con tal scelerità ne perì una gran parte. Del cacciato Satiro, & di Ammimone oppressa da Nettuno, Barlaam con poche parole ne mostra la ragione, dicendo, che il Satiro fu pedagogo della donzella, & Nettuno un certo Lerneo Egittio molto famoso, di cui Ammimone prima fu concubina, che moglie; & da lui essere stato nominato il fonte, & la provincia Lernea.

 

Palamede figliuolo di Nauplio.

Palamede fu figliuolo di Nauplio, il quale essendo insieme con Greci d'intorno Troia, & essendosi quelli per una seditione levati contra Agamennone, et toltali la potestà che havea di comandarli, fu fatto suo Capitano nella guerra. Tra costui, & Ulisse, si come dice Servio, era odio, percioche Ulisse per non venir alla guerra di Troia fingendosi esser pazzo, legando al giogo, & all'aratro diversi animali se ne stava ne i campi a seminar sale; onde Palamede, per far esperienza se ciò fosse vero ò non, pose in terra dinanzi all'aratro il fanciullo Telemaco, il quale vedendo Ulisse subito fermò l'aratro; di che si conobbe, che non era pazzo. Oltre ciò, essendo Ulisse andato in Thracia per fromento, & ritornando senza niente, con dire, che non ne havea trovato, Palamede andandovi ne portò molto. Là onde per ciò Ulisse sdegnato sopportava malamente la di lui gloria. Di, che per suo inganno avenne, che sotto il tabernacolo di Palamede dai servi suoi vi fu nascosta grandissima quantità d'oro; indi subornati alcuni messi et havute lettere false, nel consiglio di Greci accusò Palamede c'havesse intendimento con Priamo, & che con oro fosse stato corrotto, onde per chiarezza dall'incominciato tradimento comandò, che fosse cavato sotto l'alloggiamento di lui, che ivi troverebbono l'oro conforme alle lettere, & alle accuse. il che fatto, & trovatovi il tesoro ch'egli stesso v'havea fatto nascondere, la accusa d'Ulisse fu tenuta vera, & Palamede come colpevole con sassi fu morto.

 

Celleno trentesima prima, Abello trentesimaseconda, & Occipite trentesimaterza, Arpie, & figliuole di Nettuno.

Celleno, Aheno, Occipite, Arpie, secondo Servio furono tre figliuole di Nettuno, & della terra. Altri dicano di Theumante, & Elettra. La forma di queste cose descrive Virgilio;

 


Non è monstro di loro alcun piu tristo,

Né peste alcuna piu crudele, ò rea

Et per l'ira dei dei da l'onde stigi

Si viene ad inalzare. Il loro volto

È di donzella, & ha d'uccello il ventre,

Curve le mani, pallide, e affammate.


 

Oltre ciò, descrive egli dove habitano, & onde vennero, mentre dice,

 


Con nome greco Strofadi son dette

L'isole poste ne l'Ionio mare

U la crudel Celleno, & l'altre Arpie

Fanno sua stanza; poscia, che lasciaro

Le mense di Fineo per tema estrema,

Et la primiera entrata le fu chiusa.


 

Di queste da Servio si recita una favola, la quale a pieno è stata scritta dove s'è trattato di Zethe, & Calai, & si è dichiarato il senso. Similmente anco di queste tali si ha parlato alquanto dove si ha ragionato d'Aletto, & delle altre Furie, però qui se ne dirà poco. Vuole adunque Servio ch'elle siano figlie di Nettuno, & della terra perche habitano in isole, che sono terrene, ma nondimeno dal mare circondate. Ma io le tengo figlie di Nettuno perche sono monstruose, si come si vede per li versi di Virgilio. Sono poi, secondo Fulgentio, dette Arpie perche Arpe in greco volgarmente suona rapire, là onde la prima di loro Abello è chiamata quasi Abelanalon , che significa desiderare quello d'altrui. La seconda Occipite, che significa velocemente pigliare. La terza Celeno, che vuol dir negro, per lo cui si deve comprendere il nasconder della rapina. Et cosi prima si disidera, secondariamente si toglie, poi si nasconde. Sono dette havere il volto di donzella o perche, come dice Fulgentio, la rapina sia sterile, al, che aggiungerò io in quanto a colui a cui è tolta; overo perche i ladri per suo costume si mostrano in presenza benigni, & piacevoli, accioche con questa arte possino ingannar gli sciocchi. Hanno le mani curve, & rampinate, il che non ha bisogno d'espositione. Che poi habbiano la faccia pallida, ciò non vuole dinotare altro, che la continua fame dell'appetito insatiabile d'havere, per la quale gli infelici inchinati alla rapina continuamente sono tormentati. Il ventre dei rubatori è anco sporcho, & fetido, per dimostrare, che per lo piu l'essito delle rapine è vergognoso; percioche per le rapine si entra nel giuoco consumatore della roba, & padre di tutte le miserie, si scende alla lussuria madre delle lascivie, & degli otij scelerati, si passa alla gola, vergognosissima et dannosa feccia delle crapule, & infermitadi. Istimo queste essere proprie dei corsari, avarissimi, & crudeli huomini, percioche habitano nei liti. Oltre ciò, alle predette Arpie Homero ve ne aggiunge una, la qual chiama Thiella, & dice, che generò i cavalli d'Achille. Diceva Leontio questa interpretarsi impeto overo furor di vento, per la cui si dimostra anco la velocità dei corsari alla rapina.

 

Sicano trentesimo quarto figliuolo di Nettuno.

Sicano secondo Theodontio fu antichissimo Re di Sicilia, & figliuolo di Nettuno; & da lui quell'isola, che piu anticamente fu detta Trinacria fu chiamata Sicania, della cui Solino dove tratta delle Maraviglie del Mondo dice;  Alla Sicania, molto prima inanzi le guerre Troiane, il Re Sicano ivi condotto con grandissima compagnia de Figliuoli diede nome. Di questi figliuoli non ho mai potuto saper nome alcuno. Nondimeno Theodontio dice, che Cerere di costui fu moglie, & Proserpina figliuola, la quale i Poeti chiamarono figlia di Giove.

 

Siculo trentesimo quinto figliuolo di Nettuno.

Fu Siculo Re di Sicilia, & figliuolo di Nettuno, si come Solino dimostra. Secondo Theodontio regnò dopo Sicano, & da lui fu nomata la Sicilia. Paolo dice costui essere stato figliuolo di Corito, & Elettra, & fratello di Dardano. Ma, che fu chiamato figliuolo di Nettuno, perche di Thoscana navigò in Sicilia, & ammaestrò in molte cose quegli huomini rozzi.

 

Il fine del Decimo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO UNDECIMO.

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Con assai benigno spirare de' venti m'haveano condotto in Achaia tra il Pachino Promontorio di Tinacria, & le antiche Siracuse. Dove veggendo, che quasi fino al fine haveva condotta tutta la prole di Nettuno, piu tosto narrando la venuta degli antichissimi Re nell'Isola, che i loro fatti, meco stesso stava considerando, & riguardando a quale regione del Cielo dovea drizzar la prora della mia barchetta. Onde mi venne in mente hora con vele, hora con remi, hora con piedi esser tanto da spingere inanzi che non vi restasse alcuno figliuolo dell'infausto vecchio Saturno del quale non fosse descritta la progenie, eccetto Giove, il quale vollero, che fosse padre, re, & Signore de i Dei, & degli huomini. Confesso Serenissimo Re, che io restai stupido, & mi caderono le forze dell'animo; & come quasi al mio viaggio fosse stato opposto un riparo estremo, & insuperabile, disperatomi diceva; O misero, già potei entrare nell'ampio, & gran gorgo dell'Oceano, & con un picciolo legnetto trappassar l'onde, che fino alle stelle s'inalzavano. Potei trascorrere per tutto il vasto lito del mare Mediterraneo, tra mille scogli, & risonanti sassi. Potei salire sopra monti alpestri, scendere in valli oscure, entrare in antri tenebrosi, cercar le stanze delle fiere, & delle selve, & dei boschi ricercar l'ombre quiete; passar per le Cittadi, & Castella, & quello ch'è piu terribile, scendere fino nell'Inferno, & ricercare tutte le tenebrose stanze di Plutone; con gli occhi forare le viscere della terra, & cosi anco de gli altri Dei la prole, che anco alla penna resta appesa, come da me conosciuta produrre in mezzo. Ma hora, se non vedrò Giove, a qual partito potrò descrivere la grandissima sua discendenza? Se poi voglio veder Giove, m'è di necessità andare in Cielo. Ma infelice me, con qual gran salto, & da qual monte eccelso mi gitterò in quello? Qual'impeto di venti m'inalzerà ivi? Qual densa nube mi porterà ivi? O chi mi presterà ale si veloci? O Dio volesse, che dall'Inferno ritornasse Dedalo, il quale solo seppe vestir l'huomo di piume, & a mortali mostrare l'insolite vie del Cielo. Egli forse a questo bisogno mi potrebbe dar aiuto. Il quale, venga onde si voglia, se non m'è conceduto, dopo tante sofferte fatiche, tante paure vinte, & tanti ripari superati, lasciando imperfetto l'incominciato viaggio, non senza vergogna della mia temerità bisognerammi sovrastare. Oltre ciò disiava vedere la patria de' celesti, & con qual ordine quelli santissimi Theologi de' Gentili havessero posto i Tempij, i palazzi, gli Atrij, & le stanze degli habitatori del Cielo. Oltre ciò, insieme con esso Giove veder di lui la sublime sedia. Con qual ragione quel sacro Concistoro di Dei si convenisse insieme. Quale tra loro l'Imperio di lui. Quale ordine nel sedere. Quale la maestà del presidente. Quali legge si dissero. A chi, & in qual modo si concedessero gl'Imperi, accioche la mortalità fino nel debito fine del Mondo fosse governata, & le altre gran preminenze di cosi eccelso Dio. Cosi stando io quasi come disperato, & tuttavia cruciato dal disio di vedere il Cielo, & fornire il mio viaggio, eccoti, che dal lito di Sicilia senza regger nè timone nè altro, che da un subito impeto di vento fui portato fino in Creta; la quale riguardando, non prima vidi il monte Ideo che, toltami la nebbia dalla mente, & allumato dal vero splendore d'Iddio, conobbi del padre della prole Giove la culla, & le fornicationi ivi d'intorno, & mi ricordai ove le sue ceneri, & l'ossa giacessero. Cosi venni a ravedermi ch'egli non fu il Dio del Cielo, che tiene il throno di quello, ma huomo, i cui fatti, costumi, & altre attioni con non maggior fatica, che degli altri Dei Gentili si potevano comprendere dai terreni specchi. Raccolte adunque in me le forze per descrivere la numerosissima sua prole, entrerò in quello, che poco inanzi è stato detto, pregando ch'al disiato fine mi conduca colui, che per lo secco mare Rosso in Egitto condusse il popolo d'Israele.

 

Giove terzo, & decimo figliuolo di Saturno, che generò trentanove figliuoli, de quali questi sono i nomi: Clio, Euterpe, Melpomene, Thalia, Polimnia, Erato, Thersicore, Urania, Calliope, Acheo, Venere, Amore, Proserpina, Castore, Polluce, Helena, Clitennestra, Palisco, Iarba, Mena, Mirmidone, Xanto, Lucifero, Orione, Minos, Sarpedone, Rhadamanto, & Archisio; de' quali si tratterà nel presente libro. Ma nell'altro si dirà di Dionigio, Perseo, Aone, Eaco, Pilunno, Mercurio, & Vulcano, che saranno otto: Ma nel terzodecimo libro si scriverà di Hercole, & Eolo.

Giove Cretese, il quale in questa opra è il terzo, secondo, che tutti gli antichi testimoniano fu figliolo di Saturno, & Opi. Questo in un medesimo tempo insieme con Giunone partorito, accioche dal padre non fosse ammazzato, secondo il patto fatto col fratello Titano, subito, che fu nato dalla madre fu mandato in Ida monte Cretese ad essere allevato, & si come alcuni vogliono raccomandato ai popoli Cureti, overo come altri dicono a i Dattili Idei. Ma Eusebio nel libro de tempi dice ch'egli fu raccommandato a Creto Re di Candiani, il quale il tenne, & nudrì nella città di Neson, dove è il Tempio di sua madre. Tuttavia, perche dissero, che fu raccommandato ai Cureti, v'aggiungono, ch'egli da quelli fu portato in un'antro del monte Ida: dove quello, si come i fanciulli fanno, piangendo, eglino accioche non fosse sentito facevano strepiti con timpani, scudi, & altri instrumenti. Al cui suono, secondo la loro usanza, adunandosi l'api, stillavano nella bocca del fanciullo il mele; per lo cui beneficio egli poi fatto Dio, le concesse, che generassero senza coito. Ad altri poi piace, che fosse dato a nudrire alle ninfe, tra le quali, si come afferma Didimo nel libro della narratione di Pindaro, vi furono due figliuole di Melliseo Re di Creta, cioè Amaltea, & Melissa; che col latte di Capra, & mele il nodrirono. Onde nel libro delle divine institutioni Lattantio dice, una capretta della ninfa Amalthea con le sue poppe haver nodrito Giove fanciullo, & perciò Germanico Cesare nei versi Arathei dice.

 


Di Giove ella tenuta vien nutrice,

Se veramente Giove fanciullino

De la Capra fidissima Cretese

Le mammelle poppò; la qual in Cielo

Cangiata in chiara, & fiammeggiante Stella

Fa testimonio del cortese allievo.


 

Il che anco pare, che dimostri il famoso Poeta Francesco Petrarca nella Buccolica, in quell'Egloga il cui titolo è Argo, cosi dicendo.

 


Da le tenere labbia le mammelle

Segnate movan te; se il Nettar forse

Scordar t'ha fatto il latte, che bevesti.

Fu pur di gregge la nutrice tua.


 

Et quello, che segue. Servio dice poi, che non in Ida, ma nel monte Ditte dalla madre fu mandato, & ivi nodrito. Ma Giunio Columella nel nono lib. dell'Agricoltura, cosi scrivendo della infantia, & governo di Giove, dice; Né veramente è cosa degna ad uno rustico volere sapere se Melissa fu bellissima donna, la quale Giove convertì in Ape; overo come a lei Homero Poeta dice, da i carboni, & dal Sole essere generate l'api, che nodrirono le ninfe Frixionidi. Poi dice in quella cava haver habitato le nutrici di Giove, et in sorte per dono divino esserle toccati que' paschi con quali elle haveano nodrito il picciolo allievo. Questo dice egli. Onde si viene a comprender, che Giove solamente fu nudrito di Mele. Questi finalmente cresciuto in età hebbe guerra con i Titani per li pigliati padri, & gli liberò. Poscia cacciò del reame il padre, attento, che egli ritrovò, che volea farlo morire, si come di sopra dove s'è parlato di Saturno a pieno s'è detto. Et di quì dicono, che gli sovragiunse la guerra con i giganti; onde havendoli vinti sopra loro vi pose alcuni monti, si come è stato mostrato. Indi soggiogato il mondo con i fratelli divise l'imperio, dando a Plutone il dominio dell'Inferno, a Nettuno del mare, & per sé tenendo quello del Cielo. Et molto prima havendo tolto per moglie la sorella Giunone, & divenuto Re potente, & desideroso di gloria, incominciò divenir ambitioso, & non meno con astutia, che per forza non solo le lodi humane, ma gli honori divini ricercare. Edificò Tempi (si come si legge nell'historia sacra) in molti luoghi, & gli dedicò al suo nome, & in ogni paese ch'egli veniva congiungeva seco in amicitia, famigliarità, & hospitio tutti i Re, & Prencipi di popoli; & quando da loro partiva comandava che fosse edificata una chiesa, & ornata del suo nome, & di quello dell'hospite, come quasi da questo potesse durare la memoria dell'amicitia, & concordia. Onde con tale astutia avenne, che furono edificati Tempi a Giove Ataburio, & a Giove Labriando, essendo stati Ataburio, & Labriando nella guerra suoi aiutori. Cosi anco a Giove Laprio, Giove Molione, Giove Cassio, & altri simili; il che da lui con astutia fu imaginato per acquistare per sé l'honore divino, & agli hospiti suoi nome perpetuo accompagnato con la religione. S'allegravano adunque quelli tali, & volentieri obedivano al suo Imperio, & per gratia del suo nome celebravano i sacrifici, & le solennità annuali; & in tal modo per tutto il mondo Giove seminò la riverenza del suo nome, dando essempio agli altri d'imitarlo. Questi habitò anco nel monte Olimpo, si come testimonia l'istessa sacra historia, dove si legge; A quel tempo Giove nel monte Olimpo facea la maggior parte della sua vita; & ivi a lui venivano, se havevano alcuna sua differenza. Oltre ciò, se alcuno trovava qualche novità che fosse utile alla vita humana, veniva a ritrovarlo, & a Giove la mostrava. Et quello che segue. Oltre questo, come, che tal'huomo fosse ambitioso d'intorno l'occupar gli honori; & molto libidinoso, nondimeno ritrovò molte buone, & utili cose alla vita humana, & quelle introdusse, & alcune cattive ne levò. Et tra l'altre levò dai costumi degli huomini quella usanza di mangiar carni humane, de' quali al tempo di Saturno usavano. Cosi finalmente disposte le cose sue finì l'ultimo giorno, del cui fine è testimonio Ennio. Egli nella Sacra historia havendo prima descritto tutte le operationi di Giove in vita, in ultimo cosi dice; Indi Giove, poscia, che cinque volte hebbe circondato la terra, a tutti gli amici, & parenti suoi divise gl'imperi, & a tutti lasciò leggi, ordini, costumi, & assignò biade; appresso fece molti altri beni, & havendo conseguito gloria immortale, & sempiterna memoria, lasciò di sé ricordo ai suoi la età, & la vita malamente in Creta menata cangio, & se ne ando in Cielo: onde i Cureti suoi figliuoli hebbero cura del suo corpo, et l'ornarono molto; & a quello fecero un bellissimo sepolcro in Creta nel castello d'Aulatia, la qual città dicono haver edificato Vesta; & sopra la sepoltura di lui in lettere greche antiche fu scritto Giove di Saturno. Ma Eumero dice ch'egli morì in Oceania; nondimeno, che fu sepolto nel castello d'Aulatia. Forse, che questo nome d'Oceania fu primo a Creta innanzi, che dal nome di Creta, ninfa, & figliuola d'Hesperide (come dice Plinio nell'historia naturale), cosi l'isola fosse detta. O celebratissimo Re, non vedi adunque con quanto ingegno, con quanto favore della fortuna, con quanti inganni dell'antico inimico questo huomo si acquistasse un nome eterno, una gloria vana, & gli honori divini? Mi maraviglio veramente della pazzia di quella, come che rozza età, che con il poco consiglio credesse, & tenesse per sommo Iddio uno, che haveano visto nato di huomo, mortale, & passibile. So, che potranno essere di quelli, che diranno anco di molti meno antichi non meno essere stati inchinati a questa medesima pazzia, mentre leggeremo da Luca Medico essere stato scritto, che appresso i Listri di Licaonia predicando Bernabà, & Paolo, huomini santissimi, la vera fede di Christo, & in nome di quello haver risanato un'huomo zoppo, & attratto da natività, che da quelli subito furono tenuti Dei, chiamando Bernabà Giove, & Paolo Mercurio. Onde a quelli ciò rifiutando, furono apparecchiati vittime, & sacrifici dai Pontefici, & dal popolo, si come a Dei, de' quali mi maraviglio meno, percioche dinnanzi gl'ignoranti Listri non per opra sua ma per gratia di Christo, si come essi testimoniavano, havevano fatto un'opra divina. Ma Giove, qual cosa fu veduto fare, che fosse piu, che di huomo? niuna veramente. Fu huomo vittorioso, essendo questa opra d'astutia humana, & bene spesso della fortuna; onde perciò non doveva essere tenuto da nessuno nè Iddio nè Re del Cielo. Certamente, troppo facili a credere erano gli huomini di quella età. Noi adunque lasciamo gli antichi nella sua pazzia, & rivogliamo la penna alle cose lasciate. Poscia, che s'è detto di Giove quello, che all'historia s'appartiene, seguiremo quello, che di lui è stato finto. Prima il chiamano padre, & signor degli Dei, & Re del Cielo; & in luogo di scettro gli attribuiscono la saetta. Oltre ciò sacrarono a lui la quercia, & in sua guardia posero l'aquila. Hora veggiamo quello, che sopra ciò hanno voluto intendere. È detto padre, & Signor degli Dei perche regnando egli i tempi degli heroi ò incominciarono ò fiorirono, ne quali appresso Greci, & di poeti overo di Theologhi Gentili incominciò, & fiorì lo studio; i quali veggendo costui a quel tempo tra tutti gli altri mortali maggiore, & che già non solamente appresso i suoi, ma anco appresso straniere nationi tuttavia vivendo si havea acquistato gli honori divini, & ch'era tenuto padre, & maggiore di quelli, che molto prima di lui erano stati, & erano per Dei adorati, havendo anco in favore il nome di Giove, che già lungamente innanzi era celebre, & famoso, & al vero Iddio attribuito, aggiungendoli favore il luogo della sua habitatione detto Olimpo, col quale nome dimandiamo anco il Cielo, il finsero padre dei dei, & Re de' cieli. Né bastò attribuirli quello, che fece, ma molte di quelle cose, che per piu secoli prima erano state fatte, & spetialmente di quelli altri due Giovi, che furono, si come habbiamo mostrato, nei Tempi dinanzi, per la confusione dei nomi furono ritornate in costui, nè altrimenti, che fatte nel suo tempo a lui attribuite. Et cosa, che molto piu dannosa, molte cose, che s'appartengono al solo vero Iddio, vero signore di Dei, sotto il velo di simile fittione riposte, & racconciate furono dagli ignoranti tenute proprie, & appartenenti alla potentia, & finta deità di quest'huomo. Et tanto crebbe questa ignoranza, che non solamente furono credute le cose, che sono di Iddio essere di Giove, ma quelle di Giove essere del vero Iddio, come sono gli adulteri, i tradimenti, le guerre, & altre simili. Nondimeno, quante volte gli huomini illustri per questo Giove hanno inteso il vero Iddio, quello, che di Giove è men, che honesto scritto hanno voluto, che sia compreso per qualche atto naturale prodotto per opra della natura naturata, la quale è opra d'Iddio; il che io non lodo, che per dishoneste fittioni sia disegnata la divina potenza. Appresso, non trovarono il gran numero di Dei perche credessero esservi tanti Dei; anzi i prudenti volsero quelle deitadi ascritte a molti Dei essere proprie della potenza di un vero Iddio, ma da lui per uffici distribuite, & lui oprare per suoi ministri, si come noi facciamo. Il che chiarissimamente nel libro de Dogmate Platonis mostra Apuleio. Ma noi ottimamente crediamo d'Iddio secondo il Salmista. Perche disse & fu fatto. Né però neghiamo Iddio haver ministri, altri della giustitia come sono i Demoni, altri della gratia come gli angeli, altri dei bisogni, & del vivere, come sono i corpi sopracelesti. Ma di questo, altrove. Per lo folgore veramente attribuito a Giove invece di scettro, percioche è affogato, credo io, che quei che hanno finto hanno voluto, che alle volte sia compreso per lo elemento del fuoco, & dell'aere, come afferma Servio, & allhora vogliono, che Giunone sua moglie sia l'acqua, & la terra, attento che da loro per giudicio d'alcuni ogni cosa è procreata; & cosi secondo Varrone dell'Agricoltura, dove sono detti i gran padri, Giove padre, & Giunone madre. Tengo, che questa fittione habbia havuto origine da quelli c'hanno istimato il fuoco cagione di tutte le cose, & che per opra sua il tutto sia generato, & nudrito. Cosi mentre il foco, & l'aere è Giove, egli è sua opra l'adunare, & dissolvere i lampi, & i tuoni, eccitare, & abbassare i venti, mandare folgori, & cose tali; percioche questo si opra nella regione dell'aere col mezzo del fuoco. Dissero che questa saetta ch'egli tiene invece di scettro ha tre punte per designare la tripartita proprietà del folgore, il quale è risplendente, & fende, & abbruscia; onde se alcuno desidera a pieno intendere del folgore, legga Seneca Filosofo ove tratta delle questioni naturali. Oltre ciò gli attribuiscono la Quercia, perche gli huomini della prima età si pascevano de i suoi frutti, & per ciò gli è parso quell'albero dirittamente essere proprio di colui al quale s'appartiene nodrir gli huomini da lui prodotti, overo governati. Isidoro dove tratta delle Ethimologie, par quasi, che voglia quest'albero intendersi la noce, & dai Latini esser detta Giuglande, quasi ghianda di Giove, perche già fu sacrata a Giove; onde segue il suo frutto haver tanta forza, che viene posto tra sospettosi cibi d'herbe ò di funghi, leva da quelli, & amorza ogni veneno, che vi sia. Affermano poi l'Aquila esser in sua guardia; onde ciò Lattantio per parole d'altri ne rende la ragione dicendo; Cesare nell'Aratho riferisce Aglaoste dire che, andando Giove dall'isola di Nasso contra i Titani, & nel lito facendo sacrificio, un'Aquila per augurio gli volò sopra, la quale ritornando vittorioso tolse in protettione per l'augurio buono. Ma la sacra historia dimostra, che l'Aquila fu la prima, che volandoli sopra il capo li promisse, & annunciò il Reame. Perche poi fanciullo fosse nascosto da Saturno, perche havesse guerra con i Titani, & perche scacciasse Saturno, egli a bastanza dove si è parlato di Saturno s'è dimostrato. Del maritaggio poi di Giunone, dove di Giunone s'è detto egli s'è visto. Cosi dell'origine del nome di Giove, il tutto s'è mostrato parlando del primo Giove. Cosi per queste cose, che qui, & altrove si sono scritte, se alcuno volesse potrebbe facilmente far coniettura quanto questo Giove sia conforme alle proprietadi del pianeta di Giove, onde perciò meritevolmente sia chiamato Giove.

 

Le nove Muse figliuole di Giove.

Nove sono per numero le Muse, figliuole di Giove, & della memoria, si come nelle Etimologie piace ad Isidoro. Ma Theodontio diceva di Mennone, & Thespia, per quello forse, che Ovidio le chiami Thespiadi. I loro nomi sono questi. Clio, Euterpe, Melpomene, Thalia, Polimnia, Erato, Terpsicore, Urania, & l'ultima Caliope. Dicono, che queste hebbero guerra con altrettante figliuole di Pierio, & perche le Pieridi restarono vinte dalle Muse furono convertite in Piche; & per la loro vittoria le Muse conseguirono il suo cognome. Oltre ciò, dicono, che queste furono da un certo Pireneo rinchiuse in certi chiostri, & ch'elle in ruina di chi le riteneva volarono via. Vogliono anco, che a loro sia consecrato il fonte Castalio, & la selva di Heliconia, & che sonando Apollo la Lira cantino. Noi, lasciate queste cose, veniremo a torre il velo alle fittioni. Piace ad Isidoro, Christiano, & santissimo huomo, queste Muse essere dette da cercare, percioche per quelle, si come volsero gli antichi, la ragione dei versi, & la consonanza della voce si cerca, onde da loro viene ad essere derivata la Musica, la quale è nomata dottrina di moderatione. Et si come dice l'istesso Isidoro; percioche il suono d'esse Muse è sensibile cosa, & che nel preterito abonda, & s'imprime nella memoria, & però dai Poeti sono chiamate figliuole di Giove, & della Memoria. Ma io tengo, che essendo da Iddio ogni scienza, nè solamente per concepir quella basti l'intenderla se non havrà mandato a memoria le cose intese, & cosi nella memoria conservate, esprimerle; di maniera, che alcuno sappia, che tu le sappi, si come dice Persio,

 


Nulla non giova il tuo saper, s'un altro

Non sa medesimamente quel che sai.


 

Il che è ufficio delle Muse; & di qui elle sono dette figliuole di Giove, & la Memoria è finta. Et non istimo le Muse esser dette da Moys, che è acqua. La cagione si dirà poi. Perche siano nove, nel secondo Comentario sopra il Sogno di Scipione Macrobio molto si sforza mostrarlo, agguagliando quelle ai canti delle otto spere del Cielo, volendo, che la nona sia la modulatione dei concenti del Cielo; aggiungendo a ciò doppo molte parole, le Muse essere il canto del Mondo, che fino dai contadini si sa, perche lo chiamarono Camene quasi Canene, da Canendo. Nondimeno Fulgentio rende un'altra ragione, dicendo la voce farsi da quattro denti, i quali mentre si parla sono percossi dalla lingua; onde se ne mancherà uno prima, che la voce esca, è di necessità, che si mandi fuori un sibilo. Appresso dai due labbri, come cembali delle parole, che ci prestano la commodità, cosi della risonanza con la lingua, la quale per la corvezza da una certa circonflessione, come un'archetto forma lo spirito della parola. Indi del palato, per la cui concavità si proferisce il suono. Ultimamente, perche siano nove v'aggiunge la fistola della gola, che per lo sottil canale da l'uscita allo spirito. Et appresso, perche da molti a queste s'aggiunge Apollo, che suona, non altrimenti, che conservatore dei concenti, alle predette cose dall'istesso Fulgentio vi si mette appresso il polmone, il quale come erario d'un mantice riceve, & rende le cose concepute. Et accioche in cosi rinchiusa, & interna opra di natura non paia ch'egli voglia ch'a lui solo sia creduto, di questa straniera ragione induce testimoni Anasimandro Lampsaceno, & Zenofane Heracleopolite; il quale afferma ch'eglino ne i suoi Comentari hanno scritto questo, ch'io ho detto. Et v'aggiunge questo dicendo queste opinioni medesimamente esser anco confermate da gli illustri Filosofi, come da Pisandro Fisico, & Eusimene in quel libro chiamato Telegumenon . Oltre questo, l'istesso Fulgentio, parendoli quasi di non havere a bastanza dichiarato quello, che voleva delle Muse, per addurre in mezzo la ragione dei nomi, & delle loro operationi cosi dice; Noi veramente diciamo le nove Muse esser i modi della dottrina, & della scienza. La prima è Clio, che è quasi la prima cogitatione d'imparare, percioche Clios in greco vuol dir Fama: & perche nessuno non cerca la scienza, se non per aggrandire la dignità della sua fama; per ciò la prima è detta Clio, cioè pensiero di ricercar scienza. La seconda Euterpe, in greco, che appresso noi significa quello, che diciamo dilettandosi bene; onde il principale è cercar la scienza, et poi dilettarsi di quello, che si cerca. La terza è Melpomene, che quasi è Melompio Comene, cioè facendo rimanervi la consideratione, accioche prima vi sia il voler, secondariamente il dilettarsi di quello, che vuoi, poi fermarti con la consideratione in quello, che desideri. La quarta è Thalia, cioè capacità, come quasi sia chiamata Thithoalia, cioè mettente i germini. La quinta Poliminia, quasi Polim, cioè, che fa molta memoria perche doppo la intelligenza è di necessità che vi sia la memoria. La sesta Eratho, cioè Euricumenon; il che latinamente diciamo ritrovante il simile, perche doppo la scienza, & la memoria è cosa giusta, che trovi qualche simiglianza, & di suo. La settima Terpsicore, cioè dilettante la instruttione. Adunque doppo la inventione, bisogna, che discerni, & giudichi quello, che troverai. Urania è l'ottava, cioè celeste, percioche dopo la giudicatione tu eleggi quello c'hai a dir, & quello c'hai a sprezzare, attento, che elegger l'utile, & sprezzare il caduco è cosa d'ingegno celeste. La nona Caliope, cioè d'ottima voce. Adunque questo sarà l'ordine. Prima è la volontà d'imparare. Seconda, dilettarsi di quello, che vuoi. Terzo è dar opra a quello, che ti diletta. Quarto è capir quello, a che dai opra. Quinto, ricordati quello, che capisci. Sesto è ritrovar simile di tuo a quello, che ti ricorderai. Settimo, giudicare quello, che trovi. Ottavo, eleggere quello, che giudicherai. Nono, proferir bene quello che eleggerai. Questo dice Fulgentio. Se io potessi, vorrei affrontarmi con quelli schifi, & insipidi i quali con le insegne spiegate, & con le squadre ordinate, si sforzano fare empito contra le Muse, & se potessero con armi in mano cacciarle da loro; onde mentre, intendendo malamente le parole di Boetio, si credeno essere armati, si ritrovano disarmati; & vorrei che, considerando succintamente quello, che s'è detto delle Muse, mi dicessero s'hanno ritrovato queste sublimi donne ne i postribuli, se hanno seco usato, se credeno Isaia, Giobbe, & altri santissimi huomini d'Iddio quelle haver guidate dalla compagnia delle meretrice per collocarle tra i sacri volumi. Sò, che negarebbono questi mai haver adoprato queste da loro chiamate vecchie meretrici, se a me non fosse testimonio il sacro Girolamo interprete delle divine lettere; delqual, accioche dalla loro ostinata ignoranza non possa essere travagliato, piacemi descrivere si come stanno nel proemio del libro di Eusebio Cesariense da lui di Greco in Latino tradotto. Dopo molte cose cosi dice Girolamo; Qualcosa piu canora del psalterio, il quale a guisa del nostro Flacco, & Greco Pindaro hora col Iambo corre, hora con l'Achaio risuona, hora col Saphico s'empie, & hora col mezzo piede entra? Qual cosa piu bella del cantico del Deuteronomio, & d'Isaia? Qual'altra piu grave di Salomone? Quale piu perfetta di Giobbe? il che tutto con versi esametri, & pentametri, si come Gioseffo, & Origene scriveno, appresso i suoi composto corre. Et quello, che segue. Istimo, che questi tali non sapevano essere ufficio delle Muse ordinare i tempi delle voci. Non sapevano d'intorno la scienza le Muse disporre le cose da fare. Non sapevano elle haver conceduto le sue amministrationi agli huomini divini in accrescere la maestà delle sue lettere. Tacciano adunque, & rabbiosi mordano se stessi, i quali non intendendo si sforzano lacerar gli altri; & noi rientriamo nel lasciato viaggio. Tengo, circa l'haver havuto le Muse contrasto con le Pieridi, doversi pigliar questo senso. Sono alcuni di cosi pazzo ardire che, non havendo cognitione di alcuna scienza, confidandosi nondimeno nel suo ingegno ardiscono perferirsi ai disciplinati, nè dubbitano con loro disputare; il che facendosi nel conspetto dei dotti non paiono a quelli scientiati, ma con una certa pazza, & vana prosontione loquaci. Onde parendo agl'ignoranti, che dicano molte cose, nè però dicendone alcuna consonante alla ragione, nè intendendo ciò, che parlano loro stessi, beffati dai prudenti sono tenuti Piche, o vogliamo dire Gazze, le quali nel loro garrire imitano piu tosto le voci humane, che l'intelletto. & però questi tali dai scientiati essere transformati in Pichi, dirittamente ai Poeti è parso di fingere. Che poi Pirreneo lo volesse imprigionare, credo ciò non voler essere altro eccetto alcuni, per dimostrarsi impetuosi, & avidi, i quali sprezzate le fatiche degli studi, poscia, che hanno di libri ornato le camere, & a pena veduto le loro coperte, come se havessero cognitione di quanto in loro si contiene hanno ardire istimarsi poeti, overo esservi tenuti dai riguardanti. Ma essendo volate via le Muse, le quali haveano istimato haver rinchiuse ne chiostri, se in publico le vogliono seguire, cioè mostrar di sapere quello, che non sanno, subito vanno in ruina. De quali ne ho io conosciuto alcuni, che fatta una adunatione di libri si sono tenuti maestri, & nel conspetto dei Sapienti sono scappati. V'è anco alle Muse consecrato il fonte Castalio, & molti altri appresso, & questo perche il fonte limpido ha in se proprietà di non solamente dilettare gli occhi del riguardante, ma anco di condurre l'ingegno di quello con una certa virtù nascosta in consideratione, & spingerlo a disio di comporre. Il bosco ò selva poi è a loro sacrato accioche per questo vegniamo a comprender la solitudine, che debbono usare i Poeti, a quali s'appartiene considerare i poemi; il che ma non si fa bene tra gli strepiti delle Città nè tra le genti rusticane, ma (si come piace a Quintiliano dove parla dell'institutione oratoria) in luogo oscuro, & quieto, come sarebbe di notte. il che per li boschi si dimostra assai apertamente; percioche sono opachi per l'adunanza de' rami; & quieti, che per lo piu sono lontani dalle habitationi de gli huomini.

 

Acheo decimo figliuolo di Giove.

Acheo, secondo Isidoro tra le Ethimologie, fu figliuolo di Giove, & vuole, che da lui havessero nome gli Achei overo Achivi. Con queste poche parole sono contento haver passato l'affare di questo famoso huomo. Nondimeno, poscia che Theodontio l'ha chiamato figliuolo di Giove, n'aggiunge ch'egli fu antichissimo Prencipe di Messeni, & che hebbe una gran schiera di figliuoli, per opra de' quali (perche piamente appresso Messeni visse) fu fatto, che egli ò per compagnia, ò per imperio possedesse tutta quella provincia, che fino al dì d'hoggi chiamiamo Achaia; & che dal suo nome cosi fosse detto. Et da questo afferma ch'egli hebbe tutta la nobiltà dei Prencipi di Grecia; ma del numero de figliuoli, non pure ne dice il nome di uno.

 

Venere undecima figliuola di Giove, che partorì l'Amore.

Venere, testimonio Homero, fu figliuola di Giove, & di Didone; & questa è quella la quale Tullio nelle nature di Dei chiama terza, & vuole, che fosse moglie di Vulcano. Dicono, che costei s'innamorò di Marte, dell'adulterio de quali si è detto parlando di Marte. Cosi la chiamano madre d'Enea; il che parlando d'Enea s'è mostrato. Cosi anco trattando di Diomede, della ferita da lui ricevuta. Et medesimamente dove si ha narrato di Adone si ha mostrato qualmente a caso dal figliuolo fu impiagata, & amasse quello. Né mancano di quelli, che credano esser detto di costei quello che nella sacra historia si legge, cioè Venere havere instituito il recreamento meretricio. Il che pare, che affermi Agostino nel libro della Città d'Iddio, mentre dice a costei essere stato offerti doni da Fenici per far torre le virginità alle figliuole innanzi, che le congiungessero con i mariti. Oltre ciò, Claudiano dove tratta delle lodi di Stillicone nel tuo Cipro, ottimo Re, vi descrive un delitiosissimo giardino, nel quale facilmente si potrebbe annoverare il tutto, che s'appartiene a persuader lascivia, dove cosi incomincia;

 


Rende ombra un ampio monte al mare Ionio

Ne l'isola di Cipro dilettosa.


 

Et segue continuando per spatio di quarantasei versi; i quali perche sarebbe troppo lungo non ho notati. Ma descritto il giardino v'aggiunge quanto sia grande la cura di Venere in ornarlo, dicendo;

Venere allhora, i bei crin d'oro avolti.

Et va seguendo per dieci versi. Ma perche di sopra dove si ha trattato dell'altre Veneri, d'intorno l'espositioni delle fittioni si è molto ragionato, quì mi parrebbe superfluo replicare. Ci resta porre quello, che si dubita. Alcuni istimano questa Venere essere l'istessa con quella di Cipro; ma io tengo, che fossero due, & che questa veramente fosse figliuola di Giove, & moglie di Vulcano. Altri vogliono, che fosse figlia di Siro, & di Cipria overo Dione, & moglie d'Adone. Quelli poi ch'istimano amendue una istessa, dicono, che fu figliuola di Giove, & Dione, & prima moglie di Vulcano, & poi d'Adone, & per la singolar bellezza da Cipriani tenuta Venere Celeste, & fu detta Dea, & come Dea con sacrifici honorata, dove in Pafo li fu edificato un Tempio, & Altari, & ivi sacrificato con incenso, & fiori, che rendevano soave odore; percioche Venere per molte cagioni d'odori si diletta. Indi dicono, che costei essendo sopravivuta al marito, arse di tanta libidine, che quasi in publico si diede alle lascivie, & per coprire la sua scelerità, dicono, ch'ella persuase alle donne Cipriane l'arte meretricia, & haver ordinato, che col corpo ignudo invitassero gli huomini; onde si pose in uso, che anco le vergini fossero mandate a i liti per dare a Venere le primitie della loro verginità, & futura pudicitia; & che dal coito degli stranieri si ricercassero le doti. Theodontio v'aggiunge anco dicendo, cosi scelerata usanza, non solamente in Cipro lungamente esser stata usata, ma portata fino in Italia; ilche con l'auttorità di Giustino si conferma, il quale dice ciò per voto alle volte a Locri esser accaduto.

 

Amore duodecimo figliuolo di Giove.

Tutti vogliono, che Amore fosse figliuolo di Giove, & di Venere; il che io terrò non d'huomini ma de i Pianeti. Percioche amendue sono di complessione simili, humidi, & calidi. Oltre ciò, amendue sono benivoli, & egualmente splendenti; & però da questi tali esser generato l'Amore, & spetialmente quello, col quale viviamo insieme, & col quale è finto, che facciamo le amicitie; accioche vegniamo a comprendere che dalla conformità delle complessioni, & dei costumi tra mortali l'amore, & l'amicitia si generò; la quale non può esser vera, eccetto tra i virtuosi, si come chiaramente mostra Tullio dove tratta dell'Amicitia: & di qui tengo, che piu tosto da questi, ch'ambo sono benivoli, si dica esser nato, attento che alcuno non può esser benivolo se non è virtuoso. Del lascivo poi, si è parlato di sopra.

 

Proserpina terzadecima figliuola di Giove, & moglie di Plutone.

Proserpina fu figliuola di Giove, & di Cerere, la quale perche sprezzava gli ardori di Venere da Plutone fu amata, rapita, & portata nell'Inferno, & di lui fatta moglie: la quale lungamente ricercata da Cerere, & per inditio d'Aretusa ritrovata nell'Inferno, pehaver gustato tre granelli di mele grane non fu potuta rihavere; nondimeno da Giove fu sententiato, che sei mesi ella dovesse stare col marito, & sei mesi con la madre di sopra. Di questa Proserpina, dove s'è trattato di Cerere, ricordomi haver esposto quanto si nascondeva sotto fittione. Laonde, eccetto quello, ch'all'historia s'appartiene, non mi curerò narrare. Istimo costei essere stata figliuola di Sicano Re di Sicilia, & di Cerere, & che fosse rapita da Orco Re di Molossi, overo Cudonio overo Agesilao, si come vuole Filocoro nell'anno ventesimottavo d'Eritteo Re d'Athene, & che da lui fosse tolta per moglie. Tuttavia questa historia è piu diffusa dove si contiene di Plutone.

 

Castore quartodecimo, & Polluce decimoquinto figliuoli di Giove.

Castore, Polluce, & Helena secondo Fulgentio furono figliuoli di Giove, & di Leda, della cui concettione si recita favola tale; Che essendosi Giove innamorato di Leda figliuola del Re Tindaro, egli cangiatosi in Cigno incominciò cantare, per lo qual canto ella non solamente si condusse ad udirlo, ma a pigliarlo; il quale essendo pigliato da lei egli prese quella, & giacque seco, per lo qual congiungimento dicono ch'ella s'impregnò, & partorì un uovo, da cui nacque Castore, & Polluce, & Helena. Altri poi vogliono, che solamente nascesse Polluce, & Helena, & che Castore fusse figliuolo mortale di Tindaro. Alcuni poi dicono, tra quali è Paolo, che da quel congiungimento nacquero due uova, de l'uno de' quali Castore, & Polluce nacquero, & dell'altro Helena, & poi Clitennestra. Tutti gli antichi adunque testimoniano Castore, & Polluce esser stati famosissimi giovani; & prima si legge ch'eglino furono de gli Argonauti, & che ritornando di Colco Polluce amazzò Amico Re de' Brebitij, che voleva farli violenza. Poi havendo quelli ricuperata Helena, che da Theseo gli era stata rapita, andarono di nuovo con gli altri Greci a dimandar quella, che un'altra volta da Paride gli era stata menata via, a Troiani. Sono di quelli anco, che dicono, che essi non vennero mai a Troia, nè ritornarono in Lacedemonia ma che tolti in Cielo da Giove fecero il segno di Gemini. Nondimeno Tullio scrive, che Homero dice quelli esser stati sepolti in Lacedemonia. Et Ovidio nel libro di Fastis dice, che havendo eglino rapito Febe, & la sorella figliuole di Leucipio, quali prima erano state promesse per spose a Linceo, & Ida fratelli, furono provocati a battaglia da i sposi, & in quella guerra Castore fu morto da Linceo; contra il quale correndo Polluce amazzò Linceo, ma Ida havrebbe morto Polluce, se Giove non gli havesse concesso, che non potesse esser offeso. Lattantio anco nel libro delle divine institutioni dice Castore, & Polluce mentre rapiscono l'altrui spose mancarono ad esser Gemini, percioche per la vergogna dell'ingiuria, Ida sdegnato l'uno passò col ferro, & oltre ciò, dicono, che Castore valse molto a cavallo, & Polluce in guerra, & che essendo eterno, & veggendo il fratello, morto, dimandò in gratia a Giove ch'a lui fosse lecito partire col fratello la divinità. Il che havendolo Giove concesso, amendue furono tolti in Cielo, & fecero il Pianeta di Gemini; & in loro protettione gli antichi vollero, che fossero i cavalli. Hora veggiamo il senso, che si nasconde sotto queste fittioni. Piace a Tullio nel luogo detto di sopra Castore, & Polluce essere stati figliuoli di Giove terzo, & di Leda, ma di huomo, & non di Cigno nè iddio; & loro essere di quelli, che i Greci dimandarono Dioschorti. Forse l'antichità finse Giove cangiato in Cigno perche il Cigno canti dolcemente; il che è possibile, che Giove fusse tale, che con la dolcezza del suo canto, come spesse fiate veggiamo essere avenuto, egli guidasse Leda ad amarlo, & disiarlo. Percioche il canto è uno degli uncini di Venere. O, che forse Giove era vecchio, & per la vecchiaia canuto, quando amò Leda; & perche per l'ardente desiderio divenne querulo, fu finto, che si cangiò in Cigno, il quale è canuto, cioè bianco, & vicino alla morte canoro. Che poi per tal congiungimento ella partorisse le uova, non credo ciò per altro essere stato detto accioche nella fittione il parto non paresse dissimile dal genitore, attento che gli uccelli sono soliti generar uova, overo perche con una certa pellicina amendue nascessero insieme involti, si come alle volte veggiamo le uova nascere con un certo pannicello non anco ben fermato nella scorza. Che ad Ida fosse vietato non poter offendere Polluce, Leontio teneva ciò la forza della constellatione. Che Polluce con la propria morte sua riscuotesse il fratello, questo pare da Alberigo essersi detto; & perche, essendo tolti in Cielo, & havendo fatto il segno de Gemini, cosi anco in quello medesimamente stelle si dipartono; percioche mostrandosi una l'altra si nasconde; cosi medesimamente quella, che si è celato, dopo l'occaso della prima si lascia vedere. La onde mentre uno morendo scende all'Inferno, cioè all'Occaso, si come huomo mortale, l'altro come divino appare in Cielo. Indi all'incontro mentre uno ascende in Cielo, pare che sia divino, & l'altro essendo nascosto, viene tenuto come morto, & esser mortale; & in questo modo l'uno con l'altro la morte, & divinità hanno patita. Che poi Polluce solo fosse imortale, ciò si crede essere stato tolto dal folgore della stella, che gli stà in capo, il quale è di gran lunga maggiore di quello, che si vede sopra Castore; che alle volte per la grossezza del vapore non si discerne, veggendosi di continuo quello di Polluce. Ma Paolo dice che Castore per opra di Polluce dai Lacedemoni fu posto nel numero dei Dei, & in tal modo fatto immortale. Polluce poi per la pietade havuta verso il fratello, & perche anco fu huomo notabile, fu deificato, & al fratello congiunto; & cosi con la morte a vicenda l'un l'altro si riscatò, percioche primieramente Castore, accioche Polluce non fusse amazzato fu morto. Secondariamente, Polluce affine che il fratello fosse eterno il fece far Dio, & egli rimase mortale donando al fratello la sua deità. Havrei posto la SPOSITIONE di Fulgentio; ma perche egli va sopra il Cielo, la ho lasciata. I cavalli posti in sua tutela sono stati per dimostrare la dilettatione dei giovani, & il loro intento mentre vissero. Questo tengo io piu tosto, che altro, che si dica Servio.

 

Helena moglie di Menelao, & decima sesta figliuola di Giove.

È cosa palese, che Helena fu figlia di Giove, & di Leda, si come di sopra è stato mostrato. Dicono, che costei tra tutte l'altre mortali fu bellissima, si come manifesta Tullio nell'arte antica. La cui bellezza a quel tempo fu molto dannosa ai popoli d'Asia, & di Grecia, & spetialmente mortale a Troiani. Vogliono, che costei, anco giovanetta, et che nella palestra tra l'altre fanciulle di suo tempo giuocava, fosse rapita da Theseo Re d'Athene, ma, che poscia contra il voler di lui dalla madre fosse renduta a Castore, & Polluce, che la dimandavano. Indi fu congiunta per sposa a Menelao Re de Lacedemoni. Finalmente da Pari (come piace ad alcuni), che sotto spetie di addimandar Hesiona veniva come Legato, fu rapita, & menata via, attento, che essendo alloggiato in casa di Menelao, non v'essendo nè anco Menelao, inamoratosi delle lascive bellezze di questa sprezzò la ragione dell'hospitio, & con tutte le masseritie Reali se ne fuggì. Ma Lattantio dice ch'egli con l'armata andò a Sparta, & dimandò Hesiona; la quale non gli volendo esser restituita, si come il padre gli havea comesso, con guerra incominciò danneggiare quel Paese, & prese Sparta per forza, & indi menò seco Helena a Troia. Onde poscia tutti i prencipi della Grecia, havendo piu volte invano fattala dimandare, fecero congiuratione contra Troiani, & sotto la guida d'Agamennone con grandissimo essercito si disposero rihaverla, di che fatti molti fatti d'armi insieme, doppo dieci anni presa Troia fu restituita a Menelao, non senza macchia di tradimento; attento che sono di quelli, che dicono, che, morto Pari da Pirro, ella si maritò in Deifebo: onde cercando i Greci con tradimento dar fine a quello, che con armi pareva non potersi, havendo simulato d'accordo partirsi dall'assedio, quella, dalla Rocca (dormendo Deifebo) accesa una facella diede segno ai Greci, che ritornassero ad occupare la quieta Città, per lo qual merito (dicono) rihebbe la gratia di Menelao. Nondimeno altri dicono, che spontanemente fu tolta da Menelao, perche non volontariamente ma per forza fu rapita. Ma per li versi d'Homero si vede ch'ella stette appresso Troiani vent'anni, il che molto meno istima la maggior parte, tuttavia questo circa il fine della Iliade è dimostrato da Homero, dove insieme con Hecuba, & altre matrone Troiane la introduce a piangere la morte d'Hettore, & dire;

 


Già certamente hor fa il vigesimo anno

Che di Grecia partendo io qui ne venni.


 

Ma Eusebio nel libro dei tempi dice ch'ella nel primo anno del Reame d'Agamennone fu rapita da Alessandro, & che nell'anno quintodecimo dell'istesso Agamennone, Troia fu presa, & ruinata: cosi vengono a discordarsi. Servio poi mette discordia dell'età d'Helena. Percioche essendo stati i suoi fratelli degli Argonauti, & havendo rihavuta quella rapita da Theseo, il quale era stato suo contemporaneo, & indi dai figliuoli degli Argonauti esser stata fatta la guerra Thebana, i figliuoli de quali vennero poi all'impresa di Troia per la rapita d'Helena, a lui pare molto confarsi, tenendo quasi, ch'ella fosse vecchia. il che a me cosi non pare. Percioche si come si vede per le parole d'Eusebio Helena fu rapita da Theseo nel decimosesto anno del suo Reame, ch'era negli anni del mondo tremilanovecentoottantanove, & allhora Helena era fanciullina. Poscia, fu rapita da Pari nel primo anno dell'imperio d'Agamennone, che fu negli anni del mondo quattromila, & sette; & cosi tra la prima presa, & la seconda non vi fu maggior spatio, che di ventitre anni, onde Helena poteva haver trent'anni in circa quando da Pari fu rapita; nella qual età le donne nobili, & d'ingegno acuto fanno la sua bellezza piu riguardevole, aggiungendo con l'arte quello, che le pare, che l'età le toglia; percioche con la isperienza delle cose fatte dottoresse sanno comporre licori, & empiastri, che non solo le accrescono la bellezza, ma anco alle volte rendono forze alla deformità. Nondimeno costei presa Troia, & restituita al suo Menelao, dalle fortune del mare quà, & là gittata prima fu portata in Egitto, regnando ivi Tuori, il quale da Homero nell'Odissea è chiamato Polibo, indi ritornò con Menelao in Lacedemonia.

 

Clitennestra decimasettima figliuola di Giove, & moglie d'Agamennone.

Clitennestra secondo alcuni, come di sopra è stato detto, fu figliuola di Giove, & Leda, & nata insieme con Helena in un'uovo. Costei fu moglie d'Agamennone, & di lui partorì molti figliuoli. Finalmente essendo andato capo dell'essercito alla guerra Troiana, morto già Palamede da Greci (si come piace a Leontio), per conforti del vecchio Nauplio venne ne gli abbracciamenti d'Egisto Sacerdote già figliuolo di Thieste; onde ritornando Agamennone vittorioso verso la patria, & menando seco (si come dice Seneca Poeta nelle Tragedie) Cassandra figliuola di Priamo, che in preda gli era toccata, ò per l'imaginatione dell'adulterio, ò consapevole della commessa scelerità, ò per ira della menata concubina, come piace ad alcuni, nel convito dei sacrifici il fece ammazzare. Ma Seneca ivi dice, che ella, havendoli persuaduto, che si disarmasse, gli apparecchiò un vestimento, che non havea essito alcuno da por fuori il capo, onde essendosi vestito le braccia si ritrovò come legato; di che l'adultero, che nella camera era nascosto lo ammazzò, & medesimamente fece amazzar Cassandra, di che subito morto occupò il Palazzo, dove havendo insieme con Egisto regnato sette anni, da Horeste insieme con Egisto fu amazzata.

 

I Palisci, decimottavo, & decimonono figliuoli di Giove.

I Palisci furono due fratelli (si come nel libro dei Saturnali afferma Macrobio), & figliuoli di Giove, & di Thalia ninfa, de' quali recita favola tale. Nella Sicilia v'è il fiume Simeto. Appresso questo la ninfa Thalia fu ingravidata da Giove; di che havendo tema dell'ira di Giunone desiderò, che la terra l'inghiottisse. Il che fu fatto. Ma venuto, che fu il tempo di partorire i fanciulli ch'ella teneva nel ventre la terra s'aperse, & dell'alvo materno di Thalia uscirono due fanciulli, che furono chiamati Palisci, & subito in quel fiume si cacciarono, i quali cosi furono nomati, perche prima furono inghiottiti dalla terra, poscia gittati fuori, entrarono di nuovo ad affogarsi, & si fecero in un laco, che sempre bolle nel fondo; & quelle tali acque sono chiamate Cratere, & per nome le dicono Delli, istimando, che siano fratelli de i Palisci; onde sono tenuti in grandissima riverenza, & spetialmente per li giuramenti. Questo dice Macrobio. Questi, si come assai si puo comprendere per Macrobio, fe un'Altare, & un Sacerdote, dove si vedevano maravigliose cose. Percioche Aristotele in quel libro che egli scrisse delle cose maravigliose da udire dice; Nel Palisco di Sicilia v'è un'acqua di dieci cubiti, la quale da due gorghi uscendo malto, mentre si rimira, pare che voglia sommergere un campo ivi vicino, ma cadendo dritta nel primiero stato ritorna, dove ivi si deve una certa cosa divina, attento che se alcuno descrive sopra una tavoletta il giuramento di quella cosa che  ci vorrà, & metterà quella sopra l'acqua; se il giuramento sarà giusto, la tavoletta nuoterà; se ingiusto si affonderà; & oltre ciò il periuro di maniera si gonfia, che il sacerdote del luogo non trova cosa per curarlo. Ma Macrobio afferma, che se fosse differenza tra alcuno, ò di furto ò d'alcuna altra cosa, & lo accusato dicesse, che appresso lo Cratere col giuramento volesse giustificarsi, rimasti d'accordo vi andavano; se colui, che giurava giurava giustamente, & fosse innocente si partiva senza offesa, ma il falso giuratore era poi nel laco della vita privo. Veramente sono cose maravigliose, & grande era dello antico inimico la potenza in questi tali. Perche adunque siano detti figliuoli di Giove, & la madre fosse inghiottita dalla terra Theodontio produce questa ragione. Dice, che non lontano da Palermo vi era una sporca Cloaca, che si dimandava Thalia, nella cui tutta l'acqua, che per la pioggia da quella parte del monte Etna soccadeva, ivi scendeva, & faceva suo capo; onde tutto quello, che si ritrovava gittato in quella caverna, non molto da poi pareva, che andasse nei laghi overo ne i fonti Palisci, che bolleno: la onde pareva, che la pioggia, la quale vogliono essere nata da Giove, cioè per opra dell'aere, si nascondesse in quel luogo sotterra, & di nuovo nel laco de' Palisci nascesse; & cosi da Giove essere nati i Palisci.

 

Iarba Re di Getuli, ventesimo figliuolo di Giove.

Iarba Re de' Getuli fu figliuolo di Giove, & di Garamantide ninfa, si come testimonia Virgilio, dove dice;

 


Questi nati d'Amone, & della ninfa

Garamanta, qual fu da lui rapita.


 

Paolo poi dice ch'egli fu figliuolo di Giove, & della figliuola del Re Bisalpo, con la quale giacque Giove in forma di Montone. Ma di questa cosa l'honorato Andalone narra favola tale. Giove ritornando dal convito degli Etiopi havendo veduto sulla riva del fiume Bragada Garamantide ninfa bellissima, che si lavava i piedi, essendo di natura libidinoso subito desiderò congiungersi con lei; ma la donzella veggendolo venire verso lei, tutta smarrita volse incominciar a fuggire ma un gambero, ch'era nell'acqua vicino a suoi piedi, la pigliò nel dito minuto d'un piede, & per la doglia la fece ivi alquanto dimorare, onde cercando di levarselo dai piedi fu sopragiunta da Giove, il quale giacendo seco la impregnò, & per tale congiungimento partorì Iarba. Giove poi lo ricevuto servigio dal gambero pose quello in Cielo, & il fece un segno del Zodiaco, quale propriamente si dice Cancro. Leontio dice Iarba essere creduto vero figliuolo di Giove &quando egli circondando il mondo con la sua libidine macchiò tutti i luoghi; & Garamantide essere stata figliuola di Garamante Re de' Garamanti, da lui nella ripa del Nilo trovata, & violata. Il che io intendo farsi al tempo del solstitio estivo; & perciò è stato finto la donzella per lo caldo sulla riva del fiume andata essere stata dal Cancro ritardata. Theodontio dice, che Iarba fu figlio del Re Garamante, ma chiamato di Giove perche guidò i Getuli dalle ultime solitudini d'Ethiopia, & arene secche nel lito d'Africa, & ammaestrò quelli in molte cose appartenenti al vivere humano. Oltre ciò, il già detto Paolo diversamente di questo Iarba altrove scrive. Egli dice haver letto Garamantide essere stata bellissima, & nobile donzella di quel paese, la quale per lo caldo della state dimorando sulla riva d'un fiume fu presa dal Re Amezetulio, & ingravidata; a cui partorì Iarba. Et però, secondo lo antico costume, dagli habitatori a quali doppo la morte del padre signoreggiò, fu chiamato overo creduto figliuolo di Giove, attento che con ottimi instituti ridusse i fieri costumi loro in piu benigni. Questi, secondo Virgilio, desiderò per moglie Didone.

 

Mena ventesima prima figliuola di Giove.

Testimonia Agostino nel libro della Città d'Iddio Mena essere stata figliuola di Giove, cosi dicendo. Ma vi è la dea Mena, la quale è sopra i fiori del menstruo, & fu figliuola di Giove, ma ignobile. Papia dice costei essere la Luna; benche Varrone attribuisca questo ufficio a Giunone, come nell'istesso afferma Agostino. Istimo, che sia stata attribuita per figliuola a Giove perche da Giove è causato il menstruo, conciosia, che Men in greco suona difetto; il quale è in questa parte delle donne, nell'utero delle quali la provida natura in nodrimento del parto serba il sangue purissimo. Il quale fra un mese, non ingravidando la donna, dal calore naturale, per lo quale si comprende Giove, si corrompe, & corrotto si manda fuori.

 

Mirmidone ventesimosecondo figliuolo di Giove.

Mirmidone (secondo Isidoro dove tratta delle Ethimologie, et doppo lui secondo Rabano) fu figliuolo di Giove, & Corimosa ninfa, & da lui vogliono che i Mirmidoni fossero detti; attento, che fu loro capo, & anco (secondo Rabano) dopo Cecropo fu Re d'Atheniesi. Ma Servio ha tenuto altra opinione del nome de i Mirmidioni. Percioche dice nella regione d'Athene essere stata una fanciulla chiamata Mirmice, la quale per la castità, & diligenza era molto grata a Minerva; ma avenne ch'ella dimostrò a tutti l'aratro di Cerere da Minerva per dispetto nascosto; la onde Minerva molto sdegnata la converse in formica, & la condennò a non restar mai di non fare adunanza di grano: la quale havendo generato molti figliuoli, avenne, che morendo i Thessali, sudditi ad Eaco figliuolo di Giove, di quelle formiche trasformate in huomini furono restaurati, laonde furono detti Mirmidoni, perche le formiche erano chiamate Mirmici da Mirmice, fanciulla conversa in formica. Ma io tengo, che Mirmidone fosse qualche huomo famoso, per li cui meriti fu nomato figliuolo di Giove.

 

Xanto fiume, ventesimoterzo figliuolo di Giove.

Fu Xanto Fiume figliuolo di Giove, si come nella Iliade testimonia Homero, dicendo;

 


Del rivolgente Xanto generato

Da l'immortale, & glorioso Giove.


 

Questo fiume correva appresso Troia, & si coniunge col Symoi vicino al mare, & con quello corre. Questo fiume è maggior di fama, che di onde, & Homero finge ch'egli fece molte cose contra Greci. Ma egli è da maravigliarsi, che Homero altrove habbia detto tutti i fiumi essere figliuoli dell'Oceano, & qui dica il Xanto essere figlio di Giove. il che veramente non è fatto inavertentemente. Alcuni dicono, che il Xanto è piu tosto torrente, che fiume, tra quali è Lucano, dicendo:

 


In un serpente rivo in polve secco

Ritornat'era quel, che fu già Xanto.


 

Però, crescendo piu tosto per pioggie, che per fonte è figliuolo di Giove, & non dell'Oceano, cagionandosi le pioggie nell'aere, che è Giove; dalle quali vengono i Torrenti.

 

Lucifero ventesimo figliuolo di Giove, che generò Celce, & Dedalione.

Barlaam dice, che Lucifero è figliuolo di Giove, & dell'Aurora, & che amò Trachina ninfa, della quale violata da lui ne hebbe due figliuoli, cioè Ceoim, & Dedalione. Istimo, che costui fosse huomo benigno, & piacevole, & perciò detto figliuolo di Giove. Che poi la madre di lui fosse detta l'Aurora, penso per questo; perche Venere, che la mattina precedendo al Sole, & l'Aurora, si dice Lucifero, pare nascere dal seno dell'Aurora; la onde tengo, che sia tratto dalla conformità de i costumi; & si come Lucifero è celeste, cosi questi dell'Aurora è detto figliuolo, & perche signoreggiò alla Provincia Trachina, fu finto, che giacque seco, & n'havesse due figlioli.

 

Dedalione figliuolo di Lucifero, che generò Lichione.

Dedalione fu figliuolo di Lucifero, si come testimonia Ovidio dicendo;

 


Era veloce, & molto fiero in guerra,

Dotato di gran forza, nominato

Dedalion per nome, che fu figlio

Di quello padre, il qual l'Aurora chiama,


Et esce dopo lei fuori del Cielo.

 

Di costui l'istesso Ovidio recita favola tale; Che havendo egli una figliuola chiamata Lichione, che per la sua bellezza molto piacque a Febo, & a Mercurio, ella levatasi in altezza hebbe ardire parlar contra Diana, onde avenne, che da lei fu con le saette percossa, & morta. Di che celebrandosi le essequie funerali di lei, piu volte Dedalione per lo dolore si volse gittare nel rogo dove si abbrugiava il corpo della figliuola; ma essendo tre volte ritenuto, la quarta ostinatamente correndo verso il fuoco prima, che ivi giungesse fu converso in Sparvieri, onde quelli costumi ch'egli havea essendo huomo, mantenne anco uccello. Theodontio levando il velo a questa fittione riferisce una historia, dicendo; Che Lichione si maritò in Penio Epidaurese, & che Penio fu raccolto, & molto honorato Dedalione padre di lei, huomo rapacissimo; il quale perciò era stato scacciato dal fratello Ceice. Ma essendo morta la figliuola, & mancando la speme del parentado, ritornando nell'antico costume fu detto essersi cangiato in Sparvieri.

 

Lichione figliuola di Dedalione, & moglie di Penio.

Lichione fu figliuola di Dedalione; la quale di quattordici anni essendo bellissima, & da molti dimandata per moglie, come dice Theodontio, si maritò in Penio. Indi ritornando Mercurio dal monte Cilleno, & Febo da Delfo, veduta la loro bellezza amendue s'accessero di lei, & separatamente le dimandarono di giacer seco. Ma Apollo indugiò fino alla notte per havere il suo intento. Tuttavia Mercurio, non potendo tardar tanto, toccò la donzella col caduceo, & la fece adormentare, & cosi dormendo usò seco, & si partì. Ma venuta la notte, Apollo cangiatosi in una vecchia se n'andò a lei, & giacque seco; di che avenne ch'ella d'amendue s'impregnò, & di Mercurio partorì Antiloco, il quale in processo di tempo non degenerando dal padre divenne eccellentissimo ladro. Di Febo poi partorì Filemone, il quale fu molto eccellente nella cettra, & in versi. Ma costei, per la generosa prole, & perche havea piacciuto a cosi eccelsi Dei, levatasi in superbia, hebbe ardire anteporre la sua alla bellezza di Diana; laonde Diana sdegnata con le saette la amazzò. Sotto la corteccia della qual favola quello che vi si nasconda, di sopra parlando di ciascuni di loro egli s'è mostrato. Lichione poi amazzata da Diana non istimo esser altro, eccetto, che in lei oprando gli humori frigidi se ne morisse.

 

Ceice figliuolo di Lucifero.

Ceice Re della Trachinna terra fu figlio di Lucifero. Onde cosi dice Ovidio.

 


Questo Ceice del qual fu genitore

Lucifero, reggeva senza forza,

Et senza occisione il suo reame;

E in lui splendeva lo splendor paterno.


 

Era adunque, si come l'istesso Ovidio scrive, di questo bello, & pio huomo moglie Alcione, da lui molto amata, et che molto amava lui; la quale, volendo egli andare all'oracolo d'Apollo Clario, ne potendo fare il viaggio per terra per rispetto della guerra di Forbante, a suo maggior potere fare resistenza, che non entrasse in mar. Ma Ceice piu tosto volendo esseguire il suo desiderio, che compiacere alla moglie, nè prestarle fede, montato sopra una nave pigliò il viaggio. Nè molto navigò, che si levò una grandissima fortuna per la quale il legno si ruppe, & egli dall'onde fu annegato. Ma Alcione rimasta a casa, giorno, & notte con preghi, & sacrifici per la salute del marito honorava Giunone; la quale piu non potendo sopportare le vane preghiere della divota donna andò alla casa del sonno, & ritrovò Morfeo, uno dei ministri del Sonno, il quale ha potere pigliare tutte le diverse sembianze humane; pregandolo, che in sonno annunciasse ad Alcione quello, che era avenuto al marito di lei. Il che fatto, Alcione mesta, & afflitta la mattina correndo al lito, presaga di quello, che in sogno havea la notte visto, a caso trovò il corpo del marito ivi dall'onde del mare gittato. Il quale veduto, mentre non potendo piu sopportare il dolore voleva gittarsi nel mare, per misericordia delli Dei, & di Lucifero, amendue cosi il morto corpo come Alcione, si cangiarono in uccelli, che tengono il nome della donna, & fin al dì d'hoggi habitano appresso i liti, & i mari. De quali nell'Hexameron Ambruogio dice, che hanno quel spatio di tempo deputato da i parti, quando fieramente il mare si leva, & piu fiere onde percuoteno ne i litti; cosa, che è maravigliosa, che dice, che poste le uova nel lito, subito il mare si fa benigno, & tutte le fortune cessano, fino attanto, che per spatio di sette dì con le uova, & nascano gli uccellini, & che per sette giorni gli nodrisca. Cosi il mare per spatio di quattordici giorni stà queto, et si mostra benigno a questi uccelli, cosi volendo Iddio; i quali giorni da i nocchieri sono chiamati Alcioni. Questo dice Ambruogio; il che se un Poeta l'havesse detto, istimerei favoloso. Theodontio afferma questa historia, & quello, che è scritto appresso il fine della fittione, dice essere stato detto per lo caso, & nome della donna. Percioche forse a quel tempo, mentre il gittato corpo di Ciece dall'onde cacciato fu nel lito, & che Alcione afflitta dal dolore si tormentava, quelli uccelli c'havevano il nome d'Alcione vi apparvero. Laonde da tutti fu detto i morti essersi cangiati in quelli uccelli.

 

Orione ventesimo quinto figliolo di Giove, che generò Hippolito.

Orione fu figliuolo di Giove, di Nettuno, & di Mercurio, secondo Ovidio. Ma perche le cose communi sono solite essere nomate dal piu degno, piace a Theodontio che egli solamente sia detto di Giove. Nondimeno, benche gli antichi siano d'accordo della origine, del processo, & essito della vita discordano. Attento che di lui Ovidio prima recita favola tale, cioè che, cercando la terra Giove, Mercurio, et Nettuno, avenne, che sovragiunti dalla notte, nè sapendo ove alloggiare, entrarono in un picciolo tugurio del vecchio Hyrei, lavoratore d'un campicello; il quale non gli conoscendo, altrimenti benignissimamente gli raccolse, ma tosto, che s'avide ch'erano Dei, amazzato un Bue a quelli fece sacrificio. Per la qual divotione Giove mosso gli disse, che dimandasse quello, che disiava; onde egli rispose, che non havea moglie, & che alla prima, che gli era morta havea promesso non ne pigliar altra, ma, che disiava un figliuolo. Di che Giove con gli altri due dei pigliarono il cuoio del morto Bue, & in quello pisciando il diedero al vecchio, che gittandovi sopra della terra il lasciasse stare diece mesi coperto. il che fatto, in capo del termine ne uscì un fanciullo, che fu chiamato Orione; il quale cresciuto in età, & nella caccia divenuto compagno di Diana, fidandosi troppo in sé stesso hebbe ardimento dire non esser nessuna fiera, che da lui non fosse vinta. Per la qual cosa i Dei mossi fecero, che in breve la terra mandò fuori un scorpione, dal quale fu superato, & morto. Onde latona figlia di Satellito, & di lui havendo compassione il portò in Cielo, & il fece un segno celeste appresso il Tauro, & vi pose appresso il suo cane chiamato Syro. Questo narra Ovidio. Ma Servio dice, che questo avenne al Re Enopione, il quale grandemente desiderò congiungersi con Diana; dalla cui (testimonio Horatio) con le saette fu morto. Onde medesimamente a ciò si conface Homero, mentre dice, che per invidia degli Dei appresso Ortigia da Diana con le saette fu amazzato. Ma egli fu morto dallo Scorpione mandato da Diana, & che per misericordia degli Dei fu assunto in Cielo, & fatto il segno delle fortune. Nondimeno Servio altrove di lui tiene diversa openione, dicendo, che quello, essendo tenuto figliuolo d'Enopione, & essendo di grandissima statura, divenne eccellente cacciatore, ma volse vitiare la figliuola d'Enopione; per la qual cosa da Enopione fu privato degli occhi: onde poi hebbe per oracolo, che s'egli andasse per lo mare di tal maniera verso l'Oriente, che sempre havesse le concavitadi degli occhi dirimpetto ai raggi del Sole, che potrebbe rihavere la luce. il che egli si sforzò di fare; onde sentendo lo strepito dei fabricanti Ciclopi, con la guida del suono pervenne a quelli, & pigliatone uno di loro sopra gli homeri, che gli mostrava il camino, andando all'incontro del Sole rihebbe la luce. Questa favola adunque cosi diversa nasconde in sé, & la ragione Fisica et l'historia. Percioche io tengo, che i poeti d'intorno la generatione d'Orione vogliono dimostrare il principio della nostra, intendendo per Giove, & Nettuno il callido, & l'humido essere congiunto con l'human seme. Per lo cuoio del Bue, l'utero della donna; nel quale, poscia, che discende il seme dell'huomo, se qualche naturale frigidità non sopravene, che al ventre stringa, & chiuda l'entrata, & faccia adunare il seme insieme, là il seme non starà nella matrice. La qual frigidità vollero, che fosse intesa per Mercurio, che di complessione è freddo. Del cuoio poi coperto di terra, cioè circondato dalla machina corporale, dopo dieci mesi n'esce il fanciullo. Ch'egli poi cercasse usare con Diana, ciò si può intendere che, essendo Orione un segno celeste, il quale incominciando mostrarsi circa il mese d'Ottobre, aviene, che nascano pioggie, empiti di venti, & fortune, per le quali si fanno innondatione, & movimenti di mare; & cosi pare, che in ciò egli voglia superare la Luna, cioè Diana, la quale è cagione dei movimenti dell'acque. Ma mancando la di lui potenza, & continuando quella della Luna, dimostra da lei restar vinto; overo, durante il moto della Luna spesse volte aviene, che gli empiti d'Orione si raffrenino et la fortuna sia ristretta; & cosi dalle saette di Diana viene ferito. Che poi fosse vinto dal Scorpione uscito dalla terra, la ragione è questa; La imagine d'Orione da gli antichi Astrologhi è posta appresso il segno di Tauro, & nel mese d'Ottobre in Oriente appare; onde allhora, si come è stato detto, incominciano le cattive stagioni, come quasi egli le porti seco. La imagine poi di Scorpione è locata dall'altra parte del Cielo; nè prima incomincia ascendere in Oriente, che Orione manca in Occidente. Et perche circa il suo comparire cessano le pioggie, & le fortune, & incomincia apparire il tempo chiaro, & la Primavera, fu detto Scorpione haver vinto Orione; il qual Scorpione è stato detto essere mandato dalla terra perche nasce di quella, overo perche levando di Oriente pare ch'esca dalla terra; Che fosse privo degli occhi da Enopione, & le altre parti favolose, s'appartengono poi all'historia; la quale Theodontio recita in tal modo; dice, che Enopione fu Re di Sicilia, & Orione suo figliuolo, giovane molto robusto, & gran cacciatore; il quale un giorno lasso per lo caldo, & per le fatiche della caccia entrò in una grotta, & adormentossi, onde in sogno gli parve Venere, che gli persuadesse che levandosi da dormire si dovesse congiungere con la prima donna, che incontrasse: il quale svegliatosi, & uscendo dell'antro s'incontrò in Candioppe sua sorella, che medesimamente era a caccia; la quale pigliata da lui, & condotta nell'antro fu spogliata del fior verginale, & impregnata d'un figliuolo, che fu chiamato Hippolago. La qual cosa intesa da Enopione, & essendosi molto sdegnato con Orione, il cacciò in essilio. Di che egli privo della speranza di regnare andò a consultarsi con l'oracolo, dal quale gli fu risposto, che andando verso Oriente ricuperarebbe lo splendor reale. Il quale montato in Nave insieme con Candiope, & col figliuolo, per opra d'un buon Nocchiero fu condotto in Thracia; dove col valor suo, & col favor del Cielo havendo soggiogato gli habitatori fu molto istimato, & detto figliuolo di Nettuno. Onde credo, che senz'altro sia assai chiara la intention delle fittioni.

Hippolago figliuolo d'Orione, che generò Driante.

Hippolago come di sopra si vede fu figliuolo d'Orione, & Candiope, del quale in tutto non mi ricordo haver letto altro eccetto, che generò Driante.

 

Driante figliuolo d'Hippolago, che generò Licurgo.

Fu figliuolo Driante di Hippolago, si come testimonia Statio, dove dice.

 


Indi move l'horribile Driante,

Che dal fiero Orione origin'hebbe.


 

Espone Theodontio, che mediante Hippolago, di cui figliuolo, hebbe origine da Orione. Questi fu nella guerra di Thebe, & favorì alle parti d'Etheocle, dove in battaglia havendo a morte ferito Parthenopeo (come piace a Lattantio), da Diana con le saette fu amazzato: fu di lui moglie Clustimena di Colcho, dalla cui hebbe per figliuolo Licurgo.

 

Licurgo figliuolo di Driante, che generò Angeo, Arpalice, & Fillide.

Secondo Homero nella Iliade, Licurgo fu figliuolo di Driante. Di costui narrano molte cose. Dice l'istesso Homero nel medesimo luogo, che costui perseguitando le nutrici di Bacco, che stavano nascoste nella Nisa, & per tema Bacco essendo fuggito in mare, Licurgo divenne in odio ai Dei, i quali il privarono della luce. Ma Servio dice, che sprezzando costui Bacco, & dandosi ad intendere di sapere da sé stesso governar le viti, da se si tagliò una gamba. Lattantio poi vuole ch'egli fosse di Thracia Re, & gittato in mare percioche fu il primo, che misciasse il vino con l'acqua; & una cosa cosi sincera, & delicata guastò con molti veneni. Le quai cose tutte contrarie, in tal modo si ponno ridurre in una. Dice Servio, che costui fu usato all'acqua, & però sprezzava il vino; laonde dagli Dei fu accecato, attento, che non conoscesse la bontà di cosi famoso licore moderatamente usato. Il quale essendo da lui sprezzato, tagliava le viti; di che finsero, che a se tagliasse le gambe, percioche il gusto del vino rende gli huomini al tutto piu pronti. Che poi fosse gittato in mare, non è altro eccetto ch'egli per la sua semplicità dalla natura delle cose fu sententiato a bere sempre acqua, rifiutando in tutto il vino. Overo altrimente. Vogliono, che costui fosse sprezzatore di Bacco perche, essendo grandissimo bevitore, pareva, che sprezzasse le forze del vino; onde per lo soverchio bere perdete il lume dagli occhi; il che aviene a molti. Che poi si credesse tagliare, ciò non vuole significar altro eccetto, che bevendo molto si credeva mettecarestia nel vino; ma si tagliava le gambe, cioè si privava delle forze, si come spesso veggiamo occorrere agl'ebbri mentre carichi di vino vanno traballando. Che anco fosse gittato in mare, è stato detto perche essendo il mare salso, & la salsedine concitando maggior sete, questi tali bevitori quanto piu beono tanto piu hanno sete, onde sono gittati in mare, cioè paiano posti in perpetua sete.

 

Angeo figliuolo di Licurgo.

Angeo secondo Lattantio fu figliuolo di Licurgo, si come anco pare, che voglia Statio, dove dice

 


Veggiamo dalla mura il fiero Angeo,

Che i figli d'Eaco minacciando stassi.


 

Et quello, che segue. Ci pare adunque, che fossero degli Argonauti; laonde non tengo, che fosse figlio di costui, attento, che leggiamo Driante padre di Licurgo essere morto nella guerra Thebana, la quale fu molto da poi. Oltre ciò, Isidoro dove tratta delle Ethimologie dice, che costui edificò Samo; onde si viene a vedere, che fu piu antico di Licurgo.

 

Arpalice figliuola di Licurgo.

Dice Papio, che Arpalice fu di Thracia, & figlia di Licurgo, & nelle caccie molto valorosa; della quale dice Virgilio;

 


Overo come Arpalice a Cavallo

Con tanta fretta corre, che trapassa,


Et a dietro si lascia il veloce Hebro.

 

Fillide figliuola di Licurgo.

Fillide, come dice Ovidio nelle Pistole, fu la figlia di Licurgo Re di Tracia; alla quale, dopo la ruina di Troia da venti, & da fortuna cacciato essendo pervenuto Demofonte, da lui fu alloggiato, & tolto in letto; & per la morte di Mnesteo Re d'Athene volendo ritornare nella patria, racconciate le navi, & tolta licenza da lei per un certo spatio di tempo fu lasciato partire. Ma non ritornando al debito tempo, & ella non potendo sopportare piu la lontananza (come vogliono alcuni), con laccio finì la sua vita. Altri poi dicono, che volendo gittarsi in mare, per compassione degli Dei fu conversa in un mandolaio, & che finalmente ritornando Demofonte mandò fuori i suoi fiori. Della qual fitione la ragione può essere tale. Il mandolaio in greco si dice Filla, nel cui restò il nome della morta Filli. Questo tale albero soffiando Zefiro, che è vento Occidentale, & andando in Traccia, passa per lo paese d'Athene; fiorisce, essendo proprio di questo vento di maniera favorire alle piante, & all'herbe, che fioriscano. Et di qui la favola hebbe luogo, cioè Fillide allegrarsi, & fiorire per lo ritorno dello inamorato da Athene.

 

Minos ventesimo sesto figliuolo di Giove, che generò Androgeo, Glauco, Arianna, Fedra, & Deucalione.

Minos è stato detto figliuolo di Giove, & Europa, la quale fu da lui rapita nel lito di Fenicia, si come parlando di lei è stato narrato di sopra. Questi homai d'età provetto tolse per moglie Pasife figliuola del Sole, & di lei n'hebbe figliuoli, & figliuole. Tra quali vi fu Androgeo, giovine di gran speranza, il quale da Atheniesi, & Megaresi per invidia fu morto, attento, che nella palestra havea superato tutti gli altri per vendetta della morte; del quale Minos mosse guerra contra loro d'intorno al cui principio, & in continuatione avennero alcune cose, delle quali si è trattato dove si parlò di Pasife, & Theseo. Ma prima dell'altre cose, Minos per tradimento di Scilla figliuola del Re Nisso soggiogò i Megaresi, & indi vinti gli Atheniesi a sé gli fece tributari. Finalmente fece rinchiudere Dedalo insieme col figliuolo Icaro nel Labirinto, percioche havea prestato aiuto all'adulterio di Pasife; ma essendone volato fuori, egli pigliate l'armi gli perseguitò fino in Sicilia, dove (come nella Politica piace ad Aristotele) appresso il castello di Camerino dalle figliuole di Crotalo fu morto. Doppo la cui morte i Poeti il fecero giudice dell'Inferno, come dice Virgilio.

 


Essamina gli errori il gran Re Minos,

Et il vaso movendo aduna l'alme;


Da le quali lor vita, & opre intende.

 

Le quali cose, essendo tutte piene d'historie, & fittioni, sono alquanto per ordine dichiarate. Che Minos adunque sia tenuto figliuolo di Giove, sono di quelli, che vogliono ciò esser vero, ma di Giove huomo, & Re di Creta; il quale nel lito di Fenicia andò a levare Europa, con la quale secretamente con messi s'era accordato di pigliarla, & sopra una Nave la cui insegna era un Toro, overo, che la Nave cosi era chiamata, la condusse in Creta. Onde fu finto ch'egli si cangiasse in Toro; & ivi fatte le nozze in lui si maritò, & di quello partorì Minos, & altri figliuoli. Sono poi di quelli, che vogliono ch'ella fosse rapita, & vitiata da Giove, & poi maritata in Asterio Re di Creta, & che di lui partorisse quei figliuoli c'habbiamo detto, si come nel libro dei Tempi Eusebio scrive; onde se cosi è, è stato finto ch'egli fosse figliuolo di Giove ò per aggrandire la sua gloria, ò perche nelle sue opre si mostrò simile al Pianeta di Giove. Fu tra l'altre cose huomo a' suoi sudditi giusto, & per giustitia severo, & a Cretesi diede le leggi, le quali anco non havevano havuto; & affine, che da quel rozo popolo fossero accettate piu volentieri, solo se n'andava in una spelonca, & come havea ordinato quello, che gli pareva necessario, uscendo fuori gli dava ad intendere, che il padre Giove gli havea commesso quella tal cosa, con la quale astutia, & forse, che avenne, che per ciò fu tenuto figliuolo di Giove, le leggi da lui ordinate furono havute in gran precio. Che poi fosse figliuolo d'Asterio, a noi pare, che per modo alcuno il tempo non ce lo conceda, ritrovandosi, che Asterio regnò in Creta nel tempo di Danao re d'Argivi, che fu cerca gli anni del mondo tremilasettecento, & cinquantadue; essendo stata la guerra da lui havuta contra Atheniesi nel tempo, che regnava Egeo, il quale signoreggiò circa gli anni del mondo tremilanovecentosessanta. Che Dedalo poi volasse via, ciò fu detto perche, trovate le galee lunghe, le quali con remi sono molto veloci, secretamente come se volasse si partì. È poi chiamato giudice nell'Inferno percioche noi mortali rispetto ai corpi sopracelesti siamo infernali, onde nel dar leggi, si come fece, si può dire, che fu giudice dell'Inferno. Ma certamente, egli non è da pretermettere quanto vanamente gli scrittori hanno giudicato del tempo di costui. Si legge adunque appresso Eusebio, che Minos regnò in Creta nell'anno decimosettimo del dominio d'Hircoo Re d'Argivi, il quale fu l'anno del Mondo tremilasettecentonovantasei; nè molto da poi, regnando Acrisio in Argo, da Cretesi fu rapita Europa, negli anni del mondo tremilaottocentosessantanove, la qual differenza quanto sia contraria dalla prima egli si vede. Conseguentemente ivi si scrive, che regnando Pandione in Athene Europa fu rapita, il che puotè essere d'intorno gli anni del mondo quasi tremilanovecentosedici; & questo tempo molto meglio si conviene, che gli altri tempi detti di sopra con quelle cose, che di Minos si leggono. Percioche, si come l'istesso Eusebio dice, che Paradio vuole, regnando Egeo in Athene Minos ottenne il mare, & diede le leggi a Cretesi; il che si comprende, che fu negli anni del mondo tremilanovecentocinquantatre. Et benche ivi si legga Platone dire ciò esser falso, tanto nondimeno si conface con quelle cose, che da Filocoro nel libro d'Attide del Minotauro si scriveno, che piu non potrebbono essere conformi, come, che alquanto discordino da quelle, che poscia sono recitate da Eusebio, il quale afferma l'anno LXI dell'imperio di Atreo Minos in Sicilia haver pigliato l'armi contra Dedalo. il che secondo la computatione del tempo fu negli anni del mondo quattromila, & due; la qual cosa è molto lontana dagli altri Tempi, come, che è anco possibile ch'egli havesse vivuto tanto, se non vi fossero in contrario i tempi dei successori, si come si vedrà poi. Quello, che s'apartiene poi al Toro, & a Pasife, egli s'è detto di sopra dove s'è trattato di Pasife.

 

Androgeo figliuolo di Minos.

Fu Androgeo figliuolo di Minos, & di Pasife, & giovane di molta virtù; il quale in Athene nella palestra superando tutti, fu da Atheniesi, & Megaresi morto per invidia. Onde per vendicarlo il padre mosso amazzò Niso Re de Megaresi, & con crudel guerra vinse gli Atheniesi, & a sé gli fece tributari.

 

Glauco figliuolo di Minos.

Glauco secondo Servio fu figliuolo di Minos, ma di qual madre no'l dice; il quale venendo in Italia voleva l'imperio di quella, ma però non gli fu concesso, conciosia, che non insegnò a gli habitatori alcuna cosa degna, si come havea fatto il padre, che trovò il costume della cinta a quegli huomini ch'andavano discinti. Laonde costui mostrò a quelli lo scudo, dal quale anch'egli fu detto Labico, & i popoli Labici. Cosi si vede, che Minos alquanto regnò in Italia; di che mi maraviglio, & sospetto, che i corrotti vocaboli non facciano essere anco l'historia corrotta.

 

Arianna figliuola di Minos, & moglie di Bacco.

Arianna fu figliuola di Minos, & Pasife, si come spesse fiate dimostra Ovidio. Costei s'inamorò di Theseo, mandato da Atheniesi in Creta; onde essendosi seco segretamente congiunta, & havendole egli promessa la fede di torla per moglie, & menar seco Fedra sua sorella per Hippolito, gli insegnò la via di poter entrare nel labirinto, vincere il Minotauro, & con la guida d'un filo d'indi uscire. Il quale havendo condotto a fine ogni cosa, tolse di notte in nave Arianna, & Fedra, segretamente spiegando le vele alquanto si partì; & nell'isola di Chio (come dice Ovidio) overo di Naso (secondo Lattantio), la notte partendosi lasciò Arianna, che dormiva, la quale svegliata et veggendosi ivi abandonata, & sola, con gridi, & feminili pianti incominciò far risuonare tutti que' lidi. Onde Bacco a caso d'ivi navigando, & veggendo costei s'inamorò di lei, & la tolse per moglie, & di lei, come piace ad alcuni, hebbe Thoante Re di Lenno. Ma havendo Bacco vinto il Re degl'Indi, & essendosi inamorato d'una figliuola di quello, Arianna per ciò molto si dolse; di che Bacco con carezze, & abbracciamenti havendola mitigata inalzò fino in Cielo la corona di lei, la quale prima Vulcano havea fatta & donato a Venere, & Venere poi l'havea conceduta ad Arianna. Et cosi la ornò di nuove stelle, & la chiamò Arianna, & libera, trahendola, & congiungendola appresso di sé in Cielo, & facendone una imagine celeste. Ma io faccio questa spositione. Naso, & Chio sono isole abondanti di vino, dal quale tengo, che Arianna si lasciasse convincere, & che però ebbriaca fosse ivi da Theseo lasciata; onde, perche poscia si diede in preda al soverchio bere, fu detta moglie di Bacco. Indi, perche ogni honestà della donna dal vino è corotta, da Venere le fu donata una corona, cioè l'insegna di libidine; la quale vien portato fino al Cielo, cioè in notitia d'ogn'un. Né solamente il vergognoso dishonore dell'infamia portato per le bocche degl'huomini; ma oprando il vino, la donna si lascia incorrere ne gli abbracciamenti di tutti.

 

Fedra figliuola di Minos, & moglie di Theseo.

Fedra fu figliuola di Minos, & Pasife, si come assai per la fama antica è divulgato. Costei insieme con la sorella Arianna, vinto il Minotauro, si partì con Theseo; onde si come è stato detto di sopra, lasciata Arianna sopra un'isola divenne moglie di Theseo, & di lui partorì Demofonte, & Antiloco. Finalmente, essendo Theseo andato con Pirithoo nell'Inferno perapire Proserpina, Fedra s'innamorò del figliastro Hippolito; alla cui libidine non volendo il casto giovanetto acconsentire, ella assalita da rabbia al ritornar, che fece Theseo accusò Hippolito, che l'havesse voluta sforzare. Laonde il giovane temendo l'ira del padre, si come di sopra parlando di lui è stato detto, fuggendo fu dai cavalli stracciato, & morto; onde venendo la nuova della di lui morte, Fedra tardi pentita manifestò a Theseo la scelerità sua, & con la spada d'Hippolito se stessa amazzò. Ma Servio dice, che con un laccio ella finì i giorni suoi.

 

Deucalione figliuolo di Minos, che generò Hidumeneo.

Deucalione, si come piace nella Iliade ad Homero, fu figliuolo di Minos, ma da qual madre non si sa. Nondimeno si puote presumere suo successore, percioche Hidumeneo di lui figliuolo fu Re di Creta.

 

Hidumeneo figliuolo di Deucalione, che generò Orsilico.

Hidumeneo, secondo il testimonio d'Homero, fu figliuolo di Deucalione. Questi insieme con Greci fece guerra contra Troiani. Ma (secondo Servio) rovinata Troia, ritornando con le navi verso la patria hebbe grandissima fortuna; onde fece voto agli Dei, che se il lasciassero ritornar salvo nel suo reame, ch'egli a loro farebbe sacrificio di quella prima cosa, che gli venisse inanzi. Di che essendo giunto in porto, avenne, che prima di tutti il figliuolo per disio di rivedere il padre si gli offerse; per la qual cosa (come dicono alcuni) havendolo immolato, overo (come piace ad altri) volendolo sacrificare, da i Cittadini per tal crudeltà fu cacciato. La onde essendo rimontato in nave, & havendolo il vento gittato fino a Salentino promontorio di Calabria, ivi deliberò fermare il suo essilio; di che non lontano dal lito per sé, & per li suoi edificò la città di Pittiglia.

 

Orsiloco figliuolo d'Hidumeneo.

Orsiloco fu figlio d'Hidumeneo, si come nell'Odissea scrive Homero dove scrive la di lui Genealogia, incominciando da Giove fino ad esso. Questi havendo seguito il padre alla guerra di Troia, & essendo il tutto succeduto prospero, per la sua insolenza nella presa di Troia fu amazzato da Ulisse, conciosia, che s'opponeva con tutte le sue forze per non lasciar dare la debita parte della preda a quello.

 

Sarpedone ventesimosettimo figliuolo di Giove, che generò Antifate.

Sarpedone secondo Homero fu figliuolo di Giove, & Laodania figliuola di Bellorofonte, la quale openione segue anco Servio. Ma pare, che Agostino tenga altrimenti, dicendo; In quelli anni, cioè regnando Danao in Argo, da Xanto Re de' Cretesi, del quale appresso altri habbiamo trovato altro nome, si trova essere stata rapita Europa, & indi generati Rhadamanto, Sarpedone, & Minos, i quali sono chiamati dalla maggior parte figliuoli di Giove, & di lei. Et quello, che segue. Altri dicono, che furono figli d'Asterio, & per ciò io non tengo, che questo sia quel Sarpedone, essendo stato quello molto tempo prima. Ma perche di quello non si legge cosa alcuna, basterà haverci posto il nome; & di questo seguiremo quello, che si scrive. Questi adunque fu Re di Licia, & seguitò la parte Troiana contra Agamennone, & i Greci, & fu famosissimo guerriero, il quale combattendo fece molte cose degne di ricordo, si come nella Iliade Homero scrive. Finalmente fu morto da Patroclo, & per commandamento di Giove d'Apollo fu levato il corpo di mezzo la battaglia, & nel fiume lavato, & unto d'ambrosio licore, & con la real veste ornato, & dato ai suoi, che vi facessero le pompe funerali. Onde, questo poco di figmento, che vi è non vuole significaaltro eccetto, che per opera d'un Medico fu curato il corpo, & con unguenti per conservarlo, tutto unto.

 

Antifate figliuolo di Sarpedone.

Antifate fu figliuolo di Sarpedone; testimonio Virgilio dove dice;

 


Et Antifate il primo, il qual diceva,

Se esser primo figlio della madre


Thebana, & di Sarpedone alto, & degno.

 

Costui rovinata Troia venne con Enea in Italia, dove combattendo contra Turno fu da quello amazzato.

 

Rhadamanto ventesimo ottavo figliuolo di Giove.

Rhadamanto (si come tutti vogliono) fu figliuolo di Giove, & Europa, regnando Danao in Argo; & secondo Eusebio fu Re di Licia. Questi, essendo severo essecutore di giustitia, fu da i Poeti finto, che stà nell'Inferno ad essaminare i peccati dei colpevoli. Del quale Virgilio dice;

 


Rhadamanto è preposto a questi regni,

Egli gastigha, e gli errori intende,

Et con tormenti confessar ci sforza

Quei peccati, ch'alcuno in vita ha fatto.


 

Dell'origine, & fittione di costui, egli è da intendere l'istesso, che di Minos è scritto.

 

Acrisio ventesimonono figliuolo di Giove, che generò Laerte.

Acrisio secondo Ovidio fu figliuolo di Giove. Di lui Ovidio parlando, induce Ulisse a ragionare con poche parole della sua nobiltà verso Aiace in tal modo;

 


A me Laerte, ad esso Acrisio è padre

E 'l sommo Giove a lui; nè fu tra questi


Posto in Essilio, ò discacciato alcuno.

 

Laerte figliuolo d'Acrisio, che generò Echimene, & Ulisse.

Laerte, come è stato mostrato, fu figliuolo d'Acrisio. Costui tolse per moglie Anticlia figlia d'Auttolico, & di quella n'hebbe Ulisse, & le sorelle. Egli non vide andar volentieri Ulisse alla guerra di Troia, si perche era vecchio, come anco perche ritornando doppo molti travagli di mare fece vendetta di molte ingiurie.

 

Echimene figliuola di Laerte.

Fu Echimene figliuola di Laerte, si come nell'Odissea Homero dimostra dicendo;

 


Con Echimene insieme minor d'anni

Di tutte le figliuole di Laerte.


 

Costei, si come nel medesimo libro si legge, fu data per moglie dal padre ad un certo per nome chiamato Samnide.

 

Ulisse figliuolo di Laerte, che generò Thelemaco, Telegono, & Ausonio.

Di Ulisse, famosissimo huomo appresso gli antichi, è incerta la progenie. Percioche alcuni dicono ch'egli fu figlio di Sisifo ladrone, tra quali è Servio, che dice, che Anticlia madre d'Ulisse prima, che si maritasse giacque con Sisifo figliuolo di Eolo, & s'impregnò d'Ulisse. Il che a lui gitta in occhio Aiace figliuolo di Thelamone, mentre (in Ovidio) con ciò n'andò d'inanzi Greci, cosi dice.

 


Perche adunque di Sisifo fu nato,

E a lui simil nei furti, & negl'inganni.


 

Il che anco afferma Theodontio, dicendo, che Anticlia prima si maritò in Sisifo, ma, che lasciandolo, & essendo già pregna si maritò in Laerte; nondimeno del concetto di Sisifo partorì Ulisse. Ma Leontio dice, che essendosi Anticlia maritata in Laerte, & andando a consultarsi con Apollo, fu presa da Sisifo ladrone, che poi fu amazzato da Theseo, & da quello fu impregnata; onde per tale congiungimento ne nacque Ulisse. Altri poi vogliono, che fosse figlio di Laerte, tra quali fa testimonio Homero, Virgilio, & l'antica fama dei piu secoli invecchiata; de' quali seguendo io l'auttorità dico, che Ulisse fu figliuolo di Laerte, & fu huomo di gran consiglio, & di sublime ingegno; ma, che valesse piu ò di frode ò d'ingegno, ciò è dubbioso. Spesse volte Homero chiamò costui Multimodo, quasi come egli havesse molti modi per essequir tutte le cose. Certamente egli patì molti travagli, & nondimeno con maravigliosa fortezza gli avanzò tutti. Costui giovanetto tolse per moglie Penelope figliuola d'Icaro, la quale per virtù, & pudicitia fu bellissima donzella, & subito di lei hebbe un figliuolo Thelemaco. Finalmente essendo rapita Helena da Pari, mentre Palamede facea la scielta de' Greci per andar contra Troiani (come dice Servio), cercò fuggire tale occasione fingendosi pazzo; onde venendo in Ithacia Palamede, egli fu ritrovato con diversi sorti d'animali sotto il giogo nei campi seminar sale. Ma Palamede sospettando dell'astutia dell'huomo tolse il piccolino Thelemaco, & per far prova dell'astutia dell'ingegnoso huomo pose quello nei solchi dei campi, all'incontro dell'aratro dove seminava Ulisse; il quale veggendo il figliuolino Thelemaco subito con l'aratro lo schifò. di che conosciutosi, che non era pazzo fu sforzato andare alla guera, dove grandemente, mentre durò l'assedio, mantenne l'amicitia con Diomede Etholo. Et poscia, che per farsi benivoli i venti sotto spetie di nozze hebbe condotto Ifigenia nel sacrificio, con gl'altri venne a Troia, dove con grandissima astutia per ottener la vittoria de la guerra incominciata oprò molte cose necessarie. Attento, che (come dice Theodontio) per opra sua avenne, che Achille dalla madre tra le figliuole di Nicomede in habito di donzella nascosto fu ritrovato, & anco condotto all'assedio. Per opra sua le saette d'Hercole (senza le quali dicevano Troia non poter esser presa) con Oracolo furono ritrovate, & da Filotete anco ottenute, & a Troia portate. Per opra sua le ceneri di Laumedonte, che sopra la porta Scea d'Ilione con gran guardia erano serbate, furono d'ivi levate. Doppo questo, egli insieme con Diomede rubbò il fatale Palladio di Troia. Cosi anco amazzato Dolone, con Diomede medesimamente divenuto spia, di notte tagliò la testa a Rheso Re di Thracia, & condusse nell'essercito de' Greci i suoi cavalli bianchi pria, che gustassero dell'acqua del Xanto. Et spesse volte, si come dice Servio, vestitosi in habito d'un mendico, & povero, volentieri sopportò delle ripulse, & delle busse per entrar in Troia a spiare quello, che si facesse, & fedelmente riferì sempre quello, che havea veduto; dove tra l'altre, una fu conosciuto da Helena. Oltre ciò essendo molto eloquente, & bel parlatore, piu volte tra Greci, & il Re Priamo fece l'ufficio di legato, per accordarli. Appresso, molte fiate dimostrò anco quanto nelle battaglie, & in mezzo l'armi fosse valoroso. Cosi anco nei parlamenti, & consigli molte fiate con la sua prudenza aiutò i Greci. Hebbe odio coperto contra Palamede; percioche contra sua voglia il trasse alla guerra, & condusse di Thracia buona copia di fromento, la qual cosa egli mandatovi non havea voluto fare. La onde con inganno cercò farlo morire, si come è stato detto parlando di Palamede. Ultimamente si crede, che costui facesse qualche trattato, onde ò per opra di Sinone ò per qualche altro tradimento Troia fosse presa, & rovinata. Indi presa Troia, egli venne in gara con Aiace suo figliuolo di Thelamone per l'armi di Achille, le quali finalmente per la sua eloquenza gli furono date. Oltre ciò, ammazzato Orsiloco figliuolo del Re di Creta, percioche contrastava, che a lui non fosse data la parte della preda Troiana, si come si faceva agli altri Prencipi, amazzata anco Polissena, & percosso ad un sasso Astianatte, montò in nave per ritornar verso la patria. Ma fu molto vano il suo pensiero, percioche assalito da molte fortune di mare, per spatio di diece anni qua, & là in diversi paesi andò errando. Primieramente, dall'onde, & da venti cacciato (si come egli stesso nell'Odissea narra ad Alcione Re di Feaci) fu portato nel paese di Ciconij, i quali vinti da lui, & saccheggiata tutta la città d'Hismaro, perduti pochi compagni, dalla fortuna fu guidato fino a Lotofagi, onde non ritornando a dietro quelli compagni da lui ivi mandati a spiare il luogo, fu portato di nuovo in Sicilia, dove con dodici compagni entrò nell'antro di Polifemo Ciclope, de' quali il Ciclope havendone divorato sei, egli con un tizzone affogato cavò l'occhio a Polifemo, & vestitosi delle pelli dei castratti con l'avanzo dei compagni uscì dalla spelonca. Poscia portato in Eolia, ottenne da Eolo i venti rinchiusi in uno utro; di che partendosi, & essendo vicino ad Itacha slegò l'utro in presenza dei compagni, che si credevano quello essere pieno di tesoro; per la qual cosa, soffiando il vento contrario, di nuovo fu portato in Eolia, dove da Eolo cacciato via, & per lo mare navigando, il sesto giorno arrivò da i Lestrigoni. I quali essendoli contrari, perdute tutte le navi, & la maggior parte de i compagni, con una sola nave capitò da Circe; la quale havendo cangiato i suoi compagni ch'erano andati a investigare il luogo in fiere, egli da Mercurio havuto un Farmaco arditamente se n'andò a quella, & col brando ignudo minacciò amazzarla se subito non ritornava i compagni nelle primiere forme; il che fu fatto, & dimorò seco per spatio di un anno, con cui hebbe un figliuolo detto Thelegono. Ma havendo lasciato l'immortalità, fu ammaestrato della via c'havesse a tenere; dove lasciato ivi Alpenore per violenza a caso morto, montò in nave, & con prospero vento in una notte venne sino all'Oceano. Dove fatti quelli sacrifici, che Circe gli havea insegnato se n'andò all'Inferno, & ivi ritrovò la madre Anticlia, & Alpenore poco dianzi morto, con molti altri; di che fu avisato da Tiresia indovino di molte cose. Indi ritornato alla nave, un'altra fiata andò da Circe, & sepelì Alpenore. Cosi delle cose a venire da Circe ammaestrato si partì, & giunse all'isola de le Sirene; onde accioche elle non potessero ritenerli, fece, che tutti i compagni si stopparono con la cera le orecchie, & fece, che legarono lui all'antenna della nave; laonde cantando quelle, passò la pericolosa Isola. Oltre ciò, non senza grandissimo pericolo, & commune fatica di tutti passò Cariddi, & Scilla. Indi essendo giunto a quei luoghi dove le ninfe custodivano i gregi del Sole, commandò, che alcuno non gli toccasse. Ma essendosi egli adormentato, & i compagni havendo gran fame, Euriloco persuase ai compagni che togliessero degli animali di quei gregi; il che fatto, & havendone quelli portato molti in nave, subito si levò una fortuna tanto terribile, & crudele, che la Nave si ruppe, & tutti i compagni furono morti, & dispersi. Ulisse solo ignudo, essendosi pigliato all'arbore della nave, per spatio di nove giorni continui fu dall'onde, & dal vento travagliato, & alla fine fu gittato appresso l'Isola Ogigia, dove da Calipsone ninfa raccolto ivi per sette anni fu con benigna accoglienza ritenuto: ultimamente, mal volentieri da lei havendo impetrato di partirsi, & essendo insieme con i suoi compagni montato in nave, Nettuno offeso da lui, percioche combattendo gli havea morto il figliuolo Cigno, & havea fatto rovinar Troia da lui edificata, & indi havea privo dell'occhio il figliuol Ciclope, fece, che l'impeto del mare fu tale che, rotta la nave, egli fu costretto gittarsi ignudo nell'onde. Di che Leucothoe, havendo compassione del misero abbattuto dal mare, gli prestò il suo velo con l'aiuto del quale il terzo giorno essendo giunto al lito, & entrato nella bocca del fiume de Fenici, ributtato il velo nel mare si pose ignudo tra le frondi dei boschi; dove ritrovato da Nausitea figliuola di Alcinoo, hebbe vesti da coprirsi; & per opra di Pallade fu condotto fino ad Arethi moglie del Re Alcinoo, dal quale meritò ricever doni, & Nave, & compagni, che il conducessero fino in Ithaca; laonde in Nave dormendo fu da Pallade avisato di quello, che dovea fare. Per la qual cosa svegliato et smontato di Nave, si transformò in un povero vecchio, & andò ritrovare i suoi lavoratori di villa, dove vide il figliuolo Thelemaco, & parlò seco. Finalmente fu da Siboote suo porcaio condotto nella patria senza essere da altrui conosciuto, & nella propria casa sopportò alcune parole ingiuriose usategli da i Proci di Penelope; dove poi fu da Eurichia sua nutrice riconosciuto. Di che Ulisse subito insieme col figliuolo, & con due di suoi lavoratori prese l'armi contra quei Proci, & dopo molto combattere gli amazzò tutti; benche Theodontio dica, che gli cavò gli occhi, & che gli conducesse in tanta miseria, che stavano nelle strade cercando un poco di pane per vivere. Qui, poscia, che hebbe veduta Penelope, partissi per andare in villa a rivedere il vecchio Laerte. Ultimamente, secondo Theodontio, restò smarrito per molti horrendi sogni; de' quali cercando la interpretatione, hebbe in risposta, che si guardasse dal figliuolo. Il quale partendosi, & istandosi in lochi rimoti, & nascosti, quanto puotè si schifò dai portenti sogni. Ma finalmente Thelegono, che a lui nacque di Circe, venendo in Ithacia per ritrovarlo fu cacciato dalla casa di lui. Di che essendo giovane forte, & animoso amazzò molti di quelli, che gli contrastavano; onde Ulisse pigliando un dardo il lanciò contra quello. Ma Thelegono havendo schifato il colpo, prese quel medesimo dardo, & il trasse contra il padre; per lo qual colpo conoscendosi Ulisse vicino alla morte, dimandò a lui chi egli fosse. Onde inteso c'hebbe il nome, & la patria, conobbe, che quello era suo figliuolo; per la qual cosa s'avide non haver potuto fuggire il suo destino, & cosi se ne morì. Ma Leontio dice ch'egli a caso fu morto da Thelegono, che cercandolo il punse con una spina di pesce avenenata. Veramente lunga è l'historia di costui, & brevemente narrata con alcune fittioni, per entro delle quali la maggior parte per inanzi è stata esposta. Et però con poche parole veggiamo l'avanzo. Et primieramente ciò, che intendino per gli utri con i venti rinchiusi, & legati con una catena d'argento, la quale da i compagni fu sciolta. Homero nell'Odissea vuole formare un huomo perfetto; & tra l'altre cose volendo dimostrare quello, che dalla bontà divina a noi nascendo è donato, dice, che da Eolo, cioè da Iddio, i venti cioè concupiscevoli appetiti sono rinchiusi in un cuoio di bue, cioè infusi nell'arbitrio dell'età virile; la quale deve essere forte, & costante, si come è il cuoio del bue; & questi tali sono legati con una catena d'argento, cioè dalla famosa risonanza della chiara virtù; la quale veramente non serba il cuoio da alcun'altro meglio fermato, che di quello, che stà intento al divino amore; nondimeno questa catena è slegata da i compagni d'Ulisse, cioè dai sensi dell'human corpo, che per nostra dapocaggine signoreggiano alla ragione; & slegano questa catena istimando, che nell'utro vi sia gran preda. il che significa, perche pensano essere di gran lunga migliore, & piu dolce vita nei piaceri, che non sono sottoposti a nessuna regola, che in quelli legati da salda ragione. Tuttavia slegati questi, mentre si lasciavano cadere in questa e in quella lascivia si levano le fortune, cioè i rossori, le riprensioni della conscienza, i travagli dell'animo, le afflittioni, la miseria, le infermità, & mille spetie de' mali, che ci allontanano dalla patria, cioè dalla quiete. Che poi andasse all'Oceano, & che ivi per sacrifici gli fosse mostrato il camino dell'Inferno, istimo ciò essere stato detto perche Ulisse in una notte navigasse al lago Averno, nel golfo di Baia, dove morto Alpenore facesse quel sacrificio nel quale l'anime si chiamano di sopra, & cosi da que' maligni spiriti havesse notitia delle cose richieste. Il velo poi ad Ulisse rotto in mare prestatoli da Leucothoe, istimo non essere stato altro, che la immobile speranza ch'egli fissa teneva nel petto di fuggire quel pericolo. Questa oprò, che non si disperando non pericolasse; la qual speme, poscia, che ottenne il suo intento, lasciò adietro. Che poi spessissime fiate fosse da Pallade aiutato, percioche da lei con l'avertenza sua ammaestrato, fuggì molti pericoli, & molte cose oprò a lui necessarie.

 

Thelemaco figliuolo d'Ulisse.

THelemaco fu figliuolo d'Ulisse, & picciolino dal padre lasciato alla madre Penelope; il quale insieme con lei dai Proci havendo ricevuto molti oltraggi, alla fine insieme col padre a un tratto si vendicò.

 

Thelegono figliuolo d'Ulisse.

Telegono fu figliuolo d'Ulisse, & di Circe; il quale cresciuto in età, & cercando vedere il padre, a caso non lo conoscendo lo amazzò, dove ritornando in Italia edificò Tiburi, c'hora si chiama Tivoli, si come dice Ovidio.

 


E già di Thelegono, & già le mura

Di Tiburi vid'io, dove habitava


La rozza gente, che vi pose mano.

 

Ma Papia dice ch'egli edificò Tusculo.

 

Ausonio figliuolo d'Ulisse.

Ausonio fu figliuolo d'Ulisse, si come scrive Paolo Lombardo in quella historia ch'egli scrive de fatti di Longobardi; dicendo tutta l'Italia di lui essere stata nomata Ausonia. Ma Tito Livio mostra volere altrimenti nel libro ottavo dell'edificatione di Roma, dove dice; Minturno, & Vestina, Città degli Ausoni, a tradimento da M. Pellio, & C. Sulpitio consoli furono prese, & fu quasi estinta, & annichilata tutta la gente Ausonia. Onde quella particella dell'Italia fu l'Ausonia. Io tengo, che questo Ausonio fosse quel Latino il quale alcuni vogliono essere stato figliuolo di Circe, & Ulisse, & nodrito da Marica ninfa, attento che (testimonio Servio) Marica sia la Dea del lito de' Minturnesi appresso il fiume Liri. Nondimeno noi, benche ci restino molti figliuoli della prole di Giove, facendo fine al presente libro riposaremo alquanto.

 

Il fine del Undecimo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO DUODECIMO.

 

All'Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Se doppo lungo corso di viaggio, Illustre Re, come, che il camino non sia venuto al fine, al discreto condottiere della carretta il levare i cavalli pieni di ansia da quella, alquanto riposare, & appresso qualche prato, & da alcun fonte rinfrescare, onde egli intanto medesimamente si trahe la sete, & piglia un poco di ristoro, cosi anco al buon'arator, sebene tutto il terreno dall'aratro non è fesso, è conceduto, sopra restandogli ancora una parte del giorno, sciorre i buoi dal giogo, & lasciargli posare, & pascere alquanto, mentre egli spirando una dolce aura all'ombra dei boschi canta le rozze canzoni, & si sforza scordarsi le dure fatiche. Indi medesimamente al famoso Capitano di guerra (conceduto anco, che la battaglia non sia finita), è lecito col segno della raccolta i lassi, & sanguinosi soldati far ritirare, accioche levato dal pericolo della morte in un'altro assalto, rinovate le forze, contra gli inimici siano piu gagliardi. Chi dirà, che a me non sia lecito, se bene fino al fine non sono giunto della numerosa prole di Giove Cretese, havendone nondimeno esposta una grandissima parte, riposare alquanto, per vedere se potrò giungere al vero segno? Alcuno dirittamente istimo. Seguendo adunque l'altrui costume, non altrimenti, che s'io fossi pervenuto a qualche segno certo, & ordinario di far pausa, tutto lasso per la fatica, nell'Ausonia (benche litto impetuoso) mi fermai, considerando appresso che quello che si distingue con piu brevi termini, nell'intelletto piu facilmente si capisce, & meglio si manda a memoria. Ivi girando gli occhi d'intorno, incominciai a riguardare le vestigie delle cose antiche. Qui le antiche Cume, il Tempio (opra di Dedalo) dei Calchidiesi, la sepoltura di Miseno, & le acque Giulie mi tenevano l'animo sospeso. Et all'incontro Inarime, antico hospitio delle Simie, & da Inarime la percossa Prochita, mi ritoglievano l'animo cosi anco mi facevano a se drizzar la mente i risonanti gorghi per le rivolutioni de bollenti fiumi del Vulturno, le nebule del fusino Liri, le paludi del Linterno, famoso per l'essilio, & gran morte del primo nobile Africano, & quasi ivi dinanzi la Villetta di M. Scauro fino al dì d'hoggi per lo suo nome celebrata: indi le ruinate quasi in tutto vestigie delle Formiare, Cingiò alle radici de' monti, Caleno, Stelenate, & Campano, terreni per maravigliosa abondanza notabili; i sopra eminenti Castelli a' terreni Suessa, Theano, Sudicino, Caselino, Thelesie, & molte altre anticaglie si de' Romani come de Cartaginesi, appresso, molte altre cose; le quali a voler dichiarare sarebbono piu lunghe, che utili all'historia. O quanto m'allegrava nell'animo veggendo la mia Italia per opre eccelse non pure essersi agguagliata, ma haver trappassato la loquace Grecia. Ma essendosi con un breve riposo ricreato un poco l'animo, ripigliai le forze, & volentieri rientrai nel mare instabile, & fui portato fino in Frigia, dove m'avenne in fantasia cercare, & descrivere la prole di Tantalo, & d'alcuni altri figliuoli di Giove. Il che mi sia conceduto continuare, ne prego colui il quale al toccar con la verga del servo suo Mosè fece abondantemente uscir acque da una rupe al popolo per la sete afflitto. Tantalo trentesimo figliuolo di Giove, che generò Niobe, & Pelope.

 

Tantalo, trentesimo figliuolo di Giove, che generò Niobe & Pelope.

Tantalo secondo Lattantio fu figliuolo di Giove, & di Plote ninfa. Dice Eusebio, che costui fu Re de Frigia regnando Eritreo in Athene, & che appresso hebbe guerra per lo rapito Ganimede contra Irgio, Re di Dardania, & padre di Ganimede. Oltre ciò, vogliono, che costui havesse un giorno seco a convito tutti li Dei, & che per far prova della loro deità, amazzasse il figliuolo, & cotto in diverse sorti di manicareti gli lo appresentasse inanzi; i quali smarriti di tal cosa, non pure sostennero di gustarne, ma raccolte tutte le membra insieme ritornarono il fanciullo nella primiera forma, & perche se avidero, che vi mancava una spalla, la quale era stata mangiata da Cerere, in luogo di quella gli ne rifecero una d'avorio; indi per Mercurio richiamata l'anima da morte a vita, gli la restituirono. Tantalo poi fu da loro cacciato all'Inferno, & sententiato a supplitio tale, cioè, che fosse posto in un fiume fino alla gola, & che sempre fosse afflitto da continua sete; &, che chinando la bocca in quello per bere, il fiume s'andasse medesimamente allontando, di maniera, che non ne potesse gustare. Indi gli aggiunsero sopra il capo alberi carichi di pomi, i quali pendessero i rami fino alla di lui bocca; ma, che volendone egli pigliare, eglino tanto s'inalzassero quanto medesimamente s'affaticasse per prenderne. Et cosi avenne che, posto tra i pomi, & l'acque, continuamente vivendo in fame, & sete l'infelice huom fosse tormentato. Hora è da avertire quello, che si nasconda sotto tali figmenti. Onde concedendo ch'egli fosse figliuolo di Giove, ò vero ò per qualche simiglianza a lui attribuito, & lasciando da parte quelle cose, che s'appartengono di Ganimede, le quali sono dette, dove di lui si parla. Dico, che fu detto lui haver posto il figliuolo innanzi alli Dei; perche essendo avarissimo huomo, & havendo cura d'augmentar molto la facultà sua, amava i fromenti, da quali ne traheva il denaro non altrimenti, che il figliuolo; onde allhora gli pose inanzi a i Dei quando ne i coltivati campi gli seminò, percioche i semi gittati nei solchi stanno nel cospetto dei sopracelesti corpi; di che per operatione de' Cieli ritornando in spiche, pigliano la primiera forma. Ma l'homero divorato da Cerere, cioè il seme consumato dalla terra, è rinovato d'avorio, mentre nella crescente biada v'entra la forza del nodrimento. Il supplitio poi di costui, chiaramente dimostra la vita dell'huomo avaro; percioche Fulgentio dice Tantalo interpretarsi visione volontaria, il che benissimo si conface a ciascuno avaro, attento, che non adunano l'oro, nè l'ampia facultà per servirsene, anzi per specchiarsi in quella; & non potendo sopportare far per sé alcuna cosa di quelle adunate ricchezze, tra quelle posto si muore per la fame, & sete.

 

Niobe, figliuola di Tantalo, & moglie d'Anfione.

Niobe fu figliuola di Tantalo, & Taigete, si come ella medesima appresso dimostra Ovidio, dicendo;

 


Tantalo fu mio padre, al quale solo

Fu concesso alla mensa delli dei

Sedere, & de le Pleiadi sorella

È la mia madre, nè negar si puote.


 

Ma salva la riverenza d'Ovidio, il padre di costei non fu quel Tantalo amico delli Dei, percioche quello fu huom pio, Re di Corintho, & di tempo molto prima. Ma Lattantio dice, che costei fu figliuola di Tantalo, & Penelope. Costei, come piace a Theodontio, fu maritata in Anfione Re di Thebe, accioche Anfione prestasse favore alle parti di Penelope, che guerreggiava contra Enomano Re d'Elide, & di Pisa; del cui Anfione ella partorì sette figliuoli, & altretante figliuole, benche Homero nella Iliade dica, che furono solamente dodici. Costei essendo donna d'altiero spirito, & sacrificando i Thebani per commandamento di Mantho figliuola di Tiresia, a Latona incominciò fortemente con parole riprendergli, & preferir se a Latona; per la qual cosa Latona sdegnata si lamentò con i figliuoli, onde avenne, che giocando nei campi i figliuoli di Niobe, Apollo i maschi, & Diana tutte le femine le amazzò; onde furono sepolti appresso il Monte Silifone. Niobe adunque, priva del marito, & de' Figliuoli, appresso le loro sepolture piangendo fu cangiata in sasso. Dei figliuoli, & di Anfione ne è stato detto di sopra. Ma circa il suo essersi convertita in sasso, Tullio tra le questioni Tusculane istima ciò essere stato finto per lo suo eterno silentio in pianto. Ma a questa fittione v'aggionge Theodontio, dicendo, che fino al dì d'hoggi nel Monte Sifilo si vede la statua di pietra di costei, di maniera in atto flebile, & mesto, che si stimarebbe ch'ella per le lagrime venisse meno. Il che non è fuor di natura. Percioche gli antichi per memoria della gran fortuna della superba donna poterono mettere sul Monte Sifilo porre una statua di sasso in guisa d'una donna, che pianga; onde essendo il sasso di complessione freddo, levandosi in lui i vapori humidi dalla terra, per la frigidità del sasso si risolveno in gocciuole d'acqua, a simiglianza di lagrime. Et di qui forse gli ignoranti tengono, che Niobe fin'hora piangendo si consume.

 

Pelope figliuolo di Tantalo, che generò Lisicide, Atreo, Thieste, & Fistene.

Pelope, figliuolo di Tantalo di Taigete, secondo Barlaam fu huom notabile, & gran guerriero; il quale in Frigia regnando hebbe guerra contra Enomao Re d'Elide, & di Pisa. La quale, si come scrive Thucidide, fu molto memorabile, & grandissima. La cagione della guerra, dice Paolo. fu Hippodamia, figliuola d'Enomao, & amata da Pelope, percioche havendoglila dimandata per moglie gli fu negata. Dice Servio che molti furono quelli, chi dimandarono per la sua singolar bellezza questa Hippodamia; onde da Enomao fu fatto quel patto, che di sopra dove s'è trattato d'Hippodamia habbiamo detto. Ma Barlaam dice, che la cosa non andò a quel modo; anzi, che parendo a Pelope, che tal conditione fosse inhumana mosse l'armi contra Endimaco; onde da ogni parte essendosi adunato un grande essercito, per tradimenti di Mirtolo capo delle genti di Enomao, il quale con astutia fu corrotto da Pelope, Pelope restò vittorioso, & in tal modo hebbe Hippodamia, & il reame. Ma dimandando Mirtilo il premio del tradimento, fu da lui gittato in mare. Dice Eusebio nel libro de i Tempi, che costui menò Hippodamia per moglie nell'anno decimoquarto dell'imperio di Piriteo Re d'Argivi, che fu negli anni del Mondo tremilaottocentocinquantasette; & poco dianzi dice che, regnando Liceo in Argo, Pelope regnò appresso gli Argivi cinquantatre anni, & che dal nome suo gli chiamò Peloponnesi. Dice anco, che regnando Acrisio in Argo, Pelope fu presente ai giuochi Olimpi, & che poi mosse l'armi contra Troia; &, che da Dardano fu espugnato negli anni del Mondo tremilaottocentoottant'uno, leggendosi molto prima essere stato Dardano. Onde io non so qual sia la miglior opinione delle tante differenti. Costui di Hippodamia hebbe molti figliuoli.

 

Lisidice figliuola di Pelope, & moglie d'Elettrione.

Dice Lattantio, che Lisidice fu figlia di Pelope, & Hippodamia, & moglie d'Elettrione; onde di lui partorì Alcmena madre d'Hercole.

 

Atreo figliuolo di Pelope, che generò Alceono, Melampo, & Eviolo.

Atreo fu figliuolo di Pelope, & Hippodamia; il quale, si come per le parole di Seneca Poeta nella Tragedia Thieste si può comprendere, insieme con il fratello Thieste regnò nella Morea, con patto c'hora l'uno hora l'altro signoreggiasse. Ma finalmente tra loro nacque discordia, la quale secondo Lattantio fu per cagion tale. Si come è stato detto di sopra, egli si ritrova, che Mirtilo fu gittato in mare da Pelope. Di che Mercurio sdegnato, pose tanta discordia tra Thieste, & Atreo che diventarono inimici. Haveva Atreo un montone, del quale in tal modo Seneca Tragico parla.

 


Ne le superbe stalle un nobil grege

Di Pelope possede; di cui guida

È un bel montone, che per tutto il corpo

Ha di fin oro sparsa la sua lana.

Chi questo tiene anco gli aurati scettri

Dei lantalici Re si gode lieto.

Il possessor di questo è quel, che regna;

A questo dietro sol va la fortuna

Del gran reame. Hor ei securo giace

Pascendo i prati, & le diverse herbette

In un rimoto luogo, ch'è diviso

Da un sasso, che il fatal grege nasconde.


 

Desiderando Thieste haver questo montone, s'imaginò, che potrebbe ottenerlo s'inducesse ne suoi abbracciamenti Merope moglie d'Atreo; nè l'occasione mancò del cattivo pensiero, percioche, & di lei ne hebbe figliuoli, & la menò via dal marito; la onde vennero a guerra insieme, & Thieste fu cacciato del Reame. Ma Atreo non si contentando dell'essiglio del fratello, fingendo perdonarli il richiamò nella patria, & a quello pose inanzi nel convito tre figliuoli amazzati a mangiare, & gli diede del loro sangue mischiato con altre bevande a bere; indi, poscia, che hebbe mangiato, & bevuto, commandò, che gli fosser poste inanzi le mani, & i piedi de i figliuoli, facendo manifesto di qual cibo l'infelice padre si fosse pasciuto. Onde dicono, che mentre la gran scelerità si commetteva il Sole, che si levava in Oriente, se ne fuggì in Occidente per non vedere tanta iniquità. Nondimeno, secondo Lattantio, questo Atreo fu morto da Egisto figliuolo di Thieste. Il velo d'oro del Montone in questa historia finto, penso doversi intendere si come pare, che inteso l'habbia Varrone dove tratta dell'Agricoltura, mentre dice le pecore haver havuto per la carità le lane d'oro, si come in Agro Atreo; la quale Thieste cercò per se usurpare. Overo piu tosto per questo Montone da velo d'oro doversi intendere il thesoro per loquale i Re sono istimati, & senza il quale non si ponno fare le necessarie spese alla guerra, nè mantenere lo splendor reale. Il Sole poi rivolto in Occidente dinota, che a quel tempo fa l'Eclipsi; la quale dagli huomini non essendo conosciuta, parve molto monstruosa. Nondimeno Lattantio dice, che questa in Micene fu predetta da Atreo, & da lui prima ritrovata; del quale Thieste veggendo essere approvata l'openione, tutto colmo d'invidia dalla Città partì.

 

Alceo, Melampo, & Eviolo, figliuoli d'Atreo.

Questi furono figli d'Atreo, si come afferma Cicerone nelle nature de Dei, il quale dice, che appresso i Greci furono annoverati tra i i Dioscorti. Il che è inditio, che fossero huomini famosi, essendo di questi stato Castore, & Polluce e di essi niente altro si ritrova.

 

Thieste figliuolo di Pelope, che generò Tantalo, Fistene, Arpagige, Pelopia, & Egisto.

Thieste fu figliuolo di Pelope, & Hippodamia; il quale contra il fratello Atreo hebbe quegli odi, che sono stati raccontati di sopra; onde havendo sopportato dal fratello le cose dette, desiderando farne vendetta andò a consigliarsi con l'Oracolo, dal cui gli fu risposto, che di lui, & Pelopia sua figlia potrebbe nascere chi potrebbe vindicare la morte de figliuoli. Il che inteso da lui, si come persona, ch'era inchinato alle scelerità, & massime alla libidine, subito venne ne gli abbracciamenti della figliuola, et di lei n'hebbe Egisto, che poscia amazzò Atreo, stuprò Clitennestra, & anco tagliò a pezzi Agamennone.

 

Tantalo, Fistene, & Arpagige, figliuoli di Thieste.

Furono questi tre figliuoli di Thieste, & della moglie d'Atreo, si come si comprende per le parole di Seneca nella Tragedia di Thieste; benche solamente ricordi due, cioè Tantalo, & Fistene, mentre dice.

 


A la pietade il primo; acciò non pensi,

Che manchi la pietade; onde sia detto


Tantalo è prima vittima de l'avo.

 

Indi da poi nomina Fistene, cosi dicendo;

 


Allhor d'innanzi del crudel Altare,

Trahe crudelmente il fanciullin Fistene,

Et il capo gli leva, e appresso il pone

De l'altro fratel morto il busto intanto.


 

Ricorda poi il terzo, mentre senza nomarlo altrimente dice;

 


Indi tenendo il ferro in mano tinto

Del sangue delli due; quasi scordato

Spinse la fiera man verso del petto

Del fanciullino il fé cader a terra.


 

Questo terzo fanciullo secondo Theodontio fu chiamato Arpagige; onde di loro non si legge altro eccetto, che furono vendetta al zio, & cibo del padre.

 

Pelopia figliuola di Thieste.

Pelopia secondo Lattantio fu figlia di Thieste, ma non dice di qual madre. Costei fu impregnata per l'Oracolo dal padre Thieste, & di lei nacque un figliuolo, il quale per vergogna ella subito espose alle fiere. Onde si viene a comprendere, che per lussuria, & non per Oracolo, Thieste incorse in questo, attento, che la risposta dell'oracolo per cuoprire la ignominia di Thieste, dopo la occisione de suoi fatta da Egisto, fu ritrovato.

 

Egisto figliuolo di Thieste.

Egisto nacque di Thieste, & Pelopia, figliuola dell'istesso Thieste, si come egli stesso testimonia nella Tragedia di Seneca, dicendo;

 


Et constretta dai fati la figliuola

Di me suo padre porta il ventre pieno.


 

Questi, tosto, che fu nato, dalla madre per la vergogna del commesso peccato nelle selve fu gittato, accioche dalle fiere fosse divorato, & non rimanesse in vita testimonio della scelerità del zio, del padre, della madre, & insieme della sorella. Ma diversamente avenne. Percioche ò per beneficio de Pastori ò per voler d'Iddio ritrovato nelle selve dalle Capre, da quelle fu nodrito, & allattato, & poscia fu chiamato Egisto da Ege , cioè capra, che allevò. Questi, finalmente venuto in notitia de' suoi, & condotto nel Palazzo Reale, essendo già cresciuto in età, & tenuto in poca stima, già consapevole delle cose passate, overo instigato dal padre, che piu tosto si crede, & piu a Lattantio piace, amazzò Atreo; alquale Thieste occupando il Palazzo successe. Finalmente morto Thieste, & regnando Agamennone, & Menelao, i quali per la rapita Helena erano andati all'assedio di Troia, Egisto, come piace a Leontio, persuaduto da Nauplio venne ne gli abbracciamenti di Clitennestra, & poscia col favore di quella amazzò Agamennone, che ritonava vittorioso della ruina di Troia; & sette anni possedette il reame di Pelope. Ultimamente, da Horeste figliuolo d'Agamennone egli insieme con l'adultera Clitennestra, senza lasciar alcuno herede fu ammazzato.

 

Fistene figliuolo di Pelope, che generò Agamennone, & Menelao.

Fistene, si come dice Theodontio, fu figliuolo di Pelope, & Hippodamia, il quale morendo giovane raccomandò al fratello Atreo Agamennone, & Menelao, suoi piccioli figliuoli. Il quale volentieri gli tolse, & nodrì come figliuoli; & per ciò in processo di tempo estinta la memoria di Fistene furono tenuti figliuoli d'Atreo, & da tutti chiamati Atridi.

 

Menelao figliuolo di Fistene, che generò Hermiona, & Megaponti.

Menelao Re de Lacedemoni (come vuole Theodontio) fu figliuolo di Fistene, & fratello di Agamennone. Seneca nella Tragedia di Thieste mostra in tutto volere, che fossero figliuoli d'Atreo, dove in persona d'Atreo, parlando dice;

 


Del mio consiglio consapevol sia

La certa fede de la prole incerta

Ministro Agamennone, & sia cliente

Del padre Menelao presente al tutto;

Onde da questo scelere si vegga

Se mi negano ciò, nè voglion fare

Guerra contra di lui, nè serban sdegno

Chiamando il zio, egli di loro è padre.


 

Et cosi paiono figliuoli d'Atreo, & di Merope. Nondimeno tenga pure il lettore l'opinione che piu li piace. Menelao adunque, si come mostra Eusebio nel libro dei Tempi, vivendo Atreo, & Thieste fu detto Re de Lacedemoni, ne gli anni del Mondo tremilaottocento & novantasette. Ma Agamennone, che a Thieste successe (secondo Homero), incominciò regnare in Micene negli anni del mondo quattromila, & sette. Fu di costui moglie Helena figlia di Giove, la quale nel primo anno del regno d'Agamennone, & secondo Eusebio nel decimo di Menelao (come dice Darete Frigio), Assente Menelao, il quale era andato da Nestore a Pilon, da Pari mandato legato a Castore, & Polluce fu rapita nell'isola Citherea sotto il castello Heleno, con consentimento però di lei, & ritrovandosi i fratelli, & Hermiona appresso Agamennone. Ma Dite dice, che allhora Menelao, & Agamennone erano andati in Creta per dividere i tesori i quali ivi havea deposto Atreo. Di quì avenne, che Menelao per consiglio del fratello si lamentò con i Prencipi Greci, ma indarno con legationi essendo dimandata Helena, alla fine con l'armi fu ricercata; onde doppo dieci anni piu tosto a tradimento, che per forza presa Troia, fu rihavuta, & restituita a Menelao. Il quale, si come fecero gli altri, essendo montato in Nave per ritornare nella patria, fu da fortuna condotto (come scrive Eusebio) a Tuori Re d'Egitto, il quale da Homero è chiamato Poligio; indi essendosi consultato con Proteo indovino (secondo Homero nell'Odissea), poscia, che andò errando otto anni ritornò in Lacedemonia, essendo già molto prima stato amazzato Agamennone, & in quelli giorni a caso Egisto. Quello, che poi avenisse di lui, & dove, & di qual morte finisse l'ultimo giorno, non mi ricordo haver letto.

 

Hermiona figliuola di Menelao, & di Pirro, & poi d'Horeste moglie.

Hermiona, come testimonia Ovidio nelle Pistole, fu figlia di Menelao, & Helena. Costei fu promessa per moglie ad Horeste figliuolo d'Agamennone. Ma Pirro, havendo Egisto ammazzato Agamennone, occupato il Palazzo reale, & fatto fuggire Horeste, conceduta Andromaca già moglie di Hettore, da lui menata da Troia ad Heleno, si pigliò per moglie questa d'Horeste. Nondimeno, havendo poi Horeste amazzato Pirro, si ripigliò la sua sposa; & cosi ella ritornò moglie di Horeste, & di lui partorì il figliuolo Horeste.

 

Megapentho figliuolo di Menelao.

Megapentho secondo Theodontio fu figliuolo di Menelao, & di Lidia, sua prigionera doppo la tolta di Helena; il che pare, che testimoni Homero nell'Odissea, mentre dice;

 


Tolse Asparta d'Alettore figliuola

Per moglie del figliuolo Megapento;

Il quale molto forte fu da lui

Generato di Lidia sua servente,

Percioche i Dei non diedero figliuolo

Ad Helena; da poi ch'hebbe Hermiona

Figlia da loro desiata tanto,

Che di Venere bella havea sembianza.


 

Cosi per questi versi si comprende, che Menelao diede anco per moglie ad Agapento Asparta figliuola d'Elettore, le cui nozze Thelemaco figliuolo d'Ulisse venendo d'Ithacia ritrovò, che si celebravano.

 

Agamennone figliuolo di Fistene, che generò Efigenia, Crisotemi, Laodicea, Hifianassa, Elettra, Aleso, & Horeste.

Agamennone fu figliuolo di Fistene, si come di sopra s'è mostrato; & picciolo raccomandato ad Atreo. Costui fu Re di Micene, & successore di Thieste, si come nella Iliade pare anco, che Homero voglia, dove scrive molti versi sopra lo scettro d'Agamennone, che dicono quasi l'istesso. Appresso Troia, nel consiglio di Greci, come capo Agamennone teneva lo scettro, il quale havea fatto il Fabbro Vulcano, & quello dato a Giove figliuolo di Saturno; poscia Giove il concesse a Diattoro Agrifonte Hermia Re poi a Pelope Filipo; indi Pelope ad Atreo, il quale morendo il lasciò al bellicoso Thieste, & Thieste il lasciò ad Agamennone, che dominava molte isole, & Argo. Nelle quale parole non si serba il descritto ordine della Geneologia, il quale descrivendo io ho seguito l'auttorità dei Latini. Incominciò Agamennone, secondo Eusebio, regnare ne gli anni del Mondo quattromila, & sette, nel qual'anno Helena fu rapita, & tutta la Grecia mossa contra Troiani; onde per general consentimento di tutti adunata l'armata in Aulide, & fatto generale dello essercito, si drizzò alla guerra, lasciando la moglie Clitennestra, della cui havea già havuto molti figliuoli; di che appresso sostenne molte fatiche, & sopportò anco l'odio d'alcuni Prencipi, per lo quale fu privo della dignità, & in suo luogo inalzato Palamede; il quale per inganno d'Ulisse essendo stato morto, Agamennone con maggior sua gloria fu ritornato nel primiero stato di quello, che con ignominia fu deposto. Oltre ciò, sopportò gli sdegni d'Achille per Briseida a lui levata. Finalmente presa, & ruinata Troia, essendo a lui in sorte toccata Cassandra figliuola di Priamo, con molta altra preda, montò in Nave per ritornare verso la patria; ma da fortune di mare travagliato (come scrive Homero), andò errando quasi un'anno pria, che ritornasse nella patria. Ma intanto (come testimonia l'istesso Homero), havendo secretamente Egisto figliuolo di Thieste occupato il tutto, poste per tutto il lito spie alla guardia, & intesa la venuta d'Agamennone, con venti degli amici suoi fece una imboscata, & egli con lo avanzo della sua compagnia fingendo amicitia con Agamennone l'andò ad incontrare, & gli apparecchiò un solenne convito; nel quale di consentimento di Clitennestra ammazzò Agamennone, che mangiava. Ma Seneca Poeta della morte di lui tiene altra oppenione, percioche nella Tragedia intitolata Agamennone dice, che Clitennestra, sdegnata perche Agamennone haveva seco Cassandra (ma io credo, che fosse addolorata per la tema del commesso fallo) si pacificò con l'adultero Egisto, col quale era venuta in corruccio; onde accordati insieme, quel giorno nel quale Agamennone entrando nella patria entrò anco in casa, dalla infedel moglie, che gli havea apparecchiato il convito le fu appresentata una vesta intiera senza essito nessuno; di che vestitosene le braccia, & gittatasela in capo, quasi come legato, & orbo fu da lo adultero morto: cosi Agamennone finì la sua vita.

 

Ifigenia figliuola d'Agamennone.

Ifigenia fu figliuola d'Agamennone, si come nella Tragedia di quello testimonia Seneca. Ma altri la chiamano Hifianassa, si come tra gli altri Lucretio. Costei fu donzella molto bella, della quale Servio narra questa historia; volendo i Greci andare contra Troia, & essendo giunti in Aulide, Agamennone a caso amazzò un cervo di Diana, laonde la dea sdegnata gli mandò i venti contrari; &t però non potendo navigare, & appresso essendo infettati di peste, si consultarono con l'Oracolo, il quale gli rispose, che col sangue d'Agamennone bisognava placar Diana. Di che da Ulisse sotto simulatione di nozze Ifigenia fu condotta ad essere immolata, & già vicina agli altari per misericordia degli Dei fu d'ivi levata, & in sua vece postavi una cerva. Di che Ovidio dice;

 


Restò vinta la dea; onde d'inanzi

Mandò degli occhi loro oscura nube;

Et intanto si dice, ch'una Cerva

De la donzella in vece di Micene

Fu posta inanzi al sacrificio, e a quelli,

Che stavano divoti lei pregando.


 

Ma secondo Servio la donzella fu condotta nella regione Taurica, & datta al Re Toante, & indi fatta sacerdotessa di Diana Dittina; onde secondo l'ordinata usanza sacrificando con l'humano sangue alla Dea conobbe il fratello Horeste, da lei per inanzi non piu veduto, il quale ricevuto l'Oracolo, che cessarebbe il furore di lui, & dello amico Pilade se n'andò in Colcho, & amazzato Thoante, tolse il simulacro nascosto tra alcuni fascetti, onde poi da Ifigenia Diana fu riportata in Lacona. Quello, che poi avenisse d'Ifigenia, non mi ricordo haver letto. Quello anco, che di sopra s'è detto, cioè Diana in luogo d'Ifigenia haver posto inanzi il sacrificio una Cerva, egli è da credere, che fosse arteficio humano, percioche Agamennone, accioche tutto il popolo gli fosse ubbidiente, fu finto haver immolato la figliuola la quale in mezzo del tumulto tolta loro dinanzi, affine, che l'inganno non fosse scoperto fu mandata in paese lontano, & sotto ombra sacerdotale serbata.

 

Chrisothemi, Laodicea, & Ifianassa, figliuole d'Agamennone.

Chrisothemi Laodicea, & Ifianassa furono figliuole d'Agamennone, & Clitennestra, si come io penso, attento che, si come si legge in Homero, Agamennone ne offerisce qual piu li piace ad Ulisse, dicendo;

 


Genero a me sarà, nè piu nè meno,

Ch'Horeste l'havrò caro, il quale è mio

Unigenito solo, & è nodrito

In abondanza molta, & gran splendore.

Nel palazzo reale ho tre figliuole

Lodicea, Chrisotemi, Ifianassa.

Pigli qual'egli vuol; n'habbia la eletta;

Ch'io mi contento quel genero farmi.


 

Nondimeno Leontio dice, che questa Ifianasse è Ifigenia; il che non credo, perche come havrebbe Agamennone detta Ifigenia essere in casa, la quale sapeva ne' sacrifici, per ritrovarle prosperi venti, ò essere stata morta ò altrove segretamente nascosta.

 

Elettra figliuola d'Agamennone.

Elettra fu figliuola d'Agamennone, & Clitennestra, si come chiaramente si vede in Seneca nella Tragedia d'Agamennone; percioche andando Agamennone allo assedio di Troia, costei picciolina fu lasciata a casa. Questa adunque veggendo il padre morto si secretamente raccomandò Horeste a Strofilo Focese amico d'Agamennone, & indi aspramente oltraggiò la madre per la commessa scelerità. La onde Clitennestra la fece imprigionare. Quelo poi, che di lei avenisse, non mi ricordo haver letto.

 

Aleso figliuolo d'Agamennone.

Aleso fu figliuolo d'Agamennone, si come chiaramente Virgilio dimostra.

 


Questo Aleso figliuol d'Agamennone

Fiero inimico del Troiano nome,


A la Carretta aggiunge i suoi cavalli.

 

Ma di qual madre egli nascesse non se ne ha certezza; percioche altri dicono di Briseida, & altri di Cassandra; il che non credo, attento, che essendo nato di Cassandra, per l'età non potrebbe essere stato in aiuto di Turno contra Enea. Theodontio tiene, che costui congiurasse insieme con Clitennestra contra il padre; di che però lo stima di lei figliuolo, & dalla patria essere stato scacciato. Il quale fosse per qual cagione si volesse, venendo in Italia (secondo Virgilio), appresso il monte Massico di Campania si fermò, & indi, si come capital nemico del nome Troiano, venne in favor di Turno contra Enea. Ma Ovidio nel libro de Fastis mostra haver opinione ch'egli edificasse la Città de Falisci, & per ciò dice,

 


Era venuto per voler de' cieli

Alesso figlio d'un figliuol d'Atreo.

Dal quale istima, & ha per fermo, & certo

C'havesse nome la falisca terra.


 

Della discendenza da lui appresso noi non è memoria alcuna.

 

Oreste figliuolo d'Agamennone, che generò Chisamene, Corintho, & Oreste.

Oreste fu figliuolo d'Agamennone, & Clitennestra (si come a bastanza di sopra è stato mostrato). Dice Theodontio ch'a costui anco picciolino fu promessa per sposa Hermiona, figliuola, & fanciulla di Menelao, & Helena. Costui, amazzato da Egisto il padre Agamennone; per diligenza, & cura della sorella Elettra fu segretamente levato da Micene, & mandato a Strofilo Focese, dal quale con diligenza fu guardato, & nodrito, contra la voglia d'Egisto, & della madre, che cercavano farlo morire, onde in processo di tempo cresciuto in età, & aspettata l'occasione, essendogli stato da Pirro tolto Hermiona si mosse per vendicare la morte del padre, & amazzò l'adultero Egisto insieme con la madre Clitennestra, che già haveano regnato sette anni. La onde dicono, che perciò divenne subito furioso, parendoli sempre haver innanzi l'imagine della madre con la boccha, & le mani piene d'horribili serpenti, che di continuo (si come dice Statio) gli minacciavano con ardenti faci la morte. Ma Pilade figliuolo di Strofilo, il quale nel tempo della morte paterna era fuggito via, ivi venendo, & promettendoli la desiatasalute, seco il condusse all'altare di Diana Dittina in Colcho, dove Horeste lasciò quel furore, & quella imagine della madre da lui si partì; onde conosciuta la sorella Ifigenia ivi Sacerdotessa, & amazzato il Re Thoante, tolse il simulacro della Dea, & con quello involto in un fascio di legna (secondo alcuni) ritornò nel Reame, & per inganno di Macareo sacerdote nel Tempio d'Apollo amazzò Pirro figliuolo d'Achille, & ritolse Hermiona per sua moglie. Altri vogliono poi che egli prima che ritornasse nel Reame venisse in Italia, & che non lontano da Roma appresso Aricia mettesse giù il simulacro di Diana, & ivi ordinasse empi sacrifici. Ma fosse ciò quando si volesse, Eusebio nel libro de i Tempi afferma, che doppo la morte d'Egisto regnò quindici anni, & che l'anno ventesimo di Demofonte Re d'Athene amazzò Pirro. Solino poi nel libro delle cose meravigliose dice, che egli doppo la morte della madre hebbe sempre in compagnia del suo essilio, & in tutte le sue sventure Hermiona. Dove, che anco finisse l'ultimo giorno suo, vi è dubbio, dicendo Servio, che le sue ossa, edificata già Roma, da Aricia in Roma furono portate, & sepolte innanzi al tempio di Saturno, che è il Clivo Capitolino, appresso il tempio della Concordia. Solino poi dice, che nella cinquantesimaottava Olimpiade, che le sua ossa per oracolo da Spartani furono trovate nel monte Tegeo, et che erano di tanta grandezza che per lunghezza facevano sette cubiti.

 

Thisamene figliuolo d'Horeste.

Thisamene come scrive Eusebio fu figliuolo d'Horeste, & a lui successe nel reame; del quale, perche altro non si ha di lui; non passaremo piu oltre.

 

Corintho figliuolo d'Horeste.

Corintho fu figliuolo d'Horeste, si come dice Anselmo in quel libro che egli scrisse dell'Imagine del Mondo, nel quale afferma, che edificò Corintho, Città d'Achaia, & la chiamò col suo nome; & l'istesso dice Gervaso Tilleberese; i quali, come, che siano nuovi autori, nondimeno non sono di picciola autorità. Oltre ciò, Isidoro nel libro dell'Ethimologie dice, che Corintho figliuolo d'Horeste edificò in Achaia Corintho. Ma io non tengo, che l'edificasse, ma forse, che il restaurasse, attento, che Eusebio nel libro de' tempi vuole, che quello fosse edificato molto prima da Sisifo, & nomato Efira.

 

Horeste figliuolo d'Horeste.

Horeste, si come testimonia Solino tra le Meraviglie del Mondo, fu figliuolo d'Horeste, & d'Hermiona; & afferma, che da lui furono nomati quei popoli, che si dicono Horestidi, cosi dicendo; Il matricida fuggitivo da Micene, havendo destinato passar piu lontano, havea mandato qui a nodrire un picciolo figliuolo, che di Hermiona gli nacque; la quale in tutti gli affanni suoi gli era fida compagna. Ei crebbe, & nello spirto del Real sangue portando il nome di suo padre, acquistò ciò, che è, & quello, che entra nel seno Macedonico, & mare Adriatico; & tutto quello, che possedette dal nome suo chiamò Horestia. Di costui non ho letto altro. Nondimeno si crede, che i suoi venissero in lunga discendenza, in tanto, che Trogo Pompeo afferma Pausania interfettore di Filippo Re de Macedoni haver havuto origine da Horeste; ma in qual modo, per l'antichità non se ne ha notitia.

 

Dionisio trentesimo primo figliuolo di Giove.

Dionisio, si come nel libro delle nature de i Dei scrive Cicerone, fu figliuolo di Giove, & della Luna; il quale io direi, che fosse l'istesso, che Baccho se nella madre non fossero dissimili, attento, che Tullio gli ascrive Orgia per madre. Nondimeno, egli è cosa possibile che cosi sia, cangiata la fittione, mentre l'uno, & l'altro pigliamo per lo vino, & non per huomo. Percioche Giove, cioè il calore del giorno, & la Luna, con la rugiada, & humidità nella notte danno favore alle viti, & conducono l'uve all'accrescimento, & maturezza. Et cosi questo, che nel colmo s'honora sarà di Nisa, & l'altro delle cime dei Monti di Parnaso Baccho, percioche abonda di vignette a lui sacrate; & sarà detto Dionisio, quasi Dio di Nisa, attento, che Dios in greco volgarmente significa Dio.

 

Perseo, trentesimo secondo figliuolo di Giove, che generò Gorgofone, Steleno, Erithreo, & Bacchemone.

Perseo, tenuto da gli antichi padre di tutta la nobiltà di Grecia, fu figliuolo di Giove, & di Danao figliuola d'Acrisio. Onde Ovidio dice;

 


Non pensa esser Iddio, nè men pensava

Perseo punto di Giove esser figliuolo,

Del quale s'impregnò con pioggia d'oro

Danae la madre; e partorì poi quello.


 

Ma qualmente egli nasce di Danae, ciò si può vedere dove di lei s'è trattato. Questi adunque già cresciuto (come dice Lattantio), per commandamento del Re Polidetto pigliò l'impresa contra la Gorgone; onde hebbe il cavallo Pegaso alato, lo scudo di Pallade, i taloni, & scimitarra di Mercurio, & incominciò a prendere il volo da Afesante, si come narra Statio dove dice;

 


Un monte v'era, che per fino al Cielo

Col dorso s'inalzava, & torto, & chino.


 

Et cosi va continuando per cinque versi. La quale Gorgone da lui, senza patir danno, con lo scudo di Pallade fu veduta, & considerata, di che la vinse, & le levò il capo; onde poi con quello cangiò in sasso Atlante, che gli negava l'ospitio. Indi ritornando verso la patria, & volando per l'aria, vide nel lito di Soria vicino ai regni di Cefo la donzella Andromeda legata ad un scoglio per diffetto della madre, & sententia d'Ammone, per essere dal Mostro marino divorata; a cui d'intorno nel lito stavano piangendo il padre, & i parenti. Di che egli ivi volato, & intesa la cagione di tanta crudeltà, fece patto con i suoi, che voleva la donzella per moglie, se dalla bestia fiera la liberava; il che fu fatto, conciosia che amazzò la fiera. Indi celebrandosi le nozze, Fineo fratello di Cefeo, a cui dianzi la sentenza la donzella era stata promessa per sposa, venne a ridomandarla, & quasi volerla per forza come cosa sua; di che Perseo contra lui, & i fautori suoi si mosse, & molti ne amazzò; & alla fine, per spedirsene piu tosto, converse tutti gli altri col mostrargli il capo di Medusa in statue marmoree. Oltre ciò, cangiò anco in sasso Prito fratello di suo avo, il quale havea cacciato del reame Acrisio, & restituì il Reame all'avo. Oltre ciò si dice ch'egli guerreggiò contra Persi, nella qual guerra amazzò il padre Libero, che gli era contrario, & che anco soggiogò tutto quel paese, al quale dal nome suo diede il nome, dove edificò Persepoli Città reale; la quale poi, come scrive Quinto Curtio nei Fatti d'Alessandro, fu rovinata da Alessandro Macedonico tutto pieno di vino, & di crapula. Cangiò anco in sasso (secondo Lattantio) l'avo Acrisio. Indi vogliono, che insieme con Cefeo, Cassiopea, & Andromeda sua moglie fosse assunto in Cielo, & tra le stelle di quello posto, si come testimonia Anselmo dicendo; A questa si congiunge Cefeo re, & Cassiopea moglie di lui, alla quale s'aggiunge Perseo figliuolo di Giove, & Danae, che appresso di sé tiene la stella d'Andromeda. Hora lasciando queste cose, è da venire alla spositione del figmento. Perseo guidato dal cavallo Pegaso dimostra l'huomo guidato dal desiderio della fama. Nondimeno, altri vogliono ch'egli nel passaggio havesse una nave la cui insegna overo nome fosse Pegaso. Lo scudo di Pallade credo, che si debba intendere per la prudenza, con la quale consideriamo i fatti degli inimici, & noi stessi difendiamo dalle loro insidie, & armi. I talari di Mercurio credo, che significhino la prestezza, & la vigilanza in essequir le cose. Cosi la scimitarra dalla parte didietro acuta dimostra, che noi al tempo di guerra debbiamo far preda, & rimover quelli dalle nostre occisioni. Di Gorgone, & Atlante, a bastanza dove di loro si è parlato se ne ha detto. Che poi liberasse Andromeda dalla fiera marina, istimo questo esser historia, dicendo anco nella Cosmografia Pomponio queste parole; inanzi il diluvio (come dicono) fu edificato Ioppe, dove gli habitatori affermano, che regnò Cefeo, per quel segno, che anco tengono del titolo del nome di lui, & del fratello da loro conservato con grandissima riverenza; & perche anco della favola d'Andromeda conservata da Perseo, & liberata dal Mostro marino, la quale tanto è celebrata da i versi de Poeti, si dimostrano l'ossa della fiera crudele, è chiaro inditio della verità. Questo dice egli. Oltre ciò, Girolamo Prete nel libro, che compose delle distanze de luoghi dice; Ioppe Castello maritimo di Palestina in Tribuda, dove fino al dì d'hoggi si mostrano i sassi nel lito dove fu legata Andromeda, la quale si dice, fu liberata da Perseo suo marito. Plinio poi tra i famosissimi scrittori huomo notabile, scrive in tal modo; Della bestia, alla quale si diceva essere stata esposta Andromeda, furono portate à Roma l'ossa, lequali tra gli altri miracoli M. Scauro mostrò nella sua Edilità di lunghezza a piedi quaranta, di altezza, che trappassavano le coste degli Elefanti d'India, & le spina di grossezza sei piedi. Che Perseo poi cangiasse Prito, & i suoi nimici col capo di Gorgone in sassi, non istimo esser stato altro eccetto, che con le ricchezze di Gorgone gli fece star queti, & por giù l'armi. Lo avo Acrisio poi (per Eusebio nel libro di Tempi) si ritrova in altra maniera esser stato converso in sasso, percioche egli fu morto da lui a caso, & cosi con perpetua frigidezza divenne simile ad un sasso. Che in Cielo poi fatto stella dalla parte di Settentrione risplenda, istimo in ciò deversi seguire la openione di Tullio nelle Questioni Tusculane, il quale di lui, & degl'altri dice: Ne lo stellato Cefeo con la moglie, con la figliuola, & col genero sarebbe nomato, se la divina cognitione delle cose celesti non havesse condotto il loro nome all'errore della favola. Del tempo di quello poi si dubita, scrivendo Eusebio ch'egli amazzò la Gorgone negli anni del mondo tremilasettecentoventinove. Nondimeno in questo anno istesso (secondo altri), dice, che fu insieme con la moglie assunto in Cielo. Poscia, poco da poi dice, che nel secondo anno del Re Cecrope, che fu nel tremilaottocentocinquantasette, combattete contra i Persi con la morta Gorgone. Né molto da poi scrive, che nell'anno trentesimoquinto del Re Cecrope Acrisio da lui fu morto, & il regno d'Argivi transportato in Micene; il che tengo per vero, conciosia, che il tempo meglio si conface con le cose oprate.

 

Gorgofone figliuolo di Perseo, che generò Elettrione, & Alceo.

Gorgofone (testimonio Lattantio) fu figliuolo di Perseo, & Andromeda, del quale non habbiamo altro eccetto, che generò Elettrione & Alceo.

 

Elettrione figliuolo di Gorgofone, che generò Alcmena.

Elettrione come piace a Lattantio fu figliuolo di Gorgofone, del quale non si legge altro, che di lui nacque Alcmena, della cui nacque Hercole; onde se non fosse questo, l'antichità ci havrebbe lasciato solo il nome.

 

Alcmena, figliuola d'Elettrione, & moglie di Anfitrione.

Vuole Lattantio, che Alcmena fosse figlia d'Elettrione; il che Plauto medesimamente nell'Anfitrione dimostra, dicendo; Il quale si è maritato in Alcmena figliuola d'Elettrione. Costui, come ivi il medesio Plauto dice, fu moglie d'Anfitrione Thebano, & di lei s'inamorò Giove, il quale sotto specie d'Anfitrione giacque seco, & generò Hercole, si come apertamente si dirà parlando d'Hercole.

 

Alceo figliuolo di Gorgofone, che generò Anfitrione.

Paolo dice, che Alceo fu figliuolo di Gorgofone, & appresso noi conosciuto piu per la fama del figliuolo, che per suo splendore, percioche (come dicono) fu padre d'Anfitrione.

 

Anfitrione figliuolo d'Alceo, & padre d'Hificleo.

Fu Anfitrione, secondo Paolo, figliuolo d'Alceo, & huomo nell'armi valoroso, si come Plauto nella di lui Comedia dimostra. Di costui fu moglie Alcmena, con la quale dimorava a Thebe; onde mentre egli per Thebani guerreggiava contra Thelebuoi, Giove sotto spetie di lui giacque con Alcmena, & di lei hebbe Hercole. Anfitrione poi nell'istesso parto hebbe generato da lui Hificleo. Oltre ciò, piace a Plinio nel libro dell'historia naturale, che costui fosse l'inventore di sogni, & delle visioni, & di quelle anco spositore.

 

Hificleo figliuolo d'Anfitrione, che generò Iolao.

Hificleo, come scrive Plauto nell'Anfitrione, fu figlio d'Anfitrione, & Alcmena, & partorito in un parto istesso con Hercole. Ma Hificleo nacque dopo il nono mese, che fu concetto, & Hercole insieme lui, non anco fornito il settimo. Il che pare, che Agostino nel secondo della Città d'Iddio non conceda, che la donna in diversi tempi possa impregnarsi di piu d'uno in un parto.

 

Iolao figliuolo d'Hificleo.

Iolao, come afferma Solino delle Meraviglie del Mondo, fu figlio d'Hificleo, & essendo entrato nella Sardigna acquetò gli animi degli habitatori, che insieme erano discordi, & ivi edificò Olbia, & altri Castelli Greci; onde da lui furono chiamati que' popoli Iolessi. I quali, come fu morto, appresso la sua sepoltura edificarono un tempio, percioche havendo immitato le virtù paterne havea liberato la Sardigna di molti mali. Questo dice Solino. Nondimeno vi furono anco d'Hificleo altri figliuoli.

 

Steleno figliuolo di Perseo, che generò Euristeo.

Steleno secondo Homero fu figliuolo di Perseo, & Andromeda, percioche nella Iliade descrive Agamennone, che fa una oratione, & disegna la Geneologia d'Euristeo, & dice, che Steleno fu figliuolo di Perseo, & padre d'Euristeo. Costui, come afferma Eusebio nel libro dei Tempi, transferrito il Reame d'Argivi da Perseo in Micene, dopo Perseo signoreggiò; ma quanto, non si ritrova. Conciosia, che morto Acrisio, il quale regnò trent'un anno, subito segue il principio del Regno di Euristeo, essendovi nondimeno traposti cinque anni; & ritrovo regnando l'istesso Euristeo essere scritto che Steleno signoreggiò in Micene quarant'anni; dove questi si siano perduti, no'l posso ritrovare.

 

Euristeo figliuolo di Steleno.

Euristeo come è stato mostrato fu figliuolo di Steleno. Della natività di lui Homero narra favola tale; Che un certo giorno havendo Giove nel Cielo detto alli dei, che in quel giorno nascerebbe un huomo il quale signoreggiarebbe a tutti i circonvicini, Giunone gli fece fermare ciò con giuramento, & subito scese in terra, & ritenne Lithia la quale noi chiamiamo Lucina, Dea de i parti, appresso la moglie di Steleno, che già si trovava pregna in sette mesi; onde del ventre di lei ne fece cavare un figliuolo, che fu chiamato Euristeo. Quel giorno istesso era anco per nascere Hercole, ma Alcmena, per essere stata ritenuta la Dea dei parti, non puote partorire. Di che avenne, che quello, che Giove intendeva di Hercole si cangiasse in Euristeo; il quale poscia ad altri, & ad Hercole signoreggiò, & regnò in Micene anni quarantacinque, dove venendo a morte lasciò Atreo successore. Questa favola dal successo prese materia, veggendo gli huomini, che Euristeo signoreggiava al forte Hercole.

 

Bacchemone figliuolo di Perseo, che generò Achemenide.

Bacchemone secondo Lattantio fu figliuolo di Perseo, & Andromeda et signoreggiò ad alcuni popoli d'Oriente, i quali poi da Achemenide di lui figliuolo (come dice Theodontio) furono chiamati Achemenidi; & affermano essere stata loro inventione i sacrifici di Apollo. Costui appresso loro è in habito ponteficale, con la mittra, & con amendue le mani spezza le corna d'un Bue; il che penso esser fatto per dinotare il suo grandissimo potere.

 

Achemenide figliuolo di Bacchemone, che generò Orcamo.

Achemenide come vuol Theodontio fu figlio di Bacchemone, come, che vi siano di quelli, che vogliano lui essere stato figliuolo di Perseo. Costui signoreggiò ai popoli Achemenij, & dal suo nome cosi chiamolli. Indi morendo lasciò suo successore, il figliuolo Orcamo.

 

Orcamo figliuolo d'Achemenide, che generò Leucothoe.

Orcamo, si come di sopra è stato detto da Theodontio, fu figliuolo di Achemenide, del quale fu moglie Eurimene bellissima donna; della cui n'hebbe una sola figliuola chiamata Leucothoe; onde, percioche ella haveva ubbidito al Sole, che s'era di lei innamorata, viva la fece sotterrare.

 

Leucothoe figliuola d'Orcamo.

Leucothoe fu figliuola d'Orcamo, & Eurimene, si come testimonia Ovidio nel suo maggior volume, dove dice, che Febo di lei grandemente si innamorò. Di che, pigliata la effigie della madre Eumene, di notte l'andò a ritrovare, & mandate via tutte le donne ch'erano nella sua camera, come quasi ella volesse seco ragionare di cose segrete, le palesò chi ella si fosse, & ritornò nella propria forma; onde la donzella volontariamente gli compiacque. Il che essendo pervenuto all'orecchie di Clitia, da Febo per innanzi amata, mossa da gelosia subito narrò il tutto ad Orcamo; il quale sdegnato, & troppo severo commandò, che viva fosse sepolta. Ma Febo non le potendo ritornar la vita, la cangiò in una verga d'incenso. La ragione di questa fittione da alcuni si rende tale, che la donzella per lo commesso adulterio con qualche splendido giovane, secondo il costume Sabeo fosse viva sepolta, dove a caso in quel luogo nascendo forse un virgulto d'incenso, del qual legno quel paese per la virtù del Sole è abondantissimo, & crescendo in alto, si diede materia alla favola. Ma io tengo, che appresso gli Achemenidi vi sia qualche luogo chiamato Leucothoe, il quale per essere abondante d'incenso viene detto esser amato dal Sole; il quale pigliò la sembianza della madre, cioè la complessione necessaria per nodrire le verghe dell'incenso, onde ivi discende & si congiunge con l'humidità della terra, di maniera, che chi vi pone alcuna pianta viva, subito ella cresce, & ascende in alto.

 

Eritreo figliuolo di Perseo.

Eritreo, overo Eritra (come piace a Solino) fu figliuolo di Perseo, & Andromeda, & signoreggiò nei confini del mar Rosso; come, che vi siano di quelli, che dicano essere stato Re d'Egitto. Di cui l'istesso Solino scrive in tal modo. Oltre la foce del Pelusiaco vi è l'Arabia, che s'appartiene al mare Rosso; il quale Varrone dice, che è nomato Eritreo dal Re Eritra, figliuolo di Perseo, & Andromeda, & non solamente dal colore. Questo dice egli. Eritreo appresso Arabi fu di molta auttorità, talmente, che morendo, in una certa Isola del mar Rosso, molto più famosa dell'altre, a lui edificarono un famosissimo sepolcro, & l'adorarono come un Dio, chiamando dal suo nome il mar Rosso Eritreo. Col quale fino al dì d'hoggi il chiamano i Greci, cioè Eritra talasson , percioche Talasson significa mare. Di lui non si legge altro.

 

Perse figliuolo di Perseo.

Nel libro della naturale historia Plinio, dice, che Perse fu figlio di Perseo; del quale non ho trovato altro eccetto, che fu inventore delle saette. Il che forse appresso i suoi è vero, attentoche appresso l'altre nationi troviamo, che molto prima furono usate.

 

Aone, trentesimo terzo figliuolo di Giove, che generò Dimante.

Aone come dice Paolo fu figliolo di Giove, & della ninfa Muoside; dal quale vuole, che la Boetia fosse chiamata Aonia, perche ivi regnò. Ma noi seguendo l'auttorità di Lattantio, di sopra l'habbiamo attribuito per figliuolo a Nettuno. Nondimeno Theodontio diceva, che per fattione de' suoi fu cacciato di Puglia, & che fu figliuolo d'Onchesto, & essere venuto in Boetia, dove s'acquistò Nettuno per padre, & dal suo nome chiamò quella provincia. Tuttavia no'l facevano padre d'alcun figliuolo; onde Paolo afferma, che generò Dimante.

 

Dimante figliuolo d'Aone, che generò Asio, & Asiore.

Dimante secondo Paolo fu figliuolo d'Aone, & da lui fu generato Asio, & Alisiore. Ma altro non mi ricordo, che si legga di quello.

 

Asio figliuolo di Dimante.

Leggesi, che Asio fu figliuolo di Dimante, si come nella Iliade scrive Homero, dove dice;

 


Asio, che Zio fu d'Hettore guerriero,

D'Hecuba frate, & di Dimante figlio.


 

Costui, come, che Homero il chiami fratello d'Hecuba, & zio di Hettore, diceva Leontio essere stato fratello d'Hecuba da parte di madre, ma di diversi padri. Costui diede favore a Priamo contra Greci.

 

Alisiroe figliuola di Dimante, & madre d'Eaco.

Ovidio dice, che Alisiroe fu figlia di Dimante, si come dimostra dove dice.

 


Bench'egli uscito de la prole sia

Di Dimante; si dice, che la madre

Alisiroe Eaco in nascosto

Vicino partorì del monte d'Ida.


 

Costei adunque di Priamo partorì Exaco, che poi fu detto essersi cangiato in Smergo.

 

Eaco trentesimo quarto figliuolo di Giove, che generò Foco, Telamone, & Peleo.

Eaco fu figliuolo di Giove, & Egina, si come nella Iliade dice Homero.

 


Peleo figlio d'Eaco; di cui padre

Fu il sommo, eccelso, & glorioso Giove.


 

Come Giove si congiungesse con Egina, egli s'è mostrato di sopra dove di Egina si ha parlato. Dice Ovidio, che costui regnò in Enopia, alla cui dal nome della madre diede il nome di Egina; dove essendo gli huomini venuti meno, egli in sogno vide una quercia piena di formiche, che hora in su, & hora in giù caminavano; onde gli pareva, che pregasse Giove, che gli concedesse, che quelle formiche divenissero huomini. Il che da dovero fu fatto, et in tal modo la sua Città fu ristorata. Di che chiamò quegli huomini Mirmidoni, attento, che Mirmex in greco vuol dir formica. Oltre ciò, gli antichi dissero, che costui insieme con Minos, & Radamanto nell'Inferno essamina i peccati degl'huomini, & secondo i meriti gli punisce. Sotto questi tali figmenti si nasconde pria questo; che la città di lui, per la peste vuota di Cittadini, fu d'agricoltori ripiena, i quali a guisa delle formiche la state raccogliono dai campi le biade, & l'altre cose necessarie affine di non morire il verno di fame. Questi tali egli ammaestrò nelle leggi, & sotto quelle gli sforzò vivere, & di qui fu detto figliuolo di Giove, & giudice nell'inferno. Percioche, rispetto ai corpi sopracelesti, i mortali sono infernali.

 

Phoco figliuolo d'Eaco.

Phoco fu figliuolo d'Eaco, si come è scritto per Ovidio, dove si legge.

 


Gli viene inanzi Thelamone il quale

Fu fratello di Peleo, e il terzo Phoco.


 

Et quello, che segue. Di costui altro non habbiamo eccetto, che fu amazzato da Peleo.

 

Thelamone figliuolo d'Eaco, che generò Aiace, & Teucro.

Thelamone fu figliuolo d'Eaco, & d'anni il maggiore dei fratelli; il quale Servio dice, che fu de gli Argonauti, & compagno d'Hercole. Costui ritornando di Colcho, & lamentandosi Hercole del perduto Hila appresso i Misij, & di Laumedonte, che gli havea vietato, che non passasse per lo lito di Troia, onde voleva ritornarvi con un'essercito, & passarvi per forza, come partecipe della ricevuta ingiuria volse seco andare a tale impresa. Onde presa Troia, & amazzato Laumedonte, percioche fu il primo, che salisse sulle mura di Troia, hebbe in parte della preda Hesiona figliuola di Laumedonte; della cui, havendo già d'un'altra havuto Aiace, hebbe Teucro. Costui, ò cacciato ò non ricevuto nella patria se n'andò in Cipro, & edificò la Città di Salamina.

 

Aiace figliuolo di Thelamone.

Aiace, bellicosissimo huomo, fu figlio di Telamone. Costui con gli altri Greci venne alla ruina di Troia, & (affine di lasciar da parte l'altre meravigliose opre, che fece in battaglia) hebbe ardire contrastare da corpo a corpo con Hettore; onde se si deve prestar punto di fede ad Homero, se la notte non sopraveniva, Aiace ritornava vittorioso a suoi. Ma fattosi oscuro, secondo l'antica usanza havendogli Hettore donato un coltello, & Aiace a lui una cinta, Aiace fresco, gagliardo, & animoso partendosi lasciò andare a Troia Hettore tutto lasso, & fiacco. Questi doni (secondo Servio) furono di cattivo augurio, percioche Aiace poi con quel ferro si ammazzò, & con quella cinta Hettore da Achille fu strascinato. Ma essendo presa, & rovinata Troia, Aiace hebbe grandissima contentione con Ulisse sopra l'armi del morto Achille; onde veggendo, che dinanzi il consiglio di Greci la virtù dell'armi convenne cedere all'eloquenza, divenuto furioso con quel coltello, che gli donò Hettore si amazzò, & secondo, che dice Ovidio fu cangiato in un fiore del nome suo. Onde l'antichità ci ammaestra, che le nostre forze liggiermente a guisa d'un fiore si dissolverano.

 

Teucro figliuolo di Telamone.

Teucro fu figliuolo di Telamone, & di Hesiona figlia di Laomedonte; la quale pare, che non fosse moglie di Telamone, percioche Homero alle volte nella Iliade dice, che Teucro fu bastardo. Costui nondimeno fu huomo molto famoso, & nell'armi valente, & insieme col fratello Aiace andò alla guerra di Troia. Ma finita quella, & ritornando verso la patria senza il fratello, non puotè essere ricevuto di che se n'andò in Cipro, & ivi edificò la Città di Salamina, & v'habitò l'avanzo de la sua vita. Il che tengo piu vero di quello, che di sopra s'è scritto di Telamone.

 

Peleo figliuolo d'Eaco, che fu padre di Polidoro, & Achille.

Peleo fu figliuolo d'Eaco, & vivendo fu in grandi imprese. Attento, che con Meleagro andò alla caccia del Cignale di Calidoni. Cosi insieme con Peritoo combattete contra i Centauri. Di costui, come narra Ovidio, fu moglie Theti dea dell'acque; della cui s'innamorò Giove, il quale però s'astenne di congiungersi con lei, perche per oracolo havea conosciuto, che di lei nascerebbe un figliuolo, che sarebbe maggior del padre. Nondimeno, a Peleo per convincere, & ottener costei fu necessario l'ardire, & la forza. Attento, che Peleo per consiglio del vecchio Proteo havendola un giorno presa, essa cangiandosi in varie, & diverse forme di maniera smarrì quello ch'egli la lasciò. Onde ritornando da Proteo, gli fu di nuovo persuaduto, che non dovesse haver tema di quelle trasmutationi; anzi, che la prendesse, & dovesse ritener salda, perche se ciò facesse havrebbe il suo intento. Peleo nel seguente giorno trovandola in un antro, che dormiva, la prese; di che ella secondo il suo costume cangiandosi in varie forme, & sentendo per ciò ch'ei non la lasciava, alla fine ritornando nella sua propria forma l'accettò per marito. Laonde Giove invitò alle loro nozze tutti i Dei eccetto la Discordia; la quale sdegnata, veggendo, che Giunone, Pallade, & Venere stavano in disparte l'una presso l'altra, gittò fra loro un pomo d'oro, et disse sia dato alla piu degna; di che tra loro subito nacque gara, ciascuna di loro dicendo essere la piu degna. Et non volendo Giove tra loro sopra ciò dar la sentenza, le mandò da Paride, che habitava nella selva d'Ida. Questi per la promessa a lui da Venere, bellissima donna, sprezzate le promesse delle altre, lo diede a Venere, come la piu degna, la quale gli concesse la rapita d'Helena. Onde ne seguì la ruina di Troia, & la morte d'Achille, il quale nacque da quelle nozze ove ella non fu invitata; & cosi vendicò l'ingiuria. Peleo adunque di Theti hebbe Achille, & Polidori fanciulla. Poi havendo amazzato il fratello Phoco andò in essiglio, cosi volendo la severa legge del padre; dove principalmente n'andò da Cei Re di Trachinna, dal quale amichevolmente fu ricevuto. Poscia partendosi d'ivi se n'andò in Magneto, dove da Acasto con la fraterna uccisione fu purgato. Quello, che poi ne seguisse, no'l so. Hora, quello, che sia da sentire per queste fittioni, è da avertire. Theti fu nobile donna, nella cui natività fu previsto, che di lei dovea nascere un'huomo, che di virtù avanzarebbe il padre. Et però Chirone di lei padre tra se rivolse molti, & diversi consigli, non sapendo a cui darla per moglie. Cosi stando in questi termini, Peleo dimandandola per moglie la prima fiata fu espulso, & cosi le variationi de' consigli furono le mutatione delle forme di Theti. Finalmente di nuovo Peleo dimandandola doppo molti consigli del padre, la hebbe; onde nelle sue nozze, cioè per la creatione d'Achille, sono invitati tutti i Dei, cioè tutti i corpi sopra celesti, ai quali s'appartiene secondo le loro diverse possanze nel corpo già creato infonder diversi effetti accioche sia perfetto. La discordia non viene chiamata, affine, che non disgiunga la incominciata opra, & vada a male. Ella poi vi si aggiunge mentre l'huomo incomincia pensare quale delle tre sia piu splendida vita, ò la contemplativa, la quale per Pallade si comprende, overo l'attiva, che si intende per Giunone, overo la voluttuosa, che si dimostra per Venere. Delle quali non volse Giove, cioè Iddio, dar la sentenza, acciò che l'altre non paressero per sua boccha dannate, & all'huomo data la necessità. Di queste tre piu ampiamente si è detto, dove di Paride si ha parlato.

 

Polidori figliuola di Peleo, & moglie di Borione.

Polidori, come dice Homero nella Iliade, fu figliuola di Peleo, & amata dal Fiume Sperchio, onde congiungendosi seco partorì Mnesteo, il quale andò con Achille alla guerra. Costei fu poi maritata in un certo Borione.

 

Achille figliuolo di Peleo, che generò Pirro.

Achille, fortissimo dei Greci, come è stato mostrato, fu figlio di Peleo, & di Theti, il quale subito partorito dalla madre fu portato all'Inferno, & affine, che fosse patiente delle fatiche tutto il lavò con le acque stigie, eccetto un talone, per lo quale teneva quello. Poscia il diede a nodrire a Chirone Centauro, il quale lo allevò non secondo, che gli altri si nodriscono, ma solamente gli faceva il cibo di medolle d'orsi, di leoni, & d'altre fiere da lui prese; & questo accioche facesse gran lena. Onde dice Lattantio, che perciò fu nomato Achille da A, che significa senza, & Chilos cibo, quasi nodrito senza cibo. A costui Chirone insegnò l'Astrologia, & la medicina, & anco sonar la lira. Finalmente prevedendo Theti che per la rapita Helena da Paride dovea nascer guerra, & in quella morir il figliolo Achille, per vedere se col consiglio poteva schifarli la morte segretamente rubò quello dall'antro di Chirone, che dormiva, & era anco giovanetto, lo portò nell'isola di Schiro in casa del Re Licomede; onde vestendolo in habito di donna, & ammaestrandolo, che ad alcuno non dovesse dire, che fosse maschio, il diede a Licomede, che il serbasse con l'altre sue figliuole. Ma lungamente non puotè esser nascosto alla donzella Deidamia figliuola di Licomede egli esser maschio; di che aspettata l'occasione giacquero insieme, & per la commodità dell'amore anch'ella tacque il sesso del giovanetto, & di lui s'impregnò, & partorì uno fanciullo da loro chiamato poi Pirro. Ma havendo i Greci congiurati contra Troiani, et havuto per oracolo Troia non poter senza Achille esser pigliata, Ulisse fu mandato a ricercarlo. Il quale havendo presentito, che era tenuto nascosto sotto habito di donna appresso figliuole di Licomede, accioche invece del giovane non rapissero una donzella, si imaginò un nuovo inganno. Onde fingendosi essere mercatante pigliò molte merci da donna, & fra quelle vi pose un arco con alcune saette, con presuposto, che liggier cosa sarebbe, che Achille mosso dal natural instinto pigliasse in mano quello, onde ne gli atti venisse ad avedersi di lui. Né il suo pensiero mancò d'effetto, conciosia, che essendo appresentato alle figliuole di Licomede, tutte incominciarono maneggiare diverse cose donnesche, ma subito Achille preso l'arco, & le saette incominciò adoperarlo; di che Ulisse subito s'avide quello essere Achille, & con persuasioni l'indusse a venir alla guerra. Dove nel viaggio, posto giù l'habito feminile, pigliò molte Città de gli inimici, & guadagnò grandissima preda, & tra l'altre una donzella figliuola del sacerdote d'Apollo, la quale diede ad Agamennone, et per se tenne Briseida medesimamente da lui presa. Ma essendo bisogno per commandamento dei dei, che Agamennone restituisse al sacerdote la figlia, egli a lui tolse Briseida. Laonde Achille sdegnato stette poscia molti giorni, che nè a persuasione nè a' preghi di alcuno non volse mai pigliar l'armi contra Troiani. Finalmente un giorno essendo molto malmenati i Greci dai Troiani, da Nestore fu menato Patroclo a lui, pregandolo, che se non voleva pigliar l'armi, almeno acconsentisse ch'egli in vece di lui se ne vestisse, & montasse sopra la sua carretta per guidare nella battaglia gli ociosi Mirmidoni; il che, malamente però sopportando, ma non potendoli negare alcuna cosa, a Patroclo concesse. Il quale essendo entrato nella battaglia, & da tutti tenuto per Achille, fece molti danni a' Troiani, ma finalmente sopravenendoli Hettore, il quale lungamente havea disiato affrontarsi seco, & hora per le false insegne credeva Patroclo Achille, il misero Patroclo da lui liggiermente fu vinto, & morto, & dell'armi spogliato. Indi, come quasi egli havesse vinto Achille, vestitosi delle sue armi trionfante se ne ritornò in Troia. Per tal cosa Achille molto turbato alquanto pianse l'amico, & con funebri pompe solenni, & meravigliosa magnificenza il fece sepellire. Poscia dalla madre Theti, la quale era venuta per mitigare il suo dolore, havute nuove armi, che a lei da Vulcano furono date, & essendosi armato, per vendicar la morte dell'amico entrò nella battaglia; dove havendo morto molti Troiani, amazzò anco Hettore. Né assai gli parve per satollar l'ira l'haverlo morto, che anco legando il corpo morto alla sua carretta, vergognosamente strascinò quello d'intorno le mura di Troia in presenza di Priamo, & indi appresso la tomba di Patroclo per spatio di dodici giorni fece star quello, dopo il quale finalmente con preghi, & grandissimi doni fu poi conceduto al vecchio Priamo, che inginocchioni di notte il venne a pregare. Doppo questo, in un'altra battaglia amazzò Troilo; per la qual doglia Hecuba smarrita, & temendo, che se Achille durasse lungamente gli altri figliuoli restati, & la patria andrebbe in ruina, con feminil inganno tese lacci alla vita di quello. Sapeva ch'egli amava Polissena, perciò che nel tempo della tregua la vide, & gli piacque; onde subito gli fece sapere per un messo, che se lasciava star di combattere gli darebbe per sposa Polissena. Al che essendosi accordato Achille, fu pattuito, che segretamente, di notte, & solo venisse nel tempio di Timbreo Apollo, il quale era quasi appresso le mura di Troia, che ivi egli trovarebbe lei con la figliuola, & gli darebbe per sposa. Il che bramando, & disiando Achille, di notte, solo et disarmato venne secondo l'ordine nel Tempio. Contra il quale uscendo fuori Pari, che era nascosto dietro un altare, & essendo molto instrutto in adoprar l'arco, con una saetta il colse nel calcagno, & il ferì, onde invano con la spada ferendo contra gl'inimici fu morto, et finalmente nel Sigeo Promontorio Troiano da i suoi fu sepolto. In cosi lunga historia nondimeno narrata con brevi parole non v'è altro di finto eccetto Achille attuffato nell'onde Stigie da un calcagno in fuori, & che ferito in quello se ne morì. D'intorno a la qual cosa piace a Fulgentio, che l'huomo bagnato nell'onde Stigia sia ciascuno avezzo a le fatiche, attento, che Stigie s'interpreta tristezza; affine, che si comprenda nessuno durare nelle cose liete ma piu tosto essere disgiunto, se altre volte vi fosse durato. Che poi il talone non fosse bagnato, ciò cuopre il misterio fisico. Percioche i Fisici vogliono, che le vene le quali sono nel talone appartenghino alla ragione delle reni, di musculi, & delle parti virili. Et per ciò per lo talone non bagnato nella Stige volsero designare la invitta libidine d'Achille, la quale però per le fatiche non si estinse, attento, che si vede, che per la libidine egli andò nelle mani degli inimici, & da loro fu morto.

 

Pirro figliuolo d'Achille, che generò Peripeleo, & Molosso.

Pirro, si come si è visto, fu figliuolo d'Achille, & Deidamia, & fu chiamato con tal nome, come dice Servio, dalla qualità de' capelli, attento, che il suo dritto nome era Neottolemo. Costui, morto Achille, a pena di prima barba fu condotto alla guerra di Troia, & a guisa del padre fu animoso, & di mirabile ingegno. Onde, se bene giunse cerca il fine della guerra, nondimeno non fu morto, percioche egli fu uno di quelli arditi, & valorosi giovani, che entrarono nel cavallo di legno da Greci con inganno fatto fabricare. Il quale poscia, che in Troia fu condotto, Pirro con gli altri uscendo di quello, mentre l'altra gente giunse da Tenedo, fece grandissima occisione de Troiani, percioche entrando quasi nel mezzo del Palazzo reale amazzò Polite figliuolo del Re Priamo nel grembo del misero, & vecchio padre. Indi stendendo le mani contra Priamo, che l'oltraggiava per la crudeltà usata, fece, che col suo sangue bruttò gli Altari da lui sacrati. Oltre ciò, rovinata Troia, amazzò Polissena bellissima donzella dinanzi la sepoltura del padre, per placar l'anima di quello. Appresso, tra la preda Troiana essendogli toccato Andromaca già moglie d'Hettore, egli se la tolse per sposa; la quale secondo alcuni gli partorì due figliuoli, Peripeleo, & Molosso. Poscia inamoratosi d'Hermiona figliuola di Menelao, diede per moglie Andromaca ad Heleno figliuolo di Priamo con una parte del Reame, percioche essendo indovino gli havea predetto, che non entrasse nel mare, si come gli altri havevano fatto; & per sé rapì Hermiona moglie d'Horeste, facendosela sposa. Indi, ò da povertà constretto ò per fervor d'animo desideroso di preda (come piace ad alcuni), incominciò diventar Corsaro, la qual navigatione agli altri noiosa da lui fu nomata Pirratica, & i ministri Pirrati, attento, che egli fu il primo, che l'essercitasse, come dice Paolo. Finalmente Horeste dal paese Taurico (lasciata la furia) ritornando nel reame, corrotto Macareo, sacerdote d'Apollo Delfico, amazzò Pirro in quello. Et tale fu il suo fine.

 

Peripeleo figliuolo di Pirro.

Peripeleo secondo Paolo fu figliuolo di Pirro, & Andromaca, ma Theodontio dice d'Hermiona; nè di lui appresso noi è pervenuto altro.

 

Molosso figliuolo di Pirro, che generò Polidette.

Molosso fu figliuolo di Pirro, & Andromaca. Costui succedendo al morto padre signoreggiò ai popoli d'Epiro, i quali dal nome suo chiamò Molossi. Ma mentre pervenne alla età di prima barba dimorò sempre appresso la madre, & morendo lasciò Polidette suo figliuolo.

 

Polidette figliuolo di Molosso.

Restò adunque (secondo Paolo) di Molosso Polidette, ò maschio ò femina, che si fosse; che io non ne ho fermezza. Dopo il quale successivamente degli Eaci non ritrovo nessuno, eccetto dopo molti secoli, non essendosi appresso Greci lungamente tenuto altra progenie piu nobile. De gli Eaci fu Pirro Re degli Epiroti, che fece guerra contra Romani per opra de' Tarentini. Cosi anco Alessandro Epirota da Lucano Satellite amazzato. Et appresso Olimpiade, famosissima reina de' Macedoni, & madre del magno Alessandro. Et molti altri per virtù, & titoli illustri.

 

Pilunno trentesimo quinto figliuolo di Giove, che generò Dauno.

Pilunno come dice Paolo fu figliuolo di Giove, del quale (secondo Servio) Piturano fu fratello, & amendue Dei. Di questo Pilunno fu sua inventione il ritrovar l'usanza di porre lo sterco nei terreni, & però fu detto Sterculino; benche Macrobio nel libro di Saturnali dice, che questo fu ritrovamento di Saturno, & che Pilunno ritrovò l'arte di macinare il fromento, onde perciò fu da i Pistori honorato, & chiamato Pilo. Dice Theodontio, che a costui da un pastore fu condotta Danae figliuola d'Acrisio, la quale fuggiva l'ira del padre insieme col picciolo Perseo; onde egli conosciuta la sua natione la tolse per moglie, & abandonata la Puglia, nella quale era grande, percioche era quasi sottoposta ad Acrisio, insieme con lei se ne venne da i Rutuli; dove con Danae edificò Ardea, & di lei hebbe Dauno.

 

Dauno figliuolo di Pilunno, & proavo di Turno.

Dauno fu figlio di Pilunno, & (come afferma Theodontio) di Danae figliuola di Acrisio. Costui regnò in Puglia, & da lui la chiamò Daunia. Et l'istesso Theodontio dice, che costui fu proavo di Turno, il quale medesimamente è chiamato Dauno. Del figliuolo di costui, & del padre del secondo Dauno, non mi ricordo havere letto altro.

 

Dauno nipote del primo Dauno, che generò Turno, & Iuturna.

Dauno, secondo Theodontio, del precedente Dauno da parte del figliuolo fu nepote. Di costui fu moglie Venilia sorella d'Amata sposa del Re Latino, della cui si ritrova c'hebbe molti figliuoli. Tra quali vi fu quella, che dicono essere stata data per moglie al profugo Diomede. Paolo diceva solamente, che Dauno padre di Turno fu figliuolo di Pilunno, attento, che Virgilio parlando di Turno dice;

 


Del quale avo è Pilunno, et del qual'anco

La dea Venilia è degna genitrice.


 

Ma io credo piu tosto a Theodontio, conciosia, che Virgilio altrove in persona di Giunone cosi parla;

 


Nondimen egli per origin tiene

Il nostro nome; che Pilunno a lui


Fu il quarto genitor, se ben comprende.

 

Il che secondo Paolo drittamente non potrebbe essere, dove secondo Theodontio risponde al giusto numero.

 

Turno figliuolo di Dauno.

Turno Re di Rutuli fu figlio di Dauno, & della moglie Venilia; il quale al suo tempo essendo stato famosissimo nella disciplina militare, fu anco giovane di tanta meravigliosa fortezza di corpo, che in ciò parrebbe non prestare alcuna credenza a gli antichi, se da piu moderno testimonio non fosse confermata. Et tra l'altre cose stanno chiarissimi argomenti della sua fortezza appresso Virgilio, mentre combattendo da corpo a corpo con Enea, cosi il Mantovano scrive.

 


Senza dir altro; un sasso grande vede

Un sasso antico, e smisurato; il quale

A caso per un termine era posto

A divider i campi; onde, ch'a pena

Con gli homeri l'havrebbono possuto

D'huomin' sei paia sostener ben forti.

Et l'havea preso con la man tremante

Et contra l'inimico lo vibrava.


 

Il che Agostino nel decimoquinto della Città d'Iddio mostra havere per fermo. Oltre ciò Pallante figliuolo d'Evandro da lui in battaglia morto, gli presta molta auttorità. Percioche habbiamo letto, che al tempo d'Arrigo Cesare terzo Imperadore il suo corpo non lontano da Roma fu trovato da un Villano, che cavava la terra, cosi intiero come se poco dianzi fosse stato sepolto; il quale essendo tratto della sepoltura, d'altezza, & di grandezza avanzava le mura di Roma. Dove si vedeva ancora in lui il buco della ferita fattagli dalla lancia di Turno, che trappassava la lunghezza di quattro piedi. Laonde molto bene si può considerare di quanto valore, & di quanta fortezza dovesse essere Turno, che combattendo vinse si gran giovine; & di qual sorte dovea essere il fusto della lancia, che fece si smisurata fenestra. Con famosi versi Virgilio nell'Eneida dimostra, che costui hebbe gran guerra contra Enea, percioche Latino diede per sposa Lavinia sua figliuola ad Enea, la quale prima havea promesso a Turno; onde dopo molte battaglie, & haver amazzato Pallante figliuolo di Evandro, & privatolo del Balteo, che era una sorte di cinta notabile, che portavano i gran guerrieri, & a sé postolo per rimembranza di tal honore, venne a battaglia d'accordo da corpo a corpo con Enea. Di che restando Enea vittorioso, & impetrandoli Turno la vita, leggiermente l'havrebbe ottenuta, se non fosse stato, che Enea drizzando gli occhi in lui vide il Balteo di Pallante, che per la pietà dell'amico tosto il commosse. Laonde lo amazzò. Questo si è narrato secondo Virgilio, il quale con tutte le forze s'estende nelle lodi d'Enea; ma secondo gli altri la cosa è diversa. Dicono alcuni, che non sono huomini di picciola auttorità, che Enea fu vinto da Turno, & fuggendo amazzato appresso il fonte Numico, nè da indi in poi mai piu fu veduto il suo corpo; ma, che Turno fu poi morto da Ascanio. Di che, trattando di Enea è stato parlato.

 

Iuturna figliuola di Dauno.

Iuturna fu figliuola di Dauno, alla quale (secondo Virgilio) Giove tolse la virginità, & in vece del levatole honore le diede l'immortalità; & fu fatta ninfa del Numico fiume. Costei s'adoprò molto in aiuto del fratello; il che se per le fittioni è discorso, istimo, che in ciò ella oprasse, che per la divisione del fiume Numico avenisse, che gl'inimici di Turno non potessero libera, & ispeditamente andare nel territoro di Ardea, nè contra esso Turno. Ma veggendo mancar Turno, tutta mesta si nascose nell'onde. Sono di quelli, che dicono costei segretamente haver havuto amicitia col Re Latino; il che scoprendosi, tutta piena di vergogna da se stessa si gittò nel fiume Numico. Et cosi da Giove, cioè dal Re oppressa, fu fatta ninfa del fiume Numico.

 

Mercurio trentesimo sesto figliuolo di Giove, che generò Eudoro, Mirtolo, i Lari, Evandro, & Pane.

Mercurio fu figliuolo di Giove, & di Maia figlia d'Atlante, si come è assai chiaro. Furono si come s'è udito inanzi; i Mercuri molti; onde, benche da gli antichi quasi a tutti siano attribuite le medesime insegne, & ornamenti, nondimeno non a tutti è conceduta una deità istessa. Percioche uno è Iddio della medicina, l'altro dei mercanti, l'altro dei ladri, & altro dell'eloquenza, il quale Theodontio vuole, che sia questo figliuolo di Maia. Tuttavia non descrive quello, che a ciò il mova; nè io, poscia che non l'ho ritrovato, non intendo piu sottilmente ricercarlo. Credo solamente gli antichi haver voluto ogni Mercurio essere Iddio dell'eloquenza, conciosia, che i Mathematici affermano, che al pianeta di Mercurio s'appartiene nei corpi nostri disporre, & ordinare ogni organo overo fistola, che per consonanza in noi risuona. Et di quì alcuni credono lui essere detto nuntio, & interprete de i Dei, perche per gli organi da lui disposti si manifestino gl'intrinsechi de' nostri cuori; i quali si ponno dire segreti di Dei in quanto, che se non sono espressi con cenni ò con parole, nessuno eccetto Iddio non gli conosce, & in questo è interprete di tali segreti, perche le parole che sono organizate per gli organi da lui disposti da lui sono interpretate, & aperte, le quali da un cenno solo non potevano essere comprese. Adunque è messaggio, & interprete de gli Dei, & indi Dio dell'eloquenza. Il che piu chiaramente per gli uffici a lui attribuiti, & per gli ornamenti a lui apposti si dimostra. Mercurio è coperta col capello, per dimostrare, che contra i fulmini dell'invidia la eloquenza con forte coperta si conserva, la qual cosa altro non è, che la gratia, che l'eloquente merita da benivoli auditori. Questa lungamente conserva gli scritti de gli antichi contra maligni, & invidiosi; il che a se mostra haver previsto Ovidio, mentre dice;

 


Ho già fornito un'opra, che nè foco,

Né di Giv'ira non potrà, nè ferro,


Né edace antichità far, che sia estinta.

 

Mercurio poi porta l'ale a piedi per dinotare la velocità del parlare, il quale in un medesimo momento esce dalla bocca di colui, che ragiona, & è raccolto nell'orecchie di quello ch'ascolta. Oltre ciò, per lo piu disegnano ai messaggieri la necessaria velocità. Porta la verga in mano per dinotare l'ufficio del nuntio, percioche i messaggi furono soliti, come per un certo segno, portar le verghe; con la qual verga dicono, che Mercurio rivoca l'anime dalla morte, & alcune ne infonde nei corpi; onde perciò possiamo comprendere le forze dell'eloquente, per le quali molti già dalle fauci della morte sono stati levati, & altri in quella cacciati. Chi dalla morte tolse Milone? Chi Popilio Lenate, per tacer de gli altri, se non l'eloquenza di Cicerone? Chi in bocca dell'Orco cacciò Lentulo, Cethego, Statilio, & altri huomini dell'istessa setta, se non la terribil forza dell'eloquenza di Catone? Oltre ciò, con questa verga dicono, che Mercurio incita i venti, accioche consideriamo un eloquente poter incitare dei furori, si come contra Cesare appresso Arimino fece la creatione di Curione; cosi anco serenare le cose nubilose, cioè rimover gli sdegni, si come fece Tullio per Deiotaro, mentre con una benigna oratione acquetò il gonfio petto di Giulio Cesare contra lui. Che poi con questa medesima vergha tolga, & da i sogni, egli è assai chiaro, che per l'eloquenza i pigri, & sonnolenti si svegliano all'essercitio, & i troppo animosi ad acquistar gloria alquanto raffrena, & fa addormentare. A quella verga vi s'aggiunge un serpente, accioche dalla prudenza del serpe si comprenda essere bisogno, che l'eloquente sia discreto in eleggere i luoghi et anco le persone d'orare, affine, che l'Oratore guidi ove desia gli auditori.

 

Eudoro figliuolo di Mercurio.

Eudoro, come dice Homero nella Iliade, fu figliuolo di Mercurio, & di Polimila figliuola di Finalte, del cui in tal modo parla;

 


Et il Partenio martiale Eudonio

La sedia incominciava, che fu figlio


Di Polimila figlia di Filante.

 

Di costui Homero segue una lunga favola, dicendo, che Mercurio veggendo Polimila leggiadramente ballare, & cantare con le altre del Coro di Diana, di lei s'accese; onde segretamente andando nel suo Palazzo giacque con lei, & generò Eudoro, huomo velocissimo, & bellicoso; il quale andò con Achille alla guerra di Troia.

 

Mirtilo figliuolo di Mercurio.

Mirtilo come dice Lattantio fu figliuolo di Mercurio, & guidò il carro del Re Enomao. Onde Pelope inamorato della figlia d'Enomao Hippodamia, per haverla per moglie si deliberò entrare nel pericolo del contrasto del giuocar a correre con le carrette insieme con Enomao, di che essendosi accordato con Mirtilo, che se lasciava ch'egli vincesse voleva lasciarlo haver i primi frutti d'Hippodamia. Per la qualcosa Mirtilo pose un asse di cera alla carretta, la onde nel mezzo del corso la carretta d'Enomao restò per terra, & Pelope hebbe la vittoria, & la donzella. Indi gittò Mirtilo in mare, il quale dimandava la sua promessa; di che morendo venne a dar nome a quel mare, che da lui si chiamò Mirtilo. Nondimeno, il vero è, che Enomao per tradimento di questo Mirtilo, ch'era capo delle sue genti, fu in guerra vinto, & morto, si come parlando di Pelope s'è detto.

 

Lari figliuoli di Mercurio.

Lari furono due figliuoli di Mercurio, & della ninfa Pari, si come dice Ovidio. Ma Lattantio nel libro delle divine institutioni dice ch'ella si chiama Larunda, overo Lara. Solamente dell'origine di questi Ovidio narra favola tale; Che amando Giove Iuturna, ninfa del Thebro, & sorella del Re Turno, ordinò all'altre ninfe del luogo, che se quella fuggiva la ritardassero, accioche nel seguirla ella non s'annegasse. Ma Lara figlia d'Almone (come dice Paolo), & una delle Naiadi riferì tutto l'ordine di Giove a Iuturna, & Giunone. La onde Giove sdegnato privò della lingua Lara, & commandò a Mercurio, che la conducesse nell'Inferno, dove havesse ad esser ninfa Stigia. Onde Mercurio nel guidarla, & riguardarla s'inamorò di lei, & per lo camino giacque seco; la quale essendosi impregnata, di lui partorì due figliuoli, i quali egli dal nome della madre chiamò Lari. La fittione di questa favola tiene il senso assai nascosto. Giove è il calore, il quale appetisce la ninfa Iuturna, cioè l'humidità, nella cui possa oprare; ma Lara, la quale qui è posta per lo troppo calor della donna, separa l'effetto del fuoco, che opra. Nondimeno Mercurio, cioè la frigidità, per opra della Natura eccitata, vacuato il superfluo calor della donna ritira il seme in uno, & cosi Lara è privata della lingua, cioè della potenza di nuocere. Di questa solamente calcata calidità, Mercurio, cioè (secondo i Gentili) la moderata prudenza della Natura, ne trahe i Lari. Ma non però dirittamente da quella, ma levata quella (secondo l'openione d'alcuni) aviene, che i Lari col creato parto nascano, overo siano creati; i quali standovi ella non potevano essere creati. De quali Lari tutti gli antichi non hanno havuto una istessa openione. Percioche gl'antichi istimarono, che essendo l'anima rationale da Mercurio condotta in un nuovo corpo, come ho detto altre volte, deversi credere, che da Mercurio però sia guidata, perche nel sesto mese quel parto, che viene attribuito a Mercurio sia tenuto ricever l'anima, overo la vital potenza ne l'anima degli Dei, over i Dei venir custodi della nuova anima, i quali alcuni hanno chiamato genio overo genij, & alcuni gli hanno detti Lari, come poco inanzi è stato narrato. Et si come Censorino afferma nel libro del giorno natale, vuole, che sia detto Genio ò perche cura, che siamo generati, overo perche sia generato insieme con noi, overo, che sempre difendi i Geniti, & dice, che da molti antichi è affermato Genio, & Lare esser'una cosa istessa, & specialmente Caio Flacco in quel libro ch'ei lasciò scritto a Cesare, De Indigitamentis . Et benche dica esservi un solo Lare overo Genio, seguendo poi v'aggiunge, che per openione d'Enclide Socratico ogn'uno ha il genio doppio, & cosi ciascuno per openione degl'antichi ha due Lari. Il che assai pare, che si confermi per l'auttorità d'Anneo Florio, che nel quarto del suo Epitoma, cosi scrive; Et di notte ad esso Bruto, il quale col lume acceso secondo alcun suo costume stava seco pensoso, si appresentò una certa oscura imagine; onde interrogatala chi si fosse, ella gli rispose, il tuo cattivo genio, & questo subito dagli occhi del riguardante sparve. Di che si può considerare che non sarebbe andato il suo cattivo genio se non vi fosse anco il buono; & cosi sono due. La verità Christiana gli chiama angeli, non generati col nascente ma accompagnati al nato. De' quali l'uno buono sempre incita al bene, & l'altro cattivo si sforza al contrario; & come testimoni, & conservatori de' nostri beni, & mali, fino alla morte continuamente ci accompagnano. Oltre ciò, credettero questi Lari esser sopra le cose private, sicome nel principio dell'Aulularia dimostra Plauto, & gli chiamarono Dei famigliari overo domestici, & si come gli habbiamo detti essere apposti alla custodia del corpo, cosi ascrissero alla guardia della casa, & nelle case gli diedero un luogo commune, cioè dove gli antichi facevano nel mezzo della casa il focolare, & ivi con sacrifici secondo l'antico costume gli honoravano. Il che appresso noi non s'è anco scordato. Attentoche se bene quel errore sciocco se n'è andato, durano anco i nomi, & una certa sapienza degli antichi sacri vestigi. Habbiamo noi Fiorentini, & cosi forse anco alcune altre nationi, per lo piu nelle case domestice, dove si fa il fuoco commune à tutta la famiglia della casa, alcuni instrumenti di ferro, che sostentano le legna del fuoco chiamati Lari, cioè i capi fuoco, & ne l'ultimo di Dicembre dal padre di famiglia si mette sopra il fuoco con l'uso de capi un gran tizzone, a cui stà d'intorno tutta la famiglia; & egli sedendo dall'altro capo del gran legno si fa dar bere, & poscia, che ha bevuto spruzza con l'avanzo del vino, che nella tazza gli è restato il capo dello tizzone a caso, & indi havendo tutti gli altri bevuto, come quasi havessero essequita la solennità, ogn'uno va per fatti suoi. Questo spesse fiate vidi io essendo fanciullo essere celebrato da mio padre, huomo veramente Catholico, & Christiano, in casa sua. Né dubito, che anco fino al dì d'hoggi non si osservi da molti, piu tosto per usanza de' suoi maggiori, che per inganno d'alcuna idolatria ò superstitione.

 

Evandro figliuolo di Mercurio, che generò Pallante, & Pallantia.

Evandro Re d'Arcadi, come dice Paolo, fu figliuolo di Mercurio, & Nicostrata, & veramente fu huomo per valore, & ingegno illustre. Dice Servio, che egli amazzò un certo Icerillo, huomo molto bestiale, si come Hercole Gerione; onde per lo suo singolar valore fu nomato uno tra i molti Hercoli. Et l'istesso Servio dice, che costui fu nepote di Pallante Re di Arcadia, & che havendo amazzato suo padre, cioè il marito di Nicostrata, per conforti d'essa Nicostrata, che era indovina, lasciata l'Arcadia venne in Italia, onde cacciati quelli, che v'erano nati possedette que' luoghi dove poi fu edificata Roma, & fondò un picciolo castello sul monte Palatino, & ivi raccolse Hercole, che ritornava d'Hispagna con la vittoria del vinto Gerione, il quale il liberò da gl'insulti del ladrone Caco. Indi raccolse anco Enea, che doppo la ruina di Troia andava cercando nuovo paese, & nella guerra contra Turno gli diede aiuto, & gli mandò Pallante suo figlio, il quale morto da Turno fu dogliosamente pianto dall'infelice vecchio. Fu chiamato figliuolo di Mercurio perche tra gli altri fu huomo eloquentissimo, cosi ne afferma Theodontio.

 

Pallante figliuolo d'Evandro.

Pallante fu figliuolo del Re Evandro, si come molte volte nell'Eneida mostra Virgilio; & essendo giovane molto illustre, & virtuoso divenne amicissimo di Enea, onde con molta gente seguì quello nella guerra contra Turno, dal quale fu morto, & dallo sfortunato padre con lagrime sepolto. Il corpo di costui, si come riferisce Martino in quel libro chiamato Martiniana, al tempo d'Arrigo Terzo imperador di Romani fu da un'Agricoltore non lontano da Roma ritrovato, cosi intiero come poco dianzi fosse stato sotterrato, il quale di statura era cosi grande, che d'altezza trapassava le mura; & quello, che è piu maraviglioso, il buco della ferita fattali da Turno si vedeva grandissimo, di maniera, che passava di lunghezza quattro piedi, aggiungendo a ciò, che sopra il capo di lui vi fu trovato una lucerna ch'ardeva con perpetuo fuoco, nè poteva essere estinto nè con soffiare nè gittarli sopra acqua. Finalmente fattole di sotto nel fondo un forame, s'estinse. Oltre ciò, dice, che nel sepolcro v'era intagliato questo Epitafio:

 

Filius Evandri Pallas quem lancea Turni militis occidit more suo iacet hic .

 

Pallantia figliuola d'Evandro.

D'Evandro ancora (come dice Servio) fu figliuola Pallantia, il quale afferma, che Varrone narra costei essere stata vitiata da Hercole, & che di lei generò Latino Re de Laurenti. Alla fine questa venendo a morte, si come dice, fu sepolta in quel monte, che dal suo nome fu chiamato Palatino.

 

Pane figliuolo di Mercurio.

Pane, non quello, che fu detto Dio d'Arcadia, ma un'altro, fu figliuolo di Mercurio, & Penelope, come nel libro delle nature dei Dei scrive Cicerone. Et benche Licofrone dica, che Penelope moglie d'Ulisse giacesse con tutti i Proci percioche Ulisse non ritornava, & che di uno partorì Pane, nondimeno sono di quelli, che vogliono essersi dato luogo a questa fittione, & intendersi essere avenuto, che per eloquenza d'alcuno Penelope si lasciasse conducere ad usare degli abbracciamenti d'altrui, & haver partorito un figliuolo, perche parve acquistato con eloquenza, fu detto figlio di Mercurio. Ma io, si come ho detto altrove, non posso imaginarmi, che una pudicitia cosi famosa come fu quella di Penelope si lasciasse piegare, nè macchiare da eloquenza, nè opra d'alcuno. Furono veramente anco delle altre donne dell'istesso nome, ma non forse di pudicitia eguali a lei; onde puotè avenire, che nascesse Pane chiamato figliuolo di Mercurio.

 

Vulcano trentesimo settimo figliuolo di Giove, che generò Erittonio, Aco, Ceculo, & Tullio Servilio.

Vulcano fu figliuolo di Giove, & di Giunone, si come quasi tutti i Poeti affermano. Costui, perche era zoppo, & difforme, come tosto fu nato fu dai padri gettato nell'Isola di Lenno. Di questo parla Virgilio nella Bucolica, dove dice;

 


Al quale non arisero i parenti,

Né Dio d'haver costui alla sua mensa,


Né la Dea si degnò d'haverlo in letto.

 

Tutti affermano, che costui hebbe moglie, ma chi ella si fosse, tutti non sono d'accordo. Percioche Cigno (come descrive Macrobio nel libro de' Saturnali) dice, che Maia fu moglie di Vulcano. Pisone vuole Maiestà. Homero prima, poi Virgilio, & gli altri Poeti Latini, scriveno, che fu Venere. Ma essendo cosa certa, che piu d'uno furono i Vulcani, egli può essere vero, che habbiano scritto bene, attento, che non dicono di quale Vulcano fossero mogli Maia overo Maiestà. Che poi di Vulcano di Lenno fosse moglie Venere, pare, che se ne habbia certezza. Oltre ciò, dicono costui Fabro di Giove, & affermano, che Vulcano appresso l'isola di Lipari ha le fucine, & i Ciclopi, che il serveno nel fabricare i folgori, & l'arme delli Dei; onde vogliono, che tutto quello, che con artificio è composto fosse da lui formato, come l'armi d'Achille, & Enea, il Monile d'Hermione, la corona d'Arianna, & altre cose simili. Oltre ciò dicono che, essendo dal Sole scoperto l'adulterio di Venere sua moglie, & di Marte, con catene invisibili avinse amendue. Il chiamano anco Mulcibero, & padre di molti figliuoli. Volendo adunque dalle cose dette cavare il sentimento; egli è prima da sapere questo Vulcano essere stato figliuolo di Giove, & di Giunone, & haver signoreggiato in Lenno, & di lui Venere essere stata moglie, la quale da lui fu ritrovata giacere con un huomo d'arme, si come è stato detto di sopra dove si ha parlato di Marte. Et questo in quanto all'historia basti. Quanto poi ad altro senso, egli è prima d'avertire il fuoco appresso noi essere di due sorti. Il primo è esso elemento del fuoco, che non vedemo, & questo molte volte i poeti chiamano Giove. Il secondo poi è il fuoco elementato dal primo causato, & questo è doppio. Il primo è quello, che nell'aere per lo velocissimo circolar moto nelle nubi s'accende; & questo, mentre uscendo quello si rompe, genera lampi, & tuoni, & con grandissimo empito è cacciato in terra. Il secondo poi è questo fuoco, che noi usiamo di legna, & altre cose, che s'abbrusciano, il quale da noi è cavato da dure pietre, & mantenuto. Di questi tre in questa fittione si fa ricordo, percioche il primo è Giove, da cui, & dalle cose aeree, & terrene, che si debbeno intendere per Giunone, gli altri due nascono. Di questi l'uno, & l'altro è zoppo, attento, che si riguardaremo il frangimento della nube vedremo il fuoco non drittamente uscirne, ma hora in questa hora in quella parte declinare; & cosi diremo, che va zoppo. Cosi anco medesimamente le fiamme del nostro fuoco non vedremo mai, che s'inalzino egualmente, ma in guisa d'un zoppo hora piu basso hora piu alto ascendeno di questi il primo, si come è stato mostrato, viene gittato di Cielo in terra; nè a lui arrideno i padri, perche tantosto, che è creato è gittato a terra, onde in tal modo nol giudicano degno della sua mensa. Vogliono poi, che fosseno gittato in Lenno, perche spesso in quell'isola cadeno folgori. Che la Dea non si degnasse haverlo in letto, piu a basso dove si tratterà d'Erittreo si narrerà la cagione. Quello, che è appresso noi fu nodrito dalle Scimie, percioche la Scimia è un animale il quale ha dalla Natura, che tutto quello che ella vede all'huomo oprare, medesimamente si sforza di fare; & perche gli huomini con l'arte, & col suo ingegno si sforzano in molte cose imitar la Natura, & d'intorno tali attioni il fuoco è molto necessario, è stato finto le Scimie, cioè gli huomini haver nodrito Vulcano, cioè il fuoco. Delquale, accioche si conosca il suo bisogno, nel libro delle Ethimologie in tal modo Isidoro scrive; Senza il fuoco nessuna sorte di metallo non si può gittare, nè lavorare. Non è quasi cosa alcuna, che che col fuoco non sia composta. Altrove compone il vetro, altrove l'oro, altrove l'argento, altrove il piombo, altrove il rame, altrove il ferro, altrove il bronzo, & altrove le medicine; col fuoco i sassi sono ridotti in rame, col fuoco il ferro si genera, & doma, col fuoco l'oro si fa perfetto, col fuoco, abbrugiati i sassi, i muri si congiungono; il fuoco cocendo i sassi neri gli fa venir bianchi, i legni bianchi abbrugiando manda in polve, & ne fa neri carboni; di legna dure fa cose frali, di cose putride ne fa di odorose; slega le cose strette, & le sciolte unisce; mollifica le dure, & le dure rende molli. Questo dice Isidoro. Oltre ciò, vogliono, che costui sia Fabro di Giove, & artefice di tutte l'altre cose artificiose, affine, che si comprenda, che tutto quello, che si fa artificioso è fatto con l'aiuto del fuoco; il quale come artificioso è chiamato Vulcano da qualche famoso artefice cosi nomato. Perche poi le sue Fucine siano dette essere appresso Lipari, & Vulcano isole, chiaramente si vede. Elle sono isole, che vomitano fuoco, & il loro nome favorisce alla fittione. Certamente sono chiamate Vulcane, ma non da Vulcano figlio di Giove, anzi da un certo Vulcano, il quale nato in Emalio possedette quelle. Né solamente volsero ch'egli fosse il fabro dell'armi, overo il fuoco delle cose giuocali, overo Vulcano; ma, che prestasse materia alle conventioni de gli huomini, & al principio de i contratti, si come pare, che affermi Vitruvio nel libro della Architettura, dicendo; Gl'huomini secondo l'antico costume nelle selve, nelle spelonche, & nei boschi nascevano, & usando agreste cibo menavano la lor vita. In questo in un certo luogo dalle tempeste, & venti strepitosi i densi alberi incominciano crollarsi, & tra loro percuotere i rami, onde ne usciva fuoco; di che per la gran fiamma quelli che ivi habitavano tutti smarriti se ne fuggirono. Poscia riposando alquanto, piu vicino venendosi ad accostarsi, & considerando quello esser di grandissima commodità ai corpi, alla tepidezza del fuoco aggiungendo legna, & conservando quello, vi guidavano de gli altri, & con atti facendoli cenni gli mostravano l'utilitadi, che da lui trahevano. In quel concorso de gli huomini, che altrimenti che hora non si fa mandavano fuori le voci dallo spirito, per la conversatione d'ogni giorno insieme, erano fermati per voler pure cavarne i vocaboli, che fossero intesi. Indi piu volte separando le cose, nel costume a sorte tanto snodarono la lingua, che incominciarono parlare; & cosi tra loro procrearono le parole. Adunque per l'inventione del fuoco essendo nato appresso gli huomini il principio del consiglio, & conversatione, & adunandosi molti in un luogo, i quali prima si come facevano gli altri animali andavano non dritti, ma chini, & in quattro, & considerando la magnificenza delle Stelle, & maneggiando facilmente con le mani, & diti quello, che volessero, incominciarono allhora altri farsi coperti di frondi, altri cavar spelonche sotto i monti, alcuni imitando i nidi delle hirondini con fango, & virgulti edificar luoghi per stare al coperto. Questo dice Vitruvio. Non havea il famoso Vitruvio il Pentateuco, percioche d'intorno a questo principio havrebbe trovato Adamo nomare un altro essere stato inventore del parlare, & haver nomato il tutto. Et altrove havrebbe conosciuto, che Caino edificò non solamente case, ma anco Cittadi. Ma di questo altrove. Perche poi i Ciclopi siano dati a Vulcano per aiuto, egli si è dichiarato parlando di loro. Questo fabro è chiamato Vulcano (come dice Servio), quasi Volicano, che per l'aere voli. È poi detto Mulcibero (come narra Alberigo), che quasi renda piacevole la pioggia; attentoche andando le nubi in alto, per lo calore si risolveno in pioggie. Ma io tengo, che sia detto Mulcibero perche mollisca il rame, & gli altri Metalli.

 

Erittonio figliuolo di Vulcano, che generò Pocri, Orithia, & Pandione.

Erittonio, chiamato da Homero Criteo, fu figliuolo di Vulcano, & Minerva; della cui creatione dagli antichi si recita favola tale. Che Vulcano havendo fabricato i folgori a Giove, che guerreggiava contra i Giganti, richiese a lui per premio, che gli fosse concesso congiungersi con Minerva; il che da lui gli fu conceduto, dando però licenza a Minerva, che se potesse con tutte le sue forze difendesse la sua verginità. Essendo adunque entrato Vulcano con Minerva alle strette, & volendo per forza fare il fatto suo con lei, che si difendeva gagliardamente, avenne, che Vulcano per la soverchia voglia si corruppe, & sparse il seme in terra, del quale dicono, che nacque Erittonio, che havea e' piedi di Serpente; onde cresciuto in età, per nascondergli fu il primo, che ritrovasse l'uso di andare in carretta, si come narra Virgilio.

 


Erittonio fu il primo, c'hebbe ardire

Accompagnar quattro destrieri al carro.


 

Et quello, che segue. L'intentione di questa favola in tal modo è scoperta da Agostino nel libro della Città d'Iddio. Dice, che appresso gli Atheniesi fu un tempio commune a Vulcano, & a Minerva, nel quale fu ritrovato un fanciullo annodato da un Serpe; onde gli Atheniesi giudicando per ciò, che questo fanciullo havesse a divenire grande huomo, il serbarono, & perche non si sapeva di cui fosse figliuolo, l'attribuirono a quelli a' quali il tempio era dedicato, cioè a Vulcano, & a Minerva. Oltre ciò, costui, come dice Anselmo nel libro della Imagine del Mondo, fu assunto in Cielo, et locato tra l'altre imagini celesti fu chiamato Serpentario.

 

Procri figliuola d'Erittonio, & moglie di Cefalo.

Figliuola d'Erittonio fu Procri, & moglie de Cefalo; della quale Ovidio scrive la Geneologia, et quale fosse la sua sorte, si come habbiamo parlato dove si è trattato di Cefalo. Onde di lui scrive Ovidio.

 


Havea per sorte quattro figli havuto

Et altrettante figlie; ma di due

Pari era la bellezza; & di queste una

Procri; qual fu di Cefalo mogliera.


 

Orithia figliuola d'Erittonio, & moglie di Borea.

Orithia fu figlia d'Erittonio, si come Eusebio nel libro de i Tempi dimostra. Costei fu rapita da Borea di Thracia figliuolo d'Astro, & da lui tolta per moglie, la quale gli partorì Zeto, & Calai.

 

Pandione figliuolo di Erittonio, che generò Progne, & Filomena.

Come piace a Lattantio, d'Erittonio fu figliuolo Pandione, Re d'Athene, & a lui successe nel Reame: del quale, eccetto, che appresso Eusebio visse nel Regno anni quaranta, non habbiamo altro; ma oltre ciò hebbe anco due figliuoli, & altrettante figliuole, delle quali, poscia, che lasso per la continua guerra fatta contra i Thracesi hebbe fatto la pace, una cioè Progne diede a Tereo Re di Thracia per moglie, & dell'altra cioè di Filomena amaramente pianse la disgratia, onde di sopra se ne è parlato ampiamente.

 

Progne, & Filomena, figliuole di Pandione.

Fu Progne, & Filomena, si come apertamente narra Ovidio, figliuole di Pandione Re d'Athene. Progne fu data per sposa a Tereo Re di Thracia, del quale gli partorì Ithis. Filomena poi, seconda figliuola di Pandione, fu vergognata da Tereo, & tagliatale la lingua. Onde avenne, che per ciò Progne amazzò il figliuolo Ithi, & il diede a mangiare al padre, di che Progne fu mutata in una hirondine, Filomena in un Lusignuolo, & Tereo in una Upupa; il che si è narrato ampiamente parlando di Tereo.

 

Caco figliuolo di Vulcano.

Caco fu figliuolo di Vulcano, si come dice Virgilio;

 


Qui una spelonca fu dove giamai

Non penetrava alcun raggio di Sole,

Tutta coperta da virgulti, & spini

Dove l'imagin fiera del mezz'huomo

Caco stava nascosto, ivi per sempre

Di fresco sangue era il terreno molle,

E a le superbe porte erano affisi

Humani capi, pallidi, & di sangue

Fetido aspersi, che pendevan giuso.

A questo monstro padre fu Vulcano,

Et ei di quello vomitava fuori

Gli horridi fuochi, & caminava in guisa


D'una gran mole, & machina superba.

 

Di costui si narra, che ritornando Hercole d'Hispagna, ch'era alloggiato con Evandro, di notte gli rubò i buoi, & per la coda gli condusse nella sua spelonca; di che la mattina Hercole avedendosi che i buoi erano scemati, nè potendo considerare ove fossero andati, attento, che vedea l'orme in contrario, che dall'antro mostravano venir al pasco, nondimeno udì, che i Buoi rubati muggivano perche si trovavano senza gli altri, & cosi quei di fuori gli rispondevano. Onde aviandosi verso l'antro s'avide dell'inganno di Caco, & per forza entrando nell'antro amazzò Caco, & ripigliò i suoi Buoi. Ma altri vogliono, che da Caca sorella di Caco fosse rivelato ad Hercole il furto del fratello, & che per ciò ella lungamente meritasse con sacrifici, & Altare essere honorata. Servio dice, che costui fu chiamato figliuolo di Vulcano perche spesso abbruggiava tutti i luoghi a lui circonvicini, il quale Alberigo diceva, che fu sceleratissimo figliuolo, overo servo d'Evandro, il cui nome suona l'istesso; conciosia, che Cacos in greco vuol dire cattivo. Sotto la fittione di questa favola è openione di Solino, dove tratta delle maraviglie, che vi si contenga historia. Percioche dice, che Caco habitò in quel luogo, che si chiama Saline, dove poi fu fatta la porta Trigemina di Roma. Indi dice, che Celio narra ch'essendo andato legato a Tarcone Tirreno, da Marsia Re fu dato in guardia a Megalo Frigio, dal quale con piu ampi sussidi fu ritornato onde s'era partito; & havendo quelli occupato il reame circa il Vulturno, & la Campania, mentre cercavano contra Evandro, & gli Arcadi tentare alcuni mottivi, Caco fu morto da Hercole, che allhora si trovava appresso Evandro, & Megalo; se n'andò dai Sabini, a i quali insegnò l'arte degli auguri.

 

Ceculo figliuolo di Vulcano.

Ceculo, se si deve prestar fede a Marone, fu figliuolo di Vulcano, del quale cosi parla;

 


Né de la gran cittade Prenestina

Mancovi il fondator Ceculo, il quale

Stimato fu da tutta quella etate

Da Vulcan generato, & Re creato


Tra i gregi agresti, e in fuoco ritrovato.

 

Di costui si recita favola tale. Furono due fratelli c'hebbero una sola sorella, la quale sedendo appresso il fuoco, a caso le cadè una favilla della fiamma ardente in grembo, della cui dicono, che la donzella si impregnò, & partorì un figliuolo chiamato figliuolo di Vulcano, & per haver gli occhi lippi il nomarono Ceculo. Il quale un giorno essendo forse infestato, che non fosse figliuolo di Vulcano, pregò Vulcano, che gli facesse vedere se fosse suo figlio. Onde senza nessuno indugio da Vulcano fu mandato un folgore, che arse, & amazzò tutti quelli, che non credevano lui essere suo figliuolo. Laonde dagli altri fu tenuto vero figliuolo di Vulcano. Io tengo la ragione di tal fittione esser questa. Che il proprio nome di Ceculo fosse Preneste, & che dalla infermità degli occhi fosse nomato Ceculo; & egli, & Preneste figliuolo del Re Latino essere stato un istesso, ma, che per la favilla volata nel grembo della madre fosse attribuito a Vulcano, & che col fuoco, & con l'incendio castigasse i suoi nemici. Indi anco edificasse Preneste, & venisse in aiuto di Turno contra Enea.

 

Tullio Servilio figliuolo di Vulcano, che generò due Tullie.

Tullio Servilio fu figliuolo di Vulcano, & di Cresa Corniculana, si come nel libro de Fastis mostra Ovidio, dicendo;

 


Perche padre di Tullo fu Vulcano,

Et la Corniculana Cresia madre.


 

Et poco da poi segue;

 


Per forza sta prigiona appresso il fuoco,

Et da lei vien concetto. Adunque tiene


Servio l'origin sua da l'alto Cielo.

 

Oltre ciò Ovidio dice, che costui fu amato dalla Fortuna, & ch'ella era solita andar a lui per una fenestra del Palagio, & starsene seco; dove poi vi fu fatta una porta, che da quella fenestra fu chiamata fenestrale. L'intento di questa favola si piglierà dalla historia di Tito Livio puntalmente narrata, la quale io con poche parole spiegherò. Dico, che da Tarquino Prisco Re de' Romani pigliato Corniculano, tra l'altre prigionere una certa giovanetta di nobile aspetto fu da lui condotta nel suo Palazzo reale; la quale essendo pregna partorì Tullio Servilio. Sopra la testa del quale, anco fanciullo, & che dormiva in culla, fu visto da alto scendere una fiamma di fuoco, & sopra quella fermarsi senza punto offenderlo; il che veduto da Tanaquile Reina, & ammaestrata ne gli auguri, persuase al marito, che quel fanciullo si dovesse nodrire con gran cura, percioche egli havea ad essere di gran commodità alla sua famiglia. Di che allevato, & divenuto valoroso giovane, tolse per moglie una figliuola di Tarquino. Onde essendo Tarquino stato ferito dai figliuoli d'Anco Martio, & per quella ferita morto, dalla reina il corpo di quello fu segretamente serbato, fino attanto, che per commandamento suo Tullio occupò il Palazzo Reale, essendo anco piccioli i figliuoli di Tarquino. Laonde, presa la signoria, & scoperta la morte del re, Servio fu creato re, & successore; il quale dalla moglie havendo già havuto due figliuole, diede quelle per spose ai figliuoli di Tarquino Prisco. Egli poi havendo fatto molte cose utili per Romani, da Tarquino superbo suo genero, instigato dalla moglie sua figliuola, fu morto, dopo l'haver regnato anni quarantaquattro. Quella fiamma adunque fu cagione, che si fingesse ch'ei fosse figlio di Vulcano, il che dimostra Ovidio dicendo;

 


Segni ne mostrò il padre; allhora quando

Con la fiamma di fuoco risplendente


S'andò sopra del capo raggirando.

 

Che fosse poi dalla fortuna amato, i successi ne fecero fede. Plinio nel libro de gli huomini illustri dice, che costui fu figlio di Publio Cornicolano, & di Ocreatia captiva.

 

Le due Tullie figliuole di Tullio Servilio.

Le due Tullie (auttore Tito Livio), furono figliuole di Tullio Servilio, & mogli di Arrunco, & Lucio figliuoli di Tarquinio Prisco. La maggior Tullia, d'animo severo, insopportabile, & ad ogni scelerità inchinata, toccò ad Arrunco, benignissimo giovane. La minore, ch'era quieta, & benigna, fu data a Lucio, giovane inquieto, maligno, & d'animo ambitioso. La maggior Tullia era infiammata di desio di regnare, & sempre con risse, & oltraggi crucciava il quieto marito, & biasimava la sua disgratia, che non l'haveva fatta sposa di Lucio. Finalmente avenne, che Arrunco, & la minor Tullia morirono; laonde subito la maggiore s'accordò con Lucio, & contra il consenso di Servilio, che quasi a forza acconsentì, si tolsero per sposi. Onde la scelerata donna incominciò instigare con parole l'animo del marito, & con stimoli infiammarlo al regnare. Di che avenne un giorno, che Lucio entrò nella Curia, & come Re ivi si pose a sedere, & fece scacciar Tullio, che ivi veniva, & indi gli mandò dietro, & il fece ammazzare. Il che inteso da Tullia, tutta lieta montando sopra una carretta se n'andò per salutare il marito Re. Poscia ritornando verso casa, & veggendo il carrattieri il corpo del morto Servilio in mezzo la strada, sovrastette alquanto per non vi passar sopra con la carretta; ma Tullio oltraggiandolo con parole volse, che con le ruote vi andasse sopra. Costei hebbe figliuoli di Lucio, tra quali vi fu Sesto Tarquinio, che per la violenza usata contra Lucretia moglie di Collatino, Lucio, & tutti gli altri figliuoli furono cacciati in essiglio, & ella insieme; la quale puotè udire appresso i Gabij Sesto essere stato tagliato a pezzi, & vedere il marito appresso Cuma di Campania vecchio miseramente consumarsi. Il fine poi della donna non mi ricordo haverlo trovato.

 

Il fine del Duodecimo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO TERZODECIMO.

 

All’Illustre suo Sig Conte Collaltino di Collalto.

Per la maggior parte del vasto, & gran gorgo pieno di procelle, & piu difficile da solcare, con l'aiuto d'Iddio, lasciata a dietro la poppe incominciava lasciarmi vedere il mare quieto, non impedito quasi con nessun scoglio, & concedermi l'onde assai piu del solito tranquille; onde con la speranza, & disio di toccare il lito dove mi prometteva c'havrei riposo, & che per le vinte fatiche come buon nocchiero mi darebbe la corona d'alloro, a piu potere con vele, & remi spingeva innanzi.

Ma ecco che, mentre levandomi dalla foce del Thebro m'era lasciato da un benigno venticello condurre nel mare Euboico, mi s'appresentarono l'antiche Thebe di Cadmo; di che venendomi in mente l'isole Colie, che inavertentemente havea trappassato, meco stesso considerai quanto mi restava a fare, cioè descrivere quel famosissimo domatore dei mostri, che di forze trappassò tutti gli altri mortali, & fu Re di si strani popoli, onde molte volte quasi è avenuto ch'io in mare sia pericolato; & appresso mi restava mettere per ordine la di lui discendenza. Per la qual cosa alquanto s'intepidì quel fervore, che conduceva me desideroso al lito. Cosi mi fermai, & meco stesso pensando leggier cosa non essere ch'io potessi descrivere quelle fatiche che non sarebbono da niun'altro mortale, eccetto Hercole, state esseguite, istimai essere bene che io mi riposassi, & con qualche particella di otio ripigliare un poco piu di forza per le afflitte membra, affine, che tra i famosi sudori d'Alcide io non venissi meno overo essendo debile, da Eolo non fossi portato ove già non vorrei. Cosi non havendo già intieramente annoverata la prole del terzo Giove, di novo, Inclito Re, restai sospeso come s'io fossi giunto a certo termine. Ma divenuto già, tua mercé, gagliardo, per fornir l'avanzo del mio viaggio spiego le vele della mia navicella al vento, pregando secondo la consueta usanza, colui, che di niente con facilità compose tutte le cose, che mi sia propitio, & mi conduca al fine di questa fatica.

 

Hercole trentesimo ottavo figliuolo di Giove, che generò dicisette figliuoli, cioè Osia, Creontiade, Tiriomaco, Dijcoonte, Ithoneo, Cromi, Agile, Ilo, Sardo, Cirno, Diodoro, Tlipolemo, Thessalo, Aventino, Thelepho, Lido, & Lamiro.

Hercole, come scrive Plauto nell'Anfitrione, fu figliuolo di Giove et Alcmena, la quale, come vogliono alcuni, con tal patto si maritò in Anfitrione, che fosse obligato far vendetta della morte di suo fratello amazzatole dai Theleboi. Nella quale impresa (dice l'istesso Plauto) ritrovandosi Anfitrione, Giove innamoratosi di Alcmena prese la forma d'Anfitrione, & come se venisse dal campo una mattina nell'alba andò a ritrovar quella, la quale credendolo il marito giacque seco; onde si impregnò, benche anco fosse pregna di Anfitrione. Ma dicono, che non una sola notte bastò alla generatione di tal parto, anzi, che per ispatio di tre continue giunte in una, all'adultero Giove fu conceduto il tempo de stare in diletto. Il che è scritto da Lucano.

 


Mentre d'Alcmena il gran rettor del Cielo

Lieto godeva in Thebe, commandato


Haveva, che tre notte in una fosse.

 

Cosi Alcmena al tempo suo partorì due figliuoli, cioè del marito Anfitrione Ificleo, & di Giove Hercole. Oltre ciò, Homero recita una altra favola, che appartiene alla natività di costui, la quale lasciaremo per essere stata narrata dove si è parlato di Euristeo figliuolo di Steleno. Gli antichi inalzano costui con maravigliose lodi, & inquanto alla statura del corpo il fanno grandissimo di maniera, che non vogliono, che alcuno lo avanzasse di grandezza, la quale dicono, che fu di sette piedi, il che pare, che Solino affermi dove dice, Molti diffiniscono alcuno non poter passare la lunghezza di sette piedi, tra la quale fu Hercole. Et volendo egli haver sopportato l'odio della madrigna Giunone, & fatto servitù al Re Euristeo, confermano, che di fortezza di corpo, & d'ingegno trapassò tutti gli altri. Le cui singolari, & gloriose fatiche quasi tutti vogliono, che fossero partite in dodici, benche io ne ritrovi trent'una, come, che non eguali. Primieramente, essendo costui fanciullino, & in culla insieme col fratello, da Giunone, che con odio il perseguitava (dormendo i padri) gli furono mandati due Serpenti per divorarlo, i quali veduti da Ificleo, egli per ciò smarrito si gittò di culla, & con le strida svegliò il padre, & la madre, che levandosi di letto trovarono Hercole con le mani havere preso quei Serpenti, & amendue haverli affocati, de quali nella Tragedia d'Hercole Furioso Seneca in tal modo parla,

 


Pria, che conoscer ei potesse i mostri

Vincerli incominciò; perche due Serpi

C'han le creste sul capo con le bocche

Venian verso di lui; contra de' quali,

Brancolando si mosse il fanciullino

Con intrepido petto riguardando

Quegli occhi ardenti de' maligni Serpi;

Et stendendo le mani inverso loro

Quasi come scherzando quelli prese

Con quei nodi, c'hor son tanto robusti,

Et con la mano tenera si strinse

Che strangolò le venenose fiere.


 

Secondariamente, appresso la Palude Lerna combattete con l'Hidra, crudelissimo mostro, il quale havea sette capi; & ogni volta, che se ne toglia uno, subito in luogo di quello ve ne nascevano sette. Ma estinta col fuoco la origine vitale di quella, la superò. Della quale nel medesimo luogo Seneca parla

 


Che i fieri mostri, è il numeroso male

De la Lerna palude? Non al fine


Col fuoco il vinse, & l'insegnò morire?

 

La terza, essendo il Leone Nemeo a tutti un paese dannoso, egli raccolto da Molorco pastore, che a quel luogo era piu vicino, se n'andò contra quello, & prese; & indi havendolo scorticato, per segno del valore suo si vestì della spoglia del Leone. Onde Ovidio dice;

 


Da le robuste braccia morto giace

Il gran Leon Nemeo fiero, & horrendo.


 

La quarta, andò contra il Leone Teumesio, non meno horrendo del Nemeo; dove arditamente havendoselo posto sotto i piedi, lo scannò. Del quale Statio nella Thebaide fa ricordo;

 


D'Anfitrione l'adornato figlio

De la spoglia Cleonea, ch'estinse il fiero


Theumesio Leon da ogn'un temuto.

 

La quinta fu contra il Cinghiale Menalio, che rovinava il tutto. Onde Seneca nell'istessa Tragedia.

 


Che il Menalio Cinghial sto a ricordare

Tra i folti gioghi d'Erimanto avezzo


Far i boschi d'Arcadia ogn'hor crollare?

 

Et come dice Lattantio, ei portò questo Cinghiale vivo ad Euristeo. La sesta, egli col corso vinse, & prese la Cerva c'havea i piedi di bronzo, & le corna di oro, la quale habitava sul monte Menala, & nessuno non la poteva pigliare; di che Seneca medesimamente parla;

 


Et del Menalo monte la veloce

Fiera, ch'il capo havea molto adornato


D'oro da lui fu in corso, & vinta e presa.

 

La settima, con l'arco ammazzò gli uccelli Stinfalidi, cioè le Arpie, delle quali l'istesso Seneca scrive;

 


Indi assalì per l'aere gli uccelli

Stinfalidi, li quali erano avezzi


Con l'ale oltraggio fare al giorno, e al Sole.

 

La ottava, prese il Toro, che Theseo vincitore havea menato di Creta, il quale per la insolenza ruinava tutto il paese de Athene, del cui s'è detto parlando di Pasife. Ma in tal modo Seneca il ricorda;

 

Di non picciol timore l'ardito Toro.

 

Nella nona fatica vinse Acheloo, del quale si è narrato parlando di lui; onde Ovidio ciò tocca, dicendo;

 


Non sete voi quelle possenti mani,

Che spezzaste le corna al fiero Toro?


 

Nella decima vinse, & amazzò Diomede Re di Thracia, il quale soleva amazzare quelli, che alloggiavano seco, & poi dargli a mangiare ai suoi armenti; di che Hercole havendolo morto, il fece mangiare ai suoi cavalli proprii. La qual cosa ricorda il medesimo Seneca;

 


Che starò a ricordar le stalle dove

Il gregge di Bistonio si pasceva

Di carni humane, onde agl'istessi armenti

A la fine fu dato il Re perverso.


 

Nella undecima, essendo il Re Busiri figliuolo di Nettuno, & Libia divenuto grandissimo ladrone, & dando noia a tutti i passi vicini al Nilo, facendo sacrificio di tutti quelli stranieri, che nelle sue mani capitavano alli Dei, Hercole ivi arrivando il vinse, & rese securo tutto quel paese. Laonde Ovidio dice;

 


Adunque ho domat'io Busiri, il quale

Con il sangue stranier macchiava i Tempi?


 

Nella duodecima andò in Libia, & appresso Sumitto città d'Africa, come dice Lattantio, vinse alla lotta Antheo figliuolo della terra, del quale l'istesso Ovidio scrive;

 

Ad Antheo della madre il cibo tolsi?

 

La favola di costui, dove ho scritto d'Anteo si è narrata. Nella terzadecima pose le Colonne in Occidente, delle quali Pomponio Mela nella Cosmografia dice; Indi vi è un Monte molto alto posto dirimpetto alla Spagna, & dall'altra parte un altro. Quello è chiamato Calpe, & questo Abila, & l'uno, & l'altro si chiama le Colonne d'Hercole. La fama del nome vi aggiunge una favola, cioè Hercole già haver rovinato le cime di molti monti, & con la gran mole d'Anteo, & di que' monti haver fatto una massa, che fece rivolgere l'Oceano per quelle parti dove hora bagna. Nè Seneca tacque questo, dove dice.

 


Et d'ogni parte ruppe i monti, & fece

Al rovinoso Oceano la via.


 

Nella quartadecima tolse i pomi d'oro alle donzelle Hesperidi, & amazzò il vigilante dracone, del quale cosi dice Seneca;

 


Dopo questo assalito havendo i luoghi

Del riccho boscho portò via l'aurate


Spoglie di quel si vigilante drago.

 

Nella quintadecima pigliò guerra contra Gerione, che in tre forme si transformò, onde tre volte gli fu bisogno vincerlo; & alla fine havendolo morto, con gran pompa condusse l'armento hispano, & famosissimo fino in Grecia. Il che tocca Seneca dicendo;

 


Tra i piu lontani gregi de la gente

D'Hispagna, morto fu il Pastor triforme

Del Taratesio lito, & fu la preda

Da la Spagna ne l'Asia anco condotta.


 

Nella sestadecima riportò ad Euristeo il Balteo della Reina delle Amazone, la quale fu da lui vinta. Onde Seneca;

 


Non vinse lui la vedova Regina

De le Amazoni, che proposto havea


Di sempre dimorar in casto letto?

 

Nella decima settima amazzò anco Caco ladro dell'Aventino; onde Boetio parlando della Consolatione;

 

Et Caco satollò l'ire d'Evandro.

 

Nella decimaottava Hercole con gran travaglio superò i Centauri, che con insolenza volevano il dì delle nozze rapire Hippodamia a Pirithoo. Di che Ovidio dice;

 

Ne durar meco potero i Centauri.

 

Nella decima nona amazzò Nesso Centauro, che sotto spetie di farli servigio s'era ingegnato menarli via la moglie Deianira; si come chiaramente si vede, dove si ha scritto di Nesso. Nella ventesima, con l'aiuto di Giove, che fece piover pietre, come nella Cosmografia mostra Pomponio, Hercole superò Albione, & Begione, che non lontano dalla foce del Rodano gl'impedivano il suo viaggio. Nella ventesimaprima liberò Hesiona figliuola di Laumedonte dal mostro marino, come s'è visto parlando di Laumedonte. Nella ventesimaseconda rovinò Troia. Nella ventesimaterza amazzò Lacinio ladrone, che dava noia con assassinamenti all'ultima parte dell'Italia; & a Giunone edificò un tempio chiamato di Giunone Lacinia. Nella ventesimaquarta (come narra Homero nella Iliade) egli ferì con un dardo da tre punte in una mammella Giunone; il che dice Leontio da lui essere stato fatto percioche dal Re Euristeo havea inteso ch'ella era cagione di tutte le sue fatiche. Nella ventesimaquinta con gli homeri sostenne il Cielo; di che fu cagione, dice Anselmo nel libro della imagine del Mondo, percioche facendo i Giganti guerra contra i Dei, tutti gli Dei si ritirarono in una parte del Cielo, onde tanto fu il loro peso, che pareva il Cielo voler rovinare. Per la qual cosa, affine, che non cadesse, Hercole insieme con Atlante vi pose le spalle. Nondimeno la favola è piu chiara che, essendo lasso Atlante, & disiando mutar la spalla, in questo mentre Hercole vi sottopose le sue. Onde Ovidio descrivendo quello, che si lamenta, il fa in tal modo parlare;

 

Retto non ho con queste spalle il Cielo?

 

Nella ventesima sesta, Hercole andò all'Inferno, & ivi ferì Dite, si come nella Iliade Homero dimostra. Nella ventesima settima liberò dall'Inferno Theseo impaurito per la morte di Pirithoo, & il condusse di sopra. Nella ventesima ottava ricondusse Alceste, moglie d'Admeto Re di Thessaglia, dall'Inferno al marito. Percioche dicono che, essendosi infermato Admeto, & pregando Apollo, che li porgesse aiuto, da Apollo gli fu riposto, che non v'era rimedio alcuno, eccetto se qualche d'uno de suoi piu prossimi non moriva per lui. Il che intendendo la moglie Alceste, non paventò punto accettare la morte in vece del marito, & cosi morì, & Admeto fu liberato; il quale havendo molto dolore della moglie, pregò Hercole, che andasse all'Inferno, & conducesse di sopra la di lei anima. Il che fu da lui fatto. Nella ventesima nona, entrando nell'Inferno prese per la barba il Tricipite cane Cerbero, che gli vietava la entrata, & gli la cavo, legandolo appresso con una catena a tre doppie, & conducendolo di sopra, si come s'è ragionato parlando di sopra di lui. Nella trentesima, ritornando dall'Inferno amazzò Lico Re di Thebe perche havea voluto sforzare la moglie Megera, si come nella Tragedia d'Hercole Furioso Seneca dice; cosi anco divenuto furibondo amazzò i figliuoli, & la moglie, & appresso instituì i giuochi Olimpici in honore di Pelope. Ultimamente, accioche una volta vegniamo a capo, non puotè vincere la trentesima prima fatica, percioche havendo vinto gli altri mostri, fu sottoposto dall'amore di una donna. Dice Servio, che havendoli Eurito Re di Etholia promesso per moglie Iole sua figliuola, per disconforto dei figliuoli, attento, che havea amazzato l'altra moglie Megera, gli la negò. Laonde Hercole, presa la Città, & amazzato Eurito, ottenne Iole. Essendo adunque infiammato dell'amore di costei, per suoi commandamenti messe giù quella clava, & la spoglia del Leone, & incominciò profumarsi, vestirsi delicatamente, & darsi a cose lascive; & quello, che è piu vergognoso, tra le serventi dell'amata giovane si diede a filare, & raccontar delle favole. Onde nella Thebaide dice Statio.

 


Cosi la Lidia moglie si rideva

d'Anfitrione mirando il figliuolo

Esser spogliato de l'horribil pelle,

Et dagli homeri suoi pender le vesti

Sidonie, molli; & d'odorosi unguenti

Tutto essersi bagnato; indi fra l'altre

Serventi sue con la conocchia starsi

Favole raccontando; & con la destra


Già tanto ardita i cembali sonare.

 

Nondimeno, Ovidio nel suo maggior volume, & Statio in questo luogo vogliono non Iole Ethola, ma Onfale Lidia essere stata quella, che li facesse fare questi essercitij. Ma egli è cosa possibile, che l'uno, & l'altro fosse vero, essendovi stati molti Hercoli. Cosi a diversi appresso diverse donne puotè ciò avenire. Mentre adunque era tenuto da cosi vano amore, Deianira ricordandosi del dono, che già le fece Nesso Centauro, & credendo essere vero quello, che morendo ei le disse, per voler ritornare Hercole nell'amor suo le mandò segretamente la veste del Centauro; della quale senza considerarvi essendosene vestito, & andato a caccia, per lo sudore quel venenoso sangue c'havea toccato quella spoglia di maniera gli entrò nella carne, & nelle vene, che cadde in cosi intollerabile, & ismisurato dolore, che deliberò morire. Cosi nel Monte Oeta fatto un sublime rogo, donate le saette, & la faretra a Filottete figliuolo di Fiante, ascese sopra quello, & comandò gli fosse dato il fuoco; onde in tal modo mandò fuori lo spirito. Seneca nella Tragedia di Hercole Oete dice, che fu raccolto in Cielo da Giove, & havendolo pacificato con Giunone sua madrigna gli fece dar per moglie Hebe, Dea della gioventù, & figlia di Giunone. Ma Homero nell'Odissea dice ch'egli nell'Inferno fu trovato da Ulisse, & che parlò molto seco. Nondimeno, scrive, che colui, che vedeva Ulisse non era il vero Hercole, ma un suo Idolo. Costui appresso, quanto vivendo con la sua fortezza fece restare attoniti i mortali, tanto, & piu morendo ingannò gli sciocchi. Percioche con tanta riverenza di sé occupò le menti, che fu tenuto per sublime Iddio. Nè solamente da questo errore fu ingannata la Grecia, ma fu tenuto in grandissima riverenza da Romani, & tutto il mondo; onde con statue, tempi, & sacrifici santissimamente, anzi pazzamente fu adorato, & osservato. Ma hora è tempo da scoprire le fittioni; & prima è da vedere quello, che suoni il nome d'Hercole. Diceva Leontio Hercole haver havuto il nome da Hera, che è la terra, & Cleos, che è gloria; & cosi Hercole è l'istesso, che glorioso in terra. Overo Heracles da Heros, & Cleos ; & cosi si dirà glorioso Heroe. Ma Paolo voleva Hercole essere detto da Erix, che significa Lite, & Cleos gloria, & cosi verrebbe a chiamarsi glorioso delle Liti. Ma Rabano nel libro dell'origine delle cose dice che, credendo quegli antichi Hercole esser il Dio della virtù, istima egli cosi essere chiamato quasi Heruncleos , che latinamente diciamo fama d'huomini forti. Et scrive, che Sesto Pompeo narra Hercole essere stato agricoltore. Nondimeno i Greci chiamano costui Hiraclin; laonde noi gli dovremmo chiamare Heracli, & non Hercoli. Ma chiamandosi cosi per l'invecchiata usanza, da i Latini pare, che il vitio sia iscusato. Tuttavia, questo nome d'Hercole istimo essere stato di un huomo solo, cioè di quello, che a Thebe nacque d'Alcmena; tenendosi che sia stato appellativo di molti. Percioche Varrone havendo annoverato quarantatre huomini chiamati Hercoli, dice, che tutti quelli, che si diportarono valorosamente furono nomati Hercoli. Di qui adunque aviene, che leggiamo Hercole Tirintheo, Argivo, Thebano, Libico, & altri simili. La onde si viene a comprendere, che tutte le prescritte fatiche non furono d'un solo, ma di piu; le quali, perche la confusione dei nomi le ha mischiate insieme, non si sa a cui propriamente si debbano ascrivere, nè meno si sa quale fosse fatta pria, & quale poscia, per la qual cosa confusamente si danno ad un solo Hercole. Nè è cosa impossibile, secondo Pompeo, che uno ne fosse agricoltore. Percioche non solo ai nobili la natura è liberale, benche i corpi dei nobili la fortuna faccia piu famosi. La diversità dei costumi, & dell'opere diede inventione, che prima Ificleo, & poi Hercole d'altro coito fosse generato, attento, che essendo Ificleo huomo rimesso, fu attribuito ad Anfitrione; & però fu detto prima essere stato generato perche agli Astrologhi parve, che allhora era, quando si imaginarono, che potesse essere generato, essere convenevole ai suoi costumi; & cosi conseguentemente quella diHercole; & di quì hanno fatto, che fusse generato poi. Et perche era vendicatore delle ingiurie; & introduttore delle leggi, & religioni, fu dato per figliuolo a Giove. Ma io tengo, che fosse figliuolo d'Anfitrione, & generato in un medesimo congiungimento con Ificleo, come, che la acutezza de Mathematici non possa vedere altra ragione perche fossero gemini, & di costumi differenti, eccetto le diversità delle constellationi. Cosi Giacob, & Esaù; cosi anco molti altri al tempo nostro sono stati gemelli, & non concetti in diversi tempi ma in un medesimo coito, come tiene Agostino nel libro della Città d'Iddio; et nondimeno essa ragione d'operationi diverse non anco è assai chiara se non al solo Iddio: benche si potrebbono dire molte cose, che forse parrebbono conformi alla verità. La Triplice notte attribuita alla concettione di costui, penso essere stata compresa dalle opere humane, percioche non in cosi breve tempo si finiscono i grandi edifici come si farrebbono le picciole stanze dei poveri; & però come se quasi anco la Natura d'intorno la produttione de i grandi huomini mettesse piu tempo, & maggiore fatica, dove nella creatione de gli altri huomini pare, che una sola notte basti, ad Hercole, che dovea trappassare gli altri, ne furono tre concedute. Credo poi essere stato finto che Giunone li fosse contraria perche il Re Euristeo, che a lui signoreggiava, il quale in questo luogo possiamo comprendere per Giunone, dea dei Regni, temendo forse l'inclito suo valore, & che non tentasse nel suo Regno qualche novità, con imprese continue sempre se'l tenne lontano; & cosi la potenza Reale li fu contraria. Le fatiche ascritte ad Hercole, già habbiamo detto essere state di molti; onde le fittioni d'alcune di sopra habbiamo dichiarate dove hanno appartenuto a quelli, che sono stati tenuti di tal numero. Alcune anco in sé tengono la semplice historia; & però di molte poche ne restano coperte sotto poetico velame. Onde per levarlo, dice Theodontio haver letto in alcuni codici de' Greci, Hercole essere stato figliuolo di Anfitrione, & non di Giove, & che una notte alla culla di lui, & del fratello andarono due Serpi (come fu creduto) domestici, & tratti dall'odore del latte, del quale sono molto desiderosi; onde fu ritrovato dai padri, che Hercole, vegghiando senza paura nessuna, come meglio poteva con le mani da lui se gli cacciava. Il che fu tenuto per cosa maravigliosa; di che nacque di questo fanciullo tanta speme, che non solamente fu tenuto ch'egli havesse a venire huomo mirabile, ma ancor quei sciocchi incominciarono credere, che fosse figliuolo d'Iddio; per la qual cosa la favola trovò inventione, che fosse conceputa di Giove colui, che la moglie honesta havea partorito dal marito. La seconda gloria di Hercole è, che amazzò l'Hidra da sette capi, del qual figmento Alberigo recita favola tale. Dove chi l'Hidra fu un certo luogo, che spandeva acqua da diverse parti, onde la città, & tutti i luoghi, & terreni circonvicini ne pativano; di che se si chiudeva un addito, se ne rompevano molti. La qual cosa veggendo Hercole, nel circuito asciugò molti lochi, & cosi chiuse il gorgo dell'acqua. Ma io tengo ch'egli fosse qualche huomo famoso, che rivolse le acque, che da diversi scaturagine facevano i lochi paludosi, & fetidi, in questo modo, che, cercando il loro principio, rivolse quello in qualche altra parte, lasciando secca la palude Lernea, la quale chiamarono Hidra perche a usanza d'Hidra si piegasse in volta, & andasse serpendo, attentoche anco Hidios in Greco è l'acqua; onde perche il luogo dove pria era la palude fu lasciato secco, finsero l'Hidra essere stata vinta col fuoco. Ma Eusebio nel libro dei Tempi dice, che Platone mostra havere di questa Hidra altra openione, il quale afferma l'Hidra essere stato un calidissimo Sofista, percioche è costume dei Sofisti, che (se non vi si considera), risolto un dubbio da loro proposto ve ne nascono molti: ma l'astuto filosofo, lasciate le parti d'intorno, si sforza confutare la principale, la quale rimossa, anco l'altre si confundeno. Di Acheloo, della favola d'Anteo, & dei pomi delle Hesperidi, si è dichiarato il tutto ai luoghi suoi. Della fittione di Gerione, dice Servio, che Gerione fu un Re d'Hispagna Tricipite, overo da trimembre, cosi però istimato perche signoreggiava a tre Isole vicine alla Spagna, cioè alle Baleari, & alla minore Ebuso. Dice anco, che haveva un cane da due teste, volendo per ciò, che si intendesse, che era molto potente con essercito per terra, & armata per mare; onde narra, che Hercole andato ivi con una olla di ferro il vinse, intendendo per l'olla di ferro una forte nave ben fornita d'armi, con la quale Hercole si condusse a lui. Altri poi dissero, che questo Gerione era Trianime; il che Rabano comprende per due suoi fratelli, tanto seco concordi, che in ciascuno di loro pareva, che fosse l'anima degli altri. Giustino poi di lui cosi dice; In un'altra parte d'Hispagna, la quale è nelle medesime Isole dove fu il regno di Gerione, in questa è tanta abondanza di pascoli, che se gli armenti non sono astenuti da quello vengono tanto grossi, che si corrompono; di che gli armenti di Gerione, che in quel tempo solevano essere le sole ricchezze, vennero in tanta fama, che Hercole per la grandezza della preda si partì d'Asia, & andò ivi a rubarli. Ma esso Gerione non hebbe tre forme di Natura, si come dicono le favole, ma furono tre, di tanta concordia che parevano tutti tre d'un animo solo. Nè senza cagione ei mosse guerra ad Hercole; ma veggendo i suoi rapiti armenti perduti, per forza con guerra cercò rihaverli. Questo dice Giustino. Di Caco è stato detto di sopra. De i due Leoni, & del Cinghiale Menalio; perche crediamo alle historie, non ci resta a dire l'altro. Delli Stinfalidi uccelli, cioè Arpie, & del Tauro, dove si è parlato del Re Minos si ha trattato. Cosi di Diomede, di Busiri, & delle Colonne, queste sono historie narrate; nè meno fu vero delle Amazone, dei vinti Centauri, di Nesso Centauro, degli amazzati Albione, & Bergione, et di Hesiona; il che si è particolarmente scritto parlando di ciascuno di loro. Che rovinasse Troia, fu verissima historia. Ne che amazzasse Licinio è altro, che la morte d'un ladrone. Che sostenesse con gli homeri il Cielo, questo è detto impropriamente. Può bene essere, che essendo egli stato ammaestrato nella Astrologia da Atlante, a quel tempo famosissimo huomo, & volendo Atlante riposarsi, overo venendo a morte, Hercole entrasse in suo luogo, & sotto entrasse nella fatica d'insegnare i corsi dei corpi sopracelesti. Che poi con un dardo da tre punte impiagasse Giunone, descrive l'opra del sapiente; percioche il prudente per tre ragioni sprezza, & fa poco conto delle ricchezze, & sublimi potenze, attento, che le cose temporali in reggerle sono ansie, in conservarle piene di sospetti, & pensieri, & nello stato dubbiose, & frali, & cosi col dardo da tre punte è ferita Giunone da Hercole. Che ancora scendesse all'Inferno, & impiagasse Dite, egli è l'istesso, che si è detto di Giunone, essendo Dite Iddio delle ricchezze; il quale tante volte è ferito quante sono sprezzate le ricchezze, si come leggiamo havere fatto alcuni Filosofi, perche le tenevano inimici degli studi. Che liberasse Theseo, è piu tosto historia, che fittione. Di Alcesta dall'Inferno ritornata ad Admeto, narra Fulgentio, che havendo il padre di Alcesta fatto questo partito, che chi voleva sua figliuola per moglie dovesse mettere sotto una carretta due fiere differenti; onde Admeto per dono d'Apollo, & Hercole vi aggiunse il Cinghiale, & il Leone; & cosi hebbe Alceste. Dice adunque Admeto essere posto in modo di mente, & egli essere detto Admeto, come colui, che potrà affrontare il meto, cioè la paura. Questi desidera Alceste per moglie. Alce significa poi in lingua Attica Prosontione. Adunque la mente, sperando, congiungere a sé la prosontione aggiunge due fiere alla sua carretta, cioè aggiunge due virtuti alla sua vita dell'animo, & del corpo; il Leone come virtù dell'animo, & il Cinghiale come virtù del corpo. Acciò gli è favorevole Apollo, et Hercole, cioè la virtù, & la virtù. Adunque la prosontione pone se medesima alla morte per l'anima, come fece Alcesta, la quale prosontione, la virtù, benche stia in pericolo di morte, rivoca dallo Inferno, come fece Hercole. Ma io tengo altrimenti. Admeto è l'anima rationale, col quale allhora si congiunge Alcesta, cioè la virtù; percioche Alce in greco è l'istesso, che virtù, mentre dal leone, & dal Cinghiale, cioè dall'appetito irascevole, & concupiscevole, la sua carretta, che è la sua vita è guidata. La virtù non per altro vi si aggiugne, eccetto, che da quella siano frenate le passioni. Et cosi per la salute dell'anima contra le passioni la virtù oppone sé stessa; la quale se alle volte per la fragilità nostra sottogiace, dalla rivocata fortezza è rilevata. Di Cerbero è stato parlato al suo luogo. Il Re Lico poi da lui morto, con le altre particolarità, si appartiene alla historia. Nondimeno, si trova, che Hercole morì, come scrive Eusebio, negli anni del regno d'Atreo et Thieste sessantatre, percioche cadè in una infermità mortale; onde per lo rimedio delle doglie si gittò nelle fiamme, & questo fu quell'Hercole Thebano figliuolo di Anfitrione, che visse anni cinquanta due, & morì negli anni del mondo quattromille, & quattrocento. Dicono, che fu assunto in Cielo, percioche tra l'altre imagini celesti dagli Astrologi è descritto, che anch'egli fu Astrologo. È stato poi finto, che togliesse la Gioventù per moglie, percioche il corpo del famoso huomo, il valore, la fama e il nome sempre piu si rinfresca, & dura giovine; si dice poi, che si conciliò con Giunone, perche come l'huomo è spogliato di vita non puotè piu essere turbato nè da concupiscenza dei Regni, nè da altro mortale, che signoreggi.

 

Oxea, Creontiade, Tirimaco, & Diicoonte, figliuoli d'Hercole.

Questi furono figliuoli di Hercole, & di Megera, figliuola de Creonte Thebano, de quali, Creontiade, Tirimaco, & Diicoonte, nell'Odissea gli fa figliuoli di Hercole, & da lui ammazzati nel ritorno dallo Inferno dopo il morto Lico. Ma Seneca Poeta nella Tragedia di Hercole Furioso nomina solamente Oxea, & Creontiade da Hercole ammazzati. Et però gli ho notati tutti quattro; de' quali altro non mi ricordo haver letto.

 

Hitoneo figliuolo d'Hercole.

Hitoneo, come piace a Lattantio, fu figliuolo d'Hercole, & Pafia; il che dimostra anco Statio, che dice egli havere favorito nella guerra Thebana ad Etheocle. Costui edificò Hittone, antichissima città di Boemia, dove egli signoreggiò. Ma Lattantio in un luogo dice, che Statio nomina Hitone per Minerva, da un Castello, che è in Macedonia dove è l'antica sua sedia.

 

Cromi figliuolo d'Hercole.

Cromi fu figliuolo d'Hercole, come testimonia Lattantio dicendo; Si trova Cromi essere stato figliuolo d'Hercole, & haver havuto i Cavalli di Diomede di Thracia soliti a pascersi di carni humane; i quali, amazzato Diomede, furono da Hercole tolti. Ma Statio, piu antico affermatore, di tal cosa dice;

 


Va Cromi, & Hippodamo; uno de' quali

Nacque de Hercole invito, & glorioso.


 

Et questo intende Cromi. Et poco da poi segue;

 


Et poscia Cromi con l'Herculee forze

Et con tutto il vigor del padre prese,

Hippodamo, e il lanciò fin ne le parti

Dove il termine suo disegna il mondo.


 

Costui con Adrasto se n'andò alla guerra di Thebe.

 

Agile figliuolo d'Hercole.

Agile (secondo Lattantio) fu figliuolo d'Hercole, dicendo che, quando dice la gioventù Tirinia, doversi intender quelli, che con Agile figliuolo d'Hercole furono alla guerra di Thebe.

 

Hilo figliuolo d'Hercole.

Hilo fu figliuolo d'Hercole, & Deianira, si come Seneca poeta nella Tragedia di Hercole Oeta in piu luoghi dimostra. Costui insieme con gli altri, che doppo la morte del padre furono cacciati dal Re Euristeo, se n'andò ad Athene, dove con tutti insieme edificò un Tempio alla misericordia overo Clemenza; & ciò fece per testimonio dell'aiuto concessoli da gli Atheniesi, & per ricorso de i posteri scacciati.

 

Sardo figliuolo d'Hercole.

Sardo fu figliuolo de Hercole, come dice Rabano, & Anselmo; i quali vogliono, che egli con molta gente si partisse di Libia, & occupasse l'isola di Sardigna, la quale da Greci essendo nomata Ico, dal nome suo fu detta Sardigna. Ma Solino nelle Meraviglie del Mondo dice, ch'ella da Thimeo fu detta Sandaliotte & da Crisippo Munivia, & che Sardo figliuolo d'Hercole (cangiatole il nome) la chiamò Sardigna.

 

Cirno figliuolo d'Hercole.

Cirno (secondo Rabano) fu figliuolo d'Hercole, il quale afferma che da lui fu prima habitata quell'isola, che noi chiamiamo Corsica, & dal nome suo chiamata Cirno.

 

Diodoro figliuolo d'Hercole, che generò Sofone.

Diodoro, come nel libro dell'Antichità scrive Giuseppe, fu figliuolo di Hercole, affermando ch'Alfera, & Ianfrante, figliuoli di Abraham, & di Cethura, da Hercole nell'Africa riceverono aiuto, & Echea haverli dato per moglie Isaia sua figliuola; della cui hebbe Diodoro, del quale Cofone fu figliuolo. Et cosi si vede questo Hercole, che generò Diodoro essere stato antichissimo.

 

Sofone figliuolo di Diodoro.

Sophone, secondo Giuseppe nel libro dell'Antichità Giudaica, fu figliuolo di Diodoro, & regnò in Affrica; onde i Barbari della Libica regione da questo Sofone furono nomati Sofaci.

 

Tlipolemo figliuolo d'Hercole.

Piace nella Iliade ad Homero, che Tlipolemo fosse figliuolo d'Hercole, & Altiocchia da lui rapita in Efiro, città di Laconia; il quale divenuto grande, amazzò l'avo suo vecchio chiamato Licemone, che traherà l'origine da Marte. Onde fatte alcune navi, con alquante persone, fuggendo i fratelli, & i parenti, ne entrò in mare, & andò a Rodo, dove signoreggiò a Rodiani. Indi andando i Greci all'impresa di Troia anch'egli vi volse andare, come il tutto si può vedere in Homero.

 

Thessalo figliuolo d'Hercole, che generò Fidippo, & Antifo.

Thessalo, come nella Iliade dice Homero, fu figliuolo di Hercole, & generò due figliuoli, coi quali andò alla ruina di Troia insieme coi Greci.

 

Fidippo, & Antifo, figliuoli di Thessalo.

Questi furono figliuoli di Thessalo, si come Homero nella Iliade dimostra, & andarono insieme col padre alla guerra di Troia.

 

Aventino figliuolo d'Hercole.

Aventino fu figliuolo d'Hercole, & di Rhea, si come mostra Virgilio dove dice

 


Et ivi del bel Hercole figliuolo

Mostra Aventino bello i suoi cavalli.


 

Costui venne in favor di Turno contra Enea. Et Theodontio dice, che costui è quello il quale vogliono Latino haver havuto dalla figliuola di Turno.

 

Thelefo figliuolo d'Hercole, che generò Euripilo, & Ciparisso.

Thelefo secondo Lattantio fu figliuolo d'Hercole, & Auge; il quale da lei essendo nelle selve alle fiere esposto, fu da una Cerva lattato. Costui, come vuole Lattantio, in Licia signoreggiò ai Cithesi, & morendo lasciò due figliuoli.

 

Euripilo figliuolo di Thelefo.

Euripilo fu figliuolo di Thelefo, si come nell'Odissea dimostra Homero. Dice Leontio, che da Giove fu donata una vite d'oro a Troio per premio del rapito Ganimede, la quale per successione pervenne a Priam,.iIl quale intendendo la virtù d'Euripilo nelle cose di guerra, mandò quella alla madre di lui, accioche gli lo mandasse in aiuto; onde ricevuto il dono, gli lo mandò. Ma egli fu amazzato sotto Troia da Nottolemo con molti dei Chithij, a quali dopo la morte del padre havea signoreggiato.

 

Ciparisso figliuolo di Telefo.

Ciparisso secondo Lattantio fu figliuolo di Telefo. Dice Servio, che Silvano Dio delle Selve amò costui; il quale havendo una mansuetissima Cerva da lui tenuta molto cara, quella da Silvano inavertentemente li fu morta, di che Ciparisso per dolore se ne morì. Ma Silvano poi il converse in un albero dell'istesso nome. A questa fittione la conformità del nome, & perche di continuo geme, ha dato materia.

 

Lido, & Laniro figliuoli d'Hercole, del qual Lido fu figlio Lanio.

Furono Lido, & Laniro, come afferma Paolo, figliuoli d'Hercole, &t Iole figliuola del Re Euritho; de quali non è rimasto altro, che il nome, & che Lido fu padre di Lanio, si come l'istesso Paolo narra.

 

Lanio figliuolo di Lido.

Lanio, come il predetto Paolo vuole, fu figliuolo di Lido; ma non narra di qual madre, nè quale fosse la sua vita. Onde, perche altri non ne scrivono, non ho che riferir di lui.

 

Eolo trentesimonono figliuolo di Giove, che generò Michareo, Canace, Alcione, Miseno, Criteo, Salmoneo, Ificlo, Sisifo, Cefalo, & Athamante.

Descritta la progenie del magnanimo Hercole, ci resta parlare d'Eolo Re de venti; il quale Theodontio, & doppo lui Paolo dicono, che fu figliuolo di Giove, & Sergesta figlia d'Hippote Troiano, & cosi fratello uterino di Aceste. Ma Plinio nel libro della naturale historia dice ch'egli fu figliuolo d'un certo Heleno, & che ritrovò la ragione dei venti. Costui nondimeno, come a lui piace, regnò appresso l'Isole, che sono vicino alla Sicilia verso l'Italia, le quali alcuni chiamano Eolie da questo Eolo, & alcuni Vulcanie da Vulcano, già Re di quelle; delle cui la megliore è Lipari. Chiamano i Poeti costui Re overo Iddio de venti; del quale descrivendo Ovidio l'ufficio, & la stanza, cosi dice;

 


Venne in Eolia a la Città de' venti,

Ove con gran furor son colmi i luoghi

D'Austri irati; quinci en la gran cava

Eolo preme i faticosi venti

Le sonanti tempeste, & come Rege

Pon lor legami, & gli affrena chiusi;

Ov'essi disdegnosi d'ogni intorno

Fremono, & alto ne rimbomba il monte.


 

Et cosi và continuando per otto versi, Nondimeno esso Eolo (testimonio Virgilio), confessa tenere il regno, & l'imperio de i venti da Giunone, si come si vede quando dice.

 


Tu (quale ei sia) sol mi concedi il regno

Col scettro, & fai ver me benigno Giove;

Indi m'accogli a le celeste mense,

E auttor mi fai di rie tempeste, e pioggie.


 

Oltre ciò Homero nell'Odissea dice, che costui, havendo sei figliuoli, & altrettante figliuole, diede quelle per mogli a maschi, & che Ulisse errando capitò ivi, dal quale hebbe tutti i venti rinchiusi in una utre, & legati in una catena d'argento, eccetto Zefiro. Alcuni assegnano tali ragioni di queste fittioni. Dice Solino Strogile essere una delle Isole Eolie, & quella dalle parti, che il Sol leva non molto stretta, & dalle altre differente per piu minute fiamme; attentoche quasi tutte vomitano foco. Laonde nasce, che dal fumo di lei spetialmente gli habitatori prevedono, che venti per spatio di tre giorni siano per soffiare; di che è avenuto, che Eolo fosse tenuto Iddio de Venti, affermando Paolo ch'egli, non havendovi anco gli altri posto fantasia, fu il primo, che alquanto lungamente havendo considerato al rimbombare dei venti, & ai moti delle fiamme, di maniera havea compreso i loro corsi che, sentendole ò veggendole, subito prediceva qual sorte di vento fosse per levarsi in quelle parti, non altrimenti, che s'egli havesse a commandarli; & cosi di questa falsa credenza la fama crescendo, appresso gli ignoranti gli impetrò, che fosse istimato Dio de i venti. Nondimeno, sono di quelli, che vogliano in questa fittione di Virgilio, che Eolo, il qual siede nella rocca, sia la ragione ch'in Cerbero ha la sua sede, & i venti siano gl'instabili, & vani appetiti, che nell'antro dell'human petto fanno tumulto, i quali se dalla ragione non sono raffrenati, è di necessità, che conducano in mortal ruina che gli manda, anzi bene, & spesso, che ruinino, & squarcino tutto il mondo. Percio che habbiamo potuto conoscere quello, che sia seguito dalla mal lasciata impetuosa libidine di Paride, che dalla pazza prosontione di Xerse Re de' Persi; che dall'ambitione di Mario; che dall'avaritia di Crasso, & di molti altri, che da loro in uno utre dati nel poter d'Ulisse da giudicare, l'habbiamo mostrato di sopra dove di Ulisse s'è detto. Oltre ciò, Virgilio artificiosamente tocca la natural cagione de venti. Veramente nascano nelle caverne oprando il moto dell'aere, & uscendo sono portati per l'aere. Et cosi confessa tenere il Reame da Giunone, cioè dall'aere, senza il quale il vento non puote essere creato; onde quando si levano in alto si racconciliano con Giove, in quanto, che s'appropinquano piu alla ragione del foco, & si assettano alle mense de i Dei, superiori corpi; & durando la dispositione dell'aere convenevole a produrgli, essi anco continuano. Oltre ciò, sono di quelli, che vogliano i dodici figliuoli di Eolo essere dodici venti, si come Aristotele nelle Methaure dice, che sono, & vogliono, che sei di questi habbiano possa col suo spirare oprare, che la terra mandi fuori overo dispone le forze a produrre il frutto, et altri sei, che rendino quella apparecchiata à riceverlo, & cosi gli opranti maschi, & i patienti fanno femine.

 

Machareo, & Canace, figliuolo d'Eolo.

Machareo, & Canace, come nelle Pistole Ovidio dimostra, furono figliuoli di Eolo; i quali meno, che honestamente amandosi, & usando insieme della commodità consanguinea, avenne, che Canace partorì di Machareo un figliuolo. Il quale segretamente per una Nodrice essendo mandato fuori del palazzo a nodrire, occorse, che il fanciullo infelice col suo gridare si scoperse all'avo; il quale infiammato per la scelerità de figliuoli commandò, che l'innocente fosse dato a mangiare a' cani, & per un Satellite mandò un coltello a Canace, accioche li suoi portamenti usasse di quello. Ma ciò, che di lei seguisse, no'l so. Ma Machareo se ne fuggì. Et sono di quelli che vogliano questo Machareo essere stato quello che, poscia divenuto Sacerdote d'Apollo Delfico, che acconsentì ad Horeste nella morte di Pirro figliuolo d'Achille.

 

Alcione figliuola d'Eolo, & moglie di Ceice.

Alcione fu figliuola di Eolo, si come Ovidio narra, & fu moglie di Ceice Re di Trachinna, & figliuolo di Lucifero; de quali l'infelice caso habbiamo detto di sopra dove s'è parlato di Ceice.

 

Miseno figliuolo d'Eolo.

Di Eolo fu figliuolo Miseno, si come dice Virgilio.

 


Miseno d'Eolo figlio; a cui nessuno

Fu con la tromba eguale in dar ardire,

E in accender col suon i cori a l'arme.

Questi era stato già fido compagno.


 

Et cosi va continuando per otto versi, ne quali Virgilio descrive qualmente, morto Hettore, ei seguì Enea; & un certo giorno giuocando a cantare con li Dei, da un Tritone fu preso, & annegato. Nè molto da poi segue, che da Enea fu sepolto, & a quel loco imposto il suo nome. Hora, perche le cose semplicemente dette da Virgilio non sono vere, egli è da considerare quello, che vi si nasconda. Finge adunque Miseno d'Eolo figliuolo perche fu trombetta, perche il suono della tuba non è altro, che un spirito mandato fuori per quella concavità dalla bocca, si come il vento è un aere sforzato, & per le concavità della terra mandato fuori; & perche Eolo si dice Dio de venti, come di loro sia auttore, dalla simiglianza dell'opra Miseno è chiamato suo figliuolo. Che poi da Tritone trombetta di Nettuno ei fosse pigliato, & in mare sommerso, sono di queli, che credono ciò essere inventione di Virgilio per coprire la iniquità d'Enea, il quale spesse volte chiama Pio; percioche istimano, che da esso Enea, che faceva quel infausto sacrificio a gli Dei infernali fosse amazzato, si come Alpenore in quel medesimo luogo fu morto, attento, che non si poteva fornir quel sacrificio senza sangue humano. Che poi gli facesse un sepolcro, facilmente si può credere, per premio della toltali vita. Nè vi è dubbio, che appresso Baie non sia un picciolo monte, che anco tiene il nome di Miseno. Ma non so già se quel nome fosse dato a lui dal sepolto huomo ò piu tosto dal monte all'huomo, accio fosse piu convenevole alla favola.

 

Eritheo figliuolo di Eolo, che generò Esone, Pherita, Amithaone, & Alcimedonte.

Eritheo fu figliuolo di Eolo, si come nell'Odissea scrive Homero. Di costui fu moglie Tiro figliuola del Re Salmoneo suo fratello, & della cui hebbe Esone, Pherita, Alcimedonte, & Amitthaone.

 

Esone figliuolo di Eritheo, che generò Giasone, & Polimia.

Esone fu figliuolo di Eritheo, & Tiro, si come s'è detto di sopra, il quale havendo generato Giasone, famosissimo giovane a quel tempo tra tutti i Greci, fu da lui, per virtù d'incanti, & d'herbe di Medea sua moglie, ringiovenito, della qual fittione il senso può esser tale; cioè, che Esone, per l'insperato ritorno, & vittoria di Giasone andato in Colco all'acquisto del velo d'oro, hebbe tanta allegrezza, che quella età, che declinava verso la morte parve, che tutta si fosse ringiovenita.

 

Giasone figliuolo d'Esone, che generò Thoante, Euneo, Filomelo, & Pluto.

Giasone (testimonio Ovidio) fu figlio di Esone; del quale si narra tale historia. Fu Pelia Re di Thessaglia zio di Giasone, il quale per Oracolo havea in comandamento ogni anno sacrificare al padre Nettuno (si come narra Lattantio). Ma sapeva questo, che ogni fiata, che occorresse, che alcuno a quei sacrifici andasse con un piede scalzo, egli di certo morrebbe. Avenne che, celebrandosi quei sacrifici, Giasone con fretta a quelli venendo lasciò una scarpa nell'arena del fiume Anauro, che da quel fango gli fu tratta di piede. Ilche veggendo Pelia, & incominciando dubitare non solo di sé, ma de figliuoli, persuase à Giasone, che andasse in Colco all'acquisto del vello d'oro, con animo, che egli dovesse restarvi estinto, percioche havea inteso tale impresa esser invincibile. Il quale, accettata la impresa, si fece da Argo fabricare nel golfo Pegaso in una nave lunga, la quale dall'auttore fu nomata Argo, & invitò seco quasi tutti i nobili giovani di Grecia, tra quali vi fu Hercole, Orfeo, Castore, Polluce, Zeto, Calai, & molti altri famosissimi, & per sangue, & per valore giovani, i quali da Statio nella Thebaide sono chiamati per la nobiltà Semidei. Questi dal nome della nave furono detti Argonauti. Onde essendo insieme adunati, dal porto Pegaso Giasone fece partire la nave, & con prospero vento fu condotto in Lenno. Dove essendo quell'isola governata da donne sole, le quali sprezzando l'imperio dei mariti gli havevano tutti ammazzati, & regnando Isifile già figliuola del Re Thoante, Giasone (come testimonia Statio) havendo insieme con i compagni vinto quelle, fu da Isifile ricevuto, & nel proprio letto raccolto. Finalmente ripreso da Hercole abbandonò Isifile, restata di lui pregna, & giunse in Colcho; dove essendo bellissimo giovane avenne, che Medea figliuola del Re de Colchi si innamorò di lui. Alla quale segretamente promettendo torla per moglie, da lei fu ammaestrato a qual partito potesse domare i Tori, che havevano i piedi di bronzo mettergli il giogo, ammazzare il serpente vigilante, & seminare nei solchi i loro denti, & poi lasciare, che quegli huomini armati, che di quelli uscissero tra loro si mandassero in ruina; & anco gli insegnò la breve via per pigliare il velo d'oro, il quale secondo le instruttioni havendo essequito il tutto, venne alla disiata preda, & toltala segretamente, con i compagni, & con Medea se ne fuggì. Nondimeno, egli è cosa chiara che tutti gli Argonauti non tennero un'istesso viaggio, legendosi, che Hercole, & quasi tutti gli altri arrivarono all'Helesponto, & Propontide, & scrivendo tutti gli antichi che Giasone entrò nella foce dell'Hibero, & indi pervenne quasi fino a quella parte dove l'Histro diviso è portato nel mare Adriatico, & in quella entrando arrivò fino nell'Adriatico. Il che allega Aristotele in quel libro delle cose maravigliose da udire, Dicendo; Che benche ivi siano luoghi innavigabili, Giasone gli fece navigabili. Et peconfermare questo viaggio, dice, perche quei luoghi per li quali dice, che Giasone navigò sono solitari, & pieni di cose mirabili, si ritrovano altari fabricati da Giasone, et in una Isola del mare Adriatico da Medea vi fu edificato un Tempio a Diana. Oltre ciò, il castello di Pola, che fino al dì d'hoggi dura, prima fu habitato dalla genti di Colco. Queste cose al mio giudicio non provano con la navigatione, ma piu tosto potrebbono fermare quelle, che gli altri tengono, cioè Giasone quanto piu tosto potesse haver finito il viaggio con la nave. Indi ostando i monti al suo navigare, i compagni portando sopra gli homeri la nave haver superato i monti, & essere pervenuti all'Histro, fiume Cisalpino, & caminando haver fatto quei Tempi, & Altari, che si narrano. Ma tenesse qual viaggio si voglia, si ritrova, che gli ritornò col vello d'oro nella patria, & portò quello (come dice Lattantio) a Creonte Re de i Corinthi. Costui di Medea havendo havuto due figliuoli, oprò si ch'ella gli ringiovenì il padre Esone, la quale poi sotto spetie di ciò fece, che le figliuole di Pelia amazzarono il padre; laonde ò per la scelerità di questo ò per altra cagione Giasone la ripudiò, & come dice Lattantio tolse per moglie Glauce. Ma Seneca nella tragedia di Medea dimostra, che togliesse Creusa figliuola di Creonte Re di Corinto, per lo qual sdegno, poscia, ch'hebbe veduto per incanti, & malie di Medea abbrugiate tutto il Palazzo, vide anco con gli occhi propri da lei con un coltello essere squarciati i propri figliuoli da lui generati; onde di qui può essere vero, che egli poi togliesse Glauco. Finalmente per suo difetto essendo fuggita Medea da Egeo, dal quale era stata tolta per moglie, di nuovo (come dicono) fu tolta da Giasone, che di Thessaglia era stato scacciato. Onde di nuovo insieme con Medea passò in Colco, & ritornò in stato il vecchio Oeta padre di Medea, il quale era stato privo del Reame; indi nell'Asia oprò molte cose magnifiche, intanto, che ivi come Dio fu adorato, & al suo nome furono drizzati tempi, & Altari; i quali poscia per commandamento d'Alessandro Macedonico, che forse hebbe invidia alla sua gloria, furono rovinati. Quale poi, & dove fosse la sua morte, non mi ricordo havere letto. In questa historia cosi succintamente narrata vi sono alcune cose poetice sotto coperta di fittione, le quali se possiamo sono da scoprire. Si legge prima che domò i tori c'haveano i piedi di bronzo, & che dalle nari spiravano fuoco; i quali istimo, che fossero i Baroni del Regno di Colco, di forze quasi invincibili, & di spirito elevati. Onde penso, che non con guerra, ma con parole, & simili andamenti fossero da lui superati, & che disponesse i populari a seditione secondo il voler suo, & di Medea. Di che amazzato con inganno il vigilante dracone, cioè il sovrastante della guardia del regno, & per la sua morte quasi seminati i denti, cioè le cagioni di tal fatto, i Colchi venissero alle mani l'un contra l'altro; per la qual cosa di maniera venissero con la guerra a indebilirsi, che facilmente poi fossero soggiogati da Giasone, & spogliati di ricchezze, & del vello d'oro, cioè del gregge c'havea il pregiatissimo vello. Plinio istima, che costui fosse il primo, che navigasse con navi lunghe.

 

Thoante, & Euneo, figliuoli di Giasone.

Thoante, & Euneo furono figliuoli di Giasone, & Isifile, si come a bastanza si vede per Statio nella nelle Thebaide. Fu creduto veramente che, andando Giasone in Colco, ella di lui restasse pregna, et come si può comprendere partorisse due figliuoli; onde appresso le Lenniadi non essendo lecito nodrire maschio alcuno, ella gli mandò altrove ad allevare. Di che essendo poi stata scoperta per havere serbato il padre vivo, & scacciata dalla Signoria, fu presa da Corsali, & a Licurgo Re Nemeo venduta, overo come serva data; per la qual cosa piu non vide quelli. I quali essendo cresciuti in età, & con Adrasto Re andati alla guerra di Thebe, udirono la madre, da loro non conosciuta, che in una selva trovata a caso dal Re Adrasto, a quello raccontava la vita sua. Laonde subito la conobbero per madre, & la scamparono dall'ira del Re Licurgo, che la voleva far morire per lo male da lei serbato fanciullino Ofelte. Quello, che poi di loro avenisse, non ne ho certezza.

 

Filomelo figliuolo di Giasone, che generò Pluto.

Filomelo (come scrive Rabano nel libro delle origini delle cose) fu figliuolo di Giasone, nè di lui altro si legge, eccetto che generò Pluto.

 

Pluto figliuolo di Filomelo, che generò Paleante.

Scrive Isidoro nelle Ethimologie, che Pluto fu figliuolo di Filomela, del quale non ho trovato altro se non, che generò Pareante.

 

Pareante figliuolo di Pluto.

Fu Pareante figliuolo di Pluto, come scrive Isidoro, il quale dice, ch'ei possedette l'isola Paro, & il Castello di quella dal nome suo chiamò Paro, percioche prima si diceva Minoia.

 

Polimila figliuolo di Esone.

Polimila (secondo Leontio) fu figlio d'Esone; il quale dice, che non hebbe altro figliuolo, che costui. Ma io credo piu all'invecchiata fama, che vuole Giasone essere stato figlio di Esone, che ad un'autor nuovo, benche egli è cosa possibile, che Giasone havesse due nomi.

 

Alcimedonte figliuolo d'Eritteo, che generò Epitropo.

Leontio dice, che Alcimedonte fu figliuolo d'Eritteo, allegando, che Ferecide narra, che Alcimedonte venendo a morte lasciò Epitropo suo picciolo figliuolo al fratello Pelia; il quale essendo dalla madre dato a Chirone ad allevare, cresciuto in età da Pelia fu mandato in Colco.

 

Epitropo figliuolo d'Alcimedonte.

Epitropo secondo Leontio fu figliuolo d'Alcimedonte, il quale secondo Ferrecide dalla madre fu dato a Chirone Centauro a nodrire. Onde essendo cresciuto in età, ritornando nella patria, & dimandando al zio Pelia la paterna heredità, fu da lui mandato in Colco all'acquisto del Vello d'oro.

 

Peritha figliuolo di Criteo.

Peritha fu figliuolo di Criteo, & Tiro, si come nell'Odissea Homero narra; del quale non si legge altro eccetto, che fu padre d'Amittaone.

 

Amittaone figliuolo di Criteo, che generò Melampo, & Biante.

Amittaone, come nell'Odissea d'Homero si legge, fu figliuolo di Critheo, & Tiro. Dice Homero, che costui fu gran guerriero, nè piu oltre scrive di lui.

 

Melampo figliuolo d'Amittaone.

Melampo, già famoso augure, secondo Statio nella Thebaide fu figliuolo di Mittaone. Scrive Lattantio, che costui dalla pazzia curò le figliuole del Re Preto, si come ho mostrato di sopra, onde ne hebbe una per moglie, & la metà del regno. Fu veramente questo Melampo dottissimo nella cognitione delle herbe, si come dissero gli antichi. Di lui restò un figliuolo, Theodamante.

 

Theodamante figliuolo di Melampo.

Theodamante fu figliuolo di Melampo, si come testimonia Statio nella Thebaide, dove dice:

 


Vogliono, che il famoso Theodamante

Del santo, & buon Melampo nato sia.


 

Fu questo Theodamante di maniera eccellente indovino che, inghiottito dalla terra appresso Thebe Anfiarao, Adrasto, & gli altri principi ch'assediavano Thebe sostituirono lui in vece d'Anfiarao.

 

Biante overo Bia figliuolo d'Amitthaone, che generò Manthione, & Antiphace.

Biante fu figliuolo d'Amitthaone, si come dice Theodontio; del quale Homero narra una historia, che di lui fu moglie Piro figliuola di Neleo; la quale historia si è narrata di sopra dove si ha parlato di Piro. Nè altro di lui si legge eccetto, che habitò appresso Pilo, città di Neleo, & che hebbe due figliuoli.

 

Manthione figliuolo di Biante, che generò Clitone, & Polifide.

Manthione, come scrive Homero nell'Odissea, fù figliuolo di Biante, & Piro ne di lui riferisce altro eccetto, che generò Clitone, & Polifide.

 

Clitone figliuolo di Manthione.

Clitone fù figliuolo di Manthione, si come nell'Odissea testimonia Homero, dove dice, che essendo bellissimo giovane fù rapito dall'Aurora, nè mai piu comparse. Nondimeno Barlaam dice, che andò in Oriente, nè curandosi piu di ritornare nella patria signoreggiò ad alcuni popoli; & però fu finto, che fosse rapito dall'Aurora.

 

Polifide figliuolo di Manthione, che generò Teoclimene.

Polifide fu figliuolo di Manthione (secondo Homero nell'Odissea, il quale allega, che fù famoso indovino, & sostituito in luogo d'Anfiarao nella guerra Thebana dalla terra inghiottito; il che narra anco Statio. Costui generò Theoclimene.

 

Theoclimene figliuolo di Polifide.

Fù Theoclimene, si come ad Homero piace, figliuolo di Polifide, & dimorando nella città d'Argo, & essendo tenuto famosissimo indovino, ivi amazzò un'huomo. La onde essendosi fuggito, & venuto nella città di Pilo, d'ivi insieme con Thelemaco figliuolo d'Ulisse si partì, & se n'andò in Ithacia.

 

Antifate figliuolo di Biante, che generò Oicleo.

Homero nell'Odissea afferma, che Antifate fu figliuolo di Bia, & Piro; nè di lui si ha altro eccetto, che generò Oicleo.

 

Oicleo figliuolo di Antifate, che generò Anfiarao.

Ocleo col testimonio dell'istesso Homero, fu figliuolo d'Antifate, & generò l'indovino Anfiarao, il quale alcuni tengono, che fosse figlio di Linceo Re d'Argivi, & d'Hipermestra.

 

Anfiarao figliuolo d'Oicleo, che generò Almeone, Anfiloco, & Catillo.

Anfiarao (dicano gli altri, ciò che vogliano) fu figliuolo d'Oicleo, si come nell'Odissea testimonia Homero, & Statio nella Thebaide. Costui tra gli altri antichi indovini è tenuto il piu famoso. Il quale, essendo Adrasto Re d'Argivi per muover guerra contra Thebani, insieme con Melampo ascese sopra un monte per vedere quello, che ne havesse a succedere; & tra il resto havendo previsto, che s'ei andava a questa guerra non ritornerebbe piu nella patria, si andò a nascondere nelle grotte, nè manifestò il luogo a veruno altro eccetto, che ad Erifile sua moglie, si come a fidatissima persona; della quale già havea havuto alcuni figliuoli. Ma instando i prencipi Argivi, che si andasse contra Thebani, nè aspettandosi altro, che Anfiarao, da loro non ritrovato, avenne, che Erifile havea veduto ad Argia, figliuola d'Adrasto, & moglie di Polinice, un monile, che già Vulcano havea donato ad Hermiona sua figliastra, & moglie di Cadmo, del quale se n'invaghì forte; onde patteggiando con Argia, che le donasse quel monile le insegnò Anfiarao, si come nella Thebaide diffusamente Statio dimostra. Cosi adunque Anfiarao, per frode della moglie scoperto, con gli altri Principi Argivi andò alla guerra; dove un giorno combattendo valorosamente contra Thebani, in un subito levandosi un grandissimo terremoto, & in quella parte dov'egli era aperta la terra, fu insieme con l'armi, & con tutta la carretta da quella inghiottito, con grandissima maraviglia de' circonstanti. Statio afferma, che costui armato, & vivo discese alla presenza di Dite, & secondo il costume poetico dice, che il pregò di molte cose; le quali nulla importano a noi. Fu nondimeno appresso gli antichi a quel tempo tanta la trascuraggine, che colui il quale videro per giudicio d'Iddio dalla terra esser inghiottito, il tennero amico d'Iddio, anzi un Dio, et in quella parte dove s'aperse la terra edificarono ad honore del nome un Tempio, & gli Altari, & gli instituirono sacrifici. Dice Plinio, che da costui fu ritrovato, il che non sò se io mi debba credere, perche mi ricordo haver letto appresso i Caldei ciò essere stato inventione di Nembrotto, che fu molto prima.

 

Almeone figliuolo d'Anfiarao.

Fu Almeone figliuolo d'Anfiarao, & Euriphile. A costui Anfiarao, sforzato andare alla guerra, manifestò la iniquità della moglie, & gli lasciò la cura di vendicare la futura sua morte; il quale morto il padre, & ricordandosi del suo commandamento, aspettata l'occasione, per mantenere la pietà paterna diventò impio contra la madre, & la amazzò.

 

Anfiloco figliuolo d'Anfiarao.

Homero nell'Odissea dice, che Anfiloco fu figliuolo di Anfiarao, & Erifile, nè di lui altro ho letto.

 

Catillo figliuolo d'Anfiarao, che generò Tiburtino, Catillo, & Corace.

Catillo, secondo Solino nelle Maraviglie, fu figliuolo di Anfiarao; del quale in tal modo scrive; Catillo figliuolo d'Anfiarao, dopo la prodigiosa morte del padre appresso Thebe, per commandamento di Odelavo con tutta la famiglia mandato a Versacro, in Italia generò tre figliuoli, Tiburtino, Catillo, & Corace, i quali (scacciati dall'antico Castello di Sicilia i vecchi Sicani) dal nome del fratello Tiburtio maggior d'anni diedero nome alla Città. Questo scrive Solino.

 

Tiburtino overo Tiburtio, figliuolo di Catillo.

Questo Tiburtio secondo Solino fu figliuolo di Catillo, & dal suo nome, per essere il maggiore, dai fratelli fu chiamata la Città di Tivoli. Ma Plinio nell'historia naturale dice i Tiburtini molto prima di Roma haver havuto principio, & appresso loro essere tre Quercie vicino alle quali l'inaugurato si dice. Dicono quello, cioè Tiburtino, essere stato figliuolo d'Anfiarao, che morì a Thebe una età prima della guerra Iliaca.

 

Catillo figliuolo di Catillo.

Catillo secondo fu figlio del primo Catillo, che generato da Anfiarao, si come afferma Solino; il quale, secondo il testimonio di Catone, fu Arcade, & generale dell'armata d'Evandro, & edificator di Tivoli.

 

Corace figliuolo del primo Catillo.

Corace secondo Solino fu figliuolo di Catillo primo, & insieme con i fratelli pigliò la Città di Siciliani non lontano da Roma, la quale, si come è stato detto di sopra fu dal nome di Tiburtino detta Tivoli.

 

Salmoneo figliuolo d'Eolo, che generò Tiro.

Salmoneo secondo Lattantio fu figlio d'Eolo, & regnò appresso Elide. Fu huomo insolente, & insopportabile, il quale non si contentando dello splendor regio, si sforzò farsi Iddio dai suoi. Onde fatto fabricare un ponte di bronzo tanto in alto, che passava per sopra Elide, con la carretta vi correva per sopra; il che si per lo suo strepito come per lo suono del bronzo faceva si gran rumore, che pareva un tuono, per la qual cosa i sudditi, che all'improviso sentivano questo si smarrivano forte. Oltre ciò, stando cosi in alto lanciava facelle in simiglianza di folgori, & se per caso colui, che era tocco da quelle non moriva, v'erano i suoi seguaci, che lo amazzavano; & cosi in questa iniquità voleva essere istimato Giove, che fulminasse. Ma Iddio non sopportando lungamente la di costui pazzia, con un folgore da dovero il cacciò all'Inferno, come dice Virgilio;

 


Vidi Salmoneo le crudeli, & giuste

Pene pagar, mentr'ancor cerca farsi


Nel folgore, & nel tuon simile a Giove.

 

Tiro figliuola di Salmoneo.

Tiro, come piace ad Homero nell'Odissea, fu figlia di Salmoneo Re d'Elide; con la quale Nettuno appresso il fiume Enifeo transformatosi in una spetie di quelle acque si giacque, & n'hebbe due figliuoli, cioè Neleo, & Pelia, si come è stato detto di sopra. Poscia ella si maritò in Critheo figliuolo d'Eolo, & partorì Esone, Pherita, & Amittaone.

 

Ificlo figliuolo d'Eolo, che generò Podacre.

Ificlo, secondo Lattantio, fu figliuolo di Eolo, & essendo potente tolse i buoi a Tiro, figliuola di Salmoneo, & madre di Neleo, che a Neleo si appartenevano; & quelle ritenne fino attanto, che per opra di Biante, overo di Melampo suo fratello augure, gli restituì al genero di Neleo. Percioche questo Ificlo è quello che, non potendo generare, per commandamento di Biante overo di Melampo havve il veneno del serpente; il che fatto, subito generò Podacre. Dice Leontio questo veleno essere un'herba della quale se il serpe ne gusta subito muore, & è appropriata alla sterilità.

 

Podacre figlio di Ificleo.

Podacre si come afferma Lattantio fu figlio d'Ificleo, del quale auttore alcuno non fa ch'io m'habbia letto, altro ricordo.

 

Sisifo figliuolo d'Eolo, che generò Glauco, & Creonte.

Sisifo fu figliuolo d'Eolo, si come a bastanza si vede in Ovidio, dove dice;

 


Ritorna, dove d'Eolo il figliuolo

Sisifo un grave sasso ogn'hor tormenta.


Et Oratio nell'Ode dice Sisifo d'Eolo figlio. Dove egli è da avertire, che furono due Sisifi, & cosi di necessità vi fa piu d'un'Eolo, benche Lattantio dice, che furono solamente due. Ma prima veggiamo dei Sisifi. Il primo Sisifo fu al tempo di Danao Re d'Argivi, ò almeno di Linceo figliuolo d'Egisto, che a Danao successe, perche l'uno, & l'altro testimonia Eusebio nel libro dei Tempi. Dice ch'egli al tempo di Danao Re d'Argivi edificò la Città Efira, la quale Corintho figliuolo di Horeste chiamò poi dal nome suo Corinto, che fu negli anni del mondo millesettecento, & ventinove. Nè molto poi, secondo altri allega, che l'istesso Sisifo edificò Efira nell'anno quintodecimo del Regno di Linceo, che fu negli anni del mondo millesettecentonovantaquattro. E questo fu detto Re de Corinthi, cioè d'Efira. Il che non si conface, percioche quelli, che furono detti Re dei Corinthi molti da poi incominciarono, cioè negli anni del mondo quattromila, & cento, nel tempo, che a' Latini signoreggiava Enea Silvio, & agli Atheniesi Melentone padre di Codro; il loro primo Re Aletio. Onde costui fu figlio di quell'Eolo del quale fu anco Critheo, Salmoneo, & Ificleo, & gli altri del suo tempo; & di lui fu moglie Merope figliuola d'Atlante, la quale li partorì Glauco, & Creonte, della quale dice Ovidio;

 


Et Merope la settima figliuola

Sisifo a te mortal fu data moglie.


 

Vi fu anco l'altro Sisifo, & medesimamente figliuolo d'Eolo; & di questo l'auttorità di sopra testimoniano piu tosto, che di quello, che si è detto. Et questi fu regnando Egeo in Athene, percioche, come dice Lattantio, havendo Sisifo con crudeli rubamenti occupato un monte posto tra il mare Ionio, & Egeo, che si chiama Isthmos, si pasceva con tal pena de mortali, che aggravando gli huomini col peso d'un grandissimo sasso gli faceva morire. Ma Servio dice che, havendo egli preso i viandanti, s'assettava sopra un scoglio, & gli chiamava, che li lavassero i piedi; cosi mentre stavano intenti a tale essercito, con un calcio gli precipitava in mare. Vuole Homero, che costui dimorasse nella Città d'Epira d'Argivi, che poscia fu detta Corintho. Altri dicano poi ch'egli fu segretario de i Dei, & perche manifestò i loro segreti, fu nell'Inferno condennato a tal pena, che sempre rivolgesse un sasso di grandissimo peso, si come narra Ovidio;

 


O sempre trahi, ò sempre spinge inanzi

Sisifo il sasso, che minaccia danno.


 

Costui, si come habbiamo scritto di sopra, fu amazzato da Theseo; il quale, se fu figlio d'Eolo, non puotè essere di quel Eolo, di cui fu l'altro Sisifo, che fu molto piu antico, nè puotè essere d'Eolo, che regnò in Lipari, essendo questi gia morto prima, che quello nascesse; & cosi pare, che ci siano stati tre Eoli, i quali senza differenza alcuna i Poeti gli chiamano Dei de' venti, ò tutti ò un solo. Di questo Sisifo, sono di quelli, che credano Ulisse essere stato figliuolo, si come è stato detto dove di lui si ha scritto. Il sasso poi carreggiato di sopra, & poi lasciato venir a basso, dice Macrobio sopra il Sogno di Scipione doversi intendere il mantenere, & difender la vita con efficaci, & faticosi sforzi; il che è proprio de Ladroni.

 

Glauco figliuolo di Sisifo, che generò Bellorofonte.

Glauco, come nella Iliade dice Homero, fu figliuolo di Sisifo Re d'Efira; percioche in persona di Glauco, nepote di questo, combattendo sotto Troia contra Diomede, descrive tutta la geneologia di questo Glauco, si come segue.

 

Bellorofonte figliuolo di Glauco, che generò Laodomia, Isandro, & Hippoloco.

Bellorofonte, si come si legge nella preditta oratione di Glauco, fu figliuolo del predetto Glauco. Fu questo Bellorofonte bellissimo giovane di persona, & di virtù molto notabile. Dice Homero, che costui fu Re di Efira, & essendo da Prito Re d'Argivi privo del Reame, per commandamento di lui si ritirò alla sua Corte. Di che avenne, che Anthia sua moglie, overo (secondo Lattantio) Stennobe, innamorata della di lui bellezza il ricercò ne' suoi abbracciamenti; onde egli negandole ciò, fu accusato da lei al marito Prito di haverla voluta sforzare. Il quale di ciò sdegnato, & non volendo insanguinarsi le mani di lui, il mandò con alcune lettere ad Artebate suo socero, nelle quali si conteneva, che il facesse morire. Bellorofonte adunque giunto in Licia da Artebate fu mandato, affine, che morisse, ad amazzar la Chimera; percioche la Chimera era un mostro della sorte, che è stato detto di sopra. Ma Bellorofonte havuto il cavallo Pegaso se ne volò a lei, & la ammazzò. Indi havendo Artebate guerra contra i Solimissi, & confidandosi molto nel valore di Bellorofonte, il mandò contra quelli; il quale medesimamente gli vinse, & pose in rotta. Poscia gli commandò, che pigliasse l'armi contra le Amazone, che si erano mosse contra lui, onde . Bellorofonte le vinse, & le constrinse ritornare ne suoi confini. Il che veggendo il Re, di lui si mosse a compassione, & (secondo Lattantio) gli diede per moglie Alchimene, sua figliuola, & sorella di Anthia, con una parte del reame; della cui hebbe Isandro, Hippoloco, & Laodamia. Ma Stenobe, poi, che seppe egli essere stato dal padre honorato, si ammazzò, & come piace a Servio, per tal peccato le figliuole di Prito divennero pazze. La verità di quello, che qui è finto, giudica Fulgentio tale. Dice Bellorofonte essere detto quasi Bulefertinta , il che noi Latinamente diciamo consultore di sapienza, il quale sprezza la libidine, cioè Anthia, attentoche Anthion in greco latinamente si dice contrario; la quale Anthia è moglie di Prito, perche Pritos si dice Sordido, onde la libidine di chi altri è moglie eccetto, che d'un Sordido, & il buon consiglio, cioè Bellorofonte, sopra, qual cavallo si assetta se non sopra il Pegaso? il che è quasi Pegasion, cioè fonte eterno. Percioche la sapienza del buon consiglio è l'eterno fonte; perciò si fa alato, attentoche ricerca tutta l'universa natura del Mondo con la veloce Theorica dei pensieri. Oltre ciò, Bellorofonte ammazzò la Chimera, la quale è detta quasi Chimeron , cioè Fluttuatione d'amore, che da Fulgentio si depinge con tre capi, perche gli amori sono tre gli atti, cioè incominciare, oprare, & finire. Percioche l'amore, mentre nuovamente viene, come Leone fieramente ci assale, il che si intende per lo primo capo della Chimera; la testa di Capra poi si finge nel mezzo, che è la perfettione della libidine, percioche la Capra è animale pronto alla Libidine. Vi è poi il capo di dragone, Il che si intende, che doppo la perfettione ci resta la ferita della penitenza, & il veleno del peccato. Ma dica quello si vuole Fulgentio, questa è la historia. La Chimera essere un Monte di Licia, che dalla cima vomita fiamme. Indi poco piu al basso nodrisce Leoni. Poscia alle radici di quello v'abondano molti Serpi; le quali cose rendendo quel loco inhabitato, & nocivo ai circonvicini, da Bellorofonte, come è stato detto altrove, fu fatto habitabile, & di tai cose purgato. Oltre ciò, pare a Plinio nel libro dell'historia naturale, che di costui fosse inventione il porre sotto il carro i cavalli.

 

Laodamia figliuola di Bellorofonte, & madre di Sarpedone.

Bellorofonte, & Achimene generorono Laodamia. Costei essendo bellissima piacque a Giove, il quale (secondo Homero) giacque seco, & la ingravidò di Sarpedone, che fu poi Re di Licia.

 

Isandro figliuolo di Bellorofonte.

Isandro, si come Homero scrive nella Iliade, fu figliuolo di Bellorofonte, & Achimene; onde essendo grandissima guerra tra i Licij e i Solimissi, combattendo in favore de i Licij dai Solimissi fu morto.

 

Hippoloco figliuolo di Bellorofonte, che generò Glauco.

Hippoloco, come di sopra dice Homero, fu figliuolo di Bellorofonte, del quale non si legge altro eccetto, che generò Glauco.

 

Glauco figliuolo d'Hippoloco.

Glauco fu figliuolo d'Hippoloco, si come egli istesso nella Iliade narra a Diomede. Percioche essendo egli venuto in aiuto di Troiani, & un giorno combattendo contra Diomede, venne seco in parlamento, & tra l'altre cose a quello narrò la sua Geneologia; per lo che Diomede, fatto ricordevole dell'antica amicitia de' suoi precessori, patteggiò seco di piu non combattere l'uno contra l'altro; onde dati, & ricevuti alcuni doni, si partirono. Questi poi nella guerra fu alla fine morto.

 

Creonte figliuolo di Sisifo, che generò Creusa.

Creonte fu Re de' Corinthi, & figliuolo di Sisifo, si come nella Tragedia di Medea per le istesse parole di lei Seneca dimostra, dicendo;

 


Unqua non venga ai miseri si fiero

Giorno, che giunga si famosa prole

A vergognosa prole, nè i nepoti

Di Febo con di Sisifo i nepoti.


 

Credo, che qui si intenda questo Creonte essere stato figliuolo di Sisifo ladrone, & perciò Medea viene a rifiutare i nepoti di Sisifo come usciti di vergognoso ceppo, che non siano consanguinei a' suoi figliuoli.

 

Creusa figliuola di Creonte.

Creusa, si come s'è visto di sopra, fu figlia di Creonte Re dei Corinthi, & promessa per moglie a Giasone. Laonde per ciò sdegnata Medea, con suoi incanti in un scrigno rinchiuse un inestinguibil foco, & quello fermato il mandò per li propri figliuolini piccioli, si come una cosa piacevole da giuocare, ad essa Creusa; la quale aprendo quella picciola cassellina per vedere quello, che vi fosse entro, subito quel foco mandò fuori la fiamma, & abbruggiò tutto il palazzo di Creonte, & essa Creusa insieme. Ma i figliuoli di Medea di ciò avisati si partirono prima.

 

Cefalo figliuolo d'Eolo, che generò Hespero.

Cefalo fu figliuolo d'Eolo, si come chiaramente si vede in Ovidio. Di costui fu moglie Procri figliuola del Re Eritteo; nondimeno dice Servio che nacque di Hifilo. Costui fu amato dall'Aurora, la quale (secondo Servio) gli donò un cane chiamato Lelapa, & due dardi, che mai non erano lanciati indarno, percioche si dilettava di caccie. Onde richiedendoli poi l'Aurora i suoi abbracciamenti, egli le rispose, che s'havea dato fede con la moglie di serbare castità; a cui soggiunse l'Aurora, pregoti, che faccia prova della castità di Procri sotto forma altrui. Di che essendosi cangiato in mercante, se n'andò a lei con molte gioie, & doni, di maniera, che la condusse ne' suoi voleri; onde subito tutto turbato si palesò a lei chi egli si fosse. Ma Ovidio dice, che l'Aurora usando degli abbracciamenti di Cefalo, & egli curandosene poco, & amando solamente Procri, dall'Aurora tutta piena di sdegno gli fu detto;

 


Ingrato ferma tutti i tuoi lamenti,

Et habbi pur, li disse, la tua Procri,

Che, se la mente mia prevede il vero,

Ancor ti pentirai d'haverla havuta.


 

Il che inteso, subito Cefalo incominciò sospettare della pudicitia della moglie, & deliberato farne esperienza, sotto habito di mercante venne alla propria casa; dove non veggendo cosa alcuna men, che honesta, quasi volse lasciare stare di tentare piu altro; nondimeno, durando tuttavia in quella fantasia, tanto fece, che pattuì con la moglie per prezzo di molti doni una notte seco; il che concluso, subito si dimostrò chi egli era. Onde Procri, mossa dalla vergogna del fallo, subito se ne fuggì nelle selve, & si fece ninfa di Diana, incominciando attendere alle caccie; dalla quale hebbe in dono un cane, & un dardo. Finalmente con preghi havendo Cefalo acquetata la moglie, da lei hebbe in dono il dardo, & il cane. Di che continuando tuttavia egli nelle caccie, & bene spesso essendo lasso, & affannato, nel maggior calore del Sole si ritirava all'ombre de gli arbori, et per suo refrigerio cantando chiamava l'Aura. Per la qual cosa un certo villanello sentendolo, & istimando, che ei chiamasse la ninfa, riferì il tutto a Procri, la quale mossa da Gelosia, per vedere, che fosse costei, che chiamata andasse a lui, si nascose tra gli arboscelli di quella valle. Laonde secondo il solito sentendo Cefalo, che con piacevole voce invitava l'aura, pian piano alquanto si mosse per vedere quello, che non havrebbe voluto; Cefalo, sentendo il movere dei virgulti, istimando quella essere una fiera lanciò il dardo, che mai non feriva invano, & inavertentemente impiagò la moglie; la quale nelle sue braccia raccolta, pregandolo, che in luogo di lei non volesse mai pigliar l'aura per sposa, se ne morì. Ma Anselmo pare, che creda questa Aura essere stata femina, & scrive Cefalo di lei haver havuto un figliuolo chiamato Hespero; il che anco Theodontio istima. Et cosi verrà ad essere historia, & non fittione quello, che si narra.

 

Hespero figliuolo di Cefalo.

Hespero, differente al detto di sopra, fu figliuolo di Cefalo, & dell'Aura, overo Aurora, si come scrive Anselmo nel libro dell'Imagine del Mondo. Del quale, eccetto il nome, non si legge altro.

 

Athamante figliuolo d'Eolo, generò Friso, Helle, Laerco; & Melicerte.

Come a pieno si legge in Ovidio, figliuolo d'Eolo fu Athamante Re; del quale Servio recita questa historia. Dice, che Athamante hebbe per moglie Neifile, della cui hebbe Friso, & Helle; ma stimulata dal furore del padre Libero essendosi andata nelle selve, Athamante tolse Ino, figliuola di Cadmo, per matrigna ai figliuoli. La quale, si come è costume delle matrigne, contra i figliastri s'imaginò una rovina, onde oprò con le Donne, che tutti i fromenti, che erano per seminarsi, si guastassero; di che nacque una terribil fame. Finalmente Athamante havendo sopra ciò mandato per consiglio ad Apollo, Ino con inganni corruppe colui, che v'era stato mandato, & fece ch'ei riferì al Re l'Oracolo haverli risposto, che la fame non poteva cessare se non s'immolavano i figliuoli di Neifile, i quali già da lei erano stati accusati, che havessero affogati i fromenti. Per la qual cosa Athamante, temendo l'invidia della plebe, publicamente diede nel volere della matrigna i figliuoli, & in segreto a quelli concesse un salutifero rimedio, & oprò, che Friso menasse via il Monton d'oro; il quale avisato da Giunone, insieme con la sorella Helle montò sopra quello, & partendosi schifò la morte. Indi v'aggiunge, che Giunone dall'Inferno eccitò le Furie contra Athamante; le quali venendo nella stanza dove era a caso Athamante gli gittarono al collo due de' suoi serpi, per quali montò in tanta furia che, veggendo verso di sé venire Ino con due figlioli, credendo ch'ella fosse una Leonza, & i figliuoli Leonzini, mandato fuori un gran grido si mosse contra quelli, & togliendo con furia di braccio ad Ino Learco, con tutte le forze il percosse ad un duro sasso. Il che veggendo Ino, & tutta smarrita fuggendo con Melicerte in braccio, con precipitio si gittò ad una rupe in mare, la quale si chiama Leucothea. Quello, che poi avenisse di Athamante, non se ne trova memoria. Giunone, Dea de i Regni, & delle ricchezze, spesse volte è finta da i Poeti essere stata contraria a Thebani rispetto della frequente mutatione de Re appresso loro fatta; dalla cui veramente consequiscono molti mali a popoli. Ma quello, che s'appartiene ad Athamante, dice Barlaam, che l'odio di Ino contra i figliastri fu tale, che per opra d'un certo Ariete, che nudriva Friso, esso Friso insieme con la sorella Helle se ne fuggì con tutto il tesoro, & le cose di piu valore, con consentimento però d'Athamante. Di che havendo Ino molto a male, non solamente oltraggiava con parole Athamante che havesse spogliato il reame di tesoro, & di ornamenti reali, ma anco havea infiammato tutti i baroni del regno contra lui, come rovinatore dello Stato. La onde Athamante, sdegnato contra Ino, un giorno prese come furioso i figliuoli da lei partoriti, & ne fece quello, che si è detto.

 

Friso, & Helle figliuoli d'Athamante; il qual Friso generò Cithoro.

Friso, & Helle furono figliuoli del Re Athamante, & di Neifile; contra quali (secondo Lattantio) mentre la madrigna Ino s'imaginava come farli morire, a loro, che incerti andavano per l'Isola, dalla madre fu apparecchiato un Montone dal vello d'oro. Ma Servio ha detto di sopra dal padre; onde, secondo il comandamento di lei amendue montati sopra quello, se n'andarono in Colcho per salvarsi. Di che portandoli per mare il Montone, avenne, che Helle smarrita cadè nel mare, & subito dalla vorraggine dell'acque fu inghiottita. Onde nacque, che impose cognome eterno a quel mare. Percioche da lei sommersa da indi in poi quella particella di mare dove ella morì fu detta Hellesponto. Friso poi giunse salvo ad Oeta Re de' Colchi, & essendo da lui amichevolmente ricevuto, appresso l'imperio della madre consacrò il Montone alli dei; ma altri vogliono, che fosse sacrato a Marte solo. Et si come scrive Pomponio Mela, appresso le foci del fiume Fasi da Themistagora Milesio fu edificato un Castello, & nomato Fasi; appresso il quale fu un Tempio di Friso, & un nobile bosco per lo vello del Monton d'oro. Finalmente Oeta diede una figliuola per moglie a Friso, la quale tengo, che fosse Calciope. Ma intendendo dall'oracolo ch'egli si dovesse guardare dalla prole d'Eolo, & sapendo, che Friso era nepote d'Eolo, come che gli havesse dato una figliuola per moglie, & di lei havesse havuto figliuoli, piu tosto temendo di sé, che havendo riguardo al genero, per schifare il pericolo a lui annunciato ammazzò l'incauto Friso. Il che qui ci pare favoloso; & benche di sopra si habbia esposto secondo l'openione di Barlaam, piacemi notare il senso degli altri. Sono adunque di quelli, che dicano per lo scampo di Friso, & di Helle essere stata apparecchiata una nave, la cui insegna era un Montone d'oro. Ma Eusebio dice, che Palefatto afferma l'Ariete essere stato chiamato il bailo, per lo quale furono liberati dagli aguati della madrigna. Ma, che fu adunque quello, che da Friso fu consacrato alli dei overo a Marte, se il Montone fu la nave, overo Ariete il bailo? di che tengo per vero, ò simile al vero, quello, che dice Barlaam; &, che dalla madre a lui fosse apparecchiato il Montone si può intendere in tal modo. Habbiamo detto di sopra ch'ella non morì, ma se n'andò nelle selve; onde come consapevole d'un qualche tesoro nascosto puotè rivelarlo al figliuolo, & cosi apparecchiarli un Montone d'oro. Il Montone poi fu consacrato a Marte, affine, che comprendiamo i Re consecrare i thesori, & serbar quelli per potersene servire nelle guerre secondo i bisogni. Oltre ciò scrive Eusebio, che ciò, secondo alcuni, fu al tempo, che Erittheo regnava in Athene, & Abante in Argo; il che fu negli anni del mondo tremilaottocento, & venti. Secondo altri poi regnando Prito in Argo; che fu negli anni tremilaottocentoquarantatre.

Citoro fu figliuolo di Friso, si come nella Cosmografia testimonia Pomponio. Dice tra l'altre cose appresso il fiume Partenio esservi la città dei Cithosi, edificata da Cithoro figliuolo di Friso. Questi con gli altri figliuoli di Friso (come dice Lattantio), morto Friso entrò in mare per fuggire dall'avo Athamante, ma travagliato da fortuna di mare fu raccolto da Esone padre di Giasone. Ma i nomi de i fratelli non si sanno.

 

Learco, & Melicerte, figliuoli d'Athamante.

Learco, & Melicerte furono figliuoli d'Athamante, & Ino figliuola di Cadmo, si come è stato detto di sopra. Questi, nondimeno, morirono piccioli, percioche Learco dal padre fu percosso in un sasso, & Melicerte insieme con la madre Ino, che si gittò in mare si annegò. Nondimeno, dicono, che Venere havendo di loro compassione pregò Nettuno, che li facesse del numero de' suoi Dei del mare; Il che fu fatto, & però Ino fu chiamata Leucothoe da quella rupe dove ella si gittò, che in latino si direbbe Amatuta, & Melicerte fu detto Palemone, che in latino suona Portuno, & con Tempi, Altari, & sacrifici lungo tempo furono adorati. Ma Servio dice, che Melicerte con un navilio andò in Ithismo, & fu raccolto dal Re Ethiope, onde i sacrifici Ithismi, che si facevano in honore di Nettuno furono fatti Melicerti. Et di qui nacque, che da Nettunno furono fatti Dei. Theodontio vi aggiunge la cagione, dicendo, ch'essendo Ino bellissima giovane, et Melicerte vago fanciullo, fuggendo col navilio pervennero da Sisifo, il quale da alcuni fu anco chiamato Ethiope; onde essendo libidinoso usò de' suoi abbracciamenti, & per premio gli fece Dei del mare; & in tal modo pare, che Venere per loro intercedesse. Indi, altrove dice, che Ethiope ricevette quelli fuggitivi, & gli fece sovrastanti al suo porto, dandoli tutte l'entrate, che di quello si trahevano; & di qui i loro nomi furono cangiati.

 

La ragione per la quale l'Auttore non metti tra i figliuoli di Giove Alessandro Macedonico, & Scipione Africano.

Havrei potuto, se mi fosse piacciuto, a cosi ampia progenie del terzo Giove aggiungere due illustri huomini, Alessandro Macedonico domatore dell'Asia, & Publio Cornelio Scipione, alquale fu conceduto ricuperare le Hispagne occupate dagli Africani, & fare soggetti essi Africani a Romani. Ma perche fino alla loro età pare, che fosse andato fuori di usanza quella antica pazzia per la quale i famosi si gloriavano essere ascritti con fittione alla prole de i Dei, & erano venuti quei secoli ne' quali lo splendore si cercava per la virtù, piu tosto havrebbe paruto cosa ridicola, che degna di lume havergli inalzati con questa fittione; ho giudicato lasciarli adietro. Oltre ciò, quello, che con ambitione, & fraude si cerca, o con silentio si rifiuta, non assai giustamente si concede. Prima Alessandro sopportò favoleggiarsi, che Giove in forma di Serpente si congiungesse con la madre Olimpiade, & ch'ei fosse nato di tale congiungimento. Indi, non anco contento di molti titoli, che la fortuna favoreggiando al suo ardire haveva aggiunto al suo splendore, & di quello, che a bastanza per favola del volgo si era ritrovato, con fraude si cercò attribuire Giove per padre, subornando a ciò i sacerdoti d'Amone Libico. O insipido desiderio di famoso giovine; piu tosto volere essere generato di adulterio, che di matrimonio; piu tosto voler haver la madre impudica, che pudica; piu tosto voler essere tenuto figliuolo d'un dracone, che del clarissimo Re Filippo; & piu tosto bastardo, che legitimo. O delle menti mortali non solamente vana, ma vergognosa gloria. Colui, che continuamente negli occhi degli amici sopportava cose mortali per li rumori delle bugie, vanamente disiava dagli istessi essere riputato immortale. Ma che, alla fine? Per questa cagione meritamente è ributato; nè della frode s'allegri colui, che per la virtù si poteva lodare. Ma Scipione, se bene per mormoratione del volgo veniva detto essere stato generato da Giove, che in forma di Serpente se n'era andato nel letto della madre, onde per questo, & perche la notte quando entrava nel Campidoglio mai non li abbaiavano i cani, che l'incontravano, & perche anco per virtù dei meriti suoi pareva, che si accrescesse fede alla favola, come, che ciò non negasse, nondimeno essendo sapientissimo mai non volle confermarlo. Laonde parendo, che tacitamente ei rinuntiasse questo honore come frivolo, non si appartiene a me attribuirglilo apertamente. Et cosi non havendo piu ritrovato altri figliuoli di Giove, overo discendenti, & a sé la progenie fatto fine, anch'io medesimamente finirò il libro.

 

Il fine del Terzodecimo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO.

LIBRO QUARTODECIMO.

 

All’Illustre suo Sig Conte Collaltino di Collalto.

 

Con la scorta della divina luce, benche con passo tremante, habbiamo caminato per le oscure stanze dell'Inferno, & per li lontanissimi luoghi dal Cielo delle anime nocenti, & habbiamo ricercato i rozzi liti del grandissimo, & ampio mare, ma con gagliardo navigare circondato tutte le isole sottoposte a vario calore di Sole; & appresso, di maniera con un certo acuto riguardare habbiamo solcato i suoi profondissimi gorghi, che habbiamo veduto le cerulee habitationi di Nettuno, & del vecchio Protheo, i Chori, & le stanze delle ninfe, gli animali del medesimo mare, le schiere dei pesci, & l'origine, & capi dei fiumi. Oltre ciò habbiamo passato famosissime Città, ombrosi boschi, intricate selve, alti monti, travagliate valli, antri nascosti nelle rupi, mari lunghissimi da trapassare, & apparenze per lo nome loro spaventevoli. Indi, tolte quasi le piume di Dedalo, con un certo ardito volo della consideratione portati fino in Cielo habbiamo riguardato l'aureo trono di Giove, l'aurea casa del Sole, i luoghi spatiosi delli Dei, i gran tempi ornati d'oro, & di gemme, il Consistoro delli Dei per la maravigliosa luce splendido, & venerabile, i perpetui lumi delle stelle, & i loro flessi, & reflessi, & i suoi moti composti con maraviglioso ordine. Cosi, Clementissimo Re, secondo la promessa, al meglio, che s'è potuto, habbiamo raccolto tutti i fragmenti dell'antico naufragio, & lo habbiamo, vista le forze del nostro ingegno, ridotto in un corpo, quale egli si sia; di maniera che, tolto il principio da Demogorgone, il quale gli erranti antichi dissero primo di tutti i Dei, per successioni di quello ordinatamente fino all'ultimo figliuolo di Giove terzo Eolo, & di esso Eolo Athamante, & di Athamante Learco, & Melicerte figliuoli, con ogni diligenza l'habbiamo ridotto, affine, che s'adempi il tuo desio. Appresso, accioche non paresse che si havesse lasciato alcuna cosa di tua voglia, a tutte le fittioni habbiamo aggiunto quelli passi, che habbiamo trovato dagli antichi, overo ch'io ho per mia openione approvato, si come tu stesso (concedendo Iddio) sei per vedere. Le quali cose in tal modo adempite, il desiderio del riposo mi persuadeva che, come quasi fossemo giunti in uno luogo overo porto da principio ricercato, smontassi di navilio nel lito, & drittamente rendute gratie a Iddio, vero conceditore dei doni, mettessi le ghirlande di Lauro alla vittoriosa barchetta delle fatiche, & andar poi al desiato ocio: nondimeno Iddio m'infuse di sopra nella mente un piu lodevole consiglio. Siamo veramente con l'auttorità de' Prudenti avisati, che per coniettura preveggiamo quello, che del passato sia per avenire. Certamente sono stati soliti bene, & spesso, se non sono stati prima acconci, & fortificati, molti navili, & anco grandissimi combattuti dall'onde contrarie del mare, benche vicini al porto, rompersi, pericolare, & in tutto andare in ruina. Che adunque è da pensare, che sia per avenire ad una navicella, se slegata, & senza governo viene lasciata nel mezzo del mare? Non hora adunque ci resta picciola fatica. In vero la prora è da legare, & la nave da sondare con ferme ancore, & anco da cuoprire con quelle difese, che possiamo, accioche dagl'infiammati folgori dell'aere si strepitoso non sia abbrusciata, overo fraccassata dalle pioggie mischiate con tempeste, overo dal furibondo Aquilone, dal turbato Austro, dal furioso Euro Libico, & dagli altri senza ordine nessuno soffianti venti percossa in un scoglio ò nel lito, overo sia inghiottita dall'onde piene di fortune, & vada a male. La quale con grandissimo sudore per gli Euripi, & risonanti sassi, per le fortune del mare, & mille pericoli, salva fino alla fine del viaggio habbiamo guidata. Il che crederò haver fornito allhora, quando con vere ragioni haverò confutato quelle cose, che già sono state opposte, & ponno opporsi contra la poesia, & i Poemi dagli nimici del Poetico nome. Ho conosciuto veramente, & mi ricordo quante, & quali cose quelli ignoranti dissero, già non havendo chi li rispondesse in contrario. Et di qui, mentre leggeranno quest'opra, assai comprendo quello, che mossi da invidia siano per dire contra i Poeti, & contra di me. Adunque a questa ultima fatica, che si partirà in due altri volumi, mi presti aiuto colui, che di tutte le cose è Alfa, & Omega , principio, & fine.

 

Parlamento dell'Autore al Re.

Insieme col favore di Giesù Christo, verrà (perche cosi ho meco proposto, Illustre Re) questa opra, pria che drizzi il passo altrove, nelle mani di tua sublimità, accioche prima si dia al giudicio di colui per lo cui volere è fatta, & secondo il poter suo gli presti riverenza. Onde, poscia, che benignamente havendola ricevuta havrai riguardato il tutto, & col sublime tuo ingegno ricercato tutte le parti sue, ti maraviglierai, che in cosi gran volume la richiesta di tua benignità si sia distesa, come, che per la necessità dei libri in molti luoghi tenga, che non sia a bastanza perfetto, & forse leggendo i nascosti sensi poco dinanzi sotto roza corteccia, hora prodotti in luce, pieno di maraviglia gli guarderai, non altrimenti, che se da un globo di fuoco vedessi uscir fuori fonti d'acque, di che con una certa modesta dilettatione loderai te stesso, che già molto prima ti sei imaginato il vero dei Poeti, cioè quelli semplicemente non essere stati huomini favolosi, come vogliono alcuni invidiosi, ma dottissimi, & dotati d'un certo animo divino, & arteficio; nondimeno, raccolte tutte le cose, non ho molto per certo quale sarà per essere la openione tua di tutta l'opra. Tuttavia meco stesso m'imagino questo, che (oprando la giustitia sola) tu del corpo, & delle membra ne sarai per dare intiera, & salda sentenza; & anco istimo, che per la tua carità reale riprenderai le meno atte, & loderai quelle, che ritroverai degne di lodi. Veramente questo a me sarà assai, & molto, & già di tale speranza mi godo. Poi havendola veduta, & dandola nelle mani delle armi a riguardare, tengo, che non sarà da tutti con giusta billancia pesato. Nè ciò sarà cosa nuova sotto il Sole. Il piacer di sé stesso trahe ciascuno. Oltre ciò l'edace livore, mortal peste de' viventi, di maniera dalla prima età in poi ha occupato i petti degli huomini, che rarissimi giusti giudicij, abbruciando quello, sono conceduti. Laonde con rabbioso latrare si gli leveranno molti contra, & con crudel morso gli leveranno, & straccieranno quelle parti, che ritroveranno con men salda fermezza unite, & fortificate. Contra e' quali, perche già sento le parole, secondo l'usanza antica, & le oppositioni, che mi faranno i cianciatori, affine che, come ho già detto, cosi lunga fatica liggiermente non si risolva, & per li dardi infiammati non vade in cenere, & favilla, con opportune risposte è di necessità ch'io gli vada contra. Nondimeno prego, che anco tu, ottimo Re, per lo quale molto mi sono faticato, meco ponga il tuo generoso petto alle loro calunnie. Il che se farai, gli inimici della nostra fatica come fumo in aria se n'andranno.

 

Alcune cose contra gli ignoranti.

Concorreranno, come si fa allo spettacolo d'una nuova opra, non pur l'inetto volgo, ma anco vi conveneranno gli huomini dotti, & poscia, che da ogni parte havranno riguardato, non dubito, che vi siano degli huomini per bontà degni di riverenza, & di mente intiera, & scienza, i quali seguendo i tuoi vestigi loderanno le cose da commendare, & per una certa vera affettione riprenderanno le men degne: a' quali sarò io tenuto render gratie, & essere obligato, benedirli, & ringratiar la loro giustitia. Ma di gran lunga sarà maggiore la moltitudine della plebe, che in un circolo, fatta una corona, affiserà gli occhi negli ordini manco bene compartiti dell'opra et ogni altra menda, se alcuna ve ne sarà piu ingorda di vedere qualche cosa da mordere, che ritrovar, che lodare. Contra questi mi resta la guerra, & da me sono da pigliar l'armi, & mi è di necessità, che con migliori ragioni gli convinca; ma non contra tutta la schiera insieme, percioche forse la gran turba facilmente m'opprimerebbe; ma con le squadre ordinate, affine che le mani s'assuefacciano al combattere, & pian piano si smarriscano gli inimici, sono prima gagliardamente da pigliar l'armi. Sono questi, per lasciare il resto del volgo, alcuni huomini pazzi, i quali hanno tanta loquacità, & arroganza, che si presumono con gridi dar sentenza contra tutte le cose d'ogni lodatissimo huomo, sprezzandole, & facendone poco conto, & pur, che possano, biasimandole con vergognose parole, onde, poscia, che del loro abbaiar sonoro, come se predicessero qualche suo grandissimo honore, si sono dimostrati Idioti, non altrimenti, che se non si potesse opporre nessuna cosa contra la sua ignoranza, istimando il sommo bene essere il dar opra alle crapule, alle libidine, & al pigro ocio, nelle taverne, & nei lupanari, stando con le tazze piene di spumoso vino, & vomitando le soverchie crapule, si sforzano biasimare le vigilie degli huomini dotti, le fatiche, gli studi, le honeste considerationi, & la modestia con le loro infettate lingue, & con le sue vergognose opre bruttare. Di che averrà che, veduta quest'opra, ridendosi diranno; O insipido huomo, quanta dolcissima quiete, & quanto bonissimo tempo ha egli perduto; quanta frivola fatica ha consumato, quanta carta ha perduto, & in vano versetti ha esposto. Non sarebbe stato meglio ch'ei fosse stato inamorato, c'havesse bevuto, dormito, & conceduto cosi gran tempo ai piaceri, che haver scritto queste ciancie? Soggiungeranno anco, Veramente, quelli, che vogliono essere tenuti prudenti sono una pazza sorte d'huomini, percioche perduto il tempo nelle vigilie, pria, che godino un giorno lieto, biasimando le cose da lodare, incorreno nella morte a tutti eguale. O giusto, & venerabile giudicio uscito dai bacchanali dei ruffiani, dal senato dei gnatonici, dalle taverne dei crapulatori, & ubbriachi, & dalle volte delle meretrici. Ma, che tante cose? I vituperi di questi tali tengo per famose lodi d'huomini illustri, istimando partecipe di vergogna colui, che è lodato da huomini vergognosi. Vadino adunque questi tali ad applaudere a parasiti, ruffiani, meretrici, & altri simili, & lodino quelli, che danno opra alla crapula, & all'otio, lasciando gli huomini saggi, & le loro opere nel suo splendore; non essendo nessuna cosa piu inconvenevole d'un huomo ignorante, alcuna piu noiosa d'un indotto, il quale innanzi il misero, & caduco giorno della sua mortalità fa il suo corpo sepolcro dell'anima infelice. Questi veramente puzzano da cosi fetida infamia, che gli huomini saggi con maggior patientia potrebbono udire piu tosto gli asini raggiare, i porci grugnire, & muggire i buoi. Vadino adunque questi tali, & attendino al ventre, senza non pur riprendere gli altri, ma comparire, se quando sono sobrij punto di loro si vergognano.

 

Contra quelli, che non essendo saggi, desiderano dimostrarsi.

Si riguarderà anco quest'opra un'altra sorte d'huomini forse manco da riprendere della prima, ma di prudenza non maggiore; & questi sono quelli che prima c'habbiano veduto la porta della scola, perche talhora hanno sentito mentovare i nomi dei Filosofi, si tengono essere Filosofi, & se non sel credono, desiderano, che gli altri lo stimino, onde, fingendo una certa gravità di parole, & costumi, havendo alle volte veduto alcuni libricciuoli volgari, benche solamente parlino delle sommità delle cose, affine che siano riputati quello, che disiano, praticano con huomini dottissimi, spesse volte movendo dubbi di cose piu sublimi, come sarebbe a dire, qualmente in tre persone sia una deità sola, overo se Iddio può fare un simile a sé, ò perche non per mille migliaia de' secoli creasse Iddio il mondo che lo facesse, & altre tali. Et mentre odeno le risposte dei prudenti, fatte alcune frivoli risposte in contrario, & udite le repliche, & conclusioni dei dottori, come quasi a bastanza non sia a loro stato sodisfatto, si vedranno alquanto crollare il capo, & con un riso torcer la faccia, riguardando anco gli astanti non altrimenti, che se per riverenza del rispondente lasciassero passar per buone le sue ragioni. Onde, poi, quello, che il loro intelletto ha capito dalla bocca degli huomini dotti, & nella memoria sua serbato, appresso qualche donniciuola overo il volgo ignorante, nei circoli, se gli viene occasione, come se havessero veduto i segreti del Cielo, & da Iddio gli fosse stato rivelato, la sua intentione mandano fuori, & quelle medesime cose narrano, volendo, che perciò si consideri, che non senza grandissima fatica hanno cavato quello di che hanno parlato, col suo ingegno speculativo, dai segreti della divina mente; & affine, che in tutto appresso la plebe siano tenuti per saggi, ampliando i loro parlamenti, non però con quella medesima testura di parole, anzi hor qua hor là per diverse materie trappassando, nè alcuna concludendo, intricano sé stessi, & gli auditori suoi, si come a sofficienza fussero capaci di tutte l'arti liberali; allegando spesse volte autori da loro mai non veduti, come sarebbe Prisciano, Aristotele, Cicerone, Aristarco, Euclide, Tolomeo, & altri, circa le scienze huomini famosissimi, i quali alla fine da loro con una certa stomacosa diceria mostrano essere sprezzati, con affermare, che tratti da una certa dolcezza si sono dati alle cose eccelsi di Theologia. Cosi fanno anco dei costumi degli huomini, de i fatti degli heroi, delle sacre leggi, de gli ordini, & de i Latori delle leggi. Et se alle volte aviene parlare della poesia, ò dei Poeti, con tanta noia quelli, & i loro poemi, come se intieramente havessero veduto, il tutto, & conosciuto essere da sprezzare, vituperano, ne fanno poco conto, & dimostrano da sé cacciare, di maniera, che come quasi non gli possano patire, borbotando, & imprudentemente dicono le Muse, l'Helicona, il fonte Castalio, il bosco di Eebo, & simili cose essere ciancie d'huomini fuori d'intelletto, & favole per li fanciulli in farli apprendere la grammatica. Per le quali scempietà di già so quello che veggendo questo mostro, diranno contra me, contra l'opra mia, & contra i Poeti. Ma tengo essere meglio havere compassione alla loro ignoranza che con ragioni opporsi a quelli. Percioche non intendendo sé stessi, molto meno sono per intendere gli altri. Sono ignoranti, & mancando el lume della verità, dalla sensualità si lasciano condurre; ai quali per carità mia, & non per suo merito voglio dire che, lasciati gli altrui uffici, attendino ai suoi.

Et se sono vessati da questa cupidigia di gloria d'essere istimati dotti, entrino nelle schole, odino i precettori, volgano i libri, vegghino, & imparino, & diligenti visitino le palestre de' disputanti; tenendo a mente che, volendo essere troppo innanzi tempo dotti, non eschino fuori dell'instituto di Pitagora, il quale vietava, che alcuno, che entrasse nelle sue schole non aprisse la bocca di cose Filosofice prima, che non ne havesse udito cinque anni. Il che, poscia, che lodevolmente havranno fatto, & saranno pervenuti al benemerito titolo, se gli piacerà entrino in mezzo, predichino, disputino, riprendino, coreggino, & con forte intelletto si opponino ai suoi riprensori, che se poi faranno altrimenti, il suo sarà dimostramento di pazzia, & non di sapienza.

 

Alcune poche parole contra li Iurisperiti, insieme con alquante lodi della povertà.

Oltre ciò, sono certi huomini togati, con le fibbie di oro, & quasi con reale ornamento notabili, non meno riguardevoli nello andare, che per la gravità dei costumi, & facondia del parlare, accompagnati da gran schiera di Clientuli, & per grande autorità notabili. Questi sono i famosissimi precettori delle leggi, & Presidi dei tribunali, da quali, se dirittamente è amministrata la ragione, i costumi cattivi degli huomini sono raffrenati, l'innocenza s'innalza, & i ciascuno, che dimanda viene conceduto quello, che è suo; & per questi non solamente il verbo della Republica nelle sue forze si conserva, ma con immortale giustitia in meglio s'aumenta. Adunque sono venerabili, & dignissimi di sublime honore. Nondimeno, benche con la sua prudenza purghino le altrui colpe, da una macchia sono quasi tutti bruttati. Si affaticano per disio di oro, nè altro overo alcuno tengono degno di lode se non risplende di oro. Istimo, che questi tali con gli altri verranno per vedere se all'opera nostra con le sue leggi ponno opporre qualche difetto. Nè m'inganna (se seguiranno l'antica usanza) quello, che vi siano per oppore. Sono soliti, lasciati i rostri, & uscendo fuori dei Palazzi, & spetialmente mentre alquanto sciolti da gli affari vengono nell'adunanza degli amici, se aviene nel parlamento fare ricordo dei Poeti, con lodi innalzare quelli, perche furono huomini dottissimi, & eloquentissimi; ma alla fine, doppo molte parole, mandano fuori il nascosto veleno sotto il mele, ma non però mortale. Dicono, che sono stati poco prudenti; perche attendendo alla Poesia hanno speso il tempo senza nulla avanzare; il che eglino cosi non hanno fatto, che hanno atteso ad essercitio, che doppo lunghe fatiche gli ha fatto conseguire delle ricchezze; aggiungendo a questo i Poeti essere stati poverissimi huomini, di alcuno splendore notabili, non riguardevoli per ricchezze, né per honore, nè per seguito, volendo per ciò inferire, che perche non furono ricchi la loro scienza sia da essere tenuta in niun pregio. Le quali parole insieme con una nascosta conclusione leggiermente entrarono ne gli animi degli ascoltanti, essendo tutti noi inchinati all'avaritia, & con pazza credenza istimando il sommo bene consistere in possedere ricchezze. Guidati adunque da questa peste, mi imagino, che se vedranno la nostra opera doppo molte parole diranno, che è bella, ma essere stata vana, & disutile la mia fatica, percioche non tende dove s'inchinano l'altrui fatiche dei mortali, & cosi parrà, che non pur contra di me habbiano dato sentenza, ma per una certa consequenza parranno havere biasimato insieme con l'opera i poeti, et la povertà, si come cosa cattiva. Pia veramente, & all'humanità conforme, & dignissima di gratie pare questa oppositione all'opinione del volgo, purche dal fonte di charità uscisse fuori. Ma perche piglia origine dall'offuscato giudicio dell'appetito inetto, ella è da ridersi, & da rifiutare, & alla loro rugginezza è d'havere compassione. Et perche alla dignità di questi tali è da riportarsi, accioche non istimino essere lasciati doppo le spalle, penso la loro obiettione con piu ampie parole essere da rivolgere nei suoi principij. Confesserò adunque volontariamente quello, che s'è detto, la poesia non apportare nessuna facultà, & i Poeti essere stati poveri, se poveri debbono essere detti quelli che spontaneamente hanno sprezzato le ricchezze. Ma non confesserò già, che siano stati pazzi perche habbiano seguito lo studio di Poesia, attento, che gli terrei prudentissimi, se cattolicamente havessero conosciuto il vero Iddio; onde ripigliando hora il mio parlare, affine, che non paia, che con una mia confessione sì lontana assolutamente io voglia lasciare lo steccato della battaglia a gli oppositori come vittoriosi, metteremo in campo la loro prima oppositione. Dicono adunque, gli splendidi interpreti delle leggi famosi, la poesia non apportare alcuna ricchezza, volendo per ciò, si come a bastanza si può comprendere, escludere quella da essere seguita, si come sia di nuovo momento tra le altre scienze. Veramente, per ritornare a dire quello, che anco hò detto, egli è cosa certa, che la Poesia non apporta ricchezze; nondimeno non confermo, si come questi vogliono, questo avenire per ignobiltà, perche l'ufficio overo intento delle speculative scienze non è tale nè attende a questo, si come fa lo artificio dei mecchanichi, & usurai, la cui intentione è tutta a questo fine; il quale, accioche giunga tosto, non operano alcuna cosa di bando. Cosi anco gli causidici, i quali di qua dai delitti degli huomini, di là dall'ammaestramento delle leggi, si fabbricano le officine dove col martello della lingua, che si vende batteno i dinari, & fanno l'oro con le ciancie delle lagrime dei meschini; il che in tutto la poesia ricordevole della sua generosa origine abhorrisce, & rifiuta; onde se è da biasimare overo di farsene poco conto, seco insieme non sarà di nessuno pregio la Fisica maestra delle cose, & per opra della cui impariamo le cagioni delle cose, che sono. Di alcuno medesimamente la Theologia, per le cui dimostrationi dirittamente conosciamo Iddio; de i quali non ho mai inteso, che lo studio fosse di cercare tesori. Se questi non sanno, la Poesia dà opra a cose maggiori. Percioche habitando ne' Cieli, unita ne i divini consigli, move da alto le menti di pochi huomini nel desiderio dell'eterno nome, & con la sua bellezza le conduce a sublimi pensieri, & condotte le dimostra peregrine inventioni, & dagli egregi ingegni manda fuori stranieri concetti. Et se quando chiamata con benigne preci dalla alta sedia scende in terra accompagnata dalle sacre Muse, non ricerca per habitare gli alti palazzi dei Re, non le superbe case degli ociosi, ma entra, & habita negli antri, nelle cave de i monti, all'opere dei boschi, ne i fonti cristallini, & nelle habitationi degli studiosi, benche poverissime, & per la luce a mancare vicina, vuote; il che forse si dimostrerrà piu a pieno altrove, ricercando ciò la materia. Et cosi essendo celeste, & etterna non ha conversatione alcuna con le cose fragili, caduche, & brevi, fa nulla stima degli splendori manuali, si come vani, volatili, & vili, & quelli rifiutando, & contenta dei suoi beni etterni, non cerca, & non cura di accumulare ricchezze. Doppo questo, alla detta oppositione v'aggiungono i Poeti essere stati poco prudenti, i quali hanno seguito tale habito, che a i seguaci suoi non ha mai prestato ricchezza alcuna, onde, per risponderli, tengo essere opra molto prudente fermarsi sopra la elettione; di che vorrei mi rispondessero, chi meritamente nello eleggere sia da essere tenuto piu prudente, il giudice ò il Poeta? Veramente istimo, che colui piu prudentemente habbia eletto studio, che trahe la mente alle cose celesti, che la abbassi alle terrestri, & che presti un bene piu tosto stabile, & lungo, che frale, & brevissimo. I Poeti elessero la scienza, che tra le stelle, tra le sedie degli Dei, & ornamenti celesti, con la continua consideratione conduce i suoi. Che ciò sia vero, ne rendano testimonio essi poemi de' Poeti con stilo elegante cantati, che guidano al cielo chi li legge. Ma i Causidici, seguendo la facultà delle leggi, si vagliono della sola memoria degli scrittori: rendendo ragioni non per loro ingegno, ma per gli scritti de i leggislatori. Nè è da pensare, si come a bastanza si può vedere, quelli fermarsi d'intorno le cose eccelse ò partite dalla natura, come sarebbe se il Sole per dritta ò torta strada d'India passa in Hispagna, anzi sapranno rispondere se di ragione hereditaria ò piu tosto livellaria overo possessoria Titio overo Sempronio occupa un campicello, & se si debba dire certo debito ò usuratico, & se una femina callida possa partirsi dal freddo marito. Queste certo sono gran cose, famose, & tolte di grembo alla Natura. Oltre ciò la Poesia, la quale s'elessero i poveri Poeti, è stabile, & fissa scientia, fondata con le cose eterne, & fermata con i Principii; la quale in ogni luogo, & in ogni tempo è quella medesima, nè mai conquassata da nessuni moti. Ma le leggi non cosi; con ragioni eguali non viveno gli Ethiopi, & Sarmati, nè quella istessa autorità di leggi è nella militia, che si trova a quelli, che viveno nella pace. Indi spesse fiate sono mutate, & vi s'aggiunge, & leva. Et appresso ciò, gli statuti particolari, & le constitutioni dei Regni nel dar delle sentenze fanno restar quelle mutole. Si invecchiano anco, & alle volte moiono. Percioche alcune già furono in gran pregio, che al nostro tempo sono sprezzate, overo in tutto estinte. Et cosi non sempre sono le istesse, si come si ritrova la Poesia; delle quali, per piu non parlare, assai si vede essere da chiamare facultà delle leggi, & non scienza. Et quanto preceda la scienza alla facultà, i prudenti tanto antichi come moderni se l'hanno conosciuto. Oltre ciò, la Poesia concede un lungo bene agli imitatori, se è da chiamar bene quello, che tutti noi pare desiderare, cioè la vita, almeno per fama se non altrimenti, condurre in lunga età. Percioche, come si vede chiaramente, col nome del compositore sono quasi immortali i versi de i Poeti. Ma del giurista, se bene alquanto egli con le vesti risplende, spessissime fiate more il nome col corpo. Egli è poco essere durato un secolo, se si annoverano i secoli d'Homero. Et per venire al mio desio, non parrà dubbio alcuno a niun saggio i Poeti haver fatto buona elettione, là dove i giurisperiti nello elleggere sono stati meno prudenti; percioche sono divenuti non saggi, mentre si sforzano quello, che è suo vitio rivolgerlo in quelli, che no'l meritano. Poi dicano i Poeti essere stati poverissimi, attento, che eglino da quel fonte, che habbiamo detto di sopra si sono empiuti il ventre, & spetialmente poi, che essi Leggisti sono dottissimi, come se la povertà fosse piu reprehensibile dell'avaritia, & ignoranza. Conciosia, che egli è chiarissimo i Leggisti essersi molto gonfiati d'oro per le lagrime altrui, per le altrui ruine, pericoli, & molte volte miserie; onde si sono vestiti, & coperti di varie pelli, & con le fiubbe dorate compaiono con la schiera adietro dei Clientuli, cosi volendo però la pazzia di mortali. Ma cosi non sono i Poeti, non già per sua ignoranza ma per loro innocentia, conciosia, che non si può negare, che non habbino voluto essere poveri; ma bene sono stati tanto piu per fama, & gloria immortali (cosa, che questi tali non vogliono, che sia); il che con essempi non mi sarà difficile mostrare. Habbiamo per cosa certa Homero essere stato tanto povero che, essendoli mancato il lume degli occhi, non haveva di che pagare un fanciullo, che lo guidasse. Ma fermati un poco, che vedrai se questo fu ricca povertà. Vinto Dario, potentissimo Re de Persi, da Alessandro Macedonico, nelle mani di quello vennero tutte le bagaglie, & altre cose di valore di Dario; tra le quali fu trovato una casselina d'oro di maraviglioso artificio, & d'ornamenti pretiosissimi. Questa, cosi per volontà del Re come per consentimento di tutti i suoi prencipi, fu serbata non per porvi dentro le gioie nè le altre cose simili di valore di lui, ma i volumi d'Homero. Quale mai si splendido honore è stato conceduto ai bene ornati Iuristi. Nessuno altro fu piu povero delli beni di fortuna di Plauto, il quale per la necessità, affine, che honestamente potesse satolare il suo ventre, il giorno s'affaticava per premio a volger con le mani le mole, & le notti vegghiava a comporre le Comedie, il cui numero, & artificio oprò, che la Laurea, spetial insegna de' vincitori, & trionfanti Poeti, non sprezzò cinger le chiome di lui, benche povero, la qual verdezza, & odore in honore del suo nome fino al dì d'hoggi dura, là dove de gli interpreti delle leggi le berrette, non le giovando l'oro, dai topi, & dalle tignuole sono state consumate. Oltre ciò, le sostanze di Ennio da Branditio, famosissimo huomo, & poeta Illustre, furono cosi debili, che nell'Aventino si contentava di stare col servigio d'una sola servente, la cui penuria de' servi gli fu ristorata con l'abondanza degli honori; tra quali, essendo per sé stesso huomo chiarissimo, basterà scriverne un solo. Essendo venuto a morte, vollero i Scipioni, che in vita erano stati suoi amici, il corpo di quello essere sepolto nella loro sepoltura, non spreggiando, che le ceneri d'un huomo Brondusino fossero mescolate con le ceneri di Cornelij. Oltre questo, chi non sa, che Virgilio Marone fu povero figliuolo d'uno, che faceva olle? Egli non hebbe altre sostanze, che un picciolo podere paterno nella villa Ande, che al dì d'hoggi si chiama Pietola, non lontano da Mantova, il quale da lui non senza lite fu posseduto. I cui meriti de suoi studi furono tali, che divenne amicissimo d'Ottaviano Cesare, allhora Imperatore del mondo, dal quale, per serbare l'egregio poema dell'Eneida da lui morendo lasciato per testamento, che fusse abbrugiato, ogni auttorità delle leggi fu calcata co' piedi, & con questi eleganti versi comandò, che fosse serbato, & honorato,

 

Dunque han potuto l'ultime parole, e quello che seguita.

 

Prego hora voi dottori, che mi rispondiate, quale di voi fino hora riccho di gioie, di denari, & vesti, da cosi invitto, & glorioso prencipe ha havuto tanto honore? Seguivano appresso molti altri, per lieta povertà, & per ricevuti honori molto notabili. Ma egli è da por fine agli essempi, havendo si per questi come per ragioni prodotte a bastanza, come penso, dimostrato i Poeti essere stati prudenti, & benche poveri, nondimeno molto honorati, & fino al dì d'hoggi vivere con fama immortale; là dove le richezze, & i nomi dei causidici come fumo nell'aria si sono dispersi. Onde parmi anco, che con l'istesse ragioni si possa comprendere non essere stata cosa fuori di proposito, se questo giova, havere composto i Poemi, nè i miei sudori non essere stati frivoli in comporre. Hora doppo questo parmi uscire piu innanzi, per vedere se io posso frenar l'impeto de gli cianciatori contra la povertà. E adunque la povertà fuggita da molti come insopportabil male (secondo il volgo) una picciola quantità di beni manchevoli; benche io istimarei quella essere infermità d'animo, per la quale anco quelli, che di robba sono abondanti molte volte s'affaticano. Percioche se la prima è manca del disio d'accrescere, è piacevole, & di riposo, che infiniti sono i suoi commodi. La seconda poi è inimica di pace, & di riposo, che infelicemente tormenta le menti dove habita. La prima fu de Poeti; i quali questi chiamano poveri, onde assai gli bastava mentre havessero tanto, che gli sostentasse la vita. Con la guida di questa, volendo la libertà, conseguimo la tranquillità dell'animo, & appresso il lodevole ocio; con i quali mezzo, vivendo in terra, gustiamo le cose celesti. Questa è posta in fermezza, nè teme le minaccie overo punture della fortuna, che riversa le cose mondane. Fulmini l'aere di sopra, crolli la impetuosa rabbia dei venti il Mondo; inondino le continue pioggie i campi, eschino del suo letto i fiumi, sia il mare pieno di armate, nascino tumultuose guerre, & corrino i ladroni per ogni parte; ella ridendosi di queste ruine, & incendij vive allegra in dolce securezza. Questa per oracolo d'Apollo in persona d'Aglao Sofidio, possessore d'un picciolo campicello, fu preposta ai tesori del Re Gige. Di questa essendosi dilettati i Poeti, poterono ornare l'animo di virtù, attendere alle considerationi celesti, tessere i poemi con risonanti versi, & a sé acquistare eterno nome. Di questa essendosi dilettato Diogene, al tempo suo famosissimo Prencipe de i Cinici, puote donare tutte le sue ricchezze, de quali era abondantissimo, a chi ne voleva, & le donò. Piu tosto volle habitare in un dolio, come cosa piu da conversare, che nei Palazzi, & mangiare lattuche agresti per le sue mani lavate, che adulare a Dionisio per usare delle delitie reali. Questa voluntaria abiettione di cose, & chiarezza de studi puote incitare a venirlo a vedere quel superbo giovane, che già teneva con l'animo l'imperio a tutto il mondo, Alessandro Magno, che desiava la sua amicitia, & in vano gli offeriva gran doni. Di questa dilettandosi Xenocrate, contento d'un picciolo horto, puote muoversi l'animo dell'istesso giovane a desiderare la benivolentia sua; la quale ricercò con nobile legatione, & doni reali. Di questa essendosi dilettato Democrito, lasciò spontaneamente alla Republica di Atheniesi i paterni terreni, & le innumerabili ricchezze, giudicando meglio allegrarsi della libertà con la povertà degli studi, che essere travagliato dalla servile cura delle ricchezze. Di questa essendosi dilettato Anaxagora, tratto dalla dolcezza della Filosofia puote sprezzare le gran possessioni, affermando, che havrebbe perduto sé stesso se le havesse voluto coltivare. Per opra di costei Amicla, povero nocchiero, nel lito solo senza paura udì Cesare, che gridava, & picchiava alla porta d'una capanna, la cui voce i Re superbi temevano. Cosi il povero Arunco, ardendo tutta l'Italia per l'incendio della guerra civile, tra i marmorei monti della Luna, riguardando i moti del Cielo, del Sole, & della Luna, stette senza paura. Queste cose non mirano quelli, che stracciano la povertà, & la fuggono. Prego, che mi dicano, se fosse bisognato ad Homero litigare col lavoratore del terreno, overo dal curatore della casa ricercare i conti delle cose domestiche, quando potrebbe haver potuto pensare ai versi della Iliade, & Odissea, & inalzare il nome suo col splendore fino alle stelle, che fino al dì d'hoggi dura? Quando Virgilio? Quando gli altri imitatori della poesia con la povertà? Non adunque i vestiti di porpora la prezzarono perche sia coperta d'un sottil manto. Percioche dirittamente ella è la prima gloria de' studenti. Non so veramente, anzi so quello, che importi il corpo ornato di vesti pregiate, se la mente è infettata per lo lezzo dei vitij; nè, come pensano, la sollecita turba procede sola alla compagnia. Questa sempre è seguita dai Poeti ornati dell'alloro, & spesse volte il nomato Homero, Esiodo, Euripide, Ennio, Terentio, Virgilio, Horatio, & molti altri la hanno ornata con divini versi. Cosi nondimeno con piu chiara pompa, vestiti di palmate tuniche i Camilli, i Quinti Curtij, i Fabritij, i Scipioni, & i Catoni, già piu ricchi d'invidia, & di gloria dei fatti, che di oro, con splendidi Trionfi l'hanno accompagnata, preposta a gli eccelsi Re, & posta sopra l'Imperio del Mondo. Cosi adunque accompagnata, & ornata; sola, & squalida i Giuristi diranno, che ella se ne vada. Oltre ciò, la seconda povertà è la loro, che si sforzano fuggire questa come capital nemica; onde non avertendo, che con quanto maggiore sforzo segueno le ricchezze, cadono con tanto maggiore empito nel grembo della vera povertà. Gli prego dirmi, che altro è la povertà, che nella grande abondanza essere tormentato dal disio di congregare? Dirò io, che Tantalo sia ricco, se circondato dal cibo, & dall'acqua si muore di fame, & sete? Sia ciò lontano, che egli è poverissimo. Ma concediamo ai nostri leggisti la ricchezza di Dario, & veggiamo, che piacere ne possano cavare. Se crediamo alla esperienza, sempre sono crucciati da ardente, & continua sollecitudine quelli, che si chiamano ricchi. Se nell'aere è un nuvoleto, subito sospettano la pioggia, & ansiosi temeno, che i seminati non si guastino. Se il vento si leva, che non cavi gli arboscelli, overo gli edifici cadino. Se in terra si leva qualche foco, il ricco per tema trammortisce, che le fiamme non volino nelle sue case. Se si muove guerra, l'infelice si spaventa, che i suoi armenti et gregi non li siano tolti. Se nasce concordia dai litigi, come se ciò fosse sua disgratia, ne geme. Onde tormentato da continui rancori sempre teme la invidia degli amici, l'astutia dei ladri, la forza degli assassini, le insidie dei parenti, & i tumulti civili. Vi potrei aggiungere molte cose; le quali non solamente fanno poveri questi ricchi, ma anco mendichi. Nel giuoco sono posti i beni della fortuna, non fermati da nessuno aiuto certo. Cessino adunque i miseri di fare insulto contra i benemeriti, & veggino che, per levare ogni cagione di litigio, i Poeti non havere seco voluto nessuna cosa commune. A quella turba con venale grido sempre stanno d'intorno, nelle loggie, & tribunali, huomini pieni di liti. Ma i Poeti nelle selve, & solitudini passano gli occhi con le considerationi. Quelli con cupido animo ricercano i peccati degli nocenti. Questi col verso inalzano le degne opre degli huomini illustri. Quelli con tutti gli affetti desiderano l'oro. Questi con tutte le forze cercano la gloria, & la inclita fama. Et per non passare piu oltre, assai si vede queste cose essere tra sé differenti; le quali se non ponno movere voi. Giudici di tutte le cose, che parliate piu moderatamente verso i Poeti, l'auttorità del vostro Solone vi raffreni; il quale di grandissimo datore di leggi, già vecchio volontariamente volò nello studio della poesia.

 

Quali siano quelli che opponghino ai Poeti, & quali le cose, che da alcuni gli sono opposte.

Oltre ciò, Serenissimo dei Re, vi è, si come tu molto meglio hai conosciuto, per dono divino una casa in terra fabricata a guisa del concilio celeste, & solamente dedicata ai sacri studi. In questa sopra una sublime sedia, mandata dal grembo d'Iddio, fa sua residenza la Filosofia maestra delle cose, con la faccia augusta, notabile per lo divino splendore, ornata di vesti reali, & con la corona di oro in capo. Nè altrimenti, che imperatrice de' mortali, nella mano sinistra tiene i libri et con la destra regge il scettro. Indi con ornato parlare insegna a quelli, che vogliono udire quali siano i lodevoli costumi de gli huomini, quali le forze della madre natura, quale il vero bene, & quasi segreti celesti. Dove se entrerai, non è dubbio, che tu non vegga un sacrario dignissimo d'ogni riverenza, & se guarderai quello, che non ponno fare gli studi humani, considerar gl'ingegni, & comprendere gl'intelletti, chiaramente ivi il tutto vedrai, & di maniera ti maraviglierai, che teco stessa dirai quella essere una casa, che contiene il tutto, anzi quasi essa effigie di mente divina, & tra l'altre di somma riverenza dignissima. Sono ivi doppo la imperatrice nelle piu alte sedi posti gli huomini, ma non però molti, nell'aspetto benigni, & nel parlare; & anco per la gravità dei costumi con tanta honesta, & vera humiltà riguardevoli, che piu tosto gli crederesti dei, che mortali. Questi già essendo sopra alle attioni pieni di scienza, abondantemente agli altri infondeno quelle cose c'hanno conosciuto. Vi è anco un'altra moltitudine strepitosa di diverse spetie d'huomini; tra la quale alcuni, lasciata ogni superbia, vigilanti attendeno a i loro commandamenti per vedere, se forse con lo studio potessero ascendere a piu alto grado. Altri vi sono poi che, a pena uditi i principij delle cose, con animo superbo stendeno le acute mani nelle vesti della Imperatrice, & con acre violenza toltone alcune fila, & ornati di varij titoli, i quali bene, & spesso fuori di casa trovano, che si vendono, non altrimenti, che se havessero tutta la mente piena di divinità con una certa superbia gonfiati si levano dalla sacra stanza; ma nondimeno con quanto danno de gli ignoranti, i prudenti se'l veggono. Questi tali adunque, fatta insieme una congiura contra tutte le buone arti, prima si sforzano essere tenuti huomini buoni, lasciano venire le loro faccie roze per parer vigilanti, camina con gli occhi chini accioche non paia che mai si dilunghino dalle considerationi. Vanno col passo tardo, affine, che sotto il soverchio peso delle considerationi sublimi dagli ignoranti siano tenuti vacillare. Vesteno di un habito honesto, non perche la mente sia honesta, ma per potere con la finta santimonia ingannare. Il loro parlare è rarissimo, & grave. Pregati, non rispondeno prima, che con mandino fuori un sospiro, mettino alquanto tempo fra mezzo, & levino alquanto gli occhi al Cielo. Et questo fanno perche dai circonstanti vorrebbeno essere tenuti, che non senza difficultà mandassero fuori dalle labbia le parole, che sono per dire, come se uscissero da un lontano segreto de i sopracelesti spiriti. Fanno professione di santità, pietà, & giustitia, spesse fiate usando quella parola profetica;  Il zelo del Signore mi rode. Di qui procedendo alla dimostratione della sua maravigliosa scienza, dannano tutte le cose, che non hanno conosciuto, nè invano. La prima loro voce è Oh. Il che fanno overo perche non siano interroganti di quelle cose, che non saprebbono rispondere, overo perche siano tenuti haver sprezzato ò non curato di sapere cose da loro tenute vili, & basse, ma haver atteso a maggiori. Con questi inganni havendo preso i giudicij dei poco saggi, prosontuosamente incominciano, & segueno andar d'intorno alle città, tramettersi tra i negotii secolari, dar consigli, trattar matrimoni, esser presenti a contratti, dettar note di testamenti, pigliar carichi di far essequirli, & oprar molte cose, che poco si convengono a Filosofi. Onde aviene che alle volte vengono in gran fama del volgo, & tanto si gonfiano, che caminando desiderano dalla plebe essere mostrati a dito, & di lontano udire, che si dica, che siano gran maestri; indi vedere, che i nobili nelle piazze, & nelle strade si li levino a far riverenza chiamandoli Maestri, salutandoli, invitandoli, mettendoli di sopra, & andandoli dietro. Per queste cose, messa da parte ogni consideratione, hanno ardire oprare il tutto, nè si vergognano nelle altrui biade porre le loro falci. Di che aviene che mentre si ingegnano biasimare le altrui cose aliene dalle sue, alle volte occorre parlare della Poesia, & dei Poeti; de' quali sentendo il nome, subito si infiammano di tanto furore, che diresti quelli haver gli occhi di fuoco. Nè si ponno fermare, fremono, & sono da lo empito crucciati. Poi quasi contra di loro, non altrimenti, che contra mortali nemici fosse congiurato, hora nelle scole, hora nelle piazze, hora sopra i pulpiti, ascoltandoli talhora il volgo inerte, incominciano con pazzi gridi biasmarli, di maniera, che i circonstanti non pur temino degli innocenti, ma di sé stessi, & dicono la Poesia in tutto non esser niente, & una vana facultà, & ridicola; i Poeti essere huomini favolosi, & per chiamarli con piu dispettoso vocabolo gli dicono fiaboni, i quali habitano le selve e i monti perche non sono dotati di costumi nè di civiltà. Oltre ciò dicono i loro poemi essere troppo oscuri, bugiardi, pieni di lascivie, cavati da ciancie, & pazzie delli Dei Gentili, che affermano un certo Giove adultero, & huomo vergognoso, hora padre de i Dei, hora Re de' cieli, hora fuoco, hora aere, hora huomo, hora toro, hora Aquila, & altre simili cose inconvenevoli. Cosi anco, che fanno Giunone, & molti altri simili per nomi famosi. Appresso, gridano i Poeti essere seduttori delle menti, persuasori dei peccati; & per macchiarli (se potessero) con maggior nota d'infamia, dicono, che i Poeti sono simie de i Filosofi. Aggiungendo a questo essere grandissimo sacrificio contra Dio leggere overo tenere i libri dei Poeti; & senza far nessuna distintione, con l'auttorità di Platone vogliono che non solamente siano cacciati dalle case, ma banditi dalle Città; & le loro Scenice mereticole approvando Boetio, fino alla morte dolci, essere detestabili, & da cacciare insieme con loro, & in tutto da rifiutare. Che tante cose? Sarebbe troppo lungo voler produrre il tutto, che il mortal odio crucciato da invidia gli fa dir contra i Poeti. Egli è da credere, Inclito Prencipe, che la opra nostra pervenirà a questi cosi celebri Giudici, cosi giusti, tanto benigni, & tanto favorevoli, la quale sono certo, che sarà circondata a guisa, che fu una picciola fiera famelico Leone, per trovarli, che divorare. Et perche il tutto è Poetico, non aspetto piu benigna sentenza di quello, che fulminano contra i poeti, nè so a quai colpi opporre il petto eccetto a quelli, che l'antico odio m'ha dimostrato, & quelle mi sforzerò ributtare. O vero Iddio, sij tu contra a questi inconsiderati gridi, & resisti al furore di questi pazzi. Et tu anco ottimo Re, perche si è venuto al incontro, con le forze del tuo generoso petto sij presente, & porgi aiuto a chi per te guerreggia. Hora fa bisogno l'animo, & il petto saldo. Percioche le armi di questi tali sono acute, & venenose, ma non hanno forza. Nondimeno, se i Giudici fossero non bene aveduti, potrebbono haver vigore. Onde mi spavento, & tremo, se prima Iddio, che non abbandona chi spera in lui, & tu poi non mi favoreggi, attento che le mie forze sono picciole, & l'ingegno debile; ma la gran speme dell'aiuto, in che mi confido farà, che accompagnato dalla giustitia farò empito in loro. Già mi sento porgere al cuore ardire.

 

La Poesia essere utile facultà.

Volendo io picciolo huomo entrare nella schola contra queste gigantee mole, che si fermano con quella autorità, che ponno a mostrare la Poesia essere nulla overo vana facultà, se dimanderò prima, che cosa sia Poesia, overo d'intorno a, che s'appartenga il suo ufficio, tengo, che non havrò fatto altro, che haver cercato il nodo nel giunco. Ma perche egli è da fare, che questi tali egregi precettori di tutte le facultà n'aprano un passo, d'intorno alla quale vogliano, che sia il nostro contrasto, io di ciò gli prego; nondimeno parmi di vederli, & so, che con l'ostinata fronte non mai tinta da rossore alcuno diranno quello, che poco inanzi malamente hanno detto. O vero Iddio, adunque sij presente, & pon gli occhi a queste loro ridicole obiettioni, drizzando i suoi passi a miglior camino.

Dicono adunque, biasimando la Poesia, quella al tutto esser nulla; il che se cosi è, vorrei sapere, onde è nato, che già tanto tempo tanti illustri huomini s'habbiano acquistato il nome di Poeta? Onde i molti volumi dei poemi? Et onde è nato questo nome di Poesia? Se nulla è la poesia? Certamente se sono per risponder niente, sono per andar per Ambages, cosi tengo io, perche di ragione non potranno produr cosa, che non sia contra la oppositione sua vana. Egli è cosa certa, si come doppo questo si mostrerà al suo luogo, questa, si come l'altre discipline, havere havuto principio da Iddio, dal quale è nata ogni sapienza; onde, si come anco l'altre, dall'effetto han havuto il nome, dal quale poscia è derivato il celebre nome de' Poeti, & indi dei Poemi dai Poeti. Il che cosi essendo, si può vedere, che la Poesia (come dicevano) non è niente; la quale essendo scienza, che diranno gli altieri Sofisti? Credo, che alquanto ritireranno il piede, overo piu tosto passando alla seconda parte per la disgiunta copula, soggiungeranno, s'ella è facultà, è vana. O, cosa ridicola. Sarebbe stato men male haver tacciuto, che con parole frivole haversi precipitato in maggior errore.

Non veggiono gli ignoranti esso cioè significato di nome di questa facultà dimostrar sempre una certa pienezza. Ma di questo, altrove. Ben prego questi degni huomini, che esprimano con qual ragione la facultà della Poesia sia da dir vana, attento, che per sua instigatione (favoreggiando la divina gratia) vi sono tanti volumi, tanti poemi, & tante inventioni chiarissime, & peregrine. Veramente si ammutiranno, se il cordoglio della vana dimostratione loro ciò patirà? Ma, che dico, io, che ammutiranno? Piu tosto vorranno morire, che confessare il vero non pure con le estreme labbia, ma nè anco col tacere. Entreranno in un altro adito, & facendo una interpretatione a suo modo, con questa additione soggiungeranno deversi intendere la poesia essere vana, dannosa, & detestabile, percioche i Poemi, che dalla poesia vengono cantano le vanità dei suoi Dei, & persuadeno cose scelerate. Come, che questa reprobatione potrebbe essere confutata col non essere vano quello, che è pieno di pazzie, si poteva medesimamente sopportare; ma quello, che per lei vogliono si potrebbe con ragion confessare, confessando spontaneamente, che non vi è alcuno Poema, che esprima quello, che afferma; laonde se la cattiva spetie potesse nuocere al buon genere, eglino havrebbono vinto. Ma prego dirmi, se Prasitele ò Fidia, dottissimi nella scoltura, haveranno scolpito Priapo, che di notte vada verso Iole; piu tosto, che la riguardevole per honestà Diana, overo se averrà, che Apelle, overo il nostro Giotto, al quale nell'età sua Apelle non fu superiore, piu tosto depinto Marte, che si congiunga con Venere, che Giove, che nel trono dia ragione alli dei, diremmo queste arti essere da biasimare? ciò sarebbe cosa pazza; questa è colpa degli ingegni lascivi. Medesimamente, già furono alcuni Poeti, se Poeti si denno chiamar questi tali, i quali ò per ragione di suo volere ò per acquistare la gratia del popolo, cosi ricercando quel secolo, & persuadendo la vana lascivia, lasciata l'honestà caderono in queste inettie, le quali sono da biasimare, da lasciare, & gittar via, si come piu ampiamente si dirà poi. Ma per questa scelerità finta da alcuni non è da biasimare universalmente la poesia, dalla quale veggiamo essere derivate tante virtù, tante persuasioni, ricordi, & ammaestramenti di buoni Poeti, che hanno havuto cura scrivere le considerationi celesti col loro sublime ingegno, grande honestà, & ornamento di stile, & di parole. Ma, che piu? Non solamente è qualche cosa la poesia, ma una scienza venerabile. Et si come nelle precedenti si ha veduto, & nelle seguenti si mostrerà, è una facultà non vana, ma piena di succo a quelli, che vagliono, con l'ingegno premer fuori i sensi dalle fittioni. Onde chiaramente si vede, per non allungare piu i parlamenti, nel primo entrare della battaglia i nostri capi contrari haverci volte le spalle, et con picciola fatica haverci lasciato libero lo steccato del duello. Ma egli è da narrare, che cosa sia Poesia, per dimostrarli quanto falsamente si pensino quella essere una vana facultà.

 

Che cosa sia Poesia onde detta, & quale il suo ufficio.

La Poesia, da gli ignoranti, & negligenti lasciata, & rifiutata, è un certo fervore di scrivere ò dire astrattamente, & stranieramente quello, che haveva trovato, il quale derivando dal seno d'Iddio, a poche menti (come penso) nella creatione è conceduto. Laonde, perche è mirabile, sempre i Poeti furono rarissimi. Gli effetti di questo fervore sono subblimi, come sarebbe condurre la mente nel desiderio del dire, imaginarsi rare, et non piu udite inventioni, le imaginate con certo ordine distendere, ornar le composte con una certa inusitata testura di parole et sentenze, & sotto velame di favole appropriato nascondere la verità. Oltre ciò, se la inventione richiede, armar Regi, condurli in guerra, mandar fuori armate in mare; descrivere il Cielo, la terra e 'l mare, ornar le Virgini di ghirlande, & fiori, designare gli atti de gli huomini secondo le qualità, svegliare i sonnolenti, inanimare i pusillanimi, raffrenare i temerari, convincere i nocenti, inalzare i famosi con meritate lodi, & molte altre cose simili. Se alcuno di questi ne' quali s'infonde questo fervore farà queste cose men convenevolmente, al mio giudicio non sarà lodevole Poeta. Appresso, come, che enfiammi gli animi ove è infuso, rare fiate essendo instigato essequisce alcun'opra da essere commendata, se gli instrumenti con quali furono soliti compire le cose considerate veranno meno; come sarebbono i precetti della Grammatica, & Rethorica, de quali vi fa mistiero buona cognitione, benche alcuni mirabilmente nello scrivere volgare già habbiamo scritto, & per ciascuno ufficio della Poesia habbiamo caminato; nondimeno è stato di necessità, che almeno habbiano conosciuto i proprij delle arte liberali, & delle morali, & naturali, & appresso essere stati ammaestrati della copia dei vocaboli, haver veduto i ricordi dei maggiori, essersi ricordati delle historie delle nationi, & regioni del Mondo, delle dispositioni de' mari, de' fiumi, & de' monti. Oltre questo, le dilettevoli per artificio della Natura solitudini fanno bisogno; cosi anco la tranquillità dello animo, & l'appetito della gloria secolare, & spesse volte molto a giovato lo ardore della età. Conciosiache se mancano queste cose, spesse fiate l'ingegno si raffredda d'intorno le pensate. Et perche di questo fervore, che illustra, & aguzza le forze delli ingegni alcuna cosa non deriva, che non sia arteficiata, la Poesia per lo piu è chiamata arte. Della cui poesia il nome non è indi nato; onde molti poco avertentemente istimano cioè da Poyo Poys , che suona l'istesso, che fingo fingis, anzi è derivato da Poetes antichissimo vocabolo de' Greci, che Latinamente suona esquisita locutione. Percioche que' primi enfiati di spirito incominciarono stranieramente a parlare a quel secolo anco rozzo, come sarebbe in verso, che allhora in tutto era una sorte di locutione non conosciuta. Et accioche paresse anco sonoro all'orecchie degli ascoltanti, moderarono quello con misurato tempo; & affine, che per la troppa brevità non levasse la dilettatione, nè con la soverchia lunghezza porgesse rincrescimento, con certe regole di misura, & tra diffinito numero di piedi, & sillabe il constrinsero. Ma quello, che da cosi diligente ordine di parlare usciva, non piu era detto Poesia, ma Poema; & cosi come già habbiamo detto ha conseguito il nome si all'arte come all'artificiato dal loro effetto. Diranno forse questi oltraggiatori illustri che, se bene io ho detto questa scienza dal seno d'Iddio essere infusa nelle anime anco tenere, che eglino non vogliono credere alle mie parole, alle quali potrebbono haver conceduto assai fermezza quelle cose, che fin'hora habbiamo veduto, se gli animi fossero giusti; ma anco fanno bisogno testimoni. Se leggeranno adunque quello, che Marco Cicerone, huomo Filosofo, & non Poeta, ha detto in quella oratione, che fece nel Senato per Aulo Licinio Archia, forse si inchineranno piu a darmi fede. Dice egli in tal modo. Et cosi habbiamo inteso da grandi huomini, & dottissimi gli studi dell'altre cose essere fermati nella dottrina, nei precetti, & nell'arte; ma il Poeta valere per natura, & essere eccitato dalle forze dell'ingegno, & quasi essere enfiato da un certo spirito divino. Adunque, per non far piu lunga diceria, assai si può vedere dagli huomini pij la poesia essere una facultà, haver origine dal grembo d'Iddio, dall'effetto pigliar il nome, & a lei appertenersi molte cose degne, & eccelse; delle quai quelli istessi, che ciò negano spesse volte si serveno, se cercano dove ò quando, & con qual guida, & per opra di cui essi compongano le loro fittioni, mentre drizzano le scale per gradi distinte fino al Cielo; mentre medesimamente i famosi alberi di rami secondi producono alle stelle, mentre circondano con giri i monti fino in alto. Diranno forse, che da lei incognitamente vi sono condotti, & che quello ch'eglino usano è opra di Rethorica; il che io in parte non negherò; percioche la Rethorica ha le sue parti d'inventione; ma appresso i velami delle fittioni, ella non v'ha che fare. Egli è pura Poesia tutto quello, che sotto velame componiamo, & stranieramente si ricerca et narra.

 

In qual parte del mondo prima risplendesse la Poesia.

Se tu Re mio, ricercherai sotto qual parte del mondo, in qualtempo, & per opra di cui la Poesia primieramente sia comparsa in terra, a pena penso, che ti si potrà dare vera risposta. Alcuni hanno tenuto questa con le sacre cerimonie degli antichi haver havuto origine, & cosi appresso gli Hebrei essere nata, percioche le Sacre Lettere testimoniano eglino essere stati i primi, che facessero sacrificio a Dio; nelle quali si legge Caino, & Abel fratelli, & primi figliuoli nati nel mondo, haver a Iddio sacrificato. Cosi anco da Noé, cessando l'onde del Diluvio, & escendo dell'Arca, haver fatto sacrificio a Dio. Oltre ciò Abraam, vinti inimici, a Melchisedech sacerdote offerse il pane e 'l vino. Ma per queste cose non restando sodisfatti di quello, che cercano, piu tosto indovinando, che con ragione parlando, dicono questi tali non poter essere stati veri sacrificij senza nessuna cerimonia di parole, soggiongendo, che da Mosè il sacrificio fu intieramente essequito quando, doppo l'havere per l'asciutto Mar Rosso passato sicuramente col popolo d'Israele, instituì Sacerdoti, Sacrificij, & il tabernacolo drizzato a guisa di futuro Tempio, & ritrovò le orationi per placar la divina mente. Il che veggendo, si dirà la Poesia non prima appresso Hebrei haver havuto principio, che al tempo di Mosè Prencipe degli Israeliti; il quale circa il fine della vita di Marato Re de Sicioni, morto negli anni del Mondo tremilaseicento, & ottanta, condusse il popolo d'Israele, & ordinò i sacrifici. Vi sono degli altri, che vogliono concedere questa gloria ai Babiloni; tra quali Veneto Vescovo di Pozzuolo, grandissimo investigator delle historie, era solito affermare con lungo parlare la Poesia essere molto piu antica di Mosè, come sarebbe, che fosse nata al tempo di Nembrotto. Diceva ch'egli fu il primo inventore dell'Idolatria, percioche havendo veduto il foco commodo a' mortali, & conoscendo, che dai motti, & mormorationi diversi di quello certe cose future, affermano quello essere Iddio; & però non solo in luogo d'Iddio lo adorò, & ciò persuase a i Caldei, ma etiandio gli edificò Tempi, ordinò Sacerdoti, & v'aggiunse anco orationi, nelle quali dimostrava egli haver dato origine al parlare;il che è possibile, benche chiaramente non esplicasse onde ciò havesse cavato. Ma io, come, che spessissime fiate habbia letto appresso gli Assiri essere prima stato essercitato lo studio della Filosofia, & la gloria delle armi, nondimeno senza qualche altro piu degno testimonio di fede non crederò cosi leggiermente un tanto sublime artificio haver havuto origine appresso cosi fiere nationi. I Greci appresso narrano la Poetica essere nata appresso loro, si come con tutte le forze afferma Leontio; nella quale credenza ch'io alquanto mi lascio condurre, ricordandomi alle volte haver inteso dall'inclito mio precettore tale principio ella haver havuto appresso gli antichi Greci. Percioche al principio tra quegli huomini anco rozzi havendo alcuni di piu elevato ingegno incominciato a riguardare con maraviglia le opre della madre Natura; & indi per le considerationi dei sensi entrare in loro una credenza, che vi fosse alcuno per opra del quale sotto il suo imperio tutte le cose, che vedessero fossero governate, & ordinate, il chiamarono, senza altro sapere, Iddio. Indi istimando, che alle volte egli anco venisse ad habitare in terra, & tenendo, che fosse santo, affine, che venendo ritrovasse stanze al nome suo fabricate li drizzarono le sacre Chiese, & con grandissima spesa le edificarono; onde noi al dì d'hoggi le chiamiamo con l'istesso nome.

Poscia, per farselo piu favorevole, s'imaginarono alcuni honori singolarissimi da essere a lui fatti ne i Tempi da quelli chiamati sacri. Finalmente, perche quanto s'imaginarono che ei trappassasse ogn'altro di divinità tanto gli pareva, che dovesse essere tra tutti piu honorato, vollero, che nei suoi Tempij, & sacrifici fossero constitute le mense d'argento, i vasi d'oro, i candellieri, & tutti gli altri simili lavori di gran pregio, & huomini dei piu prudenti, & nobili del popolo, i quali furono poi da loro detti Sacerdoti, accioche vestiti non di communi, & volgari habiti, ma di pregiatissime vesti, a quello amministrassero gli uffici. Ultimamente, perche gli pareva cosa vergognosa, che quelli Pontefici, & Sacerdoti facessero i sacrifici a tanta deità come mutoli, & taciti, vollero, che fossero poste insieme parole le quali dinotassero le lodi, & magnifichi fatti d'essa divinità, & fossero espressi i voti; & le preghiere del popolo, secondo le necessità degli huomini a lui fossero drizzate. Et perche sarebbe paruto inconvenevole, parlare con tanta divinità, nè piu, nè meno come se si parlasse con un lavoratore, ò con uno suo servo, ò amico commune, i piu prudenti volsero, che si trovasse un non commune modo di ragionare, il quale commisero, che fosse dai sacerdoti imaginato. Tra quali alcuni pochi, nondimeno, onde si crede, che vi fosse Museo, Lino, & Orfeo, commossi da una certa instigatione di mente, finsero peregrini versi con tempi, & misure regolati, & gli trovarono in lode d'Iddio; ne quali, perche fossero di maggior autorità, sotto corteccia di parole vi posero eccelsi mistieri divini, volendo perciò, che la venerabile maestà di questi tali per la troppo notitia del volgo non fosse trasportata in disprezzo, & precipitio; il quale arteficio essendo paruto maraviglioso, & fino all'hora non piu udito (si come habbiamo predetto), dall'effetto il chiamarono Poesia, overo Poete, & quelli, che l'havevano composto furono detti Poeti. Et perche anco il nome favorisce all'effetto, egli si crede ch'ai versi fosse aggiunto il canto; & cosi con l'altre cose appresso Greci haver havuto origine la Poesia. Del tempo poi si dubitava molto. Diceva Leontio piu volte haver inteso da Barlaam Calavrese suo precettore, & da molti altri huomini dotti in tali cose, nei tempi di Foroneo Re d'Argivi, che incominciò regnare negli anni del mondo tremilatrecento e ottantacinque, Museo, da noi nomato per uno degli inventori dei versi, essere stato appresso Greci famosissimo huomo, & quasi nell'istesso tempo haver fiorito Lino; de' quali fino al dì d'hoggi la fama loro è assai illustre, la quale ci dimostra ch'eglino furono ministri sopra gli antichi sacrifici, & a questo anco vi s'aggiunge il Thracio Orfeo; onde per ciò sono tenuti i primi Theologi. Ma Paolo Perugino diceva la poesia essere molto piu moderna (non mutando però gli Autori), affermando, che Orfeo, il quale è scritto per uno degli antichi inventori, fu in fiore nei tempi di Laumedonte Re di Troiani, cerca gli anni del mondo tremilanovecento, & diece. Et, che questo Orfeo fu uno degli Argonauti, & non solamente successore a Museo, ma di esso Museo figliuolo d'Eiumelfo precettore.

Il che anco nel libro dei tempi testimonia Eusebio. Di che si vede (si come è stato detto) molto piu giovane che non si diceva appresso Greci essere la Poesia. Nondimeno, a queste cose rispondeva Leontio dicendo, che dai dotti Greci era tenuto molti essere stati gli Orfei, & i Musei, ma quel vecchio Orfeo, che fu contemporaneo all'antico Museo, & Lino essere stato greco; la dove il Thracio è predicato piu giovani. Ma perche questo piu giovane trovò la orgia di Baccho, & Menandro notturne compagnie, & rinovò molte cose d'intorno ai sacrifici antichi, & nella oratione hebbe molto potere, per le quai cose appresso i contemporanei fu tenuto in molta stima, dai posteri fu istimato il primo Orfeo. Alla cui openione è forse da accostarsi, ritrovandosi anco per testimonio d'alcuni antichi anzi il nato Giove Cretese esservi stati alcuni Poeti, constando per Eusebio, che dopo la rapita Europa da Giove fiorì Orfeo Thracio. Essendo adunque tra loro cosi discordi, nè adducendo nessuno assai valido testimonio degli Autori antichi per confermare le loro ragioni, non ho per certo a cui si debba credere. Tuttavia si vede per li tempi descritti, se si deve dar fede a Leontio, appresso Greci piu tosto, che appresso Hebrei; & se a Veneto, prima appresso Caldei, che appresso Greci essere comparsa la Poesia. Se poi vogliamo credere a Paolo, seguirà, che Mosè pria, che i Babiloni ò i Greci di questa essere stato maestro. Ma io, come, che Aristotele tratto forse dalla ragione detta di sopra dica i primi Poeti essere stati Theologi, tenendo ch'egli habbia voluto inferire perciò ch'eglino fossero Greci, il che pare, che levarebbe un poco della openione di Leontio, non crederò già, che i sublimi effetti di questa poesia (lasciamo in quella bestia di Nembrotto), ma nè in Museo, Lino overo Orfeo, benche antichissimi Poeti, se forse (come pensano alcuni) Museo, & Mosè non sono un istesso, fossero prima infusi, ma nei sacratissimi, & dicati a Dio Profeti, leggendo, che Mosè (incitato com'io stimo a questo desiderio) scrisse una grandissima parte del Pentateuco non solamente in stile, ma in versi heroici, dettatili dallo Spirito Santo. Et cosi anco molti altri grandissime cose in versi Latini sotto velame da noi chiamato Poetico hanno finto; de quali io, nè forse vanamente, penso i Poeti Gentili haver seguito i vestigi in comporre i Poemi. Nondimeno, là dove i divini huomini ripieni di Spirito Santo, & da quelli investigati scrissero i suoi volumi, cosi gli altri per violenza della mente, onde sono stati detti vates , cacciati da questo fervore hanno fornito i suoi Poemi. Ma tu, inclito Re, non havendo io altro, che mi dire d'intorno tale origine, secondo il giudicio tuo, piglia quello ti piace.

 

Che piu tosto egli si vede essere cosa utile, che dannosa haver composto le favole.

Questi magnifici cianciatori affermano appresso le cose dette che i Poeti sono huomini favolosi, & per usare di piu vile, & detestabile vocabolo, stomacosi, & alle volte anco gli chiamano cianciatori. Nè dubito punto, che appresso gli ignoranti questa obiettione non paia molto vera, & scelerata. Ma io me ne rido. Non può il lezzo delle fracide lingue d'alcuno macchiare il glorioso nome degli huomini illustri. Mi doglio veggendo questi tutti tinti di livore sfrenatamente lasciarsi trasportare contra gli innocenti. Ma, che sarà poi? Concedo, che i Poeti sono favolosi, cioè compositori di favole; nè ciò istimo vergognoso, altrimenti di quello, che sarebbe ad un Filosofo havere formato un silogismo. Percioche se egli si dimostra, che cosa sia favola, quali le spetie delle favole, & di quali questi favoloni habbiano usato, istimo, che ciò non parrà si grande sacrilegio (come vogliono questi) l'havere narrato favole.

La favola adunque tra l'altre cose piglia honesta origine da For, Faris , & da quella deriva la confabulatione, la quale altro non suona, che collocutione. Il che assai si dimostra per Luca nell'Evangelio, mentre scrive di due discepoli, che dopo la passione di Christo andavano in un Castello chiamato Emaus, cosi dicendo; Et eglino ragionavano insieme di tutte quelle cose, che erano occorse; onde avenne, che fabulando, & ragionando tra loro, esso Christo si gli avicinava, & andava seco. Et se il favoleggiare, o vogliamo dire fabulare, a quei santi huomini non si imputava vitio, non sarà peccato havere composto favola. Ma cediamo un poco a questi. Non mi ostinerò, che non sia fuori di proposito l'havere composto favole, s'io vi concederò che i Poeti habbiano solamente composto le semplici favole; ma eglino non saranno mai letti, che da un huomo intelligente non sia conosciuto qualche gran misterio essere nascosto sotto la favolosa corteccia; & però alcuni furono soliti in tal modo diffinire la favola; La favola è una locutione essemplare overo dimostrativa sotto fittione, e dalla cui levata la corteccia, è manifesta la intentione del favoleggiante. Credo, che di quattro sorte sia la spetie di queste. La prima delle quali al tutto manca di verità nella corteccia, come sarebbe quando facciamo, che gli animali brutti, & le cose insensibili parlano; & di queste fu grandissimo auttore Esopo, huomo Greco per antichità, & anco gravità honoratissimo. & conceduto, che di queste non solamente il volgo civile, ma anco gli huomini agresti si servino, molte volte non ci ha talhora fastidite nei suoi libri includervi Aristotele, huomo di celeste ingegno, & Principe dei Filosofi peripatetici di quelle. La seconda spetie poi talhora si compone nella superfitie favolosa, & simile alla verità, si come sarebbe se diremo le figliuole di Mineo per haversi opposto, & sprezzato i sacrifici di Baccho essere state converse in pipistrelli. Queste fino dalla prima età ritrovarono gli antichissimi Poeti, i quali hebbero cura coprire insieme le cose humane, & divine con figmenti; et quelli, che hanno seguito i piu sublimi Poeti le hanno rivolto in meglio, benche alcuni di Comici le habbiano guaste, perche piu curarono del volgo lascivo, che dell'honestà. La terza spetie poi è piu simile all'historia, che alla favola.

Di questa altramente et altramente hanno usato i famosi Poeti. Percioche gli heroici, benche paiano scrivere una historia, come Virgilio mentre scrive Enea combattuto dalla fortuna del mare, & Homero Ulisse legato all'antenna della nave per non essere condotto dal canto delle Sirene; nondimeno sotto velame hanno altro sentimento di quello, che mostrano. Oltre ciò i piu honesti comici, come Plauto, & Terentio, si sono serviti di questa spetie di favoleggiare non intendendo altro, che solo quello, che le scritture risuonano; ma nondimeno con l'arte loro descrivendo i costumi, & le parole di diversi huomini, & con questo ammaestrare i lettori, & fargli cauti, & tali cose, se bene in fatto non furono, essendo communi, poterono, overo potrebbeno essere. La quarta spetie poi non ha punto di verità in sé, nè in apparenza nè in nascosto, essendo inventione delle pazze vecchiarelle. Delle quali quattro spetie, se questi eccellenti riprensori danneranno la prima, verranno anco a biasimare quello, che leggiamo nelle sacre lettere, cioè i legni delle selve havere parlato nel constituirle un Re.

Se si reproba la seconda, si verrà anco a confutare quasi tutto il sacro volume del Testamento Vecchio; il che sia lontano; veggendosi quasi con l'istesso passo caminare quelle cose, che in quello sono scritte come vanno quelle de i Poeti. Et questo in quanto al modo di comporre. Percioche dove manca la historia nessuno non cura dalla possibilità superficiale; & quello, che il poeta chiama favola overo fittione, i nostri Theologi l'hanno detta figura. Il che, che cosi sia se'l veggiano i Giudici piu giusti, contrapesando con egual peso la superficie delle lettere sopra le visioni di Isaia, Ezechiele, Daniello, & d'altri sacri huomini, & poi le fittioni de i Poeti. Se tutte tre (cosa, che non ponno) diranno essere da biasimare, non sarà altro che dannare quella spetie di parlare della quale, spessissime volte ha usato Giesù Christo figliuolo d'Iddio, nostro Salvatore, essendo in carne; benche non per quello vocabolo di Poeta le habbiano chiamato le sacre lettere, ma per Parabole, & in alcun luogo per essempio, attento: che per ragione d'essempio sia detto. Che poi tutte quattro siano da essere biasmate, non veggendo ciò esser mosso da alcuno convenevole principio, nè essere difeso da riparo di nessuna arte, overo a dovuto fine con ordine condotto, non me ne faccio gran conto, percioche niente non si confanno con le favole de' Poeti; & benche io mi creda questi riprensori essere da istimare in niente non essere differenti da queste semplici favole: gli prego a rispondermi, se diranno, che lo Spirito Santo, & che Christo Iddio sia favolone? I quali amendue sotto una istessa deità parlarono per favole.

Non lo crederanno, se saranno saggi. Io, se mi piacesse passare in lungo parlare, benissimo dimostrarei la diversità dei nomi non allontanarsi, se le qualità de gli stili si convengono; ma essi se'l veggano. Spesse volte leggiamo, che queste favole, le quali essi per lo vocabolo tanto disprezzano, hanno queitato gli animi incitati da pazzo furore, & ridotti nella primiera mansuetudine, come fu quando da Mennio Agrippa, gravissimo huomo, la plebe Romana contraria ai Senatori dal Sacro monte con una favola fu ritornata nella patria. Con le favole spesse fiate si sono ristorate le forze degli animi lassi degli huomini illustri occupati d'intorno cose sublimi; il che non solo si può dimostrare per essempi antichi, ma tuttavia si vede. Perche veggiamo i gran Principi occupati d'intorno a cose eccelse (come quasi ammaestrandoli la Natura delle cose), doppo le sublimi dispositioni in meglio dei suoi Regni, per ristorare le loro forze, far chiamare quelli, che con piacevoli favole gli confortino gli animi lassi; onde sotto le favole contenute sopra il peso di qualche attione di travagliata fortuna spesse volte hanno sentito ricreatione. Il che si vede in Apuleio, quando la Charità, generosa donzella, per sua disgratia prigionera di quei malandrini, raccontando la sua mala sorte, per narrar la favola di Psiche dolcemente, fu da quella vecchieta ricreata. Per le favole habbiamo veduto talhora de gli animi sonnolenti essersi svegliati a miglior opra; & per tacere di me stesso, & dei minori, udì già raccontare dall'Illustre huomo Giacopo Sanseverino, Conte di Tricarico, & Chiarmonte, egli havere inteso da suo padre, che Roberto figliuolo del Re Carlo, che poi fu inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia, fu giovane di cosi sonnolente, & freddo ingegno, che non senza grandissima difficultà del suo precettore puote capire i primi principij delle lettere; onde disperando di lui, & il padre, & quasi tutti gli amici, i suoi Pedagoghi con diligente astutia trassero l'ingegno di quello a leggere, & udire a raccontare le favole di Esopo. Di che venne in tanto desiderio di saperle che, tratto dallo studio di quello, non pure imparò poscia in breve tempo queste domestiche a noi arti liberali, ma anco con grande acutezza passò fino ai segreti della sacra Filosofia, & diventò Re tale, che da Salomone in poi di lettere, & Reame gli huomini non conobbero il piu dotto di lui. Che tante cose? Tanto vagliono le favole, che gli indotti della prima loro testura si dilettano, & dei dotti gli ingegni d'intorno le cose nascoste si essercitano. Et cosi con una istessa lettione fanno profitto, & dilettano. Non adunque con si scoperta fronte, ne con si noiosa sentenza, questi schifi vomitino il suo odio, nè la sua malignità overo ignoranza contra i Poeti; & se sono in cervello, pria curino le loro pazzie, & poi con nuvoli di cattive parole si sforzino offuscare gli altrui splendori; Riguardino; riguardino questi censori, quali, & quanto noiosi essempi, & atti usino per movere il riso delle donnicciuole ben spesso; & poscia, che si saranno purgati, cercheranno correggere le favole altrui. Ricordandosi, che Christo disse agli accusatori, che colui il quale fosse senza peccato, fosse il primo a pigliar le pietre contra l'adultera donna.

 

Ch'egli è pazzia credere che i Poeti sotto le corteccie delle favole, non habbiano compreso alcuna cosa.

Tra questi sono alcuni di tanta temerità che, senza essere armati di nessuna autorità, non si vergognano dire essere pazzia il credere, che i famosissimi Poeti sotto le loro favole habbiano nascosto alcun senso; anzi, che hanno composto quelle piu per dimostrare quanto ponno le forse della sua eloquenza; & spetialmente mentre col mezzo di quello da gli ignoranti gli erano credute le cose false per vere. O iniquità d'huomini ò inetta scelerità, che mentre abbassano gli altri, essi da poco si credeno inalzare. Chi altri, che ignoranti diranno, che i Poeti habbiano fatte le favole semplici et che solamente in sé non contengano altro, che l'esteriore, per dimostrare l'eloquenza? O bella ragione, come se quasi la eloquenza non si potesse fare valere d'intorno le cose vere. Certamente hanno conosciuto male la sententia di Quintiliano, del cui grandissimo Oratore l'openione è, che cerca le cose false non vaglia alcun nerbo d'eloquenza. Ma di questo altrove. Chi adunque, per venire a questo, sarà si pazzo, & di si poca consideratione, che leggendo nella Bucolica di Virgilio questo verso;  Nanque canebat uti magnum per inane coacta, insieme con quegli altri versi, che segueno dietro questa sentenza. Et nella Georgica le api havere una parte di mente divina, con le cose applicate a questo. Et nell'Eneida; Principio cælum, & terras camposque liquentes , con le cose, che vi seguono; dalle quali vi si cava il puro suco di Filosofia, che non veggia chiaramente Virgilio essere stato Filosofo, & non l'estimi eruditissimo huomo per dimostrare la eloquentia sua; della cui molto valse in havere condotto Aristeo Pastore nei segreti della terra dalla madre Olimene, overo Enea per vedere il padre nell'Inferno?, & questo sotto favoloso velame havere scritto senza sentimento alcuno? Chi è stato cosi ignorante, che veggendo il nostro Dante spesse fiate sciorre gl'intricati nodi della sacra Theologia con maravigliosa dimostratione, che non s'accorga egli non solamente essere stato Filosofo, ma anco famoso Theologo? Et se ciò terrà, per qual ragione penserà ch'egli habbia finto, che B. membre grifo traha quella carretta sulla cima del monte Severo accompagnata da sette candelieri, & altretante ninfe, con l'avanzo di quella pompa trionfale? Per dimostrare, che egli sapeva comporre rime, & favole? Chi appresso sarà tanto scioccho, che istimi il famosissimo, & Christianissimo huomo Francesco Petrarca, la cui vita, & i cui santi costumi noi stessi habbiamo veduto, & lungamente, per la Iddio gratia, vederemo, haver speso tante vigilie, tante fatiche, tante notti, tanti giorni, & tanti studi nella sua Bucolica solamente per la gravità del verso, & l'eleganza delle parole, & per fingere, che Gallo dimandasse a Tirreno la sua fistola, & che cantasse insieme Panfilo, Mitione, & altri spensierati Pastori? Nessuno veramente che lo conosca dirà ciò, & molto meno quelli, che hanno veduto ciò, che egli in sciolto stile ha scritto nel libro della vita solitaria, & in quello ch'egli ha intitolato dei rimedi all'una, & l'altra fortuna; per lasciare molti altri da parte; ne' quali quanta santità si può comprendere nel seno della Filosofia Morale, tanta con gran maestà di parole in quelli si comprende di maniera, che non si può dire nessuna cosa piu piena, piu ornata, piu matura nè piu santa ad instruttione dei mortali. Potrei anco addure i miei versi Bucolici, del cui sentimento io sono consapevole, ma ho giudicato tacerne, perche fin hora non mi tengo la tanto ch'io mi debba annoverare tra gli huomini eccellenti, & perche le cose proprie sono da lasciare ragionarne a gli altri. Tacciano adunque questi cianciatori ignoranti, & i superbi se possono ammutiscano, essendo da credere, che non pure gli huomini illustri, nodrito dal latte delle Muse, et allevati nelle habitationi della Filosofia, & in sacri studi, habbiano locato profondissimi sensi nei suoi poemi; ma etiamdio non essere alcuna cosi pazzarella vecchiacciola, d'intorno il fuoco di casa, che di notte vegghiando con le fantesche racconti alcuna favola dell'Orco ò delle Fate, & Streghe, dalla cui spesissime volte finta, & recitata sotto ombra delle parole riferite, non vi senta incluso secondo le forze del suo debile intelletto qualche sentimento, alle volte da ridersi poco, per lo quale vuole mettere timore ai picciolini fanciulli, overo porgere diletto alle donzelle, overo farsi beffe dei vecchi, o almeno mostrare il potere della fortuna.

 

Che i Poeti per la commodità della consideratione habitarono le solitudini.

Dissi di sopra, che questi noiosi dicono anco, che i Poeti habitano nelle Ville, nei Monti, & nelle Selve perche sono privi di civiltà, & costumi. O ignorante sorte d'huomini. Non veggono che mentre vogliono con falso aiuto approvare la verità si fanno bugiardi? Io non solamente confesso i Poeti habitare nelle Ville, Selve, & Monti, anzi, se essi non l'havessero detto io era per dirlo, & forse già l'ho detto, ma non per quella causa ch'essi gonfiati adducono, cioè, che non vagliano di civiltà; conciosia che, ch'eglino ne vagliano, assai ne fanno fede i Poemi, a' quali se sprezzano credere rivolgano gli scritti degli antichi Filosofi, & leggano gli annali, ch'io non dubito, che spesso ritroveranno i Poeti, mentre gli ha piacciuto, hanno usato delle amicitie, conversationi, & vivere dei Re, & nobili Principi; il che non si concede agli huomini rozzi, & da poco. Nè in testimonio della verità mi mancano alcuni essempi, che mi occorrono. Potrei veramente, se io volessi, mostrare Euripide poeta intrinseco di Archelao Re de' Macedoni, Ennio Brondusino famigliarissimo de i Scipioni; Virgilio amicissimo d'Ottaviano Cesare. Et se non curano gli antichi, non mancano dei moderni. Il nostro Dante fu congiunto di stretto nodo d'amicitia con Federigo di Arragona Re di Sicilia, & con Cane dalla Scala, Illustre Signore di Verona. Sappiamo appresso, & è quasi notissimo a tutto il mondo, Francesco Petrarca essere stato molto amato, & molto famigliare di Carlo Imperadore, di Giovanni Re di Francia, di Roberto Re di Gierusalemme, & Sicilia, & di molti sommi Pontefici, & di quelli, che vivono vi sarà, mentre vorrà. Ma se questi maldicenti non sanno, i Poeti habitano, & hanno habitato nelle solitudini perche non nelle piazze, non ne i Palazzi publici, non nei Theatri, non ne i Campidogli, non sotto le loggie communi (dove tutt'hora concorreno genti, conversa la plebe, & si stanno le feminucciole) è conceduta la consideratione delle cose sublimi, senza la cui, quasi continua, non ponno principiare nè finire gli imaginati Poemi. Ma a pena crederò, che havessero detto questo, se sanamente havessero letto quello, che scrive Oratio Fiacco a Floro; poscia, che elegantemente, secondo suo costume, gli ha annoverato alcuni impedimenti della Città, interrogando gli dice;

 


Giudichi adunque, che si possa in Roma

I Poemi compor tra cure, & stenti?


 

Volendo per ciò, che s'intenda non si potere. Nè di questo contento, aggiungendovi alcune altre inconvenevolezze dalle quali continuamente le Città sono vessate, soggiunge quasi sdegnato dicendo;

 

Và dunque, & pensa tu versi sonori.

 

Quasi, che dica, non potrai. Et poi seguendo gli dimanda;

 


Tu vuoi, che fra gli strepiti notturni

Et i diurni ancor io cante, & segua


I vestigi toccati dei Poeti?

 

Nè molto da poi soggiunge;

 


Qui dunque, dove in mezzo sono posto

Di travagli, fortune, & civil garre

Unir mi degnerò già mai parole,

Che commovano il suon de la mia lira?


 

Per li quai versi, per piu non ve n'aggiungere, assai si vede perche i Poeti amino i luoghi selvaggi. Il che leggiamo anco havere fatto Paolo heremita, Macario, Antonio, Arsenio, & molti altri venerabili, & santissimi huomini, & non per mancamento di civiltà, ma per servire con piu libero animo a Dio.

Ancora, che non sia cosa tanto detestabile, come pare, che questi istimino l'habitare le selve, non si veggendo in esse nessuna cosa finta, fucata, nè alla mente inconosciuta. Veramente tutte le opre di Natura sono semplici. Ivi sono i dritti faggi verso il Cielo, & gli altri alberi, che con la sua opacità porgono l'ombre fresche: ivi la terra contesta di verdeggianti herbe, & di mille colori di fiori distinta; ivi i chiari fonti, & limpidi ruscelli, che con piacevole mormorio scendeno da i vicini monti, ivi i depinti uccelli, che col canto addolciscono l'aere, ivi le frondi, che dal movere di una leggiera aura risuonano: ivi gli animaletti, che giuocano: ivi i gregi, & gli armenti, ivi le case pastorali, & le cappannette senza cura nè rispetto alcuno, & ivi tutte le cose sono piene di tranquillità, & silentio, le quali non solamente, satollati gli occhi, & l'orecchie delle sue delitie, allettano l'animo, ma anco paiono, che constringano in se la mente, & l'ingegno, se forse fosse lasso, a ripigliare le forze, & condur quello al disio della consideratione di cose sublimi, & ad avidità anco di comporre; il che con maravigliosa esortatione ci persuade la compagnia dei libri, & i canori Chori delle Muse, che ci stanno d'intorno, le quali tutte cose essendo drittamente considerate, quale studioso huomo non preporrà le solitudini alle Città? Ma non il diffetto de i Poeti, nè le solitudini (se diffetto si può chiamar questo) moveno questi insolenti huomini a riprenderli, anzi la loro macchiata mente da mortale ambitione, dalla quale essendo lontani i Poeti, egli dicono, che sono huomini da fuggire. Egli è usanza d'huomini di pessimi costumi grandemente disiare, che tutti gli altri a loro siano conformi, per coprire overo difendere i suoi peccati con gli altrui. Vergogninsi, & ammutiscano adunque se i Poeti non fanno, come eglino. Percioche gli huomini saggi fuggono, & hanno per cosa vergognosa il contrafarsi la faccia con la pallidezza. Et se abhorriscono col tardo passo continuamente caminare per le Città, eglino il fanno perche ricusano comprare la gratia, & le lodi dello inerte volgo con la vergognosa, & difforme hippocrisia; non si curano da gli ignoranti essere mostrati a dito, rifiutano il dimandare, & disiare i governi, sdegnano il caminare per li palazzi reali, & divenire adulatori di maggiori per potere acquistare un qualche beneficio, overo per compiacere un poco meglio al loro ventre, & attendere piu all'otio, nè vogliono assentire alle donnicciuole per trarle dalle man qualche denaro, affine di acquistare con inganni quello, che non si può con i meriti. Oltre ciò, con tutti i loro effetti questi tali iniqui cercano, che gli altri diano via la sua robba perche parte ne venga in suo potere, come se secondo la quantità dei premij si comprassero le sedie del Cielo. Ma questi, che sono malmenati da loro, contentandosi di un vivere leggiero, & di un breve sonno, con la continua speculatione, & con lodevole essercitio componendo, & scrivendo, ricercano la famosa gloria, che al nome suo per molti secoli dura. O, che sorte d'huomini è questa da essere sprezzata? O biasimevole solitudine di questi tali, Ma, che stò io a continuar con parole? Haverei molte cose da dire, se la illustre candidezza, la egregia virtù, & lodevole vita de i Poeti famosi con piu salda fortezza contra questi iniqui sé stessa non difendesse.

 

Che l'oscurità edi Poeti non è da condennare.

Questi cavillosi dicono, che molte volte i Poemi sono oscuri, & questo per vitio de i Poeti, i quali ciò fanno per dimostrare, che quello, che è molto intricato, sia con piu arteficio composto; & vogliono ch'eglino facciano questo come smemorati dello antico instituto degli Oratori, per lo quale si vieta la oratione dovere essere piana, & lucida: ò giudicio di perversa mente; qual altro, eccetto: ò una anima iniqua, si sarebbe piegato in cosi scelerato pensiero, che quello, che a lui è inacessibile non solamente haggia in odio, ma cerchi se potesse con falsa accusa macchiarlo? Confesso alle volte i Poeti essere oscuri, ma mi diano eglino (se vogliono) la risposta, le ritrovano le scritture de i Filosofi, a quali spesse volte essi impudicamente si congiongono, cosi piane, & chiare, come dicono dover essere la oratione? Se ciò affermano, mentiranno; percioche tra gli scritti di Platone, & Arist. (per tacer degli altri) le clausule, & sentenze sono tanto annodate in alcun luogo, che già da molti acuti huomini, incominciando dal loro tempo fino al dì d'hoggi, diversamente essendo state esposte, malamente ponno render fede quale sia il suo vero senso, nè la concorde sentenza. Ma che dico de i Filosofi? Non è stato il divino eloquio, del quale essi desiderano essere tenuti professori, porto dallo Spirito Santo pienissimo d'oscurità, & dubbi? E cosi veramente; & se ciò negheranno, essa chiara verità si vedrà. Nè sono molti testimoni, tra quali, se li piace interroghino Agostino, Santissimo, & Dottissimo huomo, & di cui cosi eccelse furono le forze dello ingegno, ch'egli senza precettore (come da se stesso confessa) apparò molte scienze; & tutto quello, che da i dieci Cathagorij cavarono i Filosofi; & nondimeno non si vergognò dire, & confessare non havere potuto intendere il principio d'Isaia. Non adunque ne i soli poemi sono le oscurità. Perche adunque non accusano cosi i Filosofi come i Poeti? Perche non dicono lo Spirito Santo nelle sue opere havere congiunto oscure sentenze, perche paressero piu artificiose, come quasi egli non sia sublime artefice di tutte le cose? Non dubito, che in loro non sia tanta temerità, che lo farebbono, se non sapessero, che sono difensori a i Filosofi, & che a quelli, che parlano contra lo Spirito Santo sono preparati i supplici; & però vanno contra i Poeti perche sanno che mancano di difensore. Istimando appresso non essere ivi colpa nessuna dove subito la pena non segue. Questi dovrebbono havere veduto alcune cose da veder oscure, che per lo vitio loro sono chiare. Ad un losco risplendendo il Sole, che è chiaro, l'aere pare nuvoloso. Sono poi altre cose per sua natura tanto profonde, che non senza difficultà la acutezza anco d'un nobile intelletto puote penetrare nel segreto di quelle si come nel globo del Sole, nel quale prima che vi si possa affisare bene spesso gli acutissimi occhi sono ributtati. Alcune altri poi, se bene per natura sua forse sono chiare, sono coperte da tanto arteficio dei fingenti, che malamente anco alcuno vi può con l'ingegno trarre il vero senso, si come molte volte il grandissimo corpo del Sole tra le nebbie nascoste non può essere veduto da i dottissimi Astrologhi, nè compreso in qual parte del Cielo si giri puntalmente col loro affisare d'occhi, & tali non nego, che alle volte non siano i poemi de i Poeti. Ma non però, come vogliono questi, sono con ragione da essere biasimati; percioche egli è proprio ufficio de i Poeti, tra gli altri, non denudare le cose coperte sotto velame, anzi se sono apparenti, cercare di coprirle con quanta industria mai ponno, & levarle da gli occhi dei mal dotti, accioche per la soverchia famigliarità non aviliscano, ma siano piu degne di memoria, & riverenza. Onde, se diligentemente faranno quello che a loro s'appartenirà, i Poeti verranno piu tosto ad essere lodati, che biasimati. Et però, come è stato detto, confesso quelli talhora non essere oscuri, ma anco indissolubili sempre; se un'intelletto acuto non gli conosce, & intende. Ma tengo, che questi tali, che porgono tante querele habbino piu tosto gli occhi di nottola, che humani. Nè sia alcuno, che pensi da i Poeti per invidia sotto le fittioni essere stato nascosto il vero, ò perche vogliono in tutto negare ai lettori il sentimento delle cose celate, overo per dimostrarsi piu arteficiosi; ma solamente ciò hanno fatto accioche quelle cose, c'hanno voluto intendere, ricercate con la fatica degli ingegni, & diversamente interpretate, alla fine ritrovate siano tenute piu care. Il che molto piu ciascuno di buono intelletto debbe havere certissima c'habbia fatto lo Spirito Santo; la qual cosa pare, che si confermi per Agostino nell'undecimo libro del Celeste Gierusalemme, dove dice;  Del divino sermone la oscurità a questo è anco utile, che partorisce molte sententie di verità, & in lume della cognitione le produce, mentre uno cosi l'intende, & un altro altramente. Et altrove l'istesso Agostino sopra il centesimo, & ventesimo salmo dice. Però forse è posto piu oscuro, accioche generi molti intelletti, & piu ricchi si partino gli huomini, i quali hanno trovato chiuso quello, che in molti modi si sarebbe aperto, che se in un modo solo l'havessero aperto. Et per usare ancora piu del testimonio di Agostino contra questi calcitranti, affine che intendano quello ch'egli adduce in difesa delle oscurità delle sacre lettere, & io voglio, che sia inteso per le oscurità de i poemi, Dico, che sopra il Psalmo centesimo, & quarantesimosesto cosi scrive.  Qui non è nessuna cosa cattiva; ma qualche d'una oscura, non da pigliar perche ti sia negata, ma perche ti esserciti.

Onde per non usare d'intorno a questo altre autorità d'huomini sacri, non voglio, che questi tali habbiano noia udire che io voglio l'istesso essere inteso delle oscurità de' Poeti, che si tiene da Agostino delle divine; ma anco dico, che debbano con la loro invetriata fronte considerare, quanto maggiormente sia da tenere l'istesso di queste; che rispettivamente a pochi sono apposte, essendo ciò locato nelle sacre lettere, che a tutti s'appartengono. Ma se volessero forse la durezza del testo, le figure delle orationi, & dittioni, & colori, & modi dei peregrini vocaboli essere quelli, che dannassero la non conosciuta da loro bellezza, & di quì i Poeti essere chiamati oscuri, non so, che altro dirli eccetto, che di nuovo ritornino alle schole de i Pedagoghi, studiano, & apparino quale licenza da gli antichi autori sia conceduta alle autorità de i Poeti, & piu diligentemente cerchino, oltre le cose volgari, & famigliari, quali siano anco le rare, & peregrine. Ma, che stò io con tali parole a continuare? con meno havrei potuto ciò fare. Facciano, che si spogliono il vecchio ingegno, & si vestino di un nuovo, & generoso, che quello che hora gli pare oscuro gli parrà poi famigliare, & aperto. Nè si credano coprire la dura rozzezza del suo intelletto col precetto de gli antichi oratori, del quale non dubbito, che sempre i Poeti non siano stati ricordevoli. Ma avertiscano, che l'ordine delle parole altrimenti proceda orando, che fingendo, & le fittioni essere state lasciate al volere del fingente come opra d'un'altra spetie; dove grandemente da i Poeti si serba la maestà dello stile, & si ritiene la dignità dell'istesso, si come nel terzo libro delle inventive contra il Medico dice Francesco Petrarca.

Nè come essi paiono istimare, ha invidia a quelli, che non ponno carpire, ma preponendo la dolce fatica, consulta alla dilettatione, & alla memoria insieme. Percioche sono piu care le cose che acquistiamo con difficultà, & con piu cura sono serbate, si come il medesimo Petrarca nell'istesso libro narra. Che tante cose? Se quelli hanno l'ingegno rozzo, riprendano la sua dapocaggine, & non i Poeti, nè si oppongano contra loro con fieri lattrati, da quali seco benissimo è stato contrastato. Attento, che nel primo incontro, affine, che gli ignoranti non s'affatichino, da essa prospettiva di cose è stato porto terrore. Ritirinsi adunque adietro piu tosto a tempo, che volendo passare innanzi, affaticata la sonnolenza dello ingegno, con rossore gli sia data la ripulsa. Et per dirlo di nuovo a chi mi vuole intendere, a snodare i dubbiosi groppi egli bisogna leggere, affaticarsi, veggiare, interrogare, & con ogni fatica sottigliare le forze del cervello; & se per una via alcuno non può aggiungere dove disia, entri per un'altra; et se gli resiste qualche incontro, ne prendi un'altra, fino a tanto, che se gli giovano le forze, gli paia lucido quello, che prima gli pareva oscuro.

 

Che i Poeti non sono bugiardi.

Oltre ciò questi maligni dicono, che i Poeti sono bugiardi, & si sforzano, se potessero, fermar questo luogo con salde ragioni, dicendo quello che spesse volte è stato detto, cioè quelli nelle sue favole scrivere bugie, come sarebbe un'huomo converso in sasso; il che in tutto pare contrario alla verità. Appresso allegano, che i Poeti dicono bugiardamente esservi molti Dei, essendo cosa certissima, che non ve n'è piu, che uno, & quello vero, & onnipotente. Aggiungendo, che Virgilio, Prencipe de i Poeti Latini, ha narrato la historia di Didone meno, che vera, & simili altre cose. Credo che per ciò istimino haver vinto. Et havrebbeno vinto, se non vi fusse alcuno, che con la verità confutasse le loro insipide esclamationi. Che sarà adunque? Istimava nelle precedenti haver risposto a bastanza a questa parte, là dove ho descritto, che cosa sia favola, quante le spetie delle favole, & di quali si siano serviti i Poeti, & perche. Ma in questa materia di nuovo è da ritornare. Dico, che i Poeti non sono bugiardi, percioche la bugia, secondo il mio giudicio, è una certa falsità similissima alla verità, per la cui da alcuni si opprime il vero, & esprime quello, che è falso. Di questa afferma Agostino, che otto sono le spetie; delle quali, se bene alcune ne sono piu gravi dell'altre, di alcuna nondimeno consapevoli non si possiamo senza peccato servire, nè senza nota d'infamia, per la cui siamo chiamati bugiardi. L'intento della quale diffinitione, se dirittamente sarà riguardato degli inimici del Poetico nome, conosceranno questa riprensione onde affermano essere bugiardi i Poeti, mancare di forze; attento, che le fittioni de i Poeti non s'accostano a nessuna delle spetie di bugia: conciosia, che non è loro animo con le fittioni ingannare alcuno, nè, si come e la bugia, le fittioni poetiche per lo piu non sono non molto simili, ma nè anco punto conformi alla verità, anzi non poco discordanti, & contrarie. Et concedendo che una spetie di favole, la quale habbiamo detto parer piu tosto historia, che favola, sia molto simile alla verità, per antichissimo consentimento di tutte le nationi dalla macchia della bugia è purgata, & netta; essendo per usanza antica conceduto, che ciascuno si possa servir di quella per ragione d'essempio, in cui non si cerca semplice verita, nè si vieta la bugia. Et se si riguarda l'officio de i Poeti molte volte di sopra mostrato, eglino non sono obligati à questo legame, che usino della verità nella superfitie delle fittioni; percioche, se venisse a loro trito la licenza di vagare per ogni sorte di fittione, il loro ufficio al tutto si risolverebbe in niente. Che piu? Se tutte quelle cose, che sono dette in confutatione meritevole fossero annullate, il che penso non si possa fare, questo ci resta da non potersi confutare; alcuno di ragione essercitando il suo ufficio per ciò non può cadere in nota d'infamia. Il Podestà secondo la legge sententia che ai mal meritati sia tagliato il capo; non però di ragione si dice homicida. Cosi nè anco il soldato saccheggiatore de i terreni dei nimici non si dice ladrone. Nè il Giureconsulto, se bene un poco men giusto consiglio concede al clientulo, mentre dal segno della ragione non si separi, non meriterà il nome di falsidico. Cosi anco il Poeta, benche fingendo menta, non incorre nella ignominia di bugiardo, essequendo giustissimamente il suo ufficio non d'ingannare, ma di fingere. Se nondimeno volessero sopra questo far instanza che quello, che non è vero è buggia, sia detto come si voglia. Se ciò non è fatto, io nondimeno piu oltre non estenderò le mie forze per confutare questa obiettione. Ma ricercherò, per vedere quello, che siano per rispondere, con qual nome siano da chiamar quelle cose, che sono scritte per Giovanni Evangelista nello Apocalipsi con maravigliosa maestà dei sensi, ma in tutto molte volte nella prima faccia discordanti alla verità. Con qual nome esso Giovanni, & con quale le altre, & gli altri, che nel medesimo stile hanno scritto, & coperto le gran potenze d'Iddio? Io veramente chiamarle bugie, nè dir loro bugiardi, ancora, che fosse lecito, non ardirei. So nondimeno, diranno (il che anch'io sono per dire in parte, se ne sarò dimandato) Giovanni, & gli altri Profeti essere stati veracissimi huomini; la qual cosa già si è conceduta. Oltre ciò, v'aggiungeranno da loro non essere stato scritto fittioni, ma piu tosto deversi chiamar figure, & cosi essere; onde per consequenza figuratovi essere stati di quelle scrittori. O rifugio da ridersi; come siamo quasi per credere che quello, che è similissimo nella corteccia, per mutatione overo diversità di nome habbia possa oprare diversi effetti. Ma in ciò sia minor contrasto. Sono figure, ma gli prego, che m'esprimano se nella letterale corteccia hanno in se verità. Se vogliono che io mi creda questo, non sarà altro, che con la bugia velarmi gli occhi dell'intelletto, si come cuoprono quella verità cui inclusa. Onde non essendo questi tali nè da chiamare nè da credere bugiardi, perche non vi sono, cosi nè anco i Poeti; i quali, vista le loro forze, metteno il loro studio sotto diverso significato usare delle fittioni. Non si può negare, che i Poeti non habbiano descritto molti Dei, essendovene un solo; ma ciò non è da imputargli per bugia, perche non credendo nè fermando, ma secondo sua usanza fingendo scrissero. Perche qual'è colui tanto di sé stesso non consapevole, che istimi nessuno ammaestrato negli studi di Filosofia essere di cosi pazza opinione, che creda esservi molti Dei? Se a bastanza habbiamo buon'intelletto, dovemo facilmente credere i dotti huomini essere stati studiosissimi investigatori della verità, & quelli fino là dove lo humano ingegno può penetrare haver toccato, & senza dubbio conosciuto solamente esser un Dio; alla cui notitia essere pervenuti i Poeti, nelle loro opre chiaramente si comprende. Leggi Virgilio, che il troverai orare, & pregare dicendo;

 


Se mai ti pieghi, per mortale preghi

Onnipotente Giove; hor drizza gli occhi.


 

Et quello, che segue. Il quale epitheto non troverai ch'egli mai habbia dato a nessuno altro degli Dei. Il resto della moltitudine degli Dei istimarono non Dei, ma membri d'Iddio, & uffici di deità. Il che tiene anco Platone, il quale chiamiamo medesimamente Theologo. A questi tali, per riverenza dell'ufficio diedero il nome di deità conforme. Ma non istimo che questi noiosi per ciò s'acquetino. Certamente grideranno i Poeti del vero Iddio, & unico, il quale noi diciamo eglino haver conosciuto, haver scritto molte bugie; & perciò meritevolmente essere chiamati bugiardi. Ma io non dubito, che i Poeti Gentili habbiano men rettamente giudicato del vero Iddio, & cosi di lui non mai haver scritto cosa, che men vera fosse; & cosi, si come questi vogliono, loro essere detti bugiardi, ò haver usato bugie, io questo non tengo. Percioche le spetie degli huomini bugiardi sono almeno due, de i quali i primi, sappiando, & avertendo, mentono per offendere ò non offendere, overo per giovare; & questi non solamente sono da essere chiamati bugiardi, ma per piu proprio vocaboli mentitori. I secondi sono che, non sapendo di dire bugia, nondimeno l'hanno detta. Et tra questi vi fa bisogno la distintione. Sono anco alcuni di questi la cui ignoranza è insopportabile nè riceve veruna iscusa, come sarebbe a dire: Egli si vieta per publica legge che alcuno Cittadino non tenga un Cittadino in prigione privata. Caio ha ritenuto Sempronio suo debitore, onde dalla pena vuole difendersi con l'ignorantia della legge; la quale iscusa perche par vana, cioè che il Cittadino non sappia le leggi communi, non può difendere il nocente. Cosi anco l'huomo Christiano d'età perfetto, dalla ignoranza degli articoli della fede non si può difendere. Vi sono degli altri de quali pare, che l'ignoranza sia da essere iscusata, si come i fanciulli se non sapranno Filosofia. Un'huomo montano se non havrà cognitione di cose di mare. Et un nato cieco se non conoscerà i caratteri, & simili altri; tra quali si ponno annoverare i Poeti Gentili, che se bene hanno conosciuto l'arti liberali, la Poetica, & la Filosofia, non però hanno potuto conoscere la verità della Religion Christiana. Non anco era venuto a risplendere in terra quella luce di verità eterna la quale alluma ogni huomo, che viene in questo mondo. Non anco gli invitanti alla Cena d'agnello havevano cercato il Mondo chiamando ogn'uno. Questo dono era dato di sopra ai soli Israeliti, accioche conoscessero il vero Iddio, & giustamente, & dirittamente l'adorassero. Questi non anco invitavano alcuno a communicar seco cosi celebrato convivio, ma nè anco andando, se qualche straniero vi fosse stato, l'ammettevano. Et cosi sentendo meno, che il vero, scrissero del vero Iddio pensando narrare il vero; di che con questa accettevole ignoranza iscusati, non sono da chiamare bugiardi. So, che diranno. Con ogni ignoranza, che sia detta la bugia, colui, che la dice è bugiardo; il che non si può negare, benche con quella medesima nota d'infamia non siano da macchiare quelli c'hanno peccato con ignoranza escusabile come quelli c'hanno peccato con manifesta, & inescusabile, si come s'è detto, havendo quelli non solamente l'equità, ma anco l'austerità delle leggi per iscusati; onde, se cosi è, non incorrono in nota di bugia; & se vogliono quelli ad ogni modo essere bugiardi, io gli aggiungerò per compagni di Filosofi, come Aristotele, Platone, Socrate, & molti altri da loro grandemente honorati, colpevoli dell'istesso peccato. Istimo, che questi ottimi censori di nuovo inalzeranno le voci in Cielo, salendo nello Salterio, & nella Cithera, perche non assai a bastanza una particella di questa obiettione non gli parrà ributtata. O non saggi; se bene ad uno soldato viene rotto lo scudo, non però la squadra intiera è mossa di luogo. Adunque non s'inalzino, ma ricordinsi che, spessissime volte ribattuti, si sono ritirati per forza. Quello di che rimproverano Virgilio, è falso. Non volse veramente l'huomo prudente recitare l'historia di Didone, perche sapeva bene, come dottissimo di cose tali, Didone essere stata per honestà singolarissima donna, & che con le proprie mani volle piu tosto darsi la morte, che con le seconde nozze rompere il casto suo proposito fiso nel petto di castimonia; ma per conseguire con l'arteficio, & velamento poetico quello, che faceva di mistieri alla opra sua, compose la Favola in molte cose simile all'historia di Didone; il che, si come poco dianzi è stato detto, per antico instituto è conceduto ai Poeti. Nondimeno, puote alcuno piu degno di risposta, & forse tu istesso, Prencipe, ricercare, a che ciò era di mistieri a Virgilio? al quale, accioche degnamente sia risposto. Dico che egli a ciò per quattro cagioni fu condotto. Prima, accioche in quel medesimo stile il quale havea pigliata nell'Eneida seguisse il costume poetico, & spetialmente d'Homero, di cui fu in quella opra imitatore; percioche i Poeti non fanno come gli Historici, i quali da un certo principio incominciano la loro opra et con una continua, & ordinata descrittione delle cose fatte la conducono fino al fine; Il che veggiamo haver fatto Lucano, La onde molti piu tosto lo stimano metrico historico, che poeta. Ma con un arteficio molto maggiore, ò cerca il mezzo dell'historia ò alle volte cerca il fine i buoni Poeti incominciano quello, che hanno in animo, & fanno nascere cagione di recitare quelle cose, che inanzi parevano haver lasciato, si come nell'Odissea fa Homero, il quale quasi nel fine degli errori di Ulisse descrive quello patir naufragio, & essere portato nel lito dei Fenici, dove l'induce a racontar al Re Alcinoo tutto quello, che dal dì in poi, che si partì da Troia gli era avenuta. La qual cosa volendo anco far Virgilio, & havendo scritto Enea fuggire dal lito di Troia doppo la ruinata cità, non ritrovò piu atto luogo a condurlo, pria, che giungesse in Italia, che nel Africano lito, conciosia, che fino ivi havea sempre navigato tra gli inimici Greci. Et essendo stato il lito d'Africa fino a quel tempo sempre habitato da genti selvaggie, & barbare, era di necessità, che il conducesse dinanzi a persona degna di riverenza da cui fosse raccolto, & dalla quale fosse indotto a narrare le sue, & de' Troiani sventure. Onde non ritrovando altri, che Didone, la quale, se bene non allhora, nondimeno egli si crede, che doppo molti secoli habitasse, & signoreggiasse ivi, fece che Didone il raccolse, & gli diede alloggiamento, & si come leggiamo, per suo comandamento le recitò i suoi, & degli altri travagli. Secondariamente; il che si nasconde sotto poetico velame, Virgilio intende per tutta l'opra dimostrare da quali passioni la fragilità humana sia turbata, & da quali forze dall'huomo constante sia superata. Et già havendone dimostrato alcune, volendo dinotare per quali cagioni dall'appetito concupiscevole siamo condotti in lascivia, introduce Didone, per generosità di sangue illustre, per età giovane, per presenza bella, per costumi notabile, di ricchezza abondante, per castità famosa, che signoreggia alla sua Città et al popolo, per prudenza, & eloquenza notabile, & vedova, quasi per l'isperienza piu atta alla concupiscenza di Venere. Tutte le quai cose hanno possa d'incitar l'animo d'ogni generoso huomo, non, che d'un essule che ha patito naufragio, & che è condotto a non conosciuta regione, & ha bisogno d'aiuto. Et cosi per Didone intende la concupiscevole et attrativa potenza armata di tutte le cose necessarie, & per Enea figura ciascuno atto a tal giuoco; di che doppo l'haverlo fatto allacciare, & finalmente fattoci vedere da quali attioni siamo condotti nelle scelerità, ci dimostra poi per qual via siamo ricondotti nella virtù, inducendo Mercurio interprete de gli Dei, che rimprovera ad Enea le vanità, & cose lascive, & l'essorta a cose gloriose & mgnanime; per lo quale Virgilio intende o il morso della propria conscienza o la riprensione dell'amico, & huomo eloquente, da i quali noi dormendo nel lezzo delle vergogne svegliati, & ricondotti nel dritto, & bel camino, cioè alla gloria; & allhora sciogliemo il nodo della vergognosa dilettatione quando, armati di fortezza, con animo constante, & forze sprezziamo, facciamo poco conto nè si curiamo di carezze, lagrime, preghiere et altre cose tali, che ci guidano in contrario. Nella terza Virgilio cura nelle lodi d'Enea d'inalzare la progenie dei Giulij in honore d'Ottaviano Cesare, il che fa mentre dimostra quello, che sprezza le immonditie della carne, & con la fortezza della mente calca le delitie feminili. Nella quarta intende di inalzare la gloria del nome Romano; la qual cosa opera a bastanza mentre descrive le preghiere, & maledittioni di Didone vicina alla morte. Percioche per quelle s'intendeno le guerre de' Cartaginesi con Romani, & i Trionfi, che di loro ne riportarono Romani, ne' quali assai s'inalza il nome Romano. Et cosi Virgilio non fu bugiardo, si come i poco intendenti istimano, nè altri Poeti, che anco medesimamente habbiano finto.

 

Che pazzamente si biasima quello, che men dirittamente s'intende.

Vogliono anchora, & tuttavia cridano questi maldicenti del nome Poetico, al tutto essere da estinguere, & mandare in oblio i versi dei Poeti, percioche sono tutti composti di lascivie, & ciancie di Dei Gentili; nè in alcun modo essere da partire, che ad uno, & istesso Iddio siano attribuite piu forme; & tutte le cose, si come fanno i Poeti al suo Giove, ad altri.

Gli aversari nostri a guisa di stolto soldato entrano nosco in contrasto; il quale si lascia trasportare da tanto impeto di nuocere allo inimico, che se stesso non riguarda, onde bene spesso aviene, che quei colpi ch'egli prepara conttra l'altro, egli disarmato gli riceve. Io a queste obiettioni ridotte in uno invoglio mi pensava assai nelle precedenti scritture haver risposto, nelle quali mi ricordo spessissime volte essere stato scritto, & incluso sotto diverse forme, lascivie, ciancie, & nomi, honesti, & saporiti sensi, de' quali anco ricordomi haver posto dei miei secondo le forze del debile ingegno, rimovendo le loro corteccie. Ma i dishonesti atti de gli Dei in ogni via, & spetialmente da i Poeti Comici descritti, non lodo nè approvo; anzi gli biasimo, & tanto istimo da essere vituperati in ciò gli scrittori quanto gli atti. Veramente l'ara di fingere è spatiosissima, & la Poesia sempre camina col corno pieno di fittioni. Non adunque mancavano a tutti i sensi honestissime corteccie. Ma questa querela già molto è stata levata, & acquetata, percioche nelle Scene, & nei Theatri da i Mimi, Histrioni, & Parasceti, & simili huomini già si cantavano cose enormi. In tutto le levarono, & reprovarono gli antichi Romani (Cicerone testimonio), & dannarono essa scena, & arte ludibrica, dicendo, che la paragonarono con la nota censoria, & gli rimossero dalle Tribù. Cosi anco per editto dei Pretori fu vietato, che se alcuno dell'arte ludrica ò per parlarne ò per pronontiarla andasse nella scena, subito fosse tenuto per infame. Poscia, doppo Costantino Cesare, & Silvestro Pontefice germinando in ogni parte, & ogni di piu crescendo la catolica fede, furono dal mondo scacciati, & mandati in oblio i versi di tali Comici, & scenici Poeti, & solo restarono i libri de gli Illustri, & lodevoli huomini, & le operette de Poeti, i quali spiegarono le cose fatte, & naturali con poco piu augusto stile, arteficioso parlare, & piu faconda grandezza, sotto convenevole coperta di fittioni, & imagini. Et cosi, quelli, che il Semideo Platone havea commandato che fossero cacciati dalla Città, & contra i quali questi nostri ignoranti della verità gridando, già furono mandati in ruina, & dispersi. Ma accioche a questi nostri riprensori sia risposto in quell'altra parte di obiettione, che ci fanno. Dico che, se i prudenti inanzi la incominciata battaglia havessero meglio riguardato, havrebbono veramente veduto che quello ch'essi opponeno a i Poeti Gentili ritorna contra loro. Non si maravigliarebbono dai Poeti essere stato chiamato Giove hora Dio del Cielo, hora Foco dell'aere, hora Aquila, hora Huomo, & hora in tutte quelle altre forme, che piu vogliono essere stato descritto, se si ricordassero esso vero, & unico Dio hora Sole, hora Fuoco, hora Leone, hora Serpente, hora Agnello, hora Verme, & hora anco Sasso dagli huomini santi essere stato descritto nelle sacre lettere. Et cosi medesimamente la venoratissima Madre nostra santo Ro. Chiesa, la quale i sacri volumi ci mostrano alle volte essere chiamata donna vestita del Sole, alle volte Donna di varietà vestita, talhora Carro, talhora Nave, alle volte Arca, Casa, Tempio, & con altri nomi tali; il che anco, & della Vergine Madre, & dell'inimico del genere humano spessissime volte mi ricordo haver letto. Della gran quantità dei nomi ho da dire questo istesso. Quasi cose innumerabili appresso i nostri sono attribuite a Iddio, & altrettante a Maria Vergine, & alla Chiesa, & questo è fatto non senza misterio, si come nè anco fecero i Poeti. Che ruggeno adunque questi inconsiderati? Eglino, cacciati dalla invidia, non vorrebbono, che vi fosse quello ch'essi non conoscono.

 

Ch'egli è cosa vergognosissima far giudicio delle cose non conosciute.

Questi Caritevoli anco affermano ch'i Poeti sono persuasori de i peccati; nella cui accusa, se facessero distintione, forse, che in parte gli concederei vittoria. Egli si ritrova, che già tempo furono alcuni Comici dishonesti, overo, che cosi fosse il loro scelerato ingegno, overo cosi ricercando l'età corrotta. Et se Nasone Sulmonese, Poeta di chiaro ma lascivo ingegno, compose un libro dell'arte amatoria, nel quale, se bene si persuadeno molte cose scelerate, nondimeno non è cosa meno, che necessaria; percioche alcuno giovanetto al tempo nostro è cosi sciocco, nè donzella cosi semplice, che essendo mosso il loro ingegno dal vano appetito non conoscano per venire a quello, che disiano, anco molto piu di lontano, cose piu acute di ciò, che ci insegni colui il quale viene istimato essere stato sopra questo singolare maestro. Se adunque meno questi, i quali talhora habbiamo detto essere da cacciare, seguendo l'honestà dell'arte Poetica hanno meritato incorrere in questo biasimo, & esser insieme con i tempi accusati, che poi si conviene agli altri di famosa honestà notabili? Ma veramente non è da sopportare questa querela. Et perciò, accioche si vegga perche sono accusati i famosi Poeti, gli prego dirmi se mai hanno letto i versi d'Homero, Se di Virgilio, di Horatio, Giuvenale, & molti altri simili; & se confessano haverli letti, m'esprimano verso dove habbiano trovato rivolte queste persuasioni di difetti, accioche veggendo quello che anco non habbiamo veduto, condenniamo insieme con loro i malfattori. Nondimeno, egli è cosa superflua negare. Ma chi adunque, udita l'accusa, non comprenderà, che mai non habbiano letto? attentoche chiaramente dovemmo credere, che se gli havessero veduto, non sarebbon caduti in cosi stolta opinione. Tuttavia m'imagino, che da tale questione questi aggiungeranno iniquità a sceleratezza, conciosia che non ponno tacer, tanto temeno, che per lo silentio non sian riputati, che meno habbiano letto, & veduto; onde a faccia aperta diranno senza punto di vergogna, come se però fossero molto da lodare; Che haver veduto queste ciancie, vah', che non l'habbiamo vedute ne meno le vogliamo vedere; noi attendiamo a cose maggiori. O vero Iddio, se tu vuoi, tu poi fare un poco di pausa dall'opra tua eterna; & se della tua deità ciò appetissero gli occhi, potresti securamente addormentarli, poscia, che questi hanno cura delle cose tue: eglino vegghiano per te tutte le notti, & per te spendono le loro fatiche. Credo certamente, che quelli movano il primo mobile, mentre danno opra a cose maggiori; questo è gran cosa, & assai, & se sopporti degna fatica di tali. O ignoranti menti d'huomini. Non avertiscono, mentre fanno si poco conto degli altri, quanto miseramente [scuoprano la sua ignoranza. Posciamo vedere anco noi, se di quelli piu stolti non siamo, a bastanza vedere quanto sia giusta la loro acusa, quanto santa, & quanto tolerabile la sentenza. Ma accioche non sia alcuno che istimi ch'io m'habbia a risponder questo per un certo frivolo indovinare ch'io mi faccia, confesso ch'io sono guidato a ciò da certissima coniettura. Percioche già ho sentito a simile interrogatione alcuni anco, che piu noiosamente hanno risposto, & cosa, che a me è stata piu grave, un certo huomo d'età venerabile, per santità riguardevole, & anco in altro per dottrina notabile, non solamente far tal risposta, ma da sé stesso moversi piu mortalmente a parlar contra ciò. Non dirò bugia, Iddio l'ha conosciuto, Inclito Re. Era allhora costui, come mi parve, tanto crudel nemico del Poetico nome, che pareva no'l poter proferire eccetto, che noiosamente; il che, dove meno all'honestà sua era bisogno, da lui fu dimostrato. Attento, che una certa mattina nello studio nostro generale leggendo in publico il sacro Vangelio di Giovanni a molti auditori, a caso essendo incorso in questo nome, con la faccia accesa, con gli occhi infiammati, & con piu alta voce del solito, tutto tremendo disse molte cose scelerate contra i Poeti. Et alla fine, accioche si conoscesse la di lui giustitia, hebbe a dire, & con giuramento affermò quasi, che non havea veduto nè mai voluto vedere alcuno libro de' Poeti. O giusto Iddio; che sono per dire gli ignoranti, se in tal modo altre fiate ha parlato un huomo dotto, d'anni grave, & d'auttorità pieno? Havrebbe peggio potuto parlare un stolto? Vorrei sapere, se non hanno veduto nè conosciuto i Poeti, & se a cose maggiori attendeno questi famosi censori, onde gli conoscono incitatori de' peccati? Perche questi si convenevoli giudici, che danno sententia di cose non conosciute non s'assettano sopra i tribunali? I quali non pure fanno sententia sopra le parti udite, ma anco sopra le non ricercate? Diranno forse, che inspirati dallo Spirito Santo portano cosi severo decreto contra i Poeti. S'io me'l credessi, direi, s'egli è possibile, che lo spirito divino entri in cosi fetide anime, non che v'habbiti. O scelerità empia. O dannoso male. O vergognosa temerità. Un cieco haver ardire dar sentenza di colori. Cosi, già come fanno questi honorati censori, ho inteso ch'erano soliti fare Foroneo appresso Argivi, Ligurgo appresso Lacedemoni, Minos appresso Cretesi, & Eaco appresso i Mirmidoni. Ma per arrivare dove ho l'animo (abbaino pure quanto vogliono questi reverendi giudici), non sono i Poeti, si come essi vogliono, persuasori dei mancamenti; anzi se dirittamente, & non tinti di livore insano saranno letti i loro volumi, si troveranno espulsori di quelli, & hora soavissimi, & hora acerrimi esortatori, secondo i tempi, di virtù. Il che, accioche non paia, che con si poche parole habbia provato, sono contento porre inanzi gli occhi degli strepitosi almeno alcuna cosa dalla cui possano (volendo) comprendere il vero. Et lasciati i ricordi d'Homero, che per esser greco e meno famigliare a' Latini, leggano, & rileggano, se vogliono, le cose, che sono nell'Eneida, massime le essortationi, che fa Enea ai compagni a sopportare le fatiche estreme. Leggano quale ardore egli hebbe di morire honoratamente per la salute della patria in mezzo l'armi. Quale la pietà verso il padre, il quale sopra gli homeri fu da lui portato in luogo securo per le ardenti case, tra i rovinosi tempi, tra il mezzo degli inimici, & mille volanti dardi. Quale la clemenza verso l'inimico Achimenide. Quale la fortezza d'animo per rompere, & render vane le catene d'un lascivo amore. Quale la giustitia, & liberalità verso gli amici, & stranieri nel partire i doni ai benemeriti nei giuochi anniversali del padre Anchise fatti appresso Aceste. Quale la prudenza, & avedimento nel discendere all'Inferno. Quali le essortationi alla gloria fatteli dal padre. Quale la sua diligenza in farsi degli amici. Quanto grande la affabilità, & la fede in conservarsi gli acquistati. Quanto pie le lagrime verso l'amico Pallante. Quali i spessi ricordi di lui al figliuolo. Che starò io a produrre tante cose? Prego, che si facciano innanzi questi, che ruggeno contra il nome Poetico. Contrapesino le parole di questo poeta, misurino le sentenze, & se gli basta l'animo, cavino il suco, che ne ponno; & vedranno, se è grato a Iddio, non, che se il poeta è essortatore di cattivi costumi. Veramente se Iddio fosse stato dirittamente conosciuto et adorato da Virgilio, quasi nessuna altra cosa non si leggerebbe piu santa del suo volume. Et se mi diranno, che le leggi non vogliono, che col testimonio d'un solo s'approve nessuna cosa, tolgano appresso il Flacco Venusino, Persio da Volterra, & Giuvenale d'Aquino; i Satirici versi de' quali sono drizzati con tanto impeto di virtù contra i vitij, & vitiosi, che pare, che gli mandino in ruina. Se adunque questi piu sono assai, facciano adunque quelli ch'accusano i Poeti come essortatori di peccati, & con la mansuetudine domino la sua rabbia, nè si sdegnino apparare pria, che ridendosi voglino fare giudicio delle fatiche altrui; accioche, mentre lanciano contra gli altri i dardi della sua iniquità sciocca, non provochino contra sé i folgori della divina vendetta.

 

[Che i poeti guidano al bene chi li legge.]

Dietro questo, gli iniquissimi insidiatori dicano i Poeti essere seduttori delle menti, imperoche col suo dolce suono, con l'elegante parlare, & con la ornata, & diligente oratione, infondeno le loro inettie ai lettori, & cosi guidano ove non fa mistieri gli sciocchi studiosi. Quale ignorante, & che non habbia veduto i Poeti, si come sono ignoranti essi accusatori, & non hanno veduto i Poeti illustri, & se gli hanno veduto, per sua dapocaggine non gli hanno intesi, non crederà facilmente, che questi parlino benissimo, giustamente, & santamente contra i Poetici versi? Ciò vegga Iddio, & sel veggano quelli a' quali da lui è conceduto il lume dell'intelletto. Ma tu Citharedo divino Davio, solito con la dolcezza del tuo verso acquetare i furori di Saulo, se hai cantato nessuna cosa soave ò meliflua, nasconde il tuo Lirico verso. Et tu Giobbe, il quale in verso heroico hai scritto le tue fatiche, & la patientia, s'egli è dolce, & ornato fa l'istesso, insieme con gli altri sacri huomini, che con verso mortale hanno cantato i divini misteri. Et quello ch'io dico a questi sia detto anco ad Orfeo, Homero, Marone, Flacco, & altri; posciache si è venuto a tanto, che si trovano di quelli, che senza pena nessuna dicano, che il corrompere le menti degli huomini è il mandare fuori metriche orationi in dolce suono, elegante, & ben purgato. O Bavio, & tu Mevio, allegratevi, poiche sono biasimati questi; a voi, che non pensava, già è stato conceduto il tempo, & preparato un luogo ampissimo. So, che diranno si havere detto essere cosa] dannosa havere scritto, & letto le pazzie in risonanti versi. Confesso, che questa additione era di non picciolo momento, se nelle precedenti ragioni piu volte non si fosse dimostrato quali siano le inettie dei Poeti illustri le quali essi biasimano; & però quello, che havevano per gran cosa si è risolto in nulla. Nondimeno, per venire piu drittamente a questo, perche dicono i Poeti essere seduttori delle menti, prima vorrei sapere, che essendo molti i Poeti, quali siano seduttori delle menti, et quale si tenga per tale? Per aventura non me ne potrebbono produrre altri, che quelli, che studiano. Quali adunque da loro siano studiati, essa accusa gli dimostra. Se questi amano gli amorosi con quei si trastullano, con gli occhi fanno vezzi alle donnicciuole, che rideno, dettano letterine d'amore, compongono rime, & fanno canzoni per esprimere le affettioni, & sospiri, & mancando loro le forze del debile ingegno, per necessario aiuto, & rimedio riccorreno dai maestri dell'arte amatoria. Di qui rivolgono i volumi di Catullo, Propertio, & Nasone. Onde volontieri dalle vane descrittioni di questi tali, narrate in versi soavi, & ornate da facile testura di parole, come in tutto a questo inclinati, si lasciano condurre, & guidare, & ritenere. Di quì hanno conosciuto le vanità de i Poeti. Di qui gli ingrati accusano i suoi precettori, & quelli chiamano sedutori delle menti, che da loro volontariemente, & non da altri pregati sono stati seguiti. A gran cose adunque, anzi a grandissimo danno opra i nostri riprensori. Percioche non è picciola cosa servire all'amore, alle cui forze prima Febo, & poi Alcide domatori de i mostri cederono. O quanto meglio sarebbe stato all'ignorante havere tacciuto, che in sua vergogna havere parlato. Attentoche se riguardassero, mentre pensano havere accusato i Poeti conoscerebbono havere mostrato se stessi colpevoli. Da questa accusa adunque quali siano i loro studi, quali desiderij, & quale la giustitia manifestamente conosciamo. Ma che openione possiamo havere di questi tali, se a caso una donzella con gli atti lascivi, con gli occhi vaghi, & con piacevoli parole gli porgesse dishonesta speme, poscia, che da mutoli, & taciti versi si lasciano guidare? Vergogninsi adunque i miseri, & in migliore riformino il loro scioccho consiglio riguardando Ulisse, huomo gentile, che sprezzò non i canti de i muti versi, ma le dolci voci delle Sirene, come nocive, & passò per quelle. Et perche sia detto alcuna cosa d'intorno alla forza del vocabolo, il quale si come sceleratissimo oppongono a i Poeti, dovrebbono havere veduto che, se bene fu opposto a Christo nostro Salvatore da i Giudei, i quali vergognosamente il chiamarono seduttore, nondimeno non sempre esser da pigliare in cattiva parte. Non hanno potuto quegli scelerati huomini nel servirsi di quello levarli l'antica forza, perche seducere overo sedurre si può pigliare in buona parte. Percioche egli è ufficio di buon pastore, che ha cura delle cose pastorali havere sedutto, ò per meglio dire separato da gli infettati, & amalati armenti i non anco infermi. Et cosi alle volte gli huomini saggi per suoi ricordi seducono, cioè separano gli animi generosi da quelli, che sono infermi del morbo dei vitij. La dove credo, Poeti illustri spessissime fiate sedurre i creduli, & farli migliori; di che questi guidati non dal diffetto anco de i Poeti men, che honesti, ma dal loro proprio, se potessero si sforzano mostrare il contrario. O vero Iddio, rimovi questa peste dagli ignoranti creduli, & correggi questi cianciatori, & di maniera ammaestrali, che con l'essempio tuo vogliano piu tosto fare, che insegnare.

 

Che i Poeti non sono punto Simie dei Filosofi.

Alcuni di questi, che si preferiscono agli altri dicono, che i Poeti son Simie dei Filosofi. Ma non ho molto per certo se dicono questo per incitar riso agli huomini, si come spesso fanno le donnicciuole con le sue fanfaluche, ò piu tosto secondo l'openione dell'animo, che cosi si credano, overo per iniquità di mente, affine di farsi beffe. La prima certamente si devrebbe con sdegnoso animo sopportare da i prudenti, veggendo da gli ignoranti farsi favole ridicole al volgo sopra gli huomini notabili, percioche gli asini, & porci barbati, overo bestiaccie di qual sorte piu vuoi, vestite di diverse pelli, facilmente per le strade caminando trovarebbono chi di loro molto meglio potrebbe dire, & trovare tali cose, & peggiori. Se poi credendoselo l'affermano, overo se ne rideno, l'uno, & l'altro tanto stoltamente quanto malignamente oprano. Egli è proprio, & naturale delle Simie (si come talhora si ricordiamo haver detto) di volere, potendo, imitare tutti gli atti, che fanno gli huomini, onde pare, che questi tali vogliano, che i Poeti siano imitatori, & indi Simie de i Filosofi; il che non sarebbe tanto da ridere, percioche per lo piu i Filosofi furono huomini honesti, & inventori delle buone arti. Ma gli indotti si ingannano, attento che, se a bastanza intendessero i versi de i Poeti, avvertirebbono tutti non Simie, ma di esso numero de Filosofi essere computati, non essendo da loro nessuna altra cosa sotto velame Poetico nascosta, eccetto, che conforme alla filosofia, secondo l'openione degli antichi. Oltre ciò, il semplice imitatore in alcuna cosa non s'allontana dai vestigi dell'imitato; il che punto nei Poeti non si vede, conciosiache, se bene non escono dalle conclusioni Filosofice, nondimeno per quella istessa via non tendeno a quello. Il filosofo, come chiaramente si vede, con i silogismi reprova quello, che men vero istima, & nella istessa forma approva quello, che intende, & questo apertissimamente, si come puote. Il Poeta quello, che ha conceputo con la imaginatione sotto velame di fittione (levati in tutto i silogismi), quanto piu artificiosamente puote nasconde. Il Filosofo è stato solito in stile di prosa, come le piu volte, & facendo anco quasi poco conto del suo ornamento scrivere le sue cose. Il Poeta in verso, con grandissima cura ricercando ornamento notabile, ha fatto i suoi poemi. Oltre ciò, egli è cosa propria de' Filosofi disputare nelle Accademie, & dei Poeti cantare nelle solitudini. Onde queste cose non essendo tra sé conformi, il poeta non sarà, come dicono, Simia del filosofo. Ma se dicessero, che fossero Simie della natura, si potrebbe forse con animo piu giusto sopportare, attento, che il Poeta iusta il suo potere si sforza descrivere in famosi versi tutto quello ch'ella opra, & tutto quello, che per operatione sua perpetua si opra; il che se questi vorranno riguardare, vedrano le forme, i costumi, i parlari, gli atti di tutti gli animali, & i meati del Cielo, & delle stelle, gli empiti de i venti, i sonori strepiti delle fiamme, i rumori dell'onde, le altezze dei monti, l'ombre de' boschi, i corsi de i fiumi tanto apertamente descritte, che quelle istesse cose penseranno in poche letterine di diversi essere locate. In questo confesserò io i Poeti [essere simie; il che io tengo honoratissima cosa, cioè con l'arte sforzarsi imitar quello, che per potenza opra la natura. Ma, che tante cose? Sarebbe meglio a questi tali oprare, se potessero, che noi insieme con loro divenissimo Simie di Giesù Christo, che farsi beffe dei non conosciuti Poeti, avenendo spessissime volte, che quelli, che tentano l'altrui pizzicore graffiare sentano anco le altri ugne con ansietà insanguinarsi del loro.

 

[Ch'egli non è mal fatto nè peccato mortale leggere i libri dei Poeti.]

Questi arbitri della giustitia, anzi ingiustitia, con ardente rabie desiderando la rovina del Poetico nome, come quasi contra lui havessero detto poco, ad alta voce gridano con simile gracchiare; O famosi huomini; ò riscossi col sangue divino; ò grato popolo a Iddio; se punto di pietà, se punto di divotione, se punto di amore della Christiana religione, & se punto di tema d'Iddio è in noi, gittate nelle fiamme questi infausti libri de' Poeti, abbrugiateli, & date le loro ceneri a serbare ai venti, percioche l'haverli in casa, leggerli, & ad alcun modo anco volerli vedere, è mortal peccato. Empiono l'anime di mortal veleno, traheno voi nell'Inferno, & in eterno vi fanno essuli del regno celeste. Dopo questo inalzando i gridi adducono in testimonio Girolamo, il quale dicono, che dice nella Pistola a Damasso del figliuolo prodigo;  I versi dei Poeti sono cibo dei demoni. Et con queste, & molte altre simili cose, con la gola gonfiata intonano gli auditori ignoranti: O pietà. O antica fede. O gran patientia d'Iddio, che sopporti? Perche, ò fattor delle cose, nelle dritte torri, perche nelle alte cime dei monti drizzi i folgori? Questi, Santissimo Padre, sono da ferire, i quali con la lingua piena d'inganni, & con bugiarda ruina d'altri, & spesse volte innocenti, si usurpano la gloria vana. I medici con la terra cuopreno i suoi errori; questi con le prohibitioni et fiamme si sforzano celare le loro ignoranze. Qual semplice huomo udirà questi tali, che non istimi i Poeti essere dannosissimi huomini, inimici del nome divino, imitatori dei demoni, crudeli, malefici, & sempre attori di opre inique, ne' quali non sia nessuna cura delle buone arti, nessuna pietà, nessuna fede overo santità?, & cosi per opra, & iniquità di questi ignoranti, i famosi huomini conseguiscono quella ignominia, che non meritarono mai. Ma spero, che Iddio una volta il vedrà. Ma noi veggiamo possendo quale sia questa si mortale iniquità, che questi tali gridano essere commessa se si tengono, veggono ò leggono i versi dei Poeti; quelle cose, che in sé contengano i loro libri, quello che persuadano, quello, che dannino, & quello, che insegnino, egli si ha a bastanza dichiarato di sopra. Ma lasciate quelle, voglio, che contra la verità quelli scrivano tutte le cose scelerate, & le persuadano ai lettori. Che sarà poi? Furono huomini Gentili, non conobbero Iddio, innalzarono la sua religione da loro istimata vera, & mandarono in luce fittioni, che spesse volte portarono nel suo ventre gratissimi, & lodevoli frutti. Ma, che poi? Prego questi eccellentissimi esclamatori, mi dicano se a quelli sia vietato da alcuna antica overo nuova dottrina descrivere in qual Stile, che volessero le scelerità dei loro dei? Non veramente credo nè anco al Christiano, che finga, mentre la dirittamente intesa fittione contra la catolica verità dichiarata non partorisca cosa, che vietata sia. Se le leggi, i Profeti, nè le sacre institutioni dei Pontefici ciò non ti prohibiscono, che male è tenerli, & leggerli? Diranno, perche con la dolcezza loro sono seduttori delle menti. A questa obiettione poco innanzi si ha risposto. Ma se sono cosi debili, & di picciola levatura si guardino, ricordandosi dell'antico proverbio, che diceva: Colui che ha l'elmo di vetro non entri nella battaglia dei sassi. Nondimeno, confesso anco piu oltre essere meglio studiare i sacri libri, che questi, ancora, che fossero perfetti, & tengo, che chi gli studiano fanno meglio, & sono piu accetti a Iddio, & la Chiesa. Ma non tutti nè sempre siamo guidati da un medesimo affetto, & cosi talhora alcuni sono guidati ai Poetici; onde se vi siamo condotti, overo volontariamente ci incorriamo, che peccato, & che male è questo? Possiamo senza danno udire i costumi barbari se vogliamo, raccorre essi barbari, alloggiar quelli, se ci la dimandano farli ragione, far amicitie seco, ma leggere i libri dei Poeti (se a Dio piace) da questi dottissimi huomini ci è vietato. Nessuno non ci prohibisce, che non ricerchiamo i mortali errori di Manicheo, Arrio, Pelasgio, & degli altri heretici, affine, che gli conosciamo; ma egli è cosa horrenda, anzi, come questi gridano, mortale, leggere i versi Poetici. Possiamo anco riguardare i dishonesti gioculatori, che per lo piu fanno scelerati giuochi nel mezzo delle strade, udire nei conviti gli histrioni, che cantano cose inique, & patire i ruffiani, che nei lupanari bestemmiano; nè per ciò siamo tratti nel centro dell'Inferno. Ma il leggere i Poetici poemi ci fa privi del regno eterno. Al depintore anco nelle sacre chiese è lecito depingere il cane Tricerbero, che fa la guardia alla porta di Plutone, Cheronte nocchiero, che solca il fiume Acheronte, le Erinne cinte d'ire, & armate d'ardenti faci, & esso Plutone prencipe del regno infernale, che tormenta i dannati; ma ai Poeti l'haver scritto le istesse cose in verso è scelerità, & irremissibile peccato a chi le legge. All'istesso Pittore è conceduto nelle sale dei re, & degli huomini nobili depingere gli amori degli dei antichi, & le scelerità degli huomini, & ogn'altra sua inventione senza divieto alcuno, & questo è concesso, che sia veduto da ciascuno secondo il piacer suo; ma le inventione dei Poeti, limate di ornate lettere, & lette piu dai saggi, vogliono, che occupino le menti, che non fanno quelle mirate dai sciocchi. Che tante cose? Confesso ch'io manco volendo, s'io potessi, conoscere con quai forze, & con qual potenza l'edace malignità, & l'ignoranza habbia potuto spingere questi cianciatori in cosi gran pazzia. Almeno dovrebbono havere saputo, che il Vaso d'Elettione ci ha lasciato. Che il sapere il male non è male, ma l'operarlo. Et essi novissimi precettori, credo per essere tenuti dalle sue donnicciuole piu prudenti, & per conseguirne piu grasse schiacciate, non si vergognano dire non dirò sapere, ma leggere i Poeti essere cosa dannosissima. O noiosa cosa da udire, ancora, che fossero in tutto da sprezzare i Poeti. Sarebbe cosa iniqua, se tu vedessi nel fango una pietra pretiosa, & raccorla, come quasi il fango, che si gitta via l'havesse fatta meno pregiata? Nè si vergognano questi interpreti con questa sua prosontuosa, & generale prohibitione volere della verità essere fatta bugia, se talhora haverà parlato il poeta; anzi a bocca aperta negano, che l'habbiano detta. Egli è cosa da ridere sentire il diavolo, inimico del genere humano, talhora haver potuto dire qualche buona parola, ma i Poeti, come, che contra la conscienza poco dianzi habbia conceduto, che siano cattivi, benche forse in alcuni non vi] si potria opporre di ragione nessuna cosa dishonesta eccetto la Gentilità, non haver potuto dire pur una buona parola; da i sacri huomini anco talvolta è chiamato in testimonio il diavolo; ma l'havere invocato un Poeta, per l'auttorità di questi oppositori è irremissibile peccato. Ma hora prego, che questi riprensori, & preconi dell'essilio de i Poeti mi dicano, che piu della Filosofia può havere peccato la Poesia. Certamente la Filosofia è ricercatrice della verità. Della ritrovata poi sotto velame fidelissima serbatrice ne è la Poesia. Se quella sente le cose meno, che diritte, questa non ha potuto haver serbato il giusto. Perch'ella è servente della padrona, & è di necessità, che segua i suoi vestigi. Se quella esce di strada, che anco questa pigli cattivo camino la necessità la constringe. Che è adunque, se a bocca piena allegghiamo i filosofi Gentili, serbiamo le loro sentenze, & non fermiamo alcuna cosa se non quasi fortificata dalla sua auttorità? Sappiamo, che abborriscono i detti de i Poeti, & biasimandoli li condenniamo. S'inalza Socrate, s'honora Platone, & si riverisce Aristotele, per lasciare gl'altri da parte, che tutti furono Gentili, & molte volte huomini irreprobabili per le false openioni. Homero da i nostri oltraggiatori si scaccia, si danna Hesiodo, & si disprezza Marone, & Flacco, i cui figmenti in se non hanno altro, che le loro disputationi. Onde perche studiano i loro volumi, & da quelli benche con difficultà, nol patendo l'ingegno, alcuni principij ne hanno compreso, lodano quelli come se gli havessero intesi; ma perche non intendendo la profondità degli scritti de i Poeti, gli sprezzano, & abhorriscono. Nondimeno gridino, latrino, commandino, & persuadino quello, che vogliono, se gli scritti de i Filosofi, se i fatti dei barbari, & le perfidie degli heretici si ponno leggere, anco i volumi dei Poeti senza peccato nè offesa di Dio nè del mondo si ponno leggere, tenere, & udire, con la mente tuttavia però intiera, & costante; accioche dicendo quelli alle volte alcuna cosa in approvatione della fede loro Gentile, i lettori, come stranieri non si lasciassero da quella macchiare. Hora ci resta all'ultima parte de loro gridi un poco piu valorosamente, & con piu lungo parlare da opporsi, perche con questa, cavata dall'autorità d'un famosissimo & santissimo huomo, si credeno haver fermato tutte l'altre prime. Dicono adunque esclamando le parole di Girolamo a Damaso Papa;  I versi dei Poeti sono cibo dei demoni. Il che, se a bastanza havessero inteso, vedrebbono anco da noi essere stato fermato, & spetialmente dove già innanzi una volta, & un'altra habbiamo detto esser stata dannata, & confutata la sporcitia de i Comici. Ma perche senza fare nessuna distintione dei Poeti, offuscati dalla nebbia dell'invidia, ciecamente fanno empito in tutti, egli è da abbassare la loro ignoranza, & essi sono da porre in perpetuo silentio. Se adunque le Pistole, se i volumi, & se questa medesima auttorità, che producono non per testimonio di Girolamo ò d'alcuno altro, che vogliano essere stati condennati i Poeti, studiosamente havessero letto, certamente havrebbono trovato queste parole dichiarate dà Girolamo et appostovi il suo senso, & anco la obiettione, che fanno cosi libera, & specialmente l'havrebbono trovata dichiarata nella figura della donna captiva col capo raso, senza la veste, con l'ugne tagliate, & con i peli cavati da essere data in matrimonio all'Israelita. Et se non vorranno essere piu religiosi ò piu delicati de i santi Dottori, troveranno questo cibo di Demoni non solamente non gittato via, nè come commandato posto nelle fiamme, ma con diligenza conservato, maneggiato, & gustato da Fulgentio, dottore, & Pontefice Catholico, come si vede in quel libro da lui chiamato delle Mithologie; nel quale con elegante stile ha descritto, & esposto le favole de i Poeti. Medesimamente troveranno Agostino, famosissimo Dottore, non haver havuto a schifo la Poesia nè i versi Poetici, anzi con diligenza, & vigilanza havergli studiato, & inteso; il che volendo non potrebbono negare, attento, che spessissime volte nei suoi volumi il santo huomo vi induce Virgilio, & altri Poeti, nè quasi mai noma Virgilio senza alcun titolo di lode. Cosi, per dirlo di novo, trovarebbono Girolamo, Eccellentissimo, & santissimo Dottore, & di tre lingue maravigliosamente instrutto, il quale questi tali cercano produrlo per testimonio della sua ignoranza, con tanta diligenza havere studiato i versi dei Poeti, & havergli serbato nella memoria, che pare, che non habbia quasi mai alleggato alcuna cosa senza il loro testimonio. Riguardino, se no'l credano, tra l'altre sue opre il Prologo di quel libro, che tratta delle Hebraiche Questioni, & vi mettino consideratione, se si accorgeranno egli essere stato tutto Terentiano. Et riguardino anco se spesissime volte induce ad un certo modo come quasi suoi affermatori Horatio, & Virgilio, et non solamente questi, ma Persio, & altri. Leggano appresso la di lui facondissima Epistola ad Agostino, & veggano se in quella tra gli huomini Illustri l'huomo dotto vi annoveri i Poeti che essi con tanti gridi, se potessero, si sforzano confondere. Ma se no'l sanno rilegganno gli Atti degli Apostoli, & sentino se Paolo ha studiato, & conosciuto i versi Poetici. Troveranno certamente, che a lui, disputando contra le ostinatione degli Atheniesi, non venne a noia servirsi del testimonio dei Poeti. Et anco altrove egli usò di versi di Menandro Comico, mentre dice;  I cattivi parlamenti corrompeno i buoni costumi. Et se bene mi ricordo allegga un versetto d'Epimenide Poeta, il quale apertissimamente si potrebbe dire contra questi, dicendo;

 


I Cretesi mai sempre son bugiardi,

Son male bestie, & hanno i ventri pigri.


 

Et cosi anco quello, che fino al terzo Cielo fu rapito, il che questi piu Santi vogliono che sia peccato, overo cosa iniqua, fu tenuto havere letto, & imparato versi di Poeti. Oltre ciò, ricerchino quello, che s'habbia scritto Dionisio Ariopagita, discepolo di Paolo et egregio Martire di Christo, nel suo libro della Gerarchia Celeste. Secondo la sua intentione veramente dice, persegue, & approva la divina Theologia nella fittione Poetice, si come tra l'altre cosi dicendo;  Ma molto arteficiosamente la Theologia si è usata, nelle sacre Poetice formationi, in non figurati intelletti, rivelando, come s'è detto, l'animo nostro, & ad esso con la propria, & conietturale guida provedendo, & ad esso riformando le Sacre Scritture. Indi, segue molte altre cose, che segueno dietro questa sentenza. Et per lasciare ultimamente gli altri ch'io contra la bestialità di questi potrei addurre, non ha esso Signore, & Salvator nostro parlato molte cose in Parabole convenienti allo stile Comico? Non ha egli verso Paolo prostrato usato delle parole di Terentio, cioè;  Egli ti è cosa dura calcitrare contra lo stimolo . Ma sia da me lontano, che istimi Christo haver tolto queste parole da Terentio; benche molto prima fosse di quello, che fossero dette queste parole. A me basta assai, per fermare il mio proposito, il nostro Salvatore haver voluto, benche sia sua parola, & sentenza, tal detto essere stato proferito per bocca di Terentio, accioche in tutto si deggia i versi dei Poeti non essere cibo del Diavolo. Che diranno hora questi illustri sbagliafoni? Grideranno ah? Si leveranno contra i versi de i Poeti, essendo reprovati dal suo medesimo testimonio?, & anco essendo ripulsi et vinti dal testimonio di molti santi huomini? Veramente esclameranno, percioche la loro rabie è invincibile; ma quanto giustamente, Tu Ottimo Re tel vedi, & se'l veggono quelli a quali la ragione è piu amica, che non è ostinata la durezza di questi tali. Ma a questi, che dannano cosi absolutamente, Iddio giustissimo giudice gli renderà una volta il merito della invidia, & a loro sarà misurato di quella istessa misura della quali eglino ad altri misurano.

 

Che tutti i Poeti secondo il comandamento di Platone non sono da essere cacciati dalle Città.

Egli ha paruto poco ai nostri maligni lo haver posto ogni suo sforzo per scacciar i Poeti (se havessero potuto) dalle case, & mani degli huomini; & però, ecco, che con un'altra schiera fatta di nuovo fanno empito, & armati dell'auttorità di Platone con scelerata gola mandano fuori sonore voci, dicendo per commandamento già di Platone i Poeti deversi cacciare dalle Città; indi; per sovenire dove manca Platone v'aggiungono, accioche con le sue lascive non corrompano i costumi civili. Alla quale oppositione, se bene a bastanza pare, che di sopra vi sia stato risposto, non mi rincrescerà di nuovo piu ampiamente haverli risposto. Confesso adunque essere grandissima l'autorità di questo Filosofo, nè essere da sprezzare, se dirittamente viene intesa. Del cui senso questi veramente ò nulla ò il contrario tengono, come si vedrà. Nondimeno, a quelli si ha dimostrato, che i Poeti volontariamente habitano nelle solitudini; laonde gli chiamavano montani, & huomini rozzi. Ma se poi per forza habitassero nelle Città, che direbbono questi iniqui? Direbbono, che sono tiranni. Ma s'hora volessero rivolgere la sententia, & chiamarli habitatori delle Città, egli è falso. Si ritrova, che Homero tra l'aspro degli scogli, & le montagne dei boschi, doppo l'havere cercato il Mondo, con estrema povertà habitò nel lito delli Arcadi, dove veggendovi con la mente, ma nondimeno infermo del lume degli occhi, dette quelli grandi, & maravigliosi volumi non politi dall'Hibileo, ma dal Castalio mele, della Iliade, & dell'Odissea. Virgilio poi, d'ingegno non minor d'Homero, sprezzata la città di Roma allhora Reina del Mondo, & lasciato Ottaviano Cesare Monarca di tutto il mondo, della cui amicitia molto si dilettava, si ricercò non lontano da Napoli inclita città di Campania, che allhora anco era non poco abondante di delitie, & otio, un separato luogo vicino al quieto, & solitario lito (come diceva Giobanni Barillo, huomo di gran spirito) tra il promontorio di Posilibo, & Pozzuolo, antichissima colonia de' Greci; da cui quasi mai nessuno, se non lo ricercavano, non andava. Nel qual luogo, dopo i versi della Georgica, cantò la celeste Eneida; della quale eletta solitudine volendo Ottaviano lasciare testimonio, & memoria, havendo fatto portare da Brundusio le ossa dell'istesso Virgilio, non lontano dalla eletta solitudine le fece sepellire, presso quella via, che al dì d'hoggi si chiama Puteolana, accioche morte giacessero ivi vicino dove lo spirito vivendo si havea eletto l'habitatione. Et accioche sempre non discorriamo per le cose antiche, le quali ancor che facilmente, benche siano con degno testimonio fermate, sono da questi repugnanti negate, Francesco Petrarca, veramente huomo divino, & nell'età nostra famosissimo Poeta, sprezzata la Occidentale Babilonia, & la benivolenza del Pontefice Massimo, la quale quasi tutti i Christiani grandemente desiderano, & procurano, & di molti Cardinali, & altri Prencipi, non se ne è andato in Valchiusa, solitudine famosa, & luogo della Francia, Dove la Sorga Re dei fonti nasce; & ivi quasi tutta la sua fiorita gioventù, contento del solo servitio d'un suo famigliare, considerando, & componendo ha speso? Veramente egli ciò ha fatto. Vi sono i vestigi, & vi staranno lungamente; una picciola casa, un orticello, & mentre a Dio piace, ci viveno molti testimoni. Se adunque, per piu non ne nomare, egli è cosi, per Dio egli è poco bisogno, che in ciò nessuno s'affatichi per lui oltre cacciare i Poeti dalle Città. Vorrei nondimeno intendere da questi se istimano, che Platone, quando scrisse il libro della Republica, nel quale si commanda questo ch'eglino dicono, intendesse di Homero, cioè, che se quella Città gli fosse piacciuta, ei ne fosse da esser cacciato. Non so quello, che siano per rispondere, ma io non lo credo, havendo già letto di lui molte cose da essere lodate, percioche le sacratissime leggi de i Cesari il chiamano padre di tutte le virtù; & spessissime volte i latori di quelle, per farle degne di maggior riverenza, & fermarle con un certo sacrosanto testimonio, tra quelle de' versi d'Homero alcune volte hanno messo, si come nella fine del Proemio del Codice di Giustiniano si legge un verso della Iliade, & nel medesimo sotto il titolo de iustitia, & iure , et cosi anco nel contrahenda emotione, & de Legatis, & fidescommissis, & in molti altri luoghi, si come chi no'l crede il può vedere nella Pandetta Pisana. Oltre ciò, molte famosissime Città della Grecia, essendo anco morto, & povero, vennero per lui in contentione, volendo ciascuna, che fosse suo Cittadino; & sopra ciò ne mossero lite, si come chiaramente si può comprendere per le parole di Cicerone nella Oratione per Archia, dove dice;  i Colofoni dicono, che Homero è suo Cittadino, i Chij se l'usurpano, I Salamini il dimandano, ma i Smirni confermano ch'egli è suo, di sorte, che anco nel suo Castello gli edificarono un Tempio; & molti altri medesimamente tra se per lui contendono. Il che anco si vede testimoniare da certi antichissimi divulgati versi tra i dotti, i quai ricordomi havere letto cosi;


Sette cittadi litigan d'Homero

Samo, con Smirne, Colifonte, e Chio,


Indi Pilo, con Argo, & con Athene.

 

Poscia, esso Platone nel medesimo libro della Republica, & in altri spesse volte produce questo in testimonio delle sue conclusioni. Se adunque dalle leggi è tenuto padre, se ornamento di quelle, se anco dimandato per cittadino da tante Città, & se da esso precettore Platone prodotto per testimonio, egli è cosa pazza pensare l'istesso Platone haver commandato da prudentissimo huomo Poeta dover essere cacciato dalla Città. Oltre ciò, per questo editto di Platone istimaremmo Ennio dovere essere scacciato dalla Città, il quale della povertà contento fu tanto caro per la virtù sua a' Scipioni, huomini non solamente per armi, guerre, et sangue illustri, ma famigliarissimi della Filosofia, & per Santi costumi famosissimi, che anco doppo la sua morte vollero le ceneri di quello essere locate presso quelle dei suoi maggiori, & sepolte nella sua archa? Se questi se'l credono, no'l crederò io; anzi tengo, che Platone havrebbe desiderato la sua Città essere ripiena di tali huomini. Che diremo poi di Solone, il quale, date le leggi agli Atheniesi, benche già fosse vecchio si diede alle cose poetice, diremmo dovere essere cacciato dalla Città colui, che ridusse la Città scorretta in vita, & costumi civili? Che poscia del nostro Virgilio, del quale (per lasciare il resto) la faccia tanto si arrosava per vergogna d'ogni dishonesta parola, che tra gli altri dell'età sua udiva a dire, & di maniera se ne vergognava la mente sua, che per ciò anco giovane, ne fu chiamato Parthenia , che latinamente risuona vergine ò verginità? di cui tanti sono i ricordi, che ci persuadeno alla virtù (si come spesse fiate già s'è detto) quante sono le parole dei suoi versi; onde, accioche non si abbrusciasse quella divina opra, si come egli morendo haveva comandato, Ottaviano Cesare Augusto, lasciato da parte le cure del grandissimo Imperio, non pure ciò fare s'oppose contra le leggi, ma anco vi compose que' versi, che fino al dì d'hoggi si leggono, & che dinanzi habbiamo recitati. Del quale medesimamente fino al presente appresso Mantovani con tanto honore è celebrato il nome, che non potendo honorare quelle ceneri tolteli da Ottaviano secondo il disio loro, quel antico suo poderetto, a guisa d'un huomo, che viva, da lui nomato honorano, & riveriscono, & a' giovani figliuoli i vecchi padri il dimostrarono come una cosa sacra, & degna di riverenza. Indi a' stranieri, che ivi capitano, come quasi per aggrandire la loro gloria, non senza grandissimo testimonio di virtù il fanno vedere, & di lui parlano. Adunque noi crederemo, che Platone volesse questi virtuosissimi huomini, & gloria de i luoghi essere cacciati dalla Città? O stolto Capitolo. Potrei dire molte cose di Persio Volterrano, & di Giuvenale d'Aquino, per le quali si vedrebbe chiaramente non essere stato intentione di Platone questi tali essere da cacciare dalla Città. Ma l'animo mi guida a narrare le vedute, & produr di quelle, che da questi non si possano negare nè gittare doppo le spalle. Crederò adunque Platone essere stato si pazzo che havesse giudicato Francesco Petrarca dover essere cacciato dalla Città; il quale dalla giovanezza sua facendo vita casta, di maniera abhorrisce le sporcitie veneree, che a chi il conosce egli è santissimo essempio d'honestà; di cui la bugia e mortale inimico; il quale è rifutatore di tutti i vitij, & venerabile arca di verità, splendore di virtù, e regola di Catholica santità. Pio benigno, divoto, & talmente vergognoso, che merita essere chiamato un'altro Parthenia . Egli è, appresso, gloria della facultà poetica, & Orator soave, & facondo. Al quale essendo manifesto tutto il seno di Filosofia, ha un ingegno oltre uso humano acuto, una memoria tenace, & la cognitione piena di tutte le cose, quanto mai in huomo sia possibile. La onde tutte le opre sue, cosi in prosa come in verso, che molte ve ne sono, risplendeno con tanto lume, hanno tanto soave odore, sono riguardevoli per tanti fioriti ornamenti & dolci per la eleganza delle gravi parole, & saporite per lo maraviglioso suco delle sentenze, che sono tenute piu tosto essere fatte con arteficio d'ingegno divino, che humano. Che dirò tante cose? Veramente egli avanza l'huomo, & di gran lunga trapassa le forze de' mortali; nè io predico queste lodi come quasi ch'io commendi un huomo antico, & già molti secoli morto, anzi riferisco i meriti (mentre piace a Dio) l'uno, che vive, & vale. Il quale, famosi laceratori, se non credete alle mie parole, con la fede degli occhi potete vedere. Nè dubito, che di lui avenga quello, che molte volte è accaduto a' famosi huomini, come dice Claudiano.

 

La presenza minor rende la fama.

 

Anzi arditamente affermo, che la di lui presenza aggrandirà la fama, tanto è notabile, per la maestà dei costumi, per la facondia della soave eloquenza, & per la piacevolezza, e per la ben composta vecchiezza; onde di lui si potrebbe dir quello, che di Socrate si legge in Seneca Filosofo morale, cioè, Gli auditori suoi haver cavato piu dottrina dai suoi costumi, che dalle parole; & per tacer una volta di questo famosissimo huomo: prego, che questi mi dicano se questi tali Poeti saranno cacciati da Platone fuori della città? Et se simili sono cacciati, vorrei mi allegasse quali cittadini ei sia per introdurvi? piglierà forse dei ruffiani, de i gnatoni, de' parasiti, de' lussuriosi, de gli ubbriachi ò de' degni delle forche, e simili a loro? O Felice, ò longamente per durare Republica di Platone, se caccia i Poeti, & habbia questi Cittadini ministri dei costumi, et vite de gli huomini. Ma sia lontano ch'io pensi il dottissimo huomo haver inteso questo ch'eglino interpretano; anzi tengo, & i famosi Poeti, et tutti gli altri simili a loro non tanto essere Cittadini delle Città, & della sua Republica, ma Prencipi, & maestri. Ma questi stomacosi diranno, se non questi, quali adunque comanda Platone Poeti esser cacciati? A tali sarebbe da risponder, cercatelo voi, censori da poco. Nondimeno, perche egli è d'havere compassione all'ignoranza di ciascuno, & benche male se l'habbiano meritato, tuttavia è da havergliela, si come a tutti i licori hanno la loro feccia, la quale è da gittare, et il licore da serbare, cosi anco è l'stesso delle facultà, e scienze, le quali si debbono raccorre, & pigliare il licore lasciando la feccia. Percioche qual cosa è piu vera della Filosofia, maestra di tutte le cose? Questa, per tacere degli altri, hebbe i Cinici, & gli Epicuri, i quali involti in scelerati errori si sono quasi sforzati in alcune cose quasi dishonestarla: di maniera, che parvero piu tosto di lei inimici, che ministri. Ma dimando se per questi tali diremmo esser da scacciar Xenocrate, Anaxagora, Panetio, et altri di questo titolo ornati? Questo sarebbe ufficio di stolto, & ignorante. Qual cosa è piu santa della religion Christiana, & questa ha havuto i Donatisti, i Macedoni, i Photini, & altri heretici di piu fetida feccia macchiati; ma nondimeno per questi non diciamo esser profani nè scelerati Basilio Cisariese, Giovanni Chrisostomo, Ambruogio Melanese, Leone Papa, & altri sacri, et venerabili huomini. Cosi anco la Poesia, per tacer dell'altre, hebbe la sua feccia, & vi furono alcuni, che sono chiamati Poeti Comici, tra quali, se alcuni ve ne furono di honesti, vi fu, come Plauto, & Terentio, che per lo piu sono paruti con le loro vergognosissime inventioni macchiare la splendida gloria della Poesia; & a questi si può alle volte aggiungere Ovidio. Questi veramente, ò per la innata lascivia della mente ò per disio di guadagno, ò per lo piacer commune del volgo, composte le sue favole le recitavano nelle scene con poca riverenza de i costumi; onde i petti lascivi erano incitati alle scelerità, & la virtù di constanti era travagliata, & quasi tutta la disciplina dei costumi declinava; et quello ch'era piu dannosissimo, come, che la religione Gentile tra l'altre cose sia da sprezzare, haveano ridotto i popoli a cosi scelerati spettacoli di sacrifici ch'eglino istessi se ne vergognavano. Simili Poeti anco, si come è stato detto per inanzi, non solamente abhorrisce la Religion Christiana, ma anco essa Gentilità gli rifiutò. Questi veramente istimo esser quelli, che Platone commandò, che fossero cacciati dalla Città; ma io tengo, che non pure dalla città questi tali, ma dal mondo debbano essere cacciati. Ma per questi deve essere cacciato Hesiodo, Euripide, Statio, Claudiano, & simili? Io penso di non. Questi adunque facciano distintione, & se non sono macchiati d'odio non degno piglino i male meriti, lasciando in suo riposo, & pace i notabili.

 

Che le Muse non ponno essere oltraggiate per lo difetto di nessuno ingegno lascivo.

Ultimamente, Inclito Re, questi, che bestemmiano il Poetico nome, mossi da scelerità temeraria, hanno havuto ardire entrare nei sacri silentij, nei rimotti additi dell'antro Gorgoneo, nelle honeste stanze della poesia, & nei Chori, & divini canti delle Vergini, & con discordanti gridi quei turbare; & indi armati di quelle parole di Boetio, santissimo, & famosissimo huomo, che si leggono cerca il principio di quel suo libro della Consolatione, dove fa parlare la Filosofia, & dire;  Chi ha lasciato andar da questo vecchio queste scenice meretrici, le quali non pure rimediarebbono ai suoi dolori con alcuno aiuto, ma con dolci veleni piu gli nodrirebbono? Et quello, che segue, empire con alte voci il tutto, non altrimenti, che se fossero vittoriosi; cercando, se potessero commover le innocenti menti con ignominiosi oltraggi, non intendendo già quello, che vogliano dire quelle parole di Boetio. Percioche riguardando solamente la corteccia, sgridano queste pudicissime donne non altrimenti, che se fossero femine di carne, perche i loro nomi sono feminili, esser dishoneste, scelerate, venefice, & meretrici, & facendole come vili meretrici tengono anco che elle stiano prostrate nel mezzo de i fornicatoi a petitione della feccia del volgo. Nè questo gli basta, anzi di quì vogliono, che anco i Poeti siano huomini dishonesti, cosi facendo il loro argomento. Se le Muse per testimonio di Boetio sono meretrici, sono dishoneste donne, & cosi è necessario, che quei a quali sono famigliari siano huomini dishonesti, attentoche l'amicitia, ò famigliarità non si può congiungere, nè stare eccetto per conformità di costumi; che elle siano famigliarissime di Poeti, egli si vede chiaramente anco per li propri suoi versi; & cosi (come già è stato detto) sono huomini dishonesti. Vedi verso qual fine, prudentissimo Re, tenda la vana astutia di questi tali? ma sia come ella si voglia, con la verità bisogna confonderla. Quante adunque, quai siano, & di quali nomi ornate le Muse, & quello, che per loro habbiano compreso gli huomini illustri, (se bene mi ricordo) l'ho dimostrato nell'undecimo libro di questa opra. Ma fin'hora non restando acquetata la loro iniquità, alquanto egli è da affaticarsi. A bastanza istimo, che si possa dalle cose per innanzi cittate comprendere di due sorti essere la specie de i Poeti, delle quali l'una è venerabile, lodevole, & sempre agli huomini pij grata. L'altra poi è vile, vergognosa, et scelerata, & è quella di quei Poeti che per innanzi ho detto meritare dal Mondo non, che dalla città essere cacciati. Il medesimo si può dire delle Muse, delle quali si può affermare, che uno sia il genere, & due le spetie. Percioche conceduto, che ciascuna di loro di quelle medesime forze, & istesse leggi attuamente usi, veggendo, che da gl'atti diversi si cavano diversi frutti, cioè di qui l'amaro, & di qui il dolce, non inconvenevolmente possiamo pensare che una sia honesta, & l'altra dishonesta. L'una adunque di queste da essere lodata con tutti i titoli habita nelle selve d'Allori, & nel fonte Castalio, & in tutti i luoghi, che conosciamo per Religione degni di riverenza; è amica di Febo, va ornata di fiori, & ghirlande, & è molto notabile per la dolcezza del canto; & soavità della voce. L'altra è quella, che guidata dai Poeti comici habita nelle scene, ne i Theatri, & nelli spettacoli, & con scelerate fittioni per mercede si mostra benigna al volgo vile, et di niuno ornamento lodevole è illustre. Questa non mitiga nè sana le malattie de gl'infermi con la consolatione delle virtù, nè con salutiferi nè sacri rimedi, ma con querele, & gemiti sino alla morte gli innalza con quella dilettatione con la quale si dilettano i presi dalle passioni. La onde a bastanza ponno vedere gli inimici dei Poeti quello, che non sapevano, cioè, che Boetio mentre gridava le Muse essere meretrici egli havere voluto intendere della triviale specie delle Muse; & però disse Scenice meretrici, il che chiarissimamente questi oppositori havrebbono potuto vedere se havessero inteso quello, che dopo poche parole detto dalla Filosofia si legge. Dice in tal modo;  Ma lasciatemelo da curare, & sanare alle mie Muse. Et accioche piu chiaramente si vedesse ch'egli parlava della seconda specie delle Muse, molte volte nei seguenti scritti la Filosofia introduce alla cura, & consolatione di Boetio le dilettationi dei versi et le fittioni poetice. Adunque, poscia, che la Filosofia al suo arteficio congiunge quelle, egli è da tenere, che siano honeste; & se sono honeste, & anco quei a' quali sono famigliari (si come vuole la produttione di questi tali) è di necessità, che siano honesti huomini; di che le Muse vengono ad essere honeste, & i Poeti sono honestissimi; onde invano questi tali si sono sforzati con vergognosa infamia infamare, & quelle & questi. Percioche le Muse non ponno essere oltraggiate perche l'ingegno del poeta sia cattivo, & lascivo, che allhora questa sorte di Muse, che a loro favorisce non è la buona nè la vera.

 

Ragionamento dell'Autore al Re.

Con quelle ragioni, che io ho potuto, Clementissimo Re, ho ributtato le oppositioni di questi maligni, & iniqui huomini; & se io non havessi havuto riguardo all'honestà mia, mi sarei rivolto con piu ree parole, & acuti stimoli contra la vita, & costumi suoi. Nondimeno, tengo ch'eglino diranno oltre le dette molte altre cose, a tutte le quali volendo rispondere la oratione andrebbe troppo in lungo; & la troppo abondanza delle parole molte volte rincresce a gli ascoltanti mediocri, non, che agli animi reali involti in maggiori affari. Et però, per non essere noioso a tua Maestà, & non parere, che io voglia cacciare questi oltre i confini del mondo, essendo piu tosto da havere compassione alla loro ignoranza, che da proceder contra la loro meritata ruina, ho in animo far fine, & far cosa, che essi non farebbono, cioè con gratia tua inanzi il fine di questo libro deporre ogni mia ira, & giusto sdegno, perdonando alla loro malignità, & parlando verso loro con amichevoli parole, per vedere se forse io potessi cangiare in meglio il suo consiglio, & openione.

 

Preghi dell'Autore verso gli inimici del Poetico nome per ridurli a miglior openione.

Voi adunque huomini prudenti, se sete saggi, vi prego, mettete giù l'ire, & acquetate i turbati petti. Assai, anzi troppo tra noi si ha con odio combattuto. Voi sete stati i primi, che contra i nocenti havete mosso l'armi per cacciarli del Mondo. Io all'incontro v'ho opposto il petto con tutte le forze mie (con l'aiuto d'Iddio, & dei loro meriti) accioche i benemeriti non fossero cacciati dai contrari inimici, benche se eglino venissero contra voi in egual campo, con tardo pentirvi conoscereste quanto prevagliano alle vostre, & mie forze. Nondimeno egli si ha combattuto, & si è venuto a tanto, che con qualche gloria degli offesi, come, che con grandissimo sudore, in tutto si ha alquanto calcato la libidine del vincere, & con giuste leggi si può fare la pace. Facciamola adunque, & volentieri pigliandola diamo riposo alle fatiche. Tra noi si sono dispensati i premi della guerra. Io ne riporto alquanto di dottrina in preda per premio di consolatione; & cosi si ha basciato assai luogo alla pace. Credo che cosi vogliate, perche vi dovete pentire haver cominciato; & però usiamo dei beni della pace. Il che, affin che conosciate ch'io dico di cuore, perche sono stato il primo offeso, sarò anco il primo ad incominciare a mantenere le leggi dell'amicitia, accioche l'istesso anco voi facciate; onde quelle poche cose ch'io vostro amico caritattivamente sono per dirvi, pigliatele con giusto, & tranquillo animo. Eccovi, honoratissimi huomini, che con quelle dimostrationi c'ho potuto vi ho dichiarato, che cosa sia Poesia, la quale voi facevate nulla, quali i Poeti, quale il loro ufficio, & quali i costumi suo; & voi gli sgridavate cianciatori, scelerati huomini, esortatori di peccati, & macchiati di mille mali. Indi ho designato, che cosa siano le Muse, le quale chiamavate meretrici, & forse pensavate, che habitassero nei lupanari. Onde se sono da tanto, & tanto honorati, non solamente non gli dovete biasimare, ma honorargli, con lodi inalzarli, amarli, & studiare i loro volumi per diventar migliori; dal qual bene, accioche non vi ritire ò l'età senile ò l'havere udito le piu famose scienze, sforzatevi di voi stessi poter quello, che di sé non si vergognò poter il vecchio Prencipe, & di tutte le virtù singolar ornamento, Roberto, inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia; il quale già famoso filosofo, & egregio precettore di Medicina, & tra gli altri di quel tempo notabile Theologo, havendo fino al sessagentessimosesto anno dell'età sua fatto poco conto di Virgilio, & chiamatolo insieme con gli altri Poeti (si come fate voi) huomo favoloso, & di niun pregio, lasciatogli l'ornamento di versi, tosto, che udì Francesco Petrarca esporli i sensi segreti de i poemi tutto pieno di stupore se stesso riprese, & si come io stesso l'udì con le mie orecchie affermò, che mai prima non lo havea pensato cosi egregi, & sublimi sensi, & sotto cosi ridicola corteccia come sono le fittioni de' Poeti, haver potuto nascondersi, si come vedeva doppo la dimostratione dello studioso huomo esservi rinchiusi; & con grandissimo cordoglio biasimava il suo ingegno, & disgratia, che cosi tardi havesse conosciuto l'arteficio Poetico. Nè si vergognò, nè puotè esser ritenuto dalla vecchiaia, nè dalla breve futura vita, che, posti da parte gli studi delle splendide facultadi; non incominciasse, per pigliare il pieno senso da Virgilio, dargli opra. Ma la subita morte, che vi s'interpose gli interruppe lo studio; il quale se havesse potuto continuare, chi dubita, che non vi fosse uscito con grandissimo honore de i Poeti, & comodo degli Italiani, che attendeno a tale studio? Che adunque v'arrecarete a sdegno voi accettar quello che ad un Re sapientissimo parve santo? A pena il crederò. Non istimo già, che voi siate Tigri ò fiere bestie, de' quali l'ingegno, come la crudeltà di quelle, non si possa piegare in meglio. Nondimeno, se oltre questa mia credenza pia anco ne i vostri petti dura l'inimico ardore contra i male meriti, almeno per honor vostro, ogni volta, che il pizzicore della lingua vi si spinge a sparlargli contra, vi prego per lo sacro petto della Filosofia, del cui forse alle volte havete bevuto il latte, che non vi lasciate andar precipitosamente di tal sorte contra il poetico nome; anzi se a bastanza sete in cervello, usiate sempre della distintione dove vi fa bisogno. Ella veramente ritorna le cose concordi, & rimosse le nebbie dell'ignoranza rende chiaro l'intelletto, & per via diritta ove vuole guida l'ingegno. Et questo fate accioche con infami non congiungiate i venerabili Poeti, de' quali si è mostrato molti de Gentili esser stati. A voi sia assai far empito contra i dishonesti comici, & contra questi vomitar l'ire. Contra questi con buona pace degli altri rivolgete il vostro incendio. Oltre ciò perdonate agli Hebrei, percioche non senza sdegno della divina Maestà si ponno oltraggiare. Et col testimonio di Girolamo si ha mostrato alcuni di quelli, sotto Poetico stile dettatoli dallo Spirito Santo, haver cantato le sue profetie. Medesimamente anco i Christiani sono da esser riserbati dalle ingiurie, percioche molti dei nostri sono stati Poeti, & hoggidì ve ne sono, i quali sotto la corteccia delle loro fittioni hanno rinchiuso i sacri, & divoti sensi della religion Christiana; accioche vi sia mostrato di molti alcuna cosa. Il nostro Dante, benche in lingua volgare ma arteficiosa, in quel libro chiamato Comedia mirabilmente ha disegnato il triplice stato dei defonti secondo la dottrina della Sacra Theologia. Et l'Illustre, & ultimo Poeta Francesco Petrarca nelle sue Bucoliche, sotto velame di pastorale eloquio, con maravigliosa descrittione ha notato le lodi del vero Iddio, & dell'inclita Trinità, & molte altre cose. Vi sono i volumi, & a chi gli vogliono intendere, vi si veggono i sensi. Oltre ciò, viveno i versi di Prudentio, & Sedulio, che sotto fittione esprimeno la verità. Et Aratore, non solamente huomo Christiano ma sacerdote della Romana Chiesa, & Cardinale, in versi heroici, cantando a usanza de' Poeti, disegnò i Fatti de gli Apostoli. Indi Giuvenco, huomo Spagnuolo ma vero Christiano, sotto velame del huomo, del bue, del Leone, & dell'Aquila fingendo anco compose tutti gli atti di Christo, figliuolo d'Iddio vero, nostro Redentore. Et per non ne produrre altri in mezzo, se alcuna humanità non vi trahe, che almeno perdoniate a i nostri, non vogliate esser piu severi della nostra Madre Chiesa, la quale con lodevole consideratione riguardando non si sdegna mostrarsi benigna con molti, & spetialmente con Origene. Costui hebbe tanto gran potere nel comporre, che mai parve, che l'ingegno d'intorno ciò gli venisse meno, nè che la mano in scrivere si stancasse; onde si crede, che facesse piu di mille volumi sopra di diverse materie.

Tra quali tutti ella, a guisa di saggia verginella, che tra vepri, & spini coglie con le dita non offese i fiori, & da parte lascia avilire i pungenti spini, lasciate le cose men che bene credute, tolse le lodevoli, & ha voluto serbarle tra i suoi thesori. Vedete adunque, essaminate, & con giusta misura contrapesate i detti de' Poeti; & quelle cose, che men santamente sono scritte, lasciate: & quelle, che sono ben dette non biasimate, istimando quasi subito per li vostri gridi contra i Poeti esser tenuti dall'ignorante popolo Agostini, o Girolami. Percioche questi, che non meno furono santi, che giusti, & prudenti, mai non fecero impeto contra la Poetica nè l'arteficio dei Poeti, ma contra gli errori della Gentilità da loro recitati, i quali sempre con intrepida voce hanno anco biasimato al conspetto degli inimici della Catholica verità, & che calcitravano. Ma continuamente hanno riguardato, & considerato i loro scritti composti con tanta arte di parole, per tanta dolcezza soavi, con tanta gravità di sentenze ornati, & con tanta anco politezza limitati, che pare essere cosa necessaria da quelli cavare quanto ornamento di latinità fa bisogno. Et per non procedere in piu lungo parlare (come dice Cicerone per Archia),  questi studi fanno la gioventù, dilettano la vecchiezza, ornano le cose prospere, alle contrarie porgono rifugio, & solazzo. Dilettano a casa, non impediscono fuori; stanno le notti con noi, peregrinano, & rusticheggiano con noi; i quali se noi non potessimo nè toccare nè col senso nostro gustare, allhora deveressimo anco riguardarli veggendoli in altri. Onde essendo da non sprezzare nè rifiutare la Poesia, anzi da honorare insieme con i Poeti, se sete saggi, assai si ha parlato. Ma se perseverate ostinatamente in tal rabie, benche di voi haggia compassione, essendo voi da sprezzare nessuna cosa a bastanza si potrebbe scrivere.

 

Il fine del Quartodecimo Libro.


 

 

 

DELLA GENEOLOGIA

de gli Dei de' Gentili

DI GIOVANNI

BOCCACCIO

 

LIBRO QUINTODECIMO.

 

All’Illustre suo Sig. il Conte Collaltino di Collalto.

 

Con quelli ripari c'ho potuto, Serenissimo Re, fin quì ho fondato la mia navicella, accioche dall'ondeggiare del turbato mare, o dall'impeto de venti contrari non fosse cacciata al lito, & ivi rotta restasse. Et affine che dalle nubi celesti, che si cangiano in pioggie, tempeste, & saette non fosse aperta, fulminata, & cangiata in cenere, vi ho aggiunto quelle coperte, che m'ho imaginato esserle necessarie, & appresso anco la ho legata con forti corde a duri scogli, accioche dall'onde non fosse portata nel mezzo del mare. Contra l'ira d'Iddio non vi giova alcun riparo de mortali, & però ho giudicato lasciarla nelle sue mani. Egli, senza il cui aiuto alcuna cosa veramente non puo stare, per sua misericordia la conserva. Hora mi resta che io ripari a i dardi gittati contra il lasso nocchiero, & s’io posso, a qualche modo gli levi. Perche chi dubita, che da molti non sia ricercato? Nondimeno si come men patientemente forse sono paruto alle volte haver sopportato quelle cose, che sono state dette contra i Poeti, & la Poesia, cosi con grandissima patienza quelle saette, che voleranno contra il nocchiero, vengano per qual commandamento si voglia, sono per patire. Nè la ragione di questa patientia è lontana. Certo, che indegnamente al mio giudicio la bella Poesia, & gli eleganti huomini in questa scienza furono oltraggiati, ma non sò s’io mi debba dire piu tosto per iniquità de i superbi, o de gli ignoranti. Ma il nocchiero non cosi. Percioche se bene secondo le forze sue con l'arte marinaresca si ha sforzato per cattivi passi di mare, & pericolosi scogli guidare in luogo sicuro la sua barchetta, accioche giustamente non possa esser ripreso; nondimeno so, che di molte cose egli è ignorante, & però di molte cose commesse con minor avertenza, forse meritevolmente puo esser ripreso. Farò adunque con l'aiuto d'Iddio quello potrò, accioche in tutto non paia temerariamente haver oprato quello, che ha fatto. Quelli mi toglia dalle fauce di malignanti, ilquale senza offesa tolse dal camino del fuoco gli Israeliti fanciulli, che speravano in lui, conducendomi al fine dell'estrema fatica in gloria del santissimo nome suo.

 

Le cose men necessarie alle volte esser state pregiatissime.

So, che da ogni parte i già detti overo altri famosi correttori di leggi con gli occhi intenti riguarderanno questo Collosseo, & riguardatolo, m'imagino, che siano per dire forse con pia intentione, percioche egli è cosa dura all'huomo conoscere le menti degli huomini cosi grande opra essere poco necessaria, & perciò non haver ad essere in pregio. Questi veramente con queste poche parole tasseranno quasi tutta l'opra, parendo, che l'obiettione da una certa non molto espressa verità sia non pur colorata, ma anco approvata. Attentoche chi non dirà nel primo sguardo, non dirò non necessario ma anco superflue essere le favole de’ Poeti, de quali tutta quest'opra è piena? Ma io istimo, che sia da tener altrimenti. Confesso questa opra esser fatta di favole; cosi anco se concederò quella poco necessaria, mostrerò medesimamente molte cose non necessarie, & tra queste quest'opra, pregiatissime esser state. Et indi farò veder, che questa fatica perche è utile cosi pubblicamente, quanto privatamente, esser da annoverar anco tra le necessarie. In pregio adunque, & grandissimo si mostrano esser molte cose poco necessarie, ritrovati dall'arteficio degli huomini, & fatte per opra di natura. Noi volendo edificare eccelse cose, ricerchiamo scultori, architetti, murari, et altri simili artefici; la onde un rozzo Pastore le edificarebbe col fango, & palustri cannelle. Orniamo i Tempi, i Campidogli, i Palazzi de i Re, de i popoli, & dei Principi con grandissime spese, & superflue pitture, & si serviamo di coppe, & vasi d'oro, & argento; la onde al nostro bisogno si potrebbono servire di quei di terra. Cosi si dilettiamo di corone, di vesti di porpora, & di riccami d'oro, & per lo nostro bisogno ci bastarebbe un’habito semplice di lana d'ogni pecora. Et cosi l'arti, & gli ornamenti, che sono poco, & dirò nulla necessari, sono venuti in pregio. Ma perche queste cose alcuno le potrebbe dire pretiose per l'ambitione de gli huomini, veggiamo se vogliamo dire la natura delle cose discretissima anco d'intorno le cose superflue ambitiosa. Onde prego dirmi, a che la chioma del capo fa bisogno? Nondimeno molti affermano che tanto l'hanno in pregio che se Venere andasse con tutte le gratie accompagnata senza quella non potrebbe piacer a Marte, & tanto la istimò Cesare Dittatore, che per coprir la testa calva, impetrò dal Senato la perpetua corona d'alloro. A che giova la barba de gli uomini, della quale se ne è senza alcuna d'età provetto, non senza rossore entra fra gli altri? A che le corna al Cervo? A che le penne di vari colori dipinte sono concesse agli uccelli? non mi si può rispondere per altro che per ornamento. Et cosi per non discorrere per piu cose, quello, che altre volte non era in pregio per cagione d'ornamento diventa precioso. Onde per causa d'ornamento, divenendo le cose pretiose, certamente quest'opra sarà in pregio. Qual cosa può essere piu bella ne i parlamenti de gli huomini, che alle volte haver traposto delle favole con le sentenze? Qual cosa stà meglio, & l'haver condotto a gli istessi ragionamenti i fruttuosi sensi delle favole? & quest'opra concederà abondantemente l'uno, & l'altro. Questa appresso dimostra con le pesate, & eleganti orationi apportar seco molto ornamento, leggendosi per entro sparse molte sententie, & passi di Cicerone, Girolamo, & molti altri huomini prudenti. Poteva adunque bastare l'haver dimostrato quest'opra essere pretiosa per causa dell'ornamento; ma a questo vi s'aggiunge l'utilità cosi publica, come privata, che vi deriva: dalla cui maggior pregio se ne trahe. Alcuni istimavano i Poeti huomi Dotti solamente haver composto le favole semplici; onde per consequenza gli tenevano non pure non utili, ma anco dannosi, di che discorrendoli col leggere non ne cavano alcun frutto. Ma quest'opra, mentre scopre, il velame delle fittioni, dimostra i Poeti essere stati huomini ammaestrati, & a i lettori rende le favole con diletto fruttuose; & se alcuni Poeti per altrui opinione parevano essere estinti, noi quasi ritrovati in vita, & fatti Illustri gli ritorniamo alla republica, & privatamente quella utilità, che non conosciuta, era gittata via, per ciò manifesta si raccoglie, & a piu alti sensi gli ingegni di lettori sono eccitati. Oltre ciò spero, cosi volendo Iddio, che si come già ve ne furono, si leveranno di quelli, che drizzeranno le menti alla Poesia, a quali non picciola commodità, mentre leggeranno i ricordi, & memorie degli antichi sarà conceduta da quest'opra. Ma che dirò tante cose? Se bene mancheranno tutte le cose, c'ho detto, perche Ottimo Principe, per lo cui commandamento ho pigliato questa fatica sia col mezzo di questa opra sodisfatto al tuo disio, il tengo pregiatissimo, benche sia cosa lodevole haver piacciuto a molti. Cosi anco se a tua sublimità non sarà grato, come che fosse per piacere, & esser caro a tutti gli altri, a me sarà picciolo momento. A te adunque si appartiene, se ti piace far quest'opra pretiosa, et abietta, & vile.

 

Che spesse volte sono durate piu lungamente quelle cose, che paiono meno curabili.

Con quella istessa pietà forse parleranno de gli altri, & vedendo quest'opra cosi piena di fessure, nè bene unita, diranno, che non durerà lungamente, & che minaccia ruina per le apriture, che’l dinotano. Io a questi ricordatori volentieri rendo gratie, percioche dagli occhi miei cacciano il sonno, & mi fanno aveduto, accioche presti rimedio al bisogno. Ma perche m'imaginai, che fosse per avenire ciò innanzi, che incominciassi l'opra; se punto inclito Re ti ricorda, questo istesso si dimostra nel principio, dove con quelle ragioni, ch'io puoti feci vedere, perche molto dubitassi quest'opra havere ad essere mutola, senza ordine, & poco durabile; onde si come si vede, & questi dicono, l'antivedimento mio non mi ha ingannato. Et però d'intorno questo difetto vengo ad essere di ragione iscusato. Tuttavia con quelli puntelli ch'io puoti, la ridussi in fortezza nè poscia, che la ho compiuta non è anco venuto, nè mostrato nuove fessure, nè istimo, si come questi bisbigliano, che si tosto le vecchie stopate habbiano ad allargarsi. Percioche, se a guisa de mortali, per conietture vogliamo fare giudicio delle cose future, quest'opra durerà lungamente. Conciosia che spesse volte habbiamo veduto delle rocche fermate sopra i duri sassi piu tosto andare in ruina, che un tugurio di pescatore fabricato di cannelle in un paludo. Questi, che hanno gli edifici non cosi securi nè stabili, stanno vigilanti, & spesse fiate gli fanno racconciare i fondamenti, rinovare i palchi, ricoprire i tetti, & con diversi appoggi gli sostentano; onde quelle cose, che tosto mostravano andare in ruina, bene, & spesso durano anni, & secoli. Altrimenti fanno quelli, che istimano possedere le fortezze, perche mentre stanno in riposo, ecco, che uno di que' gran sassi, sopra cui sono fondate, per lo soverchio peso, si spezza, & cadendo si trahe dietro tutto l'edificio in ruina. Vi sono anco altri pericoli. La invidia camina per li palagi, & gli odij apparecchiano la ruina. Una picciola casa da pochi, & dal possessore conosciuta quanto piace a Iddio dura. Chi havrebbe potuto pensare, che Troia, allhora ferma Città di Priamo, governata da tante degne forze, tanto ricca, & tanto potente, & che era capo di tutta l'Asia, & faceva tremar tutta la Grecia, fosse andata piu tosto in ruina, che la picciola capannetta del povero Aglao Sofidio? Cosi habbiamo veduto de i giovani robusti, forti, et gagliardi da una picciola febre, overo altro accidente esser quasi condotto a subita morte; la dove talvolta dei deboli, & mal gagliardi vecchi hanno vivuto piu che anco non havrebbono voluto. Ma che giova discorrere per gli essempi de i quali la vita dei mortali è abondantissima? Dicano questi quello, che vogliono & io tengo quello, che desidero. Nondimeno ho questo per certissimo. Se il Signore non guarderà la Città; in vano vegghia quello, che la custodisce. Egli è in suo potere il serbare, & rovinare. A lui solo si appartiene il sapere quanto tutte le cose mondane siano per durare, & quanto tosto per cadere. In lui è tutta la speme de i prudenti, Egli se'l vegga. Io perche ho conosciuto l'opra mia piena di fessure, le ho commandato, che sia humile, sapendo, che Iddio concede gratie a gli humili. Ma che stò io a fare parole della lunghezza, & del durare di lei? Essendo a me grandissima cosa, sia pur pieno di fessure, di caverne, & di trasparenze, si come l'ho potuta comporre, che possa arrivare nelle tue mani, accioche tu conosca non dirò la mia vigilanza, ma la mia ubidienza. Questo a me sarà assai. Se poi finalmente durerà piu oltre, istimo essere da imputare alla bontà divina, & fortuna reale.

 

Che le membra di quest'opra piu propriamente non si hanno potuto congiungere.

M'imagino, che sopraverranno alcuni, che vedute quelle cose, che haveranno visto altri, diranno dover essere cosa piu desiderabile all'huomo prudente questa mole andare a terra, che durare lungamente, essendo il proprio suo difetto per levarvi i casi iquali la continuatione dimostrerà. Et spetialmente questo che tal machina è formata alla riverscia col petto largo, & chino a terra, & con i piedi verso il Cielo. O sententia di Socrate. Felici i Medici, de quali la terra cuopre gli errori, essendo spessissime volte anco delle cose scritte, & bene dette perche sono in publico lacerate da i denti canini, ò almeno datole noia col latrare; et medesimamente quasi gittato a terra dalle parole de caminanti quello, che si è ricercato, & composto con grandissima fatica, & confermato fino dove è stato possibile con l'autorità d'huomini Illustri. Ma che? egli è da patire il tutto; accioche con l'humiltà siano calcate le cose proterve. Nondimeno a questi, che cosi parlano non ho altro, che risponderli, eccetto quello che ho conosciuto, cioè che del principio di questa Geneolo. molti diversamente hanno pensato; ilche nel principio di quest'opra non si ha lasciato di mostrare, & ho anco dichiarato perche m'habbia tolto il piu antico di tutti gli altri Dei, de quali si habbia memoria alcuna, & a questo capo antichissimo, si come ho potuto trovare, successivamente il petto, et l'altre membra gli ho aggiunto. Se altre opinioni poi vi sono piu vere, & che mostrino miglior ordine; ilche non nego, che non possa essere possibile; se bene ho veggiato molto, & cercato molti volumi, confesso non haverle vedute, nè conosciuto in qual modo, nè con qual ordine meglio, nè piu propriamente si potessero queste membra attribuire a si gran corpo. Onde producano eglino in mezzo quello, c'hanno di piu veduto, accioche vedutolo, se di ragione quelle cose, che io ho scritto meriteranno biasimo, a loro si dia intiera fede; percioche per dire, che io ho fatto una mole senza ordine, & non mi mostrar’altro, è piu tosto con iniquità un’oltraggiare le cose altrui, che lodevolmente riprendere, nè utilmente correggere.

 

Che non vi s'è posto quello, che non si ha ritrovato.

Oltre la difformità dell'opra poco innanzi ripresa, questi overo altri vi aggiungeranno molte cose essersi lasciate, che si devrebbono haver poste. Se io volessi negare questo, non potrei, ricordandomi almeno delle appartenenti alla superficie favolosa, per lo difetto de i libri circa il principio di quest'opra haver scritto, molti huomini della prole dei Dei esservi per mancare. Et se pure si dirà, che i libri si trovano, chi tra mortali havrà tanto ardire, che uscendo fuori dica, che gli habbia veduto tutti, & letto? Io veramente confesso senza rossore di fronte me non haver veduto nè anco quelli, c'hanno potuto veder gli altri; onde non negherò, che non ne possano essere stati lasciati molti, & alcuni anco per difetto della debile memoria pretermessi; percioche non basta l'havergli veduti; di che prego i ricordevoli, che mi perdonino, nè vogliano attribuire a malitia quello, che è avenuto per ignoranza, overo per oblio. Vi è anco un'altra cosa, contra laquale ponno forse parlare gli huomini sublimi, cioè d'intorno le espositioni de i sensi dati alle favole. Sia da me lontano, che a questi voglia oppormi, attento che tengo, che ciò possa essere possibile, non havendo mai havuto ardire di presumermi tanto anzi imaginato essere poco atto a queste cose. Et chi ritroverà d'huomo imperfetto opra perfetta? Egli è solo in poter d'Iddio comporre l'opre perfette, perche anch'egli è perfetto. Nondimeno se alcuna cosa piu temeraria d'intorno ci ho oprato, ottimo Re, guidato da tuoi commandamenti la ho fatta. Et però, se d'intorno questa parte mi sarò men bene diportato, il peso sia imposto a tua grandezza. Ma io prego questi piu prudenti per lo venerabile, & santo nome della Filosofia, laquale penso honorino, che si come di una certa autorità de i piu prudenti usando, infingono i detti nelle cose men bene commesse, si anco con la humanità pia vi porgano rimedio. Percioche non è cosa insolita, che gli huomini eruditi veggiano quello, che non ha veduto l'indotto, se alle volte gli indotti hanno veduto delle cose non vedute da i dotti. Io son‘huomo, onde non è cosa nuova, nè maravigliosa un’huomo haver peccato, attento che si come dice Oratio;

 

Anco a le volte dorme il buon’Homero.

 

Oltre ciò furono cento gli occhi d'Argo, che a due a due per volta dormivano, & gli altri vegghiavano; & nondimeno non puote vietare, che una volta non si chiudessero tutti. Onde eglino suppliscano alle dichiarationi delle favole, & mutino quello, che male si ha esposto, & in meglio riformino quello, che men bene si ha dichiarato. Io veramente, se bene a pieno non ho scritto li tutto giusto, nè intiero; nondimeno m'ho creduto farlo; il che non essendo, non sono cosi ostinato, che non confessi il mio peccato humilmente, & che con grato animo non tolga la correttione si come huomo; ilquale, se bene con tutti i piedi camino verso la vecchiaia, non mi vergogno imparare, anzi desidero, & cerco. Se eglino faranno questo, l'opra verrà perfetta, & io divenuto più dotto per la loro liberalità, diverrò piu lodato.

 

Che nella presente opra non v'è incluso alcuna istoria, nè favola, che non sia tolta da i commentari de gli antichi.

Doppo questi si leveranno de gl’altri, & quasi lamentandosi diranno, che a questa opra ho aggiunto favole, & historie non piu udite, affine di rendere i testi piu gravi, & intricati. Confesso havervi traposto non nuove favole, nè historie alle antiche, ma forse da molti latini, fin hora non piu udite, nè lette, delle quali non ne ho posto alcuna, se non cavata da i Commentari de gli antichi. Et questo ho fatto non per fare piu gravi, o intricate i testi, ma per essere cosi bisogno. I lamenti di questi tali, che si malamente secco si accordano procedeno dal non poter patire alcuna cosa patientemente. Se tu haverai scritto i testi facili, & chiari, dicono, che lo stile è da pedagogo, debile, fiacco, & snervato. Se poi è un poco piu alto, piu polito, limato, & grave, nel primo incontro affastiditi, se subito non capiscono il senso chiaro, accusano il compositore, & il chiamano sforzato, & duro, come che anco sia limitato di facile arteficio, & cosi sdegnati il disprezzano. Ma a me pare di non havere scritto in parte alcuna confusamente, nè che le favole da loro piu non udite, & nel mezzo poste gli possano render alcuna cosa oscura, nè difficile. Nondimeno m'imagino questi tali mossi da una certa malignità tacita voler biasimare le favole, & le historie a loro incognite, si come non vere, sotto pretesto d'intricato testo. Già egli s'è detto, che tutte sono state tolte da i commentari degli antichi, si come i nomi de gli autori notati ne fanno fede le quali se forse non le hanno vedute, come quasi alcuna cosa non possa esser vera, se non è stata da quelli letta, non debbono però istimare, che siano da reprobare. Ho piu che certo quelli haver veduto molte cose, che a me sono in tutto incognite, cosi anch'io posso haver letto di quelle, che anco non sono venute alla loro cognitione. Giamai alcun solo, eccetto Iddio, ha potuto haver la cognitione di tutte le cose. Adunque con quell’animo leggano le cose da me ritrovate, colquale vorrebbono le sue da gli altri esser lette: & se forse alquanto dura gli pare la testura, raccolgano l'ingegno nelle forze, che vederanno essere chiarissimo quello, che istimavano oscuro.

 

Che gli autori nuovi da lui prodotti sono famosissimi huomini.

Istimo anco, che questi tali moveranno un'altra querela, dicendo, ch'io in confermatione delle favole, & historie scritte da gli autori antichi, ho molte volte prodotto de gli huomini moderni, & non conosciuti, a quali, per esser nuovi autori, se vi si deve prestar fede la cosa è dubbiosa. Veramente questa lamentatione ha in se alquanto di gravità. Percioche, se bene sono stati nuovi autori già quelli, che hora sono vecchi, nondimeno egli pare, che quello che è durato per molti secoli dalla lunghezza del tempo sia confermato, & indi habbia havuto molta autorità; il che se si debba credere medesimamente di tutti i nuovi, come che habbiano ben meritato, appresso molti la cosa pende. Ma io sono di questa opinione, mai non essere per durare in età a venire quegli autori, de quali la novità non sia approvata, essendo necessario dalla novità loro pigliar il principio della approbatione; & cosi io quelli, che produco per nuovi, havendoli in vita conosciuto, & conoscendoli per loro meriti esser huomini famosi, & degni ho havuto ardire chiamarli per testimoni. Io so questo di loro, che quasi sempre per tutto lo spatio della sua vita hanno dato opra a gli studi sacri, sempre hanno conversato tra eccellenti huomini per scienza, & per costumi sono huomini lodevoli di vita, nè macchiati da alcuna vergognosa nota de infamia, & i loro scritti, & detti sono confermati anco da piu prudenti. Credo adunque, che per questi meriti la sua novità sia da agguagliare all'antichità. Ma accioche alcuno non istimi che io habbia prodotto huomini men gravi con l'autorità mia voglio approvarli. Piacemi de novissimi scriver alcuna cosa particolare, per lasciare al giudicio de gli altri, s'io havrò parlato bene. Spesse fiate ho prodotto il generoso, & venerabil vecchio Andalone de Negri Genovese già ne i moti delle stelle mio Dottore, delquale quanto fosse l'avedimento, la gravità de i costumi, & la cognitione delle stelle, tu ottimo Re l'hai conosciuto; percioche (si come diceva egli) per la conformità de gli studi ti fu famigliarissimo; onde si come hai potuto haver visto, non solamente con le regole de gli antichi (come per lo piu facciamo) conobbe i movimenti delle stelle, ma havendo cercato quasi tutto il Mondo sotto ogni clima, & sotto ogni orizonte, certificato della isperienza de i corsi col vedere apparò quello, che noi comprendiamo per udita; & però (come che io creda in tutte le cose esserli da prestar fede), d'intorno a quelle, che si appartengano alle stelle penso esserli da prestar quella fede, che si darebbe a Cicerone dell'arte Oratoria, ò a Marone della Poetica. Oltre ciò vi sono molte opre di costui, che dimostrano il corso delle stelle, & de Cieli, lequali dimostrano quanta preminenza havesse questo vecchio circa cose tali. Cosi anco alle volte come notabile, & singolar Poeta produco Dante Aligeri Fiorentino, ilquale è di molto merito. Percioche tra i suoi Cittadini fu per famosa nobiltà onorato, & come che le sue sostanze fossero leggieri, & dalla cura famigliare & ultimamente da lungo essilio fosse travagliato, nondimeno sempre ripieno di dottrine Fisice, & Theologice, diede opra a gli studi, & fin'hora il confessa la Giulia Parigi, dove spessissime volte entrò nello studio a sostentare conclusioni sopra tutte le scienze contra tutti che seco voleano disputare ò farli oppositioni. Fu anco d'intorno la Poesia ammaestratissimo, nè altro, che l'essilio gli tolse la corona d'alloro. Percioche nell'animo suo havea deliberato non la voler pigliar altrove, che nella patria sua; il che non gli fu concesso. Ma che piu cose? Quale egli si fosse, l'inclita opra sua da lui scritta con maraviglioso artificio in lingua Fiorentina sotto il Titolo di Comedia in rima, il dimostra: nella quale veramente non Mithico, ma piu tosto Catholico, & divino Theologo mostra essere: & per esser già a tutto il Mondo noto, non so se la fama del suo nome alla tua grandezza sia pervenuta. Ho anco ricordato, benche di rado, per testimonio Francesco di Barberino, huomo veramente per honestà di costumi, & notabil vita lodevole, ilquale se bene ha havuto maggior cognitione de i sacri Canoni che dell'arte Poetica, nondimeno ha mandato fuori alcune operette in rime volgari, che rendeno testimonio della nobiltà dello splendido ingegno suo, lequali stanno, & sono in pregio appresso gli Italiani. Questo fu huomo di intiera fede, & degno di riverenza, ilquale, se bene Fiorenza non si degna haverlo tra suoi Cittadini, nondimeno sempre l'ho tenuto per ottimo testimonio, & degno di fede, & da esser annoverato tra tutti gli huomini Illustri. Oltre ciò alle volte produco Barlaam monaco di Basilio Cesariese, huomo di Calavria, già di picciola statura, ma di gran scienza, & di maniera nelle Greche lettere dotto, che havea privilegi de Imperadori, Principi Greci, & dotti huomini, che facevano fede non a quelli tempi appresso Greci essere, ma nè anco da molti secoli in poi esservi stato spirito dotato di maggiore, nè si notabile sapere. Non debbo io credere adunque a costui, & massime nelle cose appartenenti a Greci? Non ho veduto nessuna opra sua, benche habbia udito dire, che ne habbia composto alcuna, nondimeno ho havuto alcuni de suoi scritti non altrimenti ridotti in libro, nè ornati di alcun titolo, iquali se bene dimostrassero, ch'egli non fosse molto instrutto nel Latino, tuttavia facevano fede, che havea veduto molte cose, & benissimo intese. Medesimamente vi aggiungo Paolo Perugino huomo tra gli altri gravissimo, ilquale fu di eta provetto, & instrutto della cognitione di molte cose, & lungo tempo maestro, & custode della Libraria di Roberto, inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia. Et se mai huomo fu curioso in ricercar cosa alcuna costui per comandamento anco del suo Principe fu uno di quelli, che ricercò le historie, & i Poeti famosi con grandissima diligenza; onde però essendo divenuto strettissimo amico di Barlaam, quelle cose, che non puote havere da i Latini, cercò col suo mezzo haverle da i libri Greci. Questi scrisse un gran libro intitolato delle Collettioni, nel quale tra l'altre cose, che erano molte, & appartenenti a diverse, penso che con l'aiuto di Barlaam raccogliesse tutto quello, che si può trovare sopra gli Dei Gentili non solamente appresso Latini, ma anco appresso Greci. Nè mi vergognerò dire che essendo anco giovanetto, molto prima, che tu invitassi lo animo mio a questa opra, da quello raccolsi molte cose piu tosto avido, che intelligente, spetialmente quelle, che sono apposte sotto il nome di Theodontio, ilqual libro, con grandissima discommodità di questa opra, per difetto di Biella sua impudica moglie morto lui, ho trovato insieme con molte altre sue opre smarrito. Penso adunque, che in quel tempo, che a me venne a notitia, alcuno a lui non fosse da agguagliare in questo. Dopo questi spesse volte produco Leontio Pilato, huomo di Thessalonica, si come egli afferma, auditore del predetto Barlaam, ilquale nell'aspetto è huomo rozzo, ha la faccia nera, la barba prolissa, la chioma nera, occupato sempre in continui pensieri, di costumi rozzo, nè molto civile huomo, ma si come l'isperienza ha dimostrato dottissimo di lettere Greche, & come un'arca piena d'historie, & favole Greche, benche delle Latine non sia molto instrutto. Di costui non ho veduto opra alcuna, ma tutto quello, che narro, l'ho compreso in viva voce da lui. Percioche per spatio quasi di tre anni continui, che meco amichevolmente ha conversato, da questo ho visto Homero; nè delle infinite cose da lui a me recitate mi sarebbe bastato la memoria, se bene non havessi havuto altra cura famigliare, se sopra le carte non le havesse notato. Similmente alle volte anco m'ho voluto servir di Paolo Geometra Cittadino della mia patria, il quale so, che per fama Inclito Re, a te è manifesto, percioche ho conosciuto, che a questo tempo l'Aritmetica, la Geometria, & l‘Astrologia ad alcun’altro in tal maniera, come a costui non hanno aperto il seno; attentoche istimo, che sopra quelle a lui non sia alcuna cosa nascosta; & quello, che è piu mirabile da dire, & anco da vedere, e, che di tutto quello, che parla sopra le stelle, ò sopra il Cielo, subito con instrumenti a ciò fatti con le proprie mani, con aperta fede mostra a chi vuol vedere il vero del tutto. Nè questi solamente è conosciuto nella patria ò in Italia; ma molto piu Parigi, ove per la fama de suoi studi è illustre, cosi anco è nomato appresso Brittani, Spagnuoli, & Africani; iquali hanno in pregio questi studi. Veramente costui era huomo felice, se fosse stato d'animo piu ardente ò fosse nato in piu liberal secolo. Che alla fine? Produco Francesco Petrarca Fiorentino honoratissimo precettore, padre, & signor mio, poco fa in Roma per consiglio del Senato, & approvatione di Roberto Inclito Re di Gierusalemme, & di Sicilia, da essi Senatori di Corona d'Alloro coronato, da essere annoverato piu tosto tra gli antichi huomini Illustri, che tra moderni; il quale, non dirò tutti gli Italiani, de quali è singolare, & immortale honore, ma se tutta la Francia la Alemagna, & la Inghilterra, remotissimo cingolo del mondo, & molti popoli di Grecia, hanno conosciuto per singolar Poeta, non dubito, che per insino in Cipro alle tue orecchie non habbia la fama portato il nome suo. Già di costui si veggono molte opre, & in verso, & in prosa di memoria dignissime, lequali di qui rendono testimonio del suo divino ingegno. Vi è, chi desidera l'uscita, per essere anco sotto chiavi rinchiusa, la divina Africa scritta in verso Heroico, che narra i gran fatti del primo Scipione Africano. Vi è la Bucolica, hoggi mai per la fama de suoi versi divulgata per tutto. Vi è il libro delle Pistole a gli amici scritte in metrico stile. Oltre ciò vi sono due gran volumi d'altre Epistole in prosa con tanta copia di sentenze, et di cose fatte, & risplendenti per tanto ornato arteficio, che il giusto lettore giudicherà, che in alcuna cosa non siano da posporre alle Ciceroniane. Vi è un libro della Solitaria vita, & un’altro, che dopo pochi giorni novamente verrà in luce, sopra gli rimedi all'una, & l'altra fortuna. Oltre questo nello studio ve ne sono molti altri, che tosto vivendo lui, leggeremmo in publico forniti. Chi adunque rifiuterà questo in testimonio? Chi negherà prestar fede a suoi detti.? O non havessi io poco innanzi scritto cosi leggiermente di lui, che quante, & quali vi lodi potrei aggiungere, per le quali la fede de suoi scritti diverebbe maggiore? Ma le cose dette al presente bastino. Queste adunque ho havuto da dire sopra i novi autori. Ma accioche non paia, che io habbia lasciato di parlare sopra gli antichi non conosciuti, mi restano alcune poche cose a dire. Diranno questi tali riprensori anco, che io produco certi Autori antichi da loro piu non uditi mentovare, come se quasi perche eglino non gli habbiano veduti, non sia da prestarli alcuna fede. Veramente egli è cosa da pazzo credere alcuna cosa non essere degna di fede, eccetto che le vedute da loro, quasi come se havessero con le loro lettioni accresciuto la credenza a gli Autori antichi. Confesso haver recitato molte opinioni, et favole di Autori antichi de quali forse i nomi a pochi moderni sono in cognitione; percioche parmi (come ho detto anco) i loro detti, & scritture dover essere approvate dall'antichità, & tutti quelli, che io ho citati, ò gli ho veduto, ò letto, ò trovato allegati da altri Autori piu moderni, iquali se non sono stati veduti da questi querelanti, nè uditi i loro nomi, la colpa non è de gli Autori, ma della sua dapocaggine; & però lamentarsi di se, &, non di me debbono. Non ponno i volumi dalle librarie volare nelle mani de i sonnolenti, nè quelli, che gli hanno veduto portarli in publico a far la mostra. Leggano, & ricerchino, che troveranno quello, che non conoscono, & si faranno famigliari gli stranieri; & ritroveranno, che vagliano tanto, quanto gli istimano quelli, che gli hanno letti. Queste cose sono quelle, che io ho a produrre, sopra gli Autori antichi, & moderni da loro non conosciuti, nè gustati, & da me prodotti, de quali se i meriti non mi provocassero ad indurli, a ciò il bisogno mi constringerebbe. Percioche hanno sempre le Civili, & Canoniche leggi, oltre i molti testi, per malitia de gli uomini, accresciuti i suoi apparati mandati fuori già da molti dottori. Hanno i volumi de i Filosofi diligentissimamente i composti commenti. Hanno i libri di Medicina gli scritti di molti, che dichiarano i dubbi. Cosi anco le sacre scritture hanno molti interpreti. Hanno anco & hebbeno tutte le altre facultà, & arti i suoi propri chiosatori, a quali se fa bisogno, ogni uno, che vuole può ricorrere, & di molte eleggere quali vuole. Sola la Poesia, perche sempre fu domestica di pochi ne ha paruto mai, che apporti niente di guadagno a gli avari, non solamente per molti secoli negletta, & vile, ma anco stracciata da molti persecutori di questi appogi. Per la qual cosa è di necessità, che quà, & là da chi possiamo senza questa elettione ricorriamo, & se bene non molto, almeno quello che possiamo, da ciascuno pigliamo; il che molte volte da me essere stato fatto può ogni saggio vedere, havendo non solamente talhora ricorso a gli Autori moderni: ma anco a qualche picciola chiosa di tal Autore senza nome. Et però questi lamentevoli, cosi sforzandomi il bisogno, si acquetino cosi sopra gli Autori vecchi, come moderni da loro non conosciuti.

 

Che molti versi si sono posti in molti luoghi dell'opera non senza cagione.

Non dubito, che ò questi, ò altri diranno per qual ragione d'autorità habbia posto nella mia opra molti versi Greci. Il che veramente veggio, che procederà da fonte di carità, anzi da origine di malignità, & nequitia. Ma non però, con l'aiuto d'Iddio, mi moverò a sdegno, anzi secondo usanza, con humil passo andrò per la risposta. Dico adunque a questi tali, se no'l sanno, ch’egli è pazzia, cercar da i ruscelli quello, che si può havere da i fonti. Io havea i libri d'Homero, & anco gli ho; da quali si sono tolte molte cose accommodate all'opra nostra, & da questi si può comprendere molte cose da gli antichi essere state raccolte; & da quali si come da ruscelli non è dubbio che havrei potuto pigliarle, & spessissime fiate ne ho tolto, ma alle volte mi ha paruto meglio servirmi del fonte, che del ruscello, ne una sola volta mi è avenuto, che nel ruscello non ho trovato quello, di che era abondantissimo il fonte. Onde in tal modo hora la dilettatione, & hora la necessità mi hanno nel fonte cacciato. Oltre ciò talhora gli scrittori si dilettano mischiare delle cose ne gli scritti, che in qualche modo habbiano a fermare il lettore, & guidarlo in dilettatione, overo riposo accioche con la troppa continuatione eguale della lettione venendoli noia non cessi dalla lettione, & la tralasci; il che forse talhora hanno potuto fare i versi in quella compartiti. Indi quello, che in propria forma è posto, ha possa di rendere piu stable le forze del testimonio, se forse l'oppositore vi repugna. La onde adunque quelli, che non daranno a me credenza sopra i versi notati di Homero pigliando la Iliade, overo l'Odissea potranno da se stessi farne paragone, & cosi si chiariranno, s'io havrò scritto cose vere, ò false; & se saranno poi vere, mi concederanno miglior fede. Nè oltre questo, io son solo, che habbia traposto le cose Greche con le Latine; l'usanza antica fu tale, veggano, se gli piace, i volumi di Cicerone, leggano gli scritti di Macrobio, riguardino i libri d'Apuleio, & per piu non produrne, rivolgano le operette di Massimo Ausonio, che spessissime fiate ritroveranno questi havere fraposto i versi Grechi nelle Latine scritture. In questo ho io seguito i loro vestigi. Ma m'imagino, che subito diranno, se già questo fu lodevole, hoggidì è fatica frivola. Attentoche non v'essendo alcuno, che habbia cognitione delle lettere Greche, l'antica usanza si è dismessa. Ma io in ciò ho compassione della latinità, laquale se in tutto ha tralasciato gli studi Greci di maniera, che non conosciamo i caratteri delle lettere egli và male per lei, percioche, se bene tutto l'Occidente si rivolge ad apprendere la Latina lingua, & che paia, che ella da se stessa ne gli studi sia sofficiente, nondimeno se fosse accompagnata con la Greca, molto piu della sola Greca sarebbe Illustre; attento, che non anco gli antichi Latini hanno cavato tutto il buono dalla Grecia, ma molte cose vi restano, & spetialmente da noi non conosciute, lequali sapendole, potressimo diventare piu dotti.

Ma di questo un'altra fiata. Questi poi non hanno riguardo a cui drizzi questa fatica, perche vederebbono, che io la ho fatta a petitione di un Re, a cui non meno sono famigliari le lettere Greche, che le Latine, & appresso ilquale continuamente dimorano molti huomini Greci, & Dotti, a quai non paranno superflui questi versi Greci, si come paiono a i Latini ignoranti. Ma che tante cose? acconsentiamo un poco a questi oltraggiatori per causa di dimostratione ho scritto, & notato de i versi Greci. Che sarà poi? gli prega diemi debo io per ciò essere morso? a cui faccio ingiuria io se uso delle ragioni mie? Se no'l sanno, questo è honore mio, & gloria mia, cioè tra Toscani usare versi Greci. Non sono stato io quello, che nella patria mia da Vinegia condussi Leontio Pilato, ilquale venendo da lunghi viaggi voleva andare all'Occidentale Babilonia? No'l raccolsi nella mia propria casa, & lungamente ve'l tenni? Non procurai con grandissima fatica, che fosse accettato tra i Dottori dello studio Fiorentino, & fosse condotto a leggere con publico stipendio? Fui veramente io, io sono stato il primo ch'a mie spese ho fatto ricondurre i libri d'Homero, & alcuni altri Greci in Coscana dalla cui si erano partiti molti secoli innanzi senza mai piu ritornarvi, ne solamente gli ho condotti in Toscana, ma nella patria. Io sono stato il primo tra Latini, che da Leontio Pilato privatamente ho udito la Iliade. Io appresso sono stato quello, che ho operato, che i libri d'Homero fossero letti in publico, & se bene a pieno non ho compreso la lingua Greca, almeno ho oprato, & mi sono affaticato quanto ho potuto; & non vi è dubbio, che se lungamente fosse dimorato appresso noi quell’huomo vagabondo, che meglio l'havrei compresa. Ma come che molti auttori Greci habbia veduto, nondimeno per dimostratione del mio precettore ne ho compreso alcuni, de quali secondo il bisogno nella presente opra mi sono servito. Che male è quello l'havere scritto le favole de Greci, de quali questo libro ne è pienissimo, dal nome, per causa di dimostratione si dice esser fatto, ma l'havervi trapposto alcuni versi cavati dalle lettere Greche si biasima. Puote Mario d'Arpino, vinti gli Africani, i Cimbri, & i Thedeschi a guisa del padre Bacco usare del suo licore un beveraggio. Cosi anco C. Duellio, che fu il primo, che in battaglia di mare vinse i Cartaginesi, dalla cena ritornando a casa puote sempre usare i lumi di cera, come che queste cose fossero contra il costume de Romani, & eglino il sopportarono patientemente; ma meco si crucciano alcuni, se oltre il solito dell'età nostra mescolo qualche verso Greco con le scritture Latine, & della fatica mia mi piglio un poco di gloria. Veramente io istimava apportar qualche splendore alla latinità, là dove veggio contra di me haver mosso una nebbia di sdegno. Certamente mi doglio, ma che penso, che faranno i dotti, conciosia che questi tali sono anco per dir l'istesso de gli altri: Nondimeno se bene egli è da curarsene, tuttavia si può sopportare con patientia. Finalmente prego tutti, che sopportino ciò con animo quieto, ricordandosi (testimonio Valerio), che non sia humil vita che non sia toccata dalla dolcezza della gloria.

 

Che i Poeti Gentili sono Mithici Theologi.

Forse alcuni huomini religiosi mossi da santo zelo leggendo le cose precedenti diranno essere fatta ingiuria alla sacrosanta Religione Christiana, mentre habbiamo detto i Poeti Gentili essere Teologi, iquali facciamo, che non possano esser altri, che veri Christiani. Veramente io istimo questi tali riprensori huomini degni di riverenza; onde quando diranno questo mosso da Christiano amore, io gli ne rendo gratie, percioche io gli sento solleciti della mia salute. Ma mentre poco riguardano a quello che parlano, chiaramente dimostrano, ch'hanno veduto pochi libri, attentoche se molti ne havessero studiato, il libro del celeste Gierusalemme tra gli altri famosissimo, non dovrebbe da loro esser stato trapassato senza esser veduto. In quello havrebbono potuto haver letto Agost. nel sesto lib. riferire l’opinione di Varrone dottissimo huomo, laquale è che egli pensa di tre sorti essere la Theologia, cioè Mithica, Fisica, & Civile. Mithica si dice favolosa, da Mithicon, che in greco suona Latinamente favola, & questa alle Comedie, e Theatri, de quali si ha parlato di sopra, è accomoda, laquale per le cose vergognose oprate nelle Scene da gli Illus. Poeti è anco improverata. Fisica poi, laquale, si come si comprende per la interpretatione del vocabolo, è naturale, & anco morale, perche pare al mondo utile, e lodevole. La Civile poi overo Politica, laquale può anco essere detta sacrificola, si dice appartenere alla Città; questa per l'abhominevole scelerità de i vecchi sacrifici, è da reprobare dal vero culto d'Iddio, & dal dritto della fede. Di queste la Fisica si attribuisce a i Poeti famosi; percioche sotto le sue fittioni cuoprono le cose naturali, & morali, & i fatti de gli uomini Illustri; & alle volte quelle, che paiono appartenersi a i suoi Dei; & spetialmente, mentre prima composero i sacri versi in lode de gli Dei, & i loro fatti nascosero sotto corteccia Poetica, si come è stato detto; la onde dall’antica Gentilità sono stati chiamati Theologi; & Aristotele testimonia, che essi furono i primi Theologizanti. Onde benche eglino non habbiano havuto nome tale dal vero Iddio, delquale non ne hebbero cognitione, nondimeno venendo i veri Theologi, non hanno potuto perderlo, serbando il vocabolo in se la sua forza ilquale è nato da ogni Iddio. Di che istimo accorgendosi i Theologi moderni, cioe il nome datoli dalla cagione non se gli poter levare, accioche la Theologia non si possa intendere nè Mithica ne Fisica nè Civile, non solamente si chiamano Theologi, ma professori della sacra Teologia, nè questo con alcuna instantia, è rimproverare come cosa ingiuriosa al nome Christiano. Percioche non chiamiamo tutti huomini quanti mortali sappiamo essere formati d'anima rationale, & corpo? come che altri siano Gentili, altri Israeliti, altri Agareni, altri Christiani, & altri di cosi perversi costumi, che piu tosto sono da tenere fiere crudeli, che huomini? Nondimeno chiamandoli tutti con uno istesso nome, cioè huomini, sappiamo di non fare nessuna ingiuria a Christo redentor nostro, ilquale habbiamo conosciuto oltre Iddio essere stato vero huomo. Medesimamente se alcuno dice i Poeti THeologi, non fa ad alcuno ingiuria. Se alcuno gli nomasse sacri chi è cosi fuori di se, che non vedesse che mente? benche, si come si vede nelle cose precedenti, talhora la loro Theologia s'estenda d'intorno le cose honeste: laquale spessissime fiate piu tosto Fisiologia, overo Etheologia, che Theologia si deve dire, mentre le loro favole tengono in se cose naturali, overo morali: & questa anco piu adoprarsi circa la verità Catholica, purche la qualità delle favole il voglia. Il che habbiamo conosciuto havere fatto alcuni poeti Orthodoxi, dalle fittioni de quali sono stati coperti i sacri documenti. Et accioche a questi non sia noia havere udito, nè gli paia cosa difficile, che alle volte i Poeti si possano chiamare sacri Theologi, il nostro Dante non ha celato sotto velame Poetico tutto quello, che è nel sacro seno della Filosofia? La onde è da chiamare Theologo sacro. Cosi anco quelli, che sono sacri Theologi, ricercando ciò il bisogno, diventano Fisici. Laqual cosa se altre volte non aviene, almeno la dimostrano, mentre esprimeno il senso da una favola di legni, che gli constituiscono un Re.

 

Non essere cosa dishonesta alcuni Christiani trattare cose Gentili.

Diranno forse de gli altri con piu dritto animo de i primieri, essere non honesto all'huomo Christiano descrivere, overo ricercare le superstitioni de Gentili, et gli dishonesti sacrifici, overo Geneologie, havendo possa talhora queste cose tali guidare le menti dei lettori in false opinioni, & molte volte ritenerle in pericoloso pensiero. Nol negherò. Questo veramente è detto santissimamente, & tengo che alcuni siano da levare dallo studio di tali cose, & cosi anco potersi concedere ad alcuni senza nessuna sinistra opinione. Percioche se da queste fosse paruto necessario astenerse tutti, non dubito, che la Sacra & Santa Madre Chiesa con perpetuo decreto non l'havesse vietato. Già fu utilissimo, mentre a pena appresso Gentili pullulava la Chiesa, contra questi tali, percioche fino allhora erano instrutti con tutte le forze perseverare, & fortemente havere cura delle cose sacre, si per l'origine della vera fede come per la perseveranza della Gentilità, accioche i lettori da simili cose tratti come da uno uncino dell'antichità, a guisa del cane, non ritornassero al vomito. Ma hoggidì per gratia di Giesù Christo si è venuto in fermissima fortezza, & si ha mandato in ruina, & perpetue tenebre il mortal nome de Gentili insieme con gli errori suoi, & la vittoriosa Chiesa possede lo steccato de gli inimici. La onde quasi senza pericolo queste cose si maneggiano & ricercano. Nondimeno non nego, che non sia ben fatto astenervi il fanciullo, che ha la memoria pronta, & tenace, & anco l'ingegno tenerino, il quale non ancora ha la perfetta cognitione della Religione Christiana. Ma nondimeno se ben forse altri piu duri anco di me si lasciassero credere in cosi vituperoso peccato, come che niente altro non havessi studiato, a pena posso credere, che a me ciò avenisse, percioche dal ventre della madre mia portato al fonte della nostra regeneratione, & ivi lavato, quello, che per me fu promesso da quelli, che mi levarono dal Battesimo, in quanto puote la fragilità humana, fino al dì d'hoggi mi ho sforzato osservare, havendo sempre per cosa certissima quello, che si essalta nella congregatione degli huomini giusti, cioè esservi un Dio in tre distintioni di persone, & questo, eterno, & di tutte le cose dritto fattore; & di quelle con perpetua ragione governatore, conservatore, & rettore, che in se contiene il tutto, & da alcuna cosa non è contenuto. Et cosa maravigliosa, & non piu udita, per artificio dell'istessa deita si è fatta la parola di lui eterna, con l'adombratione dello Spirito Santo, per cacciare la macchia del genere humano per la disubidienza de i primi padri oprata, con l'annunCiatione celeste nel utero della beata Vergine divenendo carne: & indi dal ventre di quella, come huomo passibile, & mortale nascendo: ilquale anco fanciullo nel grembo della madre de i Re Sabei con doni fu adornato, & crescendo in età tra i Dottori della sacra legge, mentre gli scioglieva gli annodati dubbi, non Dio, ma fanciullo di maravigliosa speranza fu tenuto. Non anco lo eterno splendore della verità haveva levate la nebbia dalle menti loro, che conoscessero il vero Iddio a quelli promesso, veggendolo formato di mortal carne. Oltre ciò per cosa certa colui, ilquale lasciata l'habitatione celeste, tolse la forma di servo d'Iddio, & tra gli huomini havendo già conversato trenta anni, fu lavato nel fiume Giordano dal peloso, & selvaggio Profeta, che fu tratto dal ventre della madre pieno di sacro spirito per aprire la porta della celeste salute; onde il Cielo intonò di sopra & un forte mormorare d'una eminente nube si sciolse in voce di deità, dicendo:  Questo è il mio figliuolo diletto, nel quale a me sono bene compiacciuto; udite lui. Appresso questo, credo, & ho per cosa ferma che in Galilea facesse di acqua vino per dimostrare la divinità nascosta nel sacro petto; & indi pigliato il sacro consortio, se ne andasse in Giudea, nelle Città dei Fenici in Samaria, & Galilea, dove con la celeste scienza nel Tempio, & nelle Sinagoghe ammaestrò i popoli, curò i leprosi, ritornò la favella a mutoli, allumò ciechi da natività fece di morti vivi, commandò alle febri, all'onde, & a i venti, & in molte altre cose mostrò segni della sua deità. Doppo questo ho per fermo, che venendo l'hora sua, procurando la invidia de gli Hebrei Sacerdoti contra quello, doppo l'havere lavato i piedi a gli Apostoli, & celebrato quel gran convito, nelquale con le sue proprie mani, & parole fu ordinato quello ineffabile sacrificio della nostra Communione, dove diede il suo corpo in cibo, & il suo sangue in bere cosi a i presenti, come a i futuri, essendo venduto da un scelerato, & iniquo de i suoi compagni, fornita la oratione nel diserto, fu preso dalla rea, & perversa turba de' Giudei, che con fusti, & lanterne il cercavano, & condotto alla presenza de Principi, dove falsamente accusato da alcuni falsi testimoni, cosi sopportando l'humiltà sua, & di qui condotto nel Palazzo del Preside, & beffato, fu battuto con le verghe, ornato di corona di spine, con sputi, & sorgozzoni oltraggiato, & ultimamente a guisa di ladro sententiato, conficcato in una alta Croce, & in quella con aceto, & fele abbeverato, delquale essendo già per l'humanità vinta da i supplici, venuto al fine la vita: overo, & istimo meglio, come piace a Thomaso d'Aquina, havendo volontariamente raccolto le forze, & mandato fuori lo spirito, tremò tutto il Mondo, & lo splendore del Sole di mezzogiorno per tre hore si oscurò offuscata la Luna in contrario, benche a Policano altrimenti scriva Dionisio Ariopagita, di che mi maraviglio.

Indi essendoli forato il petto con una lancia da un cieco soldato, mandò fuori sangue, & acqua, dalquale credo habbiano havuto principio tutti i sacrifici della nostra salute. Ne me non ho per certo, ch'ei fosse levato di Croce, & sepolto, & poi per virtù della sua deità, si come haveano predetto i sacri Profeti, doppo il terzo giorno, si come Giona del ventre della balena, cosi dal ventre della terra vincendo la morte resuscitò, & ritornato vivo visitò le case infernali; dove rompendo le porti infernali, & mettendosi sotto i piedi Plutone, ritornò in libertà tutta l'antica preda; & doppo questo apparve molte volte a i suoi, & stando nel mezzo di loro, che lo vedevano senza esser impedito dalla corporea salma col vero corpo già mortale da se stesso volò in Cielo da colui, che lo havea mandato in terra. Dove poscia mandò sopra gli Apostoli suoi quel celeste fuoco, che esce da se, & medesimamente dal padre suo, & vivifica, alluma, & ammaestra il tutto; delquale eglino essendo illustrati, subito incominciarono far guerra contra il Principe del Mondo; onde col loro sangue, & molte ferite (nato in ogni luogo il seme della verità, & ottenuta la vittoria) trionfando nella celeste patria seguirono il suo Duce. Cosi fu ordinata dall'istesso unigenito d'Iddio la pia congregatione de i giusti, & quel sacro lavacro della regeneratione, per lo quale sono cancellate le cattive opere de mortali, essequendo appresso gli altri lodevoli, & degni sacrifici dell'istessa conventione per liquali diventiamo piu ubidienti a Iddio, & caduti per nostra imbecillità si leviamo, & volentieri a lui riccorriamo; nè però da noi si sparge il sangue humano si come già fecero molti Gentili, nè meno a lui sacrifichiamo secondo l'antico costume, Montoni, nè Tori. Nè da me fu mai tolta questa verità, che col testimonio de padri non creda quell'ultimo giorno haver avenire, nelquale ritorneranno tutte le cose mortali in niente, & per opera eccelsa d'Iddio tutti ripigliando le nostre ceneri, ritorneremo di nuovo in mortal corpo si come prima eravamo, ma eterni; onde venendo nel prefinito luogo, dove esso Christo giudice del tribunale sederà in maestà propria, & si vedranno i segnali della sua passione: & poi udiremo la finale, & eterna sentenza de meriti nostri. Di che io similmente nella futura vita non per miei meriti, ma per misericordia divina spero veder Dio redentore mio nella mia carne, & con i beati viver lieto nella terra de viventi.

Questa fede adunque sincera, per non parlare piu oltre, & questa eterna verità, è di maniera fissa nel mio cuore, che non pure puote essermi levata da nessuna forza di Gentilità, ma nè anco in alcun modo crollata, nè macchiata. Percioche se bene sono huomo peccatore, nondimeno per gratia di Giesù Cristo, non sono il Terentiano giovanetto Cherea, ilquale veggendo depinto Giove, che dai tetti in pioggia di oro cadeva nel grembo di Danae, innammò anche egli nella disiata da lui scelerità. La leggerezza, se n'è andata con gli anni giovanili, se però punto d'intorno alle cose dette ve ne fosse stato, ilche non mi ricordo. Oltre ciò considerando che con inganni continui, & reti da ogni parte tese, l'antico nemico ruggendo come Leone camina per l'orme dei mortali por ritrovare alcuno da divorare sforzandosi di condurre tutti in ruina io come quel vecchio Mitridate Re di Ponto, ilquale con magnanimo ardire, & gran dispendi per quaranta anni continui contra il popolo Romano mantenne grandissima guerra, & memorabile, dalla gioventù sua contra il mortale veneno si armò il petto di medicine, & rimedij medesimamente ho armato il mio dell'Evangelica verità, con la sacra dottrina di Paolo, & con i commandamenti, consigli, & persuasioni d'Agostino & molti altri venerandi padri; la onde disprezzo l'armi gentili. Se io huomo Christiano per commandamento tuo, ò inclito Re, le pazzie de Gentili ho trattato, ho fatto ciò in dispregio della loro falsa credenza, & se alle volte, è lecito agguagliare le cose picciole alle sublimi, ho fatto quello, che anco con somma lode hanno fatto alcuni santissimi huomini, si come Agostino, Girolamo, & con alcuni altri insieme Lattantio. A me veramente dalla fanciullezza in poi, è cosa chiarissima tutti gli Dei delle genti (con la guida del Salmista) essere Demoni, & di qui sempre mi sono spiacciuti i loro scelerati affari. Confesso nondimeno, lasciato la sua falsa religione, essermi piacciuto i costumi, & gli scritti d'alcuni Poeti; & però non solamente havergli lodato, ma secondo il poter mio difeso dalle oppositioni de gli accusatori, si come chiaramente per innanzi s'è visto. Et questo ho fatto, affine che non siano lacerati da gli ignoranti; percioche se havessero conosciuto, & adorato Christo, tra i piu sublimi del Christiano nome sarebbono tenuti. Ma alcuni riguardando alle cose di sopra, diranno, tu hai fatto bene, attento che l'haversi fatto forte contra i inimici, sempre fu lodevole. Ma quelli che vanno sopra le cime dalle cime sono gittati a terra. Già molti, istimandosi fortissimi da un debile incontro anco dell'inimico sono talhora caduti. Et se gli altri mancano, de quali il numero è grande, nondimeno Salomone certissimo testimonio della imbecillità humana vi è presente. A costui fu conceduto ogni scienza, tutte le ricchezze & Imperio grande. Con grandissima giustitia tenne soggetti i popoli, a Iddio edificò un maraviglioso Tempio, ordinò molte cose buone; & finalmente già d'età maturo, mettendo da parte il donatore de gli honori, ascendendo il Monte Maloch dell'offensione, con i ginocchi chini adorò l'Idolo de gli Egitij. Che adunque, sarai tu piu forte di Salomone, nè piu aveduto? S'inganniamo confidandosi troppo di noi. Queste cose non si ponno negare, che non siano vere. Nondimeno, un'altra sorte di contrasto mi resta con gli errori de Gentili, che non fu quello di Salomone con l'Egittia moglie, laquale conoscendo, che con le sue carezze, & lascivie havea allacciato l'anima del suo marito infelice, desiderosa d'inalzare i suoi Dei, hora con abbracciamenti venerei, hora con dolci parole, hora con soavi carezze, hora con lascivie, preghi, & lagrime, le quali sono prontissime alle Donne, & hora con sdegni, & querele, non pure i giorni, ma le notti anco crucciava l'animo dell'innamorato marito. O quanto sono gravi, & insopportabili i contrasti delle amate Donne, et spetialmente i notturni. Questi finalmente temendo non perdere la gratia dell'amata moglie rivolse le spalle, & disarmato si sottopose alle forze dell'armata donna. Ma a me non è tal guerra contra le ciancie de Dei Gentili, percioche con mille ragioni già da me conosciute le ho confutate. Et però leggiero è il mio contrasto con quei privi di forze, & cacciati dalla schiera. So nondimeno, che il fidarsi troppo di se stesso alle volte è vitio, ma io di me non mi fido, ma si bene della gratia di Giesù Christo, dal cui pregiato sangue sono stato riscosso. Spero, ch'ei non patirà che io ilquale giovanetto drittamente ho seguito i suoi vestigi, hora vecchio pericoli; anzi s'io verrò a cadere egli mi porgerà la sua mano, acciò mi rilevi & con piacevole riposo aiuterà me lasso. Ma per giungere al fine, assai dalle cose dette si puote presuporre, che non a tutti è lecito parlare delle cose de Gentili, ma ne anco a tutti vietato.

 

Che per lo piu seguitiamo gli studi, a quali l'ingegni paiono inchinati.

Se bene alcuni confesseranno esser vere parte di quelle cose, che si sono dette, nondimeno istimo, che non riposeranno, anzi tengo, che diranno esser stato meglio haver speso il tempo in studi piu santi, che haver detto cose tali. Ilche se alcuno negherà, veramente non sarà molto saggio. Ma io dirò ben questo, che bene so, che v'erano in pronto le leggi de gli Imperatori, i Canoni de i Pontefici, & la Medicina, de quali sono istimati molti santissimi gli studi, percioche per loro mezzo i mortali d'oro ingordi si arrichiscono. Vi era anco la Filosofia, per la cui ottima dimostratione si conoscono le ragioni delle cose, & si appara il separare le cose vere dalle false, & si deve ricercare da tutti gl’ingegni generosi. V'erano anco i sacri volumi, da iquai siamo ammaestrati sprezzar le cose frali, & si sono dichiarate le potenze d'Iddio, & appresso dimostrato per qual sentiero si vada al Regno celeste, ilqual studio veramente è da preporre a gli altri. Ogni uno adunque, che di questi mi havessi eletto, forse gli oppositori havrebbono detto che mi havrei fatto meglio. Ma si ogni uno facesse quello, che deve, lo essecutore delle leggi invano sederebbe ne i tribunali. Nondimeno, egli non è cosi facile, come istimano alcuni, volere il tutto, che dobbiamo, & molto piu difficile conseguire se vogliamo. Percioche, si come il Citharedo di varie corde altre tirate piu lente, altre piu molli, rendendo queste acuto suono, & quelle piu grave, con la dotta mano, & con l'archetto da cosi discordi tuoni trahe una soavissima armonia; cosi la madre natura di cui le forze sono infinite, & l'ingegno perfetto, produce queste cose frali atte a diversi uffici, accioche da questa diversità d'uffici ne risulti la conservatione del genere humano, d'intorno alquale è molto intenta; & non si potendo andare in lunga conservatione, la nuova produttione avertendo, che se tutti fossemo prodotti eguali (per lasciare il resto) gli huomini non potrebbono essere prodotti, nè con alcuna ragione per un tempicello solo durare: di qui aviene che per discretto ordine della Natura, questo nasca Fabro, quello Nocchiero, quell'altro Mercante; alcuni atti alla dignità Sacerdotale, altri governi, altri a professione di legge, altri Poeti, altri Oratori, alcuni Filosofi, & altri sublimi Teologi; & da quali studi diversi è necessario, che risulti la conservatione di si gran moltitudine d'huomini. Attentoche, se tutti (percioche egli si appartiene ad ogn'uno, se si potesse, ascendere a sublimi studi) si drizzassimo alla Theologia, & che l'agricoltore non vi fosse, di quali frutti noi seguendo cosi nobile studio, saremmo nodriti? Se l'architetto nè il Legnaiuolo non ci fosse, in quali case, & sotto quai tetti si difenderessimo dalle pioggie, da i venti, dal freddo, dal caldo, & dalle altre continue incommoditadi? Et se non vi fosse il Lanaio, nè il Sarto, dove si pigliarebbono le vesti, Che starò ad annoverare tante cose? si come in commodo del corpo humano dalla natura delle cose sono apposti gli uffici, & membri tra se di qualità defferenti, accioche si fermi in questa diversità; & si come la melodia si fa dalla diversità de i tenori, cosi anco accioche il genere humano perseveri fu necessario, che fossimo prodotti a studi tra se differenti.

Et se da essa Natura, laquale (cosi volendo Iddio) in tal modo ha ordinato i Cieli, il girare, & il corso de Pianeti con diversi moti, che senza alcuna sua fatica veggiamo essere prodotti a diversi uffici, prego dirmi, chi sarà colui, che felicemente habbia ardire passare in ufficio differente da quello a cui sia nato? Non sono già cosi ignorante, che non habbia conosciuto, che con la potenza del libero arbitrio, delquale tutti vogliamo, non possiamo vincere le forze della Natura, ilche leggiamo havere fatto alcuni, laquale veramente è opra da annoverare tra le cose, che di rado avengono, tanto siamo condotti da grande, & quasi invincibile, necessità quando nasciamo. Et se bene a diverse cose siamo generati, nati, & nudriti, se bene operiamo quelle, a quali siamo guidati, veramente egli è assai, senza che vogliamo passare piu oltre, laqual cosa tentando già alcuni invano, perderono quello che erano, ne poterono diventare quello, che cercavano. Tuttavia a tutte l’altre attioni, che la Natura si habbia prodotto gli altri, me ella (testimonio la sperienza) ha prodotto dal ventre della madre disposto alle considerationi poetiche, & al giudicio mio, a questo sono nato. Assai mi ricordo, che da fanciullo il padre mio pose ogni suo sforzo, perch'io divenissi Mercante; onde non essendo anco entrato nella adolescenza, havendomi fatto benissimo apprendere l'Aritmetica, mi pose a stare con un grandissimo Mercante, appresso ilquale nello spatio di sei anni non feci altro profitto, che perdere il tempo. Di qui, perche si vide per alcuni inditij, che sarei stato piu atto a gli studi delle lettere, commando il padre mio, ch'io entrassi ad udire le regole Pontificali, istimando perciò, ch'io havessi a divenire ricco; di che sotto un famosissimo Maestro quasi altro tanto tempo invano perdei. Questi studi mi fastidivano l'animo di maniera, che nè in l'uno, nè l'altro di questi uffici, nè per la dottrina del Precettore, nè per l'autorità del padre, dalla cui con nuovi commandamenti continuamente ero stimulato ne per preghi d'amici, nè villania, non puoti mai inchinarvi l'animo, tanta era l’affettione, che alla Poesia guidava quello. Nè per nuova imaginatione di consiglio l'animo mio s'inchinava allhora alla Poesia, anzi dall’antichissima dispositione vi era cacciato. Percioche ricordomi, che anco non haveva sette anni, nè havevo veduto fittione alcuna, & a pena havevo cognitione de i primi elementi delle lettere, non che udito alcuno Dottore, che in me fu il disio di comporre fittioni, cosi spinto dalla natura:& se bene non erano di alcuno momento, nondimeno alcune ne composi, ma non anco le forze dell'ingegno di cosi tenerilla età erano bastanti a tanto ufficio. Tuttavia cresciuto in età piu matura; & divenuto huomo di libertà mia, senza che alcuno a ciò mi confortasse nè m'insegnasse, anzi facendomi resistenza il padre, & biasimandomi studio tale, l'ingegno da se stesso divenne capace di quel poco, che di Poesia ho compreso, onde con grandissima cupidigia la ho seguita, & con grandissimo diletto ho visto, & letto i libri de i suoi Autori, & sommi sforzato al meglio, che ho potuto intendergli. Et maravigliosa cosa da dire, non havendo anco conosciuto con quali, overo quanti piedi caminasse il verso, & a ciò opponendomi con tutte le forze mie, quello, che hora anco non sono, quasi da tutti, che mi conoscevano, fui chiamato Poeta. Nè ho dubbio alcuno che, se mentre la età a questo era piu atta, il padre mio havesse acconsentito a questi studi, che non fossi diventato uno tra i famosi Poeti. Ma cercando egli prima nelle arti mercantesca, & poi nella industriosa facultà al guadagno piegar l'ingegno mio, e avenuto, che io non sia stato nè negoziatore, ne Canonista, & ho perduto di essere notabile Poeta. Gli altri studi delle facultà, se bene mi piacessero, perche a quelli non era guidato, non gli ho seguito. Nondimeno ho veduto i sacri volumi, da quali, attentoche la età è piena d'anni, & la debolezza dell'ingegno mi ha sconsigliato, sono rimosso, parendomi cosa vergognosa, che un vecchio incominci nuovi studi, essendo cosa a tutti disonesta, mettersi a quello, che non si pensa non poter finire. Et però istimando per volere d'Iddio essere chiamato a questo, in questo anco mi voglio fermare, & lodare quello, che oprerò col mezzo della dimostratione di questi studi: & cerchino gli altri quello gli pare. Quelli adunque, che sopportano il pecoraio dare opra alle sue pecore, il molinaio al molino, & lo statuario alle sue statoue, lascino anco me dar opra a i Poeti, nè in ciò mi siano contrari.

 

Che dannosamente habbiamo compassione a i Re, & a gli Dei Gentili.

Saranno di quelli, che trascuratamente si faranno innanzi ad alta voce gridando, che io sono huomo pazzo, percioche mi presumo cavare fuori della terra i busti de gli antichi Re, & le già per lunga pace quiete ceneri in nuovo odio suscitare, overo con piu moderni nuvoli offuscare gli antichi splendori, & appresso in meno opportuna consideratione eccitare le mezze morte scelerità de gli dei nel conspetto di tutti, & indi sotto honorato titolo di Geneologia de gli Dei narrare i loro ladronezzi, & incesti. Questa certo è una lunga querela, & composta di molti membri: onde per sua dimostratione considero, che questi si sono accorti di quello, che m'ha scritto, & spetialmente mentre si lamentano, che io ho narrato i fatti delli Dei Gentili. Questa lamentatione all'ohora mi sa di animo gentile, & se cosi sono nella mente le parole, si come i lamenti, che escono dalla bocca, fino al dì d'hoggi in alcuni vive quello errore infame, il quale prego Iddio, che tolga, & la ritorni in nulla. Egli è cosa facile rispondere a queste obiettioni. Temerariamente opra colui, che di soverchio trappassa i termini dello ardire, tale ricordomi essere la spinione d'Aristotele nel libro della Ethica; ma io istimo non gli havere passato. Percioche havere ardire oprare quello, che dalla necessità del bene è conceduto, non è temerità. Ho letto non essere vietato ad alcuno scrivere i fatti de i Re, ò honesti, ò dishonesti, che si siano. Nondimeno era meglio a i Re oprare cose tali, che di loro non si potesse riferire cosa men che honesta. Io di questi non con ordinato, nè a ciò disposto stile ho scritto, ma leggiermente tal volta ne ho trattato alcuna, si come l'ordine della opra mi ha constretto. Ma concedendo anco, ch'io l'havessi fatto, non però o fatto male alcuno, nè oprato cosa nuova, & disusata. Vi sono dei volumi cosi antichi, come grandi Illustri scrittori, ne quai con famoso stile, & intiero ordine si trattano i fatti de i Re; da' quali se alcuna cosa nella opra mia di loro si contiene, novissimo là ho raccolta. Se adunque si deve far querela alcuna, lamentinsi di que' maggiori, & antichi historici i cui celebratissimi scritti già lungamente sono stati palesi a tutto il mondo, da questi, se alcuno odio si può generare, si ha incominciato a far principio contra i ceneri già quieti. Ma gli prego, che pietà è questa? da qual fonte di charità nasce? & quale è la cagione di questa pietà? Credo, che questi tali, desiderando mostrarsi generosi, non sappiano in qualaltro modo darlo ad intendere, che col mostrare di haver cura de gli honori reali, & turbarsi nel sentire dirne male. O come per picciolo pregio questi tali istimano comprarsi la nobiltà; laquale si acquista con i famosi costumi con la giustitia, con la sanità, & con la scienza. Questi tali se fossero nobili, saprebbono, che non pure è superfluo, ma anco dannoso non solamente a i Gentili, ma a tutti i mali meriti havere compassione; & però se sono saggi, serbino questa pietà in meglio. Le vergognose scelerità de gli dei Gentili non dormeno, nè sono estinte, anzi dalla sacra dottrina di Christo sono state sepolte senza mai piu levarsi, & indi con la gran mole della dannatione coperte, & oppresse. Il peso di questa mole, se bene non molto, almeno in quanto vogliono le forze mie; si come huomo Christiano, mi sono sforzato accrescere, aspettando perciò conseguire più tosto degne lodi, che riprensioni. Non dimeno io faccio poco conto di questi morsi; percioche con nessuna acutezza di dente non ponno offendere alcuno. Questi adunque, se sono Christiani, tacciano, & si pentino se hanno havuto giamai compassione delle oppositioni fatte alli Dei Gentili, attentoche tra l'altre cose questo difetto non stà bene all'huomo Christiano.

 

Il breve, overo il lungo parlare non è difetto di essere lacerato.

Alcuni verranno poi, che mi chiameranno breve, perche alle volte più tosto succintamente, che con lungo ordine ho narrato le favole, & le historie, & di quelle dichiarato i sensi. Ma non dubito poi, che non vi siano anco di quelli, che diranno, che talhora sono piu lungo, che non faceva bisogno. Ai primi dirò che egli è come dicono, ma che io sono stato constretto a cosi fare, & di ciò vi sono molte ragioni. Alcune sotto poche parole sono state riferite, perche non v'era, onde io potessi scrivere né, estendermi piu lungo, eccetto, se del mio non havessi voluto fingere, overo ampliare le favole, & historie; ilche deve al tutto fuggire ogni degno huomo. Altre poi havevano bisogno di poca scrittura, per raccontarle anco a pieno; onde, se bene vi si considera, sarebbe stato vitio l'haversi esteso molto. Nondimeno vi sono molte cose, che senza dubbio havrebbono sopportato più lunga copia di parole, ma prego questi tali dirmi, se io (lasciamo tutte quelle cose, che si potrebbono haver detto, overo ricercato la materia) havessi solamente scritto quelle, che mi occorrevano nella memoria d'intorno le lunghissime historie, & favole, d'intorno i particolari atti cosi delli Dei come delli huomini, d'intorno i molti sensi delle fittioni, d'intorno il testimonio delle favole, & historie antiche, d'intorno le autorità, l’opinioni, et le relationi, et d'intorno simili altre cose, quando mai istimano, c'havrei dato fine a quest'opra? Veramente a pena un secolo mi sarebbe bastato, & il volume sarebbe divenuto si grande, che nel primo solo incontro tutti i lettori si sarebbono smarriti. Et però mi sono imaginato essere stato assai l'haver leggiermente toccato quelle cose, che si sono dette; percioche non scriviamo ad un fanciullo, nè al volgo da poco anzi si come altre volte è stato detto, ad un dottissimo Re, & ad huomini saggi se alle volte dalle tue mani Serenissimo Prencipe sarà per pervenire ad altri quest'opra. Oltre ciò, accioche gl'ingegni si essercitino, non cosi a pieno sono da scrivere tutte le cose. Attentoche quelle cose, che si acquistano con qualche fatica sono solite piu a piacere, & essere tenute con maggior diligenza di quelle, che da se stesse entrano nell'intelletto del lettore. Egli è anco da lasciare spatio di scrivere a i posteri, accioche non paia, c'habbiamo havuto invidia a i futuri mostrando con una certa arroganza, alla cui tutti aspiriamo, haver occupato la gloria de i posteri. Adunque con benigno animo egli è da sopportare quello, che per honeste cagioni è stato detto brevemente, overo per cagione di brevità lasciato. A quelli poi, che diranno che alle volte io sia stato piu lungo del debito, non so che risponderli altro eccetto, che mi è stato bisogno cosi essere: ò perche alle volte (come aviene) la dilettatione dell'intelletto mi spingeva, la quale anco ai piu prudenti talhora concede la penna liberalissima. Ma che? si come le cose brevi hanno possa di essercitare gl'ingegni degl'intendenti, cosi le piu ampie provocar quelli dei meno intendenti. Et però quelli, che piu sanno, ricordinsi che anco eglino una volta sono stati rozzi; di che senza sdegno sopportino, se un poco piu ampiamente si ha durato fatica per li piu giovani.

 

Che per vero, & non finto comandamento del Re quest'opra è stata composta.

Saranno forse di quelli che diranno quello, che alle volte è stato anco detto di alcuni altri famosi huomini, cioè, che io ho finto per gloria del nome mio haver per tuo commandamento, ò inclito Re composto quest'opra. Onde non essendo ciò vero, la loro fede sarà tarda, ma si conoscerà bene il scelerato animo di quelli, che ardendo d'invidia fanno falsa coniettura contra gli altri. Egli è cosa certa, per usare delle parole di Cicerone, che tutti siamo guidati dallo studio di lode, & ciascuno ottimo è condotto grandemente dalla gloria; & però essendo cosa gloriosa ad un picciolo huomo poter servire ad un grandissimo, & ottimo Re, non troverà con difficultà fede haver detto alcuni per inalzare la humilità sua haver finto una simile bugia; ma non crederò mai, che gli scrittori lo habbiano fatto. Tuttavia di questo un'altra volta. Io per parlar di me; non negherò, che non sia disioso di gloria; ma come che la desideri, non sono però cosi sfrenato, non di maniera acceso di tal desiderio, nè tanto inimico dell'honestà; che m'havessi lasciato incorrere, non dirò senza rossore, in cosi vergognosa bugia, ma nè anco in tal viltà di mente. In questo mi confesso superbo, se superbia si deve dire questa. In tali cose non essendo ricercato, non darei honore, nè titolo ad alcuno, eccetto al solo Iddio del Cielo; nè questo anco osarei verso tutti, che mi ricercassero. Tu hai conosciuto, Ottimo Re, che contra mia voglia, & rifiutando questo carico, per prieghi, & persuasioni di Donino tuo Barone, mi sono condotto a fare il tuo volere, cioè ad entrar sotto questa fatica; nè passando molti anni avenne poi, che Bechino Bellinzoni tuo famigliare, & nostro Cittadino, venendo di Cipro, mi trovò in Ravenna, dove poscia che con piacevoli parole la clemenza, & gratia di tua Maestà verso me di alcun merito, con grandissime essortationi per nome, & commandamento tuo, ricondusse di nuovo l'ingegno mio d'intorno la presente opra da me quasi posta da parte, & tralasciata. Medesimamente Paolo Geometra a te carissimo mostratemi molte volte lettere segnate col sigillo di tua Sublimità, nelle quali si contenevano commissioni a me di questa opra, mi ha fatto a ciò sollecito. Iddio ha conosciuto, et tu sai, che io non ho giamai veduto nè la Maestà tua, nè tu hai me potuto vedere. Ho creduto a queste commissioni, & sono entrato sotto grandissimo peso a gli homeri. Se senza tua saputa queste cose sono state fatte, per li già nomati sono stato ingannato, & cosi confesso questi che parleranno contra me, essere veritevoli, affermando; ch'io per tua commessione non l'habbia composta, ma non già per mio difetto, eccetto se alcuno non dicesse, che io havessi fallato in questo perche non mi habbia risposto, che l'havrei fatto, se tu con lettere a me spetialmente diretive me l'havessi commesso, ma questo mi è paruto superbo troppo; attento che havrei mostrato per persona degna di poca fede Donino tuo famosissimo soldato, il quale per essere morto quell’anno istesso, che mi venne a trovare, no'l posso hora chiamare per testimonio. Tuttavia Becchino, & Paolo Geometra vivono. Questi io, & la reale tua fede ho in terra per testimonio di questa verità. Te adunque insieme con loro invoco. A te si aspetta questa fatica, se la necessità farà bisogno, in resistere a questa oppugnatione, & con la confermatione della verità purgare il nome mio da cosi vergognosa nota d'infamia. Ma per lasciarti alquanto riposare ottimo Re, verrò a questi oppositori, & alle loro obiettioni per ragion mia risponderò alcuna cosa. Affermo tanto, quanto s'io fossi a lite dinanzi un tribunale, che io ho testimoni vivi, nè di feccia plebea, ma huomini Illustri, perche a me faceva poco bisogno, che andassi fino in Cipro per si vile bugia; se desiderava ornare l'opera mia del nome Reale quasi come io non havessi prima saputo quello che mi faceva. Poscia sono stato confortato da altri indrizzarlo a degni Principi, istimando non solamente, che eglino col nome loro a me havessero à partorir gloria, anzi che io con tal mezzo, delle mie scritture venissi ad aggiungere splendore a i loro Illustri Titoli. Nè ciò è meraviglia percioche vi sono i segni de gli aiuti de gli scrittori, & i nomi de’ Re. Di qui Alessandro Macedonico; il quale hebbe ardire animosamente con gran schiera di soldati assalire tutto il Mondo, andando contra Persi menò seco molti di questi scrittori che scrivessero i suoi fatti; dove venendo in Sigeo, vide il busto d'Achille, & tacer non puote, che con parole non dimostrasse quanto grande gli paresse la gloria, che i Re conseguivano da gli scrittori, chiamandolo fortunato per haver havuto Homero trombetta delle sue prove. Di qui Pompeo Magno, ilquale fece la fortuna eguale con la virtù, donò a Theofante Mithileno una Città, come se egli fosse per fare il nome suo immortale tra le schiere, dei soldati. Di qui i Scipioni, Tito Fulvio, Cato Censorino, Quinto Metello Pio, Caio Mario, & molti altri uomini Illustri si sono mostrati benigni, et liberali a gli scrittori, per moverli a scrivere di loro. Perche adunque nelle mie lettere buggiardamente includerò un’inclito Re; come se per forza volessi dargli gloria, & con vergognosa macchia oscurar la mia? Se io fossi cosi ingordo l'inalzare con bugie la mia gloria ho molte altre operette, lequali non sono ornate di alcuno titolo simile, eccetto che la Bucolica, laquale mi dimandò, che egli la intitolassi Donato Apenninigena povero ma huomo da bene, & singolare amico mio. Perche a tutte non pongo innanzi nomi di Re? Oltre cioè cosa nuova al mondo, che i Re desiderino alcuni scritti, & fare delle amicitie? Non veramente. Ricordomi a giorni nostri Roberto splendido Re di Gierusalemme, & di Sicilia, ornato di titoli da molti, haver dimandato al famoso huomo Francesco Petrarca, che gli intitolasse l'Africa da lui nuovamente composta, che di ciò non gli potrebbe fare piu alto dono; perche ricerco egli questo, & per inalzare qual gloria? ò quella di Francesco, ò la sua? Veramente la sua. Che tante cose? I famosi scrittori non fanno Illustri nomi de i gran Principi; anzi di piu essi Re per opra de gli scrittori sono conosciuti da i posteri. Oltre ciò se la opra è lodevole, che autorità le può apportare l'aggiuntovi nome di Re? Overo qual gloria sopragiungere al benemerito autore? ma se è anco da biasimare, con qual ragione questa inscrittione potrà farla lodevole, ò rimovere la vergogna imputata allo auttore? Adunque la approvatione de gli scrittori apporta honore, & gloria ai nomi Reali, & non i titoli a gli scrittori. Io, si come gia ho detto, sono in ciò cosi ostinatamente superbo, che da Iddio in fuori, al quale sono da attribuire tutte le cose, che se non fossi preggato, ò ricercato non ascriverei l'honore d'un verso solo nè anco a Cesare Dittatore, nè a Scipione Africano, se suscitassero, eccettuando qualche mio amico. Sia detto questo, ò mio Re, con tua buona gratia, & perdono. Et ultimamente pregoti, che se aviene, che mai tu oda alcuni fare tali oppositioni, come consapevole del vero, commandali con sdegno reale, che tacciano, & con virtù signorile difendi quello, che a te di tua commessione è stato indrizzato, anzi composto. Mi restarebbono molte cose a dire, ma perche parmi haver detto assai, ho giudicato lasciare il resto, lasciando la fortuna dell'opra a Iddio, donatore delle gratie, & a te, la quale poscia che sarà pervenuta nelle tue mani, se a te piacerà, con l'aiuto tuo uscirà poi in publico ò starà nascosta.

 

CONCLUSIONE.

Ecco finalmente, Clementissimo re, che con l'aiuto della divina pietà si è venuto al fine della opra, nella quale con quell’ordine, che ho potuto ho descritto secondo le narrationi de gli antichi la origine de gli Dei Gentili, & la loro discendenza con molte fatiche quà & là ricercata. Onde secondo il commandamento di tua Maestà in quanto s'hanno potuto estendere le picciole forze del debile ingegno mio, doppo le favole v'ho aggiunto i sensi delle fittioni cavati dagli antichi, ò dall'intelletto mio. Appresso, ho dimostrato, cosa, che mi è parso ufficiosissima, ad alcuni Poeti contra l'opinioni di questi tali, non dirò essere tutti giusti, ma non haver semplicemente composto le favole ridicole, anzi piene di succo, & di scienza; & quelli essere per scienza singolari per ingegno, & costumi illustri, & anco per famoso splendore notabili. Oltre ciò ho fermato il mio legnetto nelle onde con l'ancore, & l'ho bene legato confidandomi sempre piu nella bontà divina, che nella securezza de legami. Cosi anco dal nocchiero ho levato quei dardi, che mi parevano piu mortali, come che m'imagini restarvi molte altre cose, contra le quali a pena credo che mi sarei potuto armare. Percioche non fu mai cosi armigero soldato, che tanto si potesse armare cautamente, che non vi restasse qualche luogo disarmato & da poter ferire. Esso Iddio adunque mi difenda, il qual solo vede le strade de i maligni, & volendo può vietarle. Nondimeno perche sono huomo, & non ho mai conosciuto alcuno cosi aveduto, che se non è difeso dalla divina Providenza, non caggia spessissime volte in travaglio, tengo essere assai possibile, che alle volte habbia lasciato molte cose da dire, scritto di quelle da tacere, non haver a bastanza con ragione confermato delle narrate, overo men compiutamente haver sodisfatto al tuo disio, overo anco in molti altri modi haver peccato, di, che mi doglio. Et perche conosco chiaramente, che i peccati sono da imputare alla mia ignoranza, supplice ti dimando perdono, & humilmente per lo tuo scettro regale pregoti, che con la grandezza del tuo infinito ingegno supplisca a i miei difetti cancellando le superfluità, ornando le parole disornate, & correggendo, & emendando il tutto secondo il giudicio della tua sincera mente. Et se forse fosti occupato in cose maggiori, si come per lo piu voi altri Re solete essere, & non potesti spendere il tempo in questa fatica, allhora supplico tutti gli huomini honesti, sacri, pij, & Catholici, & spetialmente il Celibe Francesco Petrarca, famosissimo mio precettore, alle cui mani talhora perverrà questa opra, che per amore di quel pregiatissimo sangue di Giesù Christo vogliano emendare tutti quegli errori, che forse disavedutamente ho fatto, & ridurli in termine buono, che questo lo attribuirò a sua pietà, & benignità. Voglio, che alla loro censura, & correttione questa mia fatica sia sottoposta. Oltre ciò Inclito Re, se vi è cosa buona, et ben detta, et che a te piaccia, mi allegro, et della fatica mia resto contento. Ma non voglio già, che tu imputi ciò a mio sapere, nè per questo dimando gli Alori, nè altri honori, a Iddio veramente pregoti, che tu gli attribuisca, dal quale deriva ogni gratia, & compiuto dono; di che a lui ne darai gli honori, & le gratie vere. Attentoche io secondo mio costume sempre doppo l'haver fornito ogni mia honesta fatica, sono avezzo con quella affettione di mente, che posso cantare quel detto di Davit. Non a noi, non a noi Signore, ma al nome tuo dà la gloria.

 

Il fine del quintodecimo, & ultimo Libro.