Ode amorosa

Alessandro Manzoni (1802-1803)

 

Qual su le Cinzie cime
Alta sovrasta a le minori Oreadi
Col volto, e col sublime
D'auree frecce sonante omero Delia,
E appar movendo per la sacra riva
Veracemente Diva;
Tal prima a gli occhi miei
Non ancor dotti d'amorose lagrime
Appariva costei,
Vincendo di splendor l'emule Vergini
Per mover d'occhi dolcemente grave
E per voce soave.
Da gl'innocenti sguardi
Che ancor lor possa e gli altrui danni ignorano,
Escono accesi dardi,
Non certi men, né di più leve incendio,
Se dal fronte scendendo il crine avaro
Dolce fa lor riparo.
Non altrimenti in Cielo
Febo sorgendo, di dorata nuvola
A suoi splendor fa velo,
Che vincitor superbi indi sfavillano;
E la terra soggetta in suo viaggio
Tinge di dubbio raggio.
Oh qual tutta di nove
Fatali grazie ride allor che l'invido
Crin col dito rimove,
E doppio appresta di beltà spettacolo
Sul picciol fronte trascorrendo lieve
Con la destra di neve.
Né tacerò la bella
Bocca gentile, ove s'asconde il candido
Riso, e l'alma favella,
E in cui prepara, ahi per chi dunque? Venere
Gli accesi baci e le punture ardite
E le dolci ferite.
Me con queste possenti
Armi assaliva il fanciulletto Idalio
Mentr'io per le fiorenti
Ascree piagge scorrea lungo le Aonie
Secrete acque, onde a me l'adito schiuse
Il favor de le Muse.
Ahi! né valido usbergo
Gli aspri precetti di Zenon mi furono,
Né dar fuggendo il tergo
Al lui mi valse, ché trionfo nobile
Me in suo regno ponea, fatto possente
Del core e della mente.
Né vuol ch'io canti rossa
Di sangue Italia, onde ancor pochi godono,
Né di plebe commossa
Le feroci vendette ed i terribili
Brevi furori e i rovesciati scanni
De’ tremanti Tiranni.
Ma a dir m'insegna, come
Trasse da’ gorghi del paterno Oceano
Le rugiadose chiome,
Sul mar girando i rai lucenti, Venere,
A la mirante di Nereo famiglia
Invidia e meraviglia:
E il Zeffiro lascivo,
Che ne le zone de le incaute vergini
Scherzar gode furtivo,
Onde audaci i pastor maligni ridono;
E a lor la guancia bella e vergognosa
Tinge virginea rosa.