UCCELLAGIONE DI STARNE

Lorenzo de' Medici

 

1

Era già rosso tutto l'oriente

e le cime de' monti parean d'oro;

la passeretta schiamazzar si sente

e 'l contadin tornava al suo lavoro;

le stelle eran fuggite, e già presente

si vedea quasi quel ch'amò l'alloro;

ritornavansi al bosco molto in fretta

l'allocco e 'l barbagianni e la civetta.

2

La volpe ritornava alla sua tana

e 'l lupo ritornava al suo deserto:

era venuta e sparita Diana,

però forse saria suto scoperto;

avea già la sollecita villana

alle pecore e porci l'uscio aperto;

netta era l'aia, fresca e cristallina,

e da sperar buon dì per la mattina.

3

Quando io fu' desto da certi romori

di buon' sonagli e allettar' di cani:

«Orsù, andianne presto, uccellatori,

perché gli è tardi e' luoghi son lontani;

el canettier sia el primo ch'esce fuori

acciò che i piè de' cavalli stamani

non ci guastassin di can' qualche paio.

Deh, vanne avanti presto, Cappellaio!».

4

Adunque el Cappellaio 'nanzi cammina;

chiama Tamburo e Pezzuolo e Martello,

la Foglia, la Castagna e la Guercina,

Fagiano, Fagianin, Rocca e Cappello,

e Frizza e Biondo e Balocco e Rossina,

Ghiotto, la Corta, Viuola e Pestello,

Zambracco e Sacco e 'l mio Buontempo vecchio

e Staccio, Burattel, Fuso e Pennecchio.

5

Quando i cani han di campo preso un pezzo,

quattro seguiron con quattro sparvieri:

Guglielmo, che per suo antico vezzo

sempre quest'arte ha fatta volentieri,

Giovan Francesco, e Dionigi è 'l sezzo,

ch'innanzi a lui cavalca il Foglia Amieri.

Ma, perch'egli era a buon'or la mattina,

per riverenza Dionigi inchina.

6

E la Fortuna, che ha sempre piacere

di far diventar brun quel ch'è più bianco,

dormendo Dionigi fa cadere

appunto per disgrazia al lato manco,

sicché, cadendo addosso allo sparviere,

ruppegli un'alia e macerogli 'l fianco;

questo gli piacque assai, benché nol dica,

ché la sua dama è la poca fatica.

7

Non cadde Dionigi, anzi rovina,

e, come debbi creder, toccò fondo,

ché, come un tratto egli ha preso la china,

presto lo truova come un sasso tondo.

Disse fra sé: «Meglio era stamattina

restar nel letto come fe' Gismondo,

scalzo e 'n camicia in su le pocce al fresco:

ma non c'incappo più, se di questa esco.

8

Io ebbi pure un poco del cucciotto

a uscire staman per tempo fuori,

ché, s'io mi stavo, come il Birria, sotto,

facea per me e per gli uccellatori,

ché si saria meglio ordinato e cotto

e la tovaglia coperta di fiori:

meglio è straccar la coltrice e 'l piumaccio

che 'l cavallo e guastar l'uccello in braccio».

9

Intanto lo sparvier vuol rimpugnare,

ma egli è sì rotto che non può far l'erta,

perché i frascon' cominciano a cascare

e da l'un lato pendea la coverta;

pur Dionigi il voleva aiutare,

ma, rassettando la manica aperta,

la man ghermìgli, onde sotto sel caccia,

saltògli addosso e fanne una cofaccia.

10

Restano adunque tre da uccellare;

e drieto a questi andava molta gente,

chi per piacere e chi pur per guardare:

Bartolo e Ulivier, Braccio e 'l Parente,

che mai non vide più starne volare;

e io mi messi con lor; similmente

Piero Alamanni e 'l Portinar Giovanni,

che pare in su la nona un barbagianni.

11

Strozzo drieto a costor, come maestro

di questa gente, andava scosto un poco,

come colui ch'all'arte è molto destro

e molte volte ha fatto simil giuoco.

E tanto va, chi a caval, chi pedestro,

che finalmente ei son venuti al loco,

il qual per uccellar fe' sol natura,

con tutta l'arte e ordine e misura.

12

E' si vedea una gentil valletta,

un fossatel con certe macchie in mezzo,

da ogni parte rimunita e netta:

sol nel fossato star posson al rezzo;

era da ogni lato una piaggetta,

che d'uccellar faria venir riprezzo

a un gottoso e cieco, tanto è bella:

el mondo non ha una pari a quella.

13

Scaldava il sole al monte già le spalle

e 'l resto della valle è ancora ombrosa,

quando giugnea la gente in su quel calle;

prima a vedere e disegnar si posa

e poi si spargon tutti per la valle;

e, perché a punto riesca ogni cosa,

chi va co' can', chi alla guardia o a getto,

sì come Strozzo ha ordinato e detto.

14

Era da ogni lato uno sparviere,

alto, in buon luogo da poter gittare;

l'altro a capo ne va del canattiere,

ch'a la brigata la vorrà scagliare;

era Bartolo al fondo; ed Uliviere

ed alcuni altri, per poter guardare,

a mezza piaggia, in una bella stoppia.

El canattiere a' can' leva la coppia.

15

Non altrimenti, quando la trombetta

sente alle mosse il lieve barberesco,

parte correndo o, vuoi dir, vola in fretta;

così quei can', che sciolti son di fresco;

e, se non pur che 'l canattier gli alletta,

chiamando alcuno e a chi scuote il pesco,

sarebbe il seguitargli troppa pena;

ma la pertica e 'l fischio gli raffrena.

16

«Tira, buon can! Su, tira, su cammina!»,

«andianne! andianne!», «torna qui, te', torna!»,

«ah, sciagurato, Tamburo e Guercina!»,

«abbiate cura a Sacco, che soggiorna:

ah, bugiardo, ah poltron!», «volgi, Rossina!»,

«guata buon can, guata brigata adorna!»,

«te', Fagianino...», «oh, che volta fu quella!»,

«vedila qui, quella starnina, vella!».

17

«State avveduti a Staccio...!», «frulla, frulla!»,

«ecco e' leva cacciando, l'amor mio»,

«ma io non veggo però levar nulla,

e n'ha pur voglia, e n'ha pur gran disio!»,

«guarda la Corta là che si trastulla!».

Oh, che romor faranno, già 'l sent'io:

chi salta e balla, e chi la leverà

di questi cani il miglior can sarà!

18

Io veggo che Buontempo è in sulla traccia;

«Ve' che le corre: e' le farà levare;

abbi cura a Buontempo, che le caccia;

parmi vederle e sentirle frullare;

benché sia vecchio, ancor non ti dispiaccia,

ch'io l'ho veduto e so qual ch'ei sa fare:

i' so che 'l mio Buontempo mai non erra.

Ecco a te, Ulivier, guardale a terra!

19

Guarda quell'altra all'erta, una al fossato:

non ti dissi io che mi parea sentille?

Guardane una alla vigna, all'altro lato

guardane due e tre, guardane mille!».

Alla brigata prima avea gittato

Giovan Francesco, e riempiea le ville

di grida e di conforti: «Ah, buono uccello!»,

ma, per la fretta, gittò col cappello.

20

«Ecco, Guglielmo, a te una ne viene:

cava il cappello, ed alzerai la mano;

non istar più, Guglielmo! Ecco, a te, bene!».

Guglielmo getta e grida: «Ahi, villano!».

Fugge la starna, e drieto ben li tiene

quello sparvier, che mai non esce invano:

dettegli in aria forse cento braccia,

poi cadde in terra, e già la pela e straccia.

21

«Garri a quel can!» Guglielmo grida forte,

che corre per cavargliele di piè.

E, perch'a ciò le pertiche eran corte,

un sasso prese e a Guercina diè,

per riscampar sì buon uccel da morte;

e, quando presso allo sparvier più è,

non lo veggendo, cheto usava stare,

per veder se sentissi sonagliare.

22

E, così stando, gliel venne veduto:

«Presto» grida «a cavallo, e' l'ha pur presa!».

E poi s'accosta, destro e avveduto,

come colui che l'arte ha bene intesa;

presegli il geto e per quel l'ha tenuto;

dagli il capo e 'l cervel, ché non gli pesa;

sghermito, e l'ugne e 'l becco gli avea netto;

poi rimisse il cappello e torna al getto.

23

Giovan Francesco intanto avea ripreso

il suo sparviere e preso miglior loco:

pargli veder ch'a lui ne venga teso

uno starnone; e, com'è presso un poco,

aperta la man presto, il braccio steso,

gittò come maestro di tal giuoco;

giunse la starna, e, perché ella è la vecchia,

si fe' lasciare e tutto lo spennecchia.

24

Invero egli era un certo sparverugio,

che somigliava un gheppio, e in un calappio

non credo che pigliassi un calderugio,

legato bene stretto con un cappio;

non avere' speranza nello indugio,

ch'a giuoco ne va poi come un fatappio;

e la cagion ch'a qual tratto non prese

fu che non v'avea il capo e non v'attese.

25

Intanto egli era uno starnone all'erta;

videlo il Foglia e fegli un gentil getto:

lo sparvier vola per la piaggia aperta

e presegnene innanzi al dirimpetto.

Corre giù il Foglia e pargnene aver certa,

però che lo sparvier molto è perfetto:

preselo al netto, ove non era stecco

in terra, e insanguinògli i piedi e 'l becco;

26

e questo fe', ché lo sparviere è soro.

E intanto Ulivier forte chiamava:

«Chiama giù il Cappellaio, chiama costoro!

e' n'è qui una» (e col dito mostrava);

«rilega i can', però che basta loro

la Rocca, che di sotterra le cava;

vien giù, Guglielmo, non istare al rezzo,

e tu e 'l Foglia le mettete in mezzo».

27

Così fu fatto; e come e' sono in punto,

el canattier diceva: «Sotto, Rocca!

Qui cadde, ve'. Ah, se tu l'arai giunto,

siesi tuo; torna qui, te' pogli bocca!».

Poi dice: «Avetel voi guardato a punto?».

E in quel lo starnon del fondo scocca.

«Ecco, a te, Foglia!». Il Foglia grida e getta,

e simil fe' Guglielmo molto in fretta.

28

Lasciò la starna andarne lo sparvieri

e attende a fuggir quel ch'egli ha drieto.

Disse Guglielmo: «Tu l'hai, Foglia Amieri!»,

e benché nol dimostri, ei n'è pur lieto.

«Corri tu, che vi se' presso, Ulivieri!»,

diceva il Foglia, e Guglielmo sta cheto.

Corse Ulivieri, e com'egli è giù sceso,

vide che l'uno sparvier l'altro ha preso.

29

Quel del Foglia avea preso per la gorga

quel di Guglielmo e crede che 'l suo sia;

par che a Guglielmo ta' parole porga:

«La tua è stata troppa villania!

Credo che 'l tuo sparvier massiccio scorga

a sparvier certo; e, per la fede mia,

tu pigli assai villani e stran' trastulli;

ma io pazzo a 'mpacciarmi con fanciulli!

30

Questa è stata, per Dio, piacevol cosa,

che per la gorga è preso il mio sparviere!».

Disse Guglielmo: «E' fanno alla franciosa!»,

e non poteva le risa tenere,

ché così fa l'allegrezza nascosa.

Intanto più s'accosta il Foglia Amiere;

e, come agli sparvier' n'andò, di botto

vide che quel di Guglielmo è di sotto.

31

E getta presto il suo logoro in terra,

e lo sparvier di sùbito v'andava,

e come vincitor di quella guerra,

gli fece vezzi, ché lo meritava.

Guglielmo intanto s'avvede ch'egli erra,

e lo sparvier suo guasto; onde gridava:

«Tu se' pur, Foglia, stato tu il villano!»,

e mancò poco e' nol disse con mano.

32

Ma 'l Foglia innanzi alla furia si leva,

e stassi cheto, ed ha pur pazienza:

altro viso e parole non aveva

quel ch'aspettava in favor la sentenza,

e poi subitamente la perdeva.

Disse Guglielmo: «Io voglio usar prudenza:

ritroverrenci in luogo forse un tratto,

ch'io ti farò ben savio stu se' matto!».

33

Già il sole in verso mezzogiorno cala

e vien l'ombre stremando e le raccorcia;

dà lor proporzione e brutta e mala,

come a figura dipinta in iscorcia;

rinforzava il suo canto la cicala

e 'l mondo ardea, come fussi una torcia;

l'aria sta cheta e ogni fronde salda

nella stagion più dispettosa e calda.

34

Quando il mio Dionigi tutto rosso,

sudando come fussi un uovo fresco,

disse: «Star più con voi certo non posso.

Deh, vientene ancor tu, Giovan Francesco!».

Pietro Alamanni ancor disse: «Io son mosso,

ché star qui più a me stesso rincresco,

ché pazzia è, ché par la terra accesa,

aspettar più per pascer poi di presa».

35

Diceva Dionigi: «Scalzo e scinto

a uno infrescatoio vo' starmi un'ora».

E finalmente il partito fu vinto

di partir tutti, ché 'l sol gli divora.

El Cappellaio ne va che par sospinto

co' bracchi ansando con la lingua fuora;

quanto più vanno, il caldo più raddoppia:

parea appiccato il fuoco in ogni stoppia.

36

Tornossi a casa, chi tristo e chi lieto

e chi ha pieno il carnaiuol di starne;

alcun si sta sanza esse molto cheto,

e bisogna procacci d'altra carne.

Guglielmo viene dispettoso a drieto,

né può di tanta ingiuria pace farne;

Gioan Francesco già non se ne cura,

ch'uccella per piacer, non per natura:

37

«Ov'è 'l Corona? Ov'è Giovan Simone?

- domanda - Braccio, ov'è quel del gran naso?».

Braccio rispose: «A me consolazione

è che ciascun di costor sia rimaso.

Non prese mai il Corona uno starnone,

se per disgrazia non l'ha preso o a caso;

e più sparvier' ha morti già meschini

ch'Orlando non uccise Saracini.

38

Egli arà forse preso qualche grillo:

lascialo andar, ché questa è poca ingiuria,

ché me' sarebbe perder, che smarrillo:

menarlo meco i' m'ho recato a ingiuria.

Gioan Simone, gli tocca un certo grillo,

sella il cavallo o, se gli ha, mula, a furia

el sacco toglie, e questo è suo mal vecchio:

per mio consiglio e' non verrà a Fucecchio;

39

ché 'l ciambellotto ha già presa la piega

d'andarne sanza dire agli altri addio,

il cappelluccio, e vassene a bottega,

a un grembiule, ch'è 'l cucco e 'l suo desio;

lui già, quando il fiero naso spiega

cani e cavalli aombra e fa restio;

né de' sentir della rosa l'odore,

se non conficca la punta nel fiore.

40

Luigi Pulci anco rimaso fia:

e' se n'andò là oggi in un boschetto,

ch'aveva il capo pien di fantasia:

vorrà fantasticar qualche sonetto;

guarti, Corona, per la fede mia,

che borbottòe staman molto nel letto,

e' ricordava ogni volta il Corona,

e l'ha a cacciar in frottola o in canzona».

41

Giungono a casa, e chi ripone il cuoio,

chi i can'governa e mette nella stalla;

poi, fatto cerchio a uno infrescatoio,

truovansi tutti co' bicchieri a galla.

Quivi si fa un altro uccellatoio,

quivi si dice un gru d'ogni farfalla;

e par trebbiano el vin, sendo cercone:

sì fa la voglia le vivande buone.

42

Il primo assalto fu sanza romore:

ognuno attende a menar le mascella;

ma poi, passato quel primo furore,

chi d'una cosa e chi d'altra favella;

ciascuno al suo sparvier dava l'onore

cercando d'una scusa pronta e bella;

e chi molto non fe' col suo sparviere,

si sfoga or qui col ragionare e 'l bere.

43

Ogni cosa guastava la quistione

del Foglia e di Guglielmo finalmente;

ma Dionigi con parole buone

dicea: «Guglielmo, e' non si tiene a mente

a caccia nulla e a l'uccellagione:

basta che 'l Foglia del caso si pente;

fa' che tu sia, come fu' io, discreto,

ch'uccisi il mio e stommi in pace cheto».

44

Ora ecco il sol ne l'oceàn n'è ito,

e Luigi, e Luigi è già tornato;

e 'l Corona anche a desco è comparito;

Giovan Simone ha fatto al modo usato:

per arte di maiolica è sparito.

E, poi che molto si fu cicalato,

a letto tutti, e prima un centellino,

ché d'ogni cosa porta pena il vino.

45

Or quel che poi si sognassi la notte,

questo sarebbe bello a poter dire,

ch'io so ch'ognun rimetterà le dotte

e insino a terza vorranno dormire;

poi ce n'andreno in Sieve, a quelle grotte,

e qualche lasca farem fuori uscire.

E così passa, o compar, lieto il tempo,

e con mille rime a zucchero e a tempo.