Pompeo in Egitto

 

ARGOMENTO

Vinto Pompeo a Farsaglia, partì per Larissa, donde s’incamminò per la vallata di Tempe; e, giunto ad Anfipoli, fece pubblicare un editto, col quale comandò a tutta la gioventù della provincia di portarsi armata appresso di lui. Avendo però inteso che Cesare, il quale lo inseguiva, non era molto lontano, partì per Mitilene; dove giunto, prese il cammino verso Rodi, ma essendo stato mal ricevuto da’ suoi abitanti, entrò in Attalia nella Pamfilia, e passò quindi nell’isola di Cipro. Avendo risoluto di cercare un asilo presso il Re di Egitto Tolomeo, il cui padre egli aveva sommamente beneficato, mandò ad avvertirlo della sua venuta. Potino, il quale avea l’autorità di primo ministro, adunò il consiglio, nel quale fu proposto se dovesse o no riceversi Pompeo. Il retorico Teodoto fu di opinione che dovesse a lui permettersi di approdare, e quindi ucciderlo per così obbligarsi Cesare, e non aver di che temere dalla parte di Pompeo. Fu seguito il suo consiglio, ed Achilla, uomo di singolare audacia, incaricossi della esecuzione. Prese egli seco Settimio, di nascita romano, e Salvio con altri sgherri, e postosi in una barca avanzassi verso Pompeo, il quale nel suo vascello stava attendendo la decisione del consiglio. Invitatolo ad approdare, Pompeo inviossi verso la spiaggia, alla quale essendo giunto, nell’atto che egli si levava appoggiandosi ad un suo liberto, Settimio diedegli un colpo di spada dietro alle spalle. Salvio ed Achilla unironsi a Settimio, e Pompeo vedendosi circondato da questi sicari, gittato un sospiro, prese per coprirsi il volto i lembi della sua veste, e senza dir parola si lasciò trucidare. Sopra quest’ultimo fatto è fondata precipuamente la presente Tragedia, nella quale si son tolte alcune vere circostanze per sostituirvene delle altre più proprie e più adattate all’intreccio della medesima.

 

INTERLOCUTORI

TOLOMEO
Re di Egitto.
TEODOTO
Confidente di Tolomeo.
ACHILLA
Confidente di Teodoto.
CNEO POMPEO MAGNO
TEOFANE
Confidente di Pompeo.
CAIO GIULIO CESARE
FULVIO
Ambasciatore di Giulio Cesare.
Guardie e Soldati egiziani.
Guardie e Soldati del seguito di Pompeo.
Guardie e Soldati di Giulio Cesare.

ATTO I

Scena 1

Appartamenti reali

Teodoto ed Achilla.

TEODOTO
Ah quale, amico, a questo regno, a questa
Città regal periglio è sopra! il forte
De’ Galli domator, Cesare invitto,
Su Roma impera e detta leggi al mondo:
Ei vincitor là di Farsaglia al campo
Trionfante mirò le schiere avverse
Volgere il tergo a vil terrore in preda.
Abbandonato, intimorito, errante
Sen fugge il gran Pompeo, qua volge i passi,
Qui cerca asilo, e qui sarà fra poco
Supplice e mesto al regio piè: l’insegue
Il fiero vincitor, desia vendetta;
Non la vuol che dall’armi, e queste mura
Cinte in breve vedrai da squadre ostili,
Se al vinto presterem soccorso, aita.
Or che mai far dobbiam? rispinger forse
Lungi da noi la supplichevol turba?
Forse accoglierla amici, ed infra queste
Mura ad essa apprestar sicuro asilo?
Odioso al mondo tutto, odioso ai Numi
Il rifiuto sarà, sarà funesto
Il ricettarla, che su noi lo sdegno
Trarrà del forte vincitor guerriero.
Parla or dunque, consiglia: eh, qual potremo
Via rinvenir, per cui serbar la pace
Tra queste mura, in questo regno, e salvo
Render l’Egitto?
ACHILLA
Ascolta; a noi di troppo
Periglioso saria l’aver nimico
Cesare e Roma; l’Universo trema
Al nome tal, nè temerà l’Egitto?
Dunque da noi scacciar lungi dovremo
La supplichevol turba, e in truce aspetto
I suoi pianti sprezzar, sprezzar le grida?
No; del vinto Pompeo l’atroce sdegno
Potriaci un giorno esser funesto; il fato
È volubile, il sai; forse la sorte
Un dì vorria, volta l’instabil ruota,
Cesare oppresso, e vincitor Pompeo.
Che dunque oprar dovrem? Fallace aspetto
Ora vestir conviene; il vinto stuolo
Da noi si accolga, e in Alessandria trovi
Simulata pietà, mentita fede.
Del Dittatore ad evitar lo sdegno,
Cada Pompeo per nostra man trafitto;
L’estinta salma ei veda; il suo nemico,
Prosteso a’ piedi suoi, lordi di sangue
Questo suol, queste mura. Omai si franga
Delle moleste, inopportune leggi
La catena servil, sprezzinsi i dritti
Della fede ospitale; unica via
Questa è di scampo al minacciato Egitto.
TEODOTO
I tuoi consigli approvo; altronde invano
Salute cercheremmo; a noi sol puote
Scampo arrecar del vinto duce il fato.
S’armin dunque le turbe; al rege imbelle
Celar conviene il meditato inganno.
In giovin cuore, il sai, troppo degli avi
Puote l’esempio; a’ miei disegni opporsi
Egli potria, potria pur anco il folle
Quanto debba l’Egitto al vinto Duce
Rammentare in mal punto: in petto adunque
A te si celi la tramata frode.
Vanne: Alessandria omai per le tue cure
Tra il comune terror viva tranquilla;
Tu ne assicura libertade e pace.
Di armati e d’armi questa reggia or cingi;
Forse potria la fuggitiva turba
Meditar qualche inganno, e qui raccolti
E spirti e forze, ad improvviso assalto
Muover furente, e d’Alessandria alfine
Con nero inganno reo farsi signora.
Tu i guerrieri disponi; in ogni dove
Salda presenti ed inconcussa fronte
Questa regal cittade ad ogni ostile
Perfido agguato, ad ogni ascosa trama.
Vanne: di Egitto in te la speme è posta.
ACHILLA
Quanto m’imponi eseguirò; ben presto
Veder potrai tranquillo il popol tutto.
Alessandria sicura, il regno in salvo...
Che miro, o ciel!... Pompeo s’innoltra.

Scena 2

Pompeo e detti.

POMPEO
Amici,
Pur vi riveggo alfin! di mie sventure
Un tal contento alleggerisce il peso.
Ah, quale or vi rimiro! un dì temuto
Dal mondo inter, terror dell’Asia avversa,
Dell’Affrica spavento, e dell’Europa
Sostegno e difensor, stender godea
L’amica destra a sollevar le oppresse
Nazioni supplichevoli, gementi,
E spesso con la man pietosa e fida
Tersi ai Regi dagli occhi il mesto pianto:
Ora sconfitto, abbandonato, errante
Lungi dal patrio suol, qui mi ritrovo
Sotto straniero ciel. Pur non vien meno
In questo cuore il marzial coraggio,
Il romano valore; io son Pompeo.
Il sento, il so, venga il nemico, affronti
Questa man, questo petto, a mille e mille
Avverse schiere in faccia, io saldo e forte
Mantenermi saprò. No che Pompeo
Non sa che sia timor, se vinto ei cede,
Colpa del fato è sol, non di viltade.
Tigrane il dica, e Mitridate altero
Per me sconfitto; il Medo parli e il forte
Italo invitto, e il generoso Ibero.
Tal fui, tal son, che in me non langue estinta
La romana virtude, il fier valore.
TEODOTO
Sperar signor, convien: del tutto avversa
Non ti è la sorte. In questo regno amico
Tranquillo troverai sicuro asilo;
Qui, raccolte armi e forze, il tuo nemico
Sfidare in campo ed affrontar potrai:
Se è da un Roman guidato, eh, quali prove
Far non saprà l’Egizian valore?
Molto resta a sperar; Cesare alfine
Invincibil non è! Roma t’invita,
Roma, ed il mondo, che a un tiranno impero
Mal soffre soggiacer; di libertade
Sarai tu difensor, tu de’ Romani
Saldo sostenitor; paventi il fiero
Orgoglioso tiranno, ei vegga il seggio
Mal fermo, il trono vacillante, e tremi.
Ubbidiente al tuo voler l’Egitto
Ognor sarà: no, che non fugge il saggio
Di un infelice il volto. Ardue sventure
Preman Pompeo, mostri la sorte a lui
Benigno aspetto, a Roma ognor fedele
Alessandria sarà. Forse all’Egitto
Dovrà Pompeo la libertà latina.
Oda i miei voti il cielo, io volo intanto
Il Rege a prevenir; tra brevi istanti
Qua ritorno farò; ma ei viene appunto,
Eccolo a te.

Scena 3

Tolomeo e detti.

POMPEO
Prence, al tuo piè tu vedi
Pompeo, già grande un giorno; egli ha con Roma
Comune il fato; di ribelle spada
Al fulminar, vinta del Lazio cadde
La libertà: me pur persegue irato
L’implacabil destin, la cruda sorte;
Ma non cadde Pompeo! Ne frema il fiero,
Scellerato oppressor, Pompeo non cadde;
No, non fu vinto il suo valor dall’armi:
Ei spira ancor; forse a suo danno un giorno
Esso il vedrà fra cento squadre e cento
Schernire il suo furor, di sangue sparso
Aprirsi a Roma il varco, e sulle estinte
Salme di mille e mille empi ribelli
Di vittoria innalzar lieto il trofeo.
Qui son frattanto a te dinnanzi, io cerco
Un asilo in Egitto. Odioso, io spero,
Ciò non ti fia: supplice qua non sono,
Non imploro mercè; no, non paventa
Pompeo di morte il sì temuto aspetto:
Sol per la patria io vivo, e questo braccio
Sol per la patria pugnerà; tranquillo
Tra i perigli n’andrò; se me rigetti,
No, pregar non saprò. Sdegna un Romano
Le meste grida e i sconsolati pianti.
Tra i nemici n’andrò, sol contro l’urto
Di mille schiere ad affrontar la morte,
Se da te mi discacci.
TOLOMEO
Amico, invano
Fingi in me tal viltà. Resti Pompeo;
Ubbidisca a’ suoi cenni ognor l’Egitto:
È tale il mio voler, tal la mercede,
Che a’ benefici tuoi rende il mio regno.
No, che sol di Quirin tra l’alte mura
Non fa il valore e la virtù dimora;
No, che non vede solo il Tebro altero
Nascer gli Eroi; del Nilo ancor la riva
Di alcun romano per valore è madre.
Tu fra poco il vedrai. No, non ignora
Che sia virtude Tolomeo; di Roma
Egli il fato compiange, ei di Pompeo
Sostegno farsi e difensor desia.
Tu vanne, Achilla: armati ovunque ed armi
Disponi, aduna. Ad ogni cenno omai
Sien del Duce roman pronti i guerrieri,
Al suo coraggio, al suo valor commessa
Sia d’Alessandria la salvezza; a lui
Delle adunate, generose schiere
Il comando si affidi; ei vegga a prova
Quanto possa l’Egitto, e quale alberghi
Fede e pietà tra queste avite mura.
Abbia con Roma omai comun la sorte
Grata Alessandria, o con lei vinca, o cada
Vinta con essa dai ribelli acciari.

Partono Tolomeo ed Achilla.

Scena 4

Teofane, Teodoto e Pompeo.

POMPEO
Teofane, che rechi? eh quale in volto
Mostri terror?
TEOFANE
D’infausti annunzi io vengo
Ingrato apportator. Tra mille schiere
Ver noi Cesare avvanza: io vidi, io stesso
Errar da lungi le nemiche insegne,
Splender gli scudi, e sfolgorar gli acciari.
Pe’ vasti spazi già spargersi intorno
Veggonsi igniti lampi, un’alta messe
D’aste affoltate, un ondeggiar confuso
D’alteri elmi criniti: i sommi rami
Somiglian di boscosa ampia foresta,
Che dall’urlante soffio di Aquilone
Agitati e commossi, all’acque immense
Del mar simili fluttuando ondeggiano.
L’aquile altere minaccianti orrende
Spiegan ribelli il volo. Ognor più presso
Fassi il nemico stuol; fra brevi istanti
Assaliti sarem tra queste mura.
Nulla resta a sperar, cadrem ben presto
Sotto il nemico acciar. Miseri! ah, dove
Ci trasse il rio destin? Sconfitti, erranti
Non ci volle egli sol; di morte in braccio
Ci spinge, e vuol del nostro sangue alfine
L’empia brama saziar...
POMPEO
Vile, ti accheta.
Qual t’ingombra timor? Sì presto adunque
Tu cedi alle sventure? Ah! non mostrarti
Dell’amicizia di un romano indegno.
Quale insana viltà? Cesare adunque
Invincibil tu fingi? eh, non rammenti
I campi di Dirrachio e il dì felice,
In cui tremar tu l’oppressor vedesti,
Fuggir gli empi ribelli, e sotto ai colpi
Delle romane spade a terra stesi
Farsi co’ corpi estinti a’ nostri passi
Orrido inciampo? Ah! se non cadder franti
Di libertade i lacci, e se in quel giorno
Non dispiegàr gloriose a Roma il volo
L’aquile fide al vinto duce in faccia,
Colpa fu del destin. No, che il valore
Non mancò ne’ romani: e, vil, tu puoi
Di Cesare temer, tu in faccia all’empie
Turbe ribelli inorridirti, e il volto
Mostrar coperto di pallor? No, ch’io
I nemici non temo, io più di loro
Temo il vostro timor. Lieve tempesta
Al nocchier che dispera è ognor fatale.
Dunque dovrà Pompeo veder tremanti
A Cesare d’innanzi i fidi suoi?
Ah! tolga il ciel tanta viltade. Io volo
Tutto a dispor per la difesa; in breve
Alessandria vedrai sicura ovunque
De’ nemici schernir lo sdegno e l’ira.
Tu con speme miglior l’alma conforta;
Desta gli spirti omai; che sei rammenta
Del fier Pompeo guerrier, seguace, amico.

Parte.

Scena 5

Teofane e Teodoto.

TEOFANE
Oimè! che udii? Dunque Pompeo disegna
D’opporsi armato all’inimico stuolo,
E del trionfo ancor nutre speranza?
Folle speranza! Ah, ch’ella, sol di stragi
Causa sarà, sol di ruine, e solo
Di spavento e terror; folle è colui
Che contro il fato a cozzar prende. E dove,
E in che sperar? Nella difesa forse
Di nostre squadre indebolite e stanche
E molli ancora di sudor la fronte?
Scorra per ogni lato, ei vegga il pianto
In ogni ciglio, in ogni cor la tema.
Qual contro lui si adira e quale il cielo
Malvagio accusa, qual non parla e piange,
Qual corre, e ove non sa. Come all’estreme
Fronde d’arida canna accesa fiamma
Si propaga e si accresce, e appoco appoco
In vortici fumanti al ciel s’innalza;
Tal lo spavento ovunque scorre, e fatto
D’ogni animo signor, confonde e mesce
La città tutta. Ognun di già vicino
Teme l’ultimo istante, ognun tremando
Corre all’amico amplesso e il crede estremo.
Eh qual difesa mai da tali schiere
Sperar puote Pompeo? D’Egitto forse
Nella virtude egli confida? Ah! questa
Troppo è folle lusinga; e qual dal forte
Vittorioso nemico oltraggio o danno
Tolomeo ricevè?...
TEODOTO
No, mal conosci
Del nostro Rege il cuor. Si pugni, e cada
Vinto l’Egitto, e che perciò? si serbi
La data fè, de’ benefici suoi
Questa a Pompeo mercè si renda: ei vegga
Quanto possa Alessandria, e quale alberghi
Pietade in questa Reggia: i sensi sono
Questi di Tolomeo. Ma qual del forte
Invitto Dittator la possa e l’armi
Quale affrontar vorrà? Dunque l’Egitto
A un Romano stranier sacrare il sangue
E la vita dovrà? privo di speme
Di vittoria e trionfo indarno dunque
Ei pugnerà, cadran le genti estinte
Per appagar di un insensato il folle
Temerario desio? Deh! ceda alfine,
Ceda al destino il roman Duce. Ognuno
Il riconosce Eroe; di sua virtude
Sparso è dovunque il grido: ah! cessi omai
Di contrastar col fato. Indarno ei spera
Di servitù togliere a Roma il giogo.
Vinta ella cadde: di Farsaglia i campi
Parlan di sue sconfitte; in cielo è fisso;
Quella che serve tante genti rese
Serva essa stessa alfin. Tu vanne, amico:
Del roman Duce in cuor destar procura
Men fieri sensi, ei ceda un giorno e il sangue
Risparmi omai sì vanamente sparso.

Parte Teofane.

Scena 6

Teodoto solo.

TEODOTO
Il tutto arride a’ miei disegni. Avvanza
Cesare il prode; ei d’Alessandria in breve
Signor sarà, ma sol per poco; il capo
Del fier Pompeo fia tra l’Egitto e Roma
Di pace mediator; nulla si oppone
Al mio desir. Forse... ah da me va lungi
Troppo vana speranza... ah forse un giorno
Lo stesso acciar che del romano duce
Il sen passò, di Tolomeo potria
Farsi uccisor, forse su questa fronte
Il diadema regal... No, nulla al forte
Impossibil fu mai: sì, tutto puote
Magnanimo valor, marziale ardire.
Questo mio petto del secreto arcano
Sia geloso custode..., il regno, il trono
L’aureo scettro regal... gradita immago,
Ah, qual commuovi i sensi miei!... T’accheta
Ambizioso mio cor... quanto d’un regno
Puote la speme! Ah! si fomenti un tale
Generoso desio, lusinghe e doni,
Armi, forza, costanza, ardir, valore,
Tutto s’impieghi al desiato fine.
Forse non vana la mia speme un giorno
Veder potrò, forse di morte in braccio
L’odiato regnator... Basti, se il fato
Con lieto aspetto a’ miei disegni arride,
Vedrà l’Egitto un dì quanto di un regno
Di Teodoto in cuor possa il desio.

Scena 7

Tolomeo e detto.

TEODOTO
Signor, ver queste mura armate schiere
Volgono i passi; il vincitor Romano,
Lor Duce e guida, omai tra brevi istanti
Assalirci vedrai; signor d’Egitto,
D’Alessandria tiranno, il forte, il prode
Cesare or or sarà; trema ciascuno
All’appressar delle nemiche squadre:
Inabile ai ripari, ognun si asconde
Sotto il paterno tetto e al petto stringe
L’amico, il genitore, il figlio amato;
Misero! e teme ad ogni istante il fiero
Duce roman mirarsi appresso, il crudo
Barbaro acciar de’ suoi più cari in seno
Veder paventa immerso, e mille morti
Prova ad un punto sol. Confuso, errante
Ciascun si aggira, nè sa ben se corra
In braccio a morte o se fuggirla ei tenti.
Solo fra tanto orror tranquillo, immoto
Vedi il fiero Pompeo, de’ nostri mali
Abborrita cagion. Nulla ei paventa
Il nemico vicin; di tanto lutto
Nulla il commuove la funesta immago.
Imperturbato con feroce aspetto
Cesare attende, e sol di sangue e stragi,
Di vendetta e di guerra è sol bramoso.
Che pensi o Prence? Ah degli Egizi ognuno
Supplice e mesto a te le mani stende.
Qual nella guerra aver possiam salute?
Pace brama ciascun, pace ti chiede
Per bocca mia tutto l’Egitto: ah il tuo
Popolo deh consola, o Re...
TOLOMEO
T’accheta,
Non sedurre il mio cuor; lo speri invano.
Pace Alessandria non avrà; si avvanzi
Il crudele oppressor; la reggia, il trono
Atterri, incenerisca, arda, distrugga;
Si pugnerà, vinca Alessandria o cada
Vittima infausta del roman tiranno.
Che se pur anco all’empio Duce in faccia
Fugga l’infido stuolo, e insegne ed armi
In preda lasci alle nemiche squadre,
Sol me vedrà la turba ostile al suo
Insano empio furor far fronte immoto,
Me sol pugnar, me sol cadere estinto
Del fier tiranno appiè: la fede è questa,
Che al vinto Duce io serbo; il vegga il mondo,
Cesare il vegga, e l’egizian valore
Egli apprenda a temer. No, che Pompeo
Deluso non sarà; di sue sventure
Non teme Tolomeo l’odiato aspetto.
Tu vanne intanto, e noti a ognun proccura
Rendere i sensi miei, vinca l’Egitto,
O con Pompeo soccomba: invan sedurmi
Spera ciascuno, il mio volere è questo.

Fine dell’atto primo

 

ATTO II

Scena 1

Teodoto, Achilla.

ACHILLA
Tutto disposi già: del vinto stuolo
Nulla a temer ci resta; esso atterrito
Pallido, palpitante, e l’armi obblia,
E alla fuga sol pensa; in ogni lato
Prodi guerrieri al cenno mio son pronti.
Ferree sbarre di già le aenee porte
Assicuràr, fidi custodi all’uopo
Disposi ovunque; il mio comando, a un tratto,
Schiuder le porte al vincitor d’innanzi
Sarà lor cura: in ogni dove ad arte
Finsi di guerra marziale aspetto,
Onde dell’egiziano imbelle Prence
Deludere così le vane cure.
Esulta il fier Pompeo, giubila, e crede
Di stragi sitibondo il crudo acciaro
Tinger fra poco nel nemico sangue.
Vana speranza! Egli ben presto il ferro
Rosso farà nel sangue suo. Già nulla
S’oppone, amico, a’ tuoi disegni: in breve
Alessandria vedrem sicura e lieta
Plauder gioconda all’opre nostre, e alfine
Quella pace goder, che or mesta e afflitta
Chiede, e desia. Tu dell’Egitto, amico,
Lo scudo, il difensor sarai; te solo
Liberator, sostegno suo fra poco
Il popol tutto ammirerà.
TEODOTO
Mio fido,
Ora al Duce roman conviene i nostri
Sensi far noti. Il capo invan del fiero
Pompeo guerrier noi gli offriremo, invano,
Schiuse le porte con amico aspetto,
Lo accoglierem tra queste mura, invano,
S’egli il tutto ignorando avrà le forti
Turbe feroci ad assalir qua spinte.
E chi potrà delle romane schiere
L’impeto trattener? chi opporsi al cieco
Desio sfrenato di ricchezze e d’oro?
Qual mai potè di ruinoso fiume
Vincer la possa, allorchè gonfio il seno
Per le raccolte immense acque crescenti,
Ogni argin rotto, ed i natii confini
Negletti, oltrepassati, i vasti campi
Ad assalir sen corre, e l’onde altere
I faggi ombrosi ad atterrar sospinge,
E a desolar le biade, e insiem travolti
Via trasportar veloci arbori e belve?
Fido messaggio or dunque a noi conviene
Elegger tosto: al Dittatore ei vada,
Il suo giunger prevenga, a lui del fiero
Duce roman, dell’egiziano Prence
Noti faccia i disegni, e a lui le nostre
Cure discopra, e quanto oprammo ei sappia
Con arte disvelar; cauto a noi faccia
Quindi ritorno, e del romano Duce
I sensi esponga, onde possiam sicuri
I comandi sprezzar del nostro Prence...
Ma... che vegg’io?... Fulvio s’appressa.

Scena 2

Fulvio e detti.

TEODOTO
Oh quanto
Io godo, amico, in rivederti alfine,
Dopo sì grave lontananza e tante
Aspre vicende e impreveduti eventi.
Già ti conobbi in riva al Tebro un giorno,
E appoco appoco in noi crebbe l’affetto
All’avvanzar degli anni, alfin ci volle
Disgiunti il fato, te di Roma il suolo
Possiede ancor, me dell’Egitto il regno
Trasse il destino ad abitare. Eh quale
Ventura in Alessandria or te condusse?
Eh qual te, fido amico, il patrio tetto
Strinse ad abbandonar?
FULVIO
Compagno a mille
Prodi guerrieri, le paterne mura
Con la tenda marzial cangiar mi piacque.
Sfidare in campo le nemiche schiere,
Dar di fiero valor non dubbie prove
Fu mio desio. Già brama tal mi punse
Sin dai verd’anni; d’una spada il lampo,
Il balenar di un rilucente scudo
Di marzial valor vive scintille
Destavanmi nel cuor. Cedetti alfine
Al fervido desio, men corsi al campo.
Quivi al fragor delle guerriere pugne
S’accrebbe il mio valore: abile appena
A sostener fui d’una spada il peso,
Di Cesare seguii l’armi e la sorte
Contro i Galli pugnai, me di Farsaglia
Vide il campo guerrier, nel giorno in cui
Dal nemico valor sconfitto e vinto
Cadde il fiero Pompeo; qua venni alfine,
L’orme seguendo del Romano Duce,
Del vinto stuolo in traccia; egli m’invia
All’egiziano Re nunzio di pace.
Sol che renda Pompeo, sol che le vinte
Schiere abbandoni al fato avverso in braccio,
Nulla tema da noi; tranquillo e lieto
Viva l’Egitto: al Campidoglio in breve
Farà ritorno il vincitor guerriero.
Ma s’egli...
TEODOTO
Ah! taci, amico: assai compresi,
Tutto previddi, e dell’egizio Prence
La mente invano guadagnar cercai.
Guerra egli brama, e guerra sol desia
Il fuggitivo Duce. Or tu con arte
Mostrar sappi i perigli al Rege insano,
Pingi del fiero Dittator lo sdegno,
Della guerra i tumulti e le vicende
Orribili di Marte..
FULVIO
Egli si appressa;
Nulla in obblio porrò: minacce e preghi
Tutto impiegar saprò.

Scena 3

Tolomeo e detti.

FULVIO
Per me, Signore,
Roma salute e pace oggi t’invia.
Degli odi antichi e delle risse atroci
Al lungo corso omai brama por fine.
Cessin le stragi, o Re, cessin gli sdegni.
Assai, t’è noto, di romano sangue
Bebber le greche e le latine arene.
Torni la pace omai, con saldi nodi
Di fede e di amistade insiem congiunte
Siano le genti tutte, e questa alfine
Gloria coroni le romane imprese,
Che per coloro sia felice il mondo,
Per cui più vivo arse di guerra il fuoco.
Tal di Roma è il desio, tal dell’intero
Orbe commosso, che alla pace anela.
Ma come oprar se di Pompeo tuttora
Vive lo sdegno e l’ambizione insana,
Se armato ancora e da ribelli squadre
Cinto e difeso alla vendetta aspira,
E stragi sol desia, sol morti e sangue?
Deh tu, che il puoi, tu del superbo Duce
Vano rendi lo sdegno: a Roma, al mondo
Ridona alfin la sospirata pace:
Il brama ognun, Cesare il chiede, e certo
Egli è che, sol del comun ben bramoso.
Tu di giustizia e di equità le voci
Consulterai, Signor, nè quelle leggi
Trasgredirai, quelle incorrotte leggi,
Che sacre ognor furo a’ Monarchi ancora.
TOLOMEO
Grato a Cesare io son, grato pur anco
All’opra tua; sol d’equitade i dritti
Ognor mi piacque consultar; no, Roma
Nulla tema da me. Vedrà ben presto
L’altero vincitor, vedrà se in faccia
A mille rischi di sue schiere a fronte
Sappia temer l’egiziano Prence.
Di questa spada il balenar fra poco
Le sue pupille ferirà. No, questo
Non è de’ Galli il suol, nè di Farsaglia
Potrà l’altero vincitor feroce
In Alessandria ritrovare il campo.
Tremi il ribelle stuol: Roma, il ripeto,
Nulla tema da me; sciolta da’ lacci
D’infame servitù per me fra poco
Ella sarà, se pur benigno il fato
Lieto e propizio a’ miei disegni arride.
Vanne...
FULVIO
Signor, perdona, ah! questa dunque
Risposta al Dittator recar degg’io?
Impaziente egli dall’armi cinto
Tra mille schiere e mille duci invitti
Il mio ritorno attende: ah questo fia
Della ruina d’Alessandria il segno!
Deh ti commuovi, o Re: se nulla apprezzi
La tua vita, il tuo sangue, ascolta almeno
Del popol tuo le meste voci e il pianto.
Cedi, o Prence, al destino; il vinto Duce
Abbastanza pugnò: dunque non mai
L’avida brama di battaglie e sangue
Paga di esso sarà? Deh! cessi alfine
Il suo furore insano...
TOLOMEO
Intesi assai:
Non più. Ritorna al tuo Signore, a lui
Fa’ noti i sensi miei. Sì, grato, il dissi,
A Cesare son io, ma i dritti ognora
D’amistà rispettai. No, quella pace,
Ch’offre all’Egitto il vincitor Romano,
Di me degna non è; tranquillo il mondo
Fia solo allor che d’equitade i dritti
Rispettati saran. Non odio o sdegno,
Di vendetta desio, di sangue e stragi
Me non spinge a pugnar: la fè, le sacre
Voci sol di giustizia a me la destra
Arman del ferro a sostenere eletto
Di libertà, del vinto Duce i dritti.
Vanne, ritorna al campo: il fier tiranno
Muova all’assalto, e ferro ed armi e faci
In opra ponga ad atterrir le schiere
Fide all’egitto e al vinto Duce: immoto
Tolomeo resterà; sol quando il ferro
Avrà l’altero vincitore immerso
In questo petto, egli potrà sicuro
D’Alessandria Signor farsi e di Roma.

Parte.

Scena 4

Fulvio, Teodoto, Achilla.

FULVIO
Udisti, amico?
TEODOTO
Udii, tutto previdi;
Ma non però senza difesa e scampo
Alessandria sarà. Vano lo sdegno
Noi renderem del vinto Duce; al prode
Romano vincitor per noi le porte
Schiuse saran, fidi custodi ovunque
Disposti all’uopo, dell’egizio Prence
Deludere sapran la vigil cura.
D’Alessandria Signor, sol ch’ei lo brami,
Sarà fra poco il Dittator guerriero.
No, che di tanti mali onde l’Egitto
Minacciato vegg’io, l’aspetto orrendo
Sostener non potrei: dunque di tante
Genti Signora, generosa e forte
Alessandria vedrò, città reina,
Alle spietate edaci fiamme in preda,
In cenere ridotta, al suol distesa,
Abbattuta, distrutta, e in ogni dove
Fatta albergo d’orror, di lutto e morte?
Ah! tolga il ciel tanto spavento! E quale
Danno maggior far ci potrebbe, o Numi,
Il più spietato, il più crudel nemico?
Tu vanne, o Fulvio; al tuo Signor sian noti
Di Teodoro i sensi: ei venga, ei regni
Su questo suolo, e a suo talento imperi
Su noi, sul mondo e sulle genti tutte.
Vivi ei ci serbi sol; questa, sol questa
Mercè di nostra ubbidienza e fede
Renda Cesare a noi.
FULVIO
Non più; t’intesi,
Al Dittator tutto a far noto io volo.
Tra mille schiere egli verrà fra poco
De’ tuoi fidi in difesa; io parto, amico.
Nulla resta a temer. Tranquillo viva
Omai l’Egitto: ah non è già qual credi
Un tiranno crudel Cesare il prode.
Farsaglia il dica, e Italia tutta, e Roma;
Roma ribelle al Dittatore un giorno,
Ora a lui fida ed a Pompeo nemica.
No, non temer: salva Alessandria in breve
Per l’opra mia sarà, per le tue cure.
Tu qui rimani, e allor che a questi tetti
L’aquile altere scorgerai vicine,
Fa’ che ad un cenno tuo pronti i custodi
Schiudan le porte al Dittator d’innanzi.
Al campo io corro. Tu l’arcano intanto
Custodisci geloso; inutil fora,
Mio fido, ogni opra se al nemico sguardo
Giungesse a trasparir l’ordito inganno.

Parte.

Scena 5

Achilla e Teodoto.

ACHILLA
L’ora è già presso, o fido amico, in cui
Di Mitridate il domatore, un tempo
Invincibil creduto, a quella morte
Soggiaccia alfine, a cui cotanti ei trasse
Principi e duci all’armi sue nemici
E di Roma al poter. L’opra affrettiamo;
Fugge e sen vola l’opportuno istante.
Fidi guerrieri a radunare io corro,
Del roman Duce a prevenir lo scampo:
Ora convien sacrificarli all’ira
Del popolo commosso e dell’Egitto
Alla salvezza.
TEODOTO
No, l’impresa, Achilla,
Sarebbe, il credi, intempestiva; a noi
Celare è d’uopo il meditato inganno,
Finchè d’armi e d’armati abbia la reggia
Cinta il romano guerriero.
Sicuri allor nella difesa invitta
Delle marziali schiere, il vinto Duce
Del Dittator sacrificar potremo
Al giusto sdegno ed al furore. Il Prence,
Ch’era de’ vinti alla vendetta anela,
Opra di mano ostil, di avverso acciaro
Del fier Pompeo riputerà la morte.
Così salvo l’Egitto e salvi a un tempo
Noi stessi renderem; così delusa
Di Tolomeo sarà l’inutil cura,
Così Cesare avremo amico e Roma.
Periglioso saria di troppo, amico,
Privi di scudo e di difesa, all’ira
Dello sdegnato egizio Prence esporci.
Chi dal furor...
ACHILLA
Nell’ardir mio confida:
Nulla a temere avremo: inerme e solo
Che mai potria l’egiziano Prence
A nostro danno oprar? Se a noi fedeli
Le schiere son, che già corrotte i nostri
Cenni attendono sol, che potrà mai
Contro noi Tolomeo?
TEODOTO
Del Duce avverso
Opporsi all’armi, e le adunate schiere
Condurre ei stesso a battagliar potria,
Se prima ancor che d’Alessandria, amico,
Sia Cesare Signor, l’ordito inganno
A conoscer giungesse.
ACHILLA
E se frattanto,
Dalle schiere a lui fide il fier Pompeo
Cinto e difeso alle nemiche turme
Isbigottite all’improvviso assalto
Si fesse incontro; eh, qual saria lo sdegno
Dell’ingannato Dittatore; eh quale
Questa regal città sperar salvezza
Potrebbe, amico, se la fè tradita,
E la sua speme il Dittator vedesse
Ingannata e delusa?
TEODOTO
Io volo il tutto
A provveder, tutto a disporre. In breve
Vano il terror che l’alma ora t’ingombra
Veder potrai, se pur propizio il fato
Alle mie brame arride; io parto. Intanto
Tu i miei disegni secondar proccura.

Parte.

Scena 6

Achilla solo.

ACHILLA
Già tutto all’Egizian pace promette;
Tutto tranquilla libertade a questa
Città regale assicurar vegg’io:
Nulla a temere abbiam, ma questa pace,
Questa ch’io stesso ad Alessandria or dono:
Per me tolta le fia. Non soffre Achilla
Il giogo vil, che sul suo collo impose
Un imbelle tiranno; ei cada, e questa
Fronte sia cinta dal regal diadema.
Di Teodoto i sensi assai compresi;
Ei spera invan di Tolomeo sul soglio
Ascendere e dettar leggi all’Egitto.
I suoi disegni secondar per poco
Fingasi ad arte, e allorchè già la destra
Stenda allo scettro, ei cada, e sull’estinta
Gelida salma il soglio mio s’innalzi.
Così dell’armi sue, delle sue frodi
Io valermi saprò. Ma... dunque... ah! taci
Troppo vile mio cor; muoia chi puote
Giovar con la sua morte a’ miei disegni.
Amicizia, virtù, diritto e fede,
Nomi vani per me, nè questo cuore
Suddito a voi non fia: tradirmi invano,
Alma imbelle, tu vuoi; ben sa chi nato
È ad alte, inusitate, eccelse imprese
Quei fulmini sprezzar, quei finti Numi,
Che solo di terror son vano oggetto
A vili anime imbelli e al volgo ignaro.

Scena 7

Tolomeo e detto.

TOLOMEO
È questo, Achilla, il dì, che pace a Roma
E libertà, che al vinto Eroe guerriero
E gloria ridonar deve e trionfo.
Omai, mio fido, della dubbia sorte
Sulle tracce corriam; l’egizie schiere
Pronte siano a pugnar. Prima che il sole
Nel profondo Ocean tuffi i destrieri,
Me forse esso vedrà premere il dorso
Colle vittrici fulminanti spade
Al fuggitivo avverso stuol, che scampo
Di Cesare nel nome indarno spera.
L’opra affrettar convien: fervido in petto
Sento il valor che mi commuove i sensi.
Perda il tiranno, empio oppressore, alfine
D’invincibile il nome; ei vegga a prova
Quanto di Tolomeo possa nel core
La fede, la pietà. Dunque il mio regno,
Dunque la eccelsa di Quirin cittade
Ad un tiranno impero esser soggetta
Ognor dovrà? Dunque atterrito il mondo
Sol di Cesare al nome, a lui d’innanzi
Piegar dovrà vile il ginocchio, e farsi
Suddito imbelle a un oppressor superbo?
Ah no, che ver non fia! cada il tiranno,
O liberi moriam; questi d’un Prence
Nato alla gloria e per l’onor nutrito
Esser debbono i sensi. Io dunque innanzi
A Cesare depor dovrò lo scettro,
Ed il regal diadema? ah, non si soffra
Tal’onta. Achilla, a battagliare io volo;
Tutto per te disposto or sia.
ACHILLA
Già l’armi
Indossano i guerrieri: ognuno al campo
È a seguirti disposto, ovunque, o prence,
Vive scintille di valor, di sdegno
Eccitare io cercai; già tutti a gara,
Paga omai resa la diurna fame,
Veston gli usberghi, e le fulgenti spade
Cingono, e al ferreo rilucente scudo
Stendon la destra marzial: ciascuno
Squassa l’aste appuntate, ed il piumoso
Splendente elmo crollando, al fiero stuolo,
Che d’Alessandria alla rovina anela,
Strage, eccidio minaccia, e a te promette
Marzial coraggio e generoso ardire.
TOLOMEO
Non più si tarda. Andiam, mio fido; omai
Il regal cocchio ad apprestar ten vola.
Impaziente di pugnar io sono;
Vanne, eseguisci i miei comandi, e tutto
Disposto e pronto alla battaglia or sia.

Fine dell’atto secondo

 

ATTO III

Scena 1

Teofane, Achilla.

ACHILLA
Di libertade e di vittoria omai
Con certa speme il cuor consola, amico;
Oggi dell’empio stuol spenta la schiatta
Vedrai, lo spero, e la memoria e il nome.
Già quel terror, che all’egiziane schiere
L’alma e il core ingombrò cedette alfine
Al coraggio, al valor che in ogni petto
Destar cercai; già corre all’armi ognuno;
Già tutto è pronto alla battaglia. In breve
Lungi da questi tetti al campo ostile
Muover disegna Tolomeo: del sangue
Forse dell’empio stuol ribelle infido
Tinti, di libertade i franti lacci
Ei deporrà del tuo Signore al Piede.
Tutto alle vinte schiere, a Roma e al mondo
Pace promette; al generoso Duce,
Ch’alla nemica sorte or geme in braccio,
Ognor sarà fido l’Egitto; invano
Volle il ribelle vincitor feroce
Sedurre il cuor dell’egiziano Prence;
Egli di pace le insidiose offerte
Rigettò generoso, e in campo omai
Sfidar dispone le nemiche schiere.
Fausto destin le fide turme attende.
Molto a sperar abbiamo.
TEOFANE
Ah, taci, amico!
Questo mio cor non lusingare. Invano
Tenti quest’alma confortar, del prode
Egiziano stuol troppo m’è noto
Il coraggio, il valor; ma qual col fato
Audacia o forza è a contrastar possente?
In cielo è scritto; al Dittator romano
Il Campidoglio ceda e il mondo intero.
Egli sicuro nel favor del fato
Ogni periglio sprezza, e in mezzo all’armi
Si lancia audace ad incontrar la morte,
O de’ nemici a trionfare; ei sembra
Dalle nubi scagliata, orrida, ignita
Folgore spaventosa. Elmo non havvi,
Usbergo o scudo, che resister sappia
Della sua spada alla terribil possa;
Urta, rovescia ogni suo colpo, atterra,
Piaga, squarcia, trafigge; in brevi istanti
Intorno a sè di estinti corpi un monte
Alzar il vedi; ognun, che il mira, il guardo
Ne paventa e l’acciar; fuggon le schiere
Da un sol cacciate. Eh qual mai resta or dunque
Di libertà speranza e di trionfo
Al vinto stuol, se di spavento e tema
Cagione è ad ogni schiera il nome solo
Del fiero Dittator?
ACHILLA
No, sì funesta
Non fia qual credi di Pompeo la sorte;
Con speranza miglior conforta, amico,
L’abbattuto tuo cor; tra brevi istanti
Vinto il ribelle stuol, salva l’eccelsa
Di Quirino città forse vedrai.
Io parto, e tu frattanto all’alma afflitta
L’audacia antica richiamar proccura.

Parte.

Scena 2

Teofane e Tolomeo

TOLOMEO
Che n’arrechi, o guerrier? di’, questi tetti
Abbandonò di Cesare il messaggio?
TEOFANE
Il vidi io stesso in sul lucente cocchio
Ascendere fremendo: in ogni dove
Armi disporsi e generose schiere
Egli mirò; con minaccioso aspetto
Il tergo volse a queste mura. In breve
Cinta d’armati e di ribelli turbe
Alessandria sarà; già l’inimico
Esercito guerrier mosse all’assalto.
Più presso ognor fassi l’infido stuolo:
Il nitrir de’ destrieri e delle trombe
Il nemico squillar, gli urli e le grida
Delle ribelli schiere insiem confuse
Formano orribil suon nunzio di guerra.
Chiuso nell’armi Cesare s’avvanza,
Con truce aspetto su destrier feroce
Scorre di schiera in schiera, e il fier valore
Co’ detti accresce delle squadre ostili.
Tutto è tumulto, ma del fido stuolo
Non langue in petto il marzial coraggio
Il generoso ardir...

Scena 3

Pompeo e detti.

POMPEO
Prence, già tutto
Alla battaglia è pronto; al campo io volo
Le schiere infide ad affrontar. Fia questo
Il dì fatal, cui di Pompeo la morte,
O la vittoria renderà famoso:
Prence, io parto: non più...
TOLOMEO
T’arresta, amico.
Di Tolomeo degno è il periglio. Al campo
Le fide schiere io condurrò: fra poco
Trionfator delle ribelli squadre,
O del nemico al piè pallido, esangue
Me rivedrai. Tu queste mura intanto,
Questa reggia difendi e questi tetti;
Qui, se il destin de’ mali tuoi non pago
Vinta vuol Roma ancor, le fide schiere
Raccogli, aduna, del nemico stuolo
All’ira insana il tuo valore opponi;
Qui de’ trionfi suoi la meta estrema
Ritrovi il fiero vincitor superbo;
Qui cada estinto, e l’egiziane arene
Tinga dell’empio sangue, o stretto il piede
Da duri ceppi all’ambizione insana
Ei ponga fine, e di regnar la folle
Speme abbandoni. Al tuo valor commessa
Sia d’Alessandria la salvezza. Io parto;
A morir vado o delle schiere avverse
A trionfar.
POMPEO
No che il periglio, o Prence,
Di te degno non è; no, che il tuo sangue
Sparger non dei d’uno straniero Duce
I dritti a sostenere; a me commesso
Sia le guerriere generose squadre
Condurre a battagliar. La vita, il sangue
A Roma io debbo, e potrei dunque allora,
Che per me pugnan generose schiere,
Che il destino del Lazio incerto pende,
Tra il fulminar delle minaci spade,
Tranquillo star fra queste mura, e il brando
Cheto mirare al fianco imbelle appeso?
Ah ver non sia. Corro a pugnar, l’infido
Duce ribelle e alter di questa destra
L’opre vegga, e ne tremi. Ah se pietoso
A’ miei disegni arride il ciel, fatale
Fia questo giorno all’oppressor tiranno.
Tu qui rimani, o Re, la vita, il sangue
All’Egitto tu dei: sii d’Alessandria
Tu difensore io pugnerò nel campo.
Troppo al tuo regno, al popol tuo fatale
Fora, o Signore, il tuo perir. Pompeo
Estinto cada, e che perciò? fecondo
Fia di Romani il sangue mio. No, meco
Non perirà la libertà latina;
Il feroce Caton, Metello il prode,
Anime eccelse e a libertà sol nate,
No, non caddero ancor: del sangue mio
Essi ritrar sapran vendetta...

Scena 4

Achilla e detti.

ACHILLA

a Tolomeo

Il cocchio,
Signor, t’attende, del regal palagio
Pronto alle soglie; a’ cenni tuoi disposte
Son le guerriere squadre, in ogni volto
Un bellicoso ardir sfavilla, e sembra
Dell’inimico stuol chieder vendetta.
TOLOMEO
Andiamo adunque, un tal desir si compia.
Pugniam da forti, e pria che cada il sole
Egli ci vegga o vincitori o estinti.

Trae la spada e parte insieme con Achilla.

Scena 5

Pompeo e Teofane

POMPEO
Si parta: omai dell’egiziano Prence
Si secondi il valor; già tutto arride,
Amico, a’ voti miei, forse in Egitto
Fia che dell’oppressor superbo il nome
E la gloria e la possa abbian la tomba.
Andiam, vedrai di questa il lampo

trae la spada

Balenar del tiranno innanzi agli occhi.
Non più: si segua della sorte il corso,
O vincitori il Ciel ci voglia o vinti.
TEOFANE
Deh voi del retto ognor, del giusto amanti,
Ci difendete in tal periglio, o Numi.

trae la spada e s’incammina per partire insieme con Pompeo

Ma...

trattenendosi

Ciel, che ascolto mai? quai grida! e quale
Improvviso tumulto?

S’ode strepito d’armi, e si vedono alcune guardie del sèguito di Pompeo, che fuggono attraverso il teatro.

Scena 6

Teodoto e detti.

TEODOTO
Amici... oh Dei!...
POMPEO
Quale spavento?...
TEODOTO
Ahi! che già tutta inonda
Questa regal città lo stuol nemico.
No, più speme non v’è; Cesare il fiero
Scellerato tiranno, a questa reggia
È presso omai: le ignude spade ovunque
Scintillar vedi de’ nemici, è chiuso
Ogni adito alla fuga, il popol tutto
Gemente palpitante i Numi invoca
E il cielo avverso; il Rege istesso è cinto
Dalle squadre nemiche. A lui dintorno
Mille scintillar vedi ostili acciari;
Ei pugna ancora invano, invano il ferro
Intorno ruota, invan di sangue il suolo
E di nemici estinti corpi ingombra:
A lui ceder fia forza, e questa reggia
Delle fiamme sarà non dubbia preda.
TEOFANE
Miseri noi!
POMPEO
Corrasi amici, il forte
Prence si salvi: a lui la vita, il sangue
Si doni: il merta il suo valor, la fede,
La pietà, la virtù... Ma... che vegg’io?...

Scena 7

Achilla con spada nuda, seguìto da alcune guardie egiziane, e detti.

POMPEO
Achilla... eterni Dei!... tu dunque ancora?...

Le guardie circondano Pompeo.

TEOFANE
Olà fermate, oh ciel!... così rispetta
Della fede ospitale Achilla i dritti?
Miseri noi!... dunque l’amico ancora
Ci tradisce, ci assal?... ma questo petto
Passar dovrete in pria... barbari!... Ah! questa
Al gran Pompeo de’ benefici suoi
Mercè si rende?... Ma il mio braccio, infidi...

Si scaglia contro le guardie.

POMPEO
Ah no, fermate. È a questo suol dovuto
Il mio sangue, o guerrier, di pace, ah! fosse
Cotesto il mediator! Vana difesa
Sdegno, e non curo... Ah! il Prence egizio adunque

getta la spada

Deludermi così... No, Tolomeo
Mentir non sa, viva in Egitto io lascio
La fede, la virtù: deh possa il cielo
Del sangue mio non ricercar vendetta.

Le guardie, secondate da Achilla, spingono con impeto Pompeo dentro la scena ove esse pure l’accompagnano, e s’ode da quella parte uno strepito d’armi e un dibattimento di spade.

Scena 8

Teofane e Teodoto.

TEOFANE
Implacabil destin vincesti alfine!
Aimè!... qual giorno!... il roman Duce al suolo
Dunque cadrà da infida man trafitto!
Ed io pur son qui neghittoso, e in tanto
Periglio il Duce abbandonar m’è forza?
Sventurato Pompeo! Roma infelice!
Eh qual tra queste ingannatrici mura
Sperar salute io posso?... Ah tronchi alfine
Questa spada i miei dì... Si muora. Io cedo
Al fato avverso omai; deh sorga, o Numi,
Alcun vendicator dal sangue mio.

Si uccide entrando con impeto dentro la scena.

Scena 9

Cesare preceduto e seguito da alcune guardie, e Teodoto.

CESARE
Olà! guerrieri, il fido acciar posate;
Si risparmino i vinti: ognuno in traccia
Corra del Duce avverso; alcun non osi
Spargerne il sangue, egli di mia clemenza
Vivo si serbi all’immortal trionfo:
Andiam...
TEODOTO
No, più di tua pietade, o Duce,
Uopo non have il fier Pompeo superbo;
Egli per man fedel cadde trafitto
Vittima all’ira tua: da tal nemico
Libero alfin tu puoi stender la destra
Allo scettro regal, prezzo di tante
Vittorie, in tua possanza omai sicuro
Regnar su Roma e sovra il mondo intero.
Soggetto ognora a’ cenni tuoi l’Egitto...
CESARE
Oimè!... che ascolto?... Ah! m’invidiaste, o cieli,
Di perdonare al gran Pompeo la sorte!
Misero me! dunque Signor del mondo,
Dunque trionfator di mille schiere,
Tu mi persegui ancor barbaro fato?
Inumani, crudeli!... Ah! se cotanto
Costar mi dee lo scettro, il soglio, il regno,
Riprendetevi, o Numi, il vostro dono.

Fine dell’atto terzo ed ultimo.